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Trump è di nuovo presidente degli Stati Uniti: come governerà?


Donald J. Trump.
Il 20 gennaio 2025 Donald J. Trump verrà insediato come 47° presidente degli Stati Uniti d’America. Com’è prescritto dalla Costituzione statunitense, pronuncerà la formula rituale del giuramento nelle mani del presidente della Corte Suprema, John Roberts, dopo di che si rivolgerà alla nazione. La cerimonia avrà luogo sul lato ovest del Campidoglio, sede delle inaugurazioni presidenziali dal 1989. Un luogo ricco di un ambiguo simbolismo: se è vero infatti che il suo stesso nome, Capitol Hill, e la sua architettura evocano l’eredità classica della Repubblica romana e si affacciano sui memoriali degli statisti statunitensi George Washington e Abraham Lincoln, d’altra parte oggi quel luogo è anche noto in tutto il mondo come la cornice dei disordini del 6 gennaio 2021.

Trump si è assicurato l’elezione il 5 novembre 2024, diventando così il primo presidente degli Stati Uniti, dopo Grover Cleveland (1885-1889 e 1893-1897), a ricoprire due mandati non consecutivi. Questa vittoria elettorale rafforza il suo predominio sul partito repubblicano, ma allo stesso tempo conferma la relativa instabilità della politica statunitense, in cui nessuno dei due partiti riesce a mantenere il controllo a lungo termine sulla Casa Bianca.

Mentre si approssima il 250° anniversario dell’indipendenza dall’Inghilterra, che giungerà nel 2026, gli Stati Uniti sembrano aver nuovamente abbracciato un sentimento anti-incumbent (ossia, la tendenza a punire i governi uscenti, ritenuti inefficienti), che rivela uno spirito di profonda insoddisfazione per lo status quo, con poche garanzie che il 2028 o il 2032 saranno diversi. Ciò solleva interrogativi non solo sulla politica interna degli Usa, ma anche sul loro ruolo globale.

Le elezioni in cifre


Tecnicamente, Trump non ha vinto le elezioni a novembre, perché, come molti Paesi, gli Stati Uniti non eleggono direttamente il capo del loro governo. Piuttosto, egli è stato eletto dal Collegio elettorale il 17 dicembre. Ma nella competizione di novembre ha conquistato 31 Stati, e ciò gli ha garantito 312 voti nel Collegio elettorale contro i 226 di Kamala Harris. Anche se il presidente non viene eletto direttamente dal voto popolare nazionale, Trump ha ottenuto circa 77 milioni di voti rispetto ai 74,6 milioni di Harris, poco meno del 50% rispetto al 48,3% di Harris.

Gli Stati Uniti rimangono profondamente divisi: l’interpretazione dei risultati elettorali subirà prevedibilmente forti contestazioni e non sarà facile governare dopo un’elezione così divisiva. Il risultato ottenuto da Trump nel Collegio elettorale è stato simile ai 304 voti che aveva ottenuto nel 2016 e ai 306 di Biden nel 2020, e il margine della sua vittoria nel voto popolare nazionale è stato uno dei più stretti dal 1976, eccetto che per le due elezioni in cui il vincitore del Collegio elettorale aveva perso al voto popolare (Bush nel 2000 e lo stesso Trump nel 2016). Tuttavia, il 2024 fa segnare la prima vittoria del voto popolare nazionale di Trump nelle sue tre campagne presidenziali[1].

In un sistema elettorale profondamente federale come quello degli Stati Uniti, la geografia politica degli Stati è fondamentale per comprendere le elezioni nazionali. Nelle recenti elezioni presidenziali la maggior parte degli Stati era prevedibilmente schierata per un voto repubblicano o democratico, sicché l’attenzione delle campagne politiche, dei media e dei sondaggi si concentrava sugli Stati i cui voti erano meno scontati: gli swing States («Stati indecisi»), chiamati così perché oscillano fra un partito e l’altro. È un termine impreciso, più affine al giornalismo politico che alla politologia, ma almeno chiarisce che in qualsiasi elezione presidenziale il candidato di ogni partito principale si trova in gran parte a dipendere da un insieme di Stati considerati «sicuri», e tuttavia, per ottenere la maggioranza dei voti nel Collegio elettorale, dovrà elaborare una strategia che lo porti a conquistarsi il sostegno di un numero sufficiente di altri Stati.

Trump ha vinto in tutti gli Stati che di recente avevano votato repubblicano alle elezioni presidenziali, in particolare nel Sud e nel Midwest, e in tutti e sette gli Stati che erano generalmente ritenuti «Stati indecisi» nelle elezioni del 2024[2]. Tre di essi – Pennsylvania, Michigan e Wisconsin – erano considerati essenziali per la vittoria di Harris e al tempo stesso erano risultati importanti per la vittoria di Trump del 2016 su Hillary Clinton. Questa volta in quei sette Stati Trump ha vinto con un margine di circa 760.000 voti, assicurandosi 93 voti elettorali. In particolare, è stata la vittoria in Pennsylvania, ottenuta con un margine di circa 120.000 voti, a portarlo in testa.

L’affluenza alle urne nel 2024 è diminuita rispetto al 2020 (circa il 64% contro il 66%), soprattutto al di fuori degli Stati indecisi, e conviene ricordare che talvolta chi non è andato a votare è tanto importante quanto chi ci è andato[3]. La minore affluenza ha probabilmente danneggiato Harris, che ha ottenuto risultati inferiori a quelli di Biden nel 2020 in settori chiave del Paese[4]. In sostanza, la candidata democratica avrebbe probabilmente prevalso nel voto popolare nazionale se gli elettori che nel 2020 avevano votato per Biden si fossero presentati a sostenerla[5].

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Presso l’elettorato del 2024 Trump ha incrementato i suoi margini, attingendo a un’ampia gamma di fasce demografiche statunitensi, in particolare tra gli uomini non bianchi: tra gli elettori afroamericani e ispanici si è guadagnato livelli storici di sostegno per un candidato repubblicano alla presidenza[6]. Gli elettori si sono divisi anche in base al livello culturale. Trump ha continuato ad avere successo tra gli elettori bianchi senza istruzione universitaria, con un vantaggio del 34% su Harris, sebbene sia leggermente calato tra gli elettori bianchi dotati di istruzione universitaria. Trump ha anche goduto di un accresciuto sostegno tra gli elettori giovani, in particolare la «Gen Z», mentre ha subìto un piccolo calo tra gli anziani. I suoi numeri sono migliorati anche tra le donne: un fatto sorprendente, dato che la sua avversaria, a sua volta donna, ha incentrato la propria campagna sui diritti femminili.

Data la fluidità della politica americana, resta da vedere se questa coalizione di voti durerà oltre il 2024 e, per esempio, se aiuterà il Partito repubblicano (GOP) a mantenere il controllo della Camera dei rappresentanti nel 2026 e a garantire l’elezione di un altro presidente repubblicano nel 2028.

Come ha fatto Trump a vincere?


In un momento in cui «raccontare storie» (storytelling) coincide con «vendere storie» (storyselling)[7], negli Stati Uniti abbondano le narrazioni su come Trump sia riuscito a vincere.

Per la maggior parte dei politologi, le elezioni presidenziali si riducono all’economia. Secondo gli exit poll, l’economia era la preoccupazione principale del 39% degli elettori[8]. Pur se in vista delle elezioni molti commentatori sostenevano che l’economia sotto Biden stava migliorando, una parte significativa degli elettori non era d’accordo[9]. In considerazione di ciò, Harris ha dovuto affrontare una battaglia in salita: aveva infatti l’ulteriore svantaggio di dover sviluppare un messaggio convincente di insoddisfazione per l’economia senza criticare direttamente il presidente Biden[10].

Oltre all’insoddisfazione per l’economia, un altro fattore decisivo è stato il già citato sentimento anti-incumbent negli Stati Uniti e nel mondo. Il 2024 è stato definito un «anno elettorale», ma è stato anche un anno di ostilità verso chi è al potere, tradottasi nella caduta dei governi di molti Paesi, o in loro nette battute di arresto elettorali. Questo schema è da qualche tempo caratteristico della politica statunitense, dove i repubblicani e i democratici si sono alternati al controllo della Casa Bianca nelle ultime tre elezioni. Se il singolo mandato di Jimmy Carter (1977-1981) per un certo periodo era stato l’eccezione, da allora in avanti l’ultimo presidente a vincere due mandati consecutivi è stato Barack Obama (2009-2017). È stato questo sentimento, ovviamente, che ha contribuito alla vittoria di Trump nel 2016.

Oltre all’economia, l’ingresso tardivo di Harris nella corsa ha significato che si è ritrovata a dover dare forma a una narrazione su chi fosse e per che cosa stesse conducendo la campagna elettorale, dopo che quell’opportunità le era stata negata all’inizio del 2024 e che la sua campagna per le primarie presidenziali del 2020 era stata interrotta nel 2019. Lei deve il suo ritardato ingresso a Biden, che si è ritirato dalla competizione solo a luglio 2024. Molti davano per scontato che Biden non si sarebbe candidato per un secondo mandato, come egli stesso aveva annunciato nel 2020. Ma poi non si è fatto da parte. Sebbene alla fine una serie di eventi clamorosi abbiano portato al suo ritiro, esso non è stato abbastanza tempestivo da giovare ad Harris, come pochi giorni dopo le elezioni ha dichiarato al New York Times Nancy Pelosi, ex speaker della Camera e leader democratica[11].

Per molti osservatori, la sconfitta di Harris dimostra che la centralità data all’aborto e ad altre questioni sociali non le ha giovato, perché l’ha posizionata a sinistra rispetto a molti elettori. Privilegiando l’aborto nella sua campagna, Harris sperava di attrarre le donne e di mobilitare gli elettori dopo la sentenza della Corte Suprema del 2018 nel caso Dobbs contro Jackson Women’s Health Organization, che ha ribaltato la sentenza Roe contro Wade del 1973, rigettando l’idea che nella Costituzione degli Stati Uniti ci sia un diritto all’aborto[12]. D’altro canto, il consenso ottenuto da Trump non ha avuto a che fare con i referendum sull’aborto. Come ha scritto Charlie Camosy in First Things, «il sostegno a Donald Trump e al GOP non si è tradotto in vittorie pro-life. Trump ha vinto in Arizona, Missouri e Montana, ma tutti e tre quegli Stati hanno agevolmente approvato le loro misure di voto pro-aborto». In breve, «Trump e il GOP hanno condotto una campagna pro-choice e hanno vinto alla grande»[13].

Per quanto riguarda la candidatura di Trump, la sua immagine pubblica di figura anti-establishment si è inevitabilmente adattata allo stato d’animo di una decisiva pluralità di elettori. Nonostante sia già stato presidente per un mandato, nel 2024 è riuscito a presentarsi come un outsider. Come ha detto un commentatore a lui favorevole: «Due impeachment, incessanti battaglie legali e innumerevoli accuse penali, due tentativi di assassinio e un coro incessante dei media più potenti della nazione che lo definiscono “fascista” non sono riusciti a fermare Trump. In mezzo a tutte queste avversità, Trump è solo diventato più forte. E ora ha il mandato simbolico ma potente della maggioranza del voto popolare»[14].

Fatto non meno importante, nel mese di marzo del 2024 la Corte Suprema ha respinto le tesi secondo cui Trump non era idoneo a candidarsi per una carica pubblica in base al 14° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, e in particolare «là dove il testo afferma che nessun funzionario amministrativo o giudiziario possa assumere una carica se ha preso parte a un’insurrezione»[15]. Questa decisione, che rientra nelle ricadute della storica violenza del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, ha tenuto aperta la strada al secondo mandato di Trump[16].

Sotto il profilo dei numeri, la vittoria di Trump è avvenuta nel periodo di incertezza nella politica statunitense, in cui gli elettori votano costantemente «contro» gli incumbents, i titolari, almeno quanto lo fanno «a favore» di qualsiasi alternativa. Tuttavia, è stato ampiamente riconosciuto che la coalizione di Trump del 2024 è qualcosa di unico. Le principali élite repubblicane hanno cercato di inquadrare il GOP come il partito dei lavoratori, sostenendo che i democratici hanno abbandonato gli elettori della classe operaia, comprese le minoranze razziali ed etniche, a favore dell’economia globalizzata[17]. Se è così, dato il tenore della politica statunitense, resta comunque aperta la questione se l’amministrazione Trump riuscirà a risolvere le tensioni tra il suo ampiamente attestato schieramento per il libero mercato e il presunto impegno nei confronti dei lavoratori, e quindi a prendere una coalizione costruita in parte come un voto contro lo status quo e a cementarla in vista di qualcosa di nuovo.

Il Congresso degli Stati Uniti e il nuovo equilibrio di potere


Le elezioni statunitensi di novembre erano finalizzate anche a nominare tutti i membri della Camera dei rappresentanti, ovvero la Camera bassa del Congresso degli Stati Uniti, e un terzo dei componenti del Senato, la Camera alta. L’equilibrio di potere che ne è risultato ha importanti conseguenze per l’agenda del presidente Trump: la Costituzione degli Stati Uniti richiede infatti che il Congresso e la Presidenza lavorino a stretto contatto, assegnando ad essi ruoli distinti ma sovrapposti nella politica statunitense.

Prima delle elezioni, le Camere erano divise: i democratici detenevano la Camera alta, con una stretta maggioranza, grazie al supporto di membri indipendenti (51 a 49), e i repubblicani controllavano la Camera bassa (220 a 212, con 3 seggi vacanti). Dopo le elezioni, i repubblicani hanno riconquistato il Senato con uno stretto margine (53 a 47) e hanno mantenuto la Camera (220 seggi). È interessante notare che Trump ha vinto in quattro Stati dove i repubblicani hanno perso le elezioni senatoriali: Arizona, Michigan, Nevada e Wisconsin[18].

Il controllo repubblicano del Congresso probabilmente agevolerà l’attuazione dell’agenda politica di Trump. Conquistare il Senato era fondamentale per uno dei suoi obiettivi principali: nominare giudici federali, e in particolare giudici della Corte Suprema. Ma la questione fondamentale sarà l’unità dei repubblicani. Sapranno collaborare tutti insieme in ciascuna Camera e tra le due Camere? O si spaccheranno e si frammenteranno per motivi ideologici? Il rischio di defezione è particolarmente alto alla Camera, in cui i repubblicani hanno solo una risicata maggioranza e una storia di discordie interne. Una simile instabilità legislativa esaspererebbe quella che probabilmente è già una caratteristica dell’amministrazione Trump, ossia il ricorso a un ampio uso di ordini e atti esecutivi piuttosto che ad azioni legislative approvate dal Congresso.

Ne ha dato una prima riprova l’elezione del nuovo leader della maggioranza al Senato, colui che guiderà i repubblicani nel Senato degli Stati Uniti e quindi eserciterà un’autorità significativa sulle operazioni quotidiane di quella istituzione. Il senatore repubblicano Mitch McConnell, veterano legislatore del Kentucky e leader della maggioranza al Senato durante il primo mandato di Trump, aveva avuto molti contrasti con il presidente; quindi si presumeva che il GOP avrebbe preferito puntare su qualcuno della cerchia a lui più vicina. Ma, nonostante il presidente eletto e diversi suoi alleati fossero notoriamente favorevoli a Rick Scott della Florida per quella carica, i repubblicani hanno eletto il senatore John Thune del South Dakota. Thune è una figura più istituzionale di Scott e in passato non ha risparmiato critiche a Trump, eppure al momento della sua elezione ha detto che non vedeva l’ora di promulgare le politiche trumpiane[19].

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Come sarà l’amministrazione Trump?


Una delle questioni più rilevanti, nel caso della presidenza Trump, riguarda le politiche che adotterà. La piattaforma repubblicana del 2024 era succinta e povera di dettagli, e la campagna successiva ha fatto poco per chiarirne ulteriormente le posizioni, salvo forse i due temi principali dell’immigrazione e dei dazi doganali. D’altra parte, Harris ha imperniato la sua campagna sul presunto sostegno dato dal suo avversario al «Project 2025», una piattaforma politica elaborata da un think tank statunitense che Trump ha ripetutamente sconfessato. Inoltre, molti esponenti della destra intellettuale erano entusiasti della prospettiva di un’agenda politica «post-liberale» nel segno del candidato vicepresidente di Trump, J. D. Vance. Quindi, che cosa possiamo aspettarci?

Come affermano molti politologi, «il personale è politica»: le figure che Trump nomina nelle posizioni chiave dicono molto su come egli intende governare. Finora, i candidati da lui proposti sono stati una combinazione di fedelissimi della sua prima amministrazione, alcuni politici esperti e personalità pubbliche provocatorie. Essi offrono dunque indizi contraddittori sulla determinazione della futura amministrazione a perseguire i suoi obiettivi politici[20]. Per esempio, la rapida «ascesa e caduta» dell’ex deputato Matt Gaetz, in lotta per la carica di procuratore generale, suggerisce che la seconda amministrazione Trump incontrerà le stesse difficoltà che aveva avuto la prima al momento di inserire i suoi esponenti nell’amministrazione[21].

La sfida centrale per l’amministrazione Trump sarà l’economia. In che modo il cambiamento economico influenzerà la sua capacità di governo? In che modo le sue politiche incideranno sull’inflazione e sui prezzi crescenti dei beni di prima necessità? Per quanto riguarda la tassazione, una delle principali leggi fiscali approvata nel primo mandato di Trump, il Tax Cuts and Jobs Act del 2017, scadrà nel 2025. Rinegoziare tale legge sarà un obiettivo legislativo centrale del suo secondo mandato. Sebbene Trump nella campagna elettorale abbia annunciato il desiderio di estendere i tagli fiscali, i negoziati con il Congresso riguardo a quella legislazione costituiranno un test importante sulla loro possibilità di collaborare[22]. Sarà anche un banco di prova per il suo impegno nei confronti degli elettori della classe operaia, in cui tra l’altro verrà alla luce se effettivamente intende allargare e potenzialmente ampliare nella legge il credito d’imposta per i figli.

L’immigrazione e la sicurezza delle frontiere hanno avuto un ruolo importante nella campagna 2024 di Trump, che ha spesso preconizzato «deportazioni di massa», raccogliendo il favore degli elettori, che per il 20% hanno indicato questo tema come il loro problema principale. Sebbene i costi saranno probabilmente elevati, le preoccupazioni umanitarie pressanti e l’opposizione significativa, Trump agirà quasi certamente in coerenza con tali promesse[23]. Nel frattempo, sono vent’anni che il Congresso degli Stati Uniti non riesce ad approvare una riforma importante della politica migratoria.

L’amministrazione Trump abbraccerà l’agenda politica delineata nel «Project 2025», la proposta avanzata dal think tank attivista Heritage Foundation[24]? In una certa misura sì, dal momento che in gran parte essa rispecchia quel conservatorismo che sarà un connotato indiscutibile del governo. Trump sta già attingendo ad alcuni degli autori del Project per le sue nomine. Alcune delle parti più controverse di quel progetto riguardano la sua proposta di riforma della burocrazia statunitense. Trump, come molti presidenti, ha promesso di limitare il potere della burocrazia e di porla sotto il suo diretto controllo, sebbene resti da vedere in quali termini, forse discutibili, vorrà interpretare la carica di «funzionario pubblico». Una delle sue prime nomine significative è stata quella di Elon Musk e Vivek Ramaswamy come suoi plenipotenziari della burocrazia.

Ma uno degli ambiti politici più misteriosi della seconda amministrazione Trump è probabilmente la politica estera, che ovviamente è una questione di grande interesse per gli osservatori stranieri, soprattutto per quanto riguarda il peso che essa avrà sui conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. La politica estera è in genere una preoccupazione marginale delle elezioni presidenziali statunitensi: secondo alcuni exit poll, solo il 3% degli elettori la considerava tra i problemi principali. Ciò che un candidato alla presidenza rivela sulla sua politica estera è spesso piuttosto vago e più incentrato sul messaggio che vuole mandare al pubblico interno che sulla sostanza.

Gli analisti non sono d’accordo neanche sul fatto che Trump abbia una politica estera definita. Nella misura in cui ce l’ha, è una politica non convenzionale, che riflette il suo programma «America First». Si può ragionevolmente affermare che egli consideri insoddisfacente un ordine internazionale in cui gli Stati Uniti sono sovraesposti e coinvolti in troppi conflitti a proprio svantaggio e ricevono scarso supporto dai loro alleati tradizionali. In questa prospettiva, ci si può aspettare che Trump insista affinché la Nato e l’Ue divengano meno dipendenti dagli Stati Uniti e che i conflitti di lunga data vengano risolti rapidamente[25].

Quali che siano le prossime decisioni e azioni di Trump in questi settori, la sua campagna ha confermato l’importanza delle scelte normative per la vita politica statunitense. Mentre egli si è battuto con accenti populisti contro la «governance degli esperti», ha anche fatto molte promesse sullo stimolo dell’economia, sulla creazione di posti di lavoro americani e sulla ricostruzione delle infrastrutture statunitensi, tutte questioni decisamente politiche. La «trappola politica» (policy trap), identificata da studiosi come Orren e Skowronek, mette in evidenza la difficoltà degli Stati moderni a mantenere le proprie promesse rispetto alle crescenti aspettative politiche suscitate nella campagna elettorale[26]. E Trump non ne è stato immune.

I cattolici statunitensi


Come hanno votato i cattolici americani nelle elezioni presidenziali del 2024? Quale posizione assumeranno durante il secondo mandato di Trump? La maggioranza dei cattolici ha votato per Trump, in gran parte a causa di uno spostamento dei cattolici ispanici verso di lui. Secondo i dati preliminari, quei cattolici latinoamericani che nel 2020 avevano votato per il 71% contro il 28% per Biden, nel 2024 si sono espressi per il 53% contro il 46% per Trump[27].

I cattolici probabilmente svolgeranno un ruolo curioso nell’amministrazione Trump: questi, che non è cattolico, succede al cattolico Biden e porta con sé come vicepresidente J. D. Vance, che nella storia degli Usa è il secondo vicepresidente cattolico dopo Biden stesso, che lo era stato sotto Barack Obama. Il ruolo della vicepresidenza degli Stati Uniti è vago e ampiamente soggetto al presidente, e quindi la rilevanza del cattolicesimo di Vance dipenderà molto dalle scelte di Trump. A mantenere l’interesse dei circoli cattolici nei suoi confronti potrebbe essere il suo status di probabile candidato presidenziale nel 2028[28]; se dovesse diventare un serio candidato alla presidenza, ne risulterebbe notevolmente amplificato il dibattito sul ruolo del cattolicesimo nella vita pubblica degli Stati Uniti.

Ci sono grandi preoccupazioni circa le politiche migratorie proposte da Trump[29]. Per esempio, il Center for Migration Studies, un think tank di New York e membro dello Scalabrini International Migration Network, ha pubblicato un rapporto che anticipa la probabile «devastazione delle deportazioni di massa sia per i residenti irregolari sia per le loro famiglie e comunità legalmente riconosciute» nel caso in cui le politiche di deportazione promulgate da Trump venissero attuate, e ha parlato di «una crisi morale, legale e di sicurezza pubblica causata dallo scatenamento delle operazioni di ricerca e sequestro di massa in tutta la nazione»[30]. Il vescovo Mark Seitz, pastore di El Paso (Texas) e portavoce dei vescovi per la politica sull’immigrazione, dopo le elezioni ha dichiarato che i vescovi non rimarranno in silenzio se si verificheranno deportazioni di massa[31].

Durante la campagna elettorale Trump e Vance hanno espresso il loro sostegno anche ai finanziamenti federali per la fecondazione in vitro (FIV), e ciò potrebbe rappresentare un’ulteriore fonte di disaccordo con la Chiesa statunitense[32]. Certamente anche i singoli vescovi si esprimeranno al riguardo. Più in generale, i cambiamenti culturali negli Stati Uniti rappresentano opportunità e sfide per l’evangelizzazione. Il fatto stesso che i cattolici statunitensi siano più che mai privi di una chiara collocazione politica dovrebbe indurne alcuni a mettere in discussione la propria adesione a partiti politici e ideologie, nonché i luoghi comuni che fanno da tramite tra la loro fede e la vita politica e sociale. La diffusa sfiducia nelle istituzioni limiterà pure la credibilità della Chiesa statunitense, ma il desiderio di appartenenza e di contatto con la verità rimane forte come non mai. Questa è la paradossale situazione di gran parte della vita moderna negli Stati Uniti, in cui la richiesta diffusa di «radere al suolo tutto» nasce da un profondo desiderio di comunione con gli altri[33]. Come sempre, i cattolici avranno l’opportunità di dimostrare che la loro preoccupazione affonda le radici nel Vangelo, non nella rivendicazione d’influenza pubblica o di potere politico… nasce dalla volontà di testimoniare una verità che non è una mera maschera del potere.

Che cosa riserva il futuro alla politica statunitense?


Se figure così diverse come Burke, Rousseau, Herder e Marx ci ricordano che la resistenza alla modernità liberale è praticamente coe­stensiva con la modernità a cui si oppone, allora la sfida della politica statunitense comincia a sembrare quasi insormontabile: come si farà a trasformare la diffusa insoddisfazione e l’alienazione dalla società contemporanea in un programma positivo e proattivo per una riforma sostenibile e un cambiamento significativo? Alla luce di questa sfida, Yuval Levin lancia un avvertimento ai repubblicani: «Non confondete la vittoria elettorale con un mandato!». Egli afferma: «Questa è la trappola in cui tendono a cadere i nostri presidenti del XXI secolo. Vincono le elezioni perché i loro avversari erano impopolari e poi, immaginando che il pubblico abbia approvato il programma degli attivisti del loro partito, usano il potere della loro carica per rendersi impopolari. Ecco perché il pubblico si è spostato a sinistra su questioni chiave durante il primo mandato di Trump, e a destra durante quello di Biden. Gli elettori in queste elezioni hanno respinto gli eccessi e i fallimenti della sinistra molto più di quanto abbiano approvato la destra o qualsiasi altra cosa»[34].

Resta molto da scoprire sul futuro degli Stati Uniti. Ma di certo il mondo osserverà come si svilupperà.

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[1]. Cfr Z. B. Wolf, «Trump’s win was real but not a landslide. Here’s where it ranks», in CNN Politics (edition.cnn.com/2024/11/09/politics/donald-trump-election-what-matters/index.html), 9 novembre 2024.

[2]. Cfr A. Chasen, «These are the battleground states that decided the 2024 election», in CBS News (cbsnews.com/news/battleground-…), 9 novembre 2024.

[3]. Cfr P. Bump – L. Bronner, «What the numbers actually say about the 2024 election», in The Washington Post (washingtonpost.com/politics/20…), 12 novembre 2024.

[4]. Cfr M. C. Bender, «Why Was There a Broad Drop-Off in Democratic Turnout in 2024?», in The New York Times (nytimes.com/2024/11/11/us/poli…), 11 novembre 2024.

[5]. Cfr D. Weigel, «Democratic turnout plummeted in 2024 – but only in safe states», in Semafor (semafor.com/article/11/15/2024…), 15 novembre 2024; S. Kornaki, «Steve Kornacki: The key voter shifts that led to Trump’s battleground state sweep», in NBC News (nbcnews.com/politics/2024-elec…), 17 novembre 2024.

[6]. Cfr Z. B. Wolf – C. Merrill – W. Mullery, «Anatomy of three Trump elections: How Americans shifted in 2024 vs. 2020 and 2016», in CNN Politics (edition.cnn.com/interactive/20…), 6 novembre 2024.

[7]. Cfr Cfr Byung-Chul Han, La crisi della narrazione, Torino, Einaudi, 2024.

[8]. Cfr B. McGill – A. DeBarros – C. Ostroff, «How Different Groups Voted in the 2024 Election», in The Wall Street Journal (wsj.com/politics/elections/ele…), 11 novembre 2024.

[9] . Cfr A. Bhattarai – J. Stein, «Americans deliver message to Democratic Party: The economy isn’t working», in The Washington Post (washingtonpost.com/business/20…, edition.cnn.com/2024/11/06/eco…), 9 novembre 2024.

[10]. Cfr M. Tomaski, «Why Does No One Understand the Real Reason Trump Won?», in The New Republic (newrepublic.com/post/188197/tr…), 8 novembre 2024.

[11]. Cfr R. J. Epstein, «Pelosi Laments Biden’s Late Exit and the Lack of an “Open Primary”», in The New York Times (nytimes.com/2024/11/08/us/poli…), 8 novembre 2024.

[12]. Cfr A. M. Ollstein – M. Messerly, «Harris hoped to ride abortion to another post-Dobbs Democratic victory. It didn’t work», in Politico (politico.com/news/2024/11/06/a…), 6 novembre 2024.

[13]. C. C. Camosy, «Mixed Pro-Life News and Lessons from Election Night», in First Things (firstthings.com/web-exclusives…), 8 novembre 2024.

[14]. D. McCarthy, «The Trump Mandate», in The American Conservative (theamericanconservative.com/th…), 6 novembre 2024.

[15]. S. Bomboy, «Explaining Donald Trump’s 14th Amendment case at the Supreme Court», in National Constitution Center (constitutioncenter.org/blog/ex…), 5 febbraio 2024.

[16]. Cfr Supreme Court of the United States, no. 23-719, 4 marzo 2024 (supremecourt.gov/DocketPDF/23/…).

[17]. Cfr M. Barone, «Trump gains among nonwhite people: Historical precedents and possible harbinger», in Washington Examiner (washingtonexaminer.com/opinion…), 19 novembre 2024.

[18]. Cfr G. Skelley, «How Democrats won Senate seats in states that Trump carried», in ABC News (abcnews.go.com/538/democrats-w…), 11 novembre 2024.

[19]. Cfr U. Perano – A. Adragna – K. Tully-McManus, «GOP senators brush off concerns about Thune’s relationship with Trump», in Politico (politico.com/news/2024/11/13/t…), 13 novembre 2024.

[20]. Cfr S. Collinson, «Trump’s emerging team of loyalists is primed for a fast start in his second term», in CNN Politics (edition.cnn.com/2024/11/12/pol…, wsj.com/opinion/behind-trumps-…), 12 novembre 2024.

[21]. Cfr J. Sheerin, «The rise and fall of Matt Gaetz in eight wild days», in BBC News (bbc.com/news/articles/c99r2m4y…), 22 novembre 2024.

[22]. Cfr T. Luhby – K. Lobosco, «Here’s what Harris and Trump are proposing for the economy», in CNN News 2024 (edition.cnn.com/2024/10/27/pol…), 28 ottobre 2024.

[23]. Cfr C. Johnson, «Trump win opens door to major shift in US immigration policies», in Roll Call (rollcall.com/2024/11/06/trump-…), 6 novembre 2024.

[24]. Cfr P. Dans – S. Groves(edd.), Mandate for Leadership. The Conservative Promise, Washington, The Heritage Foundation, 2023 (static.project2025.org/2025_Ma…).

[25]. Cfr President Trump, Foreign Policy (trumpwhitehouse.archives.gov/i…).

[26]. Cfr K. Orren – S. Skowronek, The Policy State: An American Predicament, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2017.

[27]. Cfr Election Day in America. Election 2024: Exit Polls (edition.cnn.com/election/2024/…).

[28]. Cfr S. P. White, «Has Trump Made the Catholic Vote Matter Again?», in National Review (nationalreview.com/2024/11/has…), 20 novembre 2024.

[29]. Cfr J. Lavenburg, «On presidential election result, American bishops emphasize longtime pastoral priorities», in Crux (cruxnow.com/church-in-the-usa/…), 13 novembre 2024.

[30]. M. Lisiecki – G. Apruzzese, «Proposed 2024 Mass Deportation Program Would Socially and Economically Devastate American Families» (cmsny.org/publications/2024-ma…).

[31]. Cfr J. Lavenburg, «On presidential election result…», cit.

[32]. Cfr J. Flynn, «The USCCB’s JD problem», in The Pillar (pillarcatholic.com/p/the-usccb…), 8 novembre 2024.

[33]. Cfr J. Liedl, «How Trump’s Win Could Impact the US Bishops’ Agenda», in National Catholic Register (ncregister.com/news/trump-s-20…), 7 novembre 2024.

[34]. Cfr Y. Levin, «What Trump’s Win Doesn’t Mean», in The Dispatch (thedispatch.com/article/what-t…), 11 novembre 2024.

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