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Mummie Egizie: i Mummy Unwrapping Parties Ottocenteschi


Le mummie egizie hanno sempre esercitato un grande fascino in Occidente, soprattutto nella prima metà del XIX secolo. Questo ha portato a un commercio illecito di mummie egizie tra Egitto e Regno Unito. Per laContinue reading

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Meglio non andare oltre il sandalo


Non possiamo sapere se Oliviero Toscani, fotografo di fama indiscussa, abbia mai letto la storia che sta dietro a quel detto curioso che in latino suona così: “Ne supra crepidam sutor indicaret” e che in italiano traduciamo comunemente: “(ciabattino) non

Non possiamo sapere se Oliviero Toscani, fotografo di fama indiscussa, abbia mai letto la storia che sta dietro a quel detto curioso che in latino suona così: “Ne supra crepidam sutor indicaret” e che in italiano traduciamo comunemente: “(ciabattino) non andare oltre la scarpa”. Se Toscani l’avesse letta e conservata a memoria, forse – osserviamo noi – non sarebbe incorso nello stesso errore che gli è costato un po’ caro.

La storia del ciabattino (sutor) è più o meno questa.

C’era un artista greco, Apelle di Coo, il quale era solito esporre le sue opere in modo da poter trarre profitto dai commenti e dalle critiche dei passanti. Una volta, un ciabattino gli fece un appunto riguardo a come aveva rappresentato il sandalo (crepidam) di un personaggio. Apelle, dall’alto della sua fama ma anche della sua umiltà e avvedutezza metodologica, accolse la critica e passò al ritocco. Il ciabattino, inorgoglito di tale successo, il giorno dopo tornò all’attacco muovendo un’ulteriore critica, questa volta, al ginocchio. A tal punto Apelle lo gelò: hai parlato di sandalo e va bene, ti ho ascoltato; però adesso fermati, non andare oltre, lascia stare il ginocchio perché non è materia di tua competenza.

Oliviero Toscani, il 20 ottobre 2016 si trova a Vibo Valentia in occasione della mostra “Razza umana”, allestita nel complesso monumentale Valentianum. C’è calca intorno al personaggio. Si fa avanti Vittorio Sibiriu, anni 18, faccia pulita di studente, condotta impeccabile, figlio di un carabiniere. Il giovane chiede a Toscani una foto che li ritragga insieme. La risposta è un rifiuto netto. Sibiriu dichiara che l’artista lo ha “additato come un potenziale mafioso, affermando che” – lo è o non lo è (e questo Toscani non lo sa) – “avrebbe benissimo potuto esserlo poiché anche Matteo Messina Denaro non ha la faccia da mafioso eppure lo è”.

La storia finisce in tribunale perché Sibiriu non ha nessuna voglia né di ingoiare il torto subito e neanche quella di rassegnarsi a collezionare pregiudizi espressi con tale leggerezza. Il Tribunale di Vibo, dopo 6 anni condanna Toscani Oliverio a 8 mesi, al pagamento di una provvisionale di 3.000 Euro e alle spese giudiziarie.

Che Toscani sia un fotografo di fama lo sappiamo tutti e lo apprezziamo pure, ma quella volta, supponiamo, abbia voluto fare un po’ di più, come quel ciabattino: andare oltre le foto, fin dentro la vita delle persone, e siccome si trovava in Calabria, sarebbe stato un viaggio a vuoto non aver incontrato un mafioso o un presunto tale. E, presunto tale, poteva essere finanche quel Vittorio Sibiriu, il cui volto luccicante di studente diciottenne, poteva nasconderne uno. Sì, poteva trovarsi – il Toscani – come dinanzi a Messina Denaro – niente poco di meno – che mafioso non sembra, ma lo è.

E’ vero che il ciabattino si era spinto oltre, ma, onestamente, aveva fatto poca strada, dal sandalo al ginocchio, dalla calzatura all’ortopedia, dall’artigianato alla medicina. Toscani si è lanciato dall’esteriorità all’interiorità, dall’apparire all’essere, dalla presunzione d’innocenza (che a tutti appartiene) alla presunzione di mafiosità (che è tutta da provare). Insomma: Toscani fotografa uomini e cose o fa la Tac pure all’anima? E tanta paura s’è presa in terra calabra da vedere mafiosi anche dove non ce ne erano? A volte, si appannano non solo le lenti di una macchina, ma anche gli occhi di chi vi guarda dentro quando accade che su un’intera regione e sui suoi abitanti si spalmano aggettivi squalificativi come ghiottamente si fa con la marmellata sul pane: a tappeto.

No – avrà pensato in un attimo Toscani – finire in foto in compagnia di un presunto mafioso, questo mai. Un artista della macchina fotografica permetterselo non può. Un eccesso di difesa gli è costato una condanna. E glielo doveva dire proprio un tribunale che quel giovanotto non era e neanche poteva essere un soggetto pericoloso? Nel dubbio, resta l’ammonimento del pittore: meglio non andare oltre la scarpa.

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Brayan Stevenson – Il diritto di opporsi


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Dici Meloni e pensi Xi


Silenzio: parla Giorgia. La rozzezza e la violenza dell'autoritarismo in scena nella Roma di Giorgia come nella Pechino di Xi? Vedremo

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Come sarebbe una guerra degli Stati Uniti con la Cina?


Nel suo discorso di apertura al 20° Congresso del Partito Comunista Cinese, il Segretario Generale Xi Jinping ha rifiutato di escludere l’uso della forza contro Taiwan. Ma il popolo cinese non deve preoccuparsi. Xi ha annunciato: “Abbiamo attuato audaci riforme della difesa nazionale e delle forze armate, ristrutturando la leadership militare e i sistemi di […]

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Transazioni online sicure: consigli pratici per gli utenti


I pagamenti online sono ormai all’ordine del giorno, in tutti gli ambiti della vita quotidiana, dalle utenze ai servizi di intrattenimento, dall’acquisto di beni essenziali allo shopping. Le modalità di transazione ormai sono quasi del tutto libere dal contante e stanno diventando sempre più dematerializzate, con l’introduzione di sistemi di pagamento come gli e-wallet, le […]

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Ucraina: l’offensiva invernale di Putin


I guadagni ucraini sul campo di battaglia sono stati accolti da un’escalation russa ampiamente anticipata. Il 21 settembre, in un raro discorso nazionale, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione di 300.000 riservisti che sarebbero stati chiamati a prestare servizio nella guerra in Ucraina. Nelle ultime settimane, l’esercito russo ha subito una serie […]

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Cina: Xi assertivo, ma per nulla positivo


Xi ha annunciato la continuazione di politiche estere più assertive e attive che sono state il segno distintivo dei suoi due precedenti mandati

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Ritorno al passatoIeri Xi Jinping è stato formalmente rieletto Segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc).


Taiwan: l’impatto delle relazioni attraverso lo Stretto sulla politica locale


Il panorama politico interno di Taiwan si sta rapidamente avvicinando a un potenziale punto di svolta con le imminenti elezioni locali. Il 26 novembre 2022, la popolazione votante di Taiwan di circa 19 milioni di persone sceglierà tra oltre 10.000 candidati, dai sindaci ai consiglieri distrettuali

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L’immagine simbolo del XX Congresso del Partito comunista cinese che, come da attese, ha celebrato il trionfo di Xi Jinping come leader sempre più incontrastato è un funzionario che si avvicina al quasi ottantenne Hu Jintao, seduto di fianco a Xi Jin…


Rishi Sunak sarà il prossimo premier, il primo non bianco nella storia del Regno Unito. Ma la strada che lo aspetta è tutta in salita. Rishi Sunak sarà il prossimo leader del partito conservatore e quindi primo ministro britannico.


Si dice della politica sudanese che cambia ogni settimana ma che, se si torna dopo dieci anni, non è cambiato niente.


Cina: cercando le implicazioni per l’India nelle parole di Xi Jinping


La massima spesso ripetuta del presidente cinese Xi Jinping è che per capire la Cina bisogna capire il Partito Comunista. L’anno scorso, il Partito Comunista Cinese ha celebrato il suo centenario. In questi 100 anni, il Partito è passato dall’essere un esercito di guerriglia disordinato a uno che non solo amministrava più di un sesto […]

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La Cina è vecchia


… E sarà sempre più piccola. Nel 2050 un terzo dei cinesi avrà più di 60 anni, e nel 2100 i cinesi saranno la metà degli attuali. Per Xi, appena nominato per la terza volta Segretario del Partito Comunista Cinese, sarà una sfida economica, sociale, culturale da far tremare i polsi

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Il paradigma Liz Truss e la resilienza della lattuga


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Che cosa accomuna la Sig.ra Liz Truss premier inglese per 45 giorni, perfetto esempio di scialba inconsistente anglosassone, […]

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La strategia di Biden traccia la mappa mentale della guerra fredda


L'Amministrazione Biden ha pubblicato la sua strategia di sicurezza nazionale. Pechino ha assistito all'apertura del 20° Congresso del Partito. A Pechino e Washington si sta dimenticando cos'è la diplomazia

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DAVID STRONG’S FIRST SOLO EP


David Strong has been playing the strings alongside the best for decades. He is now front and center and just released his first solo album. He is a self-taught mumtiinateimentalist and composer, who has toured the world. Strong’s music is happy and upbeat with fun content. The songs are nostalgic.

iyezine.com/en/david-strongs-f…



Costi ambientali dei dispositivi di IA


Cosa rende possibile l'esistenza dell'IA e quali sono le conseguenze della sua costruzione? Dall’estrazione mineraria per la costruzione dei dispositivi all’installazione di cavi sottomarini per Internet, l’articolo propone alcuni esempi di sfruttamento a

Camilla Quaresmini L’immagine di Internet come cloud lo rende un ambiente apparentemente intangibile, quasi post-fisico. Tale percezione contribuisce a creare un’ingenua fiducia nel suo scarso impatto ecologico. A ciò si aggiungono le dichiarazioni del settore tecnologico, apparentemente a favore della sostenibilità ambientale, che fanno in realtà parte della creazione di un’immagine pubblica...

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Tasse ed il governo della spesa: controlli inadeguati


La crescente dimensione del debito pubblico dovuta alla crisi economica-finanziaria che incide sulla diminuzione delle entrate per la difficoltà in cui versano le imprese e l’aumento della spesa per il maggiore impegno che si sta richiedendo allo Stato al fine di ridurre le crescenti tensioni sociali, comportano la necessità di recuperare spazi di inefficienza nella spesa […]

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Domani la eclissi Saros 124. Occhio alla vista!


Domani il mondo assisterà ad un’eclissi solare. La Luna si frapporrà tra il Sole, mettendo in scena uno degli eventi astronomici più spettacolari di sempre anche se, non essendo totale, la luce del sole non sarà coperta del tutto. Quello del 25 ottobre è l’eclissi facente parte della famiglia Saros, una serie di fenomeni -che […]

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Guerra ibrida: mettete dei file nei vostri cannoni


Breve compendio su alcuni aspetti della guerra ibrida. Condotta sotto la soglia del combattimento aperto, include sovversione, disinformazione, corruzione, attacco politico, sabotaggio, manipolazione, azioni aggressive in campo finanziario, ingerenza elettorale, creazione di movimenti di opinione

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Dal centro-destra alla destra. I tre tempi di Giorgia Meloni


Due tempi finora superati. 1. Le allusioni valoriali nelle nomine per le Camere. 2.Gli equilibri interni alla coalizione nell’assetto del governo. Si vedrà dal programma se ci sono idee concrete (che per ora non circolano) e qualità creativa e legislativa dei cantieri ministeriali (non tutti uguali) appurando se c’è benzina per durare. Non basta dire 'Giorgia è una tosta', bisogna anche che venga riconosciuto che 'Giorgia è una testa'

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SIRIA. All’avanzata di Al Qaeda si aggiunge il colera


Mentre il paese deve fronteggiare l'epidemia che ha già fatto decine di vittime e le sanzioni economiche statunitensi, Ha’yat Tahrir al Sham (Fronte al Nusra), il braccio siriano di Al Qaeda, ha conquistato altro terreno nella provincia di Idlib. L'artic

di Michele Giorgio*

(la foto è di Sara Hoibak/UNHCR)

Pagine Esteri, 24 ottobre 2022 – La Siria non fa notizia in Europa. Eppure, queste ultime settimane hanno visto il paese arabo di nuovo sotto i riflettori per diversi sviluppi, quasi sempre drammatici. Incluso il bombardamento aereo subito venerdì notte da parte di Israele, il primo da un mese a questa parte. Sul piano umanitario, con l’inverno che si avvicina e l’elettricità e il carburante che scarseggiano, la Siria ha dovuto aggiungere il colera ai problemi che affrontano milioni di suoi abitanti, alle prese con le conseguenze della guerra che ha devastato il paese e delle sanzioni statunitensi. Fino a qualche giorno fa erano una cinquantina i decessi causati dall’infezione e almeno 700 i contagiati.

Sul terreno è riapparsa la minaccia dell’Isis che nei giorni scorsi ha colpito un autobus militare uccidendo una quindicina di soldati. Più di tutto, Ha’yat Tahrir al Sham (Hts, in precedenza noto come Fronte al Nusra), il braccio siriano di Al Qaeda, ha conquistato altro terreno nella provincia di Idlib, nella Siria nord-occidentale, approfittando dei conflitti armati tra le formazioni sotto l’ombrello del cosiddetto Esercito nazionale siriano (Ens), pagato e armato dalla Turchia. Hts è entrato nel conflitto che vedeva il Fronte del Levante da un lato e le fazioni del Sultano Suleiman e la divisione Hamza dall’altro. Hts a un certo punto aveva anche preso il controllo della città di Afrin, fino a quel momento nelle mani delle fazioni filo-turche, tanto da spingere truppe e reparti corazzati turchi a schierarsi intorno alla cittadina strategica di Kafr Jana. «La Turchia è intervenuta per fermare il conflitto tra le fazioni del Ens e impedire a Ha’yat Tahrir al-Sham di avanzare ulteriormente», ha riferito l’agenzia Reuters citando un esponente dell’ala politica dell’Ens.

Ad Afrin, i qaedisti avevano immediatamente portato i loro «funzionari amministrativi» mostrandosi pronti a prendere possesso in modo permanente della città. Poi il 18 ottobre, sotto la pressione turca, sono dovuti uscire da Afrin. Nonostante l’apparente ritiro, testimoni denunciano che Hts ha ancora nella città uomini dei suoi servizi di sicurezza oltre a dipendenti civili. Prima di intervenire nei combattimenti, Hts aveva gli occhi puntati sul nord di Aleppo, alla ricerca di territori dove espandere il suo controllo politico e religioso e sfruttare le risorse e il commercio locale. Una strategia ben oliata che sino ad oggi ha portato i qaedisti ad agire indisturbati anche in territori a ridosso di quelli controllati dall’Esn. L’obiettivo primario per Hts resta comunque quello del controllo su tutti i valichi della Siria nordoccidentale, una situazione che lo renderebbe un attore protagonista che la Turchia non potrebbe ignorare nella gestione futura di un territorio che era e resta siriano ma che Ankara non ha alcuna intenzione di restituire a Damasco.

Il Washington Institute for Near East Policyha rivelato gli Stati uniti hanno fatto pressioni sulla Turchia affinché intervenisse e fermasse Hts. «Gli americani hanno minacciato di permettere alle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda di entrare nell’area se i turchi non avessero costretto i qaedisti ad uscire da Afrin», ha scritto l’istituto. Comunque sia andata, gli americani in questi anni non hanno mai mostrato preoccupazioni per il ruolo di Hts in territorio siriano – non l’hanno mai preso di mira a differenza dell’Isis -, anzi, l’hanno perfino considerato utile contro il governo centrale a Damasco. Ma ora temono che l’espansione della formazione qaedista possa rendere più rapido il declino dell’Ens con il rischio che a rappresentare l’opposizione anti-Bashar Assad restino soltanto gruppi jihadisti. E l’imbarazzo per Washington sarebbe notevole.

Nel frattempo, la Turchia e il Libano ripetono di voler rimpatriare al più presto centinaia di migliaia di profughi siriani. L’opposizione turca agita il peso sull’economia nazionale degli oltre tre milioni di rifugiati allo scopo di mettere in difficoltà l’islamista Erdogan in vista delle elezioni del prossimo anno. Beirut, per bocca dello stesso presidente Michel Aoun, annuncia di aver raggiunto un’intesa con Damasco per far rientrare in Siria decine migliaia di profughi già dai prossimi giorni contro il parere dell’Onu e le posizioni di Usa e Ue. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre dal quotidiano Il Manifesto

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NOBEL 2022: Annie Ernaux, i Palestinesi, l’Egitto


La scrittrice francese, femminista di sinistra, è stata duramente attaccata da una parte dei media, non solo israeliani, per aver difeso i diritti dei palestinesi. In Egitto invece il suo impegno letterario e politico è stato onorato e difeso. L'articolo

Della Redazione

(foto da wikipedia.commons)

Pagine Esteri, 21 ottobre 2022 – In un mondo dominato dall’ideologia del libero mercato, che negli ultimi trent’anni ha ammaliato anche parte della sinistra e ha rafforzato le destre, l’esercizio del diritto alla libertà d’espressione per contrastare ogni forma di oppressione è sempre più difficoltoso, perfino nelle “democrazie” occidentali.

Il problema è emerso anche il 6 ottobre 2022, quando è stato annunciato che il Premio Nobel per la Letteratura era stato assegnato ad Annie Ernaux “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Così recita la motivazione comunicata dall’Accademia di Svezia nell’annunciare la premiazione conferita alla scrittrice francese, nata nel 1940 in un villaggio della Normandia e che sin dal romanzo d’esordio, “Gli armadi vuoti”, del 1974, ha voluto abbinare la scrittura autobiografica alla sociologia, creando una auto-socio-biografia come lei stessa l’ha definita.

Ernaux, femminista di sinistra, è una sostenitrice del movimento Bds che chiede il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele perché nega i diritti del popolo palestinese. Appena si è saputo che Ernaux aveva vinto il Nobel non pochi media, non solo in Israele, hanno reagito cercando di dare una immagine negativa della scrittrice francese. In particolare, è stata attaccata per avere firmato insieme a circa 100 personalità del mondo della cultura due documenti: nel 2018, una petizione che invitava a boicottare la stagione culturale franco-israeliana, descritta nel testo come un mezzo per “ripulire” l’immagine di Israele; e, nel 2019, una lettera che chiedeva a France Télévisions di non trasmettere l’Eurovision Song Contest in programma a Tel Aviv. Il motivo di questa richiesta, spiegavano i firmatari della lettera, stava nel fatto che era stato organizzato in un quartiere di Tel Aviv sorto sulle macerie di Sheikh Muwannis, uno dei numerosi villaggi arabi che nel 1948 furono distrutti dalle forze militare del nascente Stato di Israele durante le fasi che portarono all’espulsione o alla fuga dalla loro terra di centinaia di migliaia di palestinesi. A ricordarlo peraltro era stata proprio una associazione pacifista israeliana Zochrot (Ricordarsi/Memorie), nata per diffondere la conoscenza della Nakba (Catastrofe) tra gli ebrei d’Israele e difendere i diritti umani dei palestinesi, incluso il diritto al ritorno dei profughi del 1948. È una posizione politica espressa sempre più ovunque nel mondo da persone di origine ebraica il cui coraggioso pacifismo è sempre più spesso oscurato dai media mainstream internazionali.

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Annie Ernaux

Commenti entusiasti alla premiazione di Ernaux sono invece comparsi nel sito di Association France Palestine Solidarité e in svariati media arabi. Il 7 ottobre 2022, il quotidiano panarabo al-Quds al-‘Arabī, basato a Londra, ha ricordato le due suddette petizioni firmate dalla scrittrice francese a favore del popolo della Palestina. Nello stesso articolo sono poi state indicate le tappe principali della carriera di Ernaux. In seguito, questo modello è stato replicato e ampliato da altri media arabi. Il Nobel conferito a Ernaux è stato commentato soprattutto negli ambienti letterari egiziani, per più motivi che legano il passato al presente. In Egitto, fu realizzata e pubblicata, nel 1994, la prima traduzione araba di un testo della scrittrice francese. Due figure prestigiose del mondo accademico egiziano scomparse non da molto, Amina Rachid (1938-2021) e Sayyid al-Bahrawi (1953-2018), tradussero allora il quarto romanzo dell’autrice, Il posto (1983) per la casa editrice Dār Sharqiyyāt del Cairo. Questo intreccio di ricordi è solo una delle ragioni per cui, il 9 ottobre 2022, il settimanale Akhbār al-Adab (Le notizie della letteratura) ha pubblicato un numero speciale per celebrare subito il Nobel conferito a Ernaux. Gli articoli inclusi nel dossier spiegano l’originalità della produzione letteraria della scrittrice francese, creatrice di un autobiografismo in grado di veicolare un messaggio universale.

Tutto ciò ricorda inevitabilmente quanto avvenne nell’ottobre 1988, quando il Nobel per la Letteratura fu assegnato a Nagib Mahfuz (1911-2006), con questa motivazione: “perché attraverso opere ricche di sfumature – ora chiaramente realistiche, ora ambiguamente evocative – ha creato un’arte narrativa araba che può applicarsi a tutta l’umanità”. Il primo novembre dello stesso anno, il mensile cairota al-Hilāl (La mezzaluna) pubblicò un numero speciale dedicato allo scrittore egiziano. Il dossier uscì con il titolo “Congratulazioni” seguito dal sottotitolo: “Nagib Mahfuz, primo arabo a vincere il Premio Nobel per la Letteratura”. E va aggiunto che è ancora l’unico autore arabo ad avere ottenuto il più prestigioso riconoscimento letterario internazionale che, però, sembra un monopolio dell’Occidente.

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Mahfuz stesso si definì come “l’uomo venuto dal Terzo Mondo” nel suo discorso per la cerimonia di conferimento del Nobel. Nel 1988, alle donne e agli uomini presenti all’Accademia di Svezia, il letterato egiziano lanciò questo appello: “Salvate le persone ridotte in schiavitù in Sudafrica! Salvate gli affamati in Africa! Salvate i palestinesi dai proiettili e dalle torture! O meglio, salvate gli israeliani dal profanare la loro grande eredità spirituale! Salvate chi ha debiti dalle rigide leggi dell’economia! Attirate l’attenzione dei leader responsabili sul fatto che la loro responsabilità verso l’Umanità deve precedere il loro impegno nel seguire le leggi di una scienza che il Tempo ha forse superato”.

In un articolo incluso nel summenzionato dossier 2022 di Akhbār al-adab, Walid El Khachab ricorda che Annie Ernaux e Amina Rachid si conoscevano personalmente. Erano diventate amiche in Francia negli anni ’70, poiché entrambe credevano nelle idee della sinistra e lottavano per portarle avanti, “difendendo sia le classi popolari sia i diritti del popolo palestinese”. Rachid si interessò del quarto romanzo di Ernaux, “Il posto”, forse perché è il primo in cui l’autrice, figlia di operai divenuti piccoli commercianti, “esprime chiaramente la propria coscienza di classe”, rivelando il suo senso di colpa per avere abbandonato l’ambiente in cui era nata e cresciuta, dacché si era abituata a una tipica vita borghese. Rachid stessa certamente apprezzò le qualità estetiche della letteratura di sinistra, rivoluzionaria ma non missionaria, e della scrittura femminile e autobiografica, presenti nel testo, quindi decise di tradurlo in arabo circa un decennio dopo la sua pubblicazione in francese.

El Khachab incontrò Ernaux al Cairo proprio negli anni ‘90, quando in Egitto comparve sulla scena letteraria una nuova generazione avanguardistica, predominata da scrittrici in termini sia numerici sia qualitativi. Una delle più celebri è Mayy Telmissany (n. 1965), che ha raccontato il sé in molte opere di successo, come il romanzo Dunyazad, del 1997 (Ev Casa Editrice, 2010). Non a caso, nel suo articolo per Akhbār al-adab, la stessa scrittrice e accademica egiziana definisce il Nobel vinto da Annie Ernaux come “il trionfo dell’autobiografismo”. La premiazione dell’arte narrativa dell’autrice francese è l’emancipazione della scrittura autobiografica dalla posizione marginale in cui tradizionalmente i critici la collocano all’interno del campo letterario canonico. Una marginalizzazione paradossale, se si considera il prestigio di cui gode Proust per “La ricerca del tempo perduto”, un vero monumento dell’autobiografismo. Secondo Telmissany, le tecniche narrative usate in questo capolavoro sono simili a quelle impiegate da Ernaux per raccontare una storia d’amore con un amante russo, in Passione semplice, del 1992, un testo privo di giudizi morali e pieno di ironia. Della scrittrice francese sono state finora tradotte in arabo sette romanzi, tra cui L’evento (2000), incentrato sul problema dell’aborto clandestino e il cui adattamento, “La scelta di Anne-L’Événement”, ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021.

Ernaux si ispira al sé, alle proprie esperienze e a quelle della sua famiglia, per dire la verità anche quando è scomoda, racconta storie di vita in cui numerose persone possono riconoscersi, usa parole semplici creando testi caratterizzati dall’assenza di riferimenti ideologici espliciti. Queste caratteristiche si trovano anche in molte opere della narrativa emersa in Egitto negli anni ’90, una scrittura nata dal rifiuto delle “grandi” narrazioni della “nazione” e dalla volontà di concentrarsi sull’individuo, sulla psicologia e sul corpo, per sovvertire i valori etici e politici oppressivi predominanti nella società egiziana e non solo, e di proiettarsi nel mondo globalizzato secondo una visione transculturale.

D’altra parte, Telmissany ricorda che Ernaux è erede della letteratura della resistenza e della letteratura impegnata teorizzata da Sartre. Sin dagli anni ’70, la scrittrice ha portato avanti il proprio impegno tanto nell’arte verbale, sperimentando varie forme di scrittura autobiografica, come il diario, quanto nella vita, “assumendo posizioni politiche coraggiose, come la difesa della causa palestinese”. Ernaux si chiede sempre “chi sono io?”, per approfondire la conoscenza di se stessa e del suo rapporto con la società. È importante, sottolinea Telmissany, chiedersi “chi sono io nel mondo?”, è indizio dell’onestà necessaria per immergersi nella “ricerca di una risposta a questa domanda, che è di sinistra nella sua essenza, perché riguarda i diritti umani e le libertà”. Pagine Esteri

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Non fate troppi pettegolezzi


Si è concluso a settembre a Brancaleone il Pavese Festival.Festival dedicato da 22 anni a Cesare Pavese, ma che solo quest’anno è approdato come ultima tappa, il 17 settembre, in Calabria. Nell’estrema punta della penisola, infatti, Cesare Pavese trascors

Si è concluso a settembre a Brancaleone il Pavese Festival.
Festival dedicato da 22 anni a Cesare Pavese, ma che solo quest’anno è approdato come ultima tappa, il 17 settembre, in Calabria. Nell’estrema punta della penisola, infatti, Cesare Pavese trascorse il tempo del confino per attività antifascista, dal 4 agosto 1935 al 15 marzo 1936. Solo sette mesi a fronte dei 3 anni stabiliti, la restante pena essendo condonata.

A Santo Stefano Belbo, ai margini delle Langhe, paese natale dello scrittore, si sono svolti gli eventi dei primi cinque giorni, il sesto e ultimo a Brancaleone, in una commistione di letteratura, musica, arte, teatro splendidamente interpretata da qualificati ospiti.
Filo conduttore è stata la figura femminile cercata ma mai raggiunta dallo scrittore.

La donna per Pavese è parola. Una parola che è ricerca, dialogo, scoperta, ricordo, introspezione, fanciullezza, verità: poesia” .

Noi ci lasceremo guidare dalla scritta che, come un tatuaggio, compare nell’acquerello che fa da locandina, di Paolo Galetto. Tutto in bianco e nero, ma segnato da sparsi petali rossi, quasi una festa o forse ferita sanguinante: “Tu sei come una terra che nessuno ha mai detto”.

La terra e la donna, due temi che si intrecciano e si respingono nell’opera di Pavese. La nostalgia, la mancanza, il desiderio, la perdita dell’una e dell’altra incideranno profondamente nella sua vita e nella sua arte.

La Donna continuamente inseguita in vaghe figure femminili.
La ballerina che lo lascerà ad aspettarla sotto la pioggia e che De Gregori canterà in Alice (E Cesare perduto nella pioggia/sta aspettando da sei ore il suo amore, ballerina).
La voce rauca e fresca di Tina militante comunista.
Fernanda Pivano e la comune passione per la letteratura americana.
Elena amore di necessità.
La selvatica Concia bella come una capra nel tempo del confino.
Bianca con la quale tenterà la scrittura di un libro a due mani.
Costance l’allodola e quegli occhi che rivedrà nella stanza d’albergo a Torino dove darà fine alla sua vita. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

La figura femminile è costantemente presente nell’itinerario personale e artistico di Pavese.
La racconterà soprattutto nei versi, in quell’incedere narrativo di righe lunghe costrette dal ritmo attraverso la parola, unica realtà. Donna mito di una fanciullezza felice e perduta che si identifica nel paesaggio delle langhe e in contrasto con la donna-compagna riconosciuta nei percorsi metropolitani di Torino. Ma sia l’una o sia l’altra, quello che è certo è che né l’uomo né il poeta riusciranno mai a raggiungerla. Non incontrerà nella sua strada quotidiana quella donna che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa e non riuscirà nei suoi scritti a darle del tutto voce con parole inghiottite.
Sei buia. Per te l’alba è silenzio.
La Terra, che nelle prime poesie è raccontata più che cantata nella realtà delle colline o in contrappunto nella squallida visione delle periferie di Torino, è fondamentalmente la geografia della propria solitudine, dell’inadeguatezza a condividere spazi e circostanze e rapporti con gli altri.
Nella vita e nel mondo, la condizione di Pavese è quella dell’espatriato che continuamente e ripetutamente cerca di tornare. Ma anche quando la ricerca lo riporterà, come Anguilla de La luna e i falò, nel suo paese di origine dovrà constatare che in realtà non si torna mai al passato, al tempo inesorabilmente andato, agli eventi che ormai parlano lingue sconosciute: “Un paese ci vuole…vuol dire non essere soli…nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Sì, i falò si accendono ancora, ma per divorare con le loro fiamme quel che mai più ritornerà.
Il mito della fanciullezza con il suo bagaglio di ingenue felicità, di speranze che volano alte, di certezze si è concluso.
Si accendono nuovi falò che distruggono, divampano dolore, illuminano sinistramente tragedie.
Non resta che la sconfitta.
Non resta che guardare dalla finestra di quella cameretta al primo piano di un paese, Brancaleone, che per lui resterà sempre un paese straniero.
No, non troverà pace né tra quei muri né nel Bar Roma, dove legge quotidianamente il giornale, né sullo scoglio dal quale guarda senza vedere un inutile mare.

Ancora oggi andando a Brancaleone si può visitare la casa, la stanza in cui visse, il lettuccio stretto, la scrivania che è solo uno sbilenco tavolo, l’avara lampada e la finestra che racconta la “monotonia di un paesaggio sempre uguale”.
Da quella finestra – quarta parete della sua prigione – Pavese fisserà i binari. Quegli stessi binari sui quali si è fermata la littorina con la quale è giunto insieme a due valigie cariche di libri. Su quelle linee parallele scorreranno le nostalgie di un paese diverso e lontano, di una vita condivisa di amore e di impegno mentre le ore scorrono nel tedio, sempre uguali.
Acchiappo mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare (che d’altronde è una gran vaccata), giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, serbo un’inutile castità.
No, il confinato non avrà voglia di incontrare veramente né il paese né i suoi abitanti. Un rapporto tra lui e i brancaleonesi superficiale e di condiviso rispetto. Un accennato interesse verso la letteratura orale e le tradizioni popolari, un amore di necessità e una fantasia erotica. Una lettura della Calabria, tuttavia, fuori da ogni retorica.

E forse tra le note di quel on the road musicale di Omar Pedrini, che ha concluso il Festival nella struggente malinconia di una notte calabrese, ci sembrerà di riconoscere l’ombra di un uomo solo, con la pipa e gli occhiali, che ancora cerca un senso a una vita vuota che nemmeno il profumo dei gelsomini, la dotta lentezza delle tartarughe e il vento diviso dal vicino Capo Spartivento e un mare di verdi e di azzurri, sono riusciti a regalargli.

A Brancaleone Pavese conferma di non essere in grado di imparare il mestiere di vivere, che la sua è la condizione di una straziante solitudine, che l’unico mestiere che conosce, quel vizio assurdo vissuto quasi come un dovere, corteggiato più di un amore, idolatrato e temuto, è quello di morire.

Lui che aveva dichiarato di non avere più parole, riuscirà a scovarne una manciata da scrivere con mano ferma su un foglio lasciato su un anonimo comodino di un’anonima stanza d’albergo:

Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.

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Eurogas


L’accordo c’è Legittimo, naturalmente, che in Italia ci si sia concentrati sulle vicende interne, sui passi verso il nuovo governo e sui passi falsamente falsi delle polemiche interne alla (falsa) coalizione vincente. Intanto, però, come è giusto che sia,

L’accordo c’è


Legittimo, naturalmente, che in Italia ci si sia concentrati sulle vicende interne, sui passi verso il nuovo governo e sui passi falsamente falsi delle polemiche interne alla (falsa) coalizione vincente. Intanto, però, come è giusto che sia, gli interessi italiani ed europei erano difesi dal governo ancora in carica, nel corso di un importante e trascurato Consiglio europeo.

Legittimo, inoltre, che taluno dubitasse si potesse giungere ad un accordo, mentre qui continuavamo a ritenere più probabile un compromesso positivo. Come è stato. Meno legittimo che, per giorni e ancora ieri, il tono trasversale e pervasivo fosse uno solo: l’Europa (e daje, si chiama: Unione europea) è divisa, un fallimento, nessun accordo. À la Bartali.

Una sorta di lussuria della disfatta, la speranza di una profittevole sconfitta che possa giustificare e alimentare un vittimismo piagnucoloso che sfocia in grottesca prosopopea. E invece le cose sono andate in modo diverso, un accordo è stato raggiunto. E che il negoziato sia stato lungo e complesso attiene al fatto che si tratta di interessi diversi, non solo fra questo o quel Paese, ma anche al loro interno.

Il tutto senza dimenticare che l’accordo più importante era stato acquisito all’inizio e in pochi minuti: la condanna della criminale aggressione russa e sanzioni che solo aderendo alle fonti del Cremlino si può credere non vadano a segno. In quanto al fatto che anche qui si subiscono conseguenze negative, complimenti per la perspicacia: capita, quando qualcuno dichiara guerra alla sovranità e alla libertà.

I risultati più importanti sono relativi all’acquisto comune di gas e alla solidarietà in caso di sospensione delle forniture. Il tetto al prezzo del gas c’è, a cominciare da quello per la produzione di energia elettrica. È temporaneo, come è giusto che sia, visto che alla metà del 2024 saremo completamente affrancati dal gas russo e non è che si possa indirizzare troppo a lungo il mercato, senza produrre effetti negativi.

Su questo fronte, piuttosto, si introducono altri parametri di fissazione, che cancellino l’unicità del Ttf al mercato di Amsterdam. Resta l’accesso a energie finanziarie frutto di debito comune. A questo si accompagnano indicazioni per la trasparenza del mercato elettrico (le bollette), il risparmio energetico e lo sveltimento delle procedure per l’istallazione di impianti rinnovabili.

Si poteva fare meglio e di più? Sempre. È totalmente soddisfacente? Mai. Ma è molto ed è bene. Un mesto pensiero ai cantori dei fallimenti, quale intonazione monocorde del ripetitivo lamentio.

Ottenere questi risultati ha avuto un prezzo, dato che si erano manifestate rigide opposizioni, con argomenti legittimi e talora forti. Se quelle opposizioni sono state in gran parte superate lo si deve a un solo dato politico: è stata riconfermata l’unità europea nell’appoggio all’Ucraina e nella condanna degli aggressori. L’opposto dell’inerte divisione. Il prezzo è stato anche un disallineamento del tradizionale asse fra Francia e Germania. Sul quale vale spendere due parole.

È importante, quell’asse, perché è dai contrasti fra quelle potenze che sono nati molti conflitti europei. Ed è su quell’asse che si è costruita la pace, tutelata dall’ombrello difensivo Nato. Sono anche le due più forti economie. E la Francia è la sola potenza atomica dell’Ue.

Quell’asse ha anche dato l’impressione di dominare troppo, ma questo si deve anche alla dabbenaggine di Paesi come l’Italia, che anziché costruire alleanze imbastivano scuse e geremiadi questuanti. Quell’asse è importante, ma il disallineamento chiama tutti i membri dell’Ue alla responsabilità di non sentirsi passeggeri riottosi, ma equipaggio volenteroso. C’è spazio politico libero. A patto di piantarla con quell’atteggiamento che è diffuso costume nazionale, dall’informazione alla politica, dai corpi intermedi a tanti cittadini. L’Italia che produce ricchezza sta da un’altra parte.

La Ragione

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CINEMA. Nuovi film arabi e palestinesi: “The damned don’t cry” e altri a cui prestare attenzione


Nel mondo post pandemico, i film statunitensi stanno spiazzando sempre di più il cinema indipendente e quello mondiale. Ai Festival di Venezia e Toronto l'attenzione riservata al cinema americano è stata esagerata. L'articolo CINEMA. Nuovi film arabi e p

di Joseph Fahim – Middle East Eye*

(traduzione dall’inglese di Alessandra Mincone)

Pagine Esteri, 24 ottobre 2022 – Le stagioni dei premi potrebbero essere uno dei fenomeni più strani del cinema contemporaneo. Ogni anno, i critici si lamentano dell’inutilità della corsa agli oscar, e giurano di evitare un’impresa che diventa sempre più inerte. Eppure a settembre, a Venezia e a Toronto, ogni qual volta che un film di Hollywood sembrava far colpo, gli stessi critici non sono riusciti a fare a meno di prevedere potenziali candidati per gli oscar.

Mentre la frenesia lasciava posto alla stanchezza, molti film non-americani si sono dispersi nel miscuglio. Per finire, con un’altra riaffermazione del dominio globale della macchina cinematografica americana.

Tant’ è stato il malessere della festa del cinema di quest’anno, che sebbene fosse stata un’edizione eccezionalmente forte, è stata comunque dominata dal cinema statunitense: sono state dieci le produzioni americane in primo piano, solo tra quelle in competizione, e altre sette quelle fuori concorso, tra cui l’attuale campione del botteghino americano “Don’t worry, darling”. Il risultato era prevedibile: il cinema americano ha risucchiato l’atmosfera dal resto, direzionando le copertine della stampa mainstream e alimentando da solo i giornali a sufficienza.

Affascinante è stato il fatto che, quest’anno, Venezia era confezionata di giovani: non solo appassionati di cinema, ma anche di “stalker della celebrità”, come Harry Styles e Florence Pugh, accampati sul tappeto rosso a caccia di filmati per accrescere i loro profili TikTok. Se il potere delle stelle non sempre garantisce una poltrona a un mendicante, per lo meno attrarrà il traffico su Internet.

Quest’anno, Venezia è stata tutta incentrata sull’incremento dei clickbait e della larghezza della banda. Il cinema non americano, al contrario, è stato relegato ai margini e la grande pubblicità, quella che i registi di tutto il mondo sognavano, alla fine non è arrivata. Toronto era una rappresentazione sfacciata di Hollywood; i film non americani hanno sempre dovuto lottare, per attirare l’attenzione in un festival, considerato un trampolino di lancio per la stagione degli Oscar.

Entrambi i festival, si sono svolti alla fine della stagione estiva dei campioni d’incasso, e l’attenzione riservata al cinema americano, in entrambi, è stata esagerata.

Già nell’era pre pandemica, le piccole compagnie non-americane minori hanno lottato per attirare un pubblico generale. I teatri, compresi i cinema indipendenti, per sopravvivere, sono diventati sempre più assoggettati alle offerte di Hollywood.

La crisi economica globale e le turbolenze politiche, stanno gonfiano il bisogno di evadere le tariffe – (producendo) un cinema senza cervello e usa e getta, che Hollywood realizza con maggior esperienza.

La paura è che, in questo mondo a corto di soldi, solo gli spettacoli di Hollywood siano degni dell’uscita al cinema, lasciando voci più coraggiose provenienti da altrove, a cercare il loro pubblico nello spazio, disordinato, delle piattaforme streaming.

Il cinema arabo appartiene a quest’ultima categoria, con la selezione araba che riceve una piccola percentuale rispetto alla copertura data a Blonde o al nuovo film di Spielberg. È un peccato, perché molte di quelle immagini offrivano nuove ed eccitanti prospettive.

I dannati non piangono

Il film arabo di spicco a Venezia 2022 è stato “The Damned don’t cry”, il secondo lungometraggio del regista anglo-marocchino Fyzal Boulifa, che vinse dei riconoscimenti nel 2019 per il suo debutto con “Lynn+Lucy”, anch’esso presentato in anteprima a Venezia. Mentre “Lynn+Lucy” era un dramma che mette a nudo la vita della classe operaia inglese, interamente incentrato su personaggi bianchi, “The Damned don’t cry” è un film marocchino in tutto e per tutto. Aicha Tebbae, in una delle esibizioni arabe più smaglianti dell’anno, è la vivace Fatima-Zahra, un’ex prostituta di Casablanca e una madre di mezza età. Desiderando un nuovo inizio dove nessuno la conosce, si trasferisce a Tangeri insieme al figlio Selim (Abdellah El Hajjouji), adolescente maleducato e arrabbiato.

La relazione di amore e odio tra Selim e sua madre diventa più spinosa quando lei mostra interesse per un autista di autobus fedelmente sposato, e inconsapevole del trascorso di lei. Selim, nel frattempo, inizia a mettere in discussione la sua sessualità quando un accordo con un ammirato gay francese, progredisce in una faccenda più burrascosa.

“The Damned don’t cry”, da un lato è la storia di una madre atipica che non si scusa per il suo passato. Fatima-Zahra riconosce la sua posizione di svantaggio in una società in cui non potrà mai essere se stessa – e quindi si trasforma in un camaleonte che può cambiare colore, rispetto a come gli uomini vogliano che sia. La rappresentanza di cui una volta godeva grazie al suo aspetto è ormai sbiadita, e quindi accettare il corteggiamento di un uomo noioso come l’autista dell’autobus e abbracciare la religione, diventa la sua via d’uscita da una potenziale vita di solitudine e costrizione economica.

D’altra parte, “The Damned don’t cry” è un audace racconto di un giovane uomo sessualmente confuso che può esplorare la sua sessualità solo attraverso la servitù o la prostituzione. Sebbene affabile e inizialmente simpatico, il francese che accoglie Selim si rivela afflitto da una mentalità neocolonialista, che soggioga subdolamente il suo giovane amante marocchino.

Ma più di ogni altra cosa, la pellicola è un’intrepida esplorazione del mistero che è il legame madre-figlio arabo. Selim e Fatima-Zahra hanno una relazione di dipendenza caratterizzata da anni di incrollabile risentimento e delusione, l’uno verso l’altro. Come molte madri e figli arabi, i due non sono quello che vogliono che siano: Fatima-Zahra è imbarazzante per Selim, mentre Selim è troppo sconsiderato e inaffidabile per essere l’uomo di casa. La loro presenza è distruttiva l’una per l’altra, ma i due non possono vivere a lungo senza l’altro. Boulifa cattura questa dinamica con astuzia e maturità.

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Strada non proprio rivoluzionaria

L’aspetto più notevole del film è il modo in cui si dà nuova vita al melodramma, il genere più associato al cinema arabo. Lo stesso non si può dire del secondo film marocchino a Venezia, “Queens, il primo lungometraggio di Yasmine Benkiran, che fallisce nel tentativo di affrontare il “buddy road movie”.

Zineb (Nisrin Erradi) scappa di prigione per salvare la figlia Ines (Rayhan Guaran), undicenne combina guai che viene gettata in un centro di protezione dell’infanzia. Accompagnata da Ines, Zineb dirotta un camion e costringe una sfortunata meccanica – giovane moglie infelice, Asma (Nisrine Benchara) – a portarli al sicuro nella lontana regione (di atlas). Le tre vengono rintracciare da una neopromossa poliziotta, Batoul (Jalila Talemsi), che deve dimostrare il suo valore al suo collega predecessore, Nabil (Hamid Nider).

Quello di Daradji è un ritratto distopico di un Iraq abbandonato del dopoguerra, una terra desolata senza dio, popolata da bambini orfani derubati della loro innocenza. Zineb, Asma e Ines trovano conforto e coraggio l’una nell’altra, mentre Batoul ottiene la sua indipendenza essendo single ed eccellendo nel suo lavoro. La testarda Zineb è il personaggio più accattivante del film, ostinata a usare qualsiasi mezzo per sopravvivere nel patriarcale Marocco.

Purtroppo, Benkiran non può far apparire un veicolo automobilistico adatto per il suo carattere, e a metà strada diventa chiaro che gli spettatori ci sono dentro a un prezzo prevedibile.

Sebbene il film sia visivamente sorprendente, in parte grazie all’uso del deserto come terra di nessuno, liberatoria, priva di regole di genere, Benkiran fa poco o nulla per la tipologia di un road movie. Un film guardabile che spreca le possibilità elettrizzanti offerte dal suo genere, “Queens” alla fine soffre della riluttanza di Benkiran a correre dei rischi, e invece occupa una via di mezzo, senza invenzioni. Questo è un film che non decolla mai.

La morte del sogno americano

Più ambizioso è “Hanging Gardens”, il primo lungometraggio di Ahmed Yassin al-Daradji, passato alla storia per essere stato il primo film iracheno selezionato ufficialmente per il Festival di Venezia.

Il bambino impoverito As’ad (Hussain Muhammad Jalil) e suo fratello di 28 anni Taha (Wissam Diyaa) sono orfani di guerra che lottano per sbarcare il lunario, rovistando tra i detriti della guerra, alla periferia di Baghdad.

La loro relazione inizia a rompersi quando As’ad trova una bambola del sesso apparentemente lasciata dai soldati americani. As’ad sviluppa una fissazione per la bambola e in poco tempo crea un bordello mobile che distorce, gradualmente, la sua prospettiva della realtà.

Inquietante e sfacciatamente perverso, quello di Daradji è un ritratto distopico di un Iraq abbandonato del dopoguerra; un deserto senza dio popolato da bambini orfani, derubati della loro innocenza. In modo ammirabile, lo sguardo del regista è freddo e distante; il suo approccio è più distaccato dalla tipica filatura irachena, senza mai scadere nel sentimentalismo.

A differenza dei più recenti film iracheni, “Hanging Gardens” non tenta di catturare gli orrori dell’invasione americana né le sue tragiche conseguenze. Mescolando fantasia e realtà, accresce una rara immagine irachena, che dimora nella psiche distrutta dei giovani frustrati, che ignorano la loro sessualità e lottano con desideri repressi. È a pieno titolo un ritratto dell’Iraq che gli Stati Uniti hanno lasciato alle spalle. La bambola americana sostituisce l’illusorio sogno americano che l’Iraq non ha mai conosciuto; una fantasia venduta a un popolo senza niente a cui aggrapparsi. La loro liberazione è stata un’infinità di macerie e fantasie perverse.

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Fantasia e occupazione maschile

Ugualmente toccante ma cinematograficamente meno avventuroso è “Alam” di Firas Khoury, un altro film d’esordio, presentato in anteprima a Toronto. La storia è incentrata sul raggiungimento della maggiore età di Tamer (Mahmoud Bakri), uno studente delle superiori diviso tra le faccende quotidiane dell’essere palestinese in Israele e la sua adolescenza emergente.

Costretto a un’apatia politica dal padre iperprotettivo e dallo stato israeliano occupante, l’esistenza dormiente di Tamer viene scossa quando la nuova studentessa Maysaa (Sereen Khass) prende parte alla sua classe. Infatuato, Tamer realizza che l’unico modo per avvicinarsi a Maysaa è partecipare a una pericolosa missione in cui è lei coinvolta: rimpiazzare la bandiera israeliana sul tetto della loro scuola con una bandiera palestinese, nei giorni che precedono l’anniversario della Nakba.

Khoury apre un portale nel mondo, poco visto dei giovani palestinesi in Israele, un mondo che sembra somigliare le tante autocrazie della regione. Tamer e i suoi amici passano le loro giornate bevendo, facendo festa e parlando del sesso che non hanno fatto mai. In un posto in cui la loro storia e identità vengono distorte e spazzate via, dove la resistenza ha dimostrato più e più volte di essere futile, l’ebbrezza, che sia di alcol, di sesso o di amore, è la sola fonte di conforto. La sostituzione della bandiera, una reazione di Tamer e i suoi compagni di scuola contro il revisionismo storico che sono costretti ad accettare, assume diversi significati: un’impresa ribelle, una riaffermazione dell’identità derubata, un respingimento contro l’occupante, e in conclusione un atto di autorealizzazione. Nella scena più profonda del film, Tamer ricorda uno zio il quale gli insegna che la vera libertà non è alzare la bandiera del proprio paese, la vera libertà è poterla bruciare.

Khoury esplora queste idee con premura e delicatezza, sottolineando la relazione convoluta tra l’elusiva nazionalità palestinese e la libertà, tra il nazionalismo e l’autodeterminazione. Sfortunatamente, queste idee sono minate da un dramma letargico e da una cinematografia poco calorosa. “Alam” soffre di un ritmo lento, trascinato dall’eccessiva esposizione e dal corteggiamento poco convincente tra Tamer e Maysaa. Una mancanza sia di carisma che di sentimento, rendono difficile vedere cosa vede la brillante Maysaa in Tamer. Da parte sua, il viaggio introspettivo di Tamer è più genuino, e riprende una storia d’amore infantile, che spesso sembra poco più che una fantasia maschile.

Cinematograficamente, “Alam” ha una visuale piatta, salvo per alcuni momenti sparsi: Khoury implementa una traduzione letterale della sua storia, senza adottare alcun punto di vista sul materiale visivo alla mano. Lui gioca con le convinzioni dei drammi adolescenziali, inquadrando la storia della sua crescita entro l’unico contesto palestinese, ma fallisce nel cercare un linguaggio visivo che catturi le frustrazioni e le aspirazioni della giovinezza. Nonostante le sue carenze, “Alam” rimanda a una visione essenziale, se non alla trascendente esperienza cinematografica che sarebbe potuto essere.

“The damned don’t cry” sarà proiettato al London Film Festival dal 5 ottobre. “Alam” è in scena al concorso ufficiale del Festival di Roma dal 13 ottobre. Pagine Esteri

*questo articolo è stato pubblicato il 5 ottobre dal portale Middle East Eye

link originale middleeasteye.net/discover/ara…

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24 ottobre 2029


Il brusio della televisione in sottofondo mi ricorda che oggi è il secondo anniversario della nascita dell’euro digitale, adottato ufficialmente dagli Stati Sociali Europei nel 2027...

Sono le 19:07 del 24 ottobre 2029. Ho appena finito di scrivere una nuova uscita della mia newsletter, Surveillance Chronicles.

Il brusio della televisione in sottofondo mi ricorda che oggi è il secondo anniversario della nascita dell’euro digitale, adottato ufficialmente dagli Stati Sociali Europei nel 2027, dopo anni di sviluppo e sperimentazioni.

Ricordo che all’inizio non capivo davvero la differenza rispetto al vecchio euro. Eravamo già abituati ai pagamenti elettronici, il funzionamento sembrava lo stesso. Sono pur sempre numeri su uno schermo.

Alcune cose però cambiarono subito. Ad esempio, i conti correnti furono presto un ricordo del passato, sostituiti dai wallet digitali.

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Aprire un wallet era molto più comodo che aprire un conto corrente: niente burocrazia, nessuna ricerca delle migliori condizioni contrattuali, nessun dipendente svogliato: autenticazione elettronica sul portale dedicato grazie all’identità digitale e breve configurazione dell’app, dopo averla scaricata sullo smartphone.

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A un anno dal lancio ufficiale l’euro digitale funzionava così bene che la Commissione degli Stati Sociali Europei decise di abolire del tutto il contante, l’ultimo ricordo di un sistema analogico e ormai superato.

La Commissione disse che non ne avevamo più bisogno, che era semplicemente uno strumento per evadere le tasse, e che dismettendo la produzione del contante avremmo risparmiato energia preziosa. In una piccola scatola conservo ancora qualche banconota da €50, che prima dell’abolizione compravano un paio di pizze.

È stato molto facile abituarsi all’euro digitale. La principale differenza con le carte di credito e i vari sistemi digitali a cui eravamo abituati è che non ci sono PIN da inserire, schede di plastica, né commissioni bancarie. Basta inquadrare un QR code con l’app dello smartphone! C’è chi dice che presto potremo fare anche a meno delle casse nei supermercati.

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Alzo il volume. Una rappresentante della Banca Centrale degli Stati Sociali Europei sta descrivendo le nuove caratteristiche dell’euro digitale. La principale differenza con il vecchio euro, dice, è che l’euro digitale è completamente programmabile.

Spiega che è proprio come un software. In ogni momento possono modificare le modalità di funzionamento e applicare gli aggiornamenti a tutti i wallet digitali europei in tempo reale. In questo modo le regole sono uguali per tutti e non c’è alcuna libertà d’iniziativa da parte delle banche commerciali.

Ricordo quando nel 2028 inibirono ogni transazione con Russia e Cina. Le sanzioni degli anni precedenti non avevano funzionato anche per colpa della troppa libertà. Tante aziende continuavano ad avere rapporti economici con la Russia e le banche autorizzavano le transazioni senza problemi. Adesso è impossibile: ogni wallet europeo è georeferenziato e le transazioni che arrivano fuori dai confini geografici degli Stati Sociali Europei sono bloccate in tempo reale.

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La programmabilità offre tanti vantaggi anche per le politiche interne dei singoli stati membri, prosegue il servizio TV. Grazie all’euro digitale i governi possono partizionare il reddito annuale di ogni cittadino in quote percentuali che possono soddisfare solo specifici usi. Le quote sono calcolate da un algoritmo centralizzato in modo automatizzato. L’algoritmo tiene conto delle nostre necessità e ogni quota è personalizzata per massimizzare l’efficienza collettiva.

Ascoltare la tv mi fa pensare che dovrei andare a trovare i miei genitori, ma ho già raggiunto il massimo di transazioni autorizzate per gli spostamenti di lunga percorrenza. Sarà per il prossimo anno.

La rappresentante della BCSSE ora sta parlando dell’evoluzione del fisco e dell’abolizione di tutta la burocrazia tributaria. L’Agenzia della Redistribuzione di ogni Stato membro conosce esattamente il reddito di ognuno e le transazioni quotidiane. I prelievi fiscali sono automatizzati e in tempo reale, in base al profilo personale.

Un’altra caratteristica dell’euro digitale, continua la rappresentante, è che siamo finalmente riusciti a eliminare l’evasione fiscale. Con l’euro digitale la BCSSE e le autorità governative hanno accesso a ogni singola transazione dei wallet europei, dalla più piccola fino a quelle più importanti. Tutto è trasparente e tracciato. Evadere è semplicemente impossibile.

Purtroppo, nonostante tutto le tasse non sono diminuite. Il welfare sociale europeo costa molto e la crisi energetica degli ultimi anni ha svuotato le casse degli Stati membri. I salari minimi automatizzati hanno anche escluso dal mercato molte aziende poco competitive che non potevano permettersi di pagare il minimo previsto. Questo ha fatto aumentare di molto la disoccupazione, ecco perché chi ha il privilegio di lavorare e guadagnare ha anche il dovere di sostenere la collettività. C’è chi dice che con l’euro digitale fra qualche anno potremo avere anche un Reddito Universale di base… chissà.

Adesso stanno parlando dei vantaggi sulla lotta al crimine. Il monitoraggio delle transazioni, insieme alle tecnologie di sorveglianza introdotte con il Regolamento Chatcontrol nel 2025, permette alla BCSSE e ai governi degli Stati membri di prevenire ogni tipo di criminalità prima ancora che venga commesso il reato.

Gli algoritmi di polizia predittiva possono accedere ai dati delle transazioni e a molti altri per delineare il profilo di rischio di ogni cittadino. Ogni anomalia viene analizzata e segnalata in tempo reale, come transazioni inusuali rispetto alle abitudini della persona o con importi troppo alti o troppo bassi. Se le anomalie superano un certo limite di tolleranza, gli algoritmi lo notificano alle autorità e il wallet digitale blocca automaticamente ogni transazione al di fuori di un raggio di 15km dall’abitazione della persona indagata. Questo è molto utile per evitare che i potenziali criminali possano spostarsi sul territorio.

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Purtroppo, afferma la rappresentante della BCSSE, c’è ancora un grande problema di criminalità legato agli estremisti che scelgono di usare Bitcoin invece dell’euro digitale. La Commissione ha vietato la diffusione di ogni comunicazione e informazione sulla criptovaluta, ma non è stato sufficiente. Alcuni estremisti riescono ancora a infiltrarsi e diffondere disinformazione in cerca di proseliti.

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I più suscettibili a cadere nella trappola di questi estremisti sono i milioni di poveri e immigrati che pur possedendo uno smartphone non possono accedere all’euro digitale perché privi d’identità digitale. Alcuni, piuttosto che diventare criminali, preferiscono barattare tra loro ciò di cui hanno bisogno. Il servizio prosegue dicendo che è dovere di ogni cittadino perbene denunciare questi soggetti, che mettono a rischio la stabilità finanziaria di tutti gli Stati Sociali Europei. Mi chiedo cosa spinga le persone a voler usare uno strumento così pericoloso, usato solo da criminali, drogati e hacker.

La cena è quasi pronta, spengo la televisione. Il wallet digitale mi notifica di aver trovato un’anomalia sulle mie abitudini di spesa. Mh. Forse non avrei dovuto acquistare quella carne ieri, ma diamine - fra poco è il mio compleanno! L’algoritmo ne terrà conto.

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Quello di chi scrive Surveillance Chronicles è un mondo iper-statalista ed estremamente collettivista. L’estremo welfare, la pianificazione totale di ogni ambito e i comfort delle nuove tecnologie digitali sono attrazioni pensate appositamente per far sentire al sicuro cittadini felici di giocare a una simulazione di libertà, che corre su rotaie prestabilite.

Questo mondo è caratterizzato da welfare estremo e totale pianificazione economica e sociale da parte dello Stato. La maggior parte delle persone gode di reddito universale di base pagato con i soldi dei pochi che ancora sognano di elevare se stessi attraverso il lavoro, o che semplicemente sono costretti a lavorare per produrre ciò di cui la società ha bisogno.

La moneta digitale, controllata dalla Banca Centrale e dai governi, viene usata come strumento di coercizione e manipolazione dei comportamenti. L’informazione è controllata da filtri di stato e algoritmi di censura automatizzata.

La sorveglianza è totale, tra sistemi di analisi automatizzata di transazioni e comunicazioni private, sistemi di social scoring ed incentivi di economia comportamentale. Le città intelligenti sono usate dagli enti locali per plasmare le abitudini e le azioni della cittadinanza, grazie a milioni di sensori e algoritmi d’intelligenza artificiale che trasformano i sindaci in ingegneri sociali.

Il pensiero critico, l’individualismo e la libertà di autodeterminazione vengono sostituiti dalla fede assoluta nello Stato, dal collettivismo e dall’omologazione dei comportamenti. In questo mondo la sorveglianza non è solo uno strumento di controllo per esercitare potere politico, ma uno strumento essenziale di pianificazione economica e sociale. Dopo anni di terrorismo psicologico e manipolazione delle informazioni le masse non potrebbero fare a meno del senso di sicurezza dato dalla sorveglianza pervasiva che li circonda. Hanno paura della libertà e non vogliono averci nulla a che fare.

Questo è un racconto di fantasia, ma nulla di ciò che ho scritto è pura finzione.

Le basi tecnologiche, legali e politiche per la creazione di questo mondo esistono già, ed è ciò di cui parlo ogni settimana su Privacy Chronicles.

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Questo futuro però non è scritto e, se vogliamo, possiamo evitare che finisca così. Si può cambiare rotta e scegliere un mondo diverso, ma bisogna prima riconoscere la fonte del problema: lo statalismo e la voglia di pianificare ogni aspetto della vita, della società e dell’economia. I nostri politici sono innamorati del modello cinese proposto anche dal World Economic Forum, e cercheranno in tutti i modi di vendercelo. Lo stanno già facendo.

È fondamentale limitare l’ingerenza dello Stato e riconoscere l’inviolabilità assoluta di diritti individuali e naturali come privacy e proprietà privata. È vitale rigettare ogni forma di sorveglianza e manipolazione dei comportamenti, così come separare definitivamente lo Stato e la moneta, per evitare che questa possa essere usata come un’arma. Infine, è centrale ritrovare una morale fondata sull’interesse personale, e non invece sul sacrificio personale. Una morale che possa consentire a ogni individuo di perseguire liberamente la propria felicità - senza che nessuno imponga di vivere per il prossimo.

Non resta che scegliere.

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Meloni e il governo su ‘autorizzazione’ di Zelenski


Berlusconi parlava di vodka per parlare di politica e di politica internazionale, il portavoce di Zelenski interveniva ufficialmente a condannare le dichiarazioni di Berlusconi e a complimentarsi con Meloni che era di idee contrarie. Cosa sarebbe successo se una cosa del genere l'avesse detta il portavoce di Putin? Invece, in questo caso, niente, anzi, peggio, molto peggio: invito a rispettare la volontà ucraina, ad aiutare l’Ucraina, eccetera. Il che attesta del 'carattere' di questo Governo, nel quale, non per nulla, Antonio Tajani e la signora Giorgia Meloni si vantano di avere per prima cosa telefonato in Ucraina!

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Meloni: nei giorni della ‘luna di miele’, le decisioni difficili


Quello presentato al Presidente della Repubblica e al Paese è a tutti gli effetti il suo governo. Non ha alibi: scelte, attività, comportamenti prossimi, nel bene o nel male, saranno imputabili a lei sola. I dossier urgenti: Europa, crisi, recessione, giustizia

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Regno Unito: il popolo britannico è resiliente… deve esserlo


Le dimissioni di Liz Truss dopo soli 44 giorni in carica significano che entro la prossima settimana il Regno Unito avrà avuto tre primi ministri in due mesi, quattro ministri delle finanze in quattro mesi e per la maggior parte del 2022 un governo che lavora sul pilota automatico grazie solo alla sua dura -servizio […]

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Il fiasco di Liz Truss: un eroico primo ministro in anticipo sui tempi


Dopo la più breve premiership nella storia britannica, non c’è dubbio che l’agenda socialista sia diventata una corrente principale assoluta nella politica mondiale. L’agenda socialista sta diventando il fulcro di tutte le élite politiche influenti, sia quelle che cercano e detengono il mandato di potere, in tutti i paesi sviluppati. Ciò significa che dobbiamo essere […]

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Requiem in memoria di Yuri Kerpatenko


Non che la dittatura despotica e imperialista di Putin non si fosse già distinta per ferocia nella repressione degli oppositori politici. Basta richiamare alla memoria il caso Politkovskaja per far cadere ogni barriera ideologica in difesa della Grande Ru

Non che la dittatura despotica e imperialista di Putin non si fosse già distinta per ferocia nella repressione degli oppositori politici. Basta richiamare alla memoria il caso Politkovskaja per far cadere ogni barriera ideologica in difesa della Grande Russia.
Ma l’uccisione del direttore d’orchestra Yuri Kerparenko si fa più sapida perché richiama alla memoria l’esecuzione di Khaled al-Asaad, l’anziano archeologo fatto fuori, decapitato ed esposto alla pubblica gogna a Palmira nel 2015 per mano di quei buontemponi dell’ISIS.

Sul tema della tutela dei beni culturali in tempo di guerra si è discusso lungamente e si continua a discutere.

L’UNESCO è nata, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, con precisi scopi a tutela della vita e della civiltà democratica. Tutti i suoi atti dal 1945 in avanti contengono, a uno stadio germinale o in forme pienamente compiute, chiari indirizzi agli stati membri sulla tutela dei beni monumentali e delle opere d’arte in caso di conflitto armato (L’Aia 1954).

La tenuta delle Carte che da quel primo atto sono derivate al patrimonio mondiale è stata sempre precaria, in virtù dell’ipocrita adesione da parte di molti stati a vocazione guerrafondaia: quelli cattivi che la guerra la fanno e quelli buoni che la guerra la procacciano agli altri. Ad ogni buon conto, esse riguardavano le sole cose mobili e immobili, più di recente il patrimonio intangibile (Parigi 2003), ma mai le persone fisiche.

La morte di Khaled al-Asaad ha spostato l’asse semantico del meccanismo di tutela internazionale, significando soprattutto questo: la presa di una nuova coscienza internazionale, volta a considerare gli eroi che si immolano in difesa dei beni culturali e ambientali come nuovi oggetti di tutela.

La persona-memoria, la persona-memento, la persona-monumento.

Come in Fahrenheit 451 di Broadbury-Truffaut, l’eroe Kalhed al-Asaad, l’eroe Yuri Kerpatenko sono destinati a tramandare un sapere di valore inestimabile, il più alto dei saperi che corrisponde con i principi di giustizia e libertà che ispirano la fondazione dell’UNESCO.

Vladimir Putin carnefice, Benito Mussolini carnefice, Iosif Stalin carnefice, Adolf Hitler carnefice, Augusto Pinochet carnefice, Pol Pot carnefice, le Giunte militari sud americane carnefici, Francisco Franco carnefice, l’ISIS carnefice, tutti i dittatori, i despoti e i fanatici tra XX e XXI secolo saranno destinati alla fine ingloriosa che si riserva ai vinti solo se inizieremo a considerare gli eroi della salvaguardia di beni culturali come “monumenti” e la loro morte violenta per mano dei carnefici un crimine contro l’umanità.

Da tali presupposti, gente come Putin non solo non dovrebbe più avere legittimazione alcuna sul piano dei rapporti internazionali, ma andrebbe perseguito per legge e giudicato da un tribunale apposito.

Stabilito a priori questo ineludibile principio di legalità, sul Parnaso Apollo e Mnemosine torneranno a darci sempre nuove muse; siederanno ai loro piedi le figure allegoriche della Giustizia, della Fama e della Libertà; e tutti additando i martiri come Yuri Kerparenko a esempio per il futuro.

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Non si sceglie quale libertà ci piace


I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa L’amicizia con Putin ribadita da Berlusconi e le sue parole ostili nei confronti di Zelensky ci ricordano che in Italia (non solo in Itali

I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa

L’amicizia con Putin ribadita da Berlusconi e le sue parole ostili nei confronti di Zelensky ci ricordano che in Italia (non solo in Italia ma da noi in modo particolarmente esibito ed evidente) è dominante una concezione della libertà che la equipara a un salame: può essere tagliata a fette e ciascuno si prende la fetta che preferisce.

C’è chi apprezza e difende la libertà di impresa, la libertà economica, ma è tiepido, quando non del tutto indifferente, riguardo a certe libertà civili e politiche. Salvo dolersi, e rivendicare quelle libertà, se personalmente danneggiato dall’azione di qualche magistrato. E c’è, per contro, chi apprezza le libertà civili e politiche mentre, contemporaneamente, è ostile alla libertà economica. Ricordo una trasmissione televisiva di molti anni fa a cui partecipai insieme a Berlusconi. Putin aveva appena preso una decisione che smantellava un istituto importante della neonata democrazia russa: aveva ricentralizzato il potere sottraendo agli elettori il diritto di eleggere i governatori. La loro nomina tornava nelle mani del Cremlino. Osservai che si trattava di una mossa inquietante che sembrava annunciare una più generale svolta autoritaria. La replica di Berlusconi fu di tipo, possiamo dire, «efficientistico-manageriale»: disse che Putin gli aveva fatto vedere i curricula dei governatori nominati e che si trattava di persone preparate. Il conclamato liberalismo di Berlusconi non gli impediva di rimanere indifferente di fronte a un così palese indebolimento della sfera delle libertà politiche in Russia.
Quando Berlusconi entrò (fragorosamente) in politica e vinse le elezioni del 1994, non si limitò a fare nascere il centro-destra e a sconfiggere la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Sfidò anche le culture politiche che avevano dominato la Repubblica per oltre un quarantennio. Il messaggio politico era centrato sulla necessità di liberare mercato e imprese dai lacci e lacciuoli imposti dallo Stato. Era un messaggio ispirato al liberalismo economico (ciò che i suoi detrattori chiamano liberismo). Veniva infranto un tabù. Le culture politiche fino ad allora dominanti, animate da una parte ampia del mondo democristiano e dai comunisti erano sempre state diffidenti, quando non apertamente ostili, nei confronti delle imprese. Per quelle culture, mercato e imprese erano solo mali necessari. E comunque da tenere a bada, da controllare e da dominare. La rottura del tabù attirò, allora, intorno a Berlusconi, diverse personalità liberali (Giuliano Urbani, Antonio Martino, Lucio Colletti e molti altri). Persino Marco Pannella fece , nel ’94, un accordo elettorale con lui. Chi ritiene che gli odii che si guadagnò subito Berlusconi non abbiano nulla a che fare con il violento schiaffo che egli diede allora alla tradizione politico-culturale dominante in Italia, nega l’evidenza.
In seguito, nei successivi governi Berlusconi, restò la retorica della libertà di impresa e gli inni alle virtù del mercato, ma, nelle concrete politiche, il liberalismo economico delle origini si perse per strada.
Ritorniamo a ciò che Berlusconi ha detto di Zelensky. Si può esaltare la libertà (economica) e contemporaneamente manifestare ostilità per il leader di un popolo invaso che lotta per la propria libertà? Ebbene sì, si può, ma solo se si pensa che l’una libertà e l’altra siano cose totalmente distinte e, soprattutto, separabili.
Esistono ormai solide e abbondanti prove storiche che dimostrano che ciò non è vero. I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa. Anche se, in certe fasi storiche, il regime dispotico può scegliere di favorire la libertà economica (come in Cina dalle riforme Deng in poi) , si tratta solo di una parentesi destinata prima o poi a chiudersi. Come dimostra proprio il caso della Cina: il consolidamento del potere di Xi Jinping sta andando di pari passo con una nuova statalizzazione dell’economia cinese. Quando non è nutrita, alimentata e sostenuta dalla libertà politica e dalle altre libertà civili, l’esistenza della libertà di impresa resta in uno stato di precarietà, la sua sopravvivenza dipende dal capriccio del «principe». Dura fin quando il principe non cambia idea. Prima o poi è destinata a d eclissarsi.
C’è una contraddizione vistosa nel liberalismo monco di chi tiene separata la libertà economica (che apprezza) e le altre libertà verso cui è indifferente o, nella migliore delle ipotesi, più tiepido: o difendi tutto il «pacchetto» oppure, prima o poi, ti giocherai anche mercato e libertà di impresa.
Ma ciò che vale per Berlusconi vale anche, qui da noi, a parti rovesciate, per una parte ampia della sinistra: in questo caso, grandi inchini nei confronti delle libertà politiche e civili (salvo tacere di fronte a certe invasioni di campo di questo o quel magistrato), indifferenza, quando non aperta ostilità, nei confronti della libertà di impresa. Sul tema della concorrenza, ad esempio, non è vero che parti ampie della sinistra non condividano certe ostilità di principio di Lega e Fratelli d’Italia. Il fatto che il Pd non sia mai riuscito a diventare un autentico partito riformista dipende dal fatto che nel suo seno sono tuttora presenti e forti le correnti che diffidano del mercato e che accettano le imprese ma solo se tenute saldamente al guinzaglio. Sono le correnti che, almeno su un punto, non hanno mai davvero rotto con la tradizione comunista. Per la quale, come disse una volta Enrico Berlinguer, la proprietà privata (senza la quale non ci sono né libera impresa né mercato) è come il peccato originale per i cattolici. Plausibilmente, la più che probabile convergenza fra Pd e 5 Stelle rafforzerà quelle tendenze.
Ma vale anche in questo caso una regola: se resti indifferente agli ostacoli che incontra la libertà economica e se, magari, sei anche pronto ad aggiungerne altri, prima o poi, l’eccesso di invadenza dello Stato nella vita economica e sociale finirà per indebolire anche la sfera delle libertà civili e politiche.
Come scrisse Luigi Einaudi all’epoca della sua polemica con Benedetto Croce, la libertà è indivisibile: non puoi avere la libertà civile e politica se non hai anche la libertà economica. E viceversa. Non puoi avere la democrazia liberale se non hai anche il libero mercato. Ci sono troppi riscontri che ci obbligano a non avere dubbi:la libertà non è equiparabile a un salame.

corriere.it

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20º Congresso del Partito Comunista Cinese: la retorica di Xi su Taiwan deve preoccupare il mondo


Il Presidente Xi Jinping ha dato il via al Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), che traccia la sua traiettoria politica per i prossimi cinque anni e finalizza la sua futura leadership, con un discorso ai fedeli del Partito per quasi 1 ora e 45 minuti. Quest’anno, il conclave della leadership del PCC si trova […]

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Il Professor Giuseppe Valditara, Docente ordinario di Diritto romano, è il Ministro dell’Istruzione e del Merito.

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Israele, Iran e la guerra metastatizzante in Ucraina


La notizia che l'Iran sia ora profondamente coinvolto nello sforzo bellico della Russia è rimbalzata in profondità nel Medio Oriente, sollevando difficili interrogativi per uno Stato in particolare: Israele. Gerusalemme sta chiaramente compiendo un passo cauto verso un maggiore coinvolgimento nel conflitto

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