Snapchat sapeva tutto: come l’app ha danneggiato milioni di adolescenti
Le e-mail interne inviate dai dipendenti di Snapchat, la popolare app di messaggistica fotografica e video, dimostrano che l’azienda ha deliberatamente danneggiato adolescenti e giovani adulti, ovvero il pubblico a cui si rivolge.
Lo psicologo sociale e autore del best-seller Generation Anxious Jonathan Haidt ha pubblicato la scorsa settimana un articolo su Substack in cui detto che Snap Inc. riceve ogni mese migliaia di segnalazioni di “sextortion”, ovvero estorsione sessuale.
Insieme al ricercatore Zach Rush, ha presentato decine di estratti da rapporti interni, studi, e-mail e dichiarazioni pubbliche in cui i dipendenti e i consulenti di Snap riconoscono che Snapchat danneggia i minori. Secondo gli autori, queste confessioni possono essere raggruppate in cinque aree: uso compulsivo, accesso a droghe e armi, distribuzione di materiale pedopornografico e casi di rapporti intimi forzati, cyberbullismo e consapevolezza di danni e violazioni dell’età senza azioni appropriate da parte dell’azienda.
Così come nel caso Per quanto riguarda TikTok, Haidt e Rush affermano che i dipendenti di Snap erano ben consapevoli della portata del problema, ma non stavano adottando le misure necessarie. Alcune di queste problematiche sono note da tempo, come la funzione “streak“, che conta il numero di giorni consecutivi in cui gli utenti condividono foto.
Ciò crea un falso senso di impegno e attaccamento negli adolescenti, e la perdita di questo “lato positivo” può essere percepita quasi come la perdita di un’amicizia. Allo stesso tempo, l’applicazione in sé rimane un mezzo di comunicazione superficiale: non garantisce un contatto reale e non sostituisce l’interazione dal vivo.
È noto che molti ex dirigenti di colossi della tecnologia, tra cui quelli che hanno partecipato alle riprese del documentario “The Social Dilemma“, non permettono ai propri figli di utilizzare gli smartphone. Sanno fin troppo bene cosa devono affrontare gli utenti, soprattutto quelli più giovani.
E se gli inventori di questi sistemi si rifiutano di affidarli ai propri figli, perché dovrebbero farlo i genitori comuni?
Gli autori del rapporto ritengono che sia giunto il momento di avviare una riflessione seria sulla dipendenza digitale e sulla responsabilità delle aziende tecnologiche.
Forse, con l’aumento delle cause legali e il cambiamento dell’opinione pubblica, più persone inizieranno a considerare il prezzo che pagano per essere costantemente presenti nel mondo digitale.
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