🎸 L'Incontro con Steve Vai 💫 e la Rabbia che Ancora Non Passa ⚡ Dopo Tanti Anni 🔥
So che non sarei mai stato il migliore chitarrista del mondo; difficile superare Steve Vai, d'altra parte, e tutti gli altri. Ma sono arrabbiato, sono tremendamente arrabbiato! La vita mi ha strappato il diritto di provarci, la possibilità di entrare in quel mondo ogni volta che volevo, collegando lo spinotto dell'amplificatore. Chissà cosa sarebbe successo; non lo scoprirò mai.
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In questo episodio ti racconto della difficile gestione delle energie di molti malati invisibili e di un incontro speciale che mi ha cambiato la vita.
Da quando soffro di artrite e fibromialgia, ho imparato che la fatica e la stanchezza sono sempre presenti, sempre. Purtroppo, però, anche se sono stanchissimo, non riesco a dormire meglio. Si può essere stanchi morti, ma non riuscire comunque a dormire. Anzi, è proprio quello che succede spesso con le mie patologie. Perché c'è sempre qualcosa a tenerti sveglio o a svegliarti a metà notte: il dolore cervicale, una sciatalgia terribile o la sensazione pruriginosa di mille insetti che ti stiano mordendo ovunque.
È una fatica tirare avanti; si fa fatica ancora prima di alzarsi dal letto, si fa fatica durante il lavoro, si fa fatica ad andare al lavoro.
Quasi ogni giorno il dolore e il senso di confusione sono così forti e così difficili da mandare via che diventa una fatica persino ascoltare gli altri parlare. C'è così tanto da fare, e così poche energie che il nostro istinto è quello di reagire in maniera forte contro quell'elemento di disturbo, l'interazione, che ci porta via anche quelle poche energie che abbiamo. Mi rendo conto spesso di apparire molto sgarbato in molti casi, ma è qualcosa che faccio davvero fatica a controllare; non posso farci niente. L'effetto è quello di una mosca che continua a posarsi addosso. Impiego tutte le energie che ho per restare sveglio o vigile, e c'è sempre qualcosa che cerca di portarmi via altra energia: una domanda, uno scherzo, una telefonata, un messaggino su WhatsApp; tutte cose a cui si deve rispondere, e la consapevolezza che la risposta porterà via altre energie è sfiancante.
Ti dirò di più: la mia non è fatica, è spossatezza.
Nei prossimi episodi ti racconterò nel dettaglio cosa faccio per cercare di contrastarla. L'effetto è quello di una forte influenza che sta per arrivare quando ciascun muscolo ti fa male e stai bene al caldo.
Ma...a pensarci bene, io non lo so cosa significhi per una persona normale avere un'influenza. È possibile che io abbia sempre vissuto le influenze con una reazione immunitaria esagerata, proprio come tutto il resto, in una maniera tutta mia, diversa da quella di una persona che non ha i miei stessi problemi. Può darsi che io non sappia cosa sia un'influenza per una persona normale, magari una persona come te, che mi stai ascoltando. Fammi sapere, se non hai i miei problemi, come reagisci a un'influenza. Mi sarebbe davvero molto utile capirlo per sapere se reagiamo allo stesso modo. Anche tu senti subito freddo e diventi tutto rigido? Ti fanno male tutti i muscoli? Senti immediatamente una gran voglia di metterti a letto? Leggerò con piacere il tuo punto di vista e la tua risposta.
Nel mio caso, le influenze sono come ti ho descritto, ma non soltanto quelle: la COVID-19, ad esempio, mi ha provocato una reazione decisamente più intensa.
Mi sono sempre ammalato molto spesso nella vita, tutte le malattie infettive del catalogo, più tutte quelle bonus come la mononucleosi o la quarta malattia. A poco più di 30 anni, mi ero preso anche quella, o forse era rosolia, chissà. Mi ero ricoperto di puntini rossi che prudevano, con una febbre e una grande spossatezza, tanto per cambiare.
Di nuovo, non riuscivo ad alzarmi dal letto. Il medico mi disse che era rosolia; non c'erano dubbi. Per forza di cose, quindi, quella che avevo avuto da ragazzo a 18 anni era stata la quarta malattia, o forse il contrario. In famiglia, però, ricordavamo che io l'avessi presa anche a 4 anni, quindi...l'ho avuta tre volte? Tutto è possibile; a questo punto, può accadere anche questo
Tornando ai 30 anni, però, ancora non mi conoscevo bene quanto mi conosco oggi. L'arrivo di questa malattia, la mononucleosi, era altra benzina da gettare sul fuoco della mia teoria secondo cui il mio sistema immunitario era debole e non riusciva a tenere a bada neanche le malattie infettive. E così me le riprendevo una seconda volta. Ci avevo messo tantissimo a riprendermi: quasi due mesi per tornare quello di prima, all'incirca. Così come mi accadde diversi anni più tardi con la COVID-19 o altre malattie: mesi per recuperare. Iniziai a pensare che il mio sistema immunitario fosse pesantemente indebolito, magari proprio da quei denti del giudizio che dovevo ancora finire di togliere.
Iniziai così a stimolare il mio sistema immunitario con tutto quello che il database di Google aveva da offrire: echinacea, preparati a base di batteri inattivati, di nuovo echinacea, argento colloidale, echinacea, echinacea. Ho menzionato l'echinacea, vero? Ormai la mettevo anche nel caffè latte. Niente di tutto questo sembrava funzionare; continuavo ad ammalarmi e, anzi, i miei problemi di pelle aumentavano sempre di più. Alternavo intere giornate a letto con qualche sessione di studio della chitarra, ma non avevo la spinta per mettermi a suonare lo strumento.
Per la prima volta, non avevo più voglia di suonare.
Se hai ascoltato con attenzione le puntate precedenti, questo ti dirà quanto era grave il problema. Tuttavia, l'incontro con Steve Vai si stava avvicinando e questo mi gasava moltissimo; per nulla al mondo me lo sarei perso. Conservavo il mio biglietto sul comodino e anche soltanto guardarlo mi dava la carica per suonare. In quel periodo ho concepito tantissime nuove canzoni, nonostante la stanchezza: motivetti, combinazioni di note particolari che mi piacevano moltissimo. D'altra parte, avevo molto tempo per pensarci, restando spesso a letto intere giornate.
Li ho salvati tutti in una bella libreria musicale: pezzi di 10-20 secondi, tanto per fissare l'idea da qualche parte. Purtroppo, oggi questa libreria è andata persa, ma i pezzi me li ricordo ancora. Non appena mi sentivo meglio, non facevo altro che suonare. Avevo scoperto che esistevano delle corde per la chitarra ricoperte di uno strato di oro puro; costavano un po', ma avevo l'impressione che le mie mani si spaccassero un pochino meno. A volte mi capitava di suonare chitarre o bassi di qualche amico e le dita si aprivano di nuovo. Anche per queste ragioni, ero davvero convinto che il mio problema fosse di tipo allergico.
Ascoltavo così tanto la musica di Steve Vai che me la sognavo di notte. Riuscivo a scomporre ogni singola nota: un secondo della sua musica ne conteneva decine, ma il mio orecchio non si perdeva nemmeno una sfumatura. Nonostante tutti questi sforzi, però, ero ben lontano dal riuscire a suonare decentemente i suoi pezzi. Se non qualche breve stacco, qualche nota o poco più, oppure proprio le basi su cui poi lui sviluppava la sua arte e le sue tecniche.
Alla fine, il giorno che avevo tanto atteso arrivò.
In un piovoso sabato pomeriggio mi avviai da solo verso la Bassa Reggiana, la zona tra la città e il Po. È così che noi abitanti della pianura chiamiamo quelle terre. Non ricordo neanche se l'incontro fosse a Guastalla o a Novellara o qualcosa del genere, ma ricordo benissimo quel pomeriggio. La gioia e l'eccitazione erano tante che mi sembrava di guardare passare la mia vita a distanza: io ero io, ma le sensazioni e le emozioni erano come se fossero qualcosa di separato da me.
Dopo il controllo dei biglietti, un addetto distribuì dei numeri su un pezzo di carta; lì per lì, il mio istinto fu quello di rifiutarlo. Cosa voleva questo ragazzo? Non avevo neanche capito a cosa servissero quei numeri.
“È per un'estrazione a premi”, mi disse il ragazzo. “Sicuro che non lo vuoi? Dai, prendilo!”. “Ma chi se ne importa”, pensai. “Va bene, dammi questo numero; io sono qui per Steve Vai.” Però lo presi e dissi “Grazie”.
Il mio cervellino ingenuo, a volte quando serve, non riesce a fare uno più uno. Mi toccò il numero 19; un numero anonimo, senz'anima, che per me non voleva dire niente.
Grido muto nasce per far conoscere le esperienze di chi vive le malattie invisibili, una realtà troppo spesso ignorata. Creare questo podcast è stata una sfida in termini di tempo, energie e competenze da acquisire, e anche un impegno economico, specialmente nelle condizioni di vita che ti ho raccontato. Se il mio lavoro ti ha colpito, considera di supportarmi su Patreon; anche un piccolo contributo può fare la differenza e aiutarmi a continuare a dare voce a chi spesso non ne ha. Il link lo trovi proprio lì, nella descrizione di questa puntata del podcast, in quel posto dove nessuno guarda mai.
L'attesa non fu lunghissima: come avevo immaginato, non trattandosi di un vero e proprio concerto di un artista decisamente di nicchia, forse non si arrivava a 100 persone. I posti davanti al piccolo palco erano già tutti occupati, ma riuscii a trovarne uno molto valido a 10 metri dal palco, centrale. Vidi che molte persone avevano portato con sé la propria chitarra. “A che pro?” pensai. “Non basta già quella di Steve Vai?” L'avrei capito dopo. Il mio cervellino...uno più uno...
Quando Steve si presentò sul palco, fu una visione soprannaturale per me. Dico sul serio; se mi fosse apparsa la Vergine Maria, avrei avuto forse la stessa reazione. In un solo istante, riuscii a sperimentare tante sensazioni contrastanti: paura, eccitazione, gioia, incredulità, smarrimento. Non mi sembrava vero; eppure ce l'avevo lì, a 10 metri, finalmente.
Era come se una parte di me non credesse che le sue prodezze musicali potessero essere davvero umane. Invece, la mia vista e il mio udito lo confermavano. Non appena fece partire una base e iniziò a suonare, pensai che non avevo mai capito chi fosse davvero quell'uomo. Vederlo dal vivo era un'esperienza completamente diversa: la sicurezza con cui si muoveva sullo strumento, la velocità, il suono che riusciva a tirare fuori da quel pezzo di legno amplificato erano qualcosa che dai dischi non si coglieva minimamente.
Sembrava di avere davanti una bestia inferocita, l'urlo di un grande mostro che in un microsecondo poteva diventare un sussurro dolcissimo. Vedendolo suonare, finalmente capivo come faceva a fare certe cose; finalmente tutti i pezzi del puzzle andavano al loro posto. Avevo sempre pensato che una buona dose di quello che si ascoltava nei suoi dischi fosse frutto dell'elettronica, ma mi sbagliavo completamente. L'elettronica era solo un altro strumento al servizio di quel meraviglioso mondo di suoni che solo lui sa produrre.
Nelle tre ore successive ci furono altri momenti stupefacenti in cui il maestro suonò le canzoni sue più famose. Tra un brano e l'altro, ci parlava in un italiano un po' difficoltoso, ma comprensibile, con l'ausilio di un auricolare. Lui non sa l'italiano così bene, ma il risultato era molto buono; un altro talento che non sapevo avesse. Io parlo cinque lingue, ma non riuscirei mai a parlarne una soltanto con l'ausilio di un auricolare che mi fa sentire i suoni che devo ripetere; lui invece ce la faceva.
Ci fece capire che il suo approccio alla musica era qualcosa di profondamente diverso da quello che potremmo avere noi normali spettatori. Ci disse molte cose, ci raccontò come concepire lo strumento e ci rivelò tre cose che successivamente avrei trovato anche nel suo canale YouTube, ma diversi anni dopo; allora non le avevo mai sentite. Questi tre consigli stravolsero completamente il mio concetto... non solo del suonare la chitarra, ma della musica! I suoni della chitarra non nascono dalle dita, come credevo; nascono nella mente. Le note e gli accordi vanno pensati come se fossero dei colori da tirare fuori in base a quello che vogliamo esprimere; combinandoli, otteniamo toni diversi che specchiano lo stato d'animo che vogliamo comunicare sSullo strumento; anzi, attraverso lo strumento Ogni individuo è unico e ha un suo modo speciale di suonare. Non dovevamo a tutti i costi imparare a suonare ogni sua nota, a imparare come suona Steve Vai, ma dovevamo piuttosto trovare il nostro stile unico e portarlo avanti con convinzione. Magari noi non dovevamo suonare come lui, ma neppure lui avrebbe mai potuto suonare esattamente con il nostro stile.
Tutto acquisiva un senso; i primi due consigli in particolare mi lasciarono di sale. Ecco come faceva a produrre quei mondi sonori: li creava nella sua mente prima e poi li realizzava.
Arrivò, purtroppo, la fine dell'incontro. Il maestro ci disse che per salutarci avrebbe suonato il suo pezzo più famoso e, per farlo, afferrò una chitarra diversa da quella con cui aveva suonato fino a quel momento. Si trattava di un'altra Ibanez, marchio che preferisce. Ibanez ha creato per lui apposta alcuni strumenti che, tra le altre cose, sono molto belli da vedere. E ora, lì sul palco, ce n'erano due. Al termine della canzone, prese un bussolotto e ci disse che uno dei fortunati spettatori sarebbe tornato a casa con la chitarra che lui stava stringendo in mano.
“Nineteen”, disse.
“Guardai il mio numero ed era proprio il 19.” Lo stavo stringendo nella mia mano sudata.
“No, non può essere; non può essere”, pensai. “Devo aver capito male. Sarà “ninety”, che è 90 in inglese; suona più o meno simile, senz'altro è il 90.” Eppure, Steve lo ripete nuovamente, vedendo che nessuno si faceva avanti.
Era proprio il mio.
Mi avvicinai al palco, così emozionato da non riuscire neanche a tremare o dire qualcosa. Steve Vai era davvero alto!
Salii e strinsi la grande mano del mio idolo, quella che aveva creato il mondo sonoro in cui mi immergevo in tutti i giorni. Ora capivo un po' meglio come facesse a giungere posizioni così distanti tra loro sul manico dello strumento.
Mi chiese se volevo suonare con lui e andai completamente nel panico.
Andai completamente nel panico. Guardai quella chitarra con le corde in nickel, belle ossidate. Mi trovai costretto a dire di no, spiegando che ero allergico e che prima avrei dovuto sostituirle o le conseguenze sarebbero state molto gravi. “Sei sicuro?” mi disse. Ogni giorno rimpiango di non avergli detto: “Sì, lo voglio”, come in una specie di matrimonio di 5 minuti.
Il maestro allora aprì la possibilità ad altri, come da programma, e il mio cervellino fece uno più uno in quel momento. Ecco perché altri si erano portati lo strumento: perché nella vita non si sa mai, perché è meglio essere pronti per una situazione del genere. Ringraziai in tutti i modi in cui potevo farlo e, volando a un metro da terra, tornai al mio posto con quella chitarra tutta per me, che lui aveva suonato per una sera.
Più tardi, come prevedeva la scaletta della serata, dopo una lunga fila ci fecero incontrare di nuovo Steve Vai, questa volta a tu per tu per un rapido autografo. Conservo ancora la fotografia di quel momento che mi fecero quelli dell'organizzazione. Stringo nelle mani la mia nuova chitarra Ibanez Jem 777, modello “Steve Vai”. Nella foto si vede bene la firma del maestro, che gli chiesi di apporre proprio sullo strumento. La mia faccia nella foto è quella di un bambino che apre i regali il giorno di Natale. Questa parte forse fu un po' deludente; gli dissi che ero molto felice di incontrarlo e mi rispose un semplice: “Anch'io”, educato e sorridente, ma forse un po' distaccato.
Chissà quanti “Simone” ha visto Steve Vai. Va bene così; lo salutai sperando di rivederlo e ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto per me nella sua vita. Tornato a casa, quella notte non riuscii a dormire. L'adrenalina era tantissima, come la fatica che avevo fatto, perché comunque era stato faticoso e, probabilmente, proprio per questo non riuscivo a prendere sonno. Rimasi in piedi provando la nuova chitarra, ovviamente.
Ha una voce grossa, molto diversa dagli altri strumenti che avevo; una cosa completamente diversa: una chitarra da corsa, da battaglia, per gridare al mondo quello che si vuole, a condizione di poterla suonare, ovviamente.
Io oggi ho dovuto trovare un altro modo di gridare. La sfortuna ha voluto che io non abbia potuto usare quella chitarra per far sentire il mio grido di rabbia, ed è per questo che fino ad ora questo grido è rimasto muto. Perché i mezzi che sapevo usare per esprimerlo non potevo più usarli.
Urlavo quindi dentro di me, senza che nessuno potesse ascoltarmi. Mi tenevo tutto dentro, come fanno molti malati invisibili, per vergogna, per sfinimento, per disillusione.
Ho deciso di riprendere a gridare adesso e posso farlo solo con questo podcast. Voglio gridare a tutti il mio disagio, la mia rabbia per tutta la mia situazione, la frustrazione che provo per non potere più percorrere quei binari che mi sembrano i più adatti a me. Se potessi aiutarmi, te ne sarei davvero molto grato. Se il mio grido verrà ascoltato o meno, ora dipende solo da te.
Parlane con le persone che conosci, diffondilo sui social più che puoi, perché questo grido non rappresenta solo me, ma tante persone nella mia situazione.
So che non sarei mai stato il migliore chitarrista del mondo; difficile superare Steve, d'altra parte, e tutti gli altri. Ma sono arrabbiato, sono tremendamente arrabbiato; la vita mi ha strappato il diritto di provarci, la possibilità di entrare in quel mondo ogni volta che volevo, collegando lo spinotto della chitarra all'amplificatore. Chissà cosa sarebbe successo; non lo scoprirò mai.
Credo che questa sia una caratteristica che ci accomuna, noi malati invisibili. Tutti abbiamo perso molto, tanto, tantissimo. Quella che ti ho raccontato fino ad ora è stata solo una parte della mia storia, ma quante storie ci saranno là fuori?
Si stimano 2 milioni di malati di fibromialgia nel nostro Paese, secondo alcune fonti; forse sono un po' eccessive, ma supponiamo che la verità stia anche solo nel mezzo. Quante vite, quante cose perse. Qualcuno avrà perso il lavoro, qualcun altro il suo sogno, come è capitato a me. Qualcuno avrà perso entrambi e molte altre cose ancora che io non riesco neanche a immaginare.
Non ti sembra normale che proviamo questo astio nei confronti della vita?
Anzi, a ben pensarci, mi chiedo come sarebbe possibile il contrario. Abbiamo perso i nostri sogni, abbiamo perso le speranze. Niente di più facile che perdiamo anche la pazienza, no?
Perdonami, ma mi è molto difficile andare avanti.
Ti aspetto martedì prossimo in un nuovo episodio in cui ti racconterò come ho fatto a sopravvivere al mondo del lavoro fino ad ora.
Stammi bene!
Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.
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