La supertintarella non ferma la nascita dei pianeti
Un nuovo studio condotto da una collaborazione internazionale – guidata da astronomi della Penn State University e di cui fa parte anche Veronica Roccatagliata, ricercatrice dell’Università di Bologna e associata all’Inaf Osservatorio di Arcetri – ha rivelato che i mattoni fondamentali per la formazione dei pianeti possono esistere anche in ambienti caratterizzati da intense radiazioni ultraviolette.
Utilizzando il James Webb Space Telescope (Jwst) e avanzate tecniche di modellazione termochimica, i ricercatori hanno analizzato un disco protoplanetario situato in uno degli ambienti più estremi della galassia. I risultati dello studio sono stati pubblicati il 20 maggio su The Astrophysical Journal.
Rappresentazione artistica di una regione di intensa formazione stellare nella nebulosa Ngc 6357, con il disco protoplanetario Xue 1 in primo piano. La regione è inondata da intensa luce ultravioletta proveniente da stelle massive, una delle quali è visibile nell’angolo in alto a sinistra. Utilizzando il telescopio spaziale James Webb, i ricercatori hanno dimostrato che i mattoni fondamentali per la formazione dei pianeti possono esistere anche in questi ambienti caratterizzati da radiazione ultravioletta estrema. Crediti: Maria Cristina Fortuna
Lo studio si concentra su una giovane stella di massa simile al Sole, chiamata Xue 1, situata nella Nebulosa Aragosta (Ngc 6357), una regione nota per ospitare oltre 20 stelle massicce – tra cui due tra le più grandi conosciute nella nostra galassia – forti emettitrici di radiazione ultravioletta (Uv)
«Per comprendere tutti gli aspetti della formazione dei sistemi planetari è importante studiarli nei loro diversi ambienti», spiega Roccatagliata a Media Inaf. «Molti sistemi planetari giovani si formano in presenza di alti livelli di radiazione Uv, in regioni di formazione stellare massicce. Un ottimo esempio è l’ammasso stellare Pismis 24 visibile all’interno della nebulosa Ngc 6357 a una distanza di circa 5.500 anni luce, in una bolla a bassa densità creata dalla forte radiazione e i venti stellari provenienti da numerose stelle massicce OB, tra le più massicce della Galassia. Per comprendere l’impatto sulla formazione planetaria di questa radiazione abbiamo selezionato 15 dischi protoplanetari in tre aree di Pismis 24, al variare della radiazione ultravioletta».
«Il paper di Bayron Portilla-Revelo presenta il primo modello termochimico completo (con il codice ProDiMo) per modellare i dati spettroscopici ottenuti con Jwst/Miri e la fotometria visiva/vicinoinfrarossa d’archivio per capire la struttura fisica di Xue 1, un disco protoplanetario attorno a una stella di tipo solare che si trova vicino ad alcune delle stelle più massicce di Pismis 24», continua Roccatagliata.
In particolare, combinando le osservazioni di Jwst con sofisticati modelli astrochimici, i ricercatori hanno identificato la composizione dei minuscoli granelli di polvere nel disco protoplanetario attorno a Xue 1, che alla fine cresceranno per formare pianeti rocciosi. Hanno scoperto che il disco contiene materiale solido sufficiente a formare potenzialmente almeno dieci pianeti, ognuno con una massa paragonabile a quella di Mercurio. Gli autori hanno inoltre determinato la distribuzione spaziale nel disco di una varietà di molecole precedentemente rilevate, tra cui vapore acqueo, monossido di carbonio, anidride carbonica, cianuro di idrogeno e acetilene.
Spettro della radiazione emessa dal disco protoplanetario Xue 1 (tramite spettroscopia a media risoluzione con Jwst/Miri) pubblicato nel 2023: luminosità in funzione della lunghezza d’onda, da 13,3 a 15,5 micron, con i picchi di acetilene, cianuro di idrogeno, acqua e anidride carbonica evidenziati. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Stsci, J. Olmsted (Stsci), M. C Ramírez-Tannus (Max Planck Institute for Astronomy)
Il disco protoplanetario attorno a Xue 1 è stato infatti oggetto di uno studio precedente, pubblicato nel 2023, che aveva già evidenziato la presenza di questi elementi. «Nel primo articolo su Xue1, nel 2023, Ramírez-Tannus et al. evidenziano come questa sia la prima volta che tali molecole vengono rilevate in queste condizioni. Questo risultato inaspettato implica che le condizioni per la formazione planetaria e gli ingredienti per la vita sono presenti anche in uno degli ambienti più estremi della Galassia. Ciò dimostra che le condizioni per la formazione di pianeti terrestri sono altrettanto probabili nelle regioni di formazione stellare di grande massa quanto in quelle di piccola massa», continua Roccatagliata.
«Ci si aspetta che queste molecole contribuiscano alla formazione delle atmosfere dei pianeti emergenti», dice Konstantin Getman, professore del Dipartimento di astronomia e astrofisica della Penn State e coautore dello studio. «Il rilevamento di tali serbatoi di polvere e gas suggerisce che i mattoni fondamentali per la formazione dei pianeti possano esistere anche in ambienti con radiazioni ultraviolette estreme».
Veronica Roccatagliata, ricercatrice dell’Università di Bologna e associata all’Inaf di Arcetri, fa parte di un team internazionale che studia l’effetto di un’alta radiazione ultravioletta sui dischi protoplanetari dove si formano pianeti, utilizzando il Jwst. Crediti: V. Roccatagliata
Inoltre, basandosi sull’assenza di alcune molecole che fungono da traccianti dell’irradiazione Uv nella luce rilevata dal Jwst, il team ha dedotto che il disco protoplanetario è compatto e privo di gas nella sua periferia. Si estende solo per circa 10 unità astronomiche dalla stella madre, all’incirca la distanza tra il Sole e Saturno. Questa compattezza è probabilmente il risultato del fatto che la radiazione Uv esterna erode le regioni esterne del disco.
«Un’altra conseguenza è il drastico aumento della temperatura del gas nella parte esterna del disco e l’aumento dell’abbondanza di acqua in fase gassosa», conclude Roccatagliata. «La superficie del disco è poi popolata da grani di polvere composti da silicati, come in dischi protoplanetari in zone di formazione stellare di bassa massa. Le scoperte fatte fin qui su Xue 1 implicano che le regioni più interne dei dischi protoplanetari sono resistenti all’irradiazione esterna e in grado di conservare gli ingredienti di base necessari per la formazione planetaria».
Secondo i ricercatori, lo studio di Xue 1 rappresenta un passo fondamentale nella comprensione dell’impatto della radiazione esterna sui dischi protoplanetari e pone le basi per future campagne di osservazione con telescopi spaziali e terrestri, volte a costruire un quadro più completo della formazione planetaria in diversi ambienti cosmici.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “XUE: Thermochemical Modeling Suggests a Compact and Gas-depleted Structure for a Distant, Irradiated Protoplanetary Disk” di Bayron Portilla-Revelo, Konstantin V. Getman, María Claudia Ramírez-Tannus, Thomas J. Haworth, Rens Waters, Arjan Bik, Eric D. Feigelson, Inga Kamp, Sierk E. van Terwisga, Jenny Frediani, Thomas Henning, Andrew J. Winter, Veronica Roccatagliata, Thomas Preibisch, E. Sabbi, Peter Zeidler e Michael A. Kuhn