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Gli angeli, messaggeri dello spirito


Caduta degli angeli ribelli di Pieter Bruegel il Vecchio, 1562.
In diversi Paesi europei secolarizzati, come la Germania, Dio è diventato del tutto estraneo per molti. Sembra lontano, astratto, impersonale, impossibile da comprendere o da toccare, ma anche difficile da sentire o da sperimentare; una vaga fantasia, semplice di per sé eppure complessa, in qualche modo inconsistente; o una pura idea, che appare per di più paradossale, peraltro impossibile da fondare o dimostrare, non più adatta a un mondo funzionale e proprio per questo tormentato dalle crisi. E non si danno nemmeno risposte a domande profonde: se Dio ha fatto buone tutte le cose, da dove viene tutto il male attuale? Perché egli non se ne cura, se è buono e onnipotente? Dove va a finire il mondo se non nel nulla?

Se poi si cerca di accedere al sacro o alla religione passando per gli esseri umani, la cosa non appare più facile: gli esseri umani – per esempio, i santi della storia o le figure luminose della vita religiosa attuale – sono persone concrete, e per questo culturalmente limitate, deboli e peccatrici, a volte malate. Oggi difficilmente si crede che alcuni esseri umani siano plasmati dal divino e che rimandino a Dio. L’uomo contemporaneo, cresciuto nella modernità, è troppo informato, troppo realistico, troppo critico.

Una religione personale?


A questo punto, sarebbe più facile adottare una «spiritualità» impersonale. Nella religione, crea difficoltà soprattutto l’elemento personale, che tuttavia nel cristianesimo è irrinunciabile. Ma in che modo allora rappresentare questo elemento personale di Dio in una società ipercritica? Dio come un pastore? Alcuni diranno che così appare autoritario, rende infantili le pecore o le minimizza. Dio come padre? Ad altri sembrerà che sia patriarcale, con un potere eccessivo, e per questo propenso ad abusarne come tanti padri: un’immagine che risulterebbe provocatoria per le vittime di violenza, e che tra l’altro risulta impossibile per una prospettiva di genere così diffusa. Dio come padre e madre? Questa immagine forse va già un po’ meglio, ma potrà apparire troppo parentale per persone normali, e troppo tradizionale dal punto di vista sociale. Dio come re, dominatore del mondo, come Kyrios (questo era il titolo dell’imperatore romano)? Anche qui non mancheranno coloro ai quali tali qualifiche sembreranno roba da museo, oppure da monarchia, da destra conservatrice.

E che dire poi di Gesù Cristo come uomo venuto da Dio, o come Figlio di Dio, o addirittura come una persona divina? Un Dio sotto forma di una persona umana storica appare ormai poco credibile. Un dialogo interreligioso sembra oggi possibile quasi solo senza Gesù: l’impedimento è rappresentato soprattutto dalla sua incarnazione e poi dalla sua morte in croce, apportatrice di salvezza, e dalla sua risurrezione, che sconfigge la morte. Per noi cristiani è difficile spiegare queste realtà teologiche, e anche comprenderle.

Gli angeli ci possono permettere un accesso più facile alla religione? In qualche modo essi sono concreti, comprensibili, li si può immaginare; ma allo stesso tempo appaiono piacevolmente anonimi – i loro nomi non vengono quasi mai menzionati –, anche androgini, non binari, compatibili con il queer, oppure del tutto incorporei, come un soffio fugace. Compaiono nelle immagini, e allo stesso tempo si sottraggono a tutto ciò che è immagine. Sono puri, divini e buoni, ma allo stesso tempo trova posto in essi anche il male demoniaco. Gli angeli non sono troppo divini, e allo stesso tempo non sono troppo umani. Essi esistono in tutte le principali religioni e spiritualità, anche nella religione secolare. Da anni stanno vivendo un boom, forte nella letteratura popolare, ma anche nell’esoterismo, nella musica pop, nella pubblicità. È stato grazie al benedettino Anselm Grün che il culto degli angeli non si è fatto completamente assorbire dalla scena dell’esoterismo, ma è rimasto anche nel cristianesimo. Se il cristianesimo non è tanto ciò che si continua a intendere per «spiritualità» – ossia l’elevazione a una sfera spirituale presentata in modo impersonale –, ma è soprattutto fede, cioè fiducia e dono di sé a una divinità anche personale, gli angeli possono aiutarci a raggiungere una tale fede[1]?

Gli angeli nella Bibbia


Alcuni riferimenti biblici possono introdurre al significato degli angeli nel contesto cristiano. Essi non compaiono nella creazione del mondo, ma, dopo la cacciata dei primi esseri umani dal paradiso, i cherubini[2] ne sorvegliano la porta e, soprattutto, la via di accesso all’albero della vita (cfr Gen 3,24): su incarico di Dio, proteggono l’ordine del mondo dall’essere umano, spesso disordinato.

Abramo riceve la visita di tre uomini (cfr Gen 18), che in seguito si rivelano più volte come «il Signore» e nella storia sono stati interpretati come angeli; la loro figura oscilla tra il divino e l’umano, e resta a lungo ambigua, sfuggente, incomprensibile. Questi tre uomini sono stati interpretati anche come le persone della Trinità (la famosa icona della Trinità di Andrej Rublëv conserva questa interpretazione nella memoria collettiva). In seguito Abramo viene messo alla prova: Dio lo incarica di offrire suo figlio Isacco in sacrificio (cfr Gen 22). È una storia enigmatica, di difficile interpretazione. Ma poco prima che il figlio venga ucciso, «l’angelo del Signore» trattiene Abramo, gli procura un ariete da offrire al posto del figlio e gli promette la benedizione di Dio. Qui l’angelo appare come un messaggero che, su incarico di Dio, interrompe l’assurda «prova» a cui il Signore aveva sottoposto Abramo, trasformandola in benedizione.

Giacobbe sogna una scala che va dalla terra al cielo; gli angeli vi salgono e vi scendono; Dio benedice Giacobbe, promettendogli grandi cose (cfr Gen 18,10-22). La domanda che da sempre fanno i bambini agli adulti sul perché gli angeli abbiano bisogno di una scala, dal momento che hanno le ali e quindi possono volare, porta al paradosso degli angeli che mediano tra il cielo e la terra e vanno immaginati come esseri spirituali che volano e allo stesso tempo come esseri corporei che salgono su una scala.

Anche l’episodio della lotta di Giacobbe allo Iabbok (cfr Gen 32,23-22) è giocato sull’ambiguità: Giacobbe si è macchiato della colpa di aver sottratto la primogenitura al fratello, ma ora vuole tornare nella terra promessa. Per fare questo, deve attraversare il fiume che segna il confine, simbolo di purificazione. Un uomo lotta con lui di notte, per ore, in modo oscuro, violento, spaventoso. Anche in tale circostanza questo «uomo» è un angelo, o Dio stesso? Giacobbe resiste. Chiede il nome dello sconosciuto, ma non gli viene rivelato. Invece, è lui a ricevere un nome nuovo – «Israele», colui che ha combattuto con Dio – e riceve da quello sconosciuto la benedizione che gli aveva chiesto. Dalla lotta Giacobbe esce ferito, e zoppicherà per il resto della sua vita. Questo angelo è di nuovo un essere ibrido, misterioso, anche corporeo, ma viene dal nulla e con l’alba scompare di nuovo nel nulla. È un angelo vendicatore? Nella punizione c’è la benedizione di Dio? L’angelo ferisce Giacobbe su incarico dell’Altissimo? Giacobbe è segnato, ma allo stesso tempo viene guarito e benedetto.

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Nel libro di Tobia, l’angelo Raffaele è molto diverso. È un compagno di viaggio di Tobia, figlio di Tobi, che si trova in difficoltà, e gli dà una medicina per guarire la cecità del padre. Così l’angelo – il cui nome significa «Dio ha guarito» – è al tempo stesso messaggero e messaggio di guarigione e di guida di Dio.

Avendo ucciso, per incarico di Dio, 450 sacerdoti di Baal, il profeta Elia viene perseguitato. Fugge nel deserto. Stanco della vita e degli ordini di Dio, si sdraia sotto una ginestra, desideroso di morire, e si addormenta. Un angelo lo sveglia e gli dà da mangiare e da bere. Elia si addormenta di nuovo, e di nuovo l’angelo lo sveglia, gli dà da mangiare e lo indirizza a un cammino di 40 giorni attraverso il deserto, per incontrare Dio sull’Oreb (cfr 1 Re 19,1-13). L’angelo agisce contro la stanchezza, sveglia e nutre, ammonisce e invia. Davanti a Elia, egli si rivela un essere del tutto terreno, eppure è indubbiamente un messaggero di Dio, di cui annuncia la sollecitudine e la volontà.

Anche l’angelo Gabriele appare come un messaggero di Dio: annuncia a Maria la nascita miracolosa di un figlio, concepito dallo Spirito Santo (cfr Lc 1,26-38). In quel momento, per Maria le spiegazioni dell’angelo devono essere state difficilmente comprensibili, e tuttavia chiariscono il significato salvifico di quella nascita ai lettori futuri. La generosa disponibilità di Maria ad accogliere l’annuncio ha sempre impressionato in tutte le epoche della storia del cristianesimo. L’angelo qui annuncia in modo, per così dire, performativo, perché allo stesso tempo opera quello che dice: è Dio stesso che opera in lui.

Nove mesi dopo, Gesù nasce a Betlemme, e un angelo annuncia una grande gioia (cfr Lc 2,1-20). La gloria del Signore avvolge di luce i pastori, che allo stesso tempo vengono colti da un grande timore. Gli angeli sono ambivalenti: gloriosi e spaventosi, luminosi e violenti, risplendono di luce divina e spaventano con la loro potenza. A Betlemme, subito una moltitudine dell’esercito celeste loda Dio: questo esercito è una forza militare, ma nello stesso tempo un coro possente.

Nella Bibbia, Giuseppe, il promesso sposo di Maria, è il grande silenzioso – non dice una parola –, ma è anche il grande sognatore: in sogno, un angelo gli ordina di accogliere Maria e il bambino, che non è suo; in sogno, l’angelo lo fa fuggire in Egitto insieme con la sua famiglia, perché il bambino è perseguitato; in sogno, l’angelo li fa tornare tutti (cfr Mt 1,20-24; 2,13-14.19-29). Il fatto che gli angeli appaiano nei sogni mostra quanto siano fugaci, irreali, puramente spirituali, ma anche quanto siano radicati nella psiche umana: è così che Dio parla all’uomo, per proteggerlo e salvarlo.

Quando Gesù prega al monte degli Ulivi, colto da una terribile paura della morte, abbandonato da tutti, gli appare un angelo per dargli forza (cfr Lc 22,43). «Dare forza» indica certo la consolazione divina, ma anche energia, coraggio, fiducia che vengono da Dio. Poco dopo, Gesù viene arrestato. Allora vieta ai discepoli una resistenza violenta, facendo loro notare che, se avesse voluto difendersi, avrebbe pregato il Padre suo, che gli avrebbe messo a disposizione «più di dodici legioni di angeli», cioè diverse decine di migliaia di angeli (cfr Mt 26,47-56). Gli angeli qui sono una forza armata, completamente fisica, che è sempre a disposizione di Dio e del Figlio suo che lo prega. Ma Gesù vi rinuncia, non vuole che Dio intervenga violentemente, prende la via non violenta del dono della propria vita. Nelle mani di Dio, gli angeli potrebbero compiere azioni di potenza, ma Dio non si serve di loro per questo, agisce diversamente.

Il mattino di Pasqua, ad attendere le donne al sepolcro vuoto è, secondo il Vangelo di Marco, un giovane vestito con una veste bianca (cfr Mc 16,5); per Luca, sono due uomini in abito sfolgorante (cfr Lc 24,4), mentre per Matteo è un angelo, il cui aspetto è come folgore, con un vestito bianco come neve, il quale fa rotolare via la pietra che chiudeva la tomba, spaventa le guardie e parla alle donne (cfr Mt 28,1-7); secondo Giovanni, sono due angeli in bianche vesti, seduti dove era stato posto il corpo di Gesù (cfr Gv 20,12-13). Che siano chiamati «uomini» o «angeli», splendenti e vestiti di bianco, questi personaggi incutono timore alle guardie, ma appaiono belli e premurosi – «Non abbiate paura!», dicono – verso le donne, che sono le prime a ricevere la buona notizia. Anche in questo caso gli angeli appaiono a volte umani, a volte spirituali, e trasmettono messaggi che interpretano gli eventi salvifici.

Attraverso un angelo viene comunicato al veggente Giovanni tutto quello che egli descrive nell’«Apocalisse» (cfr Ap 1,1). Il libro pullula di angeli e di esseri celesti simili, che sono messaggeri e sentinelle, araldi e cortigiani celesti, cori di lode e suonatori di tromba, ma anche mietitori con le falci affilate del giudizio. Michele e i suoi angeli combattono contro il drago e i suoi angeli (cfr Ap 12,7-12); e qui compaiono gli angeli decaduti, e quindi cattivi, che nella battaglia cosmica finale vengono sconfitti dagli angeli buoni di Dio. Ovviamente gli angeli diventeranno ancora più importanti alla fine dei tempi, ma anche nella visione di Giovanni rimangono al tempo stesso multiformi ed enigmatici, miti e potenti, terreni e celesti.

La testimonianza biblica sugli angeli – che spesso compaiono nei momenti decisivi della storia della salvezza – contiene tutti i temi essenziali della loro successiva immagine nella cultura e nella spiritualità del cristianesimo: essi sono innanzitutto misteriosi, anche paradossali, concettualmente inafferrabili – pertanto, senza interesse per il pensiero filosofico? –, «esseri di luce e di fuoco, dolcezza e terrore […], doppie icone di Dio e dell’uomo […], icone di mediazione tra il Totalmente Altro e noi»[3]. Annunciano e danno indicazioni; vegliano e consolano; dirigono e dispongono; puniscono e combattono; irradiano e risplendono; guizzano e volano; suonano la tromba e cantano le lodi. Alcuni precipitano nel male, ma alla fine sono gli angeli buoni a prevalere.

Gli angeli nella storia


Già le prime speculazioni ebraiche e gnostiche sviluppano gerarchie di angeli, spesso con venature neoplatoniche. Dionigi l’Areopagita (intorno al 500) classifica i tipi di angeli a tre livelli, ciascuno composto da tre cori. San Tommaso d’Aquino inquadra sistematicamente questa dottrina, dandole una forma che dominerà per molto tempo. I nove cori sono, a partire dai più elevati: serafini, cherubini e troni; poi, scendendo: dominazioni, virtù e potenze; e infine: principati, arcangeli e angeli[4]. La dottrina deriva da testimonianze bibliche e da speculazioni successive. Il termine «gerarchia» (= «ordine sacro») è stato coniato per questo.

Nel Medioevo, le gerarchie terrene della Chiesa e del mondo sono immagine della gerarchia celeste degli angeli e da essa traggono legittimazione: la corte nobiliare del sovrano è come la corte angelica di Dio, il suo organo regolativo e amministrativo, che serve contemporaneamente alla sua glorificazione. I grandiosi affreschi delle chiese medievali e le miniature dei manoscritti raffigurano questo mondo estremamente differenziato degli angeli[5].

Riprendendo l’antichità, a partire dal XV secolo si sviluppa la fede nell’«angelo custode»: ogni persona, in particolare ogni bambino, ha un angelo custode, che lo accompagna e lo protegge, sempre in modo invisibile. Questi angeli «sono i nostri aiutanti e garanti che la nostra speranza e nostaglia del cielo non vada a vuoto, ma che il cielo stia aperto per noi»[6]. Agli angeli custodi è dedicata, a partire dal XIX secolo, una ricca iconografia, anche in forma non religiosa. Si discute se ogni persona abbia anche un angelo cattivo che induce a peccare, e la teologia protestante si è interessata a tale questione[7].

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«L’angelo è quella luce che brilla e non brucia mai. Ma una volta questo fuoco si è infuocato, consumandosi. E nell’angelo decaduto il fuoco ha iniziato a bruciare senza brillare: un fuoco nero, gelido. In questo fuoco, la parola di Dio si è trasformata in pietra ed è morta. […] È il fuoco nero di una libertà che si rivolta contro Dio»[8]. Gli angeli sono creature spirituali di Dio, e quindi liberi. La loro libertà è il loro dono più grande e allo stesso tempo il presupposto per volgersi al male. Si spiega così l’ingresso del male nel mondo? Gli angeli decaduti inducono gli esseri umani – anch’essi creature libere – a ribellarsi contro Dio. Questo giustifica l’uomo cattivo? Niente affatto, perché, essendo persona libera, egli è responsabile delle sue azioni. Insieme agli angeli decaduti, l’uomo verrà giudicato per le sue azioni cattive, e i giudici saranno gli angeli buoni.

Nel XVI secolo sant’Ignazio di Loyola, rifacendosi alle antiche tradizioni, fece un’applicazione psicologica della dottrina degli angeli: nelle «mozioni» dell’anima – pensieri e sentimenti, immaginazioni e inclinazioni interiori – operano gli «spiriti», che sono molteplici e spesso contraddittori e confusi. Occorre discernere quali mozioni vengono da uno spirito buono, o angelo, e quali, invece, da uno spirito cattivo, o demonio, diavolo. Si seguiranno le mozioni dello spirito buono, e «non ci si lascerà determinare» da quelle dello spirito cattivo. L’angelo del male può anche camuffarsi da «angelo della luce» (Lucifero) e, sotto l’apparenza del bene, indurre al male l’anima ingenua. Questo ulteriore sviluppo della dottrina degli angeli trova accoglienza nell’etica come «discernimento degli spiriti», ma anche nell’accompagnamento spirituale di singoli o di gruppi; papa Francesco l’ha resa fruttuosa per i processi sinodali[9].

Nel Rinascimento e nel Barocco, gli angeli si trasformano in putti, ossia bambini piccoli e paffuti che si aggirano nei dipinti, o come statue nelle chiese, sbirciando da ogni angolo e meandro, dispettosi, eppure simpatici, mentre suonano da soli o in concerto. Sono soltanto banalizzati e degradati: «carne nuda, rigogliosa, addomesticati come porcellini»[10]? Certo, i putti incarnano una religione sensuale, formosa, umoristica, forse molto cattolica, ma nel bambino si manifesta il divino, e i putti alludono sempre a Gesù bambino. Essi sono i compagni di viaggio della Sapienza, che giocano davanti a Dio e sono la sua delizia (cfr Pr 8,27-31)[11]. I putti sono estranei alla spiritualità di oggi, ma simboleggiano temi centrali e attuali del cristianesimo. È sorprendente vedere come essi ispirino l’entusiasmo anche secolare, soprattutto nei famosi angioletti ai piedi della «Madonna Sistina» di Raffaello.

A partire dall’Illuminismo, la ragione ha scacciato gli angeli: essi non sono più adatti a un mondo funzionale e organizzato, ma agiscono come oppio per le persone immature, irrazionali e autoritarie. Inoltre, scompaiono in gran parte anche dalla teologia, e l’esegesi scientifica lotta con le storie di angeli che si trovano nella Bibbia. Tuttavia le religioni mantengono sempre un angolo antirazionale, mitico e persino antilluminista, in cui gli angeli faranno sentire la loro natura di bene o di male. Gli angeli dovranno dunque restare ancora negli antichi templi, che si ammirano solo come musei? O dovranno essere confinati nelle correnti antimoderniste della Chiesa, in quell’angolo sporco che viene ridicolizzato come reazionario e meramente emotivo? C’è una separazione tra un mondo ecclesiastico ufficiale e un mondo devozionale? Ossia, tra un mondo frutto di una riflessione razionale e organizzato in maniera efficiente, capace – almeno così si spera – di adattarsi alla modernità, e per questo privo di angeli, e un mondo devozionale, frutto di una speculazione emotiva, popolato in modo selvaggio da angeli e certamente molto «interessante» dal punto di vista storico-artistico e benedetto da Dio?

Su angeli e uomini


A proposito degli angeli, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) cita sant’Agostino: «La parola “angelo” designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo»[12]. Gli angeli – prosegue il Catechismo –, in quanto creature puramente spirituali, sono servitori e messaggeri di Dio. Sono completamente legati a Cristo: presenti quando Dio ha creato il mondo in Cristo, presenti nella vita del Dio incarnato e al servizio di Cristo nel suo ritorno e nel suo Giudizio[13].

Giorgio Agamben definisce gli angeli «funzionari del cielo»[14]. Essi hanno due compiti. Da un lato, nella loro funzione di governo, dotati del vocabolario tipico del potere, come «troni», «virtù», «potestà» ecc., essi formano un corpo di funzionari e una burocazia celeste, amministrando così il «regno» di Dio e facendo conoscere i suoi decreti storici sulla terra (servono e governano: in latino, virtus administrandi). Dall’altro lato, stanno davanti a Dio, come previsto dal cerimoniale di una corte (vedono Dio e lo lodano: in latino, virtus assistendi Deo). Agamben fa riferimento a Dante, che distingue due beatitudini nella natura degli angeli: quella contemplativa, con cui essi vedono il volto di Dio e lo glorificano; e quella del governo, che corrisponde nel mondo umano alla «vita attiva, ossia a quella civile»[15]. Sospesi, per così dire, nel mezzo, governando verso il basso e lodando verso l’alto, gli angeli collegano la terra e il cielo, l’umano e il divino, in un modo misterioso, che non potrà mai essere pienamente compreso. Ma oggi il loro posto non è forse stato preso, con le stesse funzioni e caratteristiche, dalla Chiesa, che spesso si presenta in modo piuttosto terreno?

La gerarchia angelica è stata interpretata in modi diversi nel corso della storia. Prendiamo come esempio Bernardo da Chiaravalle. Secondo lui, Dio si manifesta nelle schiere angeliche nella sua attenzione all’uomo, che si esprime in forme molteplici: «Nei serafini, Dio ama come carità, nei cherubini conosce come verità, nei troni governa come giustizia, nelle dominazioni regna come maestà, nei principati governa come legge, nelle virtù custodisce come salvezza, nelle potenze agisce come forza, negli arcangeli si manifesta come luce, negli angeli consola come bontà»[16]. Gli angeli mostrano le azioni di Dio nella loro complessità, anche nelle sue decisioni spesso paradossali e apparentemente insondabili, ma sempre nella sua benevolenza e nella sua bontà, proprio come una benedizione.

Gli angeli cantano in coro, per cui nel canto corale antico e in quello del cristianesimo primitivo parola e musica si fondevano, esprimendosi insieme nel movimento, nella danza: «Sillaba pronunciata, suono di musica e passo di danza erano manifestazioni della stessa forza»[17]. Gli angeli appaiono quindi «in una naturale unità dei sensi». Nella danza in circolo «si perdeva la capacità di articolare le parole, perché non c’era più niente da esprimere: gli stessi danzatori erano l’espressione che camminava e girava»[18].

Gli angeli cantano alter ad alterum, l’uno rivolto all’altro, a cori alterni, in dialogo. Già i Salmi in ebraico erano disposti in parallelo, e ancora oggi nei monasteri vengono cantati a cori alterni. L’alter ad alterum rimanda anche all’angelo custode che, per così dire, è un doppio dell’essere umano e lo accompagna in un dialogo amichevole.

Naturalmente gli angeli cantano una voce, all’unisono: un coro è un essere brulicante, in cui chi canta ascolta sé stesso e allo stesso tempo il suono prodotto dal coro; questo lo trasforma e risuona molto al di là di lui; chi canta è, per così dire, assorbito da questo suono.

Gli angeli cantano sine fine, all’infinito: poiché la musica si svolge nel tempo, avviene solo adesso, questa espressione è paradossale. «Il canto angelico sine fine è quindi qualcosa di diverso dalla musica come la sentiamo noi. È una sorta di espressione artistica illimitata […], disinteressata, spontanea, senza forma, e come uno spazio che si espande all’infinito alla velocità del suono»[19]. Gli angeli che cantano puntano verso l’alto, verso il cielo; nell’arte gotica, si librano sulle absidi delle chiese dalle volte sempre più alte. Gli angeli che cantano sono già il cielo: l’io, il tu e il noi si fondono in un’unità senza tempo e senza spazio[20].

Gli angeli dissolvono immagini e concetti rigidi di Dio: «Gli angeli […] sfuggono alla teoria degli insiemi, passano attraverso i muri della rigidità come attraverso quelli delle prigioni […]. Di fronte al Dio unico, testimoniano il politeismo; di fronte il paganesimo, annunciano il monoteismo; e diffondono ovunque il panteismo quando cantano nei campi»[21]. Dio è uno, ma multiforme; percettibile, ma fugace; non è in nessun luogo, ma ovunque; è in tutte le cose, ma non in quelle di questo mondo; gli angeli tengono a freno ogni pensiero ristretto o razionalistico, che esclude o che vuole definire in concetti.

Christian Lehner scopre negli angeli la sola fide: «Con la sola fede. Si potrebbe quasi dire: ciò che Agostino e Lutero intendevano per fede, ossia l’appropriazione interiore di una promessa, di una trasformazione e di una salvezza che sono già avvenute da molto tempo, ma che per me possono diventare reali solo con la mia accettazione personale, ossia la realizzazioneinteriore di Dio mediante la fiducia in lui, una forma di movimento che è allo stesso tempo accoglienza che dà pace, al di là della chiusura dell’uomo in sé stesso, tutto questo è un altro modo di esprimere la realtà degli angeli»[22]. Se gli angeli stessi sono, per così dire, la fede, allora credere negli angeli non è la forma peggiore di fede, perché gli angeli vengono da Dio e conducono a Dio. I cattolici, che da sempre hanno apprezzato i sensi e le forme, e per questo anche gli angeli, concorderanno volentieri con questa idea di origine evangelica.

Gli angeli non esistono, nel senso di una realtà verificabile con i sensi, accessibile alle scienze naturali, nel senso di un’ontologia che opera sui concetti, nel senso di una comprensione moderna del mondo. Ma gli angeli esistono, comprensibili solo con la poesia, come realtà spirituali fantastiche, come ombre di un’altra realtà più elevata, come immagini mentali nell’ambivalenza tra energie buone e cattive, come «cortocircuiti che si creano in un lampo tra poli inconciliabili, come miracoli, cose imprevedibili, come energie di trasformazione»[23].

Per tornare all’esempio della Germania citato prima, si presume che il 40% dei tedeschi creda negli angeli, con una tendenza al rialzo, e il 55% creda in Dio, con una tendenza al ribasso; nell’est della Germania sono già più le persone che credono negli angeli che quelle che credono in Dio[24]. Gli angeli sembrano essersene andati via dalla Chiesa, intercettati dall’industria dell’esoterico e del kitsch. Ma la Chiesa dà forse l’impressione di aver rinunciato agli angeli? Essi sono utili, almeno a Dio, che li usa come funzionari, ambasciatori e coristi. Ma essi non sono forse utili anche al cristianesimo, come accesso a una realtà religiosa sensuale-sovrasensibile che si colloca al di là del razionale e che aiuta all’incontro con la persona di Dio?

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[1] Ci sarebbero molte cose da dire sul tema degli angeli nel giudaismo, nell’islam e altrove, ma qui ci limitiamo al cristianesimo.

[2] Più volte menzionato nell’Antico Testamento, il termine «cherubino» indica innanzitutto un servitore o assistente di Dio; in seguito esso viene visto anche come angelo, e nel Medioevo è inserito nelle gerarchie angeliche. Su questo argomento, cfr Y. Cattin – Ph. Faure, Les anges et leur image au Moyen Age, Abbaye de la Pierre-qui-vire, Zodiaque, 1999.

[3] Ivi, 20.

[4] Cfr Ch. Lehnert, Ins Innere hinaus. Von Engeln und Mächten, Berlin, Suhrkamp, 2020, 114.

[5] Cfr i volumi illustrati di Y. Cattin – Ph. Faure, Les anges et leur image au Moyen Age, cit., e di M.-Ch. Boerner, Angelus et Diabolus. Engel, Teufel und Dämonen in der christlichen Kunst, Potsdam, Ullmann, 2016.

[6] Katholischer Erwachsenenkatechismus, vol. 1, 1985, 111. Cfr R. Guardini, L’Angelo. Cinque meditazioni, Brescia, Morcelliana, 2024.

[7] Cfr E. Weinberger, Engel und Heilige, Berlin, Berenberg, 2023, 32 s.

[8] Y. Cattin – Ph. Faure, Les anges et leur image au Moyen Age, cit., 25.

[9] Esistono approcci psicologici moderni agli angeli: cfr, ad esempio, R. Perrone, Le syndrome de l’ange. Considérations à propos de l’agressivité, Paris, ESF, 2013. L’autore parla di «sindrome dell’angelo», nel caso in cui le persone che subiscono le aggressioni da parte di altri si rifugiano in un atteggiamento simile a quello di un angelo, quindi non attaccabile e autosufficiente, ma che al tempo stesso consente loro di svalutare e disprezzare gli aggressori.

[10] Ch. Lehnert, Ins Innere hinaus…, cit., 63.

[11] Cfr S. Kiechle, Spielend leben, Würzburg, Echter, 2008, 31 s.

[12] Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1992, n. 329.

[13] Cfr ivi, nn. 329-333.

[14] Cfr G. Agamben, Die Beamten des Himmels. Über Engel, Frankfurt – Leipzig, Verlag der Weltreligionen, 2007.

[15] Ivi, 38.

[16] Citato da E. Weinberger, Engel und Heilige, cit., 52.

[17] Ch. Lehnert, Ins Innere hinaus…, cit., 90. Le idee che verranno presentate in seguito sono ispirate da questo libro.

[18] Ivi, 91.

[19] Ivi, 95.

[20] Cfr, sugli angeli concertanti, W. W. Müller, Musik der Engel. Eine Kultur–geschichte, Basel, Schwabe, 2024.

[21] Ch. Lehnert, Ins Innere hinaus…, cit., 230.

[22] Ivi, 36.

[23] Ivi, 14.

[24] Tuttavia i risultati dei sondaggi sono assai diversi. Nel caso di questi argomenti molto sensibili, dipendono in misura notevole dai metodi di indagine e dall’intenzione di chi fa il sondaggio.

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