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La vittoria della destra in Italia riflette le mutazioni in corso in Europa. E la crisi prolunga la stagione dei sovranismi nel Vecchio Continente.


Faucet, l’ultima tendenza nel mondo delle criptovalute


Il mondo del risparmio è particolarmente amato dagli italiani, popolo da sempre avvezzo ad un atteggiamento più da formica che cicala. Ed è questo uno dei motivi per cui l’Italia, nonostante l’enorme peso del debito pubblico, è ritenuto ancora un paese solvibile agli occhi dei grandi investitori istituzionali: il tasso di risparmio privato, infatti, è […]

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Nucleare: la dottrina della Russia non è quella che l’Occidente dice essere


L'Occidente sostiene che la soglia della Russia per l'uso di armi nucleari è molto bassa. Non è così, e anzi è la stessa dottrina nucleare russa che dovrebbe mettere al riparo da attacchi nucleari 'facili'. La retorica della politica è tutt'altro rispetto la realtà che deriva dalla dottrina nucleare, la quale è in mano a professionisti che sono che per nulla inclini all'avventurismo dei politici

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Paesi arabi: l’opinione pubblica sfida l’immagine che i leader amano proiettare


I sondaggi rivelano atteggiamenti contraddittori tra i giovani arabi nei confronti della religione, del rifiuto dell'Islam moderato e dei legami diplomatici formali con Israele. I riformatori autocratici sembrano essere molto più avanti di segmenti significativi della loro popolazione

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Yuan for all Oggi la banca centrale cinese ha annunciato l’obbligo di mantenere una riserva di capitale per tutte le banche che “giocano” sui mercati valutari, cioè quelli in cui si scambiano valute diverse.


Sai cos'è un DAE? Hai mai partecipato ad un corso di primo soccorso?
Continua a seguirci per saperne di più! Ci vediamo il 29 settembre.

#MIStaiACuore



Ucraina: dopo i referendum, l’annessione che sarà


Il referendum in corso nelle repubbliche del Donbass e nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia potrebbero aprire una nuova e più pericolosa fase della guerra. Le modalità, il significato e il costo dell'annessione

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Guerra ucraina: i referendum del Putin ‘raccoglitore di terre russe’


Le annessioni hanno lo scopo di costringere l'Ucraina ad abbandonare la sua campagna di liberazione in corso, a desistere da tali sforzi in futuro e dissuadere i partner occidentali dell'Ucraina dal sostenere gli attuali e futuri tentativi ucraini di riconquistare questi territori con la forza

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Stiamo spingendo il Sud del mondo nelle braccia della Cina


Pechino è in lizza per il ruolo di leadership tra questi Paesi e si sta facendo strada. Washington è abbastanza agile da apportare modifiche alla sua politica estera, e più in generale alla sua visione del mondo e della storia?

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Sui roghi notturni delle donne persiane ed altre storie.


Mentre in Italia aspettiamo – trepidanti o fatalistici, secondo la parte – che il centenario del fascismo al governo si incarni; dall’Iran giungono immagini che assomigliano alla classica boccata d’aria. Non mi fraintendere lettrice, lettore, nessun paral

Mentre in Italia aspettiamo – trepidanti o fatalistici, secondo la parte – che il centenario del fascismo al governo si incarni; dall’Iran giungono immagini che assomigliano alla classica boccata d’aria. Non mi fraintendere lettrice, lettore, nessun parallelismo, nessuno scongiuro, nessun facile confronto. Spero sempre che all’avvento di una destra al governo, con la prima donna presidente del consiglio in Italia, non corrisponda nulla che assomigli al becero e retrivo patriarcato che tentiamo faticosamente, tutti, di lasciarci alle spalle. Ma certo, che bello vedere le donne persiane mandare al rogo i loro odiosissimi veli in dispregio alla legge coranica!

Abbandono il sentiero delle scivolose questioni interne e mi concentro su quel documento visivo che spero presto diventi storico oltre che virale.

Nel palazzo in cui tengo studio assieme a mia moglie ‘avvocata’, incrocio ogni mattina decine di fieri uomini africani che vanno al lavoro; profumatissimi e diffidenti, non ti danno mai il saluto per primi e quando lo ricambiano lo fanno con una specie di risposta masticata tra i denti. Sono i migranti di prima generazione, come noi nel nord Italia, nell’America, nell’Australia, nel Belgio o nella Germania di un novecento troppo presto dimenticato. Anche allora tutti si abbassava lo sguardo se si incrociava una donna ‘emancipata’ che andava a lavoro, e fioccavano dalle labbra commenti lussuriosi, ludibri.

Qualche tempo fa ho avuto in aula una ragazza nordafricana; fra triennio e biennio ha seguito le mie lezioni dai diciotto ai ventitre anni circa. Era fiera, caparbia, orgogliosa e portava fieramente, caparbiamente, orgogliosamente il velo. Mentre mi parlava dall’altra parte della cattedra, mi sono chiesto più volte cosa la spingesse a condividere nell’Italia contemporanea un’usanza così inattuale e
arcaica. Cosa la spingesse a farsi interprete di un maschilismo e un patriarcato talmente ovvio ai miei occhi ma talmente granitico nelle sue convinzioni giovanili.

Anche qui, cara lettrice, caro lettore, non mi fraintendere.

Sono uno scettico e sospendo sempre ogni forma di giudizio, un poco per non entrare troppo dentro la vita delle persone, ma anche per non dare l’impressione di un moralità del tutto estranea alle mie convinzioni.
La guardavo e da scettico, completamente laico e amorale, a mio modo la rispettavo. Non che non avessi il diritto anche solo accademico di porre la fatidica domanda: “chi te lo fa fare?”.

Insegno Storia della moda e avrei potuto farne motivo di un genuino interesse culturale e didattico da condividere con il resto della classe. Ma davvero la mia educazione non mi consente facili giudizi. La ragazza ha continuato così, per la sua strada, indisturbata e senza alcun commento.

Entro il 1377-80, la bottega in cui opera il “Maestro del compagno del Falconiere” completava il soffitto ligneo di Palazzo Chiaramonte (oggi Steri) a Palermo, con splendide storie dipinte.
In alcuni episodi del ciclo decorativo la vita della città panormita pulsa al punto da apparire estremamente attuale. In uno dei lacunari una donna interamente velata addita se stessa come a dire: “Eccomi qui, io sono quella“. Nell’altra mano sgrana un rosario. Del suo viso ci concede solo gli occhi, il resto del corpo è gelosamente imbozzolato nelle vesti.

Quale distanza separa quella donna saracena nella Palermo del tardo Trecento dalla mia fiera allieva?
Cosa separa la mia fiera allieva dalle donne iraniane che giusto ieri, finalmente, davano fuoco ai veli?

Davvero non saprei, ma come uomo del XXI secolo che attende ancora la piena parità dei diritti di genere (di tutti i generi) e la piena integrazione delle genti migranti (di tutte le genti migranti), non me ne vogliano la misteriosa palermitana del 1377-80 né la mia brava e gentile allieva, di gran lunga preferisco i roghi notturni delle donne persiane.

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Il governo spaziale sfiducia Vittorio Colao e la Francia investe 9 miliardi


Piove. «Governo ladro!» Ma veramente le improponibili manchevolezze di un governo possono entrare anche nel merito della tempesta tropicale che in questi giorni colpisce la Florida e che sta trattenendo la nuova missione lunare a Terra? Non esageriamo! Questa volta, degli obiettivi prefissati, la verifica della nuova procedura che riduce le probabilità di perdite dei […]

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 "Principali dati della scuola - Avvio anno scolastico 2022/2023", pubblicato l'approfondimento statistico sulla scuola statale

🔸 Decreto direttoria…



Dopo il voto


Le lezioni politiche restituiscono un vincitore e molti sconfitti… Le elezioni politiche restituiscono un vincitore e molti sconfitti. La prima cosa da osservare è che, come previsto, i voti alle formazioni, a vario titolo, populiste sono la maggioranza.

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Le lezioni politiche restituiscono un vincitore e molti sconfitti…


Le elezioni politiche restituiscono un vincitore e molti sconfitti.

La prima cosa da osservare è che, come previsto, i voti alle formazioni, a vario titolo, populiste sono la maggioranza. Questo è un punto rilevantissimo, perché il pericolo per un sistema democratico non viene dalla vittoria della destra o della sinistra, ma dalla sconfitta della politica.

Secondo punto: non c’è dubbio che il vincitore sia Fratelli d’Italia e chi ha diretto il partito, cioè Giorgia Meloni. Su questo non c’è alcun dubbio. I dati si assesteranno, ma, insomma, sono abbondantemente sopra il 25% e navigano verso il 26%.

Non dimentichiamoci, però, che nel 2014 il Partito Democratico di Renzi ottenne più del 40% dei voti. Nel 2018 il MoVimento 5 Stelle ottenne più del 32% dei voti. Nel 2019 la Lega ottenne alle europee più del 34% dei voti.

Dunque, il tema, come dimostrano questi numeri, non è solo quanti voti si prendono, ma per quanto tempo si riescono a conservare e per fare che cosa.

Questo è il problema che oggi si trova di fronte la maggioranza, che è una maggioranza assoluta sia alla Camera, sia al Senato. Quindi se c’è una cosa sicura è che farà un governo e che il governo sarà guidato da Giorgia Meloni.

Inoltre, Fratelli d’Italia da sola ha più voti di Forza Italia e la Lega sommati, significativamente più voti. Questo nel caso in cui andassero d’accordo su tutto non sarebbe un problema, ma, in realtà, invece, un problema lo sarà, perché gli sconfitti dovranno in qualche modo farsi valere.

Del resto, già in queste ore, Berlusconi dice che Forza Italia è determinante ed è vero. Le elezioni le vince Fratelli d’Italia, che ha un risultato superiore a quello di chiunque altro, ma non ha la maggioranza né alla camera né al Senato, se non con i suoi alleati, i quali, nel corso di tutta la campagna elettorale, su molte cose importanti, hanno detto il contrario di quello che diceva Fratelli d’Italia.

Per concludere: cosa ci aspetta? Beh vedo che Crosetto, esponente importante di Fratelli d’Italia, dice che per la manovra economica serve che Draghi dia una mano. Draghi darà sicuramente una mano, non a questo o a quel partito, ma all’Italia.

Abbiamo bisogno tutti di stabilità, ma questo significa che molte delle parole d’ordine della lunga ascesa devono essere smentite. E del resto se il principale, nonché pressoché unico partito di opposizione nella legislatura appena conclusosi, vincitore delle successive elezioni, dice che Draghi deve darci una mano – lo stesso Draghi a cui fece opposizione – mi pare che il cammino verso la smentita di quel che si è sostenuto è già cominciato.

A sinistra perdono perché si sono persi e devono praticamente ricominciare da zero.

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Sturarsi


Esito del voto Cominciamo dai risultati elettorali, che constateremo domenica notte e saranno evidenti al successivo sorgere del sole. Cominciamo con il capire come andranno le elezioni, quali dati saranno più rilevanti, per poi provare a immaginarne le c

Esito del voto


Cominciamo dai risultati elettorali, che constateremo domenica notte e saranno evidenti al successivo sorgere del sole. Cominciamo con il capire come andranno le elezioni, quali dati saranno più rilevanti, per poi provare a immaginarne le conseguenze.

Una volta fatto questo esercizio, potremo andare a votare. Indro Montanelli, nel 1976, suggerì di farlo turandosi il naso, in modo da dare il consenso alla Dc ed evitare il sorpasso da parte del Pci. Ora sarà meglio sturarsi il naso, aprire gli occhi e tendere le orecchie.

Dalle urne uscirà una maggioranza assoluta, ma diversa da quella di cui tutti ragionano. Non avrà una marca di destra (che già si sente ed è data vincente) o di sinistra (che già si sente ed è data perdente), ma del tutto diversa: sarà populista.

Le forze in vario modo riconducibili al populismo, all’essere contro, saranno prevalenti. Per capire il dopo, però, sono decisive due osservazioni:

  • quelle forze non sono solo divise, ma contrapposte e si alimentano dell’essere contro anche verso chi è più a loro assimilabile;
  • il loro successo è dissonante rispetto a quello che gli stessi elettori affermano di sentire.

Tanto per fare un esempio, la grande maggioranza dei sondati riconosce a due sole figure una fiducia che supera la sfiducia: Mattarella e Draghi. Tutti gli altri leader hanno i loro tifosi, ma la sfiducia supera nettamente la fiducia. Eppure Mattarella e Draghi sono quanto di più lontano si possa immaginare dal populismo.

Come è possibile, allora? Capita perché il giudizio sui fatti si separa dalla faziosità politica e perché il consenso a quelle due figure istituzionali è a sua volta una dimostrazione di sfiducia nella politica. Che, però, non genera forze nuove e degne di fiducia, bensì la faziosità delle sfiducie contrapposte.

A sinistra perdono perché si sono persi, ma anche la destra ha perso grande parte di sé perché gli uni e gli altri non hanno avuto né forza intellettuale né coraggio politico di contrastare il populismo, provando solo a succhiarne la ruota. Una furbizia ottusa che ha svuotato di politica la politica.

Ma siccome la realtà esiste e i problemi non si lasciano imbambolare dalla parlantina, ancora una volta la conseguenza del voto sarà portare ad un bivio: o si resta coerenti con quel che si è raccontato, nel qual caso o non si riuscirà a governare o si danneggeranno seriamente gli interessi italiani; oppure si apre la danza del trasformismo, che da qualche legislatura e specie in quella che ora si chiude è stata un’orgia.

Se la destra avrà la maggioranza assoluta degli eletti non potrà che formare il governo e non potrà che guidarlo chi ha moltiplicato i propri voti: Giorgia Meloni. Il potere è un grande collante, ma anche un potente solvente. Le altre due forze della destra, Lega e Forza Italia, erano prima dominanti e ora sono soccombenti. Vivranno travagli interni, specie la Lega, ma poi scaricheranno le contraddizioni sul governo.

A sinistra il Partito democratico dovrà scegliere se spaccarsi o riconsegnarsi ai 5 Stelle. Se tornare a elaborare politica o puntare all’ennesima rivincita che si rivelerà l’ennesima riperdita.

Ma la politica non vive in un pianeta suo, è comunque espressione dell’elettorato. E il risultato di domenica parlerà chiaro: troppi non capiscono o non apprezzano la forza della democrazia parlamentare e la generazione di ricchezza che ci deriva dalla collocazione occidentale e dall’integrazione europea.

Troppi pensano siano cose scontate, acquisite per sempre e, quindi, che si possano detestare senza pagare il prezzo. Troppi credono che si possa sempre scaricare tutto su un futuro con sempre meno italiani. Troppi chiedono un governo forte e avversano la forza del governo. E non è un problema solo italiano, è il diffuso derivato del benessere goduto e non conquistato. E questa storia non si chiude domenica, ma ricomincia lunedì.

La Ragione

L'articolo Sturarsi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La vittoria di Giorgia Meloni entusiasma l’intera destra neofascista europea


Dagli spagnoli di Vox alla francese Marine Le Pen fino ai tedeschi di Afd, l'ultradestra europea celebra il successo della leader di Fratelli d'Italia. L'articolo La vittoria di Giorgia Meloni entusiasma l’intera destra neofascista europea proviene da Pa

della redazione

Pagine Esteri, 26 settembre 2022 – Esulta la destra in Europa, non solo quella estrema, per la vittoria straripante di Giorgia Meloni e del suo partito alle legislative italiane. Solo Benito Mussolini e il partito fascista, al quale, senza poterlo affermare pubblicamente, si richiama Fratelli d’Italia, era riuscito cento anni fa ad infondere tanto entusiasmo nella destra del Vecchio Continente. Gli applausi più scroscianti arrivano dalla Francia. Secondo Jordan Bardella, tra i principali dirigenti del Ressemblement National, il partito di Marine Le Pen, “Gli italiani hanno dato una lezione di umiltà all’Ue” di fronte alle presunte minacce della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. “Nessuna minaccia – scrive Bardella in un tweet – può fermare la democrazia: i popoli europei alzano la testa e stanno prendendo in mano il loro destino!”.

Felice anche Eric Zemmour, ex giornalista di Le Figaro e leader del partito nazionalista francese Reconquete: “Dalla Svezia all’Italia stiamo vivendo la seconda coalizione di destra vittoriosa in Europa il cui cemento è la questione di identità. Rivolgo tutte le mie congratulazioni alla signora Meloni ed esprimo la mia gioia per il popolo italiano. Un popolo orgoglioso e libero che si rifiuta di morire”. Secondo Zemmour la vittoria della Meloni sarà di buon auspicio per le ambizioni del suo partito e della destra estrema francese.

Sulla stessa linea Vox, il partito neofascista spagnolo al quale Giorgia Meloni ha fatto spesso gli auguri e i complimenti. “Milioni di europei ripongono le loro speranze sull’Italia. Giorgia Meloni ha indicato la strada per un’Europa orgogliosa, libera e di nazioni sovrane, capaci di cooperare per la sicurezza e la prosperità”, ha scritto su Twitter il leader di Vox, Santiago Abascal. Altrettanto entusiasta Afd, partito della destra estrema tedesca con simpatie per il passato nazista. “Congratulazioni all’intera alleanza di centrodestra – scrive sui social Beatrix von Storch, vice leader di Afd. “Insieme agli amici Matteo Salvini e Giorgia Meloni – aggiunge – si può costruire un forte governo di destra. Svezia al nord, Italia al sud: i governi di sinistra sono quelli di ieri”.

Da segnalare la felicità espressa del premier polacco, un ultraconservatore, Mateusz Morawiecki – “Congratulazioni Giorgia Meloni!” – e l’applauso dei neofascisti ungheresi alla leader di Fratelli d’Italia e ai suoi compagni di coalizione. “Complimenti Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi. In questi tempi difficili, abbiamo bisogno più che mai di amici che condividano una visione e un approccio comune alle sfide dell’Europa”, esorta su Twitter Balazs Orban, consigliere del leader ungherese Viktor Orban, il riferimento più importante per l’attuazione di politiche neofasciste e razziste in Europa. Pagine Esteri

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Profughi palestinesi in Libano, 74 anni di diritti negati


Nel paese dei cedri ai palestinesi è vietato svolgere qualsiasi attività fuori dai loro 12 campi e non hanno alcun tipo di assistenza oltre a quella dell'Unrwa. Mentre Israele nega loro il diritto al ritorno nella terra d'origine. L'articolo Profughi pal

di Michele Giorgio* –

(le foto scattate nei campi di Sabra, Shatila, Beddawi, Nahr al Bared sono di Michele Giorgio)

Pagine Esteri, 26 settembre 2022 – Ali Hamdan osserva la figlia Nabila che muove veloce il plettro tra le corde dell’oud. Le note sono quelle di un motivo della tradizione palestinese, della zona di Giaffa da dove il suo bisnonno giunse a Beirut da profugo, assieme ad altre migliaia di civili, nel 1948. Nabila studia da poco lo strumento ma già mostra del talento e Ali non nasconde l’orgoglio di padre. E così la madre, Reem, con il viso segnato dalla stanchezza e dalla povertà. Vivere nel campo profughi di Shatila fa invecchiare prima. Ci si sveglia ogni mattina pensando a come procurarsi qualche dollaro per sopravvivere, un’impresa ancora più ardua da qualche anno viste le condizioni economiche disastrose in cui è precipitato il Libano. «Ho imparato queste poche cose, non so suonare altro», ammette Nabila arrossendo. L’applauso dei genitori e degli ospiti stranieri la rincuora. La ragazza dà uno sguardo alla nonna che giace nel letto accanto a lei, silenziosa e con gli occhi chiusi. È malata, non riesce più a camminare.

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«Dovrei farla ricoverare ma l’ospedale costa troppo. Non abbiamo l’assistenza sanitaria in Libano. L’Unrwa (l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi, ndr) può coprire solo una piccola parte delle spese e a noi palestinesi non è permesso lavorare fuori dal campo», ci dice Ali. Fino a un paio d’anni fa Ali faceva il pasticciere. «Riuscivamo a tirare avanti senza tanti affanni, poi il proprietario ha dato il negozio a un profugo siriano e ho perduto il lavoro» racconta. «Parecchi dei palestinesi che hanno proprietà a Shatila» aggiunge «hanno scelto di affittare la loro bottega, è una entrata mensile sicura perché i siriani ricevono i sussidi dell’Onu e sono giunti qui con i loro risparmi. Per la stessa ragione, tanti palestinesi hanno affittato le loro case».

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È una contesa tra profughi di guerre del passato e più recenti, da cui quelli palestinesi comunque escono in parte perdenti. Da un lato incassano piccole rendite che permettono di sopravvivere, dall’altro ingoiano amaro perché dopo decenni trascorsi in Libano restano fuori dal mercato ufficiale del lavoro e devono fare i conti con la perenne ostilità di una larga parte della popolazione libanese e delle forze politiche locali. Non che i siriani siano trattati con rispetto ma almeno possono muoversi con maggiore libertà e trovare occupazioni a nero in vari settori. E, comunque, agli occhi dei libanesi un giorno torneranno nel loro paese. I palestinesi invece, con Israele che nega loro il diritto al ritorno, sono guardati con grande diffidenza. Restano ospiti sgraditi da tenere segregati nei loro 12 campi ufficiali che non possono espandersi.

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«Sono ormai quattro le generazioni di palestinesi in questo paese, per loro però non è cambiato nulla in questi decenni» ci conferma Sari Hanafi, docente di sociologia e attivista dei diritti dei palestinesi in Libano, che incontriamo all’Università americana di Beirut. «Le discriminazioni – dice Hanafi – sono evidenti e, purtroppo, ritenute legittime da tanti libanesi. Pesa anche il passato, la sanguinosa guerra civile libanese che ha visto i palestinesi far parte di uno degli schieramenti contrapposti, quello delle forze progressiste musulmane e druse. I libanesi a parole dicono di aver elaborato, digerita e dimenticata per sempre la guerra civile ma la realtà è ben diversa. E i palestinesi pagano ancora il loro conto».

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Durante le campagne elettorali – inclusa quella per le legislative dello scorso marzo – il tema dei profughi, palestinesi e siriani, da rimandare a casa è sempre prioritario. Non pochi candidati agitano lo spettro della «naturalizzazione» dei profughi palestinesi che, se realizzata, porterebbe la comunità musulmana sunnita a crescere di centinaia di migliaia di individui, alterando gli equilibri settari che paralizzano il Libano. Numeri che tuttavia non hanno riscontro nella realtà. Nel 2017, un censimento del governo libanese contava 174.000 palestinesi in Libano, ben sotto gli oltre 400mila profughi registrati dall’Unrwa. Nei 74 anni trascorsi dalla Nakba e dall’espulsione dalla loro terra, tanti palestinesi hanno abbandonato il Libano cercando di rifarsi una vita altrove. In particolare dopo il 1982 quando l’Olp di Yasser Arafat fu costretta ad uscire dal paese invaso dall’esercito israeliano e anche a causa del massacro di migliaia di profughi a Sabra e Shatila compiuto dai Falangisti. «In questi ultimi anni – spiega Sari Hanafi – alcuni ministri libanesi hanno provato ad eliminare le restrizioni che impediscono ai palestinesi di svolgere decine di lavori e varie professioni ma sono tutti naufragati». Nel 2019 il ministro del lavoro Camille Abousleiman ha ribadito che i palestinesi sono stranieri in Libano nonostante la loro presenza di lunga data.

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Un palestinese in Libano non può acquistare proprietà e pur laureandosi in una università libanese può svolgere la sua professione solo all’interno del campo in cui risiede. Ogni anno le autorità di Beirut concedono o rinnovano decine di migliaia di permessi di lavoro a persone provenienti dall’Africa, dall’Asia e da altri paesi arabi. Solo poche centinaia sono offerte ai palestinesi. Il tasso di disoccupazione ufficiale nei campi è del 18% ma tra i giovani di età compresa tra 20 e 29 anni è del 28,5%. E comunque i lavori sono sempre a basso reddito. I più coraggiosi lavorano a nero fuori dal campo, sfidando i controlli delle autorità, facendo le pulizie nei palazzi dei libanesi ricchi o i muratori nei cantieri.

«I profughi palestinesi» commenta Kassem Aina, direttore dell’associazione Beit Atfal al Sumud «non smetteranno mai di chiedere di tornare nella terra di Palestina, perché solo in un loro Stato indipendente potranno vivere una vita libera e dignitosa». Pagine Esteri

*Questo reportage è stato pubblicato il 25 settembre 2022 dal quotidiano Il Manifesto

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IRAN. Mahsa Amini, 60 dimostranti uccisi dalla polizia ma la protesta non si placa


Repressione violenta delle manifestazioni nel Paese. Tra i dimostranti uccisi anche Hadith Najafi, la ragazza simbolo dei cortei. Centinaia gli arrestati, tra i quali giornalisti e attivisti per i diritti umani. L'articolo IRAN. Mahsa Amini, 60 dimostran

di Valeria Cagnazzo, con aggiornamenti delle agenzie di stampa

Pagine Esteri, 26 settembre 2022 – Non si sono fermate le proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini mentre era in stato di fermo, il 16 settembre scorso. Migliaia di iraniani da giorni scendono per le strade contro colui che definiscono il “dittatore”, ossia la Guida Suprema l’ayatollah Khamenei, e il presidente Ebrahim Raisi, considerati i veri responsabili del decesso della ventiduenne, che era stata arrestata dalla “polizia morale” (la polizia incaricata di far rispettare i doveri della religione) del Paese. Sono state occupate le università di Tehran, Karaj, Yazd e Tabriz e le donne hanno continuato a tagliarsi i capelli e a bruciare i propri veli in pubblico.La repressione del governo iraniano prosegue intanto violenta. Secondo gli attivisti, sarebbero almeno 60 gli uccisi dalla polizia durante le manifestazioni. Uccisa anche Hadith Najafi, la ragazza simbolo dei cortei. Secondo la giornalista Masih Alinejad, la giovane attivgiaa ed è stata uccisa da sei proiettili nella città di Karaj. Tra i morti ci sono anche alcuni agenti di polizia e della milizia pro-governativa Basij.

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Mahsa Amini

Centinaia gli iraniani arrestati durante le proteste. 17 i giornalisti finiti in manette. Nella notte tra il 22 e il 23 settembre, sarebbe stato prelevato dalla sua casa Majid Tavakoli, attivista per i diritti umani che aveva partecipato alle proteste per la morte di Amini. La stessa sorte sembra essere spettata a un altro attivista, Hossein Ronaghi, freelance per il Washington Post: dopo aver registrato un’intervista sarebbe stato raggiunto da agenti della sicurezza.

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A sostegno del presidente Raisi, che a proposito delle notti di proteste che stanno infiammando l’Iran giovedì scorso aveva dichiarato che nessun “atto di caos” sarebbe stato “tollerato” nel Paese. Venerdì e nei giorni successivi hanno sfilato decine di migliaia di donne e sostenitori del presidente. Nei loro slogan si chiede che i manifestanti scesi in strada per Mahsa Amini siano “giustiziati”: secondo i manifestanti pro-Raisi, nelle folle ci sarebbero agenti segreti americani infiltrati nel Paese con l’obiettivo di destabilizzarlo.

Intanto, nonostante le restrizioni che vengono applicate in queste ore alla navigazione su internet nel Paese, le immagini mostrano un Paese infiammato dalla rabbia delle donne, che malgrado gli arresti urlano da sette giorni “Morte al dittatore” e “Morte alla repubblica iraniana”.

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STORIA. La Palestina nell’età elisabettiana: la Gran Bretagna espierà finalmente i suoi peccati?


Certo, scrive lo storico Ilan Pappé, la Regina non è stata la principale responsabile delle politiche attuate in questi decenni ma a livello simbolico ogni decisione è stata presa sotto l’egida di Sua Maestà. La Gran Bretagna è stata il membro meno filo-p

di Ilan Pappé*

(traduzione di Romana Rubeo)

Pagine Esteri, 22 settembre 2022 – Mentre milioni di persone in Gran Bretagna e nel resto del mondo cantano le lodi della defunta Regina portandola ad esempio di moderazione, tatto e buon senso, le vittime del regime di colonizzazione e i “sudditi di second’ordine” in Gran Bretagna hanno una visione ben più complessa dei suoi settant’anni di regno.

Certo, la Regina non è stata la principale responsabile delle politiche attuate in questi decenni, ma a livello simbolico, ogni decisione è stata presa sotto l’egida di Sua Maestà, nel bene e nel male. Pertanto, è indubbio che un’era stia volgendo al termine e questo è sempre un buon momento per riflettere e stilare bilanci. Vorrei soffermarmi ad analizzare, in particolare, la politica britannica nei confronti della Palestina durante questi anni e le inevitabili conseguenze.

Il regno della Regina Elisabetta è iniziato dopo la Nakba. Pertanto, la vergognosa condotta britannica, che ha di fatto affrancato la pulizia etnica dei palestinesi nel 1948 ad opera di Israele, è riconducibile al periodo in cui suo padre era sovrano del Regno Unito. Elisabetta è ascesa al trono nel momento in cui il Partito Conservatore si stava riprendendo da una clamorosa e inaspettata sconfitta alle elezioni del 1945. I Laburisti erano al governo della Gran Bretagna durante il periodo della Nakba, la cui responsabilità ricade, dunque, anche su di loro.

Quando i Conservatori tornarono al governo, prima con Winston Churchill e poi con Anthony Eden, il governo di Sua Maestà scrisse un altro capitolo vergognoso nelle relazioni con la Palestina e il mondo arabo. La Gran Bretagna collaborò con Francia e Israele nel tentativo di rovesciare Gamal Abdul Nasser, sostenendo l’intransigente rifiuto israeliano a consentire il ritorno dei profughi palestinesi. Un rifiuto seguito dall’ordine di sparare a vista contro i profughi palestinesi che cercavano di recuperare i raccolti, i capi di bestiame e quant’altro fosse rimasto dopo il saccheggio israeliano delle campagne palestinesi nel 1948.

Il Partito Laburista, nel periodo compreso tra la Nakba e la Naksa (la guerra del giugno 1967), fu quasi sempre all’opposizione. Restò comunque il più fedele alleato di Israele, a livelli inimmaginabili persino oggi. Tale alleanza era siglata anche dal Consiglio dell’Unione Sindacale, che, insieme ad altri organismi socialisti, chiuse un occhio sulle sofferenze inflitte alla popolazione araba a partire dal 1948. Il governo militare israeliano si fondava su regolamenti di emergenza redatti durante il periodo del colonialismo britannico, che hanno generato, tra le tante atrocità, il massacro di Kafr Qassem nel 1956, preceduto dal massacro del villaggio di Qibya e seguito da quello del villaggio di Samu’.

A quei giorni, risale la fondazione di un nuovo gruppo, The Labour Friends of Israel (Gli Amici Laburisti di Israele), che divenne un pilastro della lobby filo-israeliana in Gran Bretagna. Nel Paese c’era già la massiccia presenza di una ben affermata lobby filo-sionista, sin dal 1900, anno in cui il Quarto Congresso Sionista si riunì a Londra. In quell’occasione, si diede avvio alla costruzione di una potente lobby, che portò alla Dichiarazione di Balfour e dunque all’impegno formale da parte della Gran Bretagna di consegnare la Palestina al movimento sionista, a discapito della popolazione nativa palestinese.

È proprio in quel periodo che si avviano due processi che si riveleranno cruciali per creare uno scudo di immunità intorno a Israele, tale da consentire a Tel Aviv di proseguire nelle sue politiche di colonizzazione e sottrazione di terre in Palestina fino ai giorni nostri, nel silenzio della comunità internazionale.

Il primo è consistito nel reclutare rispettose istituzioni nate con lo scopo di difendere gli interessi della comunità anglo-ebraica alla causa sionista prima, e israeliana poi. La più importante tra queste era il Board of Deputies, nato come parlamento degli ebrei britannici e trasformato in ambasciata israeliana. Il secondo processo ha visto l’associazione tra una brillante carriera politica all’interno del Partito Laburista e l’appartenenza si Labour Friends of Israel. Essere un amico di Israele, in parole povere, avrebbe assicurato di fare strada all’interno del partito.

Il panorama politico elisabettiano cambiò nel 1967, quando divenne più complicato vendere al pubblico britannico il mito del mini-impero israeliano che, come un povero Davide, si batteva contro l’arabo Golia. Il 1967 vide un cambiamento sostanziale in tutti i partiti politici, anche in risposta al riemergere del movimento di liberazione palestinese. La spinta di solidarietà nei confronti dei palestinesi influenzò inevitabilmente le forze politiche.

Due politici britannici, uno laburista e uno conservatore, incarnano questo cambiamento di mentalità. Non sempre per una genuina spinta solidale, che pure era presente, ma anche perché capivano che un sostegno incondizionato a Israele avrebbe avuto un impatto negativo sull’immagine della Gran Bretagna nel mondo arabo.

Il primo era il Ministro degli Esteri laburista George Brown, il secondo il Ministro degli Esteri conservatore, Alex Douglass Home. Entrambi sono stati descritti dalla lobby con appellativi che sarebbero stati poi riservati al leader del Partito Laburista Jeremy Corbyn. Il peccato originale di questi politici è stato quello di avere il coraggio di assumere una posizione equilibrata sulla questione palestinese, immediatamente bollata da Israele e dalla sua lobby come antisemita.

Brown chiese alle Nazioni Unite il ritiro totale di Israele dai Territori Occupati nel 1967 e accese i riflettori sulla difficile situazione dei rifugiati palestinesi. Douglass Home, in un celebre discorso ad Harrogate nel 1970, si spinse oltre, collocando la questione palestinese al centro del cosiddetto “conflitto arabo-israeliano”. Sicuramente, le loro proposte erano distanti anni luce da ciò che sarebbe stato necessario per portare pace e giustizia alla Palestina storica, ma sicuramente le loro posizioni avrebbero potuto indirizzare il dibattito nella giusta direzione.

Più incisiva, negli anni successivi al 1967, è stata la campagna di solidarietà istituita dai nostri amici Ghada Karmi, Christopher Mayhew e Michael Adams, per citare solo alcuni tra coloro che aderirono, e che erano coinvolti nella politica britannica nelle tre formazioni principali: il partito laburista, quello conservatore e quello liberale.

Insieme agli ebrei antisionisti britannici ed ex israeliani, unitamente alla comunità palestinese in Gran Bretagna, hanno avuto il merito di sfidare una lobby potentissima, che aveva aggiunto alla struttura già esistente una folta schiera di nuovi gruppi, tra cui il Conservative Friends of Israel, il più potente a livello europeo. Oggi, l’80% dei parlamentari conservatori è membro di questa organizzazione.

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Tony Blair

Non c’è da stupirsi, dunque, del fatto che Brown e Douglass Home non abbiano minimamente influito sulla politica britannica per quanto concerne la questione palestinese. In questo senso, ad avere un ruolo determinante sono stati i primi ministri, per lo più del Partito Laburista, come Harold Wilson, Tony Blair e Gordon Brown. Furono tutti premiati dal Jewish National Fund, che decise di piantare una pineta europea sulle rovine di tre villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, in segno di gratitudine verso i politici britannici filo-israeliani.

I tre erano, per certi versi, dei cristiani sionisti, che hanno lasciato carta bianca a Israele tra gli anni ‘70 e il 2010, periodo in cui l’ebraicizzazione della Cisgiordania e il progetto della Grande Gerusalemme, unitamente alle brutali aggressioni ai danni della Striscia di Gaza, hanno caratterizzato la politica israeliana nei confronti dei palestinesi.

La Gran Bretagna si è distinta per essere stata il membro meno filo-palestinese all’interno dell’Unione Europea, prima dell’aggiunta dei nuovi membri in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica. Ha sempre seguito la linea della disonesta intermediazione statunitense nel cosiddetto processo di pace, continuando a fornire a Israele armi e sostegno diplomatico, in un mondo in cui le sue ex colonie cercavano di imporre un’agenda di decolonizzazione che includeva anche la liberazione della Palestina.

*Questo articolo è apparso in esclusiva in lingua inglese sul Palestine Chronicle

L'articolo STORIA. La Palestina nell’età elisabettiana: la Gran Bretagna espierà finalmente i suoi peccati? proviene da Pagine Esteri.



NABLUS. Analisti: gli scontri in città possibile preludio di una rivolta contro l’Anp


La protesta popolare è divampata dopo l'arresto da parte dei servizi di sicurezza palestinesi di due militanti di Hamas, tra cui Musab Ashtayah, conosciuto come un comandante locale delle brigate Ezzedin al Qassam. I palestinesi da lungo tempo chiedono al

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 21 settembre 2022 – Con il presidente palestinese Abu Mazen a New York per il discorso che domani farà all’Assemblea annuale dell’Onu, e il suo premier, Mohammed Shttayeh, in Gran Bretagna per i funerali della regina Elisabetta, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ritrova in queste ore ad affrontare a Nablus la protesta popolare più ampia dallo scorso anno, quando agenti dei servizi di sicurezza pestarono duramente un dissidente, Nizar Banat, spirato dopo qualche ore in ospedale. Secondo alcuni analisti la protesta potrebbe essere il preludio di una rivolta ampia contro l’Anp alla quale la popolazione palestinese chiede da anni di interrompere la collaborazione di sicurezza con Israele. A inizio settembre i comandi militari israeliani avevano accusato l’Anp di “non fare abbastanza per combattere il terrorismo”.

A scatenare le proteste è stata lunedì notte l’operazione ordinata dal capo dell’intelligence Majd Faraj per arrestare due combattenti di Hamas, tra cui il 30enne Musab Ashtayah, conosciuto come un comandante locale delle brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato del movimento islamico. All’incursione delle forze speciali dell’Anp sono seguiti scontri violenti e intensi scambi di raffiche di mitra tra giovani armati e agenti di polizia. Un colpo ha ucciso un passante, Firas Yaish di 53 anni. La sua morte ha accresciuto la rabbia della popolazione che ieri, per ore, ha preso di mira con sassi e bottiglie i veicoli blindati delle forze di sicurezza. «Uomini armati hanno aperto il fuoco verso il comando della polizia di Nablus quando gli agenti hanno iniziato a sparare indiscriminatamente: un proiettile lo ha colpito e ucciso (Yaish) davanti alla sua abitazione», ha raccontato ad Al Jazeera il giornalista di Hazem Nasser. Un altro palestinese Anas Abdelfattah, studente dell’Università An Najah, è stato ferito da un proiettile allo stomaco ed è in condizioni critiche.

Per tutto il giorno Nablus è apparsa in molti dei suoi quartieri come una città fantasma con le strade completamente deserte mentre in altri, soprattutto intorno alla città vecchia, avvenivano scontri duri tra manifestanti e poliziotti antisommossa dell’Anp. Il comune ha chiuso a causa dei colpi sparati contro il suo edificio e la An-Najah National University ha detto ai suoi studenti che le lezioni si sarebbero tenute da remoto. Colpi sono stati sparati anche contro gli studi di Radio Hayat, politicamente vicina all’Anp, durante il suo programma mattutino costringendo la conduttrice in onda in quel momento a interrompere la programmazione.

2764034Oltre a un morto si contano almeno 30 feriti. L’Anp è stata accusata dai manifestanti di aver piazzato sui tetti alcuni cecchini.

Nelle scorse ore sarebbe stato raggiunto un accordo per mettere fine agli scontri. L’Anp si sarebbe impegnata a rilasciare entro breve i due arrestati. Su tratta però di una notizia non ufficiale e al momento la situazione resta molto tesa.

Contro l’Anp si sono schierati tutti i gruppi armati di Nablus e Jenin. Dozzine di combattenti sono scesi in strada e hanno sparato in aria lunghe raffiche di armi automatiche. Dura la condanna di Hamas: «Mentre il nemico (Israele) continua le sue uccisioni e gli arresti, l’Anp insiste con il coordinamento della sicurezza e l’oppressione del nostro popolo, la persecuzione e l’arresto dei combattenti». Il gruppo armato «Fossa dei leoni» ha avvertito che «nessun agente delle forze di sicurezza dell’Anp sarà autorizzato a operare nella città di Nablus» se Ashtayah non sarà rilasciato.

L’arresto del comandante militare di Hamas a Nablus è avvenuto mentre proseguono le incursioni notturne dell’esercito israeliano in Cisgiordania, in particolare nelle città di Jenin e Nablus dove la resistenza armata palestinese si è fatta più organizzata negli ultimi tempi. Pagine Esteri

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Elezioni 2022: decisamente storiche con il trionfo di Meloni


Per la prima volta nella storia d’Italia una donna varcherà la soglia di palazzo Chigi e presiederà il Governo: Giorgia Meloni, una donna di destra, alla guida di un governo di destra-centro. Sconfitti PD e Lega. Conte e Berlusconi hanno tenuto. Vivacchiano Calenda e Renzi. L’edificio Italia è comunque destinato a restare nel disegno dei suoi muri maestri

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6 Months of "agreement in principle", EU-US agreement in fact still missing


6 mesi di "accordo di principio", l'accordo UE-USA di fatto ancora non c'è 6 mesi fa, la Presidente della Commissione europea von der Leyen e il Presidente degli Stati Uniti Biden hanno annunciato un accordo "di principio" sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti. Ad oggi, non c'è ancora un accordo. (c) Christophe Licoppe, edited


noyb.eu/en/6-months-agreement-…



Elezioni 2022: ora fare gli interessi e soddisfare i bisogni del Paese


Il nuovo Governo qualunque esso sia, faccia ciò che nessun Governo della Repubblica ha mai fatto: vada avanti, non ricominci a discutere tutto ciò che è stato fatto solo per soddisfare qualche marginale interesse particolare o per partito preso

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Texas Hold’em: cosa è e come ci si gioca


Il poker. Senza dubbio, fra tutti i giochi di carte che esistono al mondo, e in generale fra tutte le attività ricreative che hanno avuto un ruolo nella storia dell’uomo, il poker è fra le più importanti. In particolare nella sua versione denominata “Texas hold’em”, rimanda ad una mistica tutta Americana fatta di far west, […]

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Russia: referendum in Ucraina, la NATO condanna


1. Condanniamo con la massima fermezza il progetto di tenere i cosiddetti ‘referendum’ sull’adesione alla Federazione Russa nelle regioni ucraine in parte controllate dall’esercito russo. Come l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riaffermato nella sua risoluzione ‘Aggressione contro l’Ucraina’ adottata il 2 marzo 2022, nessuna acquisizione territoriale risultante dalla minaccia o dall’uso della forza sarà […]

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Investimenti online: il futuro del trading passa per le app?


Nel mondo dinamico di oggi, poter chiudere un investimento o controllare la propria posizione economica anche mentre ci si trova fuori casa è diventato ormai la norma per molti. Nonostante la maggior parte delle piattaforme di trading abbia un’interfaccia per PC desktop, il supporto su dispositivo mobile sta diventando sempre più una realtà e va […]

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IRAN. Mahsa Amini, 36 dimostranti uccisi dalla polizia ma la protesta non si placa


Repressione violenta delle proteste nel Paese: oltre 30 i morti, centinaia i manifestanti arrestati, tra i quali giornalisti e attivisti per i diritti umani L'articolo IRAN. Mahsa Amini, 36 dimostranti uccisi dalla polizia ma la protesta non si placa pro

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 24 settembre 2022 – Non si sono fermate le proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini mentre era in stato di fermo, il 16 settembre scorso. Migliaia di iraniani da giorni sfilano per le strade contro il “dittatore”, l’ayatollah Khamenei, e il premier Ebrahim Raisi, considerati i veri responsabili del decesso della ventiduenne, che era stata arrestata dalla “polizia morale” del Paese. Sono state occupate le università di Tehran, Karaj, Yazd e Tabriz e le donne hanno continuato a tagliarsi i capelli e a bruciare i propri veli in pubblico.La repressione del governo iraniano prosegue intanto violenta. Secondo gli attivisti, sarebbero almeno 36 i civili uccisi dalla polizia durante le manifestazioni di questa settimana.

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Mahsa Amini

Secondo Human Right Iran, oltre 60 iraniani sarebbero stati arrestati durante le proteste soltanto nella sera del 21 settembre. Molto peggio è andata per i manifestanti nelle regioni curde, dove, secondo quanto riferito dal Kurdistan Human Rights Network al Guardian si sarebbero superati i 530 arresti tra i manifestanti.

Nella notte tra il 22 e il 23 settembre, sarebbe stato prelevato dalla sua casa Majid Tavakoli, attivista per i diritti umani che aveva partecipato alle proteste per la morte di Amini. La stessa sorte sembra essere spettata a un altro attivista, Hossein Ronaghi, freelance per il Washington Post: dopo aver registrato un’intervista in cui appariva nervoso, sarebbe stato raggiunto dagli agenti iraniani. Anche Nilufar Hamedi, la giornalista iraniana che tra i primi aveva coperto il caso di Mahsa Amini e aveva attirato l’attenzione dei media mentre la ragazza era ancora in coma, è stata arrestata in queste ore: l’annuncio è stato dato dalla sua agenzia stampa, lo Slargh daily, sui social.

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A sostegno del presidente Raisi, che a proposito delle notti di proteste che stanno infiammando l’Iran giovedì scorso aveva dichiarato che nessun “atto di caos” sarebbe stato “tollerato” nel Paese, nella serata di venerdì hanno sfilato sostenitori filo-governativi. Nei loro slogan, si chiede che i manifestanti scesi in strada per Mahsa Amini siano “giustiziati”: secondo i manifestanti pro-Raisi, nelle folle ci sarebbero sionisti e agenti segreti americani infiltrati nel Paese con l’obiettivo di destabilizzarlo.

L’Unione Europea, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno fermamente condannato la morte di Mahsa Amini, per la quale Raisi continua a promettere un’indagine interna. Intanto, nonostante le restrizioni che vengono applicate in queste ore alla navigazione su internet nel Paese, le immagini mostrano un Paese infiammato dalla rabbia delle donne, che malgrado gli arresti urlano da sette giorni “Morte al dittatore” e “Morte alla repubblica iraniana”.

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LIBANO/SIRIA. 77 i migranti morti nel naufragio davanti Tartous. Tra di essi anche palestinesi


A causa della crisi economica, il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020 ed è aumentato di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, riferisce

della redazione con notizie di agenzie

(foto-fermo immagine da un video su Twitter)

Pagine Esteri, 23 settembre 2022 – Sale con il passare delle ore il bilancio di vittime della nave di migranti libanesi, siriani e palestinesi che si è capovolta vicino alla città costiera siriana di Tartous. Le ultime notizie riferiscono di almeno 77 morti e la Siria ha confermato che ci sono 20 sopravvissuti in cura all’ospedale di Tartous. Si tratta della più grave tragedia della migrazione libanese. Lo scorso aprile una trentina di migranti morirono in un naufragio causato dalla guardia costiera del paese dei cedri.

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L’imbarcazione aveva lasciato la regione settentrionale libanese di Minyeh con a bordo tra 120 e 150 persone, tra i quali più di 40 bambini, nessuno dei quali è sopravvissuto ha comunicato il ministro dei trasporti libanese Ali Hamiye. Il direttore generale dei porti siriani, Samer Qubrusli, ha aggiunto che le operazioni di ricerca sono ancora in corso nonostante le cattive condizioni del mare a causa di forti venti. Da segnalare che Cipro aveva mobilitato squadre di ricerca lunedì e martedì scorsi quando nel giro di poche ore due navi che trasportavano migranti dal Libano avevano lanciato segnali di soccorso: 300 migranti erano in una imbarcazione, 177 nell’altra. In quei casi, tutti quelli a bordo sono stati salvati.

La giornalista di Al Jazeera, Zeina Khodr, ha fatto visita a una delle famiglie dei dispersi. Una donna le ha spiegato che suo padre intendeva andare in Europa a causa dell’attuale grave crisi economica che affligge il Libano e che ha impoverito gran parte della popolazione. Secondo un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel settembre 2021, tre quarti della popolazione libanese vive al di sotto della soglia di povertà.

Decine di persone sulla barca provenivano dal campo per rifugiati palestinesi di Nahr al-Bared vicino a Tripoli, ha detto all’agenzia Reuters Mahmoud Abu Heid, un residente del campo. Le condizioni di vita già difficili per i profughi palestinesi sono peggiorate a causa della crisi economica che ha devastato il Libano negli ultimi tre anni.

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Negli ultimi mesi migliaia di persone – per lo più libanesi, siriani e palestinesi – hanno lasciato il paese dei cedri su zattere nel tentativo di trovare un lavoro e migliori opportunità nei paesi europei. Il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020 ed è aumentato di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, riferisce l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Pagine Esteri

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Elezioni 2022. Finalmente un giorno di silenzio


Brevi chiose su una campagna elettorale di un Paese che è ubicato nella Patagonia dei partiti rispetto al ruolo di una grave guerra che è in atto invece in Europa. Lo scontro è stato non tanto sulle soluzioni quanto sugli anatemi

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Armenia: geopolitica ad un bivio


Dalla guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, l’Armenia è stata bloccata in un angolo geopolitico. Il paese ha dovuto fare affidamento sulla protezione russa nel mezzo delle ostilità diplomatiche con Turchia e Azerbaigian, ma il suo “protettore” è stato notevolmente assente quando più necessario. Gli armeni hanno spesso subito il peso dell’aggressione, che si tratti del […]

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Il Kazakistan rischia di essere coinvolto nella guerra in Ucraina


Il Presidente russo Vladmir Putin ha appena ordinato una parziale mobilitazione militare delle forze di riserva. Quello che ci si aspettava da tempo è arrivato. In precedenza molti esperti russi hanno ripetutamente parlato dell’impossibilità di ottenere una svolta nella guerra ucraina, senza ricorrere a mobilitazioni di massa o, almeno, parziali. L’ex leader delle forze sostenute […]

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I problemi demografici della Russia rendono esplosivi i piani di mobilitazione di Putin


I problemi demografici della Russia, inclusa la mortalità maschile estremamente elevata tra i gruppi in età lavorativa e le dimensioni in declino della nazione russa, soprattutto nelle aree rurali da dove proviene la maggior parte dei soldati e cresce l’opposizione alla guerra, impongono seri vincoli alla capacità di Mosca di realizzare efficacemente la “mobilitazione parziale” […]

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LIBANO/SIRIA. 77 i migranti morti nel naufragio davanti Tartous. Tra di essi anche palestinesi


A causa della crisi economica, il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020 ed è aumentato di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, riferisce

della redazione con notizie di agenzie

(foto-fermo immagine da un video su Twitter)

Pagine Esteri, 23 settembre 2022 – Sale con il passare delle ore il bilancio di vittime della nave di migranti libanesi, siriani e palestinesi che si è capovolta vicino alla città costiera siriana di Tartous. Le ultime notizie riferiscono di almeno 77 morti e la Siria ha confermato che ci sono 20 sopravvissuti in cura all’ospedale di Tartous. Si tratta della più grave tragedia della migrazione libanese. Lo scorso aprile una trentina di migranti morirono in un naufragio causato dalla guardia costiera del paese dei cedri.

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L’imbarcazione aveva lasciato la regione settentrionale libanese di Minyeh con a bordo tra 120 e 150 persone, tra i quali più di 40 bambini, nessuno dei quali è sopravvissuto ha comunicato il ministro dei trasporti libanese Ali Hamiye. Il direttore generale dei porti siriani, Samer Qubrusli, ha aggiunto che le operazioni di ricerca sono ancora in corso nonostante le cattive condizioni del mare a causa di forti venti. Da segnalare che Cipro aveva mobilitato squadre di ricerca lunedì e martedì scorsi quando nel giro di poche ore due navi che trasportavano migranti dal Libano avevano lanciato segnali di soccorso: 300 migranti erano in una imbarcazione, 177 nell’altra. In quei casi, tutti quelli a bordo sono stati salvati.

La giornalista di Al Jazeera, Zeina Khodr, ha fatto visita a una delle famiglie dei dispersi. Una donna le ha spiegato che suo padre intendeva andare in Europa a causa dell’attuale grave crisi economica che affligge il Libano e che ha impoverito gran parte della popolazione. Secondo un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel settembre 2021, tre quarti della popolazione libanese vive al di sotto della soglia di povertà.

Decine di persone sulla barca provenivano dal campo per rifugiati palestinesi di Nahr al-Bared vicino a Tripoli, ha detto all’agenzia Reuters Mahmoud Abu Heid, un residente del campo. Le condizioni di vita già difficili per i profughi palestinesi sono peggiorate a causa della crisi economica che ha devastato il Libano negli ultimi tre anni.

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Negli ultimi mesi migliaia di persone – per lo più libanesi, siriani e palestinesi – hanno lasciato il paese dei cedri su zattere nel tentativo di trovare un lavoro e migliori opportunità nei paesi europei. Il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020 ed è aumentato di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, riferisce l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Pagine Esteri

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LIBANO. Sali Hafiz, la Robin Hood dei risparmiatori traditi dallo Stato


La scorsa settimana Hafiz è entrata in una filiale della Blom Bank e ha prelevato con la pistola in pugno circa 13mila dollari dal conto di sua sorella che erano stati congelati nel 2019, un provvedimento mai legalizzato dal Parlamento. L'articolo LIBANO

della redazione

Pagine Esteri, 23 settembre 2022 – In fuga dalle autorità dopo aver costretto una banca a darle i risparmi di famiglia sotto la minaccia delle armi per curare la sorella malata di cancro, l’architetta libanese di 28 anni Sali Hafiz ripete che non è lei la criminale ma lo Stato. “Siamo nel paese delle mafie. Se non sei un lupo, i lupi ti mangeranno”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters, parlando da una strada di campagna nella valle della Bekaa dove si nasconde da giorni.

La scorsa settimana Hafiz è entrata in una filiale di Beirut della Blom Bank e ha prelevato con la forza circa 13.000 dollari dal conto di sua sorella che erano stati congelati per decisione delle banche commerciali nel 2019, un provvedimento mai legalizzato dal Parlamento.

Il filmato dell’incidente, in cui Hafiz impugna quella che in seguito si è rivelata una pistola giocattolo, in piedi su una scrivania, che ordina ai dipendenti di consegnarle mazzette di dollari, l’ha trasformata in una eroina molto in un paese dove centinaia di migliaia di persone non hanno più accesso ai loro risparmi.

“Forse mi vedono così perché sono stata la prima donna a fare questo una cosa del genere in una società patriarcale in cui la voce di una donna non dovrebbe neanche essere ascoltata”, ha spiegato Hafiz, aggiungendo che non aveva intenzione di fare del male a nessuno ma era stanca dell’inazione del governo. “Sono tutti in combutta per rubarci e lasciarci morire lentamente”, ha commentato.

2734833La giovane “rapinatrice” ha deciso di agire quando sua sorella ha iniziato a perdere la speranza di permettersi cure costose per ritrovare la mobilità e il linguaggio alterato dal tumore e la banca ha rifiutato di rendere disponibili i suoi risparmi.

La Blom Bank sostiene che la sua filiale avrebbe soddisfatto la richiesta di fondi presentata da Hafiz, ma ha chiesto, come fa con tutti i clienti, di presentare la documentazione necessaria per le eccezioni umanitarie. La giovane è tornata due giorni dopo con la pistola giocattolo dei suoi nipoti e una piccola quantità di carburante che ha mescolato con acqua e versato su un impiegato della banca. Prima della sua incursione, ha guardato la serie egiziana Irhab w Kabab (“Terrorista e Kabab”) in cui un uomo frustrato dalla corruzione del governo si impossessa di un edificio statale e chiede kebab per gli ostaggi a causa del prezzo elevato della carne.

Grazie alla sua rapina, Hafiz è riuscita a ottenere 13.000 dollari su un totale di 20.000 – sufficienti per coprire le spese di viaggio per sua sorella e circa un mese di cure – e si è premurata di firmare una ricevuta in modo da non essere accusata di furto. Per garantirsi una possibilità di fuga, ha scritto su Facebook di trovarsi in aeroporto sul punto di partire per Istanbul. Ha quindi indossato un velo e una vestaglia con sotto un fagotto di vestiti sulla pancia per sembrare incinta. “Sono scesa al piano di sotto davanti a tutti, tipo 60 o 70 persone…che mi auguravano buona fortuna per il parto. Sembrava un film”, ha riferito la donna.

Due degli amici di Hafiz con lei durante la rapina sono stati arrestati dopo l’incidente con l’accusa di aver minacciato i dipendenti della banca e averli trattenuti contro la loro volontà. Poi i giudici hanno disposto il loro rilascio su cauzione. Hafiz ha detto che si consegnerà all’autorità una volta che i giudici metteranno fine al loro sciopero che ha rallentato le procedure legali e lasciato i detenuti in attesa di giudizio a languire in prigione.

Tanti libanesi stanno prendendo in mano la situazione, esasperati da una crisi finanziaria che dura da tre anni e che le autorità hanno lasciato aggravare. La scorsa settimana il gesto di Hafiz e di altri sette rapinatori/risparmiatori, ha spinto le banche a chiudere a tempo indeterminato i battenti adducendo problemi di sicurezza e chiedendo protezione da parte del governo. Un passo duramente contestato dalla popolazione che ha manifestato in più occasioni, a Beirut e in altre città. George Haj del sindacato dei bancari afferma che la rabbia dei risparmiatori dovrebbe essere rivolta contro lo Stato libanese, il principale responsabile di una crisi che, peraltro, ha causato la perdita del posto di lavoro di circa 6.000 dipendenti delle banche. Da parte loro le autorità condannano le rapine e assicurano che presto presenteranno un piano di sicurezza per le banche.

Ben diversa è il quadro della situazione che fanno i risparmiatori. Affermano che banchieri e azionisti si sono arricchiti prestando al governo il denaro dei correntisti con interessi elevati. Inoltre, i governi che si sono succeduti dal 2019 ad oggi hanno dato la priorità alla salvezza delle banche e non alle riforme richieste dal Fondo monetario internazionale per garantire al Libano 3 miliardi di dollari nel 2022. Pagine Esteri

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CISGIORDANIA. Mesafer Yatta, Israele arresta Hafez Huraini


La scorsa settimana, mentre coltivava la sua terra, un gruppo di coloni israeliani armati di spranghe ha aggredito Huraini, procurandogli la frattura di un braccio e di una mano. Ma l'esercito ha arrestato lui. L'articolo CISGIORDANIA. Mesafer Yatta, Isr

di Zenobia

Pagine Esteri, 20 settembre 2022 – #FreeHafezHuraini è l’hashtag lanciato da palestinesi ed attivisti internazionali per denunciare l’arresto di Hafez Huraini, un contadino e più di tutto uno dei leader della comunità di Tuwani, nella zona di Mesafer Yatta, l’area a sud di Hebron dichiarata “poligono di tiro” dall’esercito israeliano e da dove le comunità palestinesi rischiano l’espulsione.

La scorsa settimana, mentre coltivava la sua terra, un gruppo di coloni israeliani armati di spranghe ha aggredito Huraini, procurandogli la frattura di un braccio e di una mano. Non è la prima volta che avvengono aggressioni simili. I coloni, riferiscono testimoni palestinesi e internazionali, escono quotidianamente dai loro insediamenti per danneggiare le coltivazioni dei palestinesi. Altre volte gli attacchi sono fisici e colpiscono gli agricoltori o i pastori.

In questo caso i coloni hanno anche ritardato i soccorsi, impedendo inizialmente all’ambulanza di raggiungere l’uomo ferito. L’esercito israeliano, arrivato sul posto, ha disposto l’arresto di Hafez Huraini, accusandolo di aver aggredito uno dei coloni. In ospedale, l’esercito israeliano non ha permesso il contatto con i familiari. Quindi ha arrestato il palestinese. La detenzione è stata rinnovata fino a quando non si terrà il processo il processo in cui Huraini risponderà difronte a una corte militare. Al contrario i coloni, se chiamati in giudizio, lo faranno da cittadini israeliani, secondo giurisdizione civile.

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Hafez Huraini

Hafez Huraini si trovava all’interno di un campo, intento a coltivare un terreno di proprietà privata palestinese, riconosciuta formalmente anche dallo Stato israeliano. L’intera aggressione è stata filmata e i video mostrano chiaramente quattro coloni armati – uno con in braccio un M-16 – ed il volto coperto. Nel campo, in cui i coloni si sono introdotti senza autorizzazione, nessun israeliano ha riportato ferite.

Nonostante questo, la notte stessa e per le successive due notti, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel villaggio di Tuwani sparando granate stordenti e gas lacrimogeni contro le case. L’esercito ha arrestato venti uomini, mentre decine sono stati i civili, bambini compresi, costretti a cure mediche per intossicazione dovuta ai gas.

Le pagine social di gruppi di attivisti come Youth of Sumud, i profili personali di Sami Huraini, attivista e figlio di Hafez, o di Basel Adra, giornalista del villaggio, sono in aggiornamento ogni giorno.

Il villaggio di Tuwani è uno dei più attivi nel resistere all’avanzata delle colonie tra le colline di Masafer Yatta. La popolazione palestinese della zona lo fa attraverso mezzi pacifici e non violenti, ricorrendo perfino alle aule dei tribunali israeliani e provando a far valere in quelle sedi i propri diritti. Questo, nonostante la loro posizione sia quella di popolazione occupata che ricorre difronte alle corti di giustizia della potenza occupante.

È quanto, per esempio, hanno fatto avanzando un ricorso contro la decisione della Corte suprema israeliana di autorizzare la demolizione di alcuni villaggi della zona. Il motivo è la costituzione, nell’area, della Firing Zone 918, un’area di esercitazione militare per l’esercito israeliano. Per più di venti anni, dal 1999, i residenti palestinesi hanno combattuto nelle aule dei tribunali israeliani contro questo provvedimento, quindi è arrivata la decisione definitiva. La Corte suprema israeliana ha recentemente rigettato l’ultimo ricorso palestinese, autorizzando la demolizione di più del 50% degli edifici di 8 villaggi, tra questi sono incluse scuole e ambulatori, oltre che abitazioni civili.

L’istituzione del poligono di tiro è uno dei mezzi utilizzati dalle autorità militari per costringere i palestinesi ad abbandonare le terre su cui, in poco tempo, vengono costruiti nuovi insediamenti israeliani, dove vanno ad abitare coloni. In questo modo si assicurnoa il pieno controllo della zona e l’espansione dell’occupazione, interrompendo la continuità territoriale palestinese e tagliando le vie di comunicazione tra i villaggi, progressivamente sempre più isolati. Palestinesi e attivisti internazionali denunciano che i coloni, di Karmel, Ma’on e altri insediamenti coloniali nell’area di Masafer Yatta, non esitano a praticare aggressioni e violenze contro la popolazione palestinese autoctona, non mancando di intimidire anche i bambini diretti a scuola. Pagine Esteri

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