Non basta il silenzio
Ci sono parole e silenzi, ma nessuno dei due basta da solo. L’idea che la complicità possa concedersi il lusso di tacere è romantica, ma ingannevole. La complicità vera non tace: si dice, si mostra, si nomina. Il silenzio, per quanto possa talvolta sembrare carico di significato, non è mai garanzia di intesa. Perché chi tace, talvolta, si sottrae. Le parole non sono tutte uguali, è vero, ma sono comunque necessarie. E il non detto può diventare frainteso, oppure vuoto. Comunicare è ciò che rende possibile la comprensione reciproca; il tacere, invece, spesso lascia spazio all’ambiguità, ai malintesi, all’allontanamento. Non è privilegio, ma rischio. La vera complicità non si affida al silenzio come rifugio elegante, ma si costruisce nel dire, nello spiegare, nel chiarire. La verità, anche nella complicità, chiede voce, non lusso. È nella vulnerabilità delle parole che si crea una connessione autentica, non nella presunta nobiltà del non detto. Chiede presenza, anche nel parlare. Tacere può essere comodo, ma parlare è ciò che rende il legame reale.