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Professionalism:
Hiring professionals from KC Home Solutions offers professionalism in every service. They are trained and qualified and have years of expertise in the industry. They handle numerous types of home remodeling Leawood projects, including bathrooms, bedrooms, kitchens, living rooms, and more. Choose their services and obtain the most favorable results.
Insurance and Safety:
Safety is paramount in every field. Home remodeling projects often lead to certain risks, like wall accidents, electrical shocks, etc. So, hiring a professional from KC Home Solutions is a great option. They follow safety protocols and assure you that your place is safe.
Time-Saving:
Time is crucial in every individual's life! DIY projects consume more time than hiring an expert professional. That is why many people can opt for KC Home Solutions remodeling services. They deliver high-quality work at the given time.
Access to High-quality Supplies and Materials:
Another significant benefit of hiring experts from KC Home Solutions is that they provide proven results that meet your requirements. They use advanced tools and equipment, making their process easy to do. Plus, they have connections with many local suppliers and builders and get the materials without hassle.
Why Choose KC Home Solutions?
Choosing KC Home Solutions for residential remodeling Olathe services can be beneficial. It is a leading organization that has worked for many years. The expert team of professionals at this firm specializes in various services, including bathroom, bedroom, kitchen, and whole home remodeling.
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Orignal Source: bit.ly/4kUKH9j
SALMO - 133 (132)
INNO ALL'AMORE E ALLA CONCORDIA1 Canto delle salite. Di Davide.
Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme!
2 È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste.
3 È come la rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre.
_________________Note
133,1 L'olio profumato che tutto permea della sua fragranza e la rugiada che tutto avvolge nel suo manto di freschezza, diventano simboli della felicità che scaturisce dall’amore e dalla concordia nella comunità d’Israele e di tutti gli uomini.
133,2 Aronne: il sommo sacerdote, che veniva consacrato mediante l’unzione sul capo. La sua barba fluente non veniva mai rasata.
133,3 Ermon: alta montagna del Libano, sulle pendici meridionali della catena dell’Antilibano, al confine settentrionale della terra di Canaan.
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Approfondimenti
Amore fraterno, pace e prosperità Salmo sapienziale (+ motivi liturgici)
Il poeta per descrivere il vero amore fraterno usa le immagini suggestive dell'unguento prezioso, dell'olio e della rugiada sullo sfondo di un panorama palestinese brullo e assolato. Il salmo, di buona fattura, è del postesilio. Come tutti i canti delle ascensioni usa la tecnica della ripetizione graduale (vv. 2-3). Il metro nel TM è quello della qînâ (3 + 2 accenti). Il campo semantico e simbolico è spaziale, vegetale e liturgico.
Divisione: * v. 1: introduzione tematica; * vv. 2-3a: illustrazione del tema; * v. 3b: conclusione: benedizione e vita.
v. 1. «i fratelli»: questi sono sia fratelli di sangue, sia i fratelli della comunità israelitica.
v. 2. «È come olio profumato...» l'olio è indicato non per la sua funzione nutritiva, ma per quella cosmetica. Il riferimento è probabilmente all'olio dell'unzione del sommo sacerdote, che veniva arricchito da numerose essenze profumate (Es 30,22-33; 37,29). «barba di Aronne»: l'espressione si ripete due volte. Ciò oltre a essere un espediente dei “Salmi graduali”, dà plasticamente l'immagine dello scorrere abbondante e lento dell'olio della consacrazione sulla barba lunga e folta, perché mai tagliata (Lv 21,5), del sommo sacerdote Aronne.
v. 3a. «come rugiada dell'Ermon»: la rugiada suggerisce freschezza e vitalità, specialmente in una terra brulla come quella di Israele. La sua caduta è una benedizione (2Sam 1,21). «sui monti di Sion»: l'accenno a Sion è una sottolineatura teologica, espressa chiaramente nel v. 3b, per indicare che anche la rugiada proviene da Dio che siede nel tempio in Sion, fonte di benedizione e di vita.
v. 3b. «Là il Signore dona..»: lett. «Perché là...». È la motivazione del salmo e una professione di fede nel Signore. L'avverbio «là» si riferisce in inclusione anche al primo versetto, ove si esalta la fraternità. Perciò, intende il salmista, da Sion e dalla fraternità vera deriva la benedizione di Dio, fonte di vita.
(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
William Fitzsimmons - Gold In The Shadow (2011)
Quello che traspare fin dalle prime note di Gold in the Shadow è una particolare e marcata intimità. Lo stile dato dalla voce e dalla sonorità raffinata, lieve e crepuscolare di William Fitzsimmons, suggeriscono un viaggio emotivo nei meandri del suo, del nostro ‘essere’... (Continua a leggere: artesuono.blogspot.com/2014/07…)
Ascolta: album.link/i/1476081042
La Relazione Europea sulla Droga
La Relazione Europea sulla Droga 2025: Tendenze e Sviluppi presenta l'ultima analisi dell'EUDA sulla situazione della droga in Europa. L’ #EUDA è l’Agenzia dell’Unione europea sulle droghe (European Union Drugs Agency). È un organismo dell’ #UE con sede a Lisbona, operativo dal 2 luglio 2024, che ha sostituito il precedente Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze.
Concentrandosi sul consumo di droghe illecite, sui danni correlati e sull'offerta di droga, la relazione fornisce una serie completa di dati nazionali su questi temi, nonché sui trattamenti specialistici per la tossicodipendenza e sui principali interventi di riduzione del danno.
Il report fornisce una panoramica aggiornata sulla situazione delle droghe in Europa fino alla fine del 2024, evidenziando tendenze e sviluppi rilevanti per le politiche e gli operatori del settore.
Offerta, produzione e precursori La disponibilità di droghe illecite rimane elevata per tutte le sostanze. I dati del 2023 mostrano tendenze stabili nei sequestri e nei reati legati alla droga, con una produzione significativa e sequestri di precursori chimici.
Cannabis È la droga illecita più consumata in Europa. I dati includono prevalenza d’uso, richieste di trattamento, sequestri, prezzo, purezza e danni associati.
Cocaina Seconda droga più usata dopo la cannabis, con variazioni significative tra i paesi. Il report analizza uso, trattamento, sequestri, prezzo, purezza e danni.
Stimolanti sintetici Comprendono amfetamina, metamfetamina e catinoni sintetici. L’analisi copre uso, trattamento, sequestri, prezzo, purezza e impatti sulla salute.
MDMA Associata principalmente al contesto ricreativo e notturno. Il report esamina uso, sequestri, prezzo e purezza.
Eroina e altri oppioidi L’eroina è l’oppioide illecito più usato e causa un notevole carico sanitario. La situazione evolve, influenzando le strategie di intervento.
Nuove sostanze psicoattive Il mercato è dinamico, con nuove sostanze rilevate ogni anno. Include cannabinoidi sintetici, catinoni, oppioidi sintetici e nitazeni.
Altre droghe LSD, funghi allucinogeni, ketamina, GHB e protossido di azoto sono usati in Europa. Il report analizza uso, sequestri, trattamento e danni.
Uso di droghe per via iniettiva In calo negli ultimi dieci anni, ma ancora associato a gravi danni sanitari. Include dati su prevalenza e analisi dei residui nelle siringhe.
Malattie infettive correlate Chi si inietta droghe è a rischio di infezioni come HIV ed epatiti B e C. Il report fornisce dati aggiornati su queste infezioni.
Morti indotte da droghe Fondamentale per valutare l’impatto sulla salute pubblica. Include dati su overdose e sostanze coinvolte.
Trattamento con agonisti degli oppioidi È il trattamento specialistico più comune per gli utenti di oppioidi. Il report analizza copertura, accesso e percorsi terapeutici.
Riduzione del danno Comprende interventi per ridurre i danni sanitari, sociali ed economici. Include programmi con naloxone, stanze del consumo e trattamenti sostitutivi.
La pubblicazione è scaricabile qui edr-2025-full-book-6.06.2025-en.pdf
Volare basso
un volare basso s'invischia nella melassa d'infantili ricordi
quando la luna era lo scrigno dei sogni
e un'altalena dondolava corpi d'aria
a fare la vita leggera
3.4.25 . Giordano Genghini nel suo gruppo Facebook. “Ho apprezzato molto questo post (…) con la sua mirabile capacità di dire, o fare intuire, l’essenziale in pochissime parole, la “vita leggera” dell’infanzia è, e concordo, il tema centrale di questa bellissima lirica. In tale “vita leggera”, che qui ritorna negli “infantili ricordi”, tutto è magia (personalmente, però, non definirei, negativamente, “melassa” queste dolci immagini): ineffabilmente stupende sono le due metafore che, usando il minor numero possibile di parole, fanno rivivere tale passato, “quando la luna era / lo scrigno dei sogni” (e che meravigliosa allitterazione sonora, anche!) e quando “un’altalena dondolava / corpi d’aria”. Con due sole espressioni, caro Felice, hai riportato me – e, credo, molti altri tuoi lettori – nel tempo “leggero” della nostra infanzia, benché essa sia stata diversa per ognuno di noi. Altro che “melassa”: questo tuo testo è per me – e, credo, non solo per me – un dono di prezioso valore che, a mio avviso, solo una poesia straordinaria come la tua può offrire a chi ha ricevuto, senza alcun merito, la possibilità di comprenderla e di godere della tua magia di “creatore del linguaggio”. Molte grazie, dunque, per questo tuo post… “
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Tom Waits - Bas As Me (2011)
Bad as Me è il diciassettesimo album in studio del cantautore statunitense Tom Waits, pubblicato il 21 ottobre 2011 dalla Anti-Records. L'album è noto per essere stato registrato già nel febbraio 2011 e la sua uscita è stata annunciata ufficialmente il 23 agosto 2011 sul sito web ufficiale di Waits e su vari social network. Lo stesso giorno, la traccia che dà il titolo all'album, “ Bad as Me “, è stata pubblicata come primo singolo dell'album su iTunes. L'album è il primo album di Waits composto interamente da materiale nuovo in sette anni da Real Gone (2004). L'etichetta di Waits, aveva recentemente concordato un accordo di distribuzione con la Warner Music Group che consentiva loro di pubblicare l'album a livello internazionale. Questa segna la prima pubblicazione di Waits tramite l'organizzazione Warner dai tempi di Heartattack and Vine (1980). Alla sua uscita, Bad as Me ha ricevuto ampi consensi dalla critica. L'album è stato nominato per un Grammy Award come miglior album di musica alternativa. Dopo l'uscita, Bad as Me divenne il primo album di Waits nella top 10 negli Stati Uniti, raggiungendo il numero 6.
Ascolta: youtube.com/watch?v=hegZcz7Q-b…
1 anno di fuga dall'internet commerciale
Da dove sono partito
Circa un anno fa, a cavallo fra primavera ed estate 2025, ero in uno stato costante di disregolazione emotiva causato dall'uso compulsivo di Instagram e Reddit (e in parte X), per cui scelsi di andare alla radice del problema e tagliare via i social network commerciali: basta accesso costante a un flusso perpetuo di informazioni miste, strutturato in una forma tale da farmele ingurgitare senza ragionarci sopra e mirato a scandalizzarmi e farmi polemizzare sul nulla. Il passo successivo fu spostarsi su (quel che resta de) l'internet libero, con un profilo Mastodon, questo blog qua, e la riscoperta di newsletter e feed RSS, nel tentativo di riprendere io il controllo dei flussi di informazioni che mi raggiungono: nel tentativo di responsabilizzarmi e controllare io a che informazioni accedo, quando e come. La cosa è escalata al punto che, a una certa, ho distrutto Windows 10 dal mio portatile e ci ho montato su Linux Mint. Oggi, in ogni caso, mi rendo conto che ho davvero ancora tanto da fare.
Cos'ho imparato sinora
Riprendendo alcuni dei passaggi più interessanti di Hacking del sé, la chiave di volta del mio percorso è che devo ancora accrescere la consapevolezza di me stesso e il mio autocontrollo. In particolare:
- Ho imparato sulla mia pelle che davvero i mali del secolo sono la noia, la mancanza di focus, e la solitudine, perché pur essendomi sbarazzato degli spazi online più esplicitamente pensati per succhiarci via tempo ed energie (e preziosi dati monetizzabili), nondimeno non mi sono affatto liberato del doomscrolling: se ho davanti del tempo vuoto, più o meno lungo, o se voglio fare una pausa da un'attività, l'istinto automatico è ancora di tirar fuori il telefono per sfogliare e aggiornare all'infinito le cronologie di Mastodon, o le caselle e-mail, o i miei blog preferiti, o leggere e rileggere articoli di Wikipedia e TV Tropes che vanno a toccare sempre gli stessi pochi temi di mio interesse, magari più volte gli stessi fino a memorizzarne dei brani. Confesso di avere abbastaza schifo di questa mia incapacità di sganciarmi dal cellulare e dalla sua illusione di essere agganciato e partecipe ai fatti del mondo, e dedicare invece il mio spazio-tempo vuoto a un'attività continuativa, possibilmente analogica (ma su questo ci torneremo).
- Ho imparato che il mio autocontrollo informatico diventa decisamente migliore se riesco a metter via il telefono (tendenzialmente in carica sul comodino) e a lavorare sul computer, perché la maggiore “ergonomicità” del lettore di feed RSS mi permette di isolare l'accesso alle notizie sul suo software dedicato, e immergermi meglio su ciò che effettivamente voglio fare, che sia un lavoro in cloud via browser o uno locale con programmi locali. E ora che sono su Linux, non devo più sprecare le ore a tenere il computer accesso senza usarlo affinché installi gli abnormi aggiornamenti Microsoft.
- Ho imparato che compartimentare meglio gli ambienti del cyberspazio mi aiuta ad attenuare la “reperibilità 24/7”: seguendo uno spunto di Liberare il mio smartphone per liberare me stesso, sono riuscito a compartimentare i miei strumenti informatici fra modalità lavorativa e modalità personale: le credenziali della piattaforma Google con cui lavoro sono state relegate a un profilo utente apposito sul cellulare, e a un browser dedicato sul computer (Chromium, contrapposto al Firefox per uso personale), e in tal modo sono io a cambiare nome utente o browser, in modo da decidere quando dedicarmi al lavoro e quando ai fatti miei. Certamente, resta il problema che su telefono non ho ancora saputo snellire e scremare le funzionalità “personali” in modo da non cadere in meccanismi di dipendenza (vedi sopra).
- Ho imparato che la decentralizzazione dei cyberspazi e l'eliminazione degli algoritmi profilatori non bastano a rendere sano Internet: prevedibilmente, serve a monte un'etica-deontologia dello stare su Internet, e una consapevolezza di che spazio abiti e di come lo stai usando. In questi ultimi 6 mesi circa, ho usato Mastodon essenzialmente per sfogare i miei patemi personali e/o le mie filippiche a tema politico, non diversamente da come facevo su Instagram: a differenza che su Instagram, non credo di aver fatto stare male altre persone, ma sicuramente ho inquinato e degradato la qualità dei contenuti di uno spazio autogestito che è stato troppo gentile per dirmi di piantarla. Come si è detto in questo interessantissimo dibattito avviato dall'utente Xab, forse è il caso di uscire dal paradigma post-Facebook per cui i social network siano una “federazione di blog”, in cui ogni utente può raccontare quel che vuole senza badare all'effetto complessivo sullo scambio di informazioni, e tornare invece nel paradigma forum: ogni spazio online ha una funzione designata (come ogni profilo utente sul telefono, vedi sopra), ed è tuo dovere di utente immeterci dati coerenti con tale funzione. Come non si usa un foglio di testo come foglio di calcolo, analogamente non si parla di cavoli propri in un luogo di discussione tematica.
- Ho imparato che saperti montare da solo Linux, armeggiare con un file epub e scrivere testi in Markdown non conta nulla come capacità informatica: le competenze digitali che ti permettono davvero di fare hacking sono altre e molto più avanzate, e bisogna avere l'umiltà di ammetterlo e decidere se si può e vuole impararle davvero con studio costante.
- Ho imparato che imparare solo capacità informatiche non conta granché, in un progetto generale di vita più consapevole/politicizzata/antagonista/come cavolo vogliamo chiamarla. Grazie al cielo il mondo fisico è ancora là fuori, e per fare davvero contropotere punk servono piuttosto capacità di agricoltura, di meccanica-elettricistica-idraulica, di cucito/sartoria e di cucina. Insomma, quelle competenze pratiche che non studiamo più a scuola per classisimo, ma che cinquant'anni fa erano patrimonio di tutta quella generazione capace di occupare case vuote in città e mettere in piedi comuni in campagna.
- Ho imparato che per me la militanza politica è fonte di gioia e soddisfazione costante, perché anche nel fallimento sento di stare agendo contro un sistema marcio, ma dall'altra parte è la cosa di cui più sono pratico, a fronte dei vari hobby di cui so poco e in modo settoriale.
I miei propositi da qui in poi
Sono tutti questione di accrescere la mia autodisciplina:
- Assumere un maggior controllo del mio telefono e spazzare via le fonti residue di distrazione. Basta applicazioni separate se non strettamente necessarie (tipo lo SPID): tutto il resto via browser, e vanno messi a regime i feed RSS sul telefono come su computer. Basta doomscrolling.
- Di pari passo, meno telefono in mano e più lettura di testi lunghi quando sono fuori casa. Piuttosto, che mi guardino storto, ma da ora sì all'e-reader a tavola.
- Di pari passo, più notizie in formato cartaceo, ovviamente di testate selezionate. Sono due settimane che riesco a leggere da cima a fondo «Internazionale», dopo anni che mi perdevo sempre per strada, forse riuscirò ad appaiarci un altro settimanale cartaceo (quale, non so). E magari, anche una bella riscoperta delle radio.
- Nella mia vita reale, circoscrivere un po' di più e un po' meglio l'attività politica e dare più spazio ai miei hobby, prima di trasformarmi nel mio avversario naturale, cioè il sinistronzo con una copia de Il capitale su per il culo e zero vita culturale-ricreativa.
- Saper smanettare poco e male coi computer non fa alcuna differenza tangibile nel mondo attorno a me. È ora di imparare cose pratiche vere, che siano competenze artigianali e/o lingue straniere. Voglio dire, un Egiziano mi ha detto che potrei diventare un discreto arabofono!
E niente, credo che questo sia tutto. Ci riaggiorniamo fra sei mesi, per valutare se e quanto ho assolto ai miei propositi.
SALMO - 132 (131)
LA FEDELTÀ DI DIO ALLE PROMESSE FATTE A DAVIDE1 Canto delle salite.
Ricòrdati, Signore, di Davide, di tutte le sue fatiche,
2 quando giurò al Signore, al Potente di Giacobbe fece voto:
3 “Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo,
4 non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre,
5 finché non avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe”.
6 Ecco, abbiamo saputo che era in Èfrata, l'abbiamo trovata nei campi di Iaar.
7 Entriamo nella sua dimora, prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi.
8 Sorgi, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua potenza.
9 I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia ed esultino i tuoi fedeli.
10 Per amore di Davide, tuo servo, non respingere il volto del tuo consacrato.
11 Il Signore ha giurato a Davide, promessa da cui non torna indietro: “Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono!
12 Se i tuoi figli osserveranno la mia alleanza e i precetti che insegnerò loro, anche i loro figli per sempre siederanno sul tuo trono”.
13 Sì, il Signore ha scelto Sion, l'ha voluta per sua residenza:
14 “Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre: qui risiederò, perché l'ho voluto.
15 Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri.
16 Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, i suoi fedeli esulteranno di gioia.
17 Là farò germogliare una potenza per Davide, preparerò una lampada per il mio consacrato.
18 Rivestirò di vergogna i suoi nemici, mentre su di lui fiorirà la sua corona”.
_________________Note
132,1 Due motivi fanno da cornice al tredicesimo “canto delle salite”. Da una parte la scelta di Sion come sede della dimora di Dio (vv. 2-10); dall’altra la scelta di Davide e della sua discendenza come guida del popolo d’Israele (vv. 11-18). Vengono rievocate le vicende del trasferimento dell’arca dell’alleanza nel tempio di Gerusalemme (2Sam 6; 1Cr 13; 15) e le promesse fatte dal Signore a Davide tramite il profeta Natan (2Sam 7 e Sal 89).
132,2 Potente di Giacobbe: uno degli antichi titoli con cui viene chiamato Dio.
132,6 Èfrata: designa la zona di Betlemme, città natale di Davide; Iaar: nome poetico della località di Kiriat-Iearìm (“città delle foreste”), poco distante da Gerusalemme (vedi 1Cr 13,5-6).
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Approfondimenti
La fedeltà di Dio alla dinastia davidica Salmo regale (+ motivi di supplica e oracoli)
Il salmo rievoca due grandi motivi: quello della scelta di Sion (tempio) come sede della presenza di Dio con l'arca (frutto del giuramento fatto da Davide a Dio) (vv. 2-10), e quello della scelta di Davide e della sua dinastia (frutto del giuramento fatto da Dio a Davide) (vv. 11-18). Il carme si ispira a 2Sam 7 e all'ideologia soggiacente. È arcaico, preesilico (epoca della monarchia). Rispetto al Sal 89 (in cui si riporta il giuramento-impegno di Dio per Davide) e a 2Sam 7, il Sal 132 si rivela più originale. Esso sviluppa infatti, nei due oracoli riportati, ambedue gli elementi significati dalla voce ebraica bayit: «casa» come tempio, e «casa» come dinastia. Perciò il salmo si presenta con due facce: come Cantico di Sion e come salmo regale in una cornice di lamentazione. Evoca inoltre anche la liturgia del trasporto dell'arca santa (2Sam 6,13-19). L'identificazione della festività per l'utilizzo del salmo resta incerta. Il simbolismo di fondo è di carattere spazio-temporale; è presente inoltre anche quello psicosomatico applicato a Dio. Il salmo è ben curato, unitario e strutturato a dittici, i cui elementi abbastanza omogenei e paralleli sono rinsaldati da alcune inclusioni date dalla voce Davide (vv. 1.10-11.17), dall'appellativo divino «Potente di Giacobbe» (vv. 2.5), «trono» (vv. 11-12), dal verbo «giurare» (vv. 2.11), dalla voce «riposo» (vv. 8.14), dalle voci «sacerdoti... fedeli» (vv. 9.16) e da «consacrato» (= Messia) (vv. 10.17). Nel TM il ritmo è dato da 3 + 3 accenti. L'esegesi rabbinica e la tradizione cristiana considerano il salmo come messianico.
Divisione: * vv. 1-10 (I parte): in un contesto di supplica: giuramento di Davide per l'arca; * vv. 11-18 (II parte): oracolo di risposta: giuramento di Dio per Davide.
v. 1. «Ricordati...»: l'imperativo «ricordati» (zᵉkôr) introduce nella Bibbia a volte una supplica (cfr. Is 38,2-3; Lam 5,1). In un altro salmo regale (Sal 89,48-51) è come qui in rapporto alle promesse davidiche. Il salmista affida alla «memoria» viva e gratificante del Signore le difficoltà interiori e esteriori di Davide («tutte le sue prove»), nonché il suo zelo, per dare una degna dimora all'arca dell'alleanza.
v. 2. «quando giurò...»: non si ha traccia di questo giuramento di Davide, né di un suo voto nell'AT. In 2Sam 7 il proposito di Davide di costruire una «casa» (tempio) al Signore non è rafforzato da giuramento. Probabilmente si tratta di una finzione letteraria del poeta per fare da pendant con il giuramento di Dio nei confronti di Davide della seconda parte del salmo (v. 11).
v. 6. «Efrata»: (= la fruttifera) è di solito identificata con la zona di Betlemme, città natale di Davide (Rt 4,11; Mic 5,1; 1Cr 2,50-51; 4,4). «campi di Iaar»: lett. «campi boscosi», ma l'espressione richiama Kiriat-Iearim, località a 15 km a ovest di Gerusalemme, ove l'arca fu condotta dopo il pellegrinare presso i Filistei (1Sam 7,1-2), prima di essere trasportata da Davide a Gerusalemme (2Sam 6,2-12; 1Cr 13,1-6).
v. 7. «sgabello dei suoi piedi»: cfr. Sal 99,5; 1Cr 28,2. Il trono di Dio era collocato invece nei cieli, cfr. 1Sam 4,4; 2Sam 6,2; Lv 16,2.
v. 8. «Alzati, Signore...»: si rivolge al Signore l'invito a mettersi in marcia verso la nuova e definitiva dimora in Sion («luogo del tuo riposo»). Ma il trasferimento dell'arca è anche simbolo della potenza salvifica di Dio, cfr. Nm 10, 35.
v. 9. «I tuoi sacerdoti... i tuoi fedeli...»: si accenna alla processione festosa formata da clero e popolo per il trasporto dell'arca (cfr. 2Sam 6,5). «si vestano di giustizia»: gli stessi indumenti sacri dei sacerdoti devono essere segno di purificazione, santificazione e di «giustizia» (= salvezza-vittoria) che Dio fa conseguire al suo popolo (cfr. 1Cr 15,12-14).
v. 10. «Per amore... non respingere»: il salmista riprende la supplica del v. 1 e, richiamando i meriti di Davide e i suoi stretti rapporti con il Signore, chiede la protezione divina sul re. «tuo consacrato»: lett. «tuo unto» = tuo Messia), cioè il re.
v. 11a. «Il Signore ha giurato... e non ritratterà...»: alla lettera «Ha giurato il Signore a Davide, verità che non tornerà da sé». Si sottolinea l'efficacia del giuramento divino, la sua continuità e irreversibilità.
v. 12. «Se i tuoi figli custodiranno...»: il giuramento divino è condizionato alla fedeltà e all'osservanza delle clausole dell'alleanza. Qui come in 1Cr 28,5-7, ove si riferisce direttamente a Salomone, la condizione viene espressa in positivo, mentre in 2Sam 7,14-15, in negativo, cfr. Sal 89,31-34. Tuttavia le infedeltà non possono annullare completamente la promessa (2Sam 7,15).
v. 13. «Il Signore ha scelto Sion...»: cfr. 2Cr 6,6. È un commento di una voce esterna (coro sacerdotale?) che collega l'oracolo dei vv. 13-18 alla prima parte.
v. 15. «Benedirò...»: la presenza dell'arca in Sion porta ricchezza e benedizione. Questa, a partire da Gerusalemme, si riversa come un fiume su tutta la terra d'Israele fecondandola e producendo pane a sazietà anche per «i suoi poveri».
v. 16. «Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti... i suoi fedeli»: cfr. v. 9. Qui alla «giustizia» (ṣedeq) del v. 9 si è sostituito il sinonimo «salvezza» (yeša‘).
v. 17. «Là farò germogliare...»: il verbo «germogliare» contiene in sé un forte riferimento messianico. In Ger 23,5 si parla di «un germoglio giusto» (ṣemaḥ ṣaddîq) con chiara allusione messianica (cfr. Ger 33,15; Zc 3,8; 6,12), mentre in Is 11,1 si parla di un «virgulto». «la potenza di Davide»: lett. «il corno di Davide», cfr. Sal 18,3. «una lampada al mio consacrato»: la simbologia della lampada richiama la fiamma del focolare per indicare la famiglia. La lampada perciò qui è simbolo della discendenza, cfr. 1Re 11,36.
v. 18. «Coprirò di vergogna...»: lett. «rivestirò di vergogna». Si noti il contrasto con il v. 16. Lì i sacerdoti vengono «rivestiti di salvezza» qui i nemici vengono «rivestiti» di vergogna. «splenderà la corona»: lett. «fiorirà la sua corona». C'è l'immagine vegetale della fioritura. In contrasto con la vergogna (bôšēt) umiliazione dei nemici, splenderà il diadema regale sulla testa del re, cioè torna a «fiorire» sul re «germoglio» (v. 17) che la porta sul capo.
(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
Tradition is not the worship of ashes, but the preservation of fire.
Gustav Mahler
[stime]-meno gamma completa antineutrini sopra ortiche comanda ha una carica una] manfrina poi si] armano pezza polvere palla in ordine in attenzione o] sono ortiche da mammiferi segue] [la tabella del fertilizzante il] green screen di meno [del possibile on burlap on stretcher frame
L'inganno del trampolino: quando le pietre restano ostacoli (E va bene così... senza parole... )
Che le pietre sul nostro cammino possano sempre trasformarsi in opportunità è un’illusione ottimista che ignora la complessità della vita. Non tutto può essere superato o convertito in un vantaggio, e pretendere il contrario rischia di colpevolizzare chi, nonostante gli sforzi, non riesce a superare gli ostacoli.
Alcune pietre sono semplicemente troppo pesanti da spostare, altre feriscono chi inciampa, lasciando cicatrici che non guariscono. Non tutto dipende dalla nostra volontà: esistono barriere sistemiche, ingiustizie e sfortunate coincidenze che non si possono ribaltare con un semplice cambio di prospettiva.
Invece di raccontarci che ogni ostacolo è un potenziale trampolino, forse dovremmo accettare che a volte la strada è bloccata, e che non è un fallimento cercare un altro percorso—o addirittura fermarsi. La resilienza ha dei limiti, e riconoscerli non è segno di debolezza, ma di onestà.
✍️Pensieri lontani... Ho postato un pensiero o citazione, o ero intenzionata a farlo riguardante treni persi, presi involontariamente, volontariamente, per necessità, ecc..e credo di essere una che fondamentalmente di treni reali ne ha presi ben pochi, e di quelli ideali altrettanto! Ne ho persi alcuni, forse per timore, altri li ho presi, ma la destinazione era sbagliata, altri mi hanno accompagnato là dove non c'era posto per me, altri invece, forse più importanti, li ho visti sfrecciare davanti a me, all'improvviso, senza preavviso e senza che ci fossero altre corse in programma! Morale? Forse non sono ancora pronta a viaggiare, soprattutto con l'alta velocità, mi ostino a camminare, passeggiare e andare in bici, e per necessità a spostarmi in macchina! Ma non amo viaggiare e ultimamente di treni non ne ho più visti passare, né mi sono informata sulle destinazioni, Mi sono momentaneamente fermata ad aspettare, in panchina, in un parco, circondata dal verde, dal cielo azzurro, di sentirmi pronta per viaggiare, per affrontare un cammino nuovo, una meta nuova ... E allora in solitudine aspetto, osservo da lontano i treni passare, gli aerei disegnare scie nel cielo...e in cuor mio spero di poter un giorno salire e così raccontare del treno da me passato per portarmi un po' più lontano, dal mio solito parco!
Bon Iver – Bon Iver (2011)
Bon Iver è il secondo album in studio della band indie folk americana Bon Iver, pubblicato il 17 giugno 2011. L'album è composto da 10 canzoni ed è stato visto come una nuova direzione musicale per la band. L'album ha avuto un successo commerciale, debuttando al primo posto nella classifica degli album norvegesi e nella classifica degli album danesi e al secondo posto nella classifica Billboard 200 degli Stati Uniti. Ha venduto 104.000 copie nella sua prima settimana negli Stati Uniti. A settembre 2016, l'album ha venduto un totale di 629.000 copie negli Stati Uniti. Ha ricevuto ampi consensi dalla critica, alcuni dei quali lo hanno nominato uno dei migliori album del 2011. L'album ha vinto il Grammy Award per il miglior album di musica alternativa alla cerimonia del 2012 , mentre la canzone “Holocene ” è stata nominata per canzone dell'anno e disco dell'anno.
Ascolta: album.link/i/438685974
SALMO - 131 (130)
ABBANDONO FIDUCIOSO IN DIO1 Canto delle salite. Di Davide.
Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me.
2 Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia.
3 Israele attenda il Signore, da ora e per sempre.
_________________Note
131,1 Intimità e fiducia, consapevolezza della propria dipendenza da Dio e totale affidamento a lui caratterizzano questo breve inno, intriso di profonda spiritualità.
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Approfondimenti
Fiducia e abbandono totale in Dio Salmo di fiducia
Per la scena di dolce intimità questo salmo è stato da varie parti definito come uno tra i più belli del Salterio.
Divisione:
- v. 1: giuramento d'innocenza;
- v. 2: professione di fiducia personale;
- v. 3: esortazione alla fiducia.
v. 1. «Signore»: l'invocazione al Signore, situa la confessione d'innocenza successiva nell'ambito della preghiera.
v. 2. «bimbo svezzato»: non si tratta del bimbo allattato, ma di quello già svezzato (gāmul). C'è perciò un rapporto con la madre non solo dettato dall'istinto naturale, ma già di una certa consapevolezza. Il bimbo svezzato secondo l'antica usanza aveva più di due anni.
(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
LA NOTTE DEI LUNGHI ARTIGLI
Francis e Gustav vivono insieme. A volte si amano, a volte si tollerano a fatica, ma convivono ormai da anni e non saprebbero stare lontani l'uno dall'altro. Questo fino a quando compare Francesca... Donna, quindi biologicamente affine a Gustav che è un uomo (ah, dimenticavo di dire che Francis è un gatto!), arriva a sconvolgere il tranquillo ménage à deux. Così Francis decide che qull'appartamento non è abbastanza grande per tutti e tre e scompare. Inizia così la sua seconda vita, una vita fatta di mistero, intrighi felini e delitti.
Gran bel libro, sia per chi ama gli intrighi sia per chi ama i gatti. Se li amate entrambi, non potete proprio perdervelo!
Titolo: La notte dei lunghi artigliAutore: Pirinçci AkifTraduttore: Boschetti S. Editore: TEA Data di Pubblicazione: 1996 ISBN: 8830412147
(Nonsolobotte – 4 gennaio 2008)
La forza non nasce solo dalla sofferenza
L’idea che le anime più forti siano necessariamente temprate dal dolore e che i caratteri più solidi debbano essere segnati da cicatrici è una visione riduttiva e, a tratti, romantica della resilienza. La sofferenza può certamente insegnare, ma non è l’unica maestra della vita, e soprattutto non è una condizione obbligatoria per sviluppare forza interiore.
Esistono persone che hanno costruito la propria solidità attraverso l’amore, la serenità, l’esempio positivo di chi le ha circondate. La vera forza non si misura dalle ferite subite, ma dalla capacità di crescere, adattarsi e resistere alle avversità indipendentemente dalla loro presenza. Anzi, a volte è più difficile mantenere un carattere equilibrato e compassionevole quando non si è stati logorati dalle difficoltà, perché significa aver scelto la forza volontariamente, non per obbligo.
Inoltre, glorificare la sofferenza come unico percorso verso la maturità rischia di normalizzare il dolore come inevitabile, quasi auspicabile, e può portare a sottovalutare l’importanza di prevenire ingiustizie e traumi evitabili. La resilienza è ammirevole, ma non dovremmo confonderla con l’idea che sia giusto o necessario soffrire per diventare migliori.
Infine, le cicatrici non sono sempre simbolo di saggezza: a volte sono semplicemente segni di un passato che avremmo preferito non vivere. E va bene così. La vera grandezza sta nel trovare luce anche senza dover prima attraversare il buio.
[piriche]
[filtri]cerimonie strutturate brecce [brocche morfoliti [dimensioni variabili come] esplosione senza esplosivi implosivi il] campo visivo dadistar no profit lavori] in economia fanno il trattato] da un certo orario presenze con cadenza autunnale] con cadenze ottimali se] esposti
Come i criminali informatici commerciano e sfruttano i nostri dati nel Rapporto IOCTA di Europol
La “Valutazione delle minacce legate alla criminalità organizzata su Internet” (#IOCTA) è l'analisi di #Europol sulle minacce e le tendenze in evoluzione nel panorama della criminalità informatica, con particolare attenzione a come è cambiato negli ultimi 12 mesi.
Nell'ultimo anno, la criminalità organizzata ha continuato a evolversi a un ritmo senza precedenti. La rapida adozione di nuove tecnologie e la continua espansione della nostra infrastruttura digitale hanno ulteriormente spostato le attività criminali verso il dominio online. Questo cambiamento ha fatto sì che l'infrastruttura digitale e i dati in essa contenuti siano diventati obiettivi primari, trasformando i dati in una risorsa chiave, fungendo sia da bersaglio che da facilitatore nel panorama delle minacce informatiche.
Il rapporto IOCTA del 2025 “Steal, deal and repeat: How cybercriminals trade and exploit your data” (Nota a piè di pagina, scaricabile [en] qui europol.europa.eu/cms/sites/de…) analizza in dettaglio come i criminali informatici commerciano e sfruttano l'accesso illegale ai dati e come mercificano questi beni e servizi.
I dati personali sono una risorsa centrale per il crimine informatico: vengono rubati, venduti e sfruttati per frodi, estorsioni, attacchi informatici e sfruttamento sessuale. I criminali usano vulnerabilità dei sistemi e tecniche di ingegneria sociale, potenziate da Intelligenza Artificiale generativa (GenAI) e modelli linguistici (LLM). Broker di accesso e dati vendono credenziali e accessi compromessi su piattaforme criminali, spesso tramite app di messaggistica cifrata (E2EE). I dati rubati sono venduti su forum del dark web, marketplace automatizzati (AVC), e canali E2EE. Le minacce emergenti consistono nell'uso di deepfake vocali, attacchi supply-chain tramite AI, e tecniche come il “slopsquatting” per sfruttare errori degli assistenti AI.
In particolare i criminali ricercano: Credenziali di accesso (RDP, VPN, cloud) Informazioni personali (PII), dati finanziari, social media Dati aziendali e governativi per spionaggio o estorsione Come vengono sfruttati i dati: – Come obiettivo: ransomware, furto di identità, frodi – Come mezzo: per profilare vittime, estorcere denaro o informazioni – Come merce: venduti su forum, marketplace, canali E2EE Come vengono acquisiti dati e accessi – Ingegneria sociale: phishing, vishing, deepfake vocali, ClickFix – Malware: infostealer, RAT, exploit kit – Vulnerabilità di sistema: attacchi brute force, skimming, MitM Chi sono gli attori criminali – Initial Access Brokers (IABs): vendono accessi iniziali – Data Brokers: vendono dati rubati – Gruppi APT e minacce ibride: spesso sponsorizzati da stati – Criminali specializzati in frodi e CSE: usano i dati direttamente Dove avviene la compravendita – Dark web: forum, marketplace, canali E2EE – Servizi offerti: phishing-kit, infostealer, spoofing, proxy residenziali Cultura criminale: reputazione, badge, ruoli da moderatore
Raccomandazioni del Rapporto La condivisione eccessiva di dati online aumenta la vulnerabilità, soprattutto per i minori. L’uso di E2EE ostacola le indagini; servono regole armonizzate per la conservazione dei metadati. Abuso dell’AI: deepfake, fingerprint digitali falsi, attacchi supply-chain tramite suggerimenti errati degli assistenti AI. Disgregazione dell’intelligence: doxxing e hacktivismo complicano le indagini e la validazione delle prove.
Conclusioni Il rapporto sottolinea la necessità di:
- Accesso legale ai canali E2EE ((End-to-End Encrypted)
- Standard UE armonizzati per la conservazione dei metadati
- Educazione digitale e consapevolezza dei rischi online
- Collaborazione tra forze dell’ordine, aziende e cittadini
Nota: Europol, Steal, deal and repeat – How cybercriminals trade and exploit your data – Internet Organised Crime Threat Assessment, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione Europea, Lussemburgo, 2025.
A bocca piena
trucidata vita dai lenzuoli di sangue nei telegiornali un dire assuefatto freddo che ti sorprende non più di tanto a bocca piena che non arriva al cuore
-per quei bambini occhi rovesciati a galleggiare su un mare di speranza la cui patria è ora il cielo
violata la sacralità vita che non è più vita vilipesa resa quale fiore a uno strappo feroce di vento .
Nadine Swan su Assonanze (WP) Questa poesia è un grido potente, un pugno al cuore che ci costringe a guardare dritto negli occhi l’assuefazione al dolore e alla tragedia. Il contrasto tra l’orrore dei “lenzuoli di sangue” e la freddezza di un “dire assuefatto” dipinge con lucidità spietata il distacco emotivo che ci protegge, ma ci rende anche complici di un’umanità che ha perso sensibilità.
L’immagine dei bambini, “occhi rovesciati” su un “mare di speranza”, è struggente: un’immagine poetica che trasforma il dolore in qualcosa di universale, tragico, ma anche luminoso nella sua fuga verso il cielo. La loro patria diventa il cielo, un richiamo amaro alla perdita della dignità terrena.
Il verso finale, quel “fiore a uno strappo feroce di vento”, è lacerante. La violenza che distrugge la sacralità della vita è resa in una metafora delicata e devastante allo stesso tempo. È una poesia che non lascia scampo, che ti obbliga a sentire, a fermarti, a non distogliere lo sguardo. Un dolore che pesa, ma che è necessario portare. ❤️
Beirut – The Rip Tide (2011)
The Rip Tide è il terzo album in studio delgruppo indie folk statunitense Beirut, pubblicato il 30 agosto 2011. L'album ha debuttato al numero 88 della Billboard 200, e ha raggiunto il picco al numero 80 un mese dopo. L'album ha venduto 93.000 copie negli Stati Uniti ad agosto 2015. L'album ha ricevuto per lo più recensioni positive. Zach Condon dei Beirut decise di scrivere l'album dopo un tour difficile in Brasile, dove subì una perforazione al timpano e fu coinvolto in un'invasione di palco. A differenza dei precedenti album dei Beirut, The Rip Tide rifletteva maggiormente su luoghi più vicini a casa; ad esempio, la canzone “Santa Fe” era un omaggio alla città natale di Condon. Condon rifletté su questo, dicendo: “La cosa del vagabondo – quella era una fantasia adolescenziale che ho vissuto in grande stile. La musica, per me, era evasione. E ora sto facendo tutto l'opposto [di ciò] nella mia vita. Sono sposato. Ho una casa. Ho un cane. Quindi sembrava ridicolo, la narrazione di ciò che avrebbe dovuto essere la mia carriera, rispetto a ciò che stavo effettivamente cercando di realizzare nella mia vita.” Influenzato dalla registrazione di For Emma, Forever Ago, Condon scrisse The Rip Tide mentre trascorreva sei mesi in isolamento in una baita invernale a Bethel, New York. A differenza dei precedenti album dei Beirut, la musica fu registrata da una band che suonava insieme invece di registrare singole tracce una alla volta. Tuttavia, i testi furono aggiunti da Condon solo dopo che tutta la musica era stata registrata.
Ascolta: album.link/i/1166641216
SALMO - 130 (129)
ATTESA DEL PERDONO E DELLA SALVEZZA DEL SIGNORE1 Canto delle salite
Dal profondo a te grido, o Signore;2 Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica.
3 Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?
4 Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore.
5 Io spero, Signore. Spera l'anima mia, attendo la sua parola.
6 L'anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all'aurora.
Più che le sentinelle l'aurora,7 Israele attenda il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.
8 Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.
_________________Note
130,1 L'undicesimo “canto delle salite” è molto caro alla tradizione cristiana, che ama chiamarlo con le parole iniziali della versione latina, “De profundis”, e lo ha inserito nei sette “salmi penitenziali” (vedi Sal 6), usandolo nella liturgia funebre (ma questo non è il significato originario del salmo). Dall’esperienza del peccato e del dolore, l’orante e la sua comunità guardano a Dio come alla fonte del perdono e all’unica speranza di sopravvivenza.
130,8 In Mt 1,21 il nome di Gesù viene spiegato con una frase che si richiama a questo versetto (vedi anche Tt 2,14).
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Approfondimenti
Fiduciosa attesa della redenzione Supplica individuale (+ motivi di fiducia)
È uno dei sette “Salmi penitenziali”. Insieme al Sal 51 è pervaso da una profonda spiritualità, e pur essendo una lamentazione-supplica, non riguarda i nemici esterni o le malattie, ma direttamente il peccato, vero nemico dell'uomo. Nella prima parte (vv. 1-3) c'è l'angoscia per esso, nella seconda parte (vv. 5-8) la certezza del perdono. Tuttavia, mentre il Sal 51 medita sulla realtà dell'uomo peccatore, il Sal 130 attira l'attenzione sulla misericordia divina e l'abbondanza del suo perdono. Il ritmo prevalente nel TM è di 3-2 accenti (qînâ). C'è un'inclusione con la parola «colpe» (‘awônôt) nei vv. 3 e 8. Il verbo «sperare» (qwb) si trova due volte nel v. 5, il verbo «attendere» (yḥl) è presente nei vv. 5.7 ™; l'espressione «più che le sentinelle l'aurora» è ripetuta due volte nel TM. La radice pdh (redimere) ricorre nei vv. 7-8. La simbologia è spazio-temporale e antropomorfica.
Divisione:
- vv. 1-2: solenne appello introduttivo;
- vv. 3-6: corpo;
- vv. 7-8: esortazione finale per Israele.
v. 1. «Dal profondo...»: l'espressione rievoca l'abisso caotico delle acque della creazione (Gn 1,2; 2,3-4) e il regno dei morti (Sal 18,5-7.29) e richiama l'abisso della miseria dell'uomo e la sua coscienza.
v. 3. «Se consideri le colpe...»: l'orante ammette di essere colpevole e perciò di meritare il castigo. «chi potrà sussistere?»: lett. «chi potrà stare in piedi?». Più che continuare a esistere, qui supponendo un processo giudiziale accusatorio di Dio, si afferma che nessun uomo potrebbe presentarsi a testa alta e uscire indenne dal giudizio di Dio. Davanti alla giustizia di Dio nessun uomo e nessuna coscienza umana può reggere (cfr. Sal 76,8; 102,27).
v. 4. «Ma presso di te è il perdono»: alla coscienza del peccato è legata subito la coscienza e la fede nella salvezza e liberazione di Dio, cfr. Es 34,9. «presso di te»: lett. «con, in compagnia di...». Come la giustizia di Dio, così il perdono, personalizzato, è visto come un membro del consiglio di Dio (cfr. Os 13,12). «perdono»: la voce ebraica sᵉlîḥāh significa purificazione, remissione (Ne 9,17; Dn 9,9; Sir 5,5; Sal 86,5). E il perdono supera di gran lunga la giustizia, cfr. Es 20,5-6. «e avremo il tuo timore»: lett. «perché (tu) sia temuto». Questo emistichio è oggetto di diverse interpretazioni fin dall'antichità (cfr. LXX, Vg, Peshitta). L'interpretazione più logica dipende dall'esatto significato del «timore» nell'AT. Esso per metonimia indica non solo la reazione di paura e di terrore davanti alla giustizia e all'ira di Dio (il tremendum), ma anche lo stupore, la venerazione e l'adorazione scaturiti davanti alla sua bellezza, maestà e potenza (il fascinosum). Qui il timore è presentato come il fine del perdono, uno dei suoi frutti. Il perdono di Dio, infatti, deve inculcare un timore reverenziale per lui come quello scaturito di fronte alla sua ira. La bontà di Dio non deve farci dimenticare la realtà del nostro peccato. Però, più che la collera di Dio, il suo amore eterno e misericordioso deve spingere l'uomo a temerlo e amarlo (cfr. Rm 2,4; Lc 5,9).
v. 5. «Io spero nel Signore...»: lett. «(io) spero, Signore, spera l'anima mia, e alla sua parola attendo». Il salmista spera fortemente e attende la parola, la risposta assolutrice che reca il perdono di Dio.
v. 6. «più che le sentinelle l'aurora»: nel TM l'espressione è ripetuta una seconda volta. La ripetizione dà all'immagine, già di per sé suggestiva poeticamente, un ulteriore fascino e acutizza l'attesa e la speranza. Per l'immagine delle sentinelle cfr. Is 21,11-12; Sal 121,3-5.8.
v. 7. La misericordia e la redenzione sono viste come persone che stanno «presso il Signore» (lett. «con, in compagnia del...»). Esse sono gli attributi divini dell'esodo e dell'alleanza (Es 34,6; Sal 36,7; Dt 7,8; 9,26; 15,16; 21,8).
v. 8. «Egli redimerà... da tutte le sue colpe»: cfr. Sal 25,22. Il salmista sottolinea la certezza del perdono divino di ogni genere di peccato per Israele suo popolo. Le colpe che hanno causato l'angoscia profonda nel salmista nel v. 3 ora sono richiamate in inclusione ma per annunciarne il loro completo e totale perdono.
(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
Perché la musicaLa musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare.I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore.
“Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.
Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche. Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato.
La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda.
La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa. Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea.
La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile. Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio.
Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.
Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale. La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile.
La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.
Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni.
Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi. Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa.
Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano. Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga.
La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.
NOVITÀ DI MARTEDÌ 29/4/25.
Chiudiamo finalmente il denso mese di aprile (sto già lavorando sul mese di maggio, naturalmente).
NARRATIVA:
- LA FIGLIA DELL'ISOLA di Soraya Lane (Garzanti). La protagonista Ella riceve da uno studio notarile una scatola con alcuni oggetti misteriosi: uno spartito e la fotografia di una donna e di una bambina ritratte di fronte a un mare cristallino. Nell'isola greca di Skópelos, grazie al musicista Gabriel, potrà trovare le risposte che cercava sulla propria famiglia. Per saperne di più: scheda libro.
- CON RABBIA E CON AMORE di Bebo Guidetti (Sem). Un lavoro alienante in un magazzino di bricolage, una “vita agra” fatta di code in tangenziale, frustrazioni e sogni infranti per portare a casa il necessario per vivere: il protagonista Andrea sviluppa un sordo risentimento per i giovani, belli e ricchi benestanti che frequentano il centro di Bologna, ormai diventato una vetrina per turisti, finché non si innamora di una di “loro”... Per saperne di più: scheda libro.
- TERRA DI ANIME SPEZZATE di Clare Leslie Hall (Nord). L'incontro con Gabriel, un rampollo di famiglia ricca, cambia la vita a Beth: l'affinità intellettuale si trasforma in un amore che crea scandalo. La distanza sociale tra i due, però, è un ostacolo insormontabile, e tutte le speranze d'amore e le ambizioni letterarie di Beth finiscono per dissiparsi in un matrimonio con un altro uomo. Il ritorno di Gabriel, dopo 13 anni, manda in frantumi la stabilità della vita e le certezze di Beth. Per saperne di più: scheda libro.
NOIR, GIALLI E THRILLER:
- UNA PAROLA PER NON MORIRE di Sandra Bonzi (Garzanti). Ancora una volta, la giornalista Elena Donati si improvvisa detective per indagare sulla scomparsa di una ragazzina, a Milano. La vita familiare di Elena, però, è sempre più scombussolata, tra gli anziani genitori, i figli spericolati e un'amica che vorrebbe partire con lei per una vacanza spensierata. Per saperne di più: scheda libro.
- IL GIOCO DEL POTERE di Federico e Jacopo Rampini (Mondadori). Ambientata in un prossimo futuro verosimile, è la storia di una potente famiglia a capo di un'industria tecnologica, con le sue lotte di potere interne e uno sfondo di intrighi internazionali. Per saperne di più: scheda libro.
- RIMORSI di Enrico Pandiani (Rizzoli). Numero Uno è il misterioso capo di un'agenzia investigativa che ha assunto i quattro ex criminali della banda Ventura. Il caso su cui la banda è incaricata di investigare è un complesso puzzle composto da vari tasselli: un cadavere nascosto in un muro per anni, un pirata della strada, una famiglia problematica, un club di scambisti e una feroce rapina. I quattro della banda dovranno aggirarsi per una Torino oscura e pericolosa. Per saperne di più: scheda libro.
- L'IMAM DEVE MORIRE di Enzo Amendola (Mondadori). È il 1978 e l'Italia è scossa dal rapimento di Aldo Moro. In questo contesto agitato, l'Imam Musa al-Sadr, leader moderato e progressista degli sciiti libanesi, svanisce nel nulla, e le indagini conducono il capitano dei servizi segreti italiani Roberto Stancanelli fino a Roma. Per saperne di più: scheda libro.
- LA DONNA DELLA MANSARDA di Davide Longo (Einaudi). La sparizione di una celebra artista, da anni autoreclusa nella mansarda di uno strano edificio, è al centro dell'indagine di Corso Bramard e del suo braccio destro Cesare Arcadipane, nel nuovo capitolo della saga di Bramard. Per saperne di più: scheda libro.
- NON CHIAMATEMI JESSICA FLETCHER di Alice Guerra (Rizzoli). Una serie di furti colpisce la cittadina di Mestre, e tutti, prima ancora di rivolgersi alla polizia (nella persona del commissario Salvatore Lo Cascio), chiedono aiuto all'influencer Alice Guerra, che ha un turbolento passato di investigatrice improvvisata. Per saperne di più: scheda libro.
- COLPEVOLE PER DEFINIZIONE di Susie Dent (Newton Compton). Una serie di lettere anonime turbano la nuova caporedattrice del Clarendon English Dictionary di Oxford: la sorella Charlie, scomparsa anni prima, forse nascondeva segreti inconfessabili... Per saperne di più: scheda libro.
- USCIMMO A RIVEDER LE STELLE di Licia Troisi (Marsilio). A un convegno di astrofisici, in Lapponia, una scienziata è stata uccisa e uno dei suoi colleghi è l'indiziato numero uno: è stato infatti trovato accanto al cadavere. Così, per il protagonista Gabriele, sfumano le speranze di poter tornare al proprio osservatorio e di ricongiungersi finalmente alla sua Mariela... Licia Troisi, autrice fantasy di consolidata esperienza, debutta nel giallo, ambientandolo nel mondo dell'astrofisica, al quale lei stessa appartiene. Per saperne di più: scheda libro.
- LA GIOSTRA DELLE SPIE di Rosa Teruzzi (Sonzogno). In una Milano nebbiosa, alla vigilia di Ognissanti, si aggira un misterioso assassino che si fa chiamare l'Ombra, il cui obiettivo è uccidere proprio lei, Libera Cairati, ovvero la fioraia investigatrice. Torna la fortunata serie dei delitti del casello, giunta al decimo capitolo. Per saperne di più: scheda libro.
FANTASY:
- FIGLI DI TERRA E CIELO di Guy Gavriel Kay (Mondadori). Un fantasy epico e avventuroso, pieno di personaggi picareschi, quasi un romanzo storico, in un mondo che ricorda da vicino l'Europa rinascimentale. Per saperne di più: scheda libro.
FUMETTI E GRAPHIC NOVEL:
- THE ILLUSIONIST. IL PRESTIGIATORE SUL CAVALCAVIA – VOL.1 di Ruan Guang-Min (Toshokan). Una raccolta di racconti poetici e delicati, ambientati nella Taipei degli anni '80, in cui un prestigiatore con un occhio di vetro si esibisce tutti i giorni sul cavalcavia che unisce due edifici del grande mercato Chunghwa. Per saperne di più: scheda libro.
SAGGISTICA:
- ERBE SPONTANEE di Taliana Tobert Wateki, Francesca Della Giovampaola e Filippo Bellantoni, illustrazioni di Giada Ungredda (Gribaudo). Un manuale per riconoscere le erbe spontanee italiane, raccoglierle e conservarle. La peculiarità di questo manuale sta nel metodo di classificazione per difficoltà di riconoscimento, anziché nell'ordine alfabetico. Per saperne di più: scheda libro.
- Sempre per Gribaudo: È INTELLIGENTE MA NON S'IMPEGNA di Giovanni doc Fenu. Un libro rivolto a genitori e figli, per migliorare il metodo di studio, attraverso tecniche di concentrazione, strategie per studiare meglio (anziché più a lungo) e affrontare le interrogazioni con maggiore serenità. Per saperne di più: scheda libro.
- DIO ERA MORTO di Rick Dufer (Feltrinelli). Il filosofo Rick Dufer (al secolo Riccardo Dal Ferro, molto attivo sui social, e autore del podcast Daily Cogito) spiega e analizza l'idea contemporanea del divino e traccia una breve storia della devozione verso un Dio il cui concetto è molto cambiato nei secoli. Per saperne di più: scheda libro.
- LA GENESI di Haim Baharier e Erri De Luca (Feltrinelli). Un libro in cui Erri De Luca e lo studioso Haim Baharier si confrontano sul primo libro delle sacre scritture, da una parte (De Luca) analizzandone l'aspetto narrativo, dall'altra (Baharier) valorizzandone l'esegesi e l'interpretazione. Per saperne di più: scheda libro.
- ELON MUSK. HYBRIS MAGNA di Faiz Siddiqui (Sperling & Kupfer). La biografia di un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, dall'infanzia fino al sodalizio con Donald Trump, per rispondere alla domanda fondamentale: cosa farà, ora? Per saperne di più: scheda libro.
- L'ELEGANZA DEL VUOTO di Guido Tonelli (Feltrinelli). Un'esplorazione scientifica e filosofica di un concetto su cui l'uomo si interroga dai suoi albori: il vuoto. Per saperne di più: scheda libro.
- UNA STRAORDINARIA FOLLIA di Nassir Ghaemi, prefazione di Liliana Dell'Osso (Apogeo). Un “catalogo” di grandi leader della storia come Ghandi, Martin Luther King, John Firtzgerald Kennedy, Churchill e altri personaggi rilevanti degli ultimi due secoli, che probabilmente devono le loro grandi capacità ai loro disturbi dell'umore: creatività, empatia e resilienza. Per saperne di più: scheda libro.
- IL FIUME INFINITO di Mathijs Deen (Iperborea). Un ritratto del fiume Reno, a metà tra il reportage, la geologia, la storia e la leggenda. Per saperne di più: scheda libro.
- QUEEN. LA MUSICA E LA STORIA di Antonio Battilo (Odoya). Un saggio sull'influenza che la band dei Queen ha esercitato nella storia della musica rock e pop mondiale. Per saperne di più: scheda libro.
INFANZIA E RAGAZZI:
- STORIA DI TOPINO di Sveva Sagramola, illustrazioni di Cristiano Sagramola (Mondadori). La bambina Petra ha un amico di stoffa con le orecchie lunghe e il mantello a forma di carota: si chiama Topino. Petra e Topino sono inseparabili, e anche quando Petra cresce, Topino conserva il profumo della loro amicizia, nonostante la sua pelliccia sia sbiadita e il mantello consumato. Età di lettura: dai 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.
Il mondo finisce ad Oriente.
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Nota: Lo so, non è da me farla così lunga, ma in un mondo che impazzisce forse un pochino di squilibrio ce lo metto anche io. La verità è che la #Pace è davvero impossibile. Almeno così sembra. Il che rende, fondamentalmente, questo uno sfogo. Ci vuole pazienza.
La notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 ha visto l'ennesima escalation del conflitto mediorientale, quando #Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro l' #Iran, mirato principalmente alle strutture nucleari e militari di Teheran. Le forze israeliane hanno colpito siti sensibili, distruggendo laboratori e centri di ricerca, nonché eliminando alcuni tra i principali comandanti delle Guardie della Rivoluzione, l'élite militare iraniana. Un colpo che ha scatenato una serie di reazioni internazionali. L'Iran, come prevedibile, ha replicato con una serie di droni che hanno tentato di colpire obiettivi strategici in Israele, gettando il paese in una nuova spirale di violenza.
Le parole di #DonaldTrump, che ha immediatamente espresso un sostegno incondizionato all'azione israeliana, hanno ulteriormente polarizzato il dibattito internazionale. Trump ha minacciato l'Iran con nuove offensive se non avesse accettato un accordo sul nucleare, aggiungendo così un ulteriore strato di complessità alla già tesa situazione geopolitica. L’appoggio degli Stati Uniti alla politica aggressiva di Israele sembra segnare il punto di non ritorno di un conflitto che ha radici profonde, alimentato da ideologie contrapposte e da interessi strategici divergenti.
Politicamente, l'attacco israeliano ha reso evidente l'intensificarsi della guerra a bassa intensità tra le potenze regionali. Israele, con la sua operazione “Leone Ascendente”, ha voluto chiarire una volta per tutte che non tollererà il programma nucleare iraniano, ritenuto una minaccia per la propria sicurezza nazionale. Questo attacco ha avuto l'effetto di indebolire momentaneamente l'Iran, uccidendo alcuni dei suoi strateghi più esperti e decimando parte delle sue capacità operative. Tuttavia, la risposta dell'Iran non si è fatta attendere: il lancio di droni ha avuto il chiaro intento di far capire a Israele che ogni azione avrà una controparte, anche se le capacità belliche di Teheran, pur impressionanti, non possono in alcun modo paragonarsi alla potenza di fuoco israeliana.
Le implicazioni politiche per il Medio Oriente sono incalcolabili. L'Iran ha immediatamente mobilitato le sue milizie alleate in Siria, Libano e Iraq, preparando il terreno per una possibile guerra per procura che potrebbe estendersi ben oltre i confini dei due paesi coinvolti. In questo scenario, la comunità internazionale rischia di assistere a una polarizzazione crescente, con i paesi arabi che, pur condannando l’aggressione israeliana, non sembrano disposti a schierarsi apertamente a favore di Teheran, temendo le ripercussioni di un allineamento troppo esplicito.
Moralmente, invece, l'attacco israeliano solleva interrogativi inquietanti sulla legittimità di un'azione preventiva, soprattutto quando si considera che l'Iran ha sempre sostenuto di non avere intenzioni belliche dirette contro Israele. Sebbene Israele possa giustificare il suo intervento come una misura di difesa preventiva, non si può ignorare la violazione della sovranità iraniana e il fatto che l’attacco possa generare un'ulteriore spirale di violenza e vendetta. La morte di alti ufficiali iraniani e scienziati nucleari potrebbe, inoltre, rafforzare la narrativa del martirio e alimentare il risentimento tra la popolazione iraniana, creando un ulteriore fossato tra l'Iran e l'Occidente.
Da un punto di vista etico, sorge anche la questione dell’equilibrio delle forze: mentre gli Stati Uniti e Israele vedono la sicurezza come una priorità assoluta, l'Iran non può fare a meno di difendere ciò che considera un diritto sovrano, ossia la propria capacità di autodefinirsi come potenza regionale. La domanda che sorge spontanea è quindi se la logica della deterrenza, che ha caratterizzato la guerra fredda, possa essere applicata efficacemente in un contesto così volatile e intrinsecamente pericoloso.
L'operazione ha accentuato le divisioni interne in Iran, dove il regime potrebbe trovarsi a fronteggiare un'ondata di proteste interne. La crisi economica che affligge Teheran, le sanzioni internazionali e il crescente malcontento popolare potrebbero minare ulteriormente la stabilità del governo. Tuttavia, un sentimento di orgoglio nazionale potrebbe temporaneamente consolidare il consenso interno contro l'invasore straniero, come spesso accade in contesti bellici.
In Europa, la situazione appare delicata. L'Unione Europea, da sempre promotrice di un approccio diplomatico e pacifico, si trova ora a dover navigare tra due fuochi: la necessità di mantenere relazioni economiche con l'Iran, e l'alleanza con Israele, che rappresenta uno dei suoi principali partner strategici. La Francia e la Germania hanno condannato l'escalation, chiedendo una de-escalation immediata, ma non sono riuscite a offrire una soluzione concreta. L'Italia, pur allineata in linea di principio con le posizioni europee, ha adottato un tono più cauto, sottolineando la necessità di una mediazione internazionale urgente per evitare che il conflitto degeneri in una guerra totale.
Il nostro stato si è trovato a giocare un ruolo delicato nel bilanciare il proprio supporto a Israele con l’esigenza di non alienarsi la cooperazione iraniana. Sebbene il governo italiano abbia espresso una condanna per l'aggressione israeliana, si è anche preoccupato delle implicazioni a lungo termine di una rottura totale tra l'Iran e l'Occidente. L'Italia, infatti, è da sempre favorevole a un approccio diplomatico per risolvere la crisi nucleare iraniana, e un’escalation militare potrebbe compromettere gli sforzi compiuti negli anni passati per stabilire un dialogo.
L’Unione Europea, nel suo insieme, ha rilasciato dichiarazioni ufficiali invocando una “de-escalation immediata”, ma la divisione tra i membri più favorevoli a un duro confronto (come la Polonia) e quelli più favorevoli a un negoziato (come l’Italia e la Spagna) è ormai palese. Il rischio è che l'Europa, incapace di adottare una linea unitaria, finisca per essere marginalizzata in un conflitto che potrebbe ridisegnare gli equilibri di potere nell'intera regione mediorientale.
L'attacco israeliano all'Iran ha profondamente scosso gli assetti geopolitici internazionali, mettendo in luce non solo le fragilità politiche e sociali dei protagonisti del conflitto, ma anche la difficoltà di una comunità internazionale a trovare un punto di mediazione efficace. Le conseguenze politiche, morali e sociali di questa nuova escalation sono ancora in divenire, ma una cosa è certa: l'Europa e l'Italia dovranno affrontare con urgenza la necessità di rinnovare i propri approcci diplomatici, se vogliono evitare che il conflitto si trasformi in una guerra su scala globale. La strada verso una stabilizzazione del Medio Oriente sembra sempre più incerta e tortuosa, e l'unica speranza risiede nel ritorno al dialogo e alla cooperazione internazionale.
#Blog #Iran #Israele #Medioriente #War #Guerra #Opinioni #Politica #Politics
oddio
scrivo questo testo in differita (ho scritto questo testo in differita?) perché ho fatto scadere l’invito a Log, e, insomma, non so se questo già basti a raccontare o introdurre o a presentare – la testa di rapa che un po’ sono. ma non è tanto importante il come (in ritardo, cioè) ma il perché, si dice, e quindi intanto racconto questo, che ho avuto un grande desiderio di scrivere e raccontare quel che succede a scuola, e l’ho avuto proprio da quando sono a scuola. negli ultimi mesi faccio mentoring, parola che vuole dire proprio poco, mi fa pensare a quei termini vaghi come Animale, come diceva Derrida, che sono dei singolari-generali che raccolgono al loro interno tante cose e quindi forse troppe, cioè forse nessuna cosa, e però pure con l’aggravante del tecnicismo inglese che non son nemmeno sicura sia tanto tecnico, ma comunque, ecco, il mentoring è una via di mezzo fra l’aiuto compiti e l’orientamento e il sostegno a volte un po’ emotivo. io non so consolare le persone, mi ha detto a proposito (ragazza) proprio oggi, mentre leggevamo l’epopea di gilgameš. allora ci ho pensato un attimo (neanche io so consolare le persone, penso sempre, mi sento rigida senza garbo improvvisamente estranea e a volte quando arriva il loro dolore a me sembra di sentire quello, che è il loro dolore, e poi però un mio privilegio, o una distanza che si chiama fortuna, anche se anche io lo sento quel dolore, o lo so sentire, immaginare, e mi fa sentire un po’ in colpa, e mi lascia lì a orbitare). allora le ho chiesto, e tu (ragazza), che cosa ti fa sentire consolata – trovi che le altre persone ti sappiano consolare? e lei è rimasta in silenzio e ha detto: questo non lo so, non me lo sono mai chiesta, è una domanda con una risposta difficile. ma, quanto a me, diceva, io le persone però le abbraccio solo, e mi sembra poco, e questo lo so. io ho pensato che invece era tantissimo e gliel'ho detto, e anche detto, guarda, spesso basta quello spazio lì, che va da un braccio all’altro, lo spazio di due braccia?, in cui dirsi: ecco qui, ma certo, per questo dolore c’è spazio, vedi?, di questo dolore siamo capaci (capace è capax dal latino, quella parola che parla anche della bottiglia, e che ci dice che ha questa o quella capacità di contenere, capacità che spesso varia, direi proprio)). dicevo però, e ancora arrivo in ritardo, vi chiedo un po’ scusa, che questa cosa di scrivere mi è venuta soltanto a scuola – forse perché a scuola amavo scrivere e scrivevo tanti racconti, ed era facile e poi ho smesso, e scrivere è diventato solo un compito e un far vedere che so fare, o che dovrei saper fare, che so produrre una cosa sensata, forza, guarda, oh no, mi stanno guardando, mi stanno leggendo, e forse per questo il fatto che scrivo finisce ormai per significare che produrrò anche qualcosa di un po’ oscuro (metà colpa del fatto che sono involuta di mio, metà grazie al fatto che mi piace che le frasi prima che leggerle si possano suonare o insomma si muovano da sé e che somiglino quasi al verso, forse come quello che fanno gli animali – alcuni animali, specifichiamo quali, che sennò non vale: a me piacciono gli insetti, per esempio, e loro cantano parecchio, sarà questo?). e succede questo pianto e stridore di denti, dico un po' scherzando e un po' sul serio, perché nello scrivere per me c'è dentro anche tanto della vergogna, dell'esporsi quando non sempre si vuole, e così via. però l’altro giorno, uscita da scuola, volevo – avevo in testa che volevo scrivere qualcosa di più lungo, magari non proprio questo, sicuramente non proprio questo, e anche ieri dopo le nuove due ore in classe avevo in testa ancora una cosa del genere, o questa cosa che è un po' degenere, lo ammetto. e quindi, intanto, le ho messe per iscritto, e ora le metto qui. come si dice. piacere? dopo, comunque, vi racconto meglio.
Ricordando Max Gerlach
La storia di oggi parla di un uomo dimenticato, un uomo sconosciuto ai più, che non venne creduto in vita e il cui nome è stato seppellito dalla polvere degli anni.
Max Gerlach venne al mondo in Germania nel 1885 – sono dunque trascorsi 140 anni dalla sua nascita – ma si trasferì ancora bambino negli Stati Uniti d'America, dove studiò, lavorò come meccanico e si arruolò nell'esercito, nel 1918. Se la sua storia vi pare fin qui comune a quella di milioni di altri individui, non siete troppo lontani dalla verità, ma Max era deciso a incarnare quel sogno americano di cui traboccano racconti e film: lui non voleva una vita ordinaria, lui voleva splendere.
Il lavoro di meccanico lo portò a incontrare le più diverse persone, appartenenti ai più disparati ambiti sociali e professionali, ed è proprio lavorando nella sua officina, dando nuova vita ad automobili acciaccate, che probabilmente gli venne l'idea di dare nuova vita anche a se stesso: iniziò facendosi chiamare Max von Gerlach, ammantando il proprio nome con un velo di europea nobiltà, e prese a parlare in modo raffinato e snob, usando spesso l'intercalare “old sport”.
Se a questo punto un'eco lontana ha iniziato a sussurrarvi nella mente non dovete stupirvi troppo: Max Gerlach fu tutt'altro che una persona comune e la sua storia, o perlomeno quella che da essa trasse con ogni probabilità ispirazione, è stata diffusa in tutto il mondo, venendo trasposta anche in due film di successo con attori di fama planetaria.
Ma forse qualche altro indizio vi guiderà verso la soluzione del mistero. Come dicevo poc'anzi, il lavoro di Max lo portò a entrare in contatto con le persone più diverse; tra queste, il boss mafioso Arnold “The Brain” Rothstein (anch'egli di chiara ascendenza germanofona), passato alla storia per lo scandalo delle scommesse esploso in seguito alle finali truccate del campionato di baseball del 1919. Tra le variegate conoscenze maturate da Gerlach spicca il nome di un celebre autore statunitense: Francis Scott Fitzgerald.
Lo scrittore non fece mai mistero di trarre ispirazione dalla sua vita per scrivere poi i propri romanzi: chiaramente riferito ai suoi anni da studente a Princeton è ad esempio “Di qua dal Paradiso” e certo non mancano spunti autobiografici in “Belli e dannati”; ha dunque senso supporre che anche “Il grande Gatsby”, la sua opera più celebre e di cui quest'anno ricorre il centenario della prima pubblicazione, immergesse le proprie radici nel terreno della realtà quotidiana.
A supporto di questa teoria, che vedrebbe lo sconosciuto e dimenticato Max Gerlach come ispiratore del personaggio di Jay Gatsby non ci sarebbero soltanto i numerosi “old sport” usati come intercalare dai due (Gatsby pronuncia questo “vecchio mio” ben 42 volte all'interno del romanzo, e la frase è stata ripresa anche nei film che hanno visto protagonisti Robert Redford prima e Leonardo Di Caprio poi): la reale “collaborazione” di Gerlach col mafioso ebreo Rothstein richiama da vicino quella romanzesca di Gatsby con Meyer Wolfsheim, anch'egli votato al crimine e dotato di cognome tedesco, e c'è poi la telefonata che lo stesso Max Gerlach fece a una trasmissione radiofonica, nel 1951, nel corso della quale si stava presentando una biografia di Fitzgerald, asserendo di essere lui il vero Jay Gatsby. Ma non venne creduto. Da tempo si identificava “Il grande Gatsby” con Robert Kerr, molto amico dell'autore, uomo di umili origini e capace di dare la scalata al successo proprio come il protagonista del romanzo: la “sparata” radiofonica di un meccanico immigrato, ormai vecchio e malconcio, non venne minimamente presa in considerazione.
Questo fino a quando, parecchi anni dopo, un altro biografo di Fitzgerald, Matthew Bruccoli, non trovò tra alcuni appunti dell'autore una scritta di Max Gerlach che diceva “How are you and the family, old sport?” (“Come state tu e la famiglia, vecchio mio?”). Troppo tardi per dare all'anziano meccanico in pensione il giusto riconoscimento: era morto al Bellevue Hospital di New York nel 1958. Ma non troppo tardi per raccontare la sua storia.
Il valore delle cose risiede proprio nel tempo in cui durano.
L’intensità dei momenti può abbagliare, ma è la continuità che costruisce significato. Una passione fugace può sembrare indimenticabile, ma ciò che resiste alle prove del tempo — un’amicizia che attraversa le stagioni, un impegno che non vacilla, un amore che cresce ogni giorno — ha un valore ben più profondo.
I momenti intensi, per quanto brillanti, sono come fuochi d’artificio: affascinano per un attimo, poi svaniscono. Le cose davvero importanti nella vita sono quelle che restano, che si radicano, che si costruiscono con pazienza. Non servono emozioni travolgenti per rendere qualcosa memorabile: serve presenza, costanza, e il coraggio di restare anche quando l’intensità lascia spazio alla quotidianità.
In fondo, non è difficile brillare per un attimo. Ma durare, quello sì, è raro. E prezioso.
Laurie Anderson - Homeland (2010)
Homeland è il settimo album in studio di Laurie Anderson, pubblicato nel 2010. Si tratta di un concept album sulla vita negli Stati Uniti, il suo primo album di nuovo materiale da Life on a String del 2001. Il disco è stato prodotto da Anderson, Lou Reed e Roma Baran. Anderson ha iniziato il tour del progetto alla fine del 2007. L'uscita dell'album era originariamente prevista per il 2008. A causa dei continui cambiamenti di forma del progetto, l'uscita è stata posticipata più volte. L'ultima uscita, nel 2010, è stata un cofanetto di due dischi composto da un CD e un DVD. La canzone “Only an Expert” è stata pubblicata come singolo in vinile da 12” il 18 maggio 2010. Una canzone intitolata “Pictures and Things” era il lato B del singolo. L'ultima traccia dell'album, “Flow”, è stata nominata per il Grammy Award come migliore performance pop strumentale nel 2011.
Ascolta: album.link/i/376832039
SALMO - 129 (128)
INVOCAZIONE A DIO CONTRO I NEMICI D'ISRAELE1 Canto delle salite
Quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza – lo dica Israele –,
2 quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza, ma su di me non hanno prevalso!
3 Sul mio dorso hanno arato gli aratori, hanno scavato lunghi solchi.
4 Il Signore è giusto: ha spezzato le funi dei malvagi.
5 Si vergognino e volgano le spalle tutti quelli che odiano Sion.
6 Siano come l'erba dei tetti: prima che sia strappata, è già secca;
7 non riempie la mano al mietitore né il grembo a chi raccoglie covoni.
8 I passanti non possono dire: “La benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome del Signore”.
_________________Note
129,1 Rievocando le molte situazioni di oppressione che hanno scandito la sua storia (nei vv. 1-2 l'accenno alla giovinezza forse allude alla prima oppressione, quella egiziana), la comunità d’Israele riconferma la propria fiducia nel Dio dei padri, che mai ha esitato nell’offrire salvezza e liberazione.
129,6 l’erba dei tetti: cresciuta sulle terrazze in terra battuta, che facevano da tetto alle case, quindi con scarse radici.
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Approfondimenti
La fiducia in Dio: certezza per Israele Salmo di fiducia
Il ritmo del salmo nel TM è quello dell'elegia (qînâ), di 3 + 2 accenti. Probabilmente è del postesilio. Strutturalmente è a intreccio graduale nei vv. 1-2. I vv. 1-4 riguardano il passato e i vv. 5-6 il futuro. Nella prima parte c'è l'immagine dell'aratura (v. 3) e nella seconda quella della mietitura (v. 7). La simbologia è temporale, spaziale, agricola e liturgica. È simile al Sal 124 e per l'ostilità menzionata riecheggia il Sal 120.
Divisione:
- vv. 1-4: racconto del passato doloroso;
- vv. 5-8: supplica per un futuro migliore.
v. 1. «dalla giovinezza»: allusione al periodo dell'esodo (cfr. Os 2,17; Ger 2,2). «ma non hanno prevalso»: il salmista può dirlo con orgoglio, a nome d'Israele, di non essere stato schiacciato e annullato definitivamente dai nemici, per grazia di Dio (v. 3) (cfr. Lam 3,2).
v. 3. «Sul mio dorso hanno arato...»: il simbolo agricolo dell'aratura richiama la flagellazione e la devastazione della guerra (cfr. Mic 3,12; Is 50,6; 53,4-5).
v. 4. «Il Signore è giusto...»: si attribuisce la causa della sopravvivenza a tante angherie e oppressioni al Signore che è «giusto» (= fedele alla sua alleanza).
v. 5 «quanti odiano Sion»: sono quelli che odiano il Signore e il suo popolo (cfr. Is 4,3; 64,10; Mic 3,10.12; Sal 51,20). Sion è luogo della presenza della casa di Davide e del tempio del Signore, ove si raccoglie il popolo a pregare.
v. 7. «non se ne riempie la mano il mietitore...»: dopo l'immagine dell'erba dei tetti (gramigna), che non avendo radici subito dissecca (v. 6), segue l'immagine del grano, che falciato si rivela inservibile, perché poco consistente per non aver maturato il seme nella spiga. Ambedue i paragoni (v. 6-7) servono a descrivere il rapido annientamento dei nemici di Dio e del suo popolo, auspicato dal salmista.
(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
Il girone delle multinazionaliAl giorno d’oggi, la diffusione delle Multinazionali è agevolata dalla crescente Globalizzazione: trampolino di lancio per imprenditori avidi, fanatici ed arrivisti, mossi unicamente dal desiderio di guadagno ed espansione. Questi facoltosi potenti hanno sacrificato valori morali ed ideali, appartenenti al loro passato come semplici persone, per raggiungere la vetta.La tutela dell’ambiente e la libertà, persino quella dei propri dipendenti, sono spesso volutamente ignorate, in nome del successo e dell’ascesa sociale. Le unicità culturali dei diversi paesi, che andrebbero preservate e non contaminate, sono minacciate da un’espansione imprenditoriale egoistica e colonizzatrice. Il pensiero occidentale è la chiave per esportare tantissime aziende nel resto del Mondo, servendosi del malsano pretesto di voler condividere valori e benessere, spesso imposti e contrastanti con la cultura autoctona, definita erroneamente arretrata dagli approfittatori. Questa scusa per lo più ipocrita, è il doppio fondo di una volontà studiata per ampliare le fasce di mercato dei Grandi Commercianti che, una volta saturato il proprio mercato nei nostri paesi, sono partiti a conformare il resto del Mondo verso una sola cultura, verosimilmente la nostra. Il rischio più grave è l’omologazione culturale globale, che potrebbe cancellare le peculiarità delle società più lontane da noi.
Il simbolo più evidente di questo meccanismo è il McDonald's: presente in ogni angolo del mondo, offre ovunque lo stesso sapore standardizzato e scadente. I suoi prezzi accessibili lo rendono attraente per tutti, anche per le fasce sociali più povere, vendendo cibo spazzatura al limite della tossicità. La qualità è di solito così scadente che potrebbe essere meno nocivo mangiare una volta a settimana, piuttosto che mangiare tutti i giorni in questo colosso industriale. In molti paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, le persone che lavorano per queste multinazionali sono sottopagate, erano povere prima e continuano ad esserlo adesso. La stragrande maggioranza di loro, è costretta ad alimentarsi con la nostra spazzatura, propinata dalla stessa Multinazionale da cui dipendono. Il buon senso e la giustizia vengono sistematicamente ignorati, a favore delle logiche di mercato.
La globalizzazione ha davvero migliorato le nostre vite?... o piuttosto, quelle di chiunque non abbracci la cultura occidentale capitalista e consumistica? Da questo aspetto sicuramente no. Il successo di servizi come McDonald's si basa su velocità, accessibilità e comodità, e sono gli stessi motivi per cui siamo totalmente catturati dai sevizi di Amazon. Sono così efficienti e sbalorditivamente veloci che non si riesce a farne a meno.
Dovremmo però essere tutti più consapevoli degli effetti disastrosi che le multinazionali hanno sull’economia e sull’ambiente, basta consultare il proprio “dispensatore di cultura”, ma continuiamo a scegliere la comodità a discapito della nostra etica. Il motivo per cui pochissime menti andrebbero contro questi meccanismi spettacolarmente attraenti, è racchiuso in una giustificazione tanto banale quanto pericolosa: “Tanto lo fanno tutti”. L’idea generale è che se qualcosa è condiviso da tutti, allora non può essere sbagliato. E’ un processo mentale così facile ed elementare che rende facile uniformarsi e che ci solleva, almeno in apparenza, dalla responsabilità morale.
Siamo stati volutamente cresciuti secondo falsi valori e falsi ideali per renderci dei consumatori perfetti. Il nostro interesse è quasi unicamente seguire la folla, tralasciando il punto di partenza ed il punto di arrivo e soprattutto, se la destinazione possa essere catastrofica o no. Di conseguenza siamo tutti coinvolti, anche inconsapevolmente, nel sostenere un sistema corrotto e egoista. Viviamo in una realtà che non ha mai avuto a cuore i bisogni del consumatore, si concentra piuttosto a rendere il consumatore stesso bisognoso ed assuefatto. Stiamo parlando di un sistema mondiale nato e studiato per essere incontrastabile, capace di sopravvivere a qualsiasi crisi o epoca futura. Siamo tutti responsabili equivale al fatto che nessuno lo sia, ma la più grande responsabilità resta nelle mani degli oligarchi del capitalismo, che ci hanno indottrinati con le loro strategie persuasive, come la costante pubblicità, alimentando le logiche di mercato. Basta prestare attenzione ad una qualsiasi pubblicità.
Una lontana soluzione potrebbe presentarsi solo se, a livello globale, trovassimo un motivo comune per far risuonare le nostre voci all’unisono e partecipare attivamente ad una lotta ideologica totale. Ognuno di noi, orientale o occidentale che sia, avrebbe le sue ragioni per combattere. Unirsi in un collettivo e vasto schieramento di opposizione è un modo per fare la differenza.
Una soluzione individuale e riduttiva come tale, si cela fra le decisioni che prendiamo ogni giorno: la scelta quotidiana di non alimentare consapevolmente un sistema che riteniamo ingiusto.
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Scrivere
Perché? Comunicare fa parte della natura umana, anzi: trasmettere le proprie conoscenze ai membri del branco e ai cuccioli, evitando loro rischi e pericoli, organizzando le battute di caccia o pianificando la difesa o l'espansione del proprio territorio, è caratteristica comune a tutti gli animali che si ritengono più evoluti. Ma comunicare non è scrivere. Quando, a Lascaux, circa 17500 anni fa, qualcuno disegnò cavalli, cervi, bisonti e lasciò il segno delle proprie mani sulle pareti delle grotte, certamente voleva comunicare qualcosa, forse ai posteri o forse al divino, ma per passare dai disegni alla scrittura è necessario attendere molto a lungo: attualmente il più antico testo scritto è, secondo molti studiosi, la tavoletta di Kish ritrovata appunto nell'antica città sumera di Kish, nell'attuale Iraq.
Si tratta, come da consolidata tradizione mesopotamica, di una tavoletta d'argilla, sulla quale sono stati incisi simboli proto-cuneiformi, ma la cui datazione è ancora oggetto di discussione, essendo stata scoperta in un'epoca in cui l'archeologia era ancora molto più basata sull'avventura e l'intraprendenza che non sulla scienza e la stratigrafia, e anche il suo significato è oggetto di speculazioni e diatribe. Io credo sia l'inizio della barzelletta: “Sapete cosa fanno un ittita, un egiziano e un sumero in una taverna?”
Pur tra i mille dubbi che ancora ammantano la nascita della scrittura, almeno la sua funzione pare certa: si scrive – e si scriveva – per fissare concetti e sapere, per tramandare, come dicevamo all'inizio, le proprie conoscenze, nel sacro come nella contabilità, nelle leggi come nella medicina. Non si sa con certezza neppure quando la scrittura, dono divino secondo svariate culture del passato, sia uscita da templi, palazzi e tribunali per andare ad abbracciare la cultura popolare, fissando con parole immutabili racconti che prima erano destinati a svanire insieme al suono delle voci. Nell'estate del 2018 un gruppo di archeologi impegnati in una campagna di scavi nel sito di Olimpia Antica ha scoperto una tavoletta di argilla su cui erano incisi i primi 13 versi dell'Odissea di Omero; datata come riconducibile all'epoca romana, attorno al III secolo dopo Cristo, potrebbe essere la più antica testimonianza scritta di un poema occidentale.
Per arrivare ai romanzi, però, è necessario attendere ancora svariati secoli: il termine romanzo probabilmente deriva dal francese antico romanz, a sua volta proveniente dall'avverbio tardo latino romanice che significa “alla romana” e veniva usato per designare i cittadini di origine romana che parlavano, appunto, “romanice”, a differenza dei barbari. È solo nel XII secolo che in Francia la parola romanz assume anche un altro significato, andando a designare il discorso o il testo in lingua volgare, e più tardi ancora indicherà quelle opere letterarie che riprendevano i miti e le leggende del mondo classico. Come da questo si sia arrivati al surplus di scrittura e pubblicazioni che dominano il nostro vivere quotidiano, però, è un'altra storia...
Periferie
Sono insieme spazio fisico, esperienza personale e collettiva. Un vissuto complesso, stratificato e in continuo movimento. Sono anche forme di invisibilità nate da urbanità frammentate, spesso attraversate da solitudini che non si misurano e non si colmano.
Condizioni non agevoli, in cui alcuni talvolta l’umano e il simbolico sono più vivi che altrove. Nelle periferie nascono nuove estetiche, spazi di solidarietà, laboratori di innovazione e molto altro.
Queste sono forme di resistenza, espressioni vitali e segnali positivi. Ci ricordano che un benessere più ampio e diffuso è necessario.
Perché, quando viene meno l’accesso a ciò che è essenziale – una scuola, un medico, un autobus che arriva – la vita si restringe.Perché, quando si è esclusi dalle decisioni che modellano lo spazio comune, i sogni delle persone diventano problemi da gestire.
Perché, nell’impossibilità di immaginare un futuro il tempo degenera in mera ripetizione.
Marginalità, esclusione e abbandono consumano la vitalità del corpo e le energie necessarie a proiettarsi nel futuro.
L'esclusione
Le periferie non dispongono di reti di trasporto adeguate, e questo ostacola l’accesso a scuole, università e lavoro. Sono escluse dai servizi pubblici essenziali, spesso assenti o mal funzionanti. Anche chi opera in questi ambiti si scontra con condizioni difficili. Da decenni vivono una condizione cronica di disinvestimento: l’occupazione è precaria o del tutto assente.
L'abbandono
Salvo rare eccezioni, queste aree sono abbandonate dalle istituzioni, che faticano a comprenderle e non vi investono in modo continuativo. Sono ignorate dagli attori economici e – nel migliore dei casi – assediate da centri commerciali. Non vengono considerate territori su cui scommettere: troppo rischiose, troppo poveri i loro abitanti. Sono abbandonate anche dalla società, quando il discorso pubblico le riduce a ghetti o dormitori.
Infine, stigmatizzare le periferie è un modo per marginalizzarle.
E così, a problemi strutturali si risponde con misure emergenziali: più forze dell’ordine, più controlli. Ma ciò che serve davvero è un approccio trasformativo, basato sull’empowerment, sull’educazione come leva di cittadinanza attiva, sulla rigenerazione urbana partecipata e sul rafforzamento delle reti solidali.
Le periferie non vanno “salvate”, vanno riconosciute per ciò che sono: luoghi abitati, complessi e vitali, attraversati da potenzialità, relazioni, culture ibride e capacità di resilienza.
Per costruire percorsi solidi di autonomia, emancipazione e benessere, servono alleanze e un quadro di riferimento stabile. Occorrono condizioni strutturali: un ecosistema di supporto educativo, culturale, urbano e politico – solido, accessibile, duraturo.
Intervenire, allora, non è un atto di salvataggio, ma un gesto di giustizia sociale.
Ma la vita è teatro!
Amo le cose vere, certo, ma chi dice che la verità debba sempre mostrarsi nuda e cruda? Le parrucche, le maschere, i travestimenti non sono solo finzione: sono arte, gioco, sopravvivenza. A volte, persino una forma di sincerità più profonda.
Perché limitarsi a sorridere per nascondere il dolore, quando si può indossare un volto di glitter e paillettes per trasformarlo in qualcos’altro? La maschera non è solo menzogna: è libertà. Libertà di essere chi non si è, chi si sogna, chi si teme, chi si desidera. Il teatro, il carnevale, il trucco sono linguaggi antichi che dicono: “Ecco un’altra verità, una che forse non osavi confessare.”
E poi, siamo davvero così sicuri che il “vero” sia sempre migliore del “finto”? A volte, una bugia gentile salva un’amicizia. Un costume stravagante rivela più coraggio di mille parole sobrie. Un volto dipinto può essere una dichiarazione, una protesta, una poesia.
La vita non è un tribunale della autenticità. È un palcoscenico. E se vogliamo recitare, danzare, fingersi eroi o mostri, perché no? L’unica maschera inaccettabile è quella che ci costringiamo a portare per compiacere chi grida: “Sii te stesso!” — come se “noi stessi” fossimo qualcosa di semplice, di immutabile, di privo di contraddizioni.
Preferisco mille maschere a un solo volto imposto. Preferisco la complessità alla purezza. Preferisco ridere, fingere, esagerare, trasformarmi. Perché anche nell’artificio, a volte, si nasconde una verità più grande.
QUESTO E' UN ADDIO.
A memoria mia non c'è mai stata una singola volta in cui io sia andato alle urne per non riceverne, poi, una enorme delusione.
I casi erano 2: o vinceva una coalizione/partito così impresentabile da farmi domandare “ma com'è possibile?”, oppure chi votavo io si rivelava una tristissima delusione, poco dopo (ma, molto più spesso, si è verificato il primo caso). Non parliamo di referendum; quasi mai le mie speranze hanno prevalso o raggiunto il quorum.
Perché?
Con il tempo, questa domanda è diventata sempre più ingombrante nel mio cuore e nei pensieri.
Perché?
Mi sono convinto, piano piano, di essere diverso: un italiano atipico, le cui speranze non erano condivise quasi da nessuno. E, in effetti, lo sono.
Eppure era così facile capire chi fosse impresentabile! Ci sono stati e ci sono presidenti del Consiglio per cui “il popolo” (o almeno quella parte con cui avevo a che fare) sbavava letteralmente: guai a toccarli! Guai ad accennare che, forse, la tal misura poteva non essere molto azzeccata: chi mi stava intorno mi mangiava la faccia (come diciamo dalle mie parti), fatte salve poche eccezioni. Dopo pochi mesi tutto questo fervore passava, i disastri che per me sarebbero stati evidenti diventano effettivamente lampanti, ma si dava un colpo di spugna al presidente di turno e si ricominciava con un altro personaggio, con altri disastri.
Ma perché? Perché continuavamo in questo circolo vizioso, sempre più al ribasso, con candidati sempre più impresentabili, sempre più (dati alla mano) incapaci quando non addirittura dannosi?
Non avevo risposte, ma intanto il Paese precipitava sempre più in basso, e mi sentivo impotente: non c'era modo che le cose cambiassero. Anche se la speranza era l'ultima a morire, questo clima di immobilità lo percepivo negli ambienti di lavoro, dove nessuno voleva far sentire le proprie ragioni di dipendente. Lo avvertivo nei vari referendum, dove troppo pochi votavano. Lo leggevo nelle facce delle persone quando mi spiegavano perché “dovremmo smettere tutti di votare” e poi effettivamente non ci andavano (più).
Non è cambiato granché da quegli anni, se non che io sono diventato vecchio. O quasi.
A 48 anni, dopo 30 anni di votazioni, di occasioni sprecate, di Stato civile che vedo sempre più gettare alle ortiche, posso dire di essere diventato vecchio dentro, se non fuori.
Sono tanto, tanto stanco di tutto questo.
Io, che sono un italiano decisamente atipico, non trovo un posto per me, qui.
Io, che sono uno che non usa mai le piste ciclabili contromano, uno che, prima di fermarsi a chiacchierare sul marciapiede, si assicura che ci sia abbastanza spazio per far passare altre persone; uno che paga SEMPRE il biglietto per i mezzi pubblici (e, la volta che si dimentica, ne paga 2 la volta successiva); uno che, se ha tempo, lascia che altre persone passino davanti in una fila (chiedendo prima a chi sta dietro). Uno che, visto che può camminare, non solo lascia libero il posto riservato alle persone con disabilità, ma parcheggia lontano lontano e si fa una passeggiata, che non si sa mai che ci sia qualcuno meno abile di me che può beneficiare di un posto più vicino al tal ufficio. Io che le tasse le ho sempre pagate senza mai lamentarmi. Io sono quello che si pone le domande, continuamente. Son quello che si ferma, mentre cammina, per lasciare che i piccioni finiscano di mangiare senza spaventarli. Sono quello che porta il cibo ai gatti randagi.
Io sono quello che, pur lavorando presso un ospedale, non ha mai chiesto, preteso o accettato un trattamento di favore dai colleghi medici della stessa struttura, e ho sempre avuto le prestazioni dopo mesi come tutti gli altri. Io, che per anni ho pagato più IMU del dovuto ma non l'ho mai chiesta indietro al mio Comune. Io, che ho ricevuto quella cartella esattoriale di 1850 euro dall'Agenzia entrate e non mi sono lamentato, perché erano soldi che non avevo pagato prima, e ho pure ringraziato gli impiegati negli uffici per il lavoro che fanno. Io, che ringrazio l'Europa di esistere, pur con tutti i suoi difetti.
Io, che quando vedo una persona che ha la pelle di un colore diverso dal mio, non mi faccio domande. Se parla italiano, per me è uno di noi.
Ecco, io sono questo cittadino.
E ne ho pieni i coglioni. E ho perso qualsiasi speranza: non vedrò mai un'Italia giusta, né sul fronte dei diritti (anche civili), né nella “cultura”. L'Italia è diventato un posto dove si mangia bene (e peraltro manco l'unico) e stop.
Sono stufo di essere quello diverso, quello che è lui quello strano. No cari miei, quelli strani sono coloro che non hanno il mio senso civico, sono gli altri. Sono quelli che ieri e l'altro ieri non hanno mosso le chiappe dal divano se non per andare al mare. Sono quelli che non hanno votato, perché “altrimenti Landini prende 2 milioni” [falso] o perché “anche l'astensione è una forma di espressione”. No belli miei, con tutti i miliardi che lo Stato butta per darci la possibilità di esercitare uno dei cardini della democrazia, il minimo che puoi fare per non sprecare SOLDI PUBBLICI è che alzi le chiappe e vai a votare “NO”, se proprio non ti piacciono i quesiti, come ho fatto io tante volte.
Gli strani sono quelli che non hanno ancora capito che il problema, in questo Stato, non è il politico Barabba di turno: siamo “noi”, è la gente. I politici non vengono da oltremare o da Nettuno, vengono da noi, da questo Paese.
Sono persone che, come l'italiano medio, si lamentano continuamente e danno colpe a questo o a quello, ma non se ne prendono mai una. Continuano a dare le colpe a sinistra, tanto che ormai sembra quasi che la causa di tutti i mali sia la sinistra, ma non fanno un c***o per cambiare le cose, nemmeno quando ne hanno la possibilità. E in questo, purtroppo siamo perfettamente rappresentati dall'attuale Presidente del Consiglio, e molti altri.
C'è e ci sarà sempre “qualcun altro” che deve risolvere i nostri problemi, ma mai noi in prima persona. Noi siamo perfetti, non dipendono da noi i nostri problemi. Anzi. Certo, passiamo col rosso, ma perché abbiamo fretta. Superiamo il limite di velocità, ma solo un pochino. Ci facciamo licenziare apposta a fine luglio per godere di un mese di stipendio senza lavorare, col sussidio di disoccupazione, ma ce lo meritiamo più di altri. Poi a settembre si vedrà.
Mediamente, siamo quelli che si lamentano del traffico, ma poi parcheggiano in doppia fila perché “ non c'è più posto”.
Come le persone che si lamentano dell'immondizia in giro, ma non la raccolgono e inveiscono contro il Comune che “non pulisce abbastanza”, o contro la società dei rifiuti che, come ho sentito dire di recente, “ci costringe fare la differenziata, che dobbiamo fare?”. Sicuramente non devi buttarla nel campo. QUELLA non è la soluzione.
E con queste premesse, come volete che siano i nostri politici? Persone uguali a noi, altrimenti non le voteremmo. Ma siccome questi atteggiamenti li abbiamo tutti, non saremo mai rappresentati da nessuno che davvero faccia quello che si deve fare per risollevare il Paese. Anzi: visto che lo sport nazionale pare che sia fregare lo Stato, non vedo molte differenze, non c'è un “noi” e “loro” quando si parla di cittadini e politici.
E' per tutti questi motivi che vi dico addio.
Dopo l'ennesimo schiaffo, dopo la dimostrazione che a nessuno frega più nulla neanche dei diritti dei propri figli/nipoti/coniugi, allora non c'è davvero più speranza. Diventa una lotta contro i mulini a vento da cui mi sfilo non per ignavia, ma perché l'avversario, oltre che troppo grande, è inutile combatterlo.
Continuerò a fare quello che ho sempre fatto perché sono fatto così, ma con questo Paese ho chiuso: non è il mio, non mi ci sento bene. (Aggiungiamoci poi che ci sto male anche fisicamente).
Spero, un giorno, di poter chiudere anche letteralmente, spostandomi altrove e godendo di una pensione (se mai arriverà) che mi sono sudato fino all'ultimo centesimo e oltre.
(l' “oltre” è la parte che non arriverà mai, perché manco questo siamo capaci di fare: offrire un futuro ai cittadini onesti).
Una cosa è certa: a me la cittadinanza è arrivata nascendo qui da gente nata qui, ma se potrò scegliere qui non ci voglio morire.
Dove, ancora non so: ma ovunque tranne qui.
Ora datemi pure del vigliacco se vi va.
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Il canale Youtube su cui pubblico video e podcast, Grido Muto, presto cambierà nome.
Racconterò lì il processo che mi porterà altrove: la ricerca, le speranze, tutto. Seguitemi lì se vi va.
#referendum #referendum2025 #politica #fibromialgia #artrite #malatiinvisibili #MalattieInvisibili #MalattieCroniche #VivereAllEstero #Estero #Emigrare #Emigrazione #FugaDeiCervelli #SensoCivico #Identità
Una giungla di fenomeni.
(167)
Nel cuore impenetrabile della giungla malese, dodici intrepidi avventurieri affrontano un viaggio estremo, tra fango, sudore e liane, alla ricerca di un montepremi da dividersi alla fine del percorso. Ma non sono esploratori, non sono ex militari, e no, nemmeno boy scout. Sono... professionisti digitali. O qualcosa del genere.
I loro titoli? Un tripudio di inglesismi, abbreviazioni e parole che, messe insieme, sembrano generate da un algoritmo ubriaco: content creator, consulente creativo, digital strategist, autore di contenuti web, project manager di progetti fluidi (ma quali?). Alcuni sono “ex manager”, che non si capisce bene se vuol dire che hanno lasciato la scrivania o se è la scrivania ad aver lasciato loro.
Li vediamo marciare tra le zanzare e i serpenti come se dovessero raggiungere il Wi-Fi più vicino, mentre il sudore scioglie l’ultima traccia di ceretta alle sopracciglia e i loro zaini sembrano contenere più prodotti skincare che strumenti di sopravvivenza. Il vero pericolo, però, non è la natura selvaggia: sono le tentazioni.
Ad ogni bivio, una nuova prova morale: una bistecca tomahawk da 240 euro, una suite con aria condizionata e minibar, un massaggio balinese a otto mani. Se uno di loro cede – e, spoiler: cedono spesso – il montepremi si riduce. Tutti si indignano, ma poi, alla tentazione successiva, cambiano idea. Perché rinunciare a una Jacuzzi in mezzo alla giungla solo per lasciare agli altri qualche euro in più?
E qui sorge spontanea una domanda: se questi sono i lavori del futuro, noi che ci svegliavamo alle sette per timbrare il cartellino abbiamo sbagliato tutto? Forse. Ma resta il dubbio: cosa fanno, esattamente, queste persone?
Uno dice: “Creo contenuti emozionali per il web”. Che potrebbe voler dire scrivere una poesia, girare un reel con la nonna, o semplicemente filmarsi mentre beve un cappuccino con lo sguardo assorto. Un altro è “strategic planner esperienziale”, cioè, se abbiamo capito bene, organizza eventi dove la gente si sente ispirata a investire in sé stessa. Un terzo “ha lasciato la finanza per seguire il cuore”, e oggi racconta la propria trasformazione interiore tramite podcast. Spoiler: la finanza sembra sentirsi benissimo anche senza di lui.
Certo, i tempi cambiano, e non tutti devono sapere riparare un tubo o accendere un fuoco con due sassi. Ma in certi momenti – tipo quando piove da tre giorni e bisogna costruire un riparo – l’assenza di skill pratiche diventa più evidente del fard sbavato sulle guance. E la giungla, quella vera, non fa sconti ai CEO di sé stessi.
Alla fine, mentre il montepremi si assottiglia e le prove si moltiplicano, resta solo una certezza: nella giungla digitale di oggi, l’unica vera sopravvivenza è farsi notare. Anche se l’unica cosa che si è costruita, finora, è un profilo LinkedIn pieno di parole che non significano nulla.
#Blog #TV #Opinioni #SocialMedia #Reality
LOLITA - Vladimir Nabokov
Di solito, il lettore medio si accosta alla lettura di questo libro pensando di insinuarsi voyeuristicamente nella morbosa e lubrica storia del maturo professore che intreccia una relazione proibita con una ragazzina disinibita. Certamente questo è ciò che immediatamente salta agli occhi in “Lolita”: lo scandalo, il peccato, l'oscurità mostruosa da cui l'occhio curioso non riesce ad allontanarsi. Invece, non appena si comincia a leggere, ecco la rivelazione: “Lolita” è un viaggio allucinato alla ricerca della perfezione della lingua, del fraseggio, della musicalità dell'espressione (tutto questo è percettibile anche attraverso la bella traduzione in italiano – per Adelphi, l'arduo compito è stato assolto con maestria da Giulia Arborio Mella). E lo si intuisce fin dal meraviglioso incipit¹, un gioiello di efficacia e bellezza che sembra la strofa di una canzone, che già contiene la potenza di tutto il romanzo, una lettera d'amore e di passione nei confronti della parola stessa. E la narrazione, durante il dipanarsi della vicenda, sperimenta vie diverse e si trasforma: da concreta e tangibile dei primi capitoli, sfuma gradualmente nell'onirico, e la conclusione si stempera in una nebbia di sogno, mutandosi in una spirale vorticosa in cui il protagonista, il professor Humbert, cade senza scampo. E poi c'è il libro, con tutti i suoi temi e le sue allusioni: Nabokov costruisce una storia sull'impossibilità di stabilire relazioni vere, basate sull'affetto reciproco, quando le fondamenta su cui il rapporto è costruito sono il possesso, il controllo e la violenza. La corruzione di Humbert, e la pretesa di avere Lolita in un modo perverso e innominabile, ne deforma l'innocenza e la purezza, si appropria della sua giovinezza e della sua identità stessa. Chi è, dunque, Lolita? Cosa “rappresenta”? È il simbolo dell'infanzia tradita? È forse la figura del desiderio di libertà e di autodeterminazione? Lolita è tutto questo, ed è soprattutto una nitida metafora dell'individuo soggiogato e riplasmato dall'autorità dittatoriale, ridotto a un “possedimento”, su cui il mostro reclama diritti e privilegi che in realtà non gli appartengono. Eccola, dunque, la vera abiezione di Humbert: è un orrore dalla doppia faccia, perché il professore parla con facondia in prima persona, cercando di sedurre il lettore e di giustificare la nefandezza delle sue azioni e dei suoi abietti impulsi. In questo modo, genera un contrasto alienante tra la simpatia che il personaggio sembra chiedere per sé, e il suo dolce e terribile abisso personale, ovvero la sua attrazione per le giovanissime “ninfette”, un tabù degno del più feroce stigma sociale. “Lolita” è un romanzo assoluto, profondo e vasto come un intero mondo, e, come ogni grande capolavoro che sia in grado di meritarsi il titolo di “pietra miliare della letteratura”, è capace di scuotere il tranquillo e rassicurante senso comune, per sconvolgere l'etica, la morale e la coscienza. . ¹ Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta.Anche questo particolare contribuisce a stupire: come spiega nella sardonica postfazione, Nabokov ha scritto “Lolita” direttamente in inglese (e non nella sua amata lingua madre, il russo) per permettergli di essere annoverato nella letteratura americana.
La gestione delle identità digitali e degli accessi al cloud
Redazione Developers Italia
Passiamo in rassegna la “cassetta degli attrezzi” dei sistemi di identità digitali che consentono l’erogazione dei servizi pubblici online per tutte le esigenze: da centinaia a milioni di utenti
di Claudio Cocciatelli, Daniele Pizzolli, Giuseppe De Marco e Fabrizio De Rosa, Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri
Il cloud ci aiuta ogni giorno a offrire servizi pubblici più sicuri, affidabili ed efficienti, per pubbliche amministrazioni, cittadini e imprese. Ma perché tutto questo funzioni serve una gestione attenta e sicura degli accessi. L’autenticazione digitale, cioè il processo che consente a un utente di usufruire di un servizio o accedere a determinati dati attraverso il cloud verificando che chi accede sia effettivamente il titolare delle credenziali, non è solo un passaggio tecnico, ma un elemento centrale per la sicurezza delle infrastrutture digitali.
Dal punto di vista di chi amministra un sistema informatico, attività come identificare correttamente gli utenti, gestire le credenziali di accesso e applicare le autorizzazioni correttamente sono requisiti essenziali. Questo è un vantaggio “invisibile” fondamentale per l’utente finale, che beneficia di un ecosistema di servizi efficienti, garantiti e con i più alti livelli di sicurezza.
Ad esempio, i dipendenti di una organizzazione possono avere diverse configurazioni di affiliazione o contrattuali, quali ad esempio essere assunti o in congedo, e ciascuna condizione deve riflettersi nei loro privilegi di accesso alle risorse protette. È fondamentale che gli utenti attivi (es. dipendenti o cittadini) accedano solo alle risorse alle quali sono abilitati, mentre chi non ha più diritto all’accesso venga tempestivamente disabilitato.
Migrare al cloud o disegnare i servizi IT cloud-native comporta quindi una gestione consapevole e sicura degli accessi alle risorse.
In questo articolo passeremo in rassegna “la cassetta degli attrezzi” dei sistemi di identità digitali necessari per offrire, secondo gli standard più alti di sicurezza e affidabilità, servizi pubblici su misura per ogni esigenza: dai piccoli Comuni con centinaia di abitanti fino alle amministrazioni centrali con decine di milioni di utenti. In particolare, forniremo una breve introduzione nei seguenti ambiti:
- la relazione tra sistemi di gestione delle identità e sistemi di gestione degli accessi;
- il modello architetturale a tre parti (three-party model) e la differenza con i modelli implementativi utilizzati in passato;
- il ciclo di vita delle identità digitali.
Dai modelli architetturali più avanzati per la gestione dei sistemi di autenticazione, fino alle normative europee più recenti e ai casi studio come il Digital Wallet, offriremo una panoramica sull’evoluzione dell’identità digitale, passando dalle soluzioni attuali agli scenari futuri.
Le infrastrutture italiane e il contesto normativo
In Italia, le organizzazioni pubbliche e private beneficiano di sistemi evoluti di gestione delle identità digitali. Come tutte le iniziative guidate dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Strategia Cloud Italia promuove infrastrutture moderne, sicure e interoperabili in conformità alle normative nazionali e comunitarie, quali quelle principali di seguito riportate:
- il Regolamento eIDAS No 910/2014 che stabilisce un quadro normativo per l’identità digitale e i servizi fiduciari nell’Unione Europea;
- il Regolamento Europeo 2016/679, noto anche con l’acronimo di GDPR, che impone rigorosi requisiti per la protezione dei dati personali, che si applicano anche alle soluzioni cloud;
- il Regolamento Cloud per le PA dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) che fornisce le linee guida per la gestione delle identità digitali, promuovendo l’adozione di standard e best practice per garantire la sicurezza e l’affidabilità dei servizi digitali;
- le “Linee Guida per il rafforzamento della protezione delle banche dati rispetto al rischio di utilizzo improprio” (pubblicate a novembre 2024).
Cosa intendiamo per identità digitali e gli “attori” del sistema IAM
L’identità digitale è un insieme di dati elettronici che permette di identificare una persona in modo univoco.
Un sistema IAM (Identity and Access Management) è un framework integrato di regole, processi e tecnologie che consentono di gestire identità digitali e configurare l’accesso a risorse informatiche evitando che utenti non autorizzati entrino in aree riservate o compiano operazioni non consentite.
Modello a tre parti — Three-party model
Il Three-Party Model è un modello architetturale utilizzato nei sistemi di identità digitale e nelle infrastrutture autorizzative che separa in modo chiaro i ruoli e le responsabilità tra i seguenti tre attori principali:
- Utente (End User): il soggetto che desidera accedere a un servizio digitale;
- Identity Provider (IdP): l’entità responsabile dell’autenticazione dell’utente e della gestione delle sue credenziali;
- Service Provider (SP)/Relying Party: il sistema o servizio digitale a cui l’utente vuole accedere.
Interazione tra le parti
Le interazioni tra le parti avvengono come segue:
- l’utente richiede l’accesso a una risorsa protetta offerta da un service provider;
- il service provider consente all’utente di selezionare il gestore di identità digitale presso il quale desidera autenticarsi, all’ interno di una lista di gestori fidati (discovery page).
- l’utente seleziona un identity provider;
- il service provider genera una richiesta di autenticazione, idealmente firmata crittograficamente, e con questa reindirizza l’utente all’identity provider per l’autenticazione (mediante i metodi HTTP GET o POST);
- l’identity provider autentica il service provider tra quelli ritenuti affidabili e mediante la verifica della sua firma digitale;
- l’identity provider autentica l’utente e chiede il consenso al rilascio dei dati al service provider.
- l’utente dà il consenso all’identity provider, che rilascia una prova di avvenuta autenticazione (es. token firmato, SAML Response o OIDC ID Token);
- il service provider riceve e verifica crittograficamente la validità del token; quindi, controlla che l’utente non abbia mai fatto l’accesso. In caso positivo crea un nuovo profilo utente, altrimenti lo ricongiunge ad uno preesistente (identity matching, account linking).
- il service provider applica infine i privilegi associati all’utente.
All’interno degli ecosistemi federati evoluti si introduce anche un quarto attore:
- Trust Anchor: è l’ente che da evidenza, direttamente o mediante suoi intermediari, dell’affidabilità e conformità delle organizzazioni pubbliche e private aderenti alla federazione (es. IdP, SP, Credential Issuer, Wallet Provider). Il Trust Anchor garantisce per i metadata e il materiale crittografico associati alle entità a lui subordinate.
La rivoluzione del Digital Wallet
I processi che regolamentano e gestiscono le identità digitali sono in continua evoluzione, ultima delle quali quella relativa all’introduzione del paradigma del Digital Wallet, ovvero il portafoglio digitale.
Con il portafoglio digitale il fornitore di identità digitale è stato sostituito dal fornitore di credenziali e l’utente non usa più soltanto il suo web browser, ma anche il suo Wallet personale, che diviene lo strumento di richiesta, conservazione ed utilizzo delle credenziali sotto forma di documenti digitali.
Il Wallet è spesso individuabile in un’applicazione mobile, come App IO.
I benefici derivanti dall’uso del Wallet sono molteplici, tra questi l’impossibilità di conoscere da parte del fornitore delle credenziali (credential issuer) l’uso delle credenziali su un particolare relying party (cosa impossibile usando le tecnologie SAML2 o OIDC) e la possibilità di utilizzare tali credenziali anche nei flussi offline.
L’innovazione del modello Three-Party Model
L’utilizzo in rete di credenziali autenticabili mediante un database centrale, quale ad esempio un classico server LDAP, implica che il service provider acceda direttamente alla base dati delle credenziali. In questo caso, il service provider otterrebbe le credenziali dell’utente per confrontarle con quelle conservate all’interno della base dati, o semplicemente autenticandosi per conto dell’utente. In altre parole, l’utente avrebbe consegnato le proprie credenziali ad un sistema diverso rispetto a quello che le gestisce. Questo modello va bene nei casi in cui il service provider e l’identity provider corrispondano, o nei casi in cui questi coesistano all’interno del medesimo dominio.
Nei sistemi di autenticazione e autorizzazione cross domain questa divulgazione delle credenziali a terze parti non fidate non è sostenibile dal punto di vista della sicurezza.
Al contrario, il Three-Party Model supportato da protocolli come SAML2, OAuth2, OpenID Connect 1.0, e OpenID for Verifiable Credentials e ISO 18013–5 per le implementazioni Wallet, fornisce diversi benefici in termini di divisione delle responsabilità tra i vari attori per un sostanziale incremento della sicurezza (uso di token autorizzativi temporanei, crittografia e validazioni basate su firma digitale).
Il ciclo di vita delle identità digitali
Al fine di avere un quadro più chiaro del funzionamento di un’identità digitale, di seguito riportiamo le fasi per la gestione del suo ciclo di vita.
1. Identificazione
È il processo iniziale in cui un soggetto dichiara chi è, attraverso la presentazione di documenti di identità personale e informazioni di natura biometrica, quali impronte digitali o riconoscimento del volto. L’obiettivo è associare un’identità digitale verificata a una persona fisica o giuridica e con adeguati livelli di garanzia (vedi ISO 29115).
Esempio: identificazione presso il comune di appartenenza per l’ottenimento della CIE (Carta di Identità elettronica).
2. Approvvigionamento delle credenziali (Credential Provisioning)
Consiste nel fornire all’utente delle credenziali sicure per l’accesso (es. Password e smart card).
Esempio: rilascio della Carta d’Identità Elettronica con PIN/PUK.
3. Ciclo di vita dell’identità digitale (Credential Lifecycle Management)
Include tutte le fasi di configurazione, quali la creazione, l’aggiornamento, la sospensione e la revoca delle identità e dei relativi privilegi a questa collegati, attraverso l’applicazione di politiche di gestione, al fine di assicurare che l’identità associata ad un soggetto e i suoi privilegi siano sempre corretti, aggiornati e non eccedenti rispetto agli scopi del trattamento.
Esempi: modifica dati anagrafici, sospensione per anomalie, revoca automatica alla fine di un contratto.
4. Autenticazione
L’autenticazione è il processo che verifica che chi accede sia effettivamente il titolare delle credenziali, tramite metodi di comprovazione del loro possesso, quali l’uso di username e password, One-Time Password (OTP), biometria o più prove da utilizzare in contemporanea (cosiddetta autenticazione a fattori multipli, anche nota con l’acronimo MFA).
Esempi: accesso a un portale pubblico con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) livello 2 (password + OTP) o tramite CIE con NFC e PIN, “autenticazione unica” (Single-Sign ON in breve SSO) aziendale estesa da un token OTP generato da applicazione di autenticazione precedentemente registrata.
Le implementazioni dei metodi di autenticazione devono garantire un livello di “garanzia” (Level of Assurance, LoA) della sicurezza. ISO/IEC 29115 è una norma internazionale che fornisce un quadro di riferimento per la gestione dei livelli di garanzia delle identità digitali. In pratica, serve a garantire che un’identità digitale corrisponda effettivamente al soggetto reputato come il suo legittimo possessore, tramite l’uso di diverse soglie o livelli di sicurezza (LoA 1, LoA 2, LoA 3 e LoA 4).
Usare fattori multipli di autenticazione (MFA) tende generalmente ad innalzare la garanzia contro eventuali furti delle credenziali.
L’autenticazione a fattori multipli è particolarmente utile in caso di smarrimento o furto di dispositivi aziendali, o quando dispositivi personali o aziendali risultino incustoditi o utilizzati da terze persone, prevenendo l’accesso non autorizzato e la conseguente impersonificazione.
Gli accessi possono essere garantiti anche in via temporanea attraverso la definizione di specifiche utenze “ospite” a cui vengono forniti permessi limitati, negli scopi e nel tempo. La gestione di utenze “temporanee” o effimere può risultare come uno strumento utile per la gestione degli accessi per attività non continuative, quali quelle svolte da un fornitore per le attività di monitoraggio o collaudo degli asset, secondo quanto riportato nelle Linee Guida per il rafforzamento della protezione delle banche dati rispetto al rischio di utilizzo improprio.
5. Autorizzazione
L’autorizzazione è il processo che stabilisce l’idoneità di un soggetto nello svolgere determinate azioni all’interno di un determinato contesto o di accedere a determinate risorse. Implica che l’identità del soggetto sia autenticata con opportuni livelli di garanzia.
Esempio: La richiesta di un service provider per autenticare un utente viene autorizzata prima di procedere all’autenticazione dell’utente. La richiesta di un utente ad accedere ad un servizio utilizzando un token, emesso da una terza parte fidata, che consente l’accesso in sola lettura ed esplicite limitazioni orarie.
La gestione degli accessi privilegiati (Privileged Access Management, PAM) è un ambito tradizionale per la sicurezza degli accessi alle risorse critiche. Gli utenti vengono autorizzati, per garantire il principio dei privilegi minimi e segnalare accessi non autorizzati, tramite ruoli e/o attributi definiti nelle loro credenziali di accesso, utilizzando tecniche come il controllo degli accessi (Access Control Lists, ACL), dei ruoli (RBAC — Role-Based Access Control) e degli Attributi (ABAC — Attribute-Based Access Control). Ulteriori tecniche quali Mandatory Access Control (MAC), Discretionary Access Control (DAC) e Rule-Based Access Control (RuBAC) sono menzionate anche nella Linee Guida ACN.
Alcuni aspetti avanzati della gestione delle componenti sono ad oggi caratterizzati da esperienze implementative relativamente mature ma non ancora standardizzate: una delle proposte in via di sviluppo è quella riportata nell’OpenID Foundation draft “Authorization API 1.0” che propone un’API di sicurezza e semplificazione per la comunicazione tra i componenti di autorizzazione (AuthZEN Working Group — OpenID Foundation).
6. Registrazione dell’utente locale (Local User Registration)
Il service provider rappresenta un’applicazione altamente specializzata che necessita di una gestione locale dei profili degli utenti. Per questa ragione l’autenticazione di un utente al suo interno produce la creazione del profilo utente, abilitandolo ai servizi digitali e in coerenza con il funzionamento interno dell’applicazione.
Esempi: primo accesso all’App IO con SPID, registrazione su portali delle pubbliche amministrazioni.
Il massimo della sicurezza, ovvero il sistema “Zero Trust”
Quali approcci utilizzare, quindi, per implementare il massimo della sicurezza? Uno dei modelli consigliati per le tecniche di verifica degli accessi, soprattutto in ambito pubblico e cloud, particolarmente rivolto a sistemi distribuiti, è quello chiamato “Fiducia Zero” o “Zero Trust”.
Questo approccio si basa sul principio di “mai fidarsi, verificare sempre”, richiedendo che ogni richiesta di accesso sia autenticata e autorizzata.
I suoi principi chiave includono:
- autenticazione continua: verifica costante degli accessi, spesso tramite MFA. L’autenticazione continua, se male implementata, può degradare l’esperienza d’utilizzo dell’utente, o User Experience (UX);
- accesso con privilegi minimi: concessione dell’accesso solo necessario per le funzioni dell’utente;
- monitoraggio e analisi in tempo reale: controllo continuo delle attività di accesso per rilevare anomalie;
- segmentazione della rete: suddivisione della rete in segmenti per limitare l’accesso e contenere le violazioni.
Le evoluzioni delle identità digitali e il cloud della PA
Nei sistemi cloud è essenziale adottare buone pratiche di sicurezza fin dalla progettazione (security by design) e nella gestione operativa (security by default), integrando controlli di monitoraggio e difese multilivello (defense in depth). Queste pratiche supportano una gestione efficace degli accessi e la separazione degli ambienti applicativi (sviluppo, staging, produzione), abilitando credenziali e procedure dedicate per ciascun contesto, secondo i principi del Secure Software Development Cycle come riportato nelle Linee Guida ACN.
La federazione dei servizi mista all’implementazione coerente di un framework di sicurezza e all’ adesione a regole condivise, favoriscono l’interoperabilità e la riduzione dei rischi e dei costi derivanti dalla frammentazione dei sistemi e dei protocolli di gestione dei dati e degli accessi, rafforzando la fiducia tra i partecipanti, siano questi enti pubblici e/o privati. Il livello di garanzia delle identità digitali tutela contro rischi di furto di identità e impersonificazione, ponendo le basi sicure dell’uso delle credenziali, sin dalla loro emissione. L’uso di standard consolidati riduce sensibilmente i costi di valutazione dei rischi di sicurezza, altrimenti necessari in caso di utilizzo di sistemi custom.
L’evoluzione dei sistemi IT beneficia dell’esperienza e del lavoro di comunità di esperti su scala globale e delle migliori pratiche implementative, esperienza che il Dipartimento per la trasformazione digitale desidera accrescere e condividere con tutte le organizzazioni pubbliche e private della scena nazionale ed europea.
Una gestione inefficace degli accessi può comportare rischi significativi, tra cui accessi non autorizzati, violazioni dei dati e perdita di fiducia da parte dei cittadini, per queste ragioni è fondamentale adottare misure di sicurezza adeguate a mitigare questi rischi. La formazione del personale e la consapevolezza di questi riguardo ai rischi derivanti da cattiva gestione degli asset è essenziale per garantire un’amministrazione efficace degli accessi alla infrastruttura IT. La gestione delle identità nel cloud pubblico è in continua evoluzione, con nuove tecnologie e best practice che emergono costantemente.
Le prossime puntate
Per approfondire le caratteristiche di interoperabilità dei sistemi in cloud e apprendere come mettere in atto, in pratica, la teoria esposta in questo articolo, vi invitiamo al prossimo approfondimento che sarà interamente dedicato ai sistemi autorizzativi nei flussi di interscambio dei dati da macchina a macchina, e senza interazione alcuna da parte degli utenti.
Le immagini presenti in questo articolo sono state sviluppate con il supporto dell’Intelligenza Artificiale con l’obiettivo di rappresentare visivamente i temi trattati.
Come installare CasaOS su Raspberry Pi con PiHole e Jellyfin
Per il mio #homelab ho deciso di configurare un Raspberry Pi con CasaOS, un sistema operativo domestico che semplifica la gestione di container Docker tramite un'interfaccia web intuitiva. In questa guida ti mostro come installarlo e configurare PiHole e Jellyfin con accesso alle cartelle NFS di una NAS Synology.
Installazione di CasaOS
L'installazione di CasaOS è molto semplice grazie al script ufficiale:
curl -fsSL https://get.casaos.io | sudo bash
Dopo l'installazione, CasaOS sarà accessibile tramite browser all'indirizzo IP del Raspberry Pi sulla porta 80.
Configurazione di PiHole
Installazione
- Dall'interfaccia web di CasaOS, vai nella sezione App Store
- Cerca e installa PiHole
- Una volta installato, accedi all'interfaccia di PiHole
Configurazione password
Per impostare la password di PiHole: 1. Vai nelle opzioni di PiHole dall'interfaccia Docker di CasaOS 2. Seleziona “Settings” 3. Imposta la password desiderata
Configurazione rete
Nelle impostazioni di PiHole: 1. Vai su “System” → “DNS” 2. In “Interface settings” seleziona “Respond only on interface eth0”
Questo assicura che PiHole risponda solo sull'interfaccia ethernet principale.
Configurazione di Jellyfin con cartelle NFS
La configurazione di Jellyfin è più complessa perché richiede l'accesso alle cartelle condivise sulla NAS Synology tramite protocollo NFS.
Prerequisiti: installazione nfs-common
Prima di tutto, connettiti al Raspberry Pi via SSH (o usa il terminale direttamente se hai il Rasp collegato a monitor/TV) e installa il pacchetto necessario per il supporto NFS:
sudo apt update
sudo apt install nfs-common
Creazione delle cartelle di mount
Crea le cartelle locali dove montare le directory della NAS:
sudo mkdir /mnt/movies
sudo mkdir /mnt/shows
Mount delle cartelle NFS
Monta le cartelle condivise dalla NAS sul Raspberry Pi:
sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/movie /mnt/movies
sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/video /mnt/shows
Sostituisci
<IP_DELLA_NAS>
con l'indirizzo IP effettivo della tua Synology.Verifica del mount
Controlla che il mount sia avvenuto correttamente:
ls /mnt/movies
ls /mnt/shows
Se vedi le cartelle presenti sulla NAS, il mount è riuscito.
Impostazione permessi
Imposta i permessi corretti sulle cartelle montate:
sudo chmod 755 /mnt/movies
sudo chmod 755 /mnt/shows
Configurazione automatica al riavvio
Per fare in modo che le cartelle vengano montate automaticamente ad ogni riavvio, modifica il file /etc/fstab
:
sudo nano /etc/fstab
Aggiungi queste due righe alla fine del file (sostituisci l'IP con quello della tua NAS):
10.0.0.17:/volume2/movie /mnt/movies nfs auto 0 0
10.0.0.17:/volume2/video /mnt/shows nfs auto 0 0
Test finale
Riavvia il sistema per verificare che tutto funzioni correttamente:
sudo reboot
Dopo il riavvio, controlla che le cartelle siano ancora montate e accessibili.
Configurazione Jellyfin
Ora puoi installare Jellyfin da CasaOS e, durante la configurazione del container Docker:
- Vai nelle impostazioni avanzate di Jellyfin
- Nella sezione “Volume Mapping”, mappa le cartelle:
/mnt/movies
→/movies
(o il path che preferisci nel container)/mnt/shows
→/shows
(o il path che preferisci nel container)
In questo modo Jellyfin avrà accesso ai tuoi contenuti multimediali archiviati sulla NAS Synology.
Note finali
Questa configurazione ti permette di avere: – PiHole per il blocco degli annunci a livello di rete – Jellyfin con accesso ai contenuti multimediali sulla NAS – Mount automatico delle cartelle NFS ad ogni riavvio
Il tutto gestito tramite l'interfaccia web semplice e intuitiva di CasaOS!
Ricorda di adattare gli indirizzi IP e i percorsi delle cartelle alla tua configurazione specifica.