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Una nuova veste per Vesta



Per decenni, gli scienziati hanno ipotizzato che l’asteroide Vesta – uno dei corpi celesti più grandi della fascia degli asteroidi – fosse un mondo mancato, cioè un oggetto celeste differenziato che non è mai riuscito a completare del tutto la propria evoluzione fino a diventare un vero e proprio pianeta. Questa ipotesi è emersa da studi precedenti basati sui dati gravitazionali raccolti dalla missione Dawn della Nasa, che ha rivelato la presenza sulla superficie dell’asteroide di rocce basaltiche, tipiche di corpi che hanno subito una differenziazione planetaria. Secondo il paradigma attuale sulla stratigrafia di Vesta, il corpo celeste sarebbe dunque composto da una crosta basaltica, un mantello mafico e un nucleo metallico, caratteristiche generalmente associate ai pianeti, appunto.


Immagine dell’asteroide Vesta acquisita da una distanza di circa 15mila km dalla sonda della Nasa Dawn in orbita attorno al corpo celeste dal 2011 al 2012. Crediti: Nasa / Jpl-Caltech / Ucla / Mps / Dlr / Ida

Un nuovo studio condotto da un team di ricercatori guidato dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa mette ora in discussione questa visione della struttura a tre strati, e con essa l’origine stessa dell’asteroide. Secondo quanto riportato nell’articolo che descrive la ricerca, pubblicato la settimana scorsa su Nature Astronomy, Vesta avrebbe una struttura interna più omogenea, costituita da soli due strati, nessuno dei quali è assimilabile a un core. Niente nucleo, dunque, o se esiste, è estremamente piccolo, dicono i ricercatori.

«La mancanza di un nucleo è stata molto sorprendente», dice a questo proposito Seth Jacobson, scienziato della Michigan State University (Msu) e coautore dello studio. «Quello che ipotizziamo è un modo davvero diverso di pensare a Vesta».

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno rielaborato alcuni dati raccolti dalla missione Dawn, la sonda della Nasa che tra il 2011 e il 2012 ha visitato Vesta. In particolare, gli scienziati si sono concentrati sul momento d’inerzia dell’asteroide, una misura di come la massa di un corpo è distribuita rispetto al suo asse di rotazione. Poiché i corpi con un nucleo denso presentano caratteristiche di rotazione differenti rispetto a quelli privi di nucleo, il momento d’inerzia rappresenta un parametro diagnostico fondamentale per valutare la distribuzione interna della massa di un corpo e, quindi, il grado di differenziazione del corpo stesso.

Utilizzando stime aggiornate del momento di inerzia di Vesta dedotte dall’analisi di vecchi dati della missione Dawn, il team di ricerca ha potuto misurare con precisione la rotazione e il campo gravitazionale di Vesta, scoprendo che l’asteroide non si comportava come un corpo dotato di nucleo, ma piuttosto come un oggetto composto da due soli strati: un strato inferiore ricco di metalli, solfuro e olivina, e uno strato superiore poroso di ortopirosseno ed eucrite.

«Per anni, i dati gravitazionali provenienti dalle osservazioni di Vesta effettuate dalla sonda Dawn hanno creato perplessità», ricorda il ricercatore del Jpl e primo autore dello studio, Ryan Park. «Dopo quasi un decennio di perfezionamento delle nostre tecniche di calibrazione e di elaborazione, abbiamo ottenuto una straordinaria corrispondenza tra i dati radiometrici del Deep Space Network e le immagini acquisite dalla sonda Dawn. I nostri risultati mostrano che la storia dell’asteroide è molto più complessa di quanto si credesse in precedenza, modellata da processi unici come la differenziazione planetaria interrotta e collisioni tardive».

La nuova visione di Vesta con una struttura a due strati, come dicevamo, mette in discussione l’ipotesi precedente circa l’origine dell’asteroide. Alla luce di questi nuovi risultati, quale potrebbe essere dunque la natura dell’asteroide? I ricercatori avanzano due ipotesi, entrambe – sottolineano – da approfondire ulteriormente. La prima è che Vesta sia un corpo celeste non completamente differenziato: un corpo, cioè, che avrebbe avviato il processo di fusione necessario per formare strati distinti – nucleo, mantello e crosta – senza però completarlo. La seconda ipotesi è che sia il frammento di un pianeta in crescita nel Sistema solare primordiale.

Per quanto riguarda la prima ipotesi, sebbene una differenziazione incompleta sia plausibile, questa non è coerente con la struttura dei meteoriti raccolti finora dagli scienziati, osservano i ricercatori «Siamo davvero certi che questi meteoriti provengano da Vesta», sottolinea Jacobson. «E nessuno di essi mostra evidenti prove di differenziazione incompleta».

L’ipotesi più plausibile, ma ancora tutta da dimostrare, sarebbe dunque la seconda. In questo caso, spiegano i ricercatori, quello che potrebbe essere successo è che, durante la formazione dei pianeti rocciosi, si siano verificate colossali collisioni. Questi scontri da un lato hanno favorito la crescita planetaria, dall’altro hanno prodotto detriti d’impatto. Tra questi detriti espulsi avrebbero potuto esserci frammenti di crosta e mantello fusi privi di nucleo. Vesta potrebbe essere uno di essi.

«I risultati di questo studio hanno implicazioni sulla formazione di Vesta, sia su quando questo asteroide si sia formato sia sul processo di formazione», dice a Media Inaf la responsabile scientifica dello spettrometro a immagine Vir (Visual and Infrared Spectrometer) a bordo di Dawn, Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice all’Inaf di Roma non coinvolta nello studio, che abbiamo raggiunto per un commento. «Vesta è considerato il più antico oggetto del Sistema solare, poiché possiamo datare con certezza le meteoriti provenienti da Vesta e quindi sappiamo quando queste si sono formate. Le precedenti ricerche hanno teorizzato un corpo differenziato, con una crosta, un mantello ed un nucleo. La nuova analisi indica un corpo debolmente differenziato, che può suggerire sia che Vesta si sia formata più tardi di quanto precedentemente ipotizzato, sia che sia formata dalla collisione catastrofica di un altro oggetto completamente differenziato. Le due ipotesi sono piuttosto diverse e non abbiamo ancora elementi per propendere per una delle due. L’analisi di dati acquisti oltre dieci anni fa», continua la ricercatrice, «indica come anche dati non “nuovissimi” possano rivelare grosse sorprese. In questo senso, l’analisi dei dati di Dawn, e in particolare dello strumento italiano Vir, che è stato a leadership Inaf Iaps Roma, continua nel tempo e potrebbe dare delle nuove indicazioni sulla storia evolutiva di Vesta».

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