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Dalla NATO all’Ucraina: l’Italia (e la Meloni) tra autonomia e sudditanza.


(185)

(UI)

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i rapporti tra #Italia e Stati Uniti si sono rapidamente rafforzati, diventando uno dei pilastri della politica estera italiana e della sicurezza europea. L’Italia, uscita dal conflitto profondamente segnata e con un sistema politico in ricostruzione, ha trovato negli Stati Uniti un alleato strategico fondamentale per la propria ricostruzione economica e per la stabilità democratica.​ Nel 1949, l’Italia fu tra i fondatori della #NATO, alleanza militare occidentale nata per contrastare l’espansione del blocco sovietico. Questa scelta rifletteva la volontà italiana di allinearsi politicamente e militarmente all’Occidente, in particolare agli Stati Uniti.

L’Italia divenne così un avamposto strategico per la NATO nel #Mediterraneo e un punto di riferimento per la sicurezza europea, ospitando basi militari statunitensi e partecipando a numerose operazioni internazionali.​ La cooperazione militare tra Italia e #USA si è consolidata negli anni attraverso accordi bilaterali e multilaterali, condividendo tecnologie, strategie e obiettivi di sicurezza. L’Italia ha partecipato a missioni #NATO nei Balcani, Afghanistan e Libia, dimostrando il proprio impegno nel sistema di difesa collettiva occidentale. Tuttavia, questa stretta alleanza ha anche sollevato critiche: va sottolineato come il nostro paese, soprattutto nell’ambito della difesa, abbia spesso seguito la linea statunitense, con una limitazione della propria autonomia strategica.​ Parallelamente a questa mansione, la cooperazione economica tra Italia e USA si è intensificata dopo la guerra, con il “Piano Marshall” che ha sostenuto la ricostruzione italiana e favorito la crescita industriale.

(UI2)

Negli ultimi decenni, si è consolidata una visione per cui l’Italia sarebbe “succube” degli Stati Uniti anche in ambito economico, dipendendo da scelte e pressioni statunitensi in settori come energia, tecnologia e politica monetaria.​ La guerra in #Ucraina ha riportato al centro il ruolo della NATO e la posizione dell’Italia. Roma, pur esprimendo solidarietà all’Ucraina, ha mostrato una certa prudenza nelle decisioni militari, preferendo seguire le iniziative europee e atlantiche piuttosto che prendere iniziative autonome.

Il nostro Stato sostiene le sanzioni contro la Russia e partecipa ai programmi di aiuto militare all’Ucraina, ma la sua posizione resta spesso condizionata dalle linee guida di Bruxelles e Washington.​ La crisi ucraina ha anche messo in evidenza le divisioni all’interno dell’UE, con l’Italia che cerca di bilanciare il sostegno all’Ucraina con la ricerca di una soluzione diplomatica, talvolta proponendosi come mediatore.La stretta dipendenza dall’asse transatlantico rende difficile una politica estera completamente autonoma, soprattutto in materia di sicurezza.​

Il governo Meloni ha confermato l’impegno atlantista e la stretta collaborazione con gli Stati Uniti. La Premier ha mantenuto una linea di sostegno agli aiuti occidentali all’Ucraina, pur dialogando con figure della destra globale come Donald Trump. In particolare, la reciproca stima tra Meloni e Trump ha suscitato interesse per le possibili implicazioni di un’alleanza tra la destra italiana e quella americana, anche in vista di nuove elezioni negli USA.​

Meloni ha ottenuto un canale privilegiato con ambienti conservatori statunitensi, mostrando una certa apertura verso il mondo della destra globale, pur mantenendo la linea europeista e atlantista. Questo atteggiamento riflette una strategia di bilanciamento tra autonomia nazionale e fedeltà agli alleati storici, in un contesto internazionale sempre più polarizzato.​

(UI3)

Il governo Meloni, pur presentandosi come promotore di una visione sovranista e nazionale, ha in realtà confermato e rafforzato una dipendenza strategica dagli Stati Uniti, soprattutto in ambito militare e diplomatico.

La scelta di mantenere un atteggiamento atlantista e di coltivare rapporti privilegiati con figure della destra americana sembra contraddire la retorica dell’autonomia nazionale, trasformando la politica estera italiana in un riflesso delle scelte statunitensi, anche quando ciò comporta una riduzione della capacità di mediazione e di proposta autonoma dell’Italia sul palcoscenico internazionale.

Questo atteggiamento fa comprendere che, dietro ai discorsi sul sovranismo ed il patriottismo (che spesso hanno una connotazione che rasenta l’apologia del fascismo), si celi in realtà una subordinazione agli interessi dell’alleato americano, con conseguenze non sempre trasparenti per la politica estera e la sicurezza del paese.​

E, di certo, l’attuale esecutivo non nasconde questa sua inclinazione. Anzi, la sbandiera come un punto di forza, quando in realtà i segnali che provengono dall’amministrazione Trump, tendono a rendere sempre più marginale il ruolo della UE e, di conseguenza, del nostro paese. C’è da chiedersi se il modo di operare del governo non sia, a questo punto, profondamente dilettantesco, con le conseguenze che vediamo ogni giorno. Non serve nemmeno un’analisi troppo professionale per evidenziarlo. Basta un minimo di buon senso.

#Blog #USA #Italia #UE #GovernoMeloni #Opinioni #Politica #Politics


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Dalla NATO all’Ucraina: l’Italia (e la Meloni) tra autonomia e sudditanza.


(185)

(UI)

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i rapporti tra #Italia e Stati Uniti si sono rapidamente rafforzati, diventando uno dei pilastri della politica estera italiana e della sicurezza europea. L’Italia, uscita dal conflitto profondamente segnata e con un sistema politico in ricostruzione, ha trovato negli Stati Uniti un alleato strategico fondamentale per la propria ricostruzione economica e per la stabilità democratica.​ Nel 1949, l’Italia fu tra i fondatori della #NATO, alleanza militare occidentale nata per contrastare l’espansione del blocco sovietico. Questa scelta rifletteva la volontà italiana di allinearsi politicamente e militarmente all’Occidente, in particolare agli Stati Uniti.

L’Italia divenne così un avamposto strategico per la NATO nel #Mediterraneo e un punto di riferimento per la sicurezza europea, ospitando basi militari statunitensi e partecipando a numerose operazioni internazionali.​ La cooperazione militare tra Italia e #USA si è consolidata negli anni attraverso accordi bilaterali e multilaterali, condividendo tecnologie, strategie e obiettivi di sicurezza. L’Italia ha partecipato a missioni #NATO nei Balcani, Afghanistan e Libia, dimostrando il proprio impegno nel sistema di difesa collettiva occidentale. Tuttavia, questa stretta alleanza ha anche sollevato critiche: va sottolineato come il nostro paese, soprattutto nell’ambito della difesa, abbia spesso seguito la linea statunitense, con una limitazione della propria autonomia strategica.​ Parallelamente a questa mansione, la cooperazione economica tra Italia e USA si è intensificata dopo la guerra, con il “Piano Marshall” che ha sostenuto la ricostruzione italiana e favorito la crescita industriale.

(UI2)

Negli ultimi decenni, si è consolidata una visione per cui l’Italia sarebbe “succube” degli Stati Uniti anche in ambito economico, dipendendo da scelte e pressioni statunitensi in settori come energia, tecnologia e politica monetaria.​ La guerra in #Ucraina ha riportato al centro il ruolo della NATO e la posizione dell’Italia. Roma, pur esprimendo solidarietà all’Ucraina, ha mostrato una certa prudenza nelle decisioni militari, preferendo seguire le iniziative europee e atlantiche piuttosto che prendere iniziative autonome.

Il nostro Stato sostiene le sanzioni contro la Russia e partecipa ai programmi di aiuto militare all’Ucraina, ma la sua posizione resta spesso condizionata dalle linee guida di Bruxelles e Washington.​ La crisi ucraina ha anche messo in evidenza le divisioni all’interno dell’UE, con l’Italia che cerca di bilanciare il sostegno all’Ucraina con la ricerca di una soluzione diplomatica, talvolta proponendosi come mediatore.La stretta dipendenza dall’asse transatlantico rende difficile una politica estera completamente autonoma, soprattutto in materia di sicurezza.​

Il governo Meloni ha confermato l’impegno atlantista e la stretta collaborazione con gli Stati Uniti. La Premier ha mantenuto una linea di sostegno agli aiuti occidentali all’Ucraina, pur dialogando con figure della destra globale come Donald Trump. In particolare, la reciproca stima tra Meloni e Trump ha suscitato interesse per le possibili implicazioni di un’alleanza tra la destra italiana e quella americana, anche in vista di nuove elezioni negli USA.​

Meloni ha ottenuto un canale privilegiato con ambienti conservatori statunitensi, mostrando una certa apertura verso il mondo della destra globale, pur mantenendo la linea europeista e atlantista. Questo atteggiamento riflette una strategia di bilanciamento tra autonomia nazionale e fedeltà agli alleati storici, in un contesto internazionale sempre più polarizzato.​

(UI3)

Il governo Meloni, pur presentandosi come promotore di una visione sovranista e nazionale, ha in realtà confermato e rafforzato una dipendenza strategica dagli Stati Uniti, soprattutto in ambito militare e diplomatico.

La scelta di mantenere un atteggiamento atlantista e di coltivare rapporti privilegiati con figure della destra americana sembra contraddire la retorica dell’autonomia nazionale, trasformando la politica estera italiana in un riflesso delle scelte statunitensi, anche quando ciò comporta una riduzione della capacità di mediazione e di proposta autonoma dell’Italia sul palcoscenico internazionale.

Questo atteggiamento fa comprendere che, dietro ai discorsi sul sovranismo ed il patriottismo (che spesso hanno una connotazione che rasenta l’apologia del fascismo), si celi in realtà una subordinazione agli interessi dell’alleato americano, con conseguenze non sempre trasparenti per la politica estera e la sicurezza del paese.​

E, di certo, l’attuale esecutivo non nasconde questa sua inclinazione. Anzi, la sbandiera come un punto di forza, quando in realtà i segnali che provengono dall’amministrazione Trump, tendono a rendere sempre più marginale il ruolo della UE e, di conseguenza, del nostro paese. C’è da chiedersi se il modo di operare del governo non sia, a questo punto, profondamente dilettantesco, con le conseguenze che vediamo ogni giorno. Non serve nemmeno un’analisi troppo professionale per evidenziarlo. Basta un minimo di buon senso.

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Gli scritti sono tutelati da “Creative Commons” (qui)

Tutte le opinioni qui riportate sono da considerarsi personali. Per eventuali problemi riscontrati con i testi, si prega di scrivere a: corubomatt@gmail.com




Intercettazioni Witkoff-Putin: il piano economico che svende Kiev.


(184)

(K1)

I colloqui di pace tra #Ucraina e #Russia languono in un impasse totale, complicati da intercettazioni pubblicate dalla stampa che rivelano dettagli sensibili e dal recente vertice di cinque ore al Cremlino, il 2 Dicembre, tra #Putin, Steve Witkoff e Jared Kushner. “Bloomberg” ha diffuso un audio del 14 ottobre tra #Witkoff, inviato di #Trump, e Yuri Ushakov, consigliere di Putin, dove l'americano suggerisce a Mosca come approcciare Trump per una tregua, passando da #Gaza all' #Ucraina e lodando un cessate-il-fuoco rapido. #Ushakov ha bollato la fuga come “inaccettabile”, irritando Cremlino e repubblicani.

Il “New York Times”, in un'inchiesta su negoziati passati (2022) e attuali, evidenzia come i documenti esaminati mostrino compromessi territoriali ucraini (#Crimea esclusa, #Donbass ceduto) e rinunce #Nato, allarmando Washington per un “disarmo unilaterale” di #Kiev, pattern che persiste oggi con il piano Trump.​

L'incontro Putin-Witkoff-Kushner, con pranzi e passeggiate, ha esaminato il piano USA in 28 punti più quattro documenti extra: Mosca accetta “alcuni aspetti”, ma respinge concessioni territoriali, con Ushakov che nota versioni “confuse” trasmesse informalmente. Dmitriev e Peskov definiscono i talks “costruttivi”, ma senza compromessi su #Donetsk, #Luhansk, #Cherson e #Zaporizhia,

Putin accusa la #UE di “ostacolare la pace”, minacciando ritorsioni. L'appuntamento salta per #Zelensky, mentre #Rubio annuncia “progressi” cauti con garanzie sicurezza per Kiev.​

(K2)

Il “New York Times” e altre fonti sottolineano come il piano #Trump, ideato da businessman come Witkoff-Dmitriev (non diplomatici), sia più economico che politico: prevede gli #USA leader in “ricostruzione e investimenti” in Ucraina post-pace, con spartizione territori (Donbass/Luhansk russi, linea fronte per sud-est), neutralità Kiev (no alla #Nato, no basi occidentali, ma aerei in Polonia) e azzeramento delle sanzioni.

Intercettazioni confermano l'approccio “deal-making”: Witkoff propone a Putin un “modo migliore” per Trump, focalizzato su tregua rapida, eco di passati negoziati dove l’economia sovrastava la sovranità. Questo privilegia i profitti (investimenti post-bellici) rispetto alla giustizia politica, con Trump che definisce il conflitto un “casino” da chiudere presto.​ Le intercettazioni, uscite post-vertice Ginevra, acuiscono contraddizioni: gli USA dialogano bilateralmente con Mosca, ma Kiev e UE denunciano il loro isolamento.

#Zelensky invoca una “pace dignitosa” e il vice di Trump, #Rubio, si dice ottimista. Mosca, però, appare irremovibile. L' #UE, invece, oppone solo rigidità: La Kallas e la von der Leyen insistono su una parità tra Kiev e Bruxelles, con controproposte che eliminano concessioni territoriali e spingono sui missili a lungo raggio. Criticano il piano Trump e lo bollano come “isolazionista”. Intanto Putin accusa l’Europa di volere una guerra, ma la UE appare impotente senza alternative concrete al deal economico USA-Russia.​

Le intercettazioni Bloomberg e l'inchiesta NYT smascherano la farsa: Trump pedina Putin con emissari tycoon per un piano che puzza di affare immobiliare più che diplomazia, sacrificando territori ucraini per ricostruzione lucrativa e sanzioni azzerate, mentre UE pontifica e Zelensky implora. Questa “pace economica” non è salvezza, ma rapina geopolitica dove il business trumpiano trionfa sulla sovranità, lasciando macerie fisiche e morali sulle persone. Il tutto per profitti d'élite.

#Blog #Ucraina #Russia #UE #Politica #Pace #Opinioni


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Intercettazioni Witkoff-Putin: il piano economico che svende Kiev.


(184)

(K1)

I colloqui di pace tra #Ucraina e #Russia languono in un impasse totale, complicati da intercettazioni pubblicate dalla stampa che rivelano dettagli sensibili e dal recente vertice di cinque ore al Cremlino, il 2 Dicembre, tra #Putin, Steve Witkoff e Jared Kushner. “Bloomberg” ha diffuso un audio del 14 ottobre tra #Witkoff, inviato di #Trump, e Yuri Ushakov, consigliere di Putin, dove l'americano suggerisce a Mosca come approcciare Trump per una tregua, passando da #Gaza all' #Ucraina e lodando un cessate-il-fuoco rapido.#Ushakov ha bollato la fuga come “inaccettabile”, irritando Cremlino e repubblicani.

Il “New York Times”, in un'inchiesta su negoziati passati (2022) e attuali, evidenzia come i documenti esaminati mostrino compromessi territoriali ucraini (#Crimea esclusa, #Donbass ceduto) e rinunce #Nato, allarmando Washington per un “disarmo unilaterale” di #Kiev, pattern che persiste oggi con il piano Trump.​

L'incontro Putin-Witkoff-Kushner, con pranzi e passeggiate, ha esaminato il piano USA in 28 punti più quattro documenti extra: Mosca accetta “alcuni aspetti”, ma respinge concessioni territoriali, con Ushakov che nota versioni “confuse” trasmesse informalmente. Dmitriev e Peskov definiscono i talks “costruttivi”, ma senza compromessi su #Donetsk, #Luhansk, #Cherson e #Zaporizhia,

Putin accusa la #UE di “ostacolare la pace”, minacciando ritorsioni. L'appuntamento salta per #Zelensky, mentre #Rubio annuncia “progressi” cauti con garanzie sicurezza per Kiev.​

(K2)

Il “New York Times” e altre fonti sottolineano come il piano #Trump, ideato da businessman come Witkoff-Dmitriev (non diplomatici), sia più economico che politico: prevede gli #USA leader in “ricostruzione e investimenti” in Ucraina post-pace, con spartizione territori (Donbass/Luhansk russi, linea fronte per sud-est), neutralità Kiev (no alla #Nato, no basi occidentali, ma aerei in Polonia) e azzeramento delle sanzioni.

Intercettazioni confermano l'approccio “deal-making”: Witkoff propone a Putin un “modo migliore” per Trump, focalizzato su tregua rapida, eco di passati negoziati dove l’economia sovrastava la sovranità. Questo privilegia i profitti (investimenti post-bellici) rispetto alla giustizia politica, con Trump che definisce il conflitto un “casino” da chiudere presto.​ Le intercettazioni, uscite post-vertice Ginevra, acuiscono contraddizioni: gli USA dialogano bilateralmente con Mosca, ma Kiev e UE denunciano il loro isolamento.

#Zelensky invoca una “pace dignitosa” e il vice di Trump, #Rubio, si dice ottimista. Mosca, però, appare irremovibile. L' #UE, invece, oppone solo rigidità: La Kallas e la von der Leyen insistono su una parità tra Kiev e Bruxelles, con controproposte che eliminano concessioni territoriali e spingono sui missili a lungo raggio. Criticano il piano Trump e lo bollano come “isolazionista”. Intanto Putin accusa l’Europa di volere una guerra, ma la UE appare impotente senza alternative concrete al deal economico USA-Russia.​

Le intercettazioni Bloomberg e l'inchiesta NYT smascherano la farsa: Trump pedina Putin con emissari tycoon per un piano che puzza di affare immobiliare più che diplomazia, sacrificando territori ucraini per ricostruzione lucrativa e sanzioni azzerate, mentre UE pontifica e Zelensky implora. Questa “pace economica” non è salvezza, ma rapina geopolitica dove il business trumpiano trionfa sulla sovranità, lasciando macerie fisiche e morali sulle persone. Il tutto per profitti d'élite.

#Blog #Ucraina #Russia #UE #Politica #Pace #Opinioni

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Gli scritti sono tutelati da “Creative Commons” (qui)

Tutte le opinioni qui riportate sono da considerarsi personali. Per eventuali problemi riscontrati con i testi, si prega di scrivere a: corubomatt@gmail.com




Anche l'Italia partecipa alle operazioni delle Forze di Polizia europee per sequestrare giocattoli contraffatti e pericolosi


Le operazioni #LUDUS IV e V hanno coordinato gli sforzi delle forze dell'ordine dell' #UE, che hanno portato al sequestro di 16,6 milioni di giocattoli contraffatti per un valore di 36,8 milioni di euro e alla segnalazione di 555 persone alle autorità.

Questi giocattoli falsi presentano gravi rischi per la salute dei bambini, tra cui l'esposizione a sostanze chimiche tossiche, rischi di soffocamento, livelli di rumore eccessivi che causano danni all'udito e rischi di incendio dovuti a componenti elettrici non conformi.

Le operazioni hanno coinvolto 26 paesi (Italia compresa), coordinate da #Europol, con il supporto di #EUIPO e #OLAF, e hanno preso di mira le reti criminali che sfruttano il mercato globale dei giocattoli (300 miliardi di euro,) che risulta essere il secondo settore più colpito dalla contraffazione al mondo. E'0 stato calcolato che il commercio di giocattoli contraffatti causa annualmente circa 1 miliardo di euro di mancate vendite nell' UE e comporta una perdita di 3.600 posti di lavoro, evadendo al contempo ingenti entrate fiscali.

Per saperne di più sulla contraffazione dei giocattoli e come difendersi:uibm.mise.gov.it/attachments/c…


noblogo.org/cooperazione-inter…


Anche l'Italia partecipa alle operazioni delle Forze di Polizia europee per...


Anche l'Italia partecipa alle operazioni delle Forze di Polizia europee per sequestrare giocattoli contraffatti e pericolosi


Le operazioni #LUDUS IV e V hanno coordinato gli sforzi delle forze dell'ordine dell' #UE, che hanno portato al sequestro di 16,6 milioni di giocattoli contraffatti per un valore di 36,8 milioni di euro e alla segnalazione di 555 persone alle autorità.

Questi giocattoli falsi presentano gravi rischi per la salute dei bambini, tra cui l'esposizione a sostanze chimiche tossiche, rischi di soffocamento, livelli di rumore eccessivi che causano danni all'udito e rischi di incendio dovuti a componenti elettrici non conformi.

Le operazioni hanno coinvolto 26 paesi (Italia compresa), coordinate da #Europol, con il supporto di #EUIPO e #OLAF, e hanno preso di mira le reti criminali che sfruttano il mercato globale dei giocattoli (300 miliardi di euro,) che risulta essere il secondo settore più colpito dalla contraffazione al mondo. E'0 stato calcolato che il commercio di giocattoli contraffatti causa annualmente circa 1 miliardo di euro di mancate vendite nell' UE e comporta una perdita di 3.600 posti di lavoro, evadendo al contempo ingenti entrate fiscali.

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Segui il blog con il tuo favorito RSS reader (noblogo.org/cooperazione-inter…) e interagisci con i suoi post nel fediverso (@cooperazione-internazionale-di-polizia@noblogo.org). Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



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Nessuno stato Palestinese: la via di Netanyahu.


(180)

(P1)

La posizione del primo ministro israeliano Benjamin #Netanyahu e dei suoi governi rispetto alla nascita di uno stato palestinese è stata storicamente e sistematicamente di netta opposizione. Tale linea, consolidata nel corso di più mandati, si fonda su motivazioni di sicurezza, strategie politiche interne e supporto di alleati significativi come gli #USA, con uno specifico ruolo anche dell'Unione Europea, specialmente negli ultimi anni di conflitto e nella fragile tregua in atto.​

Netanyahu si è sempre opposto in modo esplicito alla nascita di uno stato palestinese, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza, sostenendo che la creazione di tale entità comporterebbe gravi rischi per la sicurezza di Israele e porterebbe il territorio sotto l'influenza di Hamas e di altri gruppi considerati terroristici.

Nel corso dei decenni, il leader israeliano ha argomentato che l’origine del conflitto non dipende dall’assenza di uno stato palestinese, ma dall’opposizione all’esistenza stessa di Israele da parte di diverse parti palestinesi e arabe. Tale convinzione ha portato Netanyahu a promuovere politiche di isolamento dell’Autorità Nazionale Palestinese e al rafforzamento di Hamas a Gaza per mantenere la divisione tra i palestinesi: “Chi desidera ostacolare la nascita di uno stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di #Hamas”, ha dichiarato in riunioni di partito.​

A partire dal ritorno alla guida di #Israele nel dicembre 2022, il governo Netanyahu ha accentuato la sua opposizione a qualsiasi riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese. Nel 2024, la Knesset ha votato formalmente contro la nascita di uno stato palestinese, definendo l’eventuale riconoscimento “un regalo al terrorismo”. Il primo ministro ha ottenuto il sostegno sia dai partiti di destra che da quelli centristi, consolidando una linea che respinge apertamente ogni diktat internazionale su tale questione. Parallelamente, sono state accelerate le operazioni militari a Gaza e l’espansione degli insediamenti in #Cisgiordania, rallentando o impedendo ogni serio negoziato di pace.​

(P2)

Gli Stati Uniti hanno storicamente sostenuto Israele anche rispetto al veto posto contro il riconoscimento di uno stato palestinese presso le Nazioni Unite. Nell’ultimo conflitto a #Gaza, Washington ha ripetutamente bloccato con il proprio veto risoluzioni ONU che chiedevano l’arresto delle ostilità e l’apertura agli aiuti umanitari, dichiarando che tali pressioni pianificate “indebolirebbero la sicurezza israeliana e rafforzerebbero Hamas”.

Tuttavia, segnali recenti indicano un leggero cambiamento: una parte del Congresso USA ha iniziato a proporre la risoluzione per il riconoscimento dello Stato palestinese, seppur senza concreto esito. La tregua attuale rimane estremamente fragile e subordinata alle dinamiche interne israeliane e alle pressioni internazionali, con il governo di Netanyahu che continua a minare la stabilità e i processi negoziali.​

L’Unione Europea si è mostrata maggiormente incline a sostenere la “soluzione a due stati”, criticando apertamente la politica israeliana contemporanea. Tuttavia, la reale capacità d’influenza della #UE sulle scelte del governo israeliano rimane marginale, sia per le profonde divergenze interne alla stessa Europa che per il peso geopolitico degli Stati Uniti nelle politiche israeliane. La posizione della UE si limita spesso a dichiarazioni di principio e pressioni diplomatiche, risultando poco efficace nel condizionare gli sviluppi concreti sul campo.​

L’opposizione di Netanyahu e del suo governo alla creazione di uno stato palestinese appare più radicata che mai nel contesto attuale. Le strategie di divisione interpalestinese, la retorica sulla sicurezza e la gestione della crisi di Gaza sono pilastri di questa immunità ai cambiamenti internazionali. Gli apparati di potere statunitensi e, in misura minore, europei, nonostante alcuni segnali di evoluzione, continuano a garantire una protezione diplomatica che rende difficile qualunque concreta attuazione della “soluzione a due stati”. #Israele vuole essere l’unico stato nella Palestina. Lo dice con le armi e la distruzione di ogni ragionevole ipotesi contraria.

#Blog #Israele #Palestina #USA #UE #Opinioni #Medioriente


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Nessuno stato Palestinese: la via di Netanyahu.


(180)

(P1)

La posizione del primo ministro israeliano Benjamin #Netanyahu e dei suoi governi rispetto alla nascita di uno stato palestinese è stata storicamente e sistematicamente di netta opposizione. Tale linea, consolidata nel corso di più mandati, si fonda su motivazioni di sicurezza, strategie politiche interne e supporto di alleati significativi come gli #USA, con uno specifico ruolo anche dell'Unione Europea, specialmente negli ultimi anni di conflitto e nella fragile tregua in atto.​

Netanyahu si è sempre opposto in modo esplicito alla nascita di uno stato palestinese, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza, sostenendo che la creazione di tale entità comporterebbe gravi rischi per la sicurezza di Israele e porterebbe il territorio sotto l'influenza di Hamas e di altri gruppi considerati terroristici.

Nel corso dei decenni, il leader israeliano ha argomentato che l’origine del conflitto non dipende dall’assenza di uno stato palestinese, ma dall’opposizione all’esistenza stessa di Israele da parte di diverse parti palestinesi e arabe. Tale convinzione ha portato Netanyahu a promuovere politiche di isolamento dell’Autorità Nazionale Palestinese e al rafforzamento di Hamas a Gaza per mantenere la divisione tra i palestinesi: “Chi desidera ostacolare la nascita di uno stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di #Hamas”, ha dichiarato in riunioni di partito.​

A partire dal ritorno alla guida di #Israele nel dicembre 2022, il governo Netanyahu ha accentuato la sua opposizione a qualsiasi riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese. Nel 2024, la Knesset ha votato formalmente contro la nascita di uno stato palestinese, definendo l’eventuale riconoscimento “un regalo al terrorismo”. Il primo ministro ha ottenuto il sostegno sia dai partiti di destra che da quelli centristi, consolidando una linea che respinge apertamente ogni diktat internazionale su tale questione. Parallelamente, sono state accelerate le operazioni militari a Gaza e l’espansione degli insediamenti in #Cisgiordania, rallentando o impedendo ogni serio negoziato di pace.​

(P2)

Gli Stati Uniti hanno storicamente sostenuto Israele anche rispetto al veto posto contro il riconoscimento di uno stato palestinese presso le Nazioni Unite. Nell’ultimo conflitto a #Gaza, Washington ha ripetutamente bloccato con il proprio veto risoluzioni ONU che chiedevano l’arresto delle ostilità e l’apertura agli aiuti umanitari, dichiarando che tali pressioni pianificate “indebolirebbero la sicurezza israeliana e rafforzerebbero Hamas”.

Tuttavia, segnali recenti indicano un leggero cambiamento: una parte del Congresso USA ha iniziato a proporre la risoluzione per il riconoscimento dello Stato palestinese, seppur senza concreto esito. La tregua attuale rimane estremamente fragile e subordinata alle dinamiche interne israeliane e alle pressioni internazionali, con il governo di Netanyahu che continua a minare la stabilità e i processi negoziali.​

L’Unione Europea si è mostrata maggiormente incline a sostenere la “soluzione a due stati”, criticando apertamente la politica israeliana contemporanea. Tuttavia, la reale capacità d’influenza della #UE sulle scelte del governo israeliano rimane marginale, sia per le profonde divergenze interne alla stessa Europa che per il peso geopolitico degli Stati Uniti nelle politiche israeliane. La posizione della UE si limita spesso a dichiarazioni di principio e pressioni diplomatiche, risultando poco efficace nel condizionare gli sviluppi concreti sul campo.​

L’opposizione di Netanyahu e del suo governo alla creazione di uno stato palestinese appare più radicata che mai nel contesto attuale. Le strategie di divisione interpalestinese, la retorica sulla sicurezza e la gestione della crisi di Gaza sono pilastri di questa immunità ai cambiamenti internazionali. Gli apparati di potere statunitensi e, in misura minore, europei, nonostante alcuni segnali di evoluzione, continuano a garantire una protezione diplomatica che rende difficile qualunque concreta attuazione della “soluzione a due stati”.#Israele vuole essere l’unico stato nella Palestina. Lo dice con le armi e la distruzione di ogni ragionevole ipotesi contraria.

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