Siria e Israele. Bombe su Damasco
Dopo gli attacchi in Libano e in Iran, a metà luglio l’esercito israeliano ha lanciato un blitz inaudito nel cuore della capitale siriana, Damasco. Sono stati colpiti il ministero della Difesa, il comando dell’esercito ed è stato sfiorato il palazzo presidenziale. I bombardamenti hanno provocato tre morti e 34 feriti[1]. Da quando al-Sharaa è presidente ad interim della Repubblica, è la prima volta che un evento simile accade. Attacchi condotti da Israele nella più completa impunità, dato che l’esercito siriano è al momento privo di difese antiaeree, distrutte, insieme ai missili e ad altro materiale bellico, dai numerosi raid israeliani, subito dopo la caduta di Assad, con l’intento di indebolire i nuovi padroni del Paese, considerati pericolosi islamisti radicali. Ciò nonostante alcuni mesi fa il presidente siriano, ex jihadista e aderente a formazioni dell’Isis, ha incontrato personalmente in Arabia Saudita il presidente Donald Trump, che gli ha mostrato amicizia e gli ha offerto protezione politica, eliminando le sanzioni statunitensi a carico della Siria e invitando al-Sharaa e Benjamin Netanyahu ad avviare negoziati di pace[2].
Gli attacchi sono stati lanciati in seguito allo scoppio di una violenza settaria nella provincia di Suwayda, a maggioranza drusa, nel sud-ovest della Siria[3]. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, aveva preannunciato su X questa operazione: «Gli avvertimenti a Damasco sono finiti: ora arrivano gli attacchi più duri. L’Idf continuerà a operare energicamente a Suwayda per annientare le forze che hanno assalito i drusi, fino al loro completo ritiro»[4]. La regione di Suwayda è da lungo tempo – dall’XI secolo – un feudo druso, abitato per l’80% da questa etnia, che la amministra attraverso i suoi capi religiosi, secondo regole e usi propri.
I drusi, come anche gli alauiti, sono una confessione religiosa nata nell’XI secolo dal tronco dello sciismo; per questo possono essere considerati una ramificazione della si’a classica, sebbene dagli «ortodossi» duodecimani siano stati definiti ghulat, ossia «coloro che esagerano», perché non si limitavano alla venerazione di Alì e della sua famiglia, ma lo consideravano il loro primo imam, superiore a Maometto stesso, in quanto manifestazione terrena della divinità[5]. Il nome «druso» pare derivi da Muhammad ibn Ismail Nashkin al-Darazi, uno dei suoi primi predicatori. Il movimento si sviluppò durante il regno del califfato fatimita di al-Hakim bi-Amr Allah. I suoi seguaci iniziarono allora a considerare il califfo come una figura divina. Ma dopo la sua morte furono ferocemente perseguitati. Queste discriminazioni li spinsero verso le zone montuose della Siria e del Libano, fino al monte Hermon, dove ancora vivono[6]. I viaggiatori descrivono le comunità druse come un popolo che vive isolato nelle montagne, coraggioso e ben armato. Oggi i drusi sono circa un milione; sono presenti soprattutto in Siria, in Libano, in Iran e in altri Paesi del Medio Oriente e riconoscono l’autorità religiosa e anche politica degli ayatollah.
Israele in soccorso dei drusi
Ritornando ai fatti recenti, dopo un incidente avvenuto l’11 luglio 2025 (rapimento di un commerciante druso) si sono scatenati feroci combattimenti tra beduini, milizie druse e forze governative siriane, nei quali sono morte centinaia di persone. Israele afferma che lo scopo degli attacchi delle sue forze armate sia a Damasco sia nella regione di Suwayda era quello di porre fine all’aggressione dei soldati inviati dal governo siriano contro i drusi, nonché quello di rafforzare e delimitare la zona demilitarizzata che era stata dichiarata intorno a Suwayda dopo la caduta di Assad e che Israele considerava una garanzia a vantaggio dei propri confini[7]. Insomma, oltre che per venire in soccorso dei drusi, la ragione dei raid contro Damasco era di respingere a nord il nuovo esercito siriano. Il sud della Siria, secondo Israele, deve rimanere smilitarizzato. Per Tel Aviv, questa è una linea rossa che non può essere oltrepassata, in quanto rappresenta una zona di sicurezza tra le alture del Golan e la Siria.
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Dopo i primi scontri tra beduini e drusi, al-Sharaa ha prontamente inviato delle truppe per pacificare la provincia in rivolta[8]. In realtà, con il pretesto di porre fine alle violenze egli voleva stabilire il controllo governativo sulla provincia sud-occidentale. Ciò sta a significare che il governo centrale non ha il controllo di una parte della Siria, in particolare delle regioni in cui vivono le minoranze etniche, gli alauiti, i curdi, i drusi e altri, i quali non accettano la politica di integrazione nazionale propagandata fin dall’inizio da al-Sharaa e preferiscono una gestione pluralistica e federale dei loro territori.
Questo era piuttosto evidente quando, tra marzo e aprile, sono scoppiati, lungo la fascia costiera di Latakia e Tartus, aspri conflitti tra alauiti (accusati di aver sostenuto il regime di Assad) e sunniti fondamentalisti (sostenuti, a quanto pare, da alcuni membri dell’esercito nazionale), che provocarono la morte di migliaia di sciiti. In quella occasione nessuno è intervenuto in aiuto degli alauiti[9]. Da parte del governo centrale, che ha condannato la strage, è stata avviata un’inchiesta, che però finora non ha prodotto nulla di concreto. Questo fatto ha dimostrato che la politica di integrazione nazionale propagandata da al-Sharaa non aveva una reale consistenza e che la Siria rimaneva sostanzialmente un Paese diviso e settario[10]. Pertanto, mentre il Presidente punta sul rafforzamento del potere centrale, le minoranze etniche sono per un sistema federale, che difenda i propri interessi settari.
Mentre al-Sharaa inviava truppe a Suwayda, le comunità druse nel nord di Israele chiedevano al loro governo di intervenire militarmente in soccorso dei loro «fratelli» siriani. Esse hanno bloccato le strade del nord, sfondato le barriere di confine con la Siria e ottenuto un incontro con Netanyahu, che ha accettato di intervenire nel conflitto[11]. Il desiderio di al-Sharaa di fare della Siria una roccaforte sunnita si scontrava con l’egemonia di Israele e con il suo ruolo autodichiarato di protettore delle minoranze regionali, in particolare dei drusi. Va infatti ricordato che il rapporto tra israeliani e drusi è molto forte.
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In realtà, la condizione dei drusi nello Stato di Israele è particolare. Nella guerra tra quest’ultimo e i Paesi arabi nel 1948, essi mantennero una posizione neutrale. Nel 1956 i capi della comunità siglarono con Ben Gurion un «patto di sangue», e si decise l’ammissione dei drusi nei ranghi dell’esercito israeliano. Ciò ha portato al pieno riconoscimento della loro specificità etnico-religiosa da parte del governo nazionale, per cui oggi molti drusi occupano posti importanti nell’esercito, nell’amministrazione e nella società israeliana[12].
Siria e Israele
Prima di questo incidente e del blitz di Damasco, la riconciliazione tra Israele e Siria sembrava imminente. Trump auspicava che la Siria aderisse agli «Accordi di Abramo», una serie di trattati di pace tra Israele e un gruppo di Stati arabi. Una bozza di patto di non belligeranza avrebbe messo da parte le rivendicazioni siriane sulle alture del Golan, conquistate da Israele nel 1967, sebbene quest’ultimo continuasse a bombardare la Siria, e in particolare i suoi depositi di armi, come se i due Paesi fossero nemici. Un titolo significativo del New York Times riassumeva bene tale situazione: «Strette di mano, oppure bombardamenti: cosa vuole Israele in Siria?».
È lecito pensare che gli israeliani utilizzino i drusi siriani e le loro richieste come strumento di deterrenza. Il politologo Itamar Rabinovich a tale riguardo afferma: «La politica militare israeliana del post 7 ottobre 2023 è uno strano misto di paranoia e senso di potenza dopo i successi in Libano e Iran. E ciò induce a privilegiare la forza sulla diplomazia»[13]. Questo è vero soprattutto per Gaza, dove Israele non intende chiudere una guerra che è divenuta una vera e propria carneficina e che sembra essere senza via di uscita.
Ora i due Paesi – Israele e Siria – appaiono schierati uno contro l’altro e, sebbene pochi giorni dopo sia stato concordato un cessate il fuoco tra le parti in lotta, Israele ha dichiarato di essere pronto a bombardare di nuovo la Siria, qualora le violenze contro i drusi dovessero continuare.
Dopo cinque giorni di scontri feroci, che hanno provocato oltre 500 morti tra beduini, drusi e milizie governative, le truppe inviate da Damasco, dopo la stipulazione del cessate il fuoco (su mediazione americana), si sono ritirate dalla provincia di Suwayda[14]. Questo è avvenuto dopo che gli israeliani avevano colpito i palazzi del potere a Damasco. In un discorso televisivo, il presidente al-Sharaa ha accusato Israele di voler smantellare l’unità del Paese seminando caos e divisione. Ha precisato che la scelta di ritirare le truppe dal sud è stata fatta «non per paura della guerra», ma in nome «degli interessi del popolo siriano»[15]. Inoltre, ha promesso che avrebbe protetto gli interessi dei cittadini drusi e che avrebbe chiamato a rispondere davanti alla giustizia coloro che avevano commesso violenze e abusi[16]. In realtà, questo lo aveva assicurato anche dopo il massacro degli alauiti a marzo, ma finora non si è realizzato.
Per al-Sharaa, che mirava a prendere il controllo di Suwayda e a ricondurre la provincia sotto l’autorità del governo centrale, è la prima vera sconfitta da quando ha assunto il potere. Al contrario, Netanyahu, nonostante la condanna dei Paesi arabi della regione, ha ottenuto, con poco sforzo, un successo considerevole, perché ha imposto con la forza la smilitarizzazione di una fascia di territorio strategicamente importante, vicino al confine israeliano, che si estende dalle alture del Golan fino ai monti a est di Suwayda. «La Siria – ha dichiarato Netanyahu in un video – aveva inviato il suo esercito a sud di Damasco in un’area che avrebbe dovuto rimanere smilitarizzata, e ha iniziato a massacrare i drusi. Non lo potevamo accettare»[17]. La sicurezza di Suwayda ora è affidata allo sceicco Hikmat al-Hijri, il più filoisraeliano fra i tre capi religiosi della provincia, il quale, a differenza degli altri che si mostrano più transigenti nei confronti del governo centrale, rifiuta ogni dialogo con Damasco.
Non va dimenticato che a fianco di al-Sharaa si è schierata buona parte del mondo islamico. Persino l’Iran, pur di andare contro Israele, ha parteggiato per Damasco. L’appoggio più consistente alla Siria viene dalla Turchia, che è il suo maggiore sponsor. Gli Stati Uniti, che hanno mediato per il cessate il fuoco, pur non condannando apertamente l’intervento israeliano, di fatto si sono allineati con la Siria, che ritengono centrale per ridisegnare un nuovo Medio Oriente secondo i loro interessi[18].
Nonostante il cessate il fuoco la regione è ancora attraversata da lotte intestine tra drusi e beduini; episodi di vendetta sono frequenti e mettono a repentaglio la fragile tregua raggiunta. Migliaia di persone, dopo gli episodi di violenza di metà luglio, hanno abbandonato le loro case e si sono spostate in luoghi più sicuri. La comunità internazionale, in particolare il mondo arabo, si adopera affinché la violenza settaria in Siria non faccia implodere la pacificazione nazionale voluta dal presidente ad interim al-Sharaa.
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[1] Cfr L. Cremonesi, «Israele colpisce anche Damasco. L’America spinge per la tregua», in Corriere della Sera, 17 luglio 2025.
[2] Cfr ivi.
[3] Cfr «Why did Israel strike Damascus?», in The Economist, 16 luglio 2025.
[4] F. Tonacci, «Israele, raid su Damasco per difendere i drusi: “Il regime è avvertito”», in la Repubblica, 17 luglio 2025.
[5] Cfr G. Sale, «I drusi. La dottrina religiosa e la storia recente», in Civ. Catt. 2024 III 503-514.
[6] Cfr L. Cremonesi, «I drusi, quella minoranza araba indipendente dall’Islam tra persecuzioni ed esclusione», in Corriere della Sera,18 luglio 2025.
[7] Cfr «Why did Israel strike Damascus?», cit.
[8] Sul fronte interno, i sostenitori di al-Sharaa hanno enfatizzato i «massacri dei beduini» nella provincia di Suwayda. Gli imam di quasi tutte le moschee hanno chiamato alla jihad e invitato i giovani a unirsi alle milizie sunnite per difendere i beduini. A tale richiesta hanno risposto 41 tribù arabe, che contano di arruolare fino a 50.000 combattenti. Ciò sta a significare che, nonostante il cessate il fuoco, la contrapposizione tra le comunità non cesserà e potrebbe esplodere in ogni momento. Cfr G. Stabile, «Siria, jihad e drusi divisi. Così al Sharaa conta di vincere», in La Stampa,19 luglio 2025.
[9] Cfr L. Cremonesi, «Perché la Siria attacca la minoranza? Quale strategia segue Netanyahu?», in Corriere della Sera, 17 luglio 2025.
[10] Cfr S. Khouri, «Le violenze ad Al Suwayda hanno radici profonde», in Internazionale,25 luglio 2025, 16.
[11] Cfr «Why did Israel strike Damascus?», cit.
[12] Cfr G. Sale, «I drusi. La dottrina religiosa e la storia recente», in Civ. Catt. 2024 III 514.
[13] L. Cremonesi, «Al Sharaa: Netanyahu ci destabilizza. Tregua violata, altri morti in Siria», in Corriere della Sera,18 luglio 2025.
[14] Cfr G. Colarusso, «Siria, al Sharaa via dalla regione drusa», in la Repubblica, 18 luglio 2025.
[15] Ivi.
[16] Cfr S. Khouri, «Le violenze ad Al Suwayda hanno radici profonde», cit.
[17] G. Colarusso, «Siria, al Sharaa via dalla regione drusa», cit.
[18] Cfr G. Stabile, «Siria, jihad e drusi divisi. Così al Sharaa conta di vincere», cit.
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