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La mia vita a Tenerife? ☀️ Speranze e priblemi di un Malato Invisibile 🌫️🧍‍♂️❤️‍🩹.

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 17:

Ricordo il 2022 come un altro anno molto impegnativo. Oltre al cambio di lavoro, c'era ancora la pandemia ed era molto presente nelle nostre vite. Non riuscivo ad andare dai miei molto spesso, anche se ce ne sarebbe stato davvero molto bisogno, visto che il mio povero papà si era rotto un braccio cadendo sul ghiaccio; alla sua età non era un trauma da poco.

Guardando indietro a quel periodo, oggi faccio fatica a ricordarlo con precisione. Gli anni della pandemia, nella mia memoria, somigliano a una specie di frullato di ricordi. Faccio fatica a non percepirli come un qualcosa di unico, come se il tempo non fosse passato in quel periodo. Forse perché le giornate sembravano tutte uguali.

Ma i viaggi, quelli me li ricordo benissimo!

Si andava dove si poteva.

A gennaio a Ragusa, per vedere com'era l'inverno laggiù. La zona mi piacque molto, ma il clima non mi ha fatto stare bene. L'inverno lì era tiepidino, sì, ma anche tanto umido. E in estate, mi dicevano, si moriva dal caldo e dall'umidità, come in Emilia, se non peggio.

A marzo andai di nuovo alle Canarie per godermi la mia nuova macchina fotografica ed esplorare tutti gli angoli di Tenerife che ancora non conoscevo. Anche quella volta il suo clima mi fece stare molto bene, e cominciavo a guardarla con occhi diversi, quelli di chi iniziava a chiedersi: “Potrei vivere qui? Con quale professionalità? E in quale zona? E con quali soldi affrontare un trasferimento?”.

Sono tutte domande che chi vuole trasferirsi da qualche parte, qualsiasi parte, deve chiedersi. Figuriamoci per trasferirsi all'estero, e in particolare alle Canarie. E figuriamoci poi nella mia condizione.

Infatti guardavo l'isola valutando i vari paesi, anche in relazione alla distanza dall'ospedale e se fosse presente o meno un reparto di reumatologia.

Mi vedevo già in quella bolla di benessere, lontano da dove vivo ora, lontano da tutti quelli che conoscevo, ma finalmente senza dolore, coccolato da un clima perfetto: non troppo caldo in estate, ma non freddo d'inverno.

Ma poi, all'improvviso, una morsa fredda mi aveva stretto il cuore. Quel viaggio a Tenerife, in cui mi ero messo a fantasticare, è stato quello in cui ho aperto gli occhi sul mio sogno di un futuro migliore e ho cominciato a vedere le isole con una maturità interiore diversa. Non tutto è rose e fiori laggiù.

Da bambino sognavo di fare la rockstar, ma tre malattie invisibili hanno cambiato tutto. Oggi voglio far sentire il mio grido, che finora è rimasto muto, ma che deve essere ascoltato.

Questa è la storia di chi ha perso tanto, ma ogni giorno trova nuovi modi per farcela, in un mondo che non ha posto per i malati invisibili.

Ogni giorno che passa, migliaia e migliaia di persone si riversano alle isole Canarie, a causa della loro particolare bellezza e del loro clima da manuale. Probabilmente molti si sentiranno benebcome mi ci sento io, laggiù, e molti altri penseranno a quanto sarebbe bello viverci per sempre, coccolati dal sole tutto l'anno.

Probabilmente immaginano che vivere nell'arcipelago significhi andare in spiaggia tutti i giorni, a divertirsi estate e inverno, in un ambiente sociale rilassato e pieno di gente felice e allegra che vuole solo rilassarsi. Questo è ciò che immaginano tutti, ed è un'illusione in cui ero caduto anch'io all'inizio.

Grattando sotto la superficie, sia in quel viaggio che in tutti i successivi, sono arrivato a capire qual è la realtà. E la realtà è ben diversa.

Nelle ultime decadi, le isole Canarie sono state letteralmente prese d'assalto. Ogni anno milioni di turisti le visitano, attratti dai prezzi bassi (almeno fino a qualche anno fa) o dal clima. Milioni di europei passano da là: inglesi, francesi, italiani, belgi... chi più ne ha, più ne metta.

Il problema è che, a forza di metterne, in troppi hanno avuto la mia stessa idea.

Il settore edilizio ha praticamente fatto esplodere le isole principali di edifici, edifici e ancora edifici. Le isole maggiori sono al collasso. E intendo dire letteralmente.

Le infrastrutture non sono più sufficienti a contenere tutta quella popolazione in un territorio così piccolo e pieno di parchi nazionali.

Le autostrade sono estremamente trafficate e gli ingorghi sono praticamente costanti. I prezzi degli immobili sono lievitati fino all'inverosimile. Il cibo è sempre più costoso, visto che il 90% di ciò che si mangia e si beve – sì, anche l'acqua – viene importato.

Come se non bastasse, la regione delle isole Canarie è quella che, in tutta la Spagna, è la peggiore per possibilità di impiego e tenore di vita. Il poco lavoro che c'è è nel settore turistico, ormai saturo, e ci sono pochissime altre occasioni.

Vivere oggi alle isole Canarie significa abitare in un posto così lontano dall'Italia che, per raggiungerlo, ci vuole una giornata. Significa vivere in un posto con poca occupazione, con tanta disoccupazione, se vogliamo essere più chiari.

Ancora una volta avevo perso tutto. Ogni speranza di un futuro migliore era svanita.

Cosa mi aspetta ora? Non lo so. Ma so che una vita alle Canarie senza dolore è una prospettiva che vedo allontanarsi di più ogni giorno, a causa dei problemi che ti ho raccontato.

Devo viaggiare ancora per trovare altri posti che mi fanno stare bene, ma in cui è più facile vivere rispetto alle Canarie. Alcuni li ho già trovati: si tratta della Sardegna, della provincia di Murcia (all'interno, non sul mare) che si trova in Spagna, e un'isola della Croazia, l'isola di Krk (credo sia Cherso in italiano).

Speriamo che almeno questi posti restino come sono ora.

Come se tutto questo non fosse abbastanza, nell'estate del 2022 scoprii per puro caso che una collega aveva sintomi simili ai miei. Per la prima volta, dopo tanti anni, provai un senso di sollievo. Non dovevo spiegare nulla: lei sapeva già cosa sentivo.

“Anche tu hai l'artrite?” le chiesi.

E lei mi disse: “No, io ho la fibromialgia”.

Non sapevo neanche cosa fosse quella malattia, ne avevo solo sentito parlare vagamente, ma la collega descriveva il suo malessere con le stesse parole che avrei usato io per i miei.

Questa esperienza scatenò in me diversi ragionamenti. Anzitutto, cominciai a informarmi bene su cosa fosse la fibromialgia.

Sembrava un'altra cosa terribile.

Non appena capii di cosa si trattasse, compresi subito che molte persone che avevo conosciuto nella mia vita si trovavano nella stessa condizione della collega.

Semplicemente, descrivendomi come stavano, non avevano mai usato quella parola. Un'amica del mio paese, ad esempio, la madre di mia cognata e tante altre persone: tutte con gli stessi problemi. Affaticamento costante, dolore diffuso, mancanza di forza e rigidità articolare e muscolare. E, soprattutto, tanto, tanto dolore.

Una parte di me stava cominciando a capire che il problema mi riguardava, ma non avevo la forza per affrontare anche questo. I mesi passavano e non ci pensai. Ci sarei tornato sopra più avanti: avevo un'altra cosa a cui pensare.

Purtroppo, a fine aprile, in qualche modo presi il Covid, nonostante tutte le precauzioni. Fino a quel momento ero riuscito ad evitarlo e, invece, eccomi lì, ammalato di questa malattia strana e nuova e, per di più, con la mia condizione.

Non ho mai capito perché, ma quando ho una malattia molto forte, la psoriasi sparisce all'istante. Forse perché il sistema immunitario impazzito ha qualcosa di reale da combattere e allora si concentra su quello e non sulle mie articolazioni. Fatto sta che, per me, il Covid non è stato una passeggiata. Per i primi giorni la temperatura superò senza troppi problemi i 39 gradi, nonostante tutte le medicine. E quando dico “i primi giorni”, intendo due settimane. Poi si stabilizzò sui 38 per un'altra settimana, poi sui 37 e mezzo per un'altra ancora. E anche quando il tampone diventò negativo, cioè dalla terza settimana, avevo ancora qualche linea di febbre.

Rimasi a letto per tutto il tempo, a volte persino incapace di andare in bagno. Ricordo un dolore lancinante alla schiena, forte come quello che, vent'anni prima, mi aveva costretto all'immobilità per qualche giorno. In questo caso, forse, era ancora più forte. Potevo prendere soltanto del paracetamolo, perché in quel momento non si sapeva con esattezza se gli antinfiammatori avessero un senso nelle prime fasi della malattia. Dopo qualche giorno, però, li presi ugualmente, perché altrimenti non sarei riuscito ad alzarmi dal letto. Non sarei neanche riuscito a stare seduto sul gabinetto per il troppo dolore, figurati.

Nei mesi successivi alla “guarigione” — chiamiamola così — le cose non migliorarono. Non riuscivo a salire una scala senza fermarmi almeno due volte. Sul lavoro non ricordavo i cognomi dei colleghi che vedevo tutti i giorni, ma non ricordavo neppure i nomi. A tratti mi sembrava incredibile.

Prova a immaginare quanto è difficile ritrovare una mail, una qualsiasi mail, per esempio, senza ricordarti il nome, né l'oggetto, né chi te l'ha inviata, né il contenuto. Sai che esiste, sai che la devi trovare, ma non hai la possibilità di farlo. È stato un periodo difficilissimo, del quale ancora oggi sento le conseguenze.

Ci sono volte in cui non ricordo i nomi dei paesi intorno alla mia città, i nomi di persone con cui lavoro tutti i giorni, oppure indirizzi, eccetera. A volte vivo in un mondo tutto mio, in cui la mente è così offuscata e le percezioni esterne così amplificate e disturbanti che non riesco neanche a rendermi conto che sono in quello stato. Tutte le risorse mentali annaspano per cercare di capire qual è lo scopo, qual è l'obiettivo di quello che devo fare, senza riuscirci, senza neanche ricordare perché devo fare una certa cosa, o quale sia l'obiettivo.

Non ricordo i nomi dei programmi che uso o che ho usato in passato. E questo, per un informatico, purtroppo, viene visto come una cosa abbastanza grave. Per me, che la vivo, è chiaro che questa è una difficoltà, non incompetenza. Ma riuscirò a farlo capire all'esterno? Non si sa. Riuscire a farlo capire all'esterno è qualcosa di impossibile.

Nell'età della performance e della competizione, se non hai la risposta sempre pronta, ciò che viene percepito dall'altra parte è sempre che sei un incompetente.

E io sarei anche stufo di tutto questo. Ma è molto difficile sradicare queste convinzioni. È molto difficile far capire che un malato invisibile, pur con tutti questi problemi, rimane comunque una persona, ha un valore intrinseco e, soprattutto, non ha scelto lui o lei di avere questi problemi.

Con un po' di organizzazione e il giusto tempo può comunque fare il proprio lavoro.

Certo, sarebbe bello se le autorità riconoscessero la nostra condizione in qualche modo e ci dessero gli strumenti per affrontare la vita con le stesse possibilità di una persona sana.

Ad esempio, attraverso uno status di invalidità, che potrebbe incoraggiare le aziende a tollerare le nostre caratteristiche, ai loro occhi poco utili al business.

Ma questa è un'altra storia.

Mi auguro che le future generazioni non vivano tutto questo. Ma dipende anche da noi. Quanto siamo disposti a fare oggi affinché questa strana cultura che ci siamo creati cambi per sempre? Dipende anche da noi.

Io ho deciso di fare questo podcast per sensibilizzare le coscienze.

Condividerlo e parlarne, aquesto punto, spetta soltanto a te.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

#Blog #Noblogo #Artrite #ArtritePsoriasica #ArtritrReumatoide #MalatiInvisibili #Psoriasi #Podcast #PodcastItaliano #PodcastIfaliani #StorieVere #StoriaVera #MalattieCroniche #GoustiziaSociale #GRIDOmuto #IsoleCanarie #Canarie #VivereAllEstero #Salute #Tenerife


noblogo.org/grido-muto-podcast…


La mia vita a Tenerife?


La mia vita a Tenerife? ☀️ Speranze e priblemi di un Malato Invisibile 🌫️🧍‍♂️❤️‍🩹.

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 17:

Ricordo il 2022 come un altro anno molto impegnativo. Oltre al cambio di lavoro, c'era ancora la pandemia ed era molto presente nelle nostre vite. Non riuscivo ad andare dai miei molto spesso, anche se ce ne sarebbe stato davvero molto bisogno, visto che il mio povero papà si era rotto un braccio cadendo sul ghiaccio; alla sua età non era un trauma da poco.

Guardando indietro a quel periodo, oggi faccio fatica a ricordarlo con precisione. Gli anni della pandemia, nella mia memoria, somigliano a una specie di frullato di ricordi. Faccio fatica a non percepirli come un qualcosa di unico, come se il tempo non fosse passato in quel periodo. Forse perché le giornate sembravano tutte uguali.

Ma i viaggi, quelli me li ricordo benissimo!

Si andava dove si poteva.

A gennaio a Ragusa, per vedere com'era l'inverno laggiù. La zona mi piacque molto, ma il clima non mi ha fatto stare bene. L'inverno lì era tiepidino, sì, ma anche tanto umido. E in estate, mi dicevano, si moriva dal caldo e dall'umidità, come in Emilia, se non peggio.

A marzo andai di nuovo alle Canarie per godermi la mia nuova macchina fotografica ed esplorare tutti gli angoli di Tenerife che ancora non conoscevo. Anche quella volta il suo clima mi fece stare molto bene, e cominciavo a guardarla con occhi diversi, quelli di chi iniziava a chiedersi: “Potrei vivere qui? Con quale professionalità? E in quale zona? E con quali soldi affrontare un trasferimento?”.

Sono tutte domande che chi vuole trasferirsi da qualche parte, qualsiasi parte, deve chiedersi. Figuriamoci per trasferirsi all'estero, e in particolare alle Canarie. E figuriamoci poi nella mia condizione.

Infatti guardavo l'isola valutando i vari paesi, anche in relazione alla distanza dall'ospedale e se fosse presente o meno un reparto di reumatologia.

Mi vedevo già in quella bolla di benessere, lontano da dove vivo ora, lontano da tutti quelli che conoscevo, ma finalmente senza dolore, coccolato da un clima perfetto: non troppo caldo in estate, ma non freddo d'inverno.

Ma poi, all'improvviso, una morsa fredda mi aveva stretto il cuore. Quel viaggio a Tenerife, in cui mi ero messo a fantasticare, è stato quello in cui ho aperto gli occhi sul mio sogno di un futuro migliore e ho cominciato a vedere le isole con una maturità interiore diversa. Non tutto è rose e fiori laggiù.

Da bambino sognavo di fare la rockstar, ma tre malattie invisibili hanno cambiato tutto. Oggi voglio far sentire il mio grido, che finora è rimasto muto, ma che deve essere ascoltato.

Questa è la storia di chi ha perso tanto, ma ogni giorno trova nuovi modi per farcela, in un mondo che non ha posto per i malati invisibili.

Ogni giorno che passa, migliaia e migliaia di persone si riversano alle isole Canarie, a causa della loro particolare bellezza e del loro clima da manuale. Probabilmente molti si sentiranno benebcome mi ci sento io, laggiù, e molti altri penseranno a quanto sarebbe bello viverci per sempre, coccolati dal sole tutto l'anno.

Probabilmente immaginano che vivere nell'arcipelago significhi andare in spiaggia tutti i giorni, a divertirsi estate e inverno, in un ambiente sociale rilassato e pieno di gente felice e allegra che vuole solo rilassarsi. Questo è ciò che immaginano tutti, ed è un'illusione in cui ero caduto anch'io all'inizio.

Grattando sotto la superficie, sia in quel viaggio che in tutti i successivi, sono arrivato a capire qual è la realtà. E la realtà è ben diversa.

Nelle ultime decadi, le isole Canarie sono state letteralmente prese d'assalto. Ogni anno milioni di turisti le visitano, attratti dai prezzi bassi (almeno fino a qualche anno fa) o dal clima. Milioni di europei passano da là: inglesi, francesi, italiani, belgi... chi più ne ha, più ne metta.

Il problema è che, a forza di metterne, in troppi hanno avuto la mia stessa idea.

Il settore edilizio ha praticamente fatto esplodere le isole principali di edifici, edifici e ancora edifici. Le isole maggiori sono al collasso. E intendo dire letteralmente.

Le infrastrutture non sono più sufficienti a contenere tutta quella popolazione in un territorio così piccolo e pieno di parchi nazionali.

Le autostrade sono estremamente trafficate e gli ingorghi sono praticamente costanti. I prezzi degli immobili sono lievitati fino all'inverosimile. Il cibo è sempre più costoso, visto che il 90% di ciò che si mangia e si beve – sì, anche l'acqua – viene importato.

Come se non bastasse, la regione delle isole Canarie è quella che, in tutta la Spagna, è la peggiore per possibilità di impiego e tenore di vita. Il poco lavoro che c'è è nel settore turistico, ormai saturo, e ci sono pochissime altre occasioni.

Vivere oggi alle isole Canarie significa abitare in un posto così lontano dall'Italia che, per raggiungerlo, ci vuole una giornata. Significa vivere in un posto con poca occupazione, con tanta disoccupazione, se vogliamo essere più chiari.

Ancora una volta avevo perso tutto. Ogni speranza di un futuro migliore era svanita.

Cosa mi aspetta ora? Non lo so. Ma so che una vita alle Canarie senza dolore è una prospettiva che vedo allontanarsi di più ogni giorno, a causa dei problemi che ti ho raccontato.

Devo viaggiare ancora per trovare altri posti che mi fanno stare bene, ma in cui è più facile vivere rispetto alle Canarie. Alcuni li ho già trovati: si tratta della Sardegna, della provincia di Murcia (all'interno, non sul mare) che si trova in Spagna, e un'isola della Croazia, l'isola di Krk (credo sia Cherso in italiano).

Speriamo che almeno questi posti restino come sono ora.

Come se tutto questo non fosse abbastanza, nell'estate del 2022 scoprii per puro caso che una collega aveva sintomi simili ai miei. Per la prima volta, dopo tanti anni, provai un senso di sollievo. Non dovevo spiegare nulla: lei sapeva già cosa sentivo.

“Anche tu hai l'artrite?” le chiesi.

E lei mi disse: “No, io ho la fibromialgia”.

Non sapevo neanche cosa fosse quella malattia, ne avevo solo sentito parlare vagamente, ma la collega descriveva il suo malessere con le stesse parole che avrei usato io per i miei.

Questa esperienza scatenò in me diversi ragionamenti. Anzitutto, cominciai a informarmi bene su cosa fosse la fibromialgia.

Sembrava un'altra cosa terribile.

Non appena capii di cosa si trattasse, compresi subito che molte persone che avevo conosciuto nella mia vita si trovavano nella stessa condizione della collega.

Semplicemente, descrivendomi come stavano, non avevano mai usato quella parola. Un'amica del mio paese, ad esempio, la madre di mia cognata e tante altre persone: tutte con gli stessi problemi. Affaticamento costante, dolore diffuso, mancanza di forza e rigidità articolare e muscolare. E, soprattutto, tanto, tanto dolore.

Una parte di me stava cominciando a capire che il problema mi riguardava, ma non avevo la forza per affrontare anche questo. I mesi passavano e non ci pensai. Ci sarei tornato sopra più avanti: avevo un'altra cosa a cui pensare.

Purtroppo, a fine aprile, in qualche modo presi il Covid, nonostante tutte le precauzioni. Fino a quel momento ero riuscito ad evitarlo e, invece, eccomi lì, ammalato di questa malattia strana e nuova e, per di più, con la mia condizione.

Non ho mai capito perché, ma quando ho una malattia molto forte, la psoriasi sparisce all'istante. Forse perché il sistema immunitario impazzito ha qualcosa di reale da combattere e allora si concentra su quello e non sulle mie articolazioni. Fatto sta che, per me, il Covid non è stato una passeggiata. Per i primi giorni la temperatura superò senza troppi problemi i 39 gradi, nonostante tutte le medicine. E quando dico “i primi giorni”, intendo due settimane. Poi si stabilizzò sui 38 per un'altra settimana, poi sui 37 e mezzo per un'altra ancora. E anche quando il tampone diventò negativo, cioè dalla terza settimana, avevo ancora qualche linea di febbre.

Rimasi a letto per tutto il tempo, a volte persino incapace di andare in bagno. Ricordo un dolore lancinante alla schiena, forte come quello che, vent'anni prima, mi aveva costretto all'immobilità per qualche giorno. In questo caso, forse, era ancora più forte. Potevo prendere soltanto del paracetamolo, perché in quel momento non si sapeva con esattezza se gli antinfiammatori avessero un senso nelle prime fasi della malattia. Dopo qualche giorno, però, li presi ugualmente, perché altrimenti non sarei riuscito ad alzarmi dal letto. Non sarei neanche riuscito a stare seduto sul gabinetto per il troppo dolore, figurati.

Nei mesi successivi alla “guarigione” — chiamiamola così — le cose non migliorarono. Non riuscivo a salire una scala senza fermarmi almeno due volte. Sul lavoro non ricordavo i cognomi dei colleghi che vedevo tutti i giorni, ma non ricordavo neppure i nomi. A tratti mi sembrava incredibile.

Prova a immaginare quanto è difficile ritrovare una mail, una qualsiasi mail, per esempio, senza ricordarti il nome, né l'oggetto, né chi te l'ha inviata, né il contenuto. Sai che esiste, sai che la devi trovare, ma non hai la possibilità di farlo. È stato un periodo difficilissimo, del quale ancora oggi sento le conseguenze.

Ci sono volte in cui non ricordo i nomi dei paesi intorno alla mia città, i nomi di persone con cui lavoro tutti i giorni, oppure indirizzi, eccetera. A volte vivo in un mondo tutto mio, in cui la mente è così offuscata e le percezioni esterne così amplificate e disturbanti che non riesco neanche a rendermi conto che sono in quello stato. Tutte le risorse mentali annaspano per cercare di capire qual è lo scopo, qual è l'obiettivo di quello che devo fare, senza riuscirci, senza neanche ricordare perché devo fare una certa cosa, o quale sia l'obiettivo.

Non ricordo i nomi dei programmi che uso o che ho usato in passato. E questo, per un informatico, purtroppo, viene visto come una cosa abbastanza grave. Per me, che la vivo, è chiaro che questa è una difficoltà, non incompetenza. Ma riuscirò a farlo capire all'esterno? Non si sa. Riuscire a farlo capire all'esterno è qualcosa di impossibile.

Nell'età della performance e della competizione, se non hai la risposta sempre pronta, ciò che viene percepito dall'altra parte è sempre che sei un incompetente.

E io sarei anche stufo di tutto questo. Ma è molto difficile sradicare queste convinzioni. È molto difficile far capire che un malato invisibile, pur con tutti questi problemi, rimane comunque una persona, ha un valore intrinseco e, soprattutto, non ha scelto lui o lei di avere questi problemi.

Con un po' di organizzazione e il giusto tempo può comunque fare il proprio lavoro.

Certo, sarebbe bello se le autorità riconoscessero la nostra condizione in qualche modo e ci dessero gli strumenti per affrontare la vita con le stesse possibilità di una persona sana.

Ad esempio, attraverso uno status di invalidità, che potrebbe incoraggiare le aziende a tollerare le nostre caratteristiche, ai loro occhi poco utili al business.

Ma questa è un'altra storia.

Mi auguro che le future generazioni non vivano tutto questo. Ma dipende anche da noi. Quanto siamo disposti a fare oggi affinché questa strana cultura che ci siamo creati cambi per sempre? Dipende anche da noi.

Io ho deciso di fare questo podcast per sensibilizzare le coscienze.

Condividerlo e parlarne, aquesto punto, spetta soltanto a te.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

#Blog#Noblogo#Artrite#ArtritePsoriasica#ArtritrReumatoide#MalatiInvisibili#Psoriasi#Podcast#PodcastItaliano#PodcastIfaliani#StorieVere#StoriaVera#MalattieCroniche#GoustiziaSociale#GRIDOmuto#IsoleCanarie#Canarie#VivereAllEstero#Salute#Tenerife




🦠 Pandemia, 💉 vaccini anticovid, 🦵 artrite e 🌀 psoriasi: il mio 2020 da malato invisibile

“Ed ecco allora che mi si accese una lampadina: avrei dovuto viaggiare il più possibile. Da quel viaggio a Lanzarote e da tutti i precedenti e i successivi, soltanto un anno dopo, avrei fatto nascere una cosa bellissima: un canale YouTube.”

[...]

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 16:

In questo episodio ti racconterò il mio fantastico 2020 da malato invisibile.

L'argomento è delicato e complesso e lo affronterò come normale dal mio punto di vista. Ti chiedo di capirlo e di rispettarlo anche se la tua idea dovesse essere diversa dalla mia.

Alla fine del 2019 mi era ormai chiaro che l'artrite facesse parte della mia vita, anche se la diagnosi non era ancora certa, ma c'era solo un fortissimo dubbio. Continuavo ad assumere i rimedi ayurvedici e, anche se a volte avevo l'impressione che non facessero molto, notavo che se smettevo di prenderli le cose peggioravano sensibilmente, specialmente nelle articolazioni delle mani e dei piedi. Possiamo dire che la situazione precipitava, perché molte articolazioni non potevo più usarle da quanto facevano male.

In più, mi pareva che queste compresse mi dessero un certo brio a livello mentale, una sensazione di presenza nella realtà che non mi dispiaceva affatto e anzi mi aiutava molto, soprattutto nelle mie complicatissime giornate di lavoro. Avevo capito che se andavo in palestra e allenavo gambe, bacino e schiena, stavo bene per due, tre, quattro giorni. La ricetta per il successo sembrava facile: bastava continuare ad allenarsi e prendere le medicine ayurvediche, quelle pastiglie che il medico in India mi aveva suggerito di prendere tanti anni prima e poi riscoperte da mio fratello. Un'altra cosa che avevo capito era che io alle isole Canarie ci stavo veramente tanto, tanto bene.

Come ti dicevo, mi bastava allontanarmi dalla Pianura Padana per sentirmi molto meglio, ma in quell'arco un po' ovunque mi ci sentivo meglio che in qualsiasi altro posto del mondo. Ogni volta in cui ci tornavo, questa sensazione di benessere la percepivo sempre di più, non tanto perché la sensazione aumentasse, ma perché in Emilia la mia condizione di salute stava peggiorando visibilmente e quindi sentivo di più la differenza tra casa mia e le isole.

Specialmente in inverno, tra novembre e dicembre, ero stato nell'isola della Palma, una delle isole periferiche dell'arcipelago delle Canarie, e anche lì avevo beneficiato di questo effetto. Mi tornava il buon umore, il dolore e la psoriasi sparivano e potevo muovermi meglio, fare tanti sentieri che a casa non sarei mai riuscito a fare. Questo effetto benefico durava anche al mio ritorno per un mese; tornavo a stare bene anche in Italia. Cominciavo a capire perché in tanti si trasferissero nell'arcipelago. Da un lato, pensavo che fosse semplicemente l'effetto della vacanza e attribuivo tutto allo stress del lavoro che laggiù non c'era. Però qualcosa non tornava.

Come avevo già iniziato a pensare negli anni precedenti, anzitutto l'effetto positivo era immediato; cioè, intendo che già dopo 10 ore che ero sceso dall'aereo, il “Simone” angosciato dal dolore e dalla confusione mentale che viveva in Emilia Romagna scompariva senza lasciare traccia. Ma non solo, era come se quel Simone non fosse mai esistito, e ripensando a me stesso in Italia mi sembrava che quei ricordi non fossero miei.

Tornavo quello di un tempo, come ero da giovane, solare, sempre di buon umore. Era come se qualcuno mi togliesse di dosso all'improvviso una cappa dolorosa fatta di malessere, sofferenza, tristezza e confusione. Tornavo a splendere come il sole delle isole. Ottimo, pensavo, tornerò periodicamente nelle isole e in tutti gli altri posti che mi fanno stare bene e tutto questo mi aiuterà a combattere la mia condizione, qualsiasi sia il suo nome. Forte di questa convinzione, non avevo neanche fatto in tempo a tornare a casa che avevo già trovato un altro aereo a basso costo che mi avrebbe portato a visitare Gran Canaria qualche mese dopo. Non ero mai stato su quell'isola, ci sarei andato tra gennaio e febbraio del 2020.

Arrivato di nuovo nell'arcipelago, trovai anche a Gran Canaria le stesse condizioni benefiche che avevo già trovato alla Palma a novembre del 2019. Si stava anche lì perfettamente anche a fine gennaio, e l'acqua dell'oceano e il sole mi rimisero a nuovo entro poche ore. Mentre scoprivo quell'isola affascinante e rilassante, nelle televisioni e sui giornali locali si sentiva parlare di una cosa lontanissima, un virus che sembrava mietere diverse vittime e si stava diffondendo molto rapidamente. Memore degli stessi allarmi letti sulla stampa italiana a proposito della Sars qualche anno prima, non ci pensai troppo.

Il mare era così invitante! Così invitante che non ci pensai neanche un attimo a quel virus lontano. Era un piacere perdersi dentro quelle acque, godere del tepore del sole di gennaio ed esplorare le valli e i canyon di quell'isola bella. Mi faceva sentire di nuovo vivo, le mie mani si erano sgonfiate un pochino ed era anche sparita quella fastidiosissima sciatalgia. Insomma, stavo veramente molto bene.

Dopo un paio di giorni giunse la notizia che il primo ammalato di tutta la Spagna, contagiato proprio a causa del coronavirus cinese, si trovava nell'isola de La Gomera, un'altra isola dell'arcipelago vicinissima a me, proprio a due passi di distanza. Nonostante questo, continuavo a non pensarci troppo. Mi sembrava l'ennesima esagerazione della stampa, magari fatta per cavalcare l'onda di un argomento molto popolare. Non ci pensai nemmeno nel corso del viaggio di ritorno, quando durante lo scalo a Madrid mi ritrovai nella enorme H dell'aeroporto, dove arrivavano voli da tutto il mondo, Cina compresa. E neppure mi venne in mente nulla quando poche settimane dopo venne celebrato il 50° anniversario dei miei, con tanti invitati da diverse zone d'Italia. Nessuno di noi sapeva che la nostra vita sarebbe cambiata per sempre nel giro di poco tempo e che non ci saremmo più rivisti per un pezzo. E non ero neppure cosciente del fatto che, come ammalato di patologie croniche e reumatiche, stavo correndo un rischio molto più elevato di tutti gli altri.

Nel giro di poche settimane, la vita di tutti noi cambiò all'improvviso. Certamente te lo ricorderai anche tu benissimo. Prima Codogno divenne zona rossa e isolata dal resto del paese, poi i comuni limitrofi. Poi fu il turno dell'Emilia-Romagna. Visto che lavoravo in un ambiente sanitario, ovviamente ci vennero date alcune indicazioni su come comportarci e che cosa ci aspettava nelle settimane successive, o almeno quello che si pensava ci avrebbe aspettato nelle settimane successive. E fu una stima un po' ottimistica. Come informatico percepivo direttamente la fatica e la stanchezza degli operatori sanitari, che poi si riversava su di noi, perché le richieste di aiuto aumentarono a dismisura. La qualità della mia giornata lavorativa peggiorò drasticamente, così come quella di molti altri in Italia e in Europa. A un certo punto, io e i miei colleghi ci ritrovammo isolati. Ci separarono gli uni dagli altri, creando due gruppi di lavoro. Nessuno si sarebbe dovuto vedere di persona e ognuno avrebbe dovuto lavorare in una stanza da solo, condividendo soltanto il bagno con gli altri. In caso di contagio, si sperava che almeno uno dei due gruppi di lavoro sarebbe rimasto sano, consentendo dunque l'operatività ordinaria e straordinaria.

Chi vive in Emilia-Romagna sa benissimo cosa sia la Via Emilia: è sempre la più trafficata, qualsiasi città attraversi. Mentre prima della pandemia guardavo fuori dalla finestra del mio ufficio e vedevo una fila ininterrotta di macchine, in quei giorni vedevo passare una macchina ogni 10 minuti, forse. Ancora peggio del mese di agosto, quando la città si svuota, e all'improvviso un enorme silenzio. Questo grande silenzio che ti faceva notare chi non c'era, piuttosto che chi attraversava le strade, e che tutti erano a casa. Cercavo di andare poco in bagno e ogni volta ero un po' spaventato, perché toccare le varie superfici con le mani aperte a causa della psoriasi sicuramente mi esponeva a un rischio molto maggiore di altri. Avevo imparato bene da un medico come lavarmi le mani e così cercavo di tenerle pulite usando il sapone al posto del gel tutte le volte che potevo. Ci avevano anche fornito alcuni spray disinfettanti con cui pulivamo scrivanie e maniglie, pomelli, tutto ciò che si poteva. Chi di noi non era in ufficio lavorava da casa a settimane alterne. Alla fine, come tutti, cominciai a non vedere più nessuno: niente genitori, niente amici, niente colleghi, solo chi viveva con me. Inutile che entri troppo nel dettaglio, perché sai già cosa abbiamo vissuto tutti. Posso dirti però che da malato invisibile fu tutto più complicato. Avevo già capito prima di quel periodo che il mio sistema immunitario iperattivo e impazzito reagisce malissimo a qualsiasi tipo di virus o battere mi passi vicino. E poi, come ti ho appena detto, ti raccontavo che le mie mani sono costantemente spaccate a causa della psoriasi. In quel periodo era obbligatorio usare il gel disinfettante in qualsiasi ospedale, ufficio o negozio. Il gel è a base di alcool: immaginati di buttare alcool su una ferita aperta ogni volta, la stessa storia, tanto bruciore, ma non c'era modo di non farlo. O lo facevi o non entravi.

La pandemia e l'isolamento volevano dire anche lavoro da casa. Significava alzarsi dal letto per andare alla scrivania, lavorare lì tutto il giorno, staccarsi dalla scrivania, mangiare qualcosa, dormire e ricominciare da capo. Immagina come mi sentivo in tutta questa situazione: proprio io, abituato ad andare in palestra tre volte a settimana, io abituato a viaggiare, abituato a prendermi una pausa dal dolore e dalla sofferenza proprio viaggiando periodicamente. Ora non si poteva fare e chissà per quanto tempo. Mi sentivo in trappola, impotente, l'ennesima situazione è senza una via d'uscita. Che il mio benessere precario, fatto di integratori e viaggi alle Canarie e palestra, sarebbe finito per sempre. Sentivo ancora una volta di aver perso tutto. E in un certo senso è stato così, perché da quell'anno è iniziata la fase più veloce del mio declino e credo che dipenda anche dal fatto che all'improvviso non potevo più allenarmi. Può sembrare paradossale, ma in questa situazione terribile non so come l'esaurimento passò. Forse perché ero sempre più stanco e in qualche modo riuscivo a dormire un po' di più, non avendo molto altro da fare del resto. Forse ho trovato dentro di me risorse che neanche sapevo di avere. Forse è stata la situazione eccezionale, la consapevolezza che di fronte a qualcosa di enorme, di così grande, che i problemi di tutti i giorni non sembravano più così grandi. Davvero non lo so come sia successo. Fatto sta che a un certo punto, pure affaticato, pure in ansia per tutta la situazione, mi sono svegliato una mattina senza sentirmi depresso. E poi un'altra, e poi un'altra ancora. C'erano delle cose importanti che sentivo di dover fare. Era il momento di rimboccarsi le maniche.

Uno dei miei compiti era quello di tenere in piedi i sistemi informatici che consentivano ai medici di lavorare bene. Una volta mi venne chiesto di preparare dei tablet con sopra WhatsApp, Skype o applicazioni del genere. Moltissimi pazienti purtroppo stavano morendo nei reparti di terapia intensiva, isolati dal mondo esterno, magari perché in molti casi si trattava di anziani che non sapevano usare queste tecnologie e non le avevano installate sul loro cellulare. O magari erano persone che erano state portate lì d'urgenza, e chi le portava lì, visto che non stavano respirando, magari non si fermava a pensare di prendere il cellulare. I tablet che avrei dovuto fare avrebbero consentito loro di contattare i loro cari a casa e, da quanto so, per molti di loro è stata l'ultima volta. Forse in tutto questo avevo trovato uno scopo più grande, qualcosa di più grande di me, che mi aveva consentito di non pensare troppo a me stesso e alla mia situazione.

Dopo un'estate di semilibertà, in cui riuscì finalmente a guardare un paesaggio diverso sulle magnifiche Alpi italiane, fu il turno del Cilento, una spettacolare terra con poche persone che visitai i primi di ottobre. In quei giorni si potevano leggere già i sintomi di una nuova chiusura, che ci avrebbe di nuovo riguardati tutti entro poche settimane. Poi tutto tornò di nuovo come prima, come a fine marzo.

A fine anno però qualcosa cambiò: arrivarono i primi vaccini, insieme a un vago sentimento di speranza. Forse potevo riuscire a non ammalarmi e questa cosa mi dava un elemento di tranquillità in più, perché grazie al mio lavoro ero a conoscenza di tante morti, troppe. Su questo argomento di solito l'opinione pubblica si spacca. Io ti sto raccontando che cosa ha rappresentato per me il vaccino. Ho fiducia nella medicina e nella scienza e non ho pregiudizi nei confronti di questi farmaci, davvero nessuno. Ritengo che siano utili e anzi indispensabili. So che molti non condividono con me questa opinione e ci sta, perché siamo in un paese libero, ma questo è il mio podcast. Sono io che ti sto raccontando la mia vita, ti racconto di me e non potrei mai raccontare qualcosa di diverso da quello che penso davvero. Se la tua idea è diversa dalla mia, non è assolutamente un problema: basta che tu non cerchi a tutti i costi di convincermi che la mia idea è sbagliata.

Tutto ciò che ruotava attorno alle vaccinazioni mi tenne impegnato per molto tempo: report, analisi, condivisione di documenti, insomma tutto ciò che serviva allo scopo aveva la priorità e significava altro lavoro per me. Con l'arrivo dell'estate, però, cambiai lavoro. La sanità mi era bastata, tanto più che la situazione che mi portava a dei burnout sempre più frequenti sembrava non cambiare. La mia fatica era sempre di più, sia fisica che mentale, e il lavoro aumentava costantemente, nonostante la pandemia stesse pian piano acquistando la forma di una nuova normalità. Bene, sarei andato altrove, sperando in un ambiente più tranquillo. Un nuovo lavoro avrebbe dovuto comportare un calo dello stress, se non altro nel periodo del preavviso, e invece il mio corpo era sempre più dolorante, sempre più malessere, sempre più confusione mentale, e per uno che lavora con il cervello è quanto di peggio si possa immaginare.

Tornai allora in reumatologia. Una parte di me pensava che il fatto di trovarsi lì si trattasse di un errore di valutazione di qualche tipo. I malati di artrite che conoscevo stavano ben peggio di me. Magari i miei problemi potevano essere soltanto, che ne so, un tunnel carpale o qualcosa del genere. Ma dopo avermi ascoltato, il reumatologo mi prescrisse una risonanza magnetica, un'altra, e all'appuntamento successivo mi fece anche di nuovo una approfondita ecografia alle mani, ai piedi, ai polsi e alle caviglie. Ci volle quasi un'ora e mezzo. Alla fine venne emesso un altro terribile verdetto e questa volta definitivo:

ARTRITE PSORIASICA

“L'artrite psoriasica è una patologia cronica infiammatoria che colpisce le articolazioni e i tendini,

associata alla psoriasi, una malattia infiammatoria della pelle caratterizzata da lesioni cutanee arrossate

e ricoperte da squame. Questa malattia autoimmune può provocare dolore, rigidità articolare e gonfiore,

causando un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti.”

Fonte: Istituto Ortopedico Rizzoli. Ti lascio il link nella descrizione dell'episodio.

In maniera ancora più convinta, continuai a tenermi tutto dentro.

Anche se ne avessi voluto parlare, chi avrebbe capito davvero quello che avevo da dire? Chi mi avrebbe ascoltato? Le persone con cui ci ho provato non sono state in grado di capire e questo mi ha incoraggiato ancora di più a cercare di non parlarne con nessuno.

Arrivò di nuovo l'inverno e con lui quell'umidità fredda che riempie così spesso la nostra pianura; la nebbia che ti avvolge, e che non ti fa vedere a un metro; la pioggia scrosciante che sembra volerti annientare goccia a goccia; il grigio interminabile che a qualcuno piacerà anche, ma a me ricorda sempre gli inverni lunghissimi e bui del paese in cui avevo trascorso l'infanzia. Al giorno d'oggi ho un motivo in più per detestarlo: l'umidità. Qualsiasi tipo di dolore aumenta con l'umidità, a noi scatena dolori nuovi, inaspettati, che magari ti colgono nel sonno, proprio nel bel mezzo della notte. Sto parlando di dolori simili a nevralgie, che bruciano nelle articolazioni, che tu ti muova oppure no. A volte sembrano dolori pulsanti, sembrano pulsare. Tante volte ho avuto il privilegio di provare queste sensazioni fantastiche, e magari che qualche dito delle mani o dei piedi si bloccasse dal dolore, impedendomi così di usarlo.

Già ai primi di ottobre del 2021 non ne potevo più. Sentivo il corpo rattrappirsi come un pomodoro messo ad essiccare al sole. Il problema è che quel pomodoro ero io e sentivo tutto il processo. Nel frattempo, il gonfiore di tutto il corpo stava diventando insopportabile. E allora ricorsi all'unica terapia efficace che conoscevo: prenotai un viaggio per Lanzarote, la quinta delle isole Canarie che sarei andato a scoprire tra fine novembre e dicembre. Fu un viaggio indimenticabile: le fotografie si sprecavano in quei terreni che sembravano usciti direttamente dalla Luna. Come sempre, le isole mi avevano tolto il malumore, il dolore e il gonfiore. Quel sole caldo mi aveva allontanato dal buio della pianura e il suo effetto si sarebbe fatto sentire fino a dopo Natale almeno. O così speravo, perché in realtà l'effetto positivo delle isole durava sempre meno. Quando rientravo in Italia si esauriva sempre più in fretta ad ogni viaggio. Ormai avevo capito che avrei dovuto cambiare residenza se avessi voluto stare un po' meglio, perché la mia vita, la nostra vita, intendo mia e di chi sta come me, non è vita.

Ed ecco allora che mi si accese una lampadina: avrei dovuto viaggiare il più possibile, non soltanto per stare meglio lontano dalla pianura, non soltanto per fotografare tanto, cosa di cui mi stavo innamorando perdutamente. Avrei dovuto viaggiare per cercare una seconda casa, perché oggi la mia casa è l'Emilia, ma un domani no, non mi ci vedo qui e quindi chissà... Dobbiamo, come ti dicevo, creare le condizioni per essere felici e io queste condizioni le voglio creare, ci voglio provare.

Da quel viaggio a Lanzarote e da tutti i precedenti e i successivi, soltanto un anno dopo avrei fatto nascere una cosa bellissima: un canale YouTube in cui condivido tutta la bellezza che trovo nel mondo con chiunque lo voglia guardare. E lo faccio naturalmente a modo mio, per ciò che sono diventato osservando, ascoltando, riportando ciò che mi colpisce, soprattutto fotografando tanto. Dalla fine del 2022 mi sarei impegnato seriamente per alimentare questo canale, che ti invito ad andare a vedere. Si chiama “Il Simone Viaggiatore”. Se non lo conosci già, potrai trovare il link per visitarlo nella descrizione di questo episodio. Quello è un canale in cui cerco di riversare tutta la gioia che provo durante i miei viaggi e provo a trasmettere quanto sia appagante il contatto con la tranquillità dei luoghi naturali con pochi turisti, dove posso stare in pace con me stesso, a dimenticare tutti i miei problemi e a fotografare la bellezza del nostro pianeta. Se vedrai i miei video e ti sentirai così anche tu, allora avrò raggiunto il mio scopo: la condivisione di tutta questa bellezza. D'altra parte, qualcosa doveva pur sostituire l'enorme vuoto lasciato dalla perdita della musica, che niente fino a quel momento era riuscito a riempire, e quel canale è stato ed è ancora un grande aiuto per me, per cercare di indirizzare la mia vena creativa su qualcosa di bello e credo anche utile. Potessi più tenerlo, la testa mi scoppierebbe, piena di idee inespresse e di cose non dette. Spero che lo visiterai e capirai quanto sia importante per me.

Nel frattempo, stammi bene. Podcast pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia, non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

#podcast #podcastitaliano #MalatiInvisibili #Artrite #ArtritePsoriasica #ArtriteReumatoide #Fibromialgia #2020 #Pandemia #Coronavirus #Vaccini #VacciniAnticovid #Vaccinazioni #LockDown #Psoriasi


noblogo.org/grido-muto-podcast…


🦠 Pandemia, 💉 vaccini anticovid, 🦵 artrite e 🌀 psoriasi: il mio 2020 da malato...


🦠 Pandemia, 💉 vaccini anticovid, 🦵 artrite e 🌀 psoriasi: il mio 2020 da malato invisibile

“Ed ecco allora che mi si accese una lampadina: avrei dovuto viaggiare il più possibile. Da quel viaggio a Lanzarote e da tutti i precedenti e i successivi, soltanto un anno dopo, avrei fatto nascere una cosa bellissima: un canale YouTube.”

[...]

Se preferisci ascoltare anziché leggere, puoi trovare qui questa puntata del podcast, la numero 16:

In questo episodio ti racconterò il mio fantastico 2020 da malato invisibile.

L'argomento è delicato e complesso e lo affronterò come normale dal mio punto di vista. Ti chiedo di capirlo e di rispettarlo anche se la tua idea dovesse essere diversa dalla mia.

Alla fine del 2019 mi era ormai chiaro che l'artrite facesse parte della mia vita, anche se la diagnosi non era ancora certa, ma c'era solo un fortissimo dubbio. Continuavo ad assumere i rimedi ayurvedici e, anche se a volte avevo l'impressione che non facessero molto, notavo che se smettevo di prenderli le cose peggioravano sensibilmente, specialmente nelle articolazioni delle mani e dei piedi. Possiamo dire che la situazione precipitava, perché molte articolazioni non potevo più usarle da quanto facevano male.

In più, mi pareva che queste compresse mi dessero un certo brio a livello mentale, una sensazione di presenza nella realtà che non mi dispiaceva affatto e anzi mi aiutava molto, soprattutto nelle mie complicatissime giornate di lavoro. Avevo capito che se andavo in palestra e allenavo gambe, bacino e schiena, stavo bene per due, tre, quattro giorni. La ricetta per il successo sembrava facile: bastava continuare ad allenarsi e prendere le medicine ayurvediche, quelle pastiglie che il medico in India mi aveva suggerito di prendere tanti anni prima e poi riscoperte da mio fratello. Un'altra cosa che avevo capito era che io alle isole Canarie ci stavo veramente tanto, tanto bene.

Come ti dicevo, mi bastava allontanarmi dalla Pianura Padana per sentirmi molto meglio, ma in quell'arco un po' ovunque mi ci sentivo meglio che in qualsiasi altro posto del mondo. Ogni volta in cui ci tornavo, questa sensazione di benessere la percepivo sempre di più, non tanto perché la sensazione aumentasse, ma perché in Emilia la mia condizione di salute stava peggiorando visibilmente e quindi sentivo di più la differenza tra casa mia e le isole.

Specialmente in inverno, tra novembre e dicembre, ero stato nell'isola della Palma, una delle isole periferiche dell'arcipelago delle Canarie, e anche lì avevo beneficiato di questo effetto. Mi tornava il buon umore, il dolore e la psoriasi sparivano e potevo muovermi meglio, fare tanti sentieri che a casa non sarei mai riuscito a fare. Questo effetto benefico durava anche al mio ritorno per un mese; tornavo a stare bene anche in Italia. Cominciavo a capire perché in tanti si trasferissero nell'arcipelago. Da un lato, pensavo che fosse semplicemente l'effetto della vacanza e attribuivo tutto allo stress del lavoro che laggiù non c'era. Però qualcosa non tornava.

Come avevo già iniziato a pensare negli anni precedenti, anzitutto l'effetto positivo era immediato; cioè, intendo che già dopo 10 ore che ero sceso dall'aereo, il “Simone” angosciato dal dolore e dalla confusione mentale che viveva in Emilia Romagna scompariva senza lasciare traccia. Ma non solo, era come se quel Simone non fosse mai esistito, e ripensando a me stesso in Italia mi sembrava che quei ricordi non fossero miei.

Tornavo quello di un tempo, come ero da giovane, solare, sempre di buon umore. Era come se qualcuno mi togliesse di dosso all'improvviso una cappa dolorosa fatta di malessere, sofferenza, tristezza e confusione. Tornavo a splendere come il sole delle isole. Ottimo, pensavo, tornerò periodicamente nelle isole e in tutti gli altri posti che mi fanno stare bene e tutto questo mi aiuterà a combattere la mia condizione, qualsiasi sia il suo nome. Forte di questa convinzione, non avevo neanche fatto in tempo a tornare a casa che avevo già trovato un altro aereo a basso costo che mi avrebbe portato a visitare Gran Canaria qualche mese dopo. Non ero mai stato su quell'isola, ci sarei andato tra gennaio e febbraio del 2020.

Arrivato di nuovo nell'arcipelago, trovai anche a Gran Canaria le stesse condizioni benefiche che avevo già trovato alla Palma a novembre del 2019. Si stava anche lì perfettamente anche a fine gennaio, e l'acqua dell'oceano e il sole mi rimisero a nuovo entro poche ore. Mentre scoprivo quell'isola affascinante e rilassante, nelle televisioni e sui giornali locali si sentiva parlare di una cosa lontanissima, un virus che sembrava mietere diverse vittime e si stava diffondendo molto rapidamente. Memore degli stessi allarmi letti sulla stampa italiana a proposito della Sars qualche anno prima, non ci pensai troppo.

Il mare era così invitante! Così invitante che non ci pensai neanche un attimo a quel virus lontano. Era un piacere perdersi dentro quelle acque, godere del tepore del sole di gennaio ed esplorare le valli e i canyon di quell'isola bella. Mi faceva sentire di nuovo vivo, le mie mani si erano sgonfiate un pochino ed era anche sparita quella fastidiosissima sciatalgia. Insomma, stavo veramente molto bene.

Dopo un paio di giorni giunse la notizia che il primo ammalato di tutta la Spagna, contagiato proprio a causa del coronavirus cinese, si trovava nell'isola de La Gomera, un'altra isola dell'arcipelago vicinissima a me, proprio a due passi di distanza. Nonostante questo, continuavo a non pensarci troppo. Mi sembrava l'ennesima esagerazione della stampa, magari fatta per cavalcare l'onda di un argomento molto popolare. Non ci pensai nemmeno nel corso del viaggio di ritorno, quando durante lo scalo a Madrid mi ritrovai nella enorme H dell'aeroporto, dove arrivavano voli da tutto il mondo, Cina compresa. E neppure mi venne in mente nulla quando poche settimane dopo venne celebrato il 50° anniversario dei miei, con tanti invitati da diverse zone d'Italia. Nessuno di noi sapeva che la nostra vita sarebbe cambiata per sempre nel giro di poco tempo e che non ci saremmo più rivisti per un pezzo. E non ero neppure cosciente del fatto che, come ammalato di patologie croniche e reumatiche, stavo correndo un rischio molto più elevato di tutti gli altri.

Nel giro di poche settimane, la vita di tutti noi cambiò all'improvviso. Certamente te lo ricorderai anche tu benissimo. Prima Codogno divenne zona rossa e isolata dal resto del paese, poi i comuni limitrofi. Poi fu il turno dell'Emilia-Romagna. Visto che lavoravo in un ambiente sanitario, ovviamente ci vennero date alcune indicazioni su come comportarci e che cosa ci aspettava nelle settimane successive, o almeno quello che si pensava ci avrebbe aspettato nelle settimane successive. E fu una stima un po' ottimistica. Come informatico percepivo direttamente la fatica e la stanchezza degli operatori sanitari, che poi si riversava su di noi, perché le richieste di aiuto aumentarono a dismisura. La qualità della mia giornata lavorativa peggiorò drasticamente, così come quella di molti altri in Italia e in Europa. A un certo punto, io e i miei colleghi ci ritrovammo isolati. Ci separarono gli uni dagli altri, creando due gruppi di lavoro. Nessuno si sarebbe dovuto vedere di persona e ognuno avrebbe dovuto lavorare in una stanza da solo, condividendo soltanto il bagno con gli altri. In caso di contagio, si sperava che almeno uno dei due gruppi di lavoro sarebbe rimasto sano, consentendo dunque l'operatività ordinaria e straordinaria.

Chi vive in Emilia-Romagna sa benissimo cosa sia la Via Emilia: è sempre la più trafficata, qualsiasi città attraversi. Mentre prima della pandemia guardavo fuori dalla finestra del mio ufficio e vedevo una fila ininterrotta di macchine, in quei giorni vedevo passare una macchina ogni 10 minuti, forse. Ancora peggio del mese di agosto, quando la città si svuota, e all'improvviso un enorme silenzio. Questo grande silenzio che ti faceva notare chi non c'era, piuttosto che chi attraversava le strade, e che tutti erano a casa. Cercavo di andare poco in bagno e ogni volta ero un po' spaventato, perché toccare le varie superfici con le mani aperte a causa della psoriasi sicuramente mi esponeva a un rischio molto maggiore di altri. Avevo imparato bene da un medico come lavarmi le mani e così cercavo di tenerle pulite usando il sapone al posto del gel tutte le volte che potevo. Ci avevano anche fornito alcuni spray disinfettanti con cui pulivamo scrivanie e maniglie, pomelli, tutto ciò che si poteva. Chi di noi non era in ufficio lavorava da casa a settimane alterne. Alla fine, come tutti, cominciai a non vedere più nessuno: niente genitori, niente amici, niente colleghi, solo chi viveva con me. Inutile che entri troppo nel dettaglio, perché sai già cosa abbiamo vissuto tutti. Posso dirti però che da malato invisibile fu tutto più complicato. Avevo già capito prima di quel periodo che il mio sistema immunitario iperattivo e impazzito reagisce malissimo a qualsiasi tipo di virus o battere mi passi vicino. E poi, come ti ho appena detto, ti raccontavo che le mie mani sono costantemente spaccate a causa della psoriasi. In quel periodo era obbligatorio usare il gel disinfettante in qualsiasi ospedale, ufficio o negozio. Il gel è a base di alcool: immaginati di buttare alcool su una ferita aperta ogni volta, la stessa storia, tanto bruciore, ma non c'era modo di non farlo. O lo facevi o non entravi.

La pandemia e l'isolamento volevano dire anche lavoro da casa. Significava alzarsi dal letto per andare alla scrivania, lavorare lì tutto il giorno, staccarsi dalla scrivania, mangiare qualcosa, dormire e ricominciare da capo. Immagina come mi sentivo in tutta questa situazione: proprio io, abituato ad andare in palestra tre volte a settimana, io abituato a viaggiare, abituato a prendermi una pausa dal dolore e dalla sofferenza proprio viaggiando periodicamente. Ora non si poteva fare e chissà per quanto tempo. Mi sentivo in trappola, impotente, l'ennesima situazione è senza una via d'uscita. Che il mio benessere precario, fatto di integratori e viaggi alle Canarie e palestra, sarebbe finito per sempre. Sentivo ancora una volta di aver perso tutto. E in un certo senso è stato così, perché da quell'anno è iniziata la fase più veloce del mio declino e credo che dipenda anche dal fatto che all'improvviso non potevo più allenarmi. Può sembrare paradossale, ma in questa situazione terribile non so come l'esaurimento passò. Forse perché ero sempre più stanco e in qualche modo riuscivo a dormire un po' di più, non avendo molto altro da fare del resto. Forse ho trovato dentro di me risorse che neanche sapevo di avere. Forse è stata la situazione eccezionale, la consapevolezza che di fronte a qualcosa di enorme, di così grande, che i problemi di tutti i giorni non sembravano più così grandi. Davvero non lo so come sia successo. Fatto sta che a un certo punto, pure affaticato, pure in ansia per tutta la situazione, mi sono svegliato una mattina senza sentirmi depresso. E poi un'altra, e poi un'altra ancora. C'erano delle cose importanti che sentivo di dover fare. Era il momento di rimboccarsi le maniche.

Uno dei miei compiti era quello di tenere in piedi i sistemi informatici che consentivano ai medici di lavorare bene. Una volta mi venne chiesto di preparare dei tablet con sopra WhatsApp, Skype o applicazioni del genere. Moltissimi pazienti purtroppo stavano morendo nei reparti di terapia intensiva, isolati dal mondo esterno, magari perché in molti casi si trattava di anziani che non sapevano usare queste tecnologie e non le avevano installate sul loro cellulare. O magari erano persone che erano state portate lì d'urgenza, e chi le portava lì, visto che non stavano respirando, magari non si fermava a pensare di prendere il cellulare. I tablet che avrei dovuto fare avrebbero consentito loro di contattare i loro cari a casa e, da quanto so, per molti di loro è stata l'ultima volta. Forse in tutto questo avevo trovato uno scopo più grande, qualcosa di più grande di me, che mi aveva consentito di non pensare troppo a me stesso e alla mia situazione.

Dopo un'estate di semilibertà, in cui riuscì finalmente a guardare un paesaggio diverso sulle magnifiche Alpi italiane, fu il turno del Cilento, una spettacolare terra con poche persone che visitai i primi di ottobre. In quei giorni si potevano leggere già i sintomi di una nuova chiusura, che ci avrebbe di nuovo riguardati tutti entro poche settimane. Poi tutto tornò di nuovo come prima, come a fine marzo.

A fine anno però qualcosa cambiò: arrivarono i primi vaccini, insieme a un vago sentimento di speranza. Forse potevo riuscire a non ammalarmi e questa cosa mi dava un elemento di tranquillità in più, perché grazie al mio lavoro ero a conoscenza di tante morti, troppe. Su questo argomento di solito l'opinione pubblica si spacca. Io ti sto raccontando che cosa ha rappresentato per me il vaccino. Ho fiducia nella medicina e nella scienza e non ho pregiudizi nei confronti di questi farmaci, davvero nessuno. Ritengo che siano utili e anzi indispensabili. So che molti non condividono con me questa opinione e ci sta, perché siamo in un paese libero, ma questo è il mio podcast. Sono io che ti sto raccontando la mia vita, ti racconto di me e non potrei mai raccontare qualcosa di diverso da quello che penso davvero. Se la tua idea è diversa dalla mia, non è assolutamente un problema: basta che tu non cerchi a tutti i costi di convincermi che la mia idea è sbagliata.

Tutto ciò che ruotava attorno alle vaccinazioni mi tenne impegnato per molto tempo: report, analisi, condivisione di documenti, insomma tutto ciò che serviva allo scopo aveva la priorità e significava altro lavoro per me. Con l'arrivo dell'estate, però, cambiai lavoro. La sanità mi era bastata, tanto più che la situazione che mi portava a dei burnout sempre più frequenti sembrava non cambiare. La mia fatica era sempre di più, sia fisica che mentale, e il lavoro aumentava costantemente, nonostante la pandemia stesse pian piano acquistando la forma di una nuova normalità. Bene, sarei andato altrove, sperando in un ambiente più tranquillo. Un nuovo lavoro avrebbe dovuto comportare un calo dello stress, se non altro nel periodo del preavviso, e invece il mio corpo era sempre più dolorante, sempre più malessere, sempre più confusione mentale, e per uno che lavora con il cervello è quanto di peggio si possa immaginare.

Tornai allora in reumatologia. Una parte di me pensava che il fatto di trovarsi lì si trattasse di un errore di valutazione di qualche tipo. I malati di artrite che conoscevo stavano ben peggio di me. Magari i miei problemi potevano essere soltanto, che ne so, un tunnel carpale o qualcosa del genere. Ma dopo avermi ascoltato, il reumatologo mi prescrisse una risonanza magnetica, un'altra, e all'appuntamento successivo mi fece anche di nuovo una approfondita ecografia alle mani, ai piedi, ai polsi e alle caviglie. Ci volle quasi un'ora e mezzo. Alla fine venne emesso un altro terribile verdetto e questa volta definitivo:

ARTRITE PSORIASICA

“L'artrite psoriasica è una patologia cronica infiammatoria che colpisce le articolazioni e i tendini,

associata alla psoriasi, una malattia infiammatoria della pelle caratterizzata da lesioni cutanee arrossate

e ricoperte da squame. Questa malattia autoimmune può provocare dolore, rigidità articolare e gonfiore,

causando un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti.”

Fonte: Istituto Ortopedico Rizzoli. Ti lascio il link nella descrizione dell'episodio.

In maniera ancora più convinta, continuai a tenermi tutto dentro.

Anche se ne avessi voluto parlare, chi avrebbe capito davvero quello che avevo da dire? Chi mi avrebbe ascoltato? Le persone con cui ci ho provato non sono state in grado di capire e questo mi ha incoraggiato ancora di più a cercare di non parlarne con nessuno.

Arrivò di nuovo l'inverno e con lui quell'umidità fredda che riempie così spesso la nostra pianura; la nebbia che ti avvolge, e che non ti fa vedere a un metro; la pioggia scrosciante che sembra volerti annientare goccia a goccia; il grigio interminabile che a qualcuno piacerà anche, ma a me ricorda sempre gli inverni lunghissimi e bui del paese in cui avevo trascorso l'infanzia. Al giorno d'oggi ho un motivo in più per detestarlo: l'umidità. Qualsiasi tipo di dolore aumenta con l'umidità, a noi scatena dolori nuovi, inaspettati, che magari ti colgono nel sonno, proprio nel bel mezzo della notte. Sto parlando di dolori simili a nevralgie, che bruciano nelle articolazioni, che tu ti muova oppure no. A volte sembrano dolori pulsanti, sembrano pulsare. Tante volte ho avuto il privilegio di provare queste sensazioni fantastiche, e magari che qualche dito delle mani o dei piedi si bloccasse dal dolore, impedendomi così di usarlo.

Già ai primi di ottobre del 2021 non ne potevo più. Sentivo il corpo rattrappirsi come un pomodoro messo ad essiccare al sole. Il problema è che quel pomodoro ero io e sentivo tutto il processo. Nel frattempo, il gonfiore di tutto il corpo stava diventando insopportabile. E allora ricorsi all'unica terapia efficace che conoscevo: prenotai un viaggio per Lanzarote, la quinta delle isole Canarie che sarei andato a scoprire tra fine novembre e dicembre. Fu un viaggio indimenticabile: le fotografie si sprecavano in quei terreni che sembravano usciti direttamente dalla Luna. Come sempre, le isole mi avevano tolto il malumore, il dolore e il gonfiore. Quel sole caldo mi aveva allontanato dal buio della pianura e il suo effetto si sarebbe fatto sentire fino a dopo Natale almeno. O così speravo, perché in realtà l'effetto positivo delle isole durava sempre meno. Quando rientravo in Italia si esauriva sempre più in fretta ad ogni viaggio. Ormai avevo capito che avrei dovuto cambiare residenza se avessi voluto stare un po' meglio, perché la mia vita, la nostra vita, intendo mia e di chi sta come me, non è vita.

Ed ecco allora che mi si accese una lampadina: avrei dovuto viaggiare il più possibile, non soltanto per stare meglio lontano dalla pianura, non soltanto per fotografare tanto, cosa di cui mi stavo innamorando perdutamente. Avrei dovuto viaggiare per cercare una seconda casa, perché oggi la mia casa è l'Emilia, ma un domani no, non mi ci vedo qui e quindi chissà... Dobbiamo, come ti dicevo, creare le condizioni per essere felici e io queste condizioni le voglio creare, ci voglio provare.

Da quel viaggio a Lanzarote e da tutti i precedenti e i successivi, soltanto un anno dopo avrei fatto nascere una cosa bellissima: un canale YouTube in cui condivido tutta la bellezza che trovo nel mondo con chiunque lo voglia guardare. E lo faccio naturalmente a modo mio, per ciò che sono diventato osservando, ascoltando, riportando ciò che mi colpisce, soprattutto fotografando tanto. Dalla fine del 2022 mi sarei impegnato seriamente per alimentare questo canale, che ti invito ad andare a vedere. Si chiama “Il Simone Viaggiatore”. Se non lo conosci già, potrai trovare il link per visitarlo nella descrizione di questo episodio. Quello è un canale in cui cerco di riversare tutta la gioia che provo durante i miei viaggi e provo a trasmettere quanto sia appagante il contatto con la tranquillità dei luoghi naturali con pochi turisti, dove posso stare in pace con me stesso, a dimenticare tutti i miei problemi e a fotografare la bellezza del nostro pianeta. Se vedrai i miei video e ti sentirai così anche tu, allora avrò raggiunto il mio scopo: la condivisione di tutta questa bellezza. D'altra parte, qualcosa doveva pur sostituire l'enorme vuoto lasciato dalla perdita della musica, che niente fino a quel momento era riuscito a riempire, e quel canale è stato ed è ancora un grande aiuto per me, per cercare di indirizzare la mia vena creativa su qualcosa di bello e credo anche utile. Potessi più tenerlo, la testa mi scoppierebbe, piena di idee inespresse e di cose non dette. Spero che lo visiterai e capirai quanto sia importante per me.

Nel frattempo, stammi bene. Podcast pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia, non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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