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ERA UN UNIVERSO BUIO E SILENZIOSO


Era un Universo buio e silenzioso. Il tempo intorno a Mary si era improvvisamente spento, i suoi ricordi vagavano da un punto all'altro della sua vita senza un ordine preciso. Lampi di turbamento presero il sopravvento e chiuse gli occhi. Le apparve il suo istruttore di volo, da lui aveva imparato a dominare le emozioni, era stato un lungo e faticoso apprendistato, che, con chiara evidenza, non le era servito a molto, se qualcosa le frullava nello stomaco: era panico. Perse completamente il controllo: sangue freddo, coraggio, pragmatismo erano diventate vuote parole. Urlò a squarciagola al suo fedele compagno di viaggio: “Dove siamo?” PQ7, un androide di ultima generazione, si rivolse a lei con dolcezza, cercando di rassicurarla, nonostante avesse percepito la gravità della situazione. “Non ti allarmare, non siamo fuori rotta, semplicemente dobbiamo rivedere alcuni calcoli per ripristinare la propulsione molecolare della nostra nave spaziale”. Non era questo il problema, lo sapevano entrambi: erano finiti chissà dove e chissà quando. Dopo aver oltrepassato la nebulosa di Paul, che si trovava a 3 mega parsec dalla Terra, le comunicazioni si erano interrotte e i dispositivi dell'astronave si erano ammutoliti, come se avessero incontrato un predatore e non volessero farsi notare. Un brusio intermittente cominciò a penetrare nei loro cervelli, colpendoli con intensità e disorientandoli. Mary era smarrita e sgomenta, eppure questo suono la faceva sentire meno sola, forse qualcuno cercava di mettersi in contatto con loro. Come sarebbe stato bello poter dire “Houston c'è un problema!” Quante volte aveva visto e rivisto i filmati delle missioni lunari. Lo sbarco sulla Luna fu considerato come l'alba di un nuovo giorno. Scienza e fantascienza si univano in quell'evento di portata epocale e di tale rilevanza che avrebbe cambiato la storia. Erano passati quasi mille anni e la storia era veramente cambiata. La Terra, dopo lunghi ed inutili contrasti, che avevano causato la morte di miliardi di persone, si era riconciliata con se stessa, rompendo gli schemi tradizionali di sfruttamento di uomini e risorse e decretando la nascita di un governo sovranazionale. I risultati non furono immediati. Non tutti videro nella mutazione avvenuta un progresso; la ricerca spaziale rappresentò, comunque, un efficace collante tra i popoli. PQ7 riportò Mary alla realtà. Le sussurrò “Sto cercando una soluzione, nonostante il mio cervello quantistico sia fortemente disturbato.” “Se ti può consolare anche il mio cervello umano sta perdendo colpi.” Rispose Mary. “Sono preoccupata perché temo che potremmo andare ad urtare contro qualcosa che non siamo in grado di captare con la strumentazione, né di cogliere con la vista.” Aggiunse. Era un'ipotesi da non trascurare, PQ7 se ne rese immediatamente conto. Mary aveva ragione, anzi aveva una strafottuta ragione, ma un androide non poteva esternare il proprio disappunto in quel modo. Si limitò, sconsolato, a confermare i sospetti di Mary:” Non vi è dubbio. La vera questione è: c'è qualcun altro? O qualcos'altro là fuori?” Gli venne spontaneo esprimere a voce alta un pensiero che si stava insinuando nella sua mente: “Forse abbiamo superato il limite temporale e ci troviamo in un cosmo in cui la nostre capacità e la nostra tecnologia sono nulle, o annullate. Qui tempo e spazio potrebbero avere la stessa valenza, sarebbe come essere incastrati in un vortice.” Il brusio continuava a disturbare le sinapsi di Mary e mandava in fibrillazione le connessioni di PQ7. Provarono un forte desiderio di uscire, di scappare, un desiderio che facevano fatica a reprimere e che li rendeva vulnerabili. Mary cominciava ad avere fame e sete e voleva raggiungere il sintetizzatore di alimenti che si trovava lontano dalla plancia. Si tolse con decisione la cintura di sicurezza: riuscì ad alzarsi, ma sentiva che il suo corpo era pesante, stranamente pesante. Forse era quel brusio. Forse era la nostalgia per il pianeta in cui era cresciuta e aveva studiato. Forse era il timore di non poter rivedere Parigi, la sua città natale. Mary era il frutto di una accurata selezione: il suo DNA era stato assemblato in modo da ottenere un'astronauta perfetta per la realizzazione di importanti programmi di esplorazione. Appena mosse il primo passo inciampò senza perdere completamente l'equilibrio. Si trovava in bilico tra la posizione eretta e distesa, quando ebbe l'impressione di intravvedere, nelle pieghe del buio che li circondava, una specie di baleno. Come si era materializzato? PQ7, nel frattempo, armeggiava alacremente per ricalibrare i sensori e per riavviare i sistemi di bordo. D'un tratto il silenzio li riavvolse. PQ7 abbassò lentamente le palpebre per assaporare quella tranquillità. Quando le riaprì, vide Mary con un vassoio ricolmo di cibo e bevande, la osservò con attenzione inconsueta. Mary se ne accorse. “Ti starai chiedendo come mai in un momento come questo sia la necessità di mangiare a prevalere sulla paura. Io sono così. Fin da piccola nei momenti di maggiore stress avere lo stomaco pieno mi aiutava a ridurre la tensione.” Le incantevoli immagini di Parigi, custodite nel profondo della sua memoria, riaffiorarono con prepotenza: i locali prestigiosi, in cui lo champagne scorreva a fiumi, ed i Boulevard illuminati di notte con una grazia che faceva dimenticare ogni pena, soprattutto in autunno. Il rimpianto per le fresche serate all’imbrunire la fece sobbalzare in quella oscurità paradossale, come se le fosse stato sferrato un pugno allo stomaco. La disciplina imposta agli aspiranti piloti interplanetari non le avevano impedito di apprezzare le gioie della vita mondana. Quando arrivava la bella stagione e le attività didattiche e le esercitazioni erano meno impegnative, abbandonava furtivamente l'Accademia per recarsi nei locali più frequentati e alla moda nella vicina megalopoli, pur avendo la certezza che al rientro le sarebbero piovuti addosso aspri rimproveri, duri da sopportare per uno spirito libero come il suo. Era stata minacciata in diverse occasioni: se non si fosse rassegnata a cambiare atteggiamento, sarebbe stata punita severamente. Il governo, che aveva investito ingenti capitali su di lei, non poteva tollerare le sue bravate da scolaretta e continuare ad infrangere le regole, avrebbe significato a lungo andare l'esclusione da ogni progetto. Dopo l'ultimo definitivo richiamo all'ordine, Mary accettò di collaborare: il senso di responsabilità e la convinzione che il bene dell’umanità fosse un valore assoluto prevalsero sulla sua innata spensieratezza. Per scongiurare il rischio di ripensamenti, fu, comunque, sottoposta ad un isolamento quasi monacale. “Accidenti, ora vorrei essere una persona qualunque, con un qualunque impiego.” Pensò. Non era la verità, stava mentendo a se stessa. Era il senso di impotenza, che la divorava, a spingerla a rinnegare tutti i sacrifici che aveva fatto per avere il comando di un velivolo intergalattico. Il brusio intanto riprese così come si palesarono, questa volta in successione costante, dei bagliori che facevano immaginare di essere osservati. Era proprio così, erano stati intercettati. Un neuroscandaglio li stava analizzando. Il risultato, a loro ignoto, portò alla conclusione che la terrestre e l’androide non avevano consapevolezza di essere entrati in un’altra dimensione. Lo avevano intuito, ma era stato il caso a condurli lì con la loro cosmonave dotata di sofisticati processori di energia. Le leggi di quell’Universo, accettate da tutti i membri e rigorosamente rispettate, imponevano il divieto di interferire con altri mondi e stabilivano che, qualora la Porta Astrale fosse stata oltrepassata, vi sarebbe stato un contatto con gli alieni solo se questi avessero dimostrato una cultura che andasse oltre la semplice acquisizione di dati e conoscenze, nell’ottica frammentaria di una incompleta idea di cosmo. Avrebbero prima dovuto aprire gli occhi su un possibile altro da sé, in uno spazio-tempo diverso. Tutto ciò non era ancora successo sulla Terra, perciò i due incauti visitatori furono bruscamente respinti indietro. La loro navicella cominciò a turbinare fino a stordire Mary a causa dell’accelerazione, mentre un impulso cromo-dinamico disattivò per qualche istante PQ7. Quando ripresero coscienza, ebbero un sussulto. Erano increduli, confusi e, per una frazione di secondo, si scambiarono sguardi stupiti. Si accorsero, infine, che l’astronave non aveva subito danni e sul monitor della plancia videro la Via Lattea. Mary si ricompose ed inviò un messaggio: “Qui Mary e PQ7 stiamo rientrando”. “Da dove?” Chiese lo sconosciuto interlocutore dalla stazione spaziale Alfa. Il quesito li sorprese come un fulmine a ciel sereno. Sugli apparati direzionali non vi era traccia del punto nel quale si erano arenati, tuttavia Mary era certa di aver compiuto un’impresa senza precedenti.

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