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E’ attivo il più grande questionario psichedelico mai tentato


L’Associazione Luca Coscioni condivide il Global Psychedelic Survey 2025 della Michigan University, un questionario che mira a valutare il consumo globale delle molecole psichedeliche.

Il sondggio è aperto a chiunque, occorre aver compiuto 21 anni e aver consumato almeno una sostanza psichedelica. A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, funghi contenenti psilocibina, LSD, MDMA, ketamina, ayahuasca e protossido di azoto. Partecipare al sondaggio richiede dai 30 ai 40 minuti, la partecipazione è anonima e volontaria.

Qui le domande


Per un approfondimento consigliamo l’ascolto del 152° episodio di Illuminismo Psichedelico in cui Federico Di Vita ne ha parlato con Matteo Buonarroti, medico e psichiatra in formazione, vicepresidente di Simepsi, Società Italiana della Medicina Psichedelica.

La mia lotta per sbloccare l’utilizzo di cannabis e sostanze psichedeliche nella ricerca medica

La dottoressa Sue Sisley si batte per studiare la cannabis e i funghi allucinogeni contro il dolore, la dipendenza e il disturbo da stress post-traumatico.


Traduzione di Peppe Brescia del pezzo pubblicato da Nature il 28 aprile 2025

Fin dai primi anni della sua carriera, la dottoressa Sue Sisley si è dedicata con passione alla cura dei veterani militari statunitensi. All’epoca, molte delle persone che curava si automedicavano con la cannabis del mercato nero perché, a differenza dei farmaci da prescrizione, essa alleviava gli incubi e altri sintomi del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Qualche boccata li aiutava ad addormentarsi.

“Inizialmente li scoraggiavo e, al pensiero, alzavo gli occhi al cielo”, racconta Sisley, la cui formazione le aveva insegnato a considerare come medicinali solo i farmaci approvati. “Non provavo alcuna empatia per le loro affermazioni e pensavo che fossero persone intente a ottenere droga”.

Ma col tempo, Sisley si rese conto di come l’inefficacia dei trattamenti per la salute mentale potesse alimentare la disperazione. Attualmente, in media, 17 veterani statunitensi muoiono per suicidio ogni giorno. I consumatori di cannabis tra i pazienti di Sisley erano spesso quelli che mantenevano la volontà di vivere.

“Mi ha fatto capire che ero stata ingannata dal governo e dai nostri programmi di formazione, nel credere che la cannabis fosse pericolosa”, dice. “Non sono stata formata riguardo alcun beneficio medico”.

I primi insegnamenti ricevuti dai suoi pazienti hanno influenzato Sisley. Nei due decenni successivi, ha sfidato le agenzie federali statunitensi, si è destreggiata in un labirinto legale e normativo e, con creatività, ha ottenuto finanziamenti per studiare e sviluppare trattamenti a base di cannabis e sostanze psichedeliche, che il governo statunitense aveva bloccato per decenni.

Nasce un medico-ricercatore


Dopo l’approvazione del Controlled Substances Act del 1970 da parte del Congresso degli Stati Uniti, la cannabis fu resa illegale e classificata come droga di Tabella I, definita come priva di qualsiasi uso medico riconosciuto. Questo poneva la marijuana nella stessa categoria dell’eroina e della maggior parte delle droghe psichedeliche: il possesso o l’uso di cannabis, nonché la coltivazione senza una licenza di ricerca di Tabella I, potevano comportare il carcere.

A metà degli anni ’90, diversi stati americani hanno iniziato a sfidare la legge federale, consentendo agli adulti di acquistare cannabis per scopi terapeutici. Nel 2008, quando la cannabis a fine terapeutico era ancora vietata in Arizona, Sisley fu uno dei pochi medici a parlare pubblicamente della sua legalizzazione. La sua attività di advocacy attirò l’attenzione di Rick Doblin, che si adoperò affinché alcune droghe psichedeliche e la cannabis venissero rimosse dalla Tabella I, in modo da poterle studiare e trarne i benefici terapeutici.

Doblin ha fondato un ente no-profit statunitense, la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS), per raccogliere fondi da donatori privati ​​per le sperimentazioni cliniche. Ha contattato Sisley per guidare uno studio sulla cannabis.

Sebbene non avesse esperienza nella ricerca, Sisley era professoressa associata di psichiatria e vicedirettrice di telemedicina presso la Facoltà di Medicina dell’Università dell’Arizona a Phoenix, e Doblin ne intuì il potenziale. “Ciò che mi ha davvero colpito è che Sue guarda dove la scienza è bloccata dalla politica, ed è disposta a battersi per ciò che ritiene giusto”, afferma.

Nel 2014, Sisley e MAPS hanno ricevuto quasi 2,2 milioni di dollari dallo Stato del Colorado. Con l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, sarebbero stati pronti a condurre il primo studio clinico randomizzato e controllato al mondo sulla cannabis fumata come trattamento per il PTSD nei veterani.

Ma poi l’Università dell’Arizona si è rifiutata di rinnovare il contratto di Sisley. Nonostante Sisley affermi che l’università abbia semplicemente dichiarato che i suoi servizi non erano più necessari, ritiene che ci siano state pressioni politiche.

“Sebbene si trattasse di una ricerca legittima, e gli elettori dell’Arizona avessero approvato l’uso medico della marijuana nel 2010”, afferma Sisley, “credo che alcuni legislatori non volessero che la ricerca sulla cannabis trovasse posto all’università”.

Alla fine, però, la risoluzione del suo contratto “si è rivelata un enorme dono”, dice. Ha scoperto di non aver bisogno di un’università o di un ospedale per guidare la ricerca. Anzi, ora pensa che la burocrazia possa averla rallentata. Nei due anni successivi, Sisley ha co-fondato lo Scottsdale Research Institute, ha acquistato un edificio a Phoenix, in Arizona, e ha costruito un laboratorio per iniziare il suo studio.

Nel 2016, mentre si preparava ad arruolare i partecipanti, la cannabis per lo studio venne consegnata. All’epoca, l’Università del Mississippi a Oxford era l’unico fornitore di cannabis approvato dal governo statunitense per la ricerca umana. Ma quando Sisley aprì la scatola, rimase inorridita. La cannabis era ammuffita, polverizzata e disseminata di rametti. Non aveva niente a che vedere con le cime vendute nei dispensari, e alcuni partecipanti avevano difficoltà a inalarla perché irritava la gola.

Il team di Sisley ha scoperto che i partecipanti che avevano consumato cannabis mostravano un miglioramento rispetto al gruppo placebo, ma non abbastanza da dimostrare una significatività dal punto di vista statistico. La ricercatrice pensava che se i partecipanti avessero avuto accesso alla cannabis disponibile nei dispensari, avrebbero potuto tollerarla meglio e trarne maggiori benefici.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli ostacoli alla ricerca sulla cannabis, Sisley ha partecipato a un tour di conferenze (insieme a Dodger, il suo cane guida). Nel 2019, alla conferenza South by Southwest su musica, cinema, cultura e tecnologia ad Austin, in Texas, ha descritto quella che, all’epoca, era una battaglia decennale per completare la sua sperimentazione clinica, sottolineando un’operazione della Drug Enforcement Administration (DEA) statunitense che avrebbe potuto aiutarla. Nel 2016, l’agenzia aveva annunciato l’impegno ad ampliare la fornitura di cannabis al governo, quindi Sisley ha presentato domanda per una licenza di Tabella I per coltivare cannabis per una sperimentazione di fase IIb. Ma, dopo due anni e mezzo, la DEA non aveva ancora esaminato la sua domanda.

Fare causa al Governo per la scienza


Matthew Zorn, un avvocato di Houston, in Texas, ha partecipato alla conferenza di Sisley. Si era interessato alla cannabis come antidolorifico mentre si prendeva cura della sua compagna, successivamente morta di tumore alle ossa, ed era irritato dalla burocrazia che circondava la fornitura del farmaco per le sperimentazioni. “Tutto ciò che Sue cercava di fare era promuovere la ricerca. Ha fatto tutto secondo le regole”, afferma Zorn. Se la cannabis utilizzata in una sperimentazione “è spazzatura, ovviamente non si può dimostrare che qualcosa sia sicuro ed efficace, e quindi non sarà disponibile per i pazienti”.

Zorn reclutò il suo collega Shane Pennington, allora anch’egli residente a Houston, il quale aveva esperienza nel promuovere cause contro agenzie federali. Insieme, rappresentando Sisley pro bono, nel 2019 la aiutarono a fare causa alla DEA.

La causa ha spinto l’Ufficio di Consulenza Legale degli Stati Uniti a pubblicare un promemoria che spiegasse perché la DEA avesse trascurato la domanda di Sisley per la cannabis. Il governo degli Stati Uniti aveva ceduto il controllo della fornitura di cannabis per le sperimentazioni mediche all’Università del Mississippi, quando, in base ai termini di un trattato internazionale, avrebbe dovuto garantire che un’unica agenzia governativa possedesse e distribuisse la fornitura.

Con la pubblicazione del promemoria, “si resero conto che dovevano fare qualcosa”, afferma Anthony Coulson, ex agente speciale assistente responsabile dell’ufficio distrettuale della DEA a Tucson, in Arizona. “La causa di Sisley costrinse la DEA a presentarsi al tavolo delle trattative”.

Due mesi dopo la presentazione della causa, la DEA ha iniziato a esaminare la domanda di Sisley e di decine di altri scienziati statunitensi, consentendo loro di coltivare cannabis di grado medico per studi di ricerca. Questo è stato fondamentale, perché la cannabis utilizzata negli studi di fase III deve corrispondere a quella disponibile sul mercato per i pazienti, mentre la fornitura di cannabis del governo non lo era.

“Grazie ai suoi anni di sacrifici, Sue ha gettato le basi per ogni singolo ricercatore nel campo della cannabis”, afferma Coulson.

Il caso di Sisley si è risolto nel 2020 e lei ritiene che lottare sia valsa la pena. “Ci sono così tante persone che soffrono e che potrebbero riavere indietro la propria vita e trarre beneficio da questa ricerca”.

In quel periodo, Sisley sentì parlare di persone che si auto-somministravano la psilocibina, un farmaco presente in alcuni funghi, per trattare disturbi come la cefalea a grappolo e la tendenza al suicidio. Iniziò a documentarsi sulla terapia con psilocibina e apprese che bastavano poche sedute per sopprimere i sintomi del PTSD per mesi o anni, sebbene i partecipanti dovessero incontrare dei terapeuti per prepararsi e imparare dalle loro esperienze psichedeliche. Al contrario, le persone in genere fumano cannabis quotidianamente per mantenerne gli effetti.

Dopo aver ottenuto la licenza per la cannabis di Classe I, Sisley ha rapidamente presentato domanda per coltivare funghi che producono psilocibina. La DEA l’ha approvata immediatamente e “sembrava fare il tifo per noi”, dice la studiosa.

Coulson ha una teoria sul perché l’agenzia – che non solo fa rispettare le leggi antidroga, ma ha anche come obiettivo fondamentale il miglioramento della salute pubblica – potrebbe ora essere dalla parte di Sisley. “Vogliono che abbia successo perché è spinta a far progredire la scienza da un più profondo altruismo, ossia quello di aiutare i pazienti”, afferma. “Una volta che la conosci, ti rendi conto che non nutre alcun secondo fine. Questa è la magia di Sue”. Da quando si è ritirato dalla DEA nel 2010, Coulson ha lavorato come consulente per Sisley mentre quest’ultima costruiva l’infrastruttura per i suoi studi.

Una ricerca per studiare le medicine naturali


Negli attuali studi clinici sulla psilocibina, i partecipanti ricevono una versione sintetica del farmaco che offre un dosaggio preciso, cosa gradita sia alla FDA sia alle aziende farmaceutiche.

Ma Sisley è ansiosa di cambiare le cose. Vuole studiare i funghi interi per verificare se le diverse sostanze chimiche in essi contenute apportino benefici per la salute. Vede anche il potenziale per sviluppare trattamenti più accessibili, perché i funghi possono essere coltivati ​​a basso costo.

Ora, Sisley è impegnata a guidare il primo studio al mondo approvato dalla FDA sui funghi interi contenenti psilocibina. Ma ancora una volta, ha dovuto superare diversi ostacoli.

Per prima cosa, ha dovuto capire come consegnare i funghi in modo da rispettare gli standard di dosaggio della FDA. Ma non esisteva un protocollo pubblicato per questo.

Nicole Nichols, direttrice esecutiva dello Scottsdale Research Institute, coltiva funghi commestibili e si è offerta volontaria per sviluppare un protocollo del genere. Inizialmente, lei e Sisley hanno provato a somministrare i funghi in un tè caldo, ma i risultati sono stati incostanti. Poi hanno provato a usare le pillole, ma si sono rese conto che sarebbero state necessarie 18 capsule per somministrare la dose necessaria.

Alla fine, hanno sperimentato con il cioccolato, che mascherava il sapore sgradevole dei funghi e fungeva da involucro protettivo che stabilizzava la psilocibina. Dopo aver costantemente rispettato i requisiti di dosaggio della FDA, hanno pubblicato il loro protocollo.

“Stiamo ricevendo richieste da parte di ricercatori di tutto il mondo che vogliono accedere a funghi legalizzati a livello federale e standardizzati”, dice Sisley.

Nel frattempo, dopo aver completato il trial sulla cannabis del 2019, nel 2021 Sisley e MAPS hanno ricevuto 13 milioni di dollari dallo Stato del Michigan per uno studio di fase IIb sulla cannabis per veterani affetti da PTSD e dolore cronico. Anche questo studio ha incontrato un ostacolo quando la FDA si è opposta a una parte del protocollo di Sisley che avrebbe permesso ai partecipanti di autodosarsi. Convinta che fosse il modo corretto di condurre lo studio, Sisley ha assunto degli avvocati. Lo scorso Dicembre, la FDA ha ceduto, permettendo allo studio di proseguire. Sisley prevede di arruolare i partecipanti entro quest’anno.

Non avere paura


“Se vuoi studiare sostanze che sono state criminalizzate dal nostro governo, non bisogna avere paura,” dice Sisley, che attribuisce il suo successo al pensiero creativo e alla costruzione di coalizioni strategiche.

Nel 2023, insieme a Kevin Payne, politico repubblicano e all’epoca membro della Camera dei Rappresentanti dello Stato dell’Arizona, Sisley ha redatto la proposta di legge HB2486 per destinare fondi statali alla ricerca sulla psilocibina proveniente da funghi interi.

Afferma che c’è stata una reazione negativa da parte di altri gruppi in competizione per i finanziamenti, poiché lo Stato si trovava in deficit di bilancio in quel periodo.

“Credevamo però che ci fosse abbastanza sostegno da parte del pubblico,” dice. “Abbiamo lottato fianco a fianco con veterani militari, vigili del fuoco, poliziotti in pensione e disabili, tutti desiderosi di accedere a questa ricerca.”

La proposta di legge è stata approvata e lo Stato ha assegnato a Sisley 2,75 milioni di dollari per uno studio clinico sui funghi mirato al trattamento del PTSD grave, del dolore e della tendenza suicida. L’inizio della ricerca è previsto entro la fine dell’anno.

In presenza di scienziati che non sono riusciti a ottenere finanziamenti dai National Institutes of Health degli Stati Uniti, o che si trovano con i fondi sospesi a causa dei blocchi imposti dall’amministrazione Trump, Sisley incoraggia questi ultimi a non aspettare, ma a cercare attivamente finanziamenti filantropici e a proporre leggi proprie.

“I parlamenti statali vogliono dimostrare di essere all’avanguardia in materia di scienza che potrebbe portare subito a nuove terapie,” dice. “Il problema è che i legislatori possono vedere gli scienziati come distaccati e arroganti. Questo è ciò che dobbiamo cambiare.”

Così, Sisley percorre i corridoi del Campidoglio dell’Arizona, costruendo relazioni con i legislatori. Li informa sulla necessità di far progredire la scienza e creare un percorso verso l’approvazione da parte della FDA per le sostanze incluse nella Tabella I.

“Bisogna essere tanto attivista quanto scienziata,” dice, “perché altrimenti non si faranno progressi.”

E Sisley continua a portare avanti le sue istanze. A marzo, è tornata al South by Southwest per parlare dell’ibogaina, un composto psicoattivo derivato dall’arbusto di iboga (Tabernanthe iboga), che secondo lei potrebbe contribuire a mitigare la crisi degli oppioidi negli Stati Uniti.

Tra il 1999 e il 2022, quasi 727.000 persone negli Stati Uniti sono morte per overdose da oppioidi.

Quando il Suboxone — una combinazione di naloxone e buprenorfina — è stato introdotto nel mercato statunitense nel 2002, Sisley era entusiasta all’idea di avere qualcosa che potesse aiutare a controllare i sintomi dell’astinenza da oppioidi.

“Ma ho avuto pazienti che sono rimasti dipendenti dal Suboxone per oltre 20 anni, tentando disperatamente di smettere gradualmente,” dice.

È in questo contesto che, secondo Sisley, l’ibogaina potrebbe essere utile. Alcune persone hanno riferito di essere guarite dalla dipendenza da oppioidi dopo una sola sessione terapeutica con ibogaina. Ma si tratta di una sostanza inclusa nella Tabella I ed è quindi illegale negli Stati Uniti.

Sisley intravede un’opportunità affinché gli studi sull’ibogaina vengano finanziati proprio dalle aziende farmaceutiche, dai distributori e dai rivenditori che hanno alimentato la crisi degli oppioidi. Gli accordi legali prevedono che queste aziende versino circa 57 miliardi di dollari agli stati americani nell’arco di 18 anni.

“Anche solo una piccola parte di questi fondi potrebbe davvero far progredire la ricerca,” afferma Sisley.

La passione che Sisley mette nella sua ricerca significa che continuerà a cercare soluzioni creative per aiutare chi ha avuto la vita segnata da PTSD, dolore e dipendenza.

“Non voglio mai smettere di vedere pazienti,” dice. “Mi insegnano tantissime cose.”

L'articolo E’ attivo il più grande questionario psichedelico mai tentato proviene da Associazione Luca Coscioni.