Cyberstorage: La Risposta degli IT Manager Italiani ai Ransomware
Cyberstorage: la risposta degli IT manager italiani a ransomware sempre più sofisticati. Negli ultimi anni lo scenario è cambiato: ransomware più aggressivi, esfiltrazione dei dati prima della cifratura, interruzioni dei servizi dovute a eventi fisici e non solo. In questo contesto, “salvare” i dati non basta più: lo storage diventa parte della sicurezza. Proprio per questo motivo, tra gli IT manager italiani cresce l’attenzione verso il cyberstorage: uno storage progettato per resistere agli attacchi direttamente dove risiedono i dati.
Alla base c’è un principio architetturale chiave: la frammentazione e distribuzione nativa del dato su più sedi geografiche. A questo si affiancano funzionalità di sicurezza integrate – come immutabilità, cifratura, controllo accessi – che aumentano la resilienza e supportano una reale continuità operativa anche in scenari critici.
Cos’è (davvero) il cyberstorage
Per semplificare: è storage con sicurezza incorporata. Non un layer applicato sopra, ma controlli nativi a livello dati per resistere a manomissioni, cancellazioni, cifrature e accessi non autorizzati.
Storicamente ci si è affidati a controlli perimetrali (firewall, segmentazione di rete), gestione delle identità, versioning. Strumenti utili, ma non sufficienti quando l’attaccante arriva fino allo storage. Il cyberstorage nasce per colmare questa lacuna: porta lo zero trust fino al livello dei dati, riducendo la probabilità di compromissione totale e facilitando il recovery.
Non è un caso che gli analisti di Gartner indicano il cyberstorage tra i 6 trend strategici IT del 2025: frammentare, distribuire e proteggere i dati su più sedi minimizza il rischio di compromissione e breach dei dati.
Perché oggi il cyberstorage è una priorità per gli IT manager
Le ransomware gang di oggi non si limitano più a cifrare i dati. In molti casi, l’attacco inizia con l’esfiltrazione: i dati vengono copiati e portati fuori dall’organizzazione, poi cifrati per renderli inaccessibili e infine usati come leva per minacciare la pubblicazione.
È la cosiddetta doppia o tripla estorsione, un approccio che rende inutile anche un backup perfettamente funzionante, perché il danno vero non è solo l’interruzione del servizio, ma la perdita di riservatezza.
Questo espone l’azienda a:
- Perdite economiche (fermi operativi, penali, costi di risposta)
- Danni reputazionali, se i dati esfiltrati riguardano clienti, dipendenti o partner
In parallelo aumentano gli attacchi mirati a infrastrutture di virtualizzazione e repository di backup. Sul piano fisico restano i rischi di disastro fisico (incendi, alluvioni) e di interruzioni prolungate (blackout).
Il cyberstorage non è la soluzione magica, ma rappresenta un tassello chiave in un piano di disaster recovery moderno, che punta su integrità e riservatezza del dato anche in condizioni estreme.
Cosa cambia rispetto allo storage tradizione
Lo storage “classico” è nato per capacità, performance e disponibilità. Il cyberstorage aggiunge:
- Un principio architetturale: frammentazione e distribuzione nativa del dato su più sedi/domìni per ridurre il rischio di perdita e compromissione in caso di incidente.
- Controlli di sicurezza (non necessariamente nativi, ma integrati nello stack di storage) che aumentano la resilienza: immutabilità, cifratura, controllo degli accessi e non solo.
Questi elementi operano sul dato stesso, non solo al perimetro della rete.
Normative: cosa cambia con NIS2 e GDPR
Con l’entrata in vigore della direttiva NIS2, le organizzazioni italiane – sia pubbliche che private – devono dimostrare di essere in grado di garantire continuità operativa, sicurezza dei dati e disponibilità dei servizi essenziali anche in caso di attacco. Non è più sufficiente avere un backup: le normative chiedono prove concrete di misure tecniche e organizzative efficaci, come stabilito anche dal GDPR. Una strategia carente espone l’azienda a rischi elevati: interruzioni prolungate, danni economici e sanzioni fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato globale annuo, a seconda di quale sia il valore più alto.
Da dove iniziare senza rifare tutto
L’obiettivo non è stravolgere lo stack, ma aumentare la resilienza con scelte concrete e misurabili. Ecco i fondamentali:
- Applica la regola del 3-2-1-1-0 backup: tre copie, due supporti diversi, una offsite, una immutabile, zero errori nei test.
- Separazione dei domini: chi amministra la produzione non amministra i backup; privilegi minimi, autenticazione a più fattori (MFA) e controllo a doppio fattore per operazioni critiche.
- Testa il ripristino in modo reale e completo (non solo tabletop): misura RPO/RTO, documenta, correggi.
- Standard diffusi (es. compatibilità S3/Object Lock) per integrare i tool esistenti e mantenere portabilità. Evitando il lock-in tecnologico.
Domande guida per orientare le priorità:
- Quanto tempo il mio business può rimanere offline senza danni gravi?
- Quali dati devo ripristinare per primi?
- Chi prende decisioni, e con quali strumenti?
- Dove sono conservate le copie dei dati, e sono al sicuro?
- I dati salvati sono anche protetti da accessi non autorizzati?
La capacità di ripristinare è fondamentale, ma lo è anche la prevenzione della perdita/esfiltrazione prima della cifratura. Un piano moderno di disaster recovery deve includere storage resistenti agli attacchi, controlli di accesso rigorosi, segregazione dei ruoli e sistemi progettati per la sicurezza by design.
Fattori da considerare nella scelta di una soluzione storage resiliente
Quando valuti una soluzione di cyberstorage, non basta guardare al costo e alla performance: la resilienza nasce da scelte architetturali e funzionalità di sicurezza. Di seguito, i criteri tecnici più rilevanti da tenere presenti.
- Dato frammentato e distribuito by design su più ambienti o sedi fisiche: questo minimizza il rischio di compromissione in caso di incidente.
- Cifratura forte dei dati (es. AES-256), con gestione sicura delle chiavi (tramite sistemi dedicati come KMS), eventualmente controllate direttamente dal cliente.
- Immutabilità dei dati (ad es. tramite modalità WORM o Object Lock) e creazione di copie automatiche (snapshot) per garantire la disponibilità anche in caso di ransomware.
- Zero trust al livello dati: Accesso secondo il principio del privilegio minimo, con sistemi di gestione delle identità (IAM), autenticazione a più fattori (MFA) e controllo a doppio fattore per operazioni critiche.
- Tracciabilità e integrità dei dati: registrazione dettagliata e non alterabile degli accessi e delle modifiche ai file, utile per audit e indagini forensi; verifica automatica dell’integrità per garantire che i dati non siano stati compromessi o alterati nel tempo.
Cubbit: la risposta italiana al bisogno di cyberstorage resiliente
In un contesto in cui i cyberattacchi sono sempre più sofisticati, Cubbit offre una risposta concreta. A differenza del cloud tradizionale, Cubbit cifra, frammenta e replica i dati su più sedi geografiche – al sicuro da ransomware e disastri. Parliamo di un cloud storage 100% italiano, scelto da Leonardo, Rai Way e più di 400 aziende italiane ed europee.
Oltre all’immutabilità e alla geo-ridondanza nativa, Cubbit si distingue per un approccio trasparente: niente costi nascosti, risparmi fino all’80% rispetto agli hyperscaler, localizzazione dei dati in Italia e conformità con normative come GDPR, ACN e NIS2.
Compatibile con lo standard S3, si integra facilmente con Veeam e altri client già in uso. L’architettura scalabile consente di passare rapidamente da TB a PB. La tecnologia è disponibile in due modalità, in base alle esigenze operative:
Puoi partire con DS3 Cloud (cloud object storage pronto all’uso) oppure creare il tuo cloud personalizzato con DS3 Composer (soluzione software-defined completamente europea).
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