L’Ucraina sta vincendo, ma ha bisogno di armi per fermare la Russia
Lo straordinario successo della controffensiva dell’Ucraina nella regione di Kharkiv ha fornito la prova conclusiva che le forze armate ucraine sono più che capaci di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia. Ora è il momento di porre fine alla guerra fornendo all’Ucraina tutto il necessario per consolidare queste conquiste e assicurarsi una vittoria decisiva. [...]
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Delitto ‘Via Poma’: perché se n’è occupa l’antimafia?
Lo dice la parola stessa: Commissione Parlamentare Antimafia, un organimo bicamerale, composto da 25 senatori e 25 deputati, con analogo potere di quello della magistrature, compreso quello di poter arrestare una persona, se si ravvisa il caso. Indaga, deve cercare di fare luce su quell oche hanno fatto e fanno la Cosa Nostra, la ‘ndrangheta, la [...]
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Elezioni 2022: la propaganda della Russia trova casa nei media italiani
Dall'invasione dell'Ucraina, l'Italia è diventata un rifugio per la disinformazione e la propaganda pro-Cremlino, sostiene 'Foreign Policy'
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Nuova fiammata tra azeri e armeni. Erdogan sfrutta le difficoltà di Putin
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 14 settembre 2022 – Nuova fiammata negli scontri tra azeri e armeni e nuova grana per il presidente russo Vladimir Putin, proprio mentre le sue truppe arretrano sotto i colpi della controffensiva dell’esercito ucraino, ampiamente sostenuto dalle armi e dal supporto della Nato.
La Russia, impegnata sul fronte ucraino non senza incontrare difficoltà, avrebbe tutto l’interesse alla massima stabilità nel quadrante dove da tempo svolge un complicato ruolo di paciere.
Ma l’Azerbaigian e il suo sponsor turco sembrano intenzionati a trarre il maggior vantaggio possibile dal precario equilibrio venutosi a creare dopo la vittoriosa aggressione militare di Baku nei confronti di Erevan dell’autunno del 2020. In pochi giorni, due anni fa, le truppe azere addestrate da consiglieri turchi e armate da Ankara e Israele (oltre che da Mosca, che pure tradizionalmente sostiene Erevan) hanno letteralmente sbaragliato le difese armene, conquistando tutti i territori che gli armeni avevano occupato nel conflitto del 1991/94 e recuperando anche una parte consistente della Repubblica di Artsakh nel Nagorno-Karabakh, territorio a maggioranza armena ormai ridotto all’osso e totalmente accerchiato da Baku.
Senza l’intervento di Mosca l’avanzata azera avrebbe potuto letteralmente cancellare l’Armenia dalla mappa. L’equilibrismo di Putin tra i due paesi e la capacità di dissuasione delle truppe russe, presenti in forze sul territorio armeno, convinsero il presidente azero İlham Aliyev ed Erdogan a fermarsi. Il cessate il fuoco del 10 novembre 2020, imposto da Putin dopo i fallimenti di Washington e Parigi, cristallizzò un equilibrio che sembrava congeniale a Mosca: da una parte un’Armenia mutilata, indebolita e divisa sempre più dipendente dalla Russia per la sua sopravvivenza; dall’altro un Azerbaigian, ormai estensione orientale della Turchia, asceso al ruolo di potenza regionale e interessato alle opportunità che l’aumento dell’influenza russa nella regione concedeva. Mosca, da parte sua, rafforzava la sua egemonia, potenziando la sua presenza militare e politica nel quadrante grazie allo schieramento di 2000 soldati russi incaricati di monitorare il rispetto del cessate il fuoco e un passaggio ordinato e pacifico a Baku dei territori strappati a Erevan dall’Azerbaigian.
Ma l’equilibrio raggiunto nel 2020 si è dimostrato assai più precario del previsto, e nell’ultimo anno e mezzo gli scontri armati e gli sconfinamenti delle truppe armene ed azere si sono moltiplicati e sono diventati più cruenti fino a sfiorare nelle scorse ore un nuovo conflitto su larga scala tra i due contendenti.
Dalla notte tra lunedì e martedì le scaramucce dei giorni precedenti si sono improvvisamente aggravate, e gli scontri al confine tra Armenia e Azerbaigian avrebbero causato un centinaio di morti equamente divisi tra le due parti, almeno stando ai bilanci forniti dai due paesi.
«Le forze azerbaigiane non cessano i loro tentativi di avanzare. Il nemico continua a usare artiglieria, colpi di mortaio, Uav e armi di grosso calibro in direzione di Vardenis, Sotk, Artanish, Ishkhanasar, Goris e Kapan, prendendo di mira infrastrutture sia militari che civili» denunciava ieri mattina il portavoce del ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan. Le autorità di Baku respingono le accuse e incolpano dell’escalation gli armeni, accusati di diffondere notizie false: «Le forze armate armene hanno commesso una provocazione su larga scala nelle aree di Dashkasan, Kalbajar e Lachin» recita un comunicato del ministero della Difesa azero.
Ieri intanto il governo armeno ha inviato un appello ufficiale all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), un’alleanza militare creata nel 1992 di cui l’Armenia è parte insieme a Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, oltre che al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per segnalare le nuove violazioni commesse dall’Azerbaigian.
Inoltre il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha informato la stampa di aver avuto dei colloqui telefonici diretti non solo con Vladimir Putin, ma anche col presidente francese Emmanuel Macron e con il segretario di Stato di Washington Antony Blinken, per denunciare «i dettagli delle azioni provocatorie e aggressive delle forze armate azerbaigiane contro il territorio sovrano dell’Armenia» e chiedere «una risposta adeguata da parte della comunità internazionale».
Il Consiglio di Sicurezza di Erevan ha anche chiesto esplicitamente l’aiuto militare di Mosca in virtù del Trattato di Amicizia, cooperazione e mutua assistenza esistente tra Russia e Armenia.
La Russia si è adoperata per imporre l’ennesimo cessate il fuoco tra i due eserciti, entrato in vigore alle 9 del mattino di ieri, che però è stato rispettato solo in parte. I combattimenti infatti sono continuati, anche se con minore intensità. Stamattina il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha accusato gli armeni di bombardare le proprie postazioni in diverse località; le autorità di Erevan hanno rivolto analoghe accuse alla controparte.
Già alla fine di agosto le forze armate di Erevan e Baku si erano scontrate con un’intensità maggiore rispetto alle continue scaramucce dei mesi precedenti. L’esercito azero si è impossessato della città di Lachin e dei vicini villaggi di Zabukh e Sus, di fatto eliminando il sottile corridoio che collegava la repubblica armena con l’Artsakh. Il passaggio di quei territori all’Azerbaigian era previsto dagli accordi mediati da Mosca, ma Baku ha voluto accelerare i tempi suscitando la reazione militare di Erevan. Secondo l’accordo del 2020 garantito dalla Federazione Russa, entro la fine del 2023 le parti avrebbero dovuto realizzare una via di comunicazione terrestre alternativa tra Erevan e Stepanakert, ma l’Azerbaigian ha violato i patti e ha imposto militarmente agli armeni di evacuare Lachin entro la fine di agosto, spostando con la forza il nuovo corridoio – che però non è ancora stato realizzato – a pochi chilometri a sud del precedente. Tutto è accaduto sotto lo sguardo vigile del contingente russo schierato nella regione, senza che però i militari di Mosca intervenissero in alcun modo.
Per ora non si segnala nessun intervento significativo della diplomazia internazionale nell’area. Così come la Russia, neanche USA e Francia vogliono e possono schierarsi troppo nettamente a favore di una delle parti in conflitto.
L’Armenia non può essere completamente abbandonata a se stessa, pena la sua implosione come stato nazionale e un netto rafforzamento dell’egemonia turca nell’area che nessuna delle tre potenze internazionali vede di buon occhio.
Ma d’altra parte nessuna delle tre diplomazie può spingersi troppo oltre nei confronti dell’Azerbaigian – e della Turchia – che dopo l’invasione russa dell’Ucraina svolge un ruolo ancora più centrale nella geopolitica del gas.
Ma è la Russia il paese che in questo momento potrebbe essere maggiormente danneggiata da un nuovo conflitto nell’area, che però non sembra essere in grado di stoppare del tutto. Mosca, che pure possiede due importanti basi militari in Armenia e non può rinunciare al proprio ruolo storico di protettrice del paese, non può però neanche permettersi di schierarsi troppo nettamente dalla parte di Baku, provocando una rottura con la Turchia, unico paese Nato che pur parteggiando apertamente per l’Ucraina ha evitato di schierarsi troppo nettamente dalla parte di Kiev pur essendo un membro dell’Alleanza Atlantica. Putin continua a sperare in uno sganciamento sempre maggiore di Erdogan dalla Nato e con Ankara la Russia intrattiene una complicata relazione di alleanza/competizione.
Un intervento più deciso di Mosca a favore dell’Armenia, inoltre, indispettirebbe alcuni delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale che aderiscono all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. La Russia non vuole perdere la sua relativa presa su Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, sempre più sensibili all’influenza politica, religiosa ed economica della Turchia e schierate più o meno nettamente a favore dell’Azerbaigian, provocandone l’uscita dal patto militare come è già avvenuto con l’Uzbekistan.
Baku e Ankara stanno quindi sfruttando la debolezza della Federazione Russa nell’area, aggravata dallo scenario ucraino, per ottenere vantaggi nella contesa con l’Armenia.
Domani e venerdì l’inquilino del Cremlino sarà a Samarcanda per partecipare al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, durante il quale incontrerà sia Xi Jinping – che nei giorni scorsi ha teso la mano a Putin con l’obiettivo di fondare un “mondo più giusto” – e Recep Tayyip Erdogan. Dovrà tentare di convincere il “sultano” a non tirare troppo la corda. Che ci riesca è tutto da vedere. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
LINK E APPROFONDIMENTI:
nena-news.it/la-solitudine-del…
aljazeera.com/news/2022/9/13/w…
theguardian.com/world/2022/sep…
reuters.com/world/asia-pacific…
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Come creare una password Wi-Fi difficile davvero
L’Italia è il terzo Paese al mondo più colpito da attacchi informatici. Nei primi mesi del 2022, infatti, sono state registrate 1838 attività di hacking, il 42% in più rispetto al 2021. Come si può, dunque, cercare di arginare questo problema? Sicuramente scegliendo con attenzione la password del Wi-Fi che, se intercettata, potrebbe permettere a [...]
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Difendiamoci
Può capitare che dopo avere detto di volere una cosa si finisca con il costruire l’esatto opposto. Guardate Putin, che boccaloni nostrani descrivevano come un grande stratega a capo di un’armata imbattibile: s’è mosso proclamando che l’Ucraina doveva essere neutrale e disarmata e si ritrova circondato da armate che reagiscono al suo imperialismo mistico, con Finlandia e Svezia che hanno smesso d’essere neutrali. La sola attenuante che i boccaloni possono invocare è un interesse materiale, perché quello intellettuale devono solo sperare sia dimenticato, con disinteresse.
L’unità europea (ed occidentale) è una delle chiavi di quel ribaltamento. Dobbiamo esserne orgogliosi. E il fatto che il principale partito d’opposizione al governo italiano, che quella unità contro l’aggressione putiniana ha voluto e difeso, mostri di condividerla deve renderci ancora più orgogliosi. Sebbene quel partito si trovi coalizzato con chi sostenne l’opposto, salvo votare l’opposto di quel che sosteneva.
Da questa parte del mondo, dove regna il diritto, la civiltà e la pace, dove nessuno si sogna di aggredire il vicino e dove è diffuso il benessere, si vive più sani e più a lungo di quanto mai sia capitato, si giocano partite decisamente meno cruente, eppure di grande significato e con riflessi decisivi sul futuro. Ma anche qui si assiste ad una eterogenesi dei fini, con la destra d’impostazione sovranista che, consapevolmente o meno, non fa altro che reclamare più Unione europea.
Dice Meloni, infatti, che si propone di realizzare un governo che difenda gli interessi italiani. Giusto. E lo dice con riferimento al tema del gas, reclamando il tetto al prezzo. Oramai l’identificazione con il governo Draghi sembra totale. Ma Draghi conosce la storia, che ad altri sembra sfuggire. L’Italia va difesa, in effetti, ma da certi politicanti italiani.
Tanto era chiaro che dalle questioni energetiche e dalle materie prime sarebbero dipese sia la pace che l’indipendenza, che il primo nucleo di Europa unita fu la Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Correva l’anno 1951. E tato era chiaro che l’energia del futuro sarebbe stata il futuro dell’Europa che nel 1957, in coincidenza con il Trattato di Roma, nasce Euratom.
L’Italia era molto avanti, nella ricerca per lo sfruttamento pacifico dell’energia nucleare, ma la convinzione comune era che gli investimenti sarebbero stati così rilevanti da consigliare la collaborazione fra Stati. Domanda: chi ci ha fatto fuori? I francesi, i tedeschi, chi è stato? Ci siamo fatti fuori da soli, perché in nome di un’ecologia retta dal petrolio uscimmo, a furor di popolo, dal settore in cui eravamo in vantaggio. Demagogia verde che ci lasciò al verde energetico, premessa della dipendenza dall’estero, che ora paghiamo. Difendiamo l’Italia, ma da questa roba italiota.
Ora vogliamo il tetto al prezzo del gas. Giusto. Un tetto che serve a fermare la corsa dei prezzi, ma che per funzionare ha bisogno che si abbiano fonti alternative. Meglio ancora se dentro casa. Gas nostro. Correva l’anno 2016, appena ieri mattina, e una manata di regioni di sinistra (8) e di destra (2) chiesero e ottennero un referendum contro le trivelle in Adriatico.
Le motivazioni erano e sono rimaste un classico della mitologia regressista: difendiamo la pesca (che si fa comunque, come si può vedere), difendiamo i nostri mari, difendiamoci dalle multinazionali. A gridarlo anche Fratelli d’Italia e la Lega. Il referendum manco raggiunse il quorum e la sola cosa da cui ci siamo difesi è dal gas italiano. L’Italia va difesa, da questa roba italiota.
Per quel che riguarda i fondi Recovery, siamo quelli che ne ricevono di più. In quanto al debito pubblico, senza l’argine della Banca centrale europea saremmo da tempo sommersi. Difendiamoci, quindi, ma da chi crede di potere fare errori in Italia e protestare perché non si rimedia a Bruxelles. Da chi protesta per la mancanza dell’Ue che ha avversato, sicché dovrebbe protestare allo specchio. Come se il parassita se la prendesse con la mela. La sovranità sia anche credibilità.
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Elezioni 2022: ‘Signora mia…’, una palla ben giocata, ma, appunto, una palla
Al 'Corriere', l’altra sera, c’era l’avatar di Meloni. Letta -che l'ha mandata fuori dai binari pronunciando la parola 'amore'- ha mostrato agli ascoltatori chi fosse e chi resti la vera Meloni
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Le sanzioni contro la Cina potrebbero portare il Regno Unito in acque agitate
In qualità di nuovo Primo Ministro del Regno Unito, Liz Truss intende designare la Cina come una ‘minaccia’ piuttosto che semplicemente come un ‘concorrente sistemico’. La sua designazione è coerente con l’ultima revisione della difesa del Regno Unito, che definisce la Cina ‘la più grande minaccia statale’ alla sicurezza economica del paese. Ci sono state [...]
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Ucraina: il momento di Pirro dell’Epiro di Putin?
Il Presidente russo Vladimir Putin ha fatto la sua carriera politica su rischi e scommesse, che nel loro insieme lo hanno aiutato a consolidare la sua posizione come uno degli uomini forti più temuti nella società internazionale. Attingendo dalla sua esperienza personale nell’apparato di intelligence, ha predetto la risposta globale lenta e minimalista alle brutali [...]
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Guerra energetica in Europa per il gas e il petrolio della Russia
Parallelamente al conflitto militare in Ucraina, è in corso una campagna altrettanto aggressiva per la fornitura di gas e petrolio dalla Russia. Il 5 settembre 2022, la Russia ha rinunciato alla pretesa che solo i problemi tecnici fossero responsabili della chiusura del gasdotto Nord Stream che riforniva di gas l’Europa. Il portavoce presidenziale Dmitri Peskov [...]
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Armenia – Azerbaigian: Nagorno-Karabakh nuovo fronte della ‘guerra mondiale a pezzi’?
La richiesta di aiuto dell'Armenia alla Russia in uno dei momenti più critici e pericolosi della guerra in Ucraina. La 'guerra mondiale a pezzi' sta diventando 'totale'
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Nel nome del figlio: un “tuffo” nei ricordi del passato
“Non è detto che l’autore ne sappia su sé stesso più del lettore” conferma Björn Larsson citando Calvino.
Ci guarda negli occhi, noi che siamo seduti sulle rosse poltroncine del Café Rouge del Teatro Parenti di Milano, aspettando che si sveli attraverso l’intervista. Invece, lo scrittore capovolge la situazione e come nel libro parla, anche se non sintatticamente, in terza persona. Parla “Nel nome del figlio”.
Guidata dalla sua voce e dal suo percorso leggo con lui quest’ultimo suo libro.
Come si racconta una storia senza storia? In che modo si ricorda qualcuno senza averne ricordi? Come si vive senza memoria?
Il “figlio”, di solo 8 anni, è svegliato in un sonno di fanciullo da un grido. “Dice che il padre forse è morto, forse è annegato. Dice anche, se ricorda bene, che possono piangere, che hanno il permesso di
piangere (ma avrà davvero detto così?)”.
Il figlio non piange né quella notte, né mai. Solo più tardi dirà di sentirsi sollevato e cercherà, tra i ricordi, la ragione di quel sollievo. Ma ricordi non ne trova. Sei li conta da adulto; sei i ricordi del padre, più la fotografia di un bel giovane di 29 anni. Per altro, sono ricordi fatti di niente.
Il figlio è uno scrittore. Un riconosciuto importante scrittore. Dal quel primo “Il Cerchio celtico“, al successo della “La vera storia del pirata Long John Silver“, passando attraverso numerosi romanzi e saggi, raccogliendo premi e attestazioni. Il figlio ha, quindi, una sorta di dovere nei confronti della storia del padre. Non è questo il suo mestiere? O forse si riconosce di più in quello di velista e sommozzatore o stimato docente? No. Non c’è scampo, scrivere è un destino. Compito del letterato è di narrare storie. Ma non tutte le vite, a meno che l’autore non voglia inventarle, possono diventare romanzo.
E quella del padre?
“Che impronta può aver lasciato nel mondo un semplice elettricista di Skinnskatteberg? C’è qualcosa che è cambiato per il solo fatto che avesse trascorso un breve istante su questa terra?”
Sei ricordi, probabilmente in parte falsati e ricostruiti come tutti i ricordi, sono pochi per una storia vera. Bisognerebbe fantasticare, immaginare fatti, pensieri, sogni. Rendere il padre protagonista di un romanzo, visto che non ha avuto l’occasione di esserlo di una vita.
Può il figlio in tutta onestà fare questo torto al padre? Forse in alternativa basterebbe parlare di sé stesso, rintracciare attraverso il legame di sangue somiglianze fisiche, di carattere o di pensiero. Tuttavia, Larsson ritiene che la genetica non è altro che una teoria, se si escludono le possibili
malattie, e che lui si riconosce nel padre, da quel che gli ha detto la madre, solo nell’atteggiamento di incurvare le spalle. Eppure sin da quando è adolescente ha creduto di dover scrivere quel poco che sapeva del padre. Dimman si intitolava il primo tentativo, il racconto inserito tra altri e pubblicato nel 1980, l’unico tra tutti in terza persona. L’autore non lo ha mai più riletto, malgrado ci abbia pensato non lo ha inserito in questo suo ultimo libro.
D’allora più o meno coscientemente ha continuato a chiedersi il perché della sua riluttanza a raccontare. Forse perché questo avrebbe fatto crollare le mura che si è costruito per sopravvivere intorno al dolore, la mancanza, l’angoscia? Forse perché avrebbe distrutto la serena visione della sua vita? Sappiamo già che Larsson non è incline a concedere affidabilità alle varie teorie scientifiche o psicologiche.
Meglio interrogare scrittori e pensatori del passato o contemporanei per confrontarsi. Meglio affidarsi alla scrittura che secondo lui non deve essere cronaca, scienza, copia. La storia, generale o personale, non è letteratura. Provare a inventare partendo da eventi realmente accaduti è un tradimento. E in fondo “a che serve?”.
Chi era il padre?
Il ragazzo che non aveva potuto continuare gli studi, ma aveva continuato ad avere un alto concetto di sé? L’elettricista ingegnoso di un brevetto sui cavi elettrici? Il sommozzatore esperto? L’uomo che gli aveva rotto il salvadanaio per pochi spiccioli di acquavite? L’eroe affogato per salvare due bambini o il cinico che aveva pensato solo a salvare la pelle? Il papà che lo invitava a salire in barca con lui il giorno della tragedia? Era un cacciatore di sogni o un calcolatore di realtà? Il figlio non sa e non ricorda.
Quello che sa è che la vita – “quest’unica vita che abbiamo. Non so voi, ma io la penso così” – è sacra e perderla precocemente è “un’ingiustizia totale”. Solo questo è ciò che appartiene realmente al padre, la “tragedia di una vita che si spegne”. Il resto, la memoria, i se fosse andata diversamente, la ricerca da dove o da chi veniamo, il dolore o il sollievo, tutto questo appartiene ai vivi, agli altri, al figlio.
Alla fine (o all’inizio) lo scrittore era consapevole che avrebbe scelto la verità, ossia non sapere, o la libertà, che poi è lo stesso. Lo sapeva che non avrebbe scritto per il padre ma per sé e soprattutto per tutti coloro che vivono senza radici biologiche o culturali, che vivono accettando i vuoti.
Per il lettore che chiudendo il libro annota che figlio e padre sono detti sempre in terza persona e con la lettera minuscola: perché ognuno di noi vi si possa riconoscere. Noi che ci eravamo adagiati all’idea che ogni inizio è nel nome del padre, invece, è nel nome del figlio.
Björn Larsson, Nel nome del figlio, Iperborea, 2021
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Il Regno Unito e l’eredità della Regina Elisabetta II
La Regina Elisabetta II ha segnato una distinzione definita per la sua nazione e il mondo. Simbolo di unità, saggezza, umiltà e grazia, ha tracciato una nuova era di dinamismo con valori e principi radicati come pilastri inflessibili centrali nel suo regno. Rimane come l’ultima manifestazione di una figura unita in Gran Bretagna, superando le [...]
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Putin e la nuova era della razza
Alla scuola di Dugin e Putin, sempre più Paesi che rientrano solo più nominalmente nell'orbita di UE e USA
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Elisabetta II: il monarca e il colonialismo britannico
Il ruolo della regina Elisabetta II nella storia del colonialismo britannico. In diverse ex colonie, diversi modi di considerarla e celebrarla
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L’Albania interrompe le relazioni con l’Iran, Washington applaude l’alleata Tirana
della redazione
Pagine Esteri, 9 settembre 2022 – Ha confermato il pieno sostegno degli Usa alle autorità di Tirana, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, durante il colloquio telefonico che ha avuto con il primo ministro albanese, Edi Rama, dopo il presunto attacco informatico che l’Iran avrebbe compiuto il 15 luglio scorso all’Albania. Le parti hanno concordato di rafforzare la difesa informatica dell’Albania e discusso delle “sfide regionali e globali della Nato” di cui l’Albania fa parte dal 2009. Gli Stati Uniti ieri hanno promesso che “intraprenderanno ulteriori azioni per ritenere l’Iran responsabile di azioni che minacciano la sicurezza di un paese alleato e creano un precedente preoccupante per il cyberspazio”.
La Nato ha condannato l’attacco informatico ai danni dell’Albania attraverso il suo segretario generale Jens Stoltenberg. Condanna alla quale si aggiunge quella del Consiglio del Nord Atlantico (Nac) che ha espresso solidarietà a Tirana.
Il governo dell’Albania ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran sostenendo, in un comunicato, che “il 15 luglio, il nostro Paese è stato oggetto di un grave attacco informatico, che aveva come obiettivo la distruzione dell’infrastruttura digitale del governo della Repubblica d’Albania, la paralisi dei servizi pubblici, nonché il furto di dati e comunicazioni elettroniche dai sistemi governativi. L’attacco non ha raggiunto il suo obiettivo. Rispetto agli obiettivi dell’aggressore, il danno può essere considerato minore. Tutti i sistemi sono stati ripristinati e nulla è andato irrimediabilmente perso”. Teheran però nega il suo coinvolgimento nell’attacco informatico e “condanna fermamente” la decisione dell’Albania di rompere le relazioni definendo “infondate” le accuse mosse da Tirana. Il ministero degli esteri iraniano definisce la scelta dell’Albania “un’azione sconsiderata e miope” e respinge le “azioni anti-iraniane” di Tirana.
I due paesi sono ai ferri corti da lungo tempo, in particolare per la decisione di Tirana di dare ospitalità a circa 3.000 uomini del movimento iraniano d’opposizione People’s Mojahedin Organization of Iran (PMOI), una organizzazione considerata “terrorista” dall’Iran. Pagine Esteri
Sul ruolo dell’Albania nella Nato e la sua crescente importanza per gli interessi statunitensi nei Balcani, vi invitiamo a leggere un articolo scritto a luglio dal nostro analista Marco Santopadre.
L’Albania si offre alla Nato come avamposto neiBalcani
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 12 luglio 2022 – Nonostante il suo ingresso nella Nato risalga già al 2009, l’Albania è rimasta a lungo in una posizione defilata e periferica rispetto al processo di riorganizzazione dell’alleanza militare capitanata da Washington nel continente europeo. Negli ultimi mesi, però, il governo della piccola repubblica balcanica ha deciso di candidare il paese ad un ruolo assai più attivo e strategico nello schieramento atlantista, approfittando anche delle tensioni causate dalla crisi ucraina e dall’invasione russa. Il vertice della Nato svoltosi alla fine di giugno, in particolare, ha costituito l’occasione per una serie di incontri che hanno ulteriormente accelerato il processo di riconversione di alcune delle installazioni militari già esistenti nell’Adriatico meridionale.
Rama offre la base navale di Porto Romano
In occasione dello storico summit di Madrid dell’Alleanza Atlantica, il primo ministro di Tirana, Edi Rama, ha dichiarato che il suo paese è impegnato in una serie di colloqui con i collaboratori di Jens Stoltenberg allo scopo di realizzare una base navale nei pressi di Durazzo, per destinarla ad offrire supporto logistico e militare alle operazioni della Nato nel Mediterraneo.
L’area prescelta è quella di Porto Romano e la realizzazione dell’installazione dovrebbe essere cofinanziata dall’Albania e dal Patto Atlantico; secondo la proposta del premier socialista, la realizzazione della base militare nel porto marittimo sarebbe a carico della Nato mentre dell’area commerciale si occuperebbe Tirana. Grazie all’ampliamento di quest’ultima, il nuovo porto mercantile di Durazzo diventerebbe il più importante del paese.
«Un incontro speciale tra il team di esperti albanesi e della Nato si terrà presto per svelare il progetto dettagliato e proseguire con ulteriori colloqui e discussioni sul progetto» ha affermato Rama nel corso di una conferenza stampa. Intanto con un comunicato l’Alleanza ha informato che il 13 luglio il segretario generale della Nato riceverà a Bruxelles il premier albanese.
Lavori in corso alla base di Pashaliman
Già a maggio Rama ha offerto all’Alleanza Atlantica l’utilizzo della base navale di Pashaliman, che si trova 180 km a sud della capitale. L’installazione, che Tirana si è impegnata ad ampliare ed ammodernare, è stata costruita negli anni ’50 nel quadro della cooperazione militare con l’Unione Sovietica. Fino alla rottura tra Enver Hoxha e Mosca, nel 1960-61, Pashaliman ospitò 12 sottomarini sovietici, che in seguito si ridussero a quattro. Dopo l’implosione del regime socialista l’area venne in gran parte abbandonata e poi saccheggiata durante gli scontri del 1997, per poi essere ristrutturata dalla Turchia; da allora viene utilizzata come approdo logistico per alcune navi militari dell’Albania e di altri paesi che pattugliano lo Ionio e l’Atlantico. «In questi tempi difficili e pericolosi, credo che la Nato dovrebbe prendere in considerazione l’idea di avere una base navale in Albania» ha spiegato Rama.
La base aerea di Kuçovë
In attesa di capire se Stoltenberg accetterà l’offerta di Tirana, la Nato ha comunque già avviato dall’inizio dell’anno i lavori per potenziare la base aerea di Kuçovë, 85 km a sud di Tirana, in modo che possa essere utilizzata dai caccia dell’Alleanza, che per ora ha deciso di investire nell’operazione circa 50 milioni di euro sulla base di un accordo che risale al 2018.
La base originaria – all’epoca la località era stata ribattezzata Qyteti Stalin (“Città di Stalin”) – venne realizzata tra il 1952 e il 1955, e fu utilizzata dal governo albanese per ospitare decine di caccia prima sovietici (MiG, Yakovlev e Antonov) e poi, dopo la rottura con Mosca, di fabbricazione cinese (Shenyang J-5 e J-6), alcuni dei quali sono stati impiegati fino al 2005. Poi negli anni ’90 l’area venne di fatto abbandonata e saccheggiata, finché tra il 2002 e il 2004 il campo d’aviazione di Kuçovë fu rinnovato e adeguato agli standard minimi della Nato.
Ora la vecchia base aerea nell’Albania centro-meridionale, che verrà estesa oltre i suoi 350 ettari attraverso un certo numero di espropri, diventerà una base operativa tattica della Nato – la prima dell’Alleanza nei Balcani occidentali – in grado di ospitare una squadriglia di caccia F-16. «La posizione del quartier generale avanzato in Albania fornirà una maggiore interoperabilità con i nostri alleati albanesi, un importante accesso agli hub di trasporto nei Balcani e una maggiore flessibilità logistica» recitava a gennaio un comunicato diffuso dal Comando per le operazioni speciali degli Stati Uniti in Europa (Soceur) basato a Stoccarda, in Germania.
Il 20 gennaio scorso a Kuçovë si è svolta la cerimonia di inaugurazione dei nuovi importanti lavori, alla presenza del primo ministro Rama, del Ministro della Difesa Niko Peleshi e dell’ambasciatrice degli Stati Uniti in Albania Yuri Kim. Come ha annunciato nel dicembre del 2021 Peleshi, la struttura è stata anche già scelta come quartier generale dell’Aviazione Militare albanese, al momento ridotta al lumicino e formata di fatto soltanto da alcuni elicotteri Cougar (in attesa di alcuni Blackhawk) ma da nessun caccia.
Il primo ministro socialista considera l’operazione una grande occasione per modernizzare e rafforzare le capacità operative delle forze armate albanesi e per accrescere il ruolo dell’Albania nell’Alleanza Atlantica e supportare la procedura di ingresso di Tirana nell’Unione Europea, approfittando di una fase segnata dall’aumento della conflittualità con Russia e Cina.
Un avamposto Nato contro Russia e Cina
Di fatto Tirana si candida a costituire un avamposto della Nato in grado di contenere le influenze di Mosca e Pechino su alcuni paesi dell’area come la Serbia, supportando al tempo stesso il processo di cooptazione nell’Alleanza di nuovi paesi dell’area come la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, dopo l’ingresso della Macedonia del Nord. In alcune sue dichiarazioni il titolare della Difesa Peleshi è stato molto esplicito: «La costruzione di questa base è un chiaro messaggio inviato ad altri attori con cattive intenzioni nella regione dei Balcani occidentali. (…) La crescente presenza occidentale in tutta la nostra regione non consentirà la penetrazione e l’influenza di questi rivali, che hanno programmi e interessi diversi da quelli in cui crediamo e condividiamo».
Stando alle stesse dichiarazioni di alcuni generali della Nato, si evince che l’Albania viene considerata un avamposto strategico per l’addestramento e il dispiegamento rapido delle forze speciali di Washington, da utilizzare nel corso di un’eventuale crisi bellica in tutta l’area balcanica.
«Grazie al supporto che stiamo trovando da parte delle strutture di difesa statunitensi, stiamo prendendo coscienza che se investiamo in modo intelligente e affrontiamo il nostro percorso di rafforzamento e miglioramento della qualità delle nostre forze militari, possiamo essere un valore aggiunto per la NATO, anche per eventuali altri progetti. Del resto, stiamo assistendo alla concretizzazione di qualcosa che, inizialmente, sembrava irrealizzabile» ha spiegato Rama, per il quale i progetti da realizzare in ambito Nato dovrebbero costituire un volano per lo sviluppo di varie opportunità di carattere economico e commerciale.
Proprio nei giorni scorsi, tra l’altro, il premier Rama ha annunciato la scoperta nel paese di importanti riserve di gas e di petrolio – ancora da quantificare – ad opera della compagnia energetica anglo-olandese Shell. Pagine Esteri
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Iran – Russia, avanti con cautela
I decisori a Teheran stanno sviluppando le relazioni Iran-Russia, ma sembrano attenti a non voltare le spalle completamente all'Occidente
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Regina Elisabetta II: tradizione e modernità
«Quando la vita sembra dura, i coraggiosi non si sdraiano e accettano la sconfitta, ma sono ancora più determinati a lottare per un futuro migliore». E’ una delle dichiarazioni più aderenti all’ immagine che di sé ha dato la Regina Elisabetta II, spentasi pacificamente all’età di 96 anni, l’8 settembre scorso, nella sua residenza di [...]
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Bonus casino: cosa bisogna sapere
‘Bonus’ termine molto, forse troppo, in voga. Si va dai bonus scuola a quelli sociali elettrico, gas, idrico, trasporti, psicologo, ecc…, insomma bonus erogati dallo Stato per il soddisfacimento delle necessità (es. gas) basilari del cittadino, fino ai bonus, diciamo così, ‘ricreativi’, erogati in quasi tutti i casi da privati. Tra i bonus ricreativi ci [...]
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Sarzana è nella triade delle esibizioni vincitrici del premio Ahi serva Italia! – Liguria Notizie
Sarzana è nella triade delle esibizioni vincitrici del premio Ahi serva Italia!, Dante di Shakespeare, dal romanzo di Monaldi & Sorti
Sarzana è nella triade delle esibizioni vincitrici del premio Ahi serva Italia! La gara di street theatre durante l’estate ha coinvolto ben 9 regioni italiane: Veneto, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna (in fondo i link alla copertura stampa e al materiale fotografico).
Oggi, nell’imminenza dell’anniversario dantesco del 14 settembre, data di morte del Poeta, sono stati resi noti i nomi dei tre vincitori e dei premi speciali.
Tra i tre vincitori del premio c’è la performance dell’attore Stefano Venarucci e di Sascia B (nome d’arte del giocoliere-fuochista Stefano Tatoli), la cui esibizione in concorso si è svolta il 27 agosto a Sarzana.
I premiati saranno chiamati a ritirare i riconoscimenti la sera del 1° ottobre al prestigioso Globe Theatre di Roma: per ognuno dei tre vincitori è pronto un prezioso “Dante di Shakespeare”, opera dell’illustratore Luca Tarlazzi, autore delle copertine dei libri di autori come Ken Follett, Andrea Camilleri e Valerio Massimo Manfredi: un originalissimo busto di Dante regge in mano, come fosse Amleto, il classico teschio, sul quale campeggia inaspettatamente un berretto da giullare.
La piccola scultura racchiude così in sé i tre simboli dell’iniziativa e del romanzo ispiratore: Dante, Shakespeare e il teatro di strada, mentre ai primi speciali è destinata una targa.
Il concorso Ahi serva Italia! – Dante di Shakespeare, patrocinato tra l’altro da Società Dante Alighieri e Fondazione Luigi Einaudi, vanta come testimonial il regista Pupi Avati e l’attrice Monica Guerritore ed è la prima competizione teatrale interamente basata su un libro: il romanzo Ahi Serva Italia! Dante di Shakespeare del duo Monaldi & Sorti (Solferino), la celebre coppia, nell’arte e nella vita, che la Guerritore ha applaudito come «art director della pagina scritta».
In una sorta di giro d’Italia nel segno della poesia e del teatro che unisce spettacolo, cultura e riscoperta del nostro patrimonio storico e paesaggistico, i concorrenti hanno rappresentato scene del libro nelle più belle strade, piazze e paesaggi delle città d’arte della penisola.
Dante e la Divina Commedia sono così diventati protagonisti di un dramma di Shakespeare, rappresentato in brevi spettacoli replicati nel corso della giornata, secondo la libera fantasia dei vari artisti di strada: attori, musicisti, mimi, acrobati, e anche vere e proprie icone dell’arte popolare come cantastorie e mangiafuoco.
Le motivazioni per i premi saranno rese note durante la cerimonia del 1° ottobre (inizio ore 21) al Globe Theatre, vero e proprio tempio del teatro shakespeariano nella capitale, voluto dal grande Gigi Proietti e da lui diretto fino alla morte.
Alla direzione del Globe, immerso nella meravigliosa coulisse naturale di Villa Borghese e copia dell’omonimo teatro londinese in legno ove il Bardo di Stratford rappresentò i suoi capolavori, siede adesso Nicola Piovani, il più grande compositore italiano vivente di musica da film, premio Oscar 1999 per La vita è Bella di Roberto Benigni e partner di grandi registi come i fratelli Taviani, Nanni Moretti, Mario Monicelli, Giuseppe Tornatore e Federico Fellini.
Anche per Piovani l’autore della Divina Commedia è stato motivo d’ispirazione con Vita Nova (2017), cantata per voce recitante, soprano e piccola orchestra basata sull‘omonimo capolavoro giovanile dantesco.
Il duo Tatoli-Venarucci si è esibito di fronte ad un folto pubblico a Sarzana, nel “cuore” cittadino di piazza Matteotti, e nel suggestivo chiostro del complesso di San Francesco, nello spettacolo Cuori in fiamme – Storia della tragica amicizia tra Dante Alighieri e Guido Cavalcanti, una sorta di indagine nella drammatica vicenda che lega i due poeti: Dante idealista, Guido invece malinconico e cinico.
Il testo recitato da Venarucci, che compone e rielabora brani dal romanzo di Monaldi & Sorti sulla toccante vicenda Dante/Guido, è stata “commentata” visivamente da Tatoli con uno show di giocolerie e figure disegnate con il fuoco, che descrivevano i nomi dei due poeti e le loro iniziali racchiuse in un cuore di fiamme verdi.
Come rievocano Monaldi & Sorti nella loro opera, Dante, una volta divenuto priore di Firenze, esiliò l’amico Guido nella cittadina ligure di Sarzana, dove si ammalò gravemente di malaria. Il 29 agosto del 1300 Guido esalò l’ultimo respiro, naufragando nella malinconia dell’esilio patito a causa dell’Alighieri. Di lì a poco anche il Poeta, cacciato da Firenze, avrebbe toccato con mano «come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale».
L’esibizione è stata preceduta da un’anticipazione di Tatoli e Venarucci a Montecatini, in quella Val di Cecina dove i Cavalcanti avevano terre, palazzi e miniere. Si è tracciato così un fil rouge che porta Guido Cavalcanti dagli anni del successo mondano e dell’amicizia col giovane Dante al drammatico epilogo che fornirà poi una scintilla narrativa decisiva alla Commedia.
La consegna dei premi ai vincitori di Ahi serva Italia! era prevista originariamente – in linea con la tradizione open air del teatro di strada – all’esterno del Globe di Roma per l’anniversario dantesco del 14 settembre, ma dinanzi al successo dell’iniziativa è arrivata l’offerta generosa del teatro di ospitare l’evento all’interno, e questo ha determinato lo spostamento a sabato 1° ottobre.
Gli altri vincitori del premio Ahi Serva Italia! – Dante visto da Shakespeare sono il cantastorie Daniele Mutino con l’ensemble I Musici della Storia cantata (esibizione tenuta a Benevento) e il trio formato dall’attore Silvano Vargiu con le danzatrici acrobatiche Luana Maoddi e Carlotta Zamuner (Cagliari). Riconoscimento a I Giovani di Casa Shakespeare nella categoria giovani (Verona), e premi speciali infine per il duo Cristina Ugolini e Riccardo Cecere (Ravenna) e il trio femminile Le Donne della Commedia (Firenze).
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Dante visto da Shakespeare, Verona vince il Premio Giovani – L’Arena
Risultato vincitore il nutrito ensemble veronese I Giovani di Casa Shakespeare
C’è Verona – la città per eccellenza di Dante e Shakespeare – tra i premiati di Ahi serva Italia! – Dante di Shakespeare, il premio nazionale di street theatre, basato sull’omonimo romanzo di Monaldi & Sorti, che per tutta l’estate ha coinvolto ben 9 regioni italiane: Veneto, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna. Oggi, nell’imminenza dell’anniversario dantesco del 14 settembre (data di morte del Poeta), sono stati resi noti i nomi dei premiati, e nella categoria giovani è risultato vincitore il nutrito ensemble veronese I Giovani di Casa Shakespeare, che saranno chiamati il 1° ottobre al prestigioso Globe Theatre di Roma per la cerimonia di consegna dei riconoscimenti.
Il concorso
Il concorso, patrocinato tra l’altro da Società Dante Alighieri e Fondazione Luigi Einaudi, vanta come testimonial il regista Pupi Avati e l’attrice Monica Guerritore ed è la prima competizione teatrale interamente basata su un libro: il romanzo Ahi Serva Italia! Dante di Shakespeare del duo Monaldi & Sorti (Solferino editore), la celebre coppia, nell’arte e nella vita, che la Guerritore ha applaudito come “art director della pagina scritta”.
I concorrenti hanno rappresentato scene del libro nelle più belle strade, piazze e paesaggi delle città d’arte della penisola. Dante e la Divina Commedia sono così diventati protagonisti di un dramma di Shakespeare, rappresentato in brevi spettacoli replicati nel corso della giornata, secondo la libera fantasia dei vari artisti di strada: attori, musicisti, mimi, acrobati, e anche vere e proprie icone dell’arte popolare come cantastorie e mangiafuoco.
Le motivazioni
Le motivazioni per cui la scelta è caduta sulla compagnia giovanile veronese verranno rese note durante la cerimonia del 1° ottobre (inizio ore 21) al Globe Theatre, vero e proprio tempio del teatro shakespeariano nella capitale, diretto dal grande Gigi Proietti fino alla morte. Alla direzione del Globe, immerso nella meravigliosa coulisse naturale di Villa Borghese e copia dell’omonimo teatro londinese in legno ove il Bardo di Stratford rappresentò i suoi capolavori, siede adesso Nicola Piovani, il più grande compositore italiano vivente di musica da film, premio Oscar 1999 per La vita è Bella di Roberto Benigni e partner di grandi registi come i fratelli Taviani, Nanni Moretti, Mario Monicelli, Giuseppe Tornatore e Federico Fellini.
Anche per Piovani l’autore della Commedia è stato motivo di ispirazione con Vita Nova (2017), cantata per voce recitante, soprano e piccola orchestra basata sull‘omonimo capolavoro giovanile dantesco. Casa Shakespeare, da parte sua, sotto la guida da Solimano Pontarollo è un punto di riferimento tradizionale del teatro shakespeariano a Verona e non solo. La consegna dei premi ai vincitori di Ahi serva Italia! era prevista originariamente – in linea con la tradizione open air del teatro di strada – all’esterno del Globe di Roma per il 14 settembre, anniversario della morte di Dante, ma dinanzi al successo dell’iniziativa è arrivata l’offerta generosa del teatro di ospitare l’evento all’interno, e questo ha determinato lo spostamento a sabato 1° ottobre.
L’esibizione vincitrice dei Giovani di Casa Shakespeare si è svolta il 12 agosto al Mura Festival. Il titolo è Recita di Messer Apuliese e de suoi Jullari d’alcuni passi della Commedia, presente l’autore Messer Alighieri. Lo spettacolo è tratto dal IV atto del romanzo di Monaldi & Sorti, in cui un giovane Dante Alighieri assiste alle prove della compagnia del capocomico di strada (realmente esistito) Ruggeri Apuliese, che mette in scena con i suoi guitti i primi abbozzi della Divina Commedia. Tutta la scena riecheggia il famoso episodio dell’Amleto in cui il protagonista partecipa alle prove di un gruppo di attori girovaghi. Lo spettacolo aveva una struttura particolarmente impegnativa: sul palco erano presenti Dante, il suo amico Vanni Virgilio, il gruppo d‘attori di strada e una compagnia di mimi, per un totale di ben 16 interpreti.
Gli altri vincitori
Gli altri vincitori del premio Ahi Serva Italia! – Dante di Shakespeare sono il cantastorie Daniele Mutino con l’ensemble I Musici della Storia cantata (esibizione tenuta a Benevento), il trio formato dall’attore Silvano Vargiu con le danzatrici acrobatiche Luana Maoddi e Carlotta Zamuner (Cagliari), il duo Stefano Venarucci – Sascia B, rispettivamente attore e giocoliere-fuochista (Montecatini VdC e Sarzana); premi speciali per il trio femminile Le Donne della Commedia (Firenze) e per il duo Cristina Ugolini e Riccardo Cecere (Ravenna).
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Investimenti digitali: in crescita il numero degli aspiranti trader
I trader, cioè le persone che operano sui mercati finanziari effettuando compravendite di titoli e di altri prodotti simili, sono in continuo aumento ormai da diversi anni anche in Italia. Le ultime statistiche ufficiali del settore, diffuse da CPE e dal Sole 24 Ore, risalgono al lontano 2019 e mostravano come già allora gli italiani [...]
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Gaza, un buon affare per l’Egitto
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 13 settembre 2022 – La ruspa fa avanti e indietro alla periferia meridionale di Gaza city. Il suo braccio afferra le macerie di un edificio colpito dall’aviazione israeliana nel 2021 e demolito solo di recente. E le scarica nel rimorchio di un autocarro alzando una nuvola di polvere. Ripete questi movimenti sotto lo sguardo di un ingegnere. Ci dicono che è un egiziano. «Salve, come va? Lei è del Cairo? Si trova bene a Gaza?». «No, sono del Delta. A Gaza sto bene, qui ci sono fratelli dell’Egitto». La conversazione va poco oltre. L’ingegnere non ha tempo e desiderio di conversare. Quella egiziana nella Striscia di Gaza è una presenza discreta ma significativa, soprattutto dallo scorso anno, quando il regime di Abdel Fattah el Sisi si è proposto di ricostruire quanto i bombardamenti israeliani avevano distrutto con 500 milioni di dollari. Fondi che, stando a quanto dicono da queste parti, passano per una porta girevole: escono (forse) dall’Egitto e rientrano in patria attraverso le imprese che eseguono i lavori.
Non è facile avere notizie certe. «Quello che è sicuro è che per le imprese egiziane lavorare qui è un buon affare. Gaza è povera e con tante necessità ma qui arrivano finanziamenti delle agenzie dell’Onu e di ong importanti», ci chiarisce Hassan, che, come ci hanno chiesto quasi tutte le persone con cui abbiamo parlato, preferisce non sia rivelato il suo cognome. Il tema «egiziano» è delicato. Le autorità di Hamas non vogliono noie di alcun tipo con il regime di El Sisi con il quale hanno instaurato, a partire dal 2018, buone relazioni dopo gli anni difficili seguiti allo scontro duro tra El Sisi e i Fratelli musulmani. «I leader di Hamas – spiega Hasan – hanno bisogno dell’Egitto, è un interlocutore fondamentale, è l’unica porta sul mondo che hanno a disposizione e devono mantenerla aperta. Per questo soddisfatti o scontenti che siano non sollevano obiezioni e si mostrano compiacenti nei confronti del Cairo». E preferiscono non ricordare che l’Egitto resta un partner di Israele nel mantenere il blocco di Gaza e che ha distrutto i tunnel sotterranei di contrabbando sul confine con il Sinai che (oltre alle armi) garantivano rifornimenti vitali. L’Egitto inoltre, da anni, è mediatore tra gli islamisti palestinesi e Israele e il mese scorso è stato decisivo, anche se i leader del movimento islamico non lo ammettono, per tenere Hamas fuori dallo scontro tra Israele e il Jihad islami.
Rispondendo nel suo ufficio a Gaza city alle nostre domande sul mancato intervento militare di Hamas a sostegno del Jihad, Basem Naim, che cura i rapporti del movimento islamico con la stampa estera, ci ha detto «non è vero che non abbiamo partecipato, abbiamo contribuito in altri modi a contrastare gli attacchi israeliani». A Gaza invece sostengono che è prevalsa «l’ala governista» di Hamas, favorevole ad ascoltare i «suggerimenti» dell’Egitto e interessata a consolidare il controllo di Gaza, alla luce anche dei bisogni crescenti di una popolazione in piena emergenza umanitaria a causa del blocco. L’ingresso in campo di Hamas avrebbe significato una nuova guerra totale con Israele e, tra le altre cose, la sospensione dei 20mila permessi di lavoro che Tel Aviv ha dato nei mesi scorsi ad altrettanti manovali di Gaza. Si tratta di una fonte di reddito importante per migliaia di famiglie palestinesi e un flusso di milioni di dollari che entra a Gaza. «Hamas – ci dice Ali, proprietario di un minimarket – sa che Israele e l’Egitto lo tengono in scacco ma non può permettersi di far chiudere il valico di Rafah (tra Gaza e l’Egitto) e di imporre a 20mila manovali di rinunciare al lavoro in Israele. I soldi che portano a casa fanno girare parecchie cose qui a Gaza, aiutano anche me, e (attraverso le tasse) finiscono in parte anche nelle casse del governo non ufficiale di Hamas».
E poi c’è ancora da realizzare la ricostruzione dopo i tanti attacchi militari israeliani dal 2008 a oggi. Se i bombardamenti aerei di inizio agosto hanno provocato ben 49 vittime (inclusi 17 bambini) tra i palestinesi ma relativamente pochi danni materiali, invece l’offensiva israeliana del maggio 2021 è stata distruttiva: 1.500 case ridotte in macerie, più di 1.700 hanno subito danni irreparabili insieme ad altre 17.000 parzialmente danneggiate. Un anno fa, poco dopo l’annuncio del cessate il fuoco, l’Egitto inviò a Gaza cibo, vestiti e medicinali. Poi sono arrivati autocarri, gru, ruspe e squadre di ingegneri. Il capo dell’Unione dei costruttori palestinesi, Osama Kahil, spiegò che l’aiuto egiziano sarebbe servito a realizzare 100.000 case oltre a fabbriche e scuole. L’esecutivo di Hamas ringrazia i fratelli egiziani ma girando per Gaza non si vedono tanti cantieri aperti come vorrebbero questi numeri.
«Il vero affare per gli egiziani è il valico di Rafah e ad averne il vantaggio maggiore è la società Abna Sina (Figli del Sinai)» avverte Abed, un reporter, «tutti i movimenti dei palestinesi di Gaza nel Sinai e attraverso il terminal di Rafah sono gestiti da Abna Sina che è dell’Esercito egiziano e include anche un figlio di El Sisi». Ogni anno molte migliaia di palestinesi di Gaza, pagando ognuno di loro centinaia di dollari, passano per Rafah. Vanno al Cairo per motivi di lavoro, di affari, di studio o per curarsi. «Parliamo decine di milioni di dollari che ogni anno entrano nelle casse di Abna Sina – aggiunge il giornalista – e chi sceglie il passaggio Vip per evitarsi attese di giorni nel Sinai, disagi insopportabili e di essere maltrattato dai soldati egiziani, deve bonificare alla Abna Sina 1.250 dollari». Abed sorride e commenta con amarezza: «Gaza, sotto blocco e con tutti suoi problemi, fa gli interessi economici degli egiziani. Israele ci osserva, fa le sue manovre e quando vuole ci colpisce». Pagine Esteri
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Elezioni 2022: il (non)dibattito tra i (non)leader Meloni – Letta
Scialbi, senza sentimenti visibili, senza progetti, disposti a tutto, privi di 'idee', anzi, post-ideologici, quei due non guidano, non conducono, non sono leader, e alla fine non dicono nulla
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Collegiate Milan North: la residenza più esclusiva per i giovani in Italia
Collegiate è l’impresa leader nelle residenze universitarie nel Regno Unito e ne gestisce circa trenta in tutta Europa. Studenti a Madrid, Lisbona, Cambridge o Londra scelgono Collegiate per godersi al massimo il loro percorso universitario. È da poco aperta la loro prima sede in Italia, proprio a Milano. Gli anni da studente universitario sono i [...]
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Regno Unito – USA: Elisabetta II ‘leale gestore’
Nei suoi settant’anni di regno, Elisabetta II è stata un elemento importante non solo nella costruzione dell’immagine della monarchia britannica, ma anche nel garantire la continuità della politica di Londra nella transizione fra i diversi governi. Questo vale anche nel caso dei rapporti con gli Stati Uniti. Quando Elisabetta accede al trono, il 7 febbraio [...]
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Elisabetta II e il ‘doppio corpo’ della Regina
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) God not Save the Queen. ‘Lillibeth’ è morta. The ‘London Bridge is down’, il Ponte di Londra è crollato, metafora [...]
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Fusione nucleare: un’analisi generale
Nel mese di febbraio di quest’anno, JET, una collaborazione internazionale con sede nel Regno Unito, ha annunciato un risultato molto importante nell’ambito della fusione nucleare. Un risultato che, oltre a rilanciare il dibattito teorico sulle fonti di approvvigionamento di energia, torna oggi di assoluta attualità a fronte delle difficoltà di approvvigionamento, e comunque dell’impennata dei costi dell’energia
Che cos’è la fusione nucleare?
I reattori a fusione nucleare sono una tecnologia dalle potenzialità enormi. Non sono dei reattori tradizionali (quelli di Chernobyl, o dei referendum sul nucleare, per intenderci). Questi ultimi si basano su un fenomeno fisico chiamato fissione nucleare: si prendono dei nuclei grossi (ad esempio l’uranio), e si fanno spezzare. Questi nuclei spezzandosi, rilasciano energia, che viene usata per scaldare acqua, che diventa vapore, che fa girare le turbine e produce corrente.
I reattori tradizionali hanno anche dei problemi però:
1) le fissioni, cioè i nuclei che si spezzano, devono essere controllate con attenzione, perché possono divergere, cioè andare fuori controllo (incidenti come Chernobyl o Three Miles Island);
2) producono rifiuti radioattivi;
3) in certi casi, possono essere usati per produrre Plutonio e quindi armi nucleari.
Nei reattori a fusione nucleare si usano invece nuclei leggeri (ad esempio idrogeno), e li si fonde in nuclei pesanti. È lo stesso fenomeno che avviene nel sole. Il processo di fusione rilascia energia, che potrebbe essere usata per scaldare acqua, che diventa vapore, che fa girare le turbine e produce corrente elettrica. La fusione è intrinsecamente sicura: non può andare fuori controllo perché senza intervento esterno si spegne. Non produce rifiuti (i prodotti della fusione sono nuclei leggeri, quindi non inquinanti. Esisterebbero dei rifiuti radioattivi, ma in misura molto minore dei reattori a fissione).
L’eventuale uso per scopi militari sarebbe molto più complicato.
In più, se si riuscisse a sviluppare una tecnologia di fusione basata su isotopi leggeri dell’idrogeno, il carburante sarebbe praticamente infinito: l’idrogeno può essere preso dall’acqua, e con delle quantità molto piccole potremmo ottenere quantità di energia sufficienti per alimentare tutto il mondo per secoli. Se riuscissimo a realizzare dei reattori a fusione stabili, saremmo vicini alla risoluzione di tutti i nostri problemi energetici. Avremo una sorgente di energia infinita, quasi totalmente pulita, intrinsecamente sicura, con carburante potenzialmente infinito.
Ma quali le difficoltà?
Il risultato presentato la scorsa settimana è una grande conquista, ma è per il momento solo una tappa. E’ un reattore sperimentale che ha prodotto una potenza molto piccola, molto lontana dalle centrali odierne. È una conquista perché’ fino a qualche anno fa eravamo in grado di sostenere un processo di fusione solo per una frazione di secondo, e ora siamo arrivati a cinque secondi, e non eravamo in grado di ricavarne energia, cioè per creare il processo di fusione occorreva più energia di quanta ne ricavassimo.
Adesso il bilancio è positivo, cioè ricaviamo energia, anche se molto poca. Realisticamente, ci vorranno decenni prima che questa tecnologia possa iniziare a essere utilizzata, forse molti decenni perché’ possa diffondersi su larga scala
Purtroppo non abbiamo tutto questo tempo. Siamo letteralmente su un treno in corsa lanciato a tutta velocità verso un burrone. I rapporti sul clima dell’IPCC (il pannello dell’internazionale sul cambiamento climatico) non ci lasciamo molto margine: il mondo rischia conseguenze molto gravi già al 2050.
Quindi purtroppo la fusione non ci salverà. Potrà essere utile e risolvere i nostri problemi energetici solo dopo che avremo risolto l’attuale serissima crisi climatica.
Che cosa fare nel frattempo?
Dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili, subito. Come si fa?
Migliorare i nostri comportamenti è necessario ma non sufficiente: possiamo provare a essere virtuosi, consumare di meno, ma il nostro mondo è così complesso che bloccare tutte le attività avrebbe conseguenze disastrose per la vita di moltissime persone, specialmente nei paesi con economie emergenti.
Possiamo rallentare un po’ l’accelerazione del treno in corsa, ma non è abbastanza.
Le energie rinnovabili?
Le energie rinnovabili possono dare un contributo, ma purtroppo non sono sufficienti. Negli ultimi trent’anni le tecnologie associate alle rinnovabili sono migliorate di poco.
La frazione energetica data dalle rinnovabili è cresciuta, ma non riesce coprire i nostri bisogni. Alcuni paesi sono riusciti a operare una transizione quasi completa verso le rinnovabili, ma sono quasi sempre casi particolari, dovuti a particolari caratteristiche del territorio e difficilmente esportabili ovunque.
Inoltre le rinnovabili hanno purtroppo un limite intrinseco, fisico, che non può essere sormontato con nessuna tecnologia.
Il capacity factor è la frazione di potenza che una centrale rinnovabile può produrre rispetto al suo massimo. Una centrale solare ha un capacity factor di circa il 15% in Italia, cioè può produrre solo il 15% della potenza in media rispetto al suo massimo (dovuto al fatto che di notte non c’è sole, il cielo può essere nuvoloso o altro).
Il capacity factor può cambiare in zone diverse del mondo, ma non molto, e non c’è tecnologia che tenga, questo fattore non può essere migliorato, perché dipende dalla natura. Ogni tipo di centrale elettrica ha un suo capacity factor, ma per le rinnovabili i fattori sono purtroppo bassi. Le reti elettriche non possono sostenere sbalzi di potenza troppo grandi tra giorno e notte, o tra giorni ventosi e non ventosi.
Qual è la soluzione?
Nella comunità scientifica si fa avanti sempre di più l’idea che forse dovremmo costruire centrali nucleari tradizionali e usare un portafoglio di nucleare e rinnovabile per i prossimi 50-100 anni per poi sperare di passare a centrali a fusione. India e Cina, ad esempio, stanno già costruendo molte nuove centrali nucleari. La Francia, che è già energeticamente indipendente e pulita all’80%, ha annunciato la costruzione di sei nuove centrali nucleari a fissione proprio qualche giorno fa.
In tutto il mondo occidentale il dibattito è intenso. La mia idea è che se si ha la casa in fiamme non sia il caso di mettersi a discutere di quale carta da parati mettere.
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Ucraina: la Russia affronta il dissenso nell’esercito
In numero crescente di soldati e civili ha scelto il dissenso. I critici all'interno dell'esercito stanno usando una varietà di tattiche, dalle campagne online alla diserzione
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Come la Regina Elisabetta II condusse l’Inghilterra fuori dall’Impero
Paradossalmente, la più tradizionale di tutte le istituzioni britanniche – i 70 anni di regno della Regina Elisabetta II – ha svolto un ruolo importante nell’aiutare ad agevolare la transizione della Gran Bretagna nel mondo contemporaneo. In parte il motivo è che proprio l’elemento di stabilità e rassicurazione culturale e psicologica fornito dalla monarchia ha [...]
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Regina Elisabetta II, monarca serva dello Stato
Gli Stati hanno superato e sostituito i monarchi come vera fonte di potere legale e militare nei rispettivi territori. Come i monarchi sono diventati servi dello Stato
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Come l’Occidente può aiutare l’Ucraina a trarre vantaggio dalla controffensiva di Kherson
Ecco tutto ciò di cui l'esercito dell'Ucraina ha bisogno
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Russia sconfitta nella guerra del gas contro l’Unione Europea
Una settimana dopo che il colosso energetico russo Gazprom aveva sospeso le esportazioni di gas verso la Germania tramite il Nord Stream 1, il 7 settembre il Presidente russo Vladimir Putin ha minacciato di tagliare le forniture rimanenti e di lasciare “l’Occidente al congelamento” se avesse tentato di limitare i prezzi del petrolio e del [...]
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