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Nella tenda del convegno


L’immagine biblica della tenda scandisce l’itinerario spirituale del libro, il cui scopo, come si legge nelle pagine conclusive, non è soltanto di esplorare dettagli a prima vista di difficile comprensione, ma soprattutto di favorire «una rinnovata consapevolezza del tesoro che già possediamo, così da poterne gioire ogni giorno» (p. 125).

La tenda è chiamata «dimora, santuario, tabernacolo», perché in essa era presente l’arca dell’alleanza. Luogo di incontro tra Dio e Mosè, la tenda è «figura della nostra anima, abitata dal Signore» (p. 14). Riportando in proposito un passo di san Tommaso (Summa Theologiae,I, q. 43, a. 5), si ricorda che con la grazia sacramentale la Trinità prende dimora nell’anima del credente, stabilendo una relazione intima perfetta, una cosa impossibile per l’amore umano.

Il viaggio di esplorazione mostra altri aspetti significativi: la tenda è fatta di bisso, all’esterno e all’interno della dimora (cfr Es 36,8-19; 38,9-20); non è trasparente, proprio come l’anima; è protetta da sguardi indiscreti, non solo esterni, ma anche nei confronti di sé stessa. Anche la presenza di Dio è nascosta, richiede la capacità di scendere in profondità e ascoltarne la voce.

L’interno del recinto sacro presenta tre altari: due interni alla dimora (la tavola dei pani e l’altare dell’incenso) e il terzo (l’altare degli olocausti) all’esterno. Essi indicano tre tappe progressive per accedere al mistero di Dio. L’olocausto ricorda l’importanza dell’offerta, perché la relazione con Dio non è mai alla pari: l’uomo è sempre debitore nei suoi confronti e avverte la necessità di restituire qualcosa, come espressione di gratitudine per i doni ricevuti. «Sacrificare» significa anche «rendere sacro». Ciò che si offre ritorna a Dio e appartiene a lui: può trattarsi di una cosa, di un animale, ma anche della propria vita; è questo il significato della consacrazione religiosa, dove «il dono presentato coincide con la persona che lo porta, facendo dono irrevocabile di sé stessa» (p. 46).

L’altare dell’incenso, insieme alle lampade del candelabro, esprime la necessità di una relazione con Dio che dura nel tempo e si esprime nella preghiera e nella liturgia. La sua importanza è mostrata dal fatto che l’altare è di oro puro, simbolo della divinità, mentre quello degli olocausti è rivestito di bronzo. I due elementi mostrano il salto di qualità dalla materia allo spirito: l’offerta dell’orante deve essere fatta con il cuore, consapevole dell’unicità del destinatario. Lo si comprende anche dalle minuziose prescrizioni sull’incenso e il profumo, che devono essere di un tipo particolare e non vanno utilizzati per altri scopi: sono come «una cosa santa in onore del Signore» (Es 30,37). La liturgia consente infatti di accedere allo spazio di Dio, uno spazio sacro (= separato), che non può essere paragonato a nessun altro luogo.

La tavola dei 12 pani è una prefigurazione dell’Eucaristia; comunicando a essa, come si è detto, Dio abita in noi e noi in lui. Inoltre, a differenza dei pani dell’offerta, essa è destinata a tutti, non solo ai sacerdoti. Un mistero così grande può trovare risposta solo nell’«adorazione» silenziosa, «il gesto di chi, sorpreso da qualcosa degno di grande rispetto, si porta la mano alla bocca (ad os in latino)» (p. 77).

Prima di accedere alla parte più intima della tenda, si richiedono ancora alcuni gesti preparatori, mostrati anch’essi visivamente: il bacino delle abluzioni e l’olio della consacrazione. Essi indicano la necessità di purificarsi, di rimuovere gli ostacoli alla relazione con Dio e la scelta di appartenere a lui: una scelta compiuta una volta per sempre.

Il pellegrinaggio trova la sua conclusione nel Santo dei Santi, una piccola cella separata dal resto della tenda da un velo e decorata con cherubini (cfr Es 36,35), un luogo tanto solenne quanto spoglio, specie dopo che l’arca dell’alleanza andò perduta in seguito alla distruzione del tempio di Salomone. Ma quello spazio vuoto simboleggia ancor più la realtà sfuggente e invisibile di Dio, e insieme presente nel cuore di ogni credente dal momento in cui il Verbo ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14).

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Gabriele Orlando reshared this.