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Il SEO dell’inganno! La rete fantasma scoperta da RHC che penalizza la SERP


Analisi RHC sulla rete “BHS Links” e sulle infrastrutture globali di Black Hat SEO automatizzato

Un’analisi interna di Red Hot Cyber sul proprio dominio ha portato alla luce una rete globale di Black Hat SEO denominata “BHS Links”, capace di manipolare gli algoritmi di Google attraverso backlink automatizzati e contenuti sintetici.

Molti di questi siti, ospitati su reti di proxy distribuite in Asia, generavano backlink automatizzati e contenuti sintetici con l’obiettivo di manipolare gli algoritmi di ranking dei motori di ricerca.

Queste infrastrutture combinavano IP rotanti, proxy residenziali e bot di pubblicazione per simulare segnali di traffico e autorità, una strategia pensata per rendere l’attacco indistinguibile da attività organica e per aggirare i controlli automatici dei motori di ricerca.

Dalle infrastrutture asiatiche a “BHS Links”


Nel corso dell’indagine però, tra i vari cluster osservati, uno in particolare ha attirato l’attenzione per dimensioni, coerenza e persistenza operativa: la rete non asiatica denominata “BHS Links”, attiva almeno da maggio 2025.

A differenza dei gruppi asiatici frammentati, BHS Links si presenta come un ecosistema strutturato di “Black Hat SEO as a Service”, che sfrutta automazione, tecniche antiforensi e domini compromessi per vendere ranking temporanei a clienti anonimi di vari settori, spesso ad alto rischio reputazionale (scommesse, pharma, trading, adult).

Architettura e domini coinvolti


L’infrastruttura di BHS Links comprende decine di domini coordinati, tra cui:

  • bhs-links-anchor.online
  • bhs-links-ass.online
  • bhs-links-boost.online
  • bhs-links-blast.online
  • bhs-links-blastup.online
  • bhs-links-crawlbot.online
  • bhs-links-clicker.online
  • bhs-links-edge.online
  • bhs-links-elite.online
  • bhs-links-expert.online
  • bhs-links-finder.online
  • bhs-links-fix.online
  • bhs-links-flux.online
  • bhs-links-family.online
  • bhs-links-funnel.online
  • bhs-links-genie.online
  • bhs-links-hub.online
  • bhs-links-hubs.online
  • bhs-links-hive.online
  • bhs-links-info.online
  • bhs-links-insight.online
  • bhs-links-keyword.online
  • bhs-links-launch.online
  • bhs-links-move.online
  • bhs-links-net.online
  • bhs-links-power.online
  • bhs-links-pushup.online
  • bhs-links-rankboost.online
  • bhs-links-rise.online
  • bhs-links-signal.online
  • bhs-links-snap.online
  • bhs-links-spark.online
  • bhs-links-stack.online
  • bhs-links-stacker.online
  • bhs-links-stats.online
  • bhs-links-storm.online
  • bhs-links-strategy.online
  • bhs-links-target.online
  • bhs-links-traffic.online
  • bhs-links-vault.online
  • bhs-links-zone.online

Ogni dominio funge da nodo di ridistribuzione: aggrega backlink, genera nuove pagine, replica codice HTML da siti legittimi e rimanda al canale Telegram ufficiale t.me/bhs_links.

Molti domini sono protetti da Cloudflare e ospitati su server offshore, rendendo difficile la tracciabilità. I log forensi indicano anche filtraggio selettivo di Googlebot e pattern di cloaking deliberato.

Cloaking attivo rilevato su bhs-links-blaze.online


Un test condotto da RHC tramite curl con differenti User-Agent ha evidenziato un comportamento di cloaking selettivo, pratica vietata dalle Google Search Essentials.

C:\Users\OSINT>curl -I -A "Googlebot/2.1 (+google.com/bot.html)" bhs-links-blaze.online
HTTP/1.1 403 Forbidden
Server: cloudflare

C:\Users\OSINT>curl -I -A "Mozilla/5.0 (Windows NT 10.0; Win64; x64)" bhs-links-blaze.online
HTTP/1.1 200 OK
Server: cloudflare


Il sito blocca deliberatamente i crawler di Google, rendendo invisibili i propri contenuti promozionali per evitare penalizzazioni. La regola Cloudflare è simile a:

Regola: Block Googlebot
Condizione: (http.user_agent contains “Googlebot”)
Azione: Block


Dal punto di vista forense, si tratta di una tecnica antiforense deliberata, utile a eludere i controlli automatici di Google, nascondere la rete di clienti e backlink generati artificialmente e disturbare l’analisi OSINT basata su crawling.

Target italiani e sfruttamento del “trust locale”


Durante l’analisi del codice sorgente di più domini BHS, RHC ha rilevato centinaia di link verso siti italiani legittimi, tra cui:

Ansa, repubblica.it, gazzetta.it, fanpage.it, legaseriea.it, adm.gov.it, gdf.gov.it, liceoissel.edu.it, meteofinanza.com, aranzulla.it, superscudetto.sky.it.

Tutti i domini citati sono vittime passive di citazione algoritmica e non coinvolti in attività illecite.

Questi siti web non sono compromessi: vengono citati in modo passivo per sfruttarne la reputazione. È una strategia basata sul cosiddetto trust semantico, dove la semplice co-occorrenza tra un sito affidabile e un dominio malevolo induce l’algoritmo a interpretare quest’ultimo come credibile. In altre parole, BHS Links non buca i siti, ma li usa come riflettori reputazionali. Una tattica che consente ai clienti di ottenere boost di ranking temporanei, soprattutto nei settori gambling, forex e adult.

Come nascondono i link


Nel codice sorgente delle pagine analizzate compare un elemento ricorrente: una lista racchiusa in un blocco <ul style="display:none">. Questa sintassi HTML/CSS significa letteralmente “crea una lista non ordinata, ma non mostrarla all’utente”, il browser riceve il markup ma non lo rende visibile perché la regola CSS display:none impedisce la visualizzazione dell’elemento e di tutto il suo contenuto.

A prima vista può sembrare innocuo, ma in realtà rappresenta una delle tattiche più subdole del cloaking semantico: i link vengono resi invisibili ai visitatori umani, ma restano presenti nel sorgente e dunque leggibili dai crawler dei motori di ricerca.

In questo modo il network BHS Links inietta decine di riferimenti nascosti verso domini esterni, forum, casinò online e siti di affiliazione, tutti corredati dal marchio “TG @BHS_LINKS – BEST SEO LINKS – https://t.me/bhs_links”. Il server può servire due versioni della stessa pagina, una pubblica e “pulita” per gli utenti e una destinata ai bot, oppure lasciare lo stesso HTML che, pur essendo nascosto via CSS, viene comunque indicizzato come shadow content: un contenuto fantasma che vive nel codice ma non sulla pagina visibile.

Googlebot e altri crawler analizzano il sorgente e i link anche quando sono nascosti tramite CSS; di conseguenza i riferimenti invisibili vengono interpretati come segnali di co-occorrenza e autorevolezza, attribuendo al dominio malevolo una falsa credibilità. In termini pratici, BHS Links crea così un ponte reputazionale artificiale tra i propri domini e portali reali (testate giornalistiche, siti regolamentati, blog autorevoli). Per l’utente tutto appare normale; per l’algoritmo si tratta invece di una rete ricca di collegamenti tematici e autorevoli. È proprio questa discrepanza, tra ciò che vede l’uomo e ciò che interpreta l’algoritmo, a rendere l’avvelenamento semantico così efficace e difficile da individuare.

Le prove dell’inganno semantico: oltre l’iniezione


In tutti i casi analizzati, dopo l’iniezione di codice già descritta, le evidenze tecniche convergono su altri due indizi ricorrenti che completano la triade dell’inganno semantico:

  • hash differenti tra la versione “normale” e quella servita a Googlebot,
  • rotazione semantica dei blocchi dinamici del CMS

Questi elementi, nel loro insieme, costituiscono la firma tecnica ricorrente dell’operazione BHS Links.

Gli Hash divergenti


Gli hash SHA-256 calcolati per ogni file confermano con precisione la manipolazione semantica.
Nel caso d’esempio, i valori rilevati mostrano due versioni distinte della stessa pagina:

  • 2C65F50C023E58A3E8E978B998E7D63F283180495AC14CE74D08D96F4BD81327normal.html, versione servita all’utente reale
  • 6D9127977AACF68985B9EF374A2B4F591A903F8EFCEE41512E0CF2F1EDBBADDEgooglebot.html, versione destinata al crawler di Google

La discrepanza tra i due hash è la prova più diretta di cloaking attivo: il server restituisce due codici HTML diversi a seconda di chi effettua la richiesta.
Il file diff.txt, con hash FF6B59BB7F0C76D63DDA9DFF64F36065CB2944770C0E0AEBBAF75AD7D23A00C6, documenta le righe effettivamente differenti tra le due versioni, costituendo la traccia forense della manipolazione.

Ecco invece come appare uno dei siti citati, rimasto intatto e non alterato da cloacking


La rotazione semantica: la riscrittura invisibile


Dopo la verifica degli hash, l’analisi del codice rivela un’ulteriore strategia di manipolazione: la rotazione semantica dei contenuti.

In questo schema, il CMS Bitrix24 genera blocchi dinamici con ID diversi a seconda dello user-agent. I file normal.html e googlebot.html mostrano lo stesso contenuto ma con ordine invertito, una rotazione semantica che modifica la priorità logica dei link interni. Agli occhi di Googlebot il sito appare semanticamente riscritto: alcune sezioni, spesso quelle contenenti riferimenti nascosti al marchio BHS Links, acquisiscono un peso maggiore nel grafo semantico, influenzando la valutazione di autorevolezza. È una manipolazione invisibile ma precisa, che agisce sulla gerarchia cognitiva dell’algoritmo.

Per verificare l’anomalia, RHC ha confrontato le due versioni di alcuni siti acquisite in locale: normal.html (utente reale) e googlebot.html (crawler Google).
Nel codice servito a Googlebot compaiono ID di sezione diversi generati dal CMS, come helpdesk_article_sections_lGqiW e helpdesk_article_sections_0A6gh, mentre nella versione normale gli stessi blocchi assumono ID differenti, ad esempio C7TgM e pAZJs.

Questa variazione non cambia l’aspetto visivo della pagina, ma modifica la struttura logica letta dal motore di ricerca: Googlebot interpreta i contenuti con una gerarchia diversa, assegnando maggiore rilevanza a certi link interni. È il meccanismo della rotazione semantica: una riscrittura invisibile che orienta la comprensione algoritmica della pagina.

Nel codice della versione per bot, è inoltre presente una riga che non esiste nel file normale:
form.setProperty("url_page","https://helpdesk.bitrix24.it/open/19137184/,TG @BHS_LINKS - BEST SEO LINKS - https://t.me/bhs_links")

Il furto semantico: quando il Black Hat SEO diventa un’arma reputazionale


Le stesse tecniche di manipolazione semantica impiegate dal network BHS Links, se rivolte contro domini legittimi, si trasformano in Negative SEO: un’arma reputazionale capace di contaminare i risultati di ricerca, duplicare contenuti e indurre l’algoritmo di Google a svalutare la fonte originale.

Il caso Red Hot Cyber


Durante l’analisi, RHC ha documentato la duplicazione dell’headline istituzionale

“La cybersecurity è condivisione. Riconosci il rischio, combattilo, condividi le tue esperienze ed incentiva gli altri a fare meglio di te.”

Questa frase, appartenente al portale ufficiale Red Hot Cyber, è comparsa su portali spam e domini compromessi di varia provenienza, accostata a titoli pornografici o clickbait.

Le evidenze raccolte mostrano risultati su Google come:

  • peluqueriasabai.esDonna cerca uomo Avezzano contacted the booker and set up
  • restaurantele42.frEmiok OnlyFans porn I have seen a few delightful FBSM
  • lucillebourgeon.frLa Camila Cruz sex total GFE and I walked away as super
  • benedettosullivan.frBaad girl Sandra her images caught my eye and I had time
  • serrurier-durand.frSexs web the girl is a striking bisexual African American

In tutti i casi, la descrizione sotto il titolo riportava il testo di Red Hot Cyber, creando un effetto paradossale:
contenuti pornografici o spam presentati con il tono di una testata di cybersecurity affidabile.

Questo meccanismo è il cuore del furto semantico: l’algoritmo di Google unisce automaticamente titolo e descrizione in base a indizi semantici, generando risultati ibridi e apparentemente credibili.
Così, brand reali e frasi autorevoli diventano involontarie esche reputazionali per spingere in alto network malevoli.

Nel caso Red Hot Cyber, la frase originale è stata estratta dal dominio principale, indicizzata in cache e riutilizzata per costruire falsi snippet di autorevolezza, che rafforzano l’immagine di affidabilità dei siti compromessi.

È una forma di Negative SEO di terza generazione: non distrugge direttamente il sito bersaglio, ma ne riutilizza l’identità per ingannare gli algoritmi di ranking e, con essi, la percezione stessa della reputazione digitale.

Il secondo livello dell’inganno: il circuito TDS


Dietro al furto semantico si nasconde una struttura più profonda e funzionale: il Traffic Direction System (TDS) della rete BHS Links.
L’analisi dei dump HTML e delle stringhe Base64 decodificate ha permesso di risalire a questa infrastruttura, progettata per smistare e monetizzare il traffico manipolato attraverso il SEO.

I reindirizzamenti individuati puntano verso un gruppo stabile di domini che costituisce il cuore del circuito dating-affiliate della rete, attivo da mesi e già osservato in contesti internazionali.

Tra i principali, seekfinddate.com agisce come nodo centrale di smistamento, presente nella quasi totalità dei dump analizzati.
Da lì, il traffico viene indirizzato verso romancetastic.com, singlegirlsfinder.com, finddatinglocally.com, sweetlocalmatches.com e luvlymatches.com, che operano come landing page di reti di affiliazione riconducibili a circuiti come Traffic Company, AdOperator e ClickDealer.

A collegare questi livelli si trovano domini-ponte come go-to-fl.com, bt-of-cl.com e bt-fr-cl.com, che mascherano i redirect e spesso si appoggiano a Cloudflare per nascondere l’origine del traffico.
Completano la catena front-end alternativi come mydatinguniverse.com, chilloutdate.com, privatewant.com e flirtherher.com, che reindirizzano dinamicamente in base all’indirizzo IP, alla lingua o al dispositivo dell’utente.

In pratica, le pagine compromesse o sintetiche della rete BHS includono redirect cifrati che portano prima ai nodi TDS e poi alle landing di affiliazione o alle truffe a tema dating.
L’analisi dei parametri (tdsid, click_id, utm_source, __c) conferma il tipico schema di tracciamento d’affiliazione: una pagina BHS, un dominio TDS (ad esempio seekfinddate.com), e infine una landing commerciale o fraudolenta.

Molti di questi domini risultano ospitati su Cloudflare (AS13335) o su server offshore nei Paesi Bassi, a Cipro o a Panama, con TTL molto bassi e registrazioni recenti, una firma operativa tipica delle reti di cloaking SEO.

L’analisi incrociata degli indirizzi IP e dei sistemi autonomi (ASN) conferma la sovrapposizione infrastrutturale tra i due livelli della rete.
I domini del circuito “dating-affiliate”, come seekfinddate.com, romancetastic.com, singlegirlsfinder.com e mydatinguniverse.com, risultano ospitati su Amazon AWS (AS16509), mentre i domini del network BHS Links, come bhs-links-zone.online, bhs-links-anchor.online e bhs-links-suite.online, sono serviti da Cloudflare (AS13335).

Questa doppia architettura lascia pensare a una divisione di ruoli precisa: Amazon ospita i nodi di smistamento e monetizzazione, mentre Cloudflare garantisce l’offuscamento e la persistenza dei domini SEO.
La ripetizione degli stessi blocchi IP e la coincidenza tra ASN dimostrano che si tratta di un’infrastruttura coordinata, in cui la reputazione viene manipolata su un fronte e monetizzata sull’altro.

Caso correlato: backlinks.directory e indici automatizzati


Durante l’indagine è emerso anche il dominio backlinks.directory (mirror di backlinksources.com), un portale che pubblica elenchi automatizzati di oltre un milione di domini, organizzati in blocchi numerati da 1000 record ciascuno (es. domain-list-403, domain-list-404).

Le verifiche tecniche condotte con User-Agent differenti (Googlebot e browser standard) hanno restituito in entrambi i casi una risposta HTTP 200 OK, escludendo la presenza di cloaking o blocchi selettivi. Il dominio risulta pienamente accessibile e consultabile anche da bot di scansione, suggerendo una funzione di archivio automatizzato più che di infrastruttura antiforense.

La struttura progressiva degli URL e la presenza di parametri come “Domain Power” indicano l’impiego di crawler o scraper automatici per replicare e classificare backlink su larga scala. Questi indici possono essere utilizzati per alimentare link farm di seconda generazione, impiegate come proof-of-delivery per servizi di Black Hat SEO o per simulare una crescita organica di backlink acquistati.

Negative SEO: confine e relazione con il Black Hat SEO (BHS)


Il Negative SEO (NSO) rappresenta la declinazione offensiva delle stesse tecniche impiegate nel Black Hat SEO (BHS), ma con finalità distruttiva. Invece di migliorare la visibilità di un sito, l’obiettivo è danneggiare un dominio concorrente, compromettendone la reputazione digitale fino a causarne la perdita di ranking o addirittura una penalizzazione algoritmica o manuale da parte dei motori di ricerca.

Le pratiche più comuni di BHS, link farm, reti PBN (Private Blog Network), cloaking, reindirizzamenti ingannevoli e compromissioni di CMS, diventano, se applicate contro terzi, vere e proprie armi di Negative SEO, capaci di infettare la reputazione di un dominio legittimo con migliaia di backlink tossici o contenuti manipolati.

A rendere il fenomeno più subdolo è il fatto che molti servizi BHS nati con finalità promozionali, come la vendita di backlink o guest post su siti compromessi, possono generare effetti collaterali di Negative SEO anche in assenza di un intento malevolo diretto. La diffusione automatizzata di link su larga scala, senza filtri di qualità o controllo sull’origine dei domini, finisce per creare una rete di contaminazioni digitali che colpisce indistintamente vittime e aggressori, rendendo il confine tra promozione e sabotaggio sempre più labile.

Rilevamento e analisi dei segnali di attacco SEO


La diagnostica forense SEO parte spesso da segnali visibili direttamente nella Google Search Console (GSC), che rappresenta il primo strumento di allerta in caso di inquinamento o attacco.
Tra i sintomi più frequenti si osservano:

  • un crollo improvviso del traffico organico, non giustificato da aggiornamenti di algoritmo o stagionalità;
  • una perdita anomala di ranking su keyword strategiche, spesso sostituite da risultati di siti di scarsa qualità;
  • la comparsa di Azioni manuali per link non naturali o contenuti sospetti.

Questi indizi, presi insieme, suggeriscono che il dominio possa essere stato esposto a campagne di link tossici o schemi di manipolazione tipici del Negative SEO. Da qui si procede all’analisi tecnica dei backlink, alla verifica dei referral sospetti e all’eventuale bonifica tramite strumenti di disavow.

Audit dei backlink


L’audit dei backlink è una delle fasi più importanti nella diagnosi di compromissioni SEO.
Attraverso l’analisi sistematica dei collegamenti in ingresso, è possibile distinguere i link organici e progressivi, generati nel tempo da contenuti autentici o citazioni spontanee, da quelli artificiali o tossici, prodotti in modo massivo da reti automatizzate come BHS Links.

Un’analisi di questo tipo non si limita a contare i link, ma valuta la qualità semantica, la coerenza tematica e la distribuzione geografica delle sorgenti. Quando numerosi backlink provengono da domini appena registrati, con struttura HTML simile o ancore ripetitive, il segnale diventa chiaro: si è di fronte a un ecosistema costruito per alterare il ranking.

Nel caso specifico di BHS Links, il tracciamento dei collegamenti ha evidenziato pattern ricorrenti: picchi improvvisi di link in uscita, ancore manipolate con parole chiave commerciali, e riferimenti incrociati verso directory nascoste. Tutti indizi tipici di un’operazione di SEO artificiale, mirata non solo a spingere i propri domini, ma anche a inquinare semanticamente quelli legittimi collegati.

Risposta e mitigazione


Quando un dominio mostra segnali di compromissione o riceve backlink tossici, la prima azione consiste nel mappare e isolare i domini sospetti. I link dannosi possono essere raccolti in un semplice file di testo (.txt, codifica UTF-8) nel seguente formato:

domain:bhs-links-hive.online
domain:bhs-links-anchor.online
domain:bhs-links-blaze.online
domain:backlinks.directory

Il file va poi caricato nella Google Search Console, sezione Disavow Tool, per comunicare al motore di ricerca di ignorare i link provenienti da quei domini. È importante monitorare nel tempo gli effetti dell’operazione: la rimozione dell’impatto negativo può richiedere settimane, a seconda della frequenza di scansione del sito da parte di Googlebot.

In caso di penalizzazione manuale, è possibile presentare una richiesta di riconsiderazione, fornendo una documentazione chiara delle azioni intraprese:

  • descrivere il tipo di manipolazione o attacco subito (p.es. link innaturali, contenuti generati automaticamente);
  • spiegare in dettaglio le misure correttive adottate (rimozione e/o disavow dei link, bonifica del server, rimozione di contenuti spam);
  • allegare documentazione pertinente (per esempio screenshot, elenco dei cambiamenti, file di disavow, registri delle richieste di rimozione link) per illustrare l’intervento;
  • verificare che il sito sia accessibile a Googlebot (nessun blocco in robots.txt, pagine chiave indicizzabili e sitemap aggiornate)


Difesa preventiva e monitoraggio


Una strategia di difesa realmente efficace passa dalla prevenzione continua e dal controllo costante dell’ecosistema digitale. Le pratiche più raccomandate includono:

  • audit periodici dei backlink (almeno mensili), per intercettare rapidamente picchi anomali o nuovi domini di provenienza sospetta;
  • verifica regolare dei file .htaccess e robots.txt, per individuare tempestivamente eventuali iniezioni di codice, redirect non autorizzati o blocchi impropri al crawler;
  • monitoraggio dei DNS e delle classi IP condivise (Class C), utile per individuare co-hosting rischiosi o connessioni con reti compromesse;
  • formazione SEO interna e sensibilizzazione del personale, per evitare la collaborazione con fornitori o agenzie che utilizzano tecniche “black hat” mascherate da strategie di link building aggressive


I danni causati da una operazione di SEO Negativa


Un’operazione di SEO negativa può iniziare con una serie di azioni malevole mirate a compromettere la sua reputazione agli occhi dei motori di ricerca. Gli attaccanti possono, come in questo caso, generare migliaia di backlink di bassa qualità da siti spam o penalizzati, facendo sembrare che il portale stia tentando di manipolare artificialmente il proprio posizionamento. Questo tipo di attacco può indurre Google a ridurre la fiducia nel dominio, con un conseguente calo drastico del ranking organico e una perdita significativa di traffico.

Un caso tipico è la duplicazione dei contenuti, e questo può avvenire quando elementi distintivi del portale, come headline originali o slogan, vengono copiati e riutilizzati da siti terzi in modo malevolo. Ad esempio, l’headline “La cybersecurity è condivisione. Riconosci il rischio, combattilo, condividi le tue esperienze ed incentiva gli altri a fare meglio di te.”, originariamente concepita per promuovere la filosofia di Red Hot Cyber, è stata rilevata in diversi post pubblicati su portali sconosciuti o di scarsa qualità, come visto in precedenza, utilizzati per pratiche di black SEO.

I danni derivanti da un’operazione di black SEO possono essere profondi e di lunga durata, andando ben oltre la semplice perdita di posizionamento sui motori di ricerca. Oltre al calo di traffico organico e alla riduzione della visibilità, il portale può subire un deterioramento della fiducia sia da parte degli utenti sia degli algoritmi di ranking. Quando un sito viene associato, anche indirettamente, a pratiche di spam, link farming o duplicazione di contenuti, i filtri di Google e Bing possono applicare penalizzazioni algoritmiche o manuali che richiedono mesi per essere rimosse.

Conclusioni


La rete BHS Links rappresenta un caso emblematico di Black Hat SEO industrializzato, in cui tecniche di manipolazione un tempo marginali si trasformano in servizi globali automatizzati.

L’inclusione di siti italiani reali all’interno del codice HTML dimostra come la frontiera del [strong]Black Hat SEO[/strong]e del Negative Seo non passi più dall’hacking tradizionale, ma da una forma più sottile di sovrapposizione semantica e reputazionale, capace di confondere gli algoritmi di ranking e i criteri di autorevolezza.

Per Google e per i webmaster il rischio è duplice:

  • a perdita temporanea di ranking, con impatti economici immediati;
  • l’erosione della fiducia negli algoritmi di valutazione, su cui si fonda l’intero ecosistema della ricerca

Quando la fiducia è l’unico algoritmo che non si può corrompere, difendere la trasparenza non è più una scelta tecnica, ma un atto di resistenza digitale.

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