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Marocco: proteste contro gli aumenti e la repressione


Proteste in Marocco contro l'aumento dei prezzi, la repressione del dissenso politico e la collaborazione militare con Israele. Migliaia con i sindacati e i partiti di sinistra L'articolo Marocco: proteste contro gli aumenti e la repressione proviene da

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 8 dicembre 2022 – Alcune migliaia di persone sono scese in piazza domenica a Rabat per protestare contro «l’alto costo della vita e la repressione» politica, partecipando ad una manifestazione promossa dal Fronte Sociale Marocchino (Fsm). La sigla riunisce diversi partiti politici di sinistra, organizzazioni per i diritti umani e sindacati come la Confederazione Democratica del Lavoro.
Alla marcia, la più partecipata degli ultimi mesi, hanno partecipato alcune migliaia di persone – un risultato notevole in un paese che reprime sistematicamente le libertà politiche – anche se la Direzione Generale della Sicurezza Nazionale (DGSN) ha parlato di soli 1500 manifestanti. La manifestazione ha sfilato per quasi due ore nel centro della capitale marocchina, dalla porta della Medina fino a Piazza degli Alawiti, passando accanto alla sede del parlamento.

L’inflazione erode i salari, la povertà aumenta
«Il popolo vuole prezzi più bassi (…). Il popolo vuole abbattere il dispotismo e la corruzione» hanno gridato i partecipanti arrivati anche dal resto del Marocco. «Siamo venuti per protestare contro un governo che incarna il matrimonio tra denaro e potere e che sostiene il capitalismo monopolistico» ha spiegato il coordinatore nazionale dell’Fsm, Younès Ferachine.
Secondo un recente rapporto dell’Alto commissariato per la pianificazione (Hcp), il Marocco è tornato «al livello di povertà e di vulnerabilità del 2014» in seguito alla pandemia di Covid-19 e all’inflazione. L’impennata dei prezzi (ad ottobre è stato rilevato un +7,1% su base annua) e in particolare l’aumento del costo dei carburanti, dei generi alimentari e dei servizi, uniti a un’eccezionale siccità, hanno inoltre frenato la crescita economia, che alla fine dell’anno dovrebbe essere pari soltanto ad un +0,8%.
Le forze sociali e politiche che hanno partecipato alla marcia hanno chiesto le dimissioni del governo denunciando che a risentire della situazione non è più solo il potere d’acquisto dei settori più poveri della popolazione, ma ormai anche quello della classe media. Il Paese soffre di disparità sociali e territoriali crescenti che costringono sempre più cittadini, soprattutto giovani, all’emigrazione.
La disparità di reddito, stimata secondo il coefficiente di Gini, è del 46,4%, ovvero al di sopra della soglia socialmente tollerabile (42%). Secondo gli stessi dati forniti dal governo di Rabat, il 20% della popolazione è in stato di povertà assoluta (con un reddito inferiore a 1,8 euro al giorno), il 40% in povertà relativa (con un reddito inferiore a 3 euro al giorno) e il 60% in condizioni di precarietà (meno di 4,5 euro al giorno).

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Il governo rivendica le sue politiche sociali
Di fronte alle proteste e all’aumento del malcontento sociale, il governo guidato dall’imprenditore Aziz Akhannouch ha più volte rivendicato quella che definisce la sua “politica sociale”, in particolare l’estensione della copertura sanitaria a oltre 10 milioni di marocchini a basso reddito. Lo scorso ottobre, il governo ha inoltre annunciato un nuovo maxi-fondo sovrano da 4 miliardi di euro creato per sostenere gli investimenti pubblici e tentare così di rilanciare l’economia del paese e contrastare la crisi.
Si tratta però di misure ritenute parziali e insufficienti da parte delle opposizioni di sinistra. In particolare i sindacati denunciano la rinuncia, da parte del governo marocchino, al varo di una tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche. Proposta dalle opposizioni parlamentari anche sulla base dell’appello del segretario generale dell’ONU a tassare gli “scandalosi” profitti realizzati dalle aziende del settore energetico in maniera da recuperare risorse da destinare al contrasto dell’inflazione e della povertà, alla fine il premier Akhannouch non ha inserito la misura all’interno della legge finanziaria adottata lo scorso 19 ottobre dal Consiglio dei Ministri. La rinuncia a questa e ad altre misure redistributive ha rilanciato le accuse, nei confronti dell’esecutivo, di favorire l’élite economica e di incarnare la collusione tra potere politico e mondo degli affari.

“No agli arresti dei dissidenti”
I manifestanti hanno anche lanciato slogan contro gli arresti di dissidenti, denunciando «ogni forma di repressione politica, antisindacale e contro la libertà d’espressione, mentre vengono incarcerati diversi blogger e giornalisti critici nei confronti del governo. «È una regressione inaccettabile», ha denunciato Ferachine.

Uno degli ultimi arresti ha preso di mira, a novembre, è stato l’ex ministro dei Diritti Umani Mohamed Ziane. A ottobre l’avvocato e fondatore del Partito Liberale, che attualmente ha 80 anni, aveva chiesto l’abdicazione del sovrano Mohamed VI – che risiede a Parigi e rientra in Marocco solo per alcune cerimonie – e la fine della sistematica violazione dei diritti politici e democratici. Per tutta risposta Ziane è stato prima oggetto di una feroce campagna denigratoria da parte dei media governativi e delle autorità, ed in seguito è stato condannato dalla Corte d’Appello di Rabat a tre anni di detenzione per un totale di 11 capi di accusa formulati in una denuncia del Ministero degli Interni di Rabat.

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“No agli accordi con Israele”Nel corteo sono state sventolate numerose bandiere palestinesi. La marcia ha rappresentato infatti anche l’occasione per condannare la normalizzazione dei rapporti tra Rabat e lo stato di Israele, decisa nel 2020 nell’ambito degli “accordi di Abramo”. Secondo i sondaggi una gran parte della popolazione si dice contraria alla crescente collaborazione economica e militare tra il regno marocchino e Tel Aviv.L’ultimo importante passo in questo senso risale al 23 marzo scorso, quando il Ministro dell’Industria e del Commercio marocchino Ryad Mezzour e il presidente del board dei direttori dell’Israel Aerospace Industries, Amir Peretz, hanno siglato uno storico accordo di cooperazione.
Nel giugno scorso, poi, il governo di Rabat ha firmato un contratto con l’israeliana Elbit Systems per la fornitura del sistema “Alinet”, allo scopo di sviluppare le capacità del paese nel campo della guerra elettronica.
A luglio il capo di Stato maggiore dell’esercito di Israele, Aviv Kohavi, ha incontrato a Rabat l’omologo marocchino El Farouk; i due avrebbero discusso i dettagli del rafforzamento della cooperazione militare e discusso la possibilità di lanciare un’alleanza regionale volta «a frenare l’influenza iraniana in Medio Oriente e in Nord Africa».
Israele ha anche fornito a Rabat la tecnologia necessaria a produrre in proprio dei droni da bombardamento, che il paese utilizza per colpire la guerriglia del Fronte Polisario, l’organizzazione che si batte per la liberazione dei territori saharawi occupati illegalmente dal Marocco.
Lo scorso 3 dicembre uno di questi droni ha colpito in pieno un fuoristrada nella zona del confine con la Mauritania, uccidendo il conducente e scatenando la reazione di Mohamed el Mokhtar Ould Abdi, governatore della provincia di Tiris-Zemmour, che si trova sulle linee di contatto con l’ex colonia spagnola occupata da Rabat. L’uccisione dei cittadini mauritani fuori dai confini nella zona cuscinetto del Sahara occidentale «non è più accettabile» ha detto il capo del governo locale. Già a settembre due cercatori d’oro mauritani erano stati uccisi nel corso di un bombardamento compiuto da un drone marocchino contro presunte postazioni del Fronte Polisario. – Pagine Esteri

4228752* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora anche con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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#uncaffèconluigieinaudi☕ – Nessun reggimento è più democratico di quello economico


Nessun reggimento è più democratico di quello economico, in cui nessuno è sicuro del posto suo […] se non rendendo altrui servigi migliori e più a buon mercato di quelli resi da altri. da Corriere della Sera, 12 giugno 1921 L'articolo #uncaffèconluigiein
Nessun reggimento è più democratico di quello economico, in cui nessuno è sicuro del posto suo […] se non rendendo altrui servigi migliori e più a buon mercato di quelli resi da altri.


da Corriere della Sera, 12 giugno 1921

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fondazioneluigieinaudi.it/unca…



Guerra in Ucraina: il Vaticano alza la voce


Mentre lo squallore ormai quasi terminale della nostra politica da strapazzo, tra Santanchè che vuole dare le poche spiagge rimaste ai privati beninteso senza gare e, purtroppo i risvolti della nostra ‘tradizione’ politica traferiti a Bruxelles, dove i giudici, liberi dal ‘nordiopensiero’ hanno intercettato masse intere di popolazione di ogni paese e hanno sbattuto in galera […]

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‘Qatargate’: Italia ed Europa, brand delicati nella tempesta


La reputazione di un Paese (in cui si mescolano la storia di ambienti urbani e territoriali con la storia di popoli e genti) è sempre figlia di un conflitto inconscio che riguarda ciascuno degli otto miliardi di inquilini del Pianeta. Anche quelli che non sanno e non sapranno mai razionalmente di ‘essere riguardati’. Anzi, per […]

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È da direi parecchio tempo che uso Standard Notes come app di note personali. Anni fa l'avevo scelta per il suo essere libera e open-source, ma allo s...


Qatargate: la necessità di cambiare le regole del lobbismo


Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, e altre tre persone sono state incriminate e incarcerate domenica 11 dicembre nell’ambito di un’indagine sui sospetti di corruzione in relazione al Qatar. Kaili, deputata socialista greca, responsabile delle relazioni con il Medio Oriente nel suo mandato di vicepresidente, aveva recentemente spiegato ai suoi coetanei che il Qatar era […]

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Carceri: Papa Francesco chiede clemenza


La richiesta, accorata, è rivolta a tutti i capi di Stato. Mittente: il Vaticano, più specificatamente: Papa Francesco. In una lettera si implorano i potenti del mondo perché concedano un provvedimento di indulto a coloro che “ritengano idonei a beneficiare di tale misura”. In questo tempo è l’appello del capo della Chiesa Cattolica “segnato da […]

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Alla Conferenza per l’Ucraina organizzata a Parigi l’imperativo è sostenere Kiev a superare l’inverno. Raccolto un miliardo di euro di aiuti.


Sole in una scatola Energia quasi illimitata, sicura e soprattutto pulita. Sperimentato per la prima volta dall'Unione Sovietica negli anni Cinquanta, l'uso civile della fusione nucleare è sempre parso fuori portata.


La NATO è un moltiplicatore di conflitti: provocazioni anche contro la Serbia - Kulturjam

"Il piano contro la Serbia rischia di aprire un nuovo fronte bellico nel cuore dell’Europa, mentre prosegue il conflitto ucraino. Naturalmente, colpire la Serbia per la NATO significa soprattutto colpire la Russia, storica alleata di Belgrado."

kulturjam.it/politica-e-attual…



Tanto Malus


Forse sorrideremo, quando ricorderemo la stagione dei bonus. Magari se ne farà qualche film di costume. Il conto lo pagheremo, e non si tratta solo di soldi. Fra i tanti bonus, dal monopattino alle terme, dalla facciata alle biciclette, quello relativo al

Forse sorrideremo, quando ricorderemo la stagione dei bonus. Magari se ne farà qualche film di costume. Il conto lo pagheremo, e non si tratta solo di soldi. Fra i tanti bonus, dal monopattino alle terme, dalla facciata alle biciclette, quello relativo alla cultura, elargito ai diciottenni, è tornato a gola e merita un posto di rilievo.

La tecnica è quella adottata con il reddito di cittadinanza: nella coalizione di destra c’è chi aveva votato a favore; la coalizione è guidata da chi aveva urlato contro; in campagna elettorale aveva promesso cancellazioni drastiche; una volta al governo si sono trasformate in modifiche; in che consistano non si sa. Se cambiare significa dare il bonus cultura solo ai “bisognosi” si riaprono due questioni: a. gli italiani che finanziano regali e sconti sono gli stessi che non possono averli; b. in compenso se ne giovano gli evasori fiscali. Il dibattito continua e si fa più intrigante.

Perché darlo a 18 anni? Se si tratta di agevolare la lettura o le frequentazioni teatrali, potrebbe essere dato a 16 o 14. Perché diventano maggiorenni? Ma rispondere di sé stessi non dovrebbe consistere nello spendere, ma nell’orgoglio guadagnare, posto che lavorare non significa necessariamente lasciare gli studi. Temo si premi l’impegno messo nel cercare di non morire prima di quel compleanno perché con quello si diventa anche elettori.

Naturale che tantissimi diciottenni abbiano utilizzato in modo appropriato il regalo (ci torniamo), ma ovvio anche che, trattandosi di soldi consegnati mediante codici di spesa, siano fioriti raggiri e truffe. Dalle più banali (a me piacciono i libri a te le racchette, mi dai i tuoi codici per 500 euro e io te ne do 400) a quelle che comportano falsa fatturazione (sempre per comprare la racchetta invece di andare a sorbirsi la palla teatrale). Di accertato siamo a 9 milioni sprecati, che equivalgono a 18mila diciottenni diseducati a fregare lo Stato. Più i non scoperti.

Vabbè, ma non è corretto usare una devianza per condannare uno strumento degno e utile. Basta intensificare i controlli. Ma non credo sia possibile, perché se il bonus deve essere speso in cultura si apre un problema: cos’è, ‘sta cultura? Acquistare un tomo secentesco lo è, andare al teatro per un Amleto amleticamente lo è, ma lo è anche acquistare un libro di ricette per la carbonara o andare a sganasciarsi con un comicarolo? Non ci sono basi per negarlo. Così via andando si giunge ad un’idea antropologica di cultura, connaturata ad ogni umano comportamento, sicché non può essere negato lo sia anche dipingersi la faccia. Perché, però, dovrei pagarti, se ti pitti le gote? Né la cosa potrà essere risolta affidando all’apposito ufficio ministeriale, sentita la competente commissione e auscultato il battente ministro, il compito di definire la cultura. Una tragedia da scongiurare.

Rientrando nella curtura l’ascoltare un tatuato stonato, acquisito che “bonus” è il residuato di una lingua morta e sono ancora aperte le indagini sulle cause, non escludendosi il suicidio per depressione, forse sarà il caso di chiamarlo con il suo nome: regalo. La cui finalità ultima è insegnare ai cittadini, all’ingresso nell’età adulta, che allungare la mano per la mancetta di Stato è segno di libertà e non di sudditanza, che il soldo preso vale più del guadagnato, che i soldi pubblici non sono di nessuno e toccano a chi se li piglia, e se qualcuno s’ostina a ripetere <<faber est quisque fortunae>> non dategli retta, perché prima o dopo ci libereremo da questi immigrati illegali.

Che la cultura sarebbe materia d’attività scolastica, da far funzionare meglio e con merito, o che alberghi in luoghi come le biblioteche, da diffondere e tenere aperte più a lungo, trovando più acconcio uso a quei quattrini, sarebbe osservazione d’analogica noia e dimostrazione di non avere capito un accidente: i libri non votano, semmai i tipografi.

Renzi lo fece, i successori se lo tennero, gli oppositori lo cangiano come non si sa. E il malus continua.

La Ragione

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Ucraina – Russia: no ad una soluzione ‘Dayton’


All’inizio degli anni ’90, mentre la guerra in Jugoslavia si estendeva alla Bosnia, ho assunto quella che consideravo una posizione di principio. Ho appoggiato l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite alla regione. Ho esortato amici e colleghi a non sostenere azioni per intensificare la guerra. Credevo di essere nel campo pro-pace. Speravo in un […]

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Turchia: l’energia nel 2023


Alla fine di ogni anno, gli analisti energetici dovrebbero fare proiezioni per l’anno successivo. Gli economisti fanno previsioni, gli scienziati sociali fanno previsioni politiche, noi analisti energetici facciamo previsioni energetiche. Alcune di queste previsioni sono valide, molte no. Ciò che è scritto qui è puramente le opinioni personali del suo autore. Nell’anno successivo accadono molte […]

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America indispensabile nella protezione dei diritti umani e della libertà


La Giornata dei diritti umani del 10 dicembre crea una nuova urgenza nell’elevare la consapevolezza necessaria e le azioni critiche per sostenere i diritti umani, la libertà e la democrazia che ora sono in caduta libera in vaste aree del mondo. La preoccupante ascesa dell’autocrazia e il desiderio di tale stabilità percepita e voce collettiva […]

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Il tetto al petrolio russo deciso dal G7 è un favore alla Cina


Ci sono molti errori nell’accordo del G7 per mettere un limite al petrolio russo. Il primo è che non danneggia affatto la Russia. Il cap concordato, a 60 dollari al barile, è superiore all’attuale prezzo degli Urali, superiore alla media quinquennale del prezzo quotato e superiore al prezzo medio del netback di Rosneft. Secondo Reuters, […]

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Gli USA non piegheranno l’esercito cinese con le sanzioni sui semiconduttori


Nell’ottobre 2022, l’amministrazione Biden ha introdotto controlli sulle esportazioni in Cina, vietando la vendita di chip semiconduttori all’avanguardia, le attrezzature avanzate necessarie per fabbricarli e il know-how nei semiconduttori dagli Stati Uniti. I controlli sono il tentativo più serio dell’amministrazione Biden di minare la modernizzazione militare della Cina, ma sono anche le misure più dannose che il […]

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Russia e Cina hanno firmato un patto segreto di difesa?


Alla fine di novembre sono apparse notizie secondo cui Russia e Cina avevano firmato segretamente un accordo di difesa. Un articolo di novembre sul sito web di Russia Matters del Belfer Center della Harvard Kennedy School ha riferito che, quando Putin si è recato a Pechino il 4 febbraio, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, lui e […]

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Statement on EU Comission adequacy decision on US


Dichiarazione sulla decisione di adeguatezza della Commissione europea nei confronti degli USA La nostra breve dichiarazione sulla bozza di decisione di adeguatezza UE-USA da parte della Commissione europea. Duct Taped Executive Order?


noyb.eu/en/statement-eu-comiss…



Ucraina: nuove sfide minacciano la riforma della giustizia


La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina è stata alimentata dai timori che l’emergere di un’Ucraina democratica ed europea potesse fungere da catalizzatore per un cambiamento simile nella Russia autoritaria. Finora, gli ucraini hanno sfidato le avversità e inflitto una sconfitta dopo l’altra all’esercito invasore di Putin. Tuttavia, lontano dal campo di battaglia, le […]

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Borja Valero: ‘per un altro calcio’ dal Real Madrid al Lebowski


Mentre in Qatar si giocano i Mondiali di calcio tra i più inutili e miliardari della storia, discussi ed esecrati per le tante vittime (oltre 6 mila i lavoratori caduti durante la costruzione degli stadi,vere e proprie cattedrali nel deserto), per gli sprechi economici ed energetici (tanto da richiedere l’aria condizionata negli stessi stadi), discussi […]

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PERÙ. Sale il numero dei manifestanti pro-Castillo uccisi


PERÙ. Si aggrava il bilancio degli scontri e sale il numero delle persone uccise durante le azioni di protesta. Chiedono la scarcerazione del presidente destituito e la convocazione dell'Assemblea Costituente. L'articolo PERÙ. Sale il numero dei manifest

AGGIORNAMENTO ORE 14.30

È salito a 7 il numero dei morti tra i manifestanti pro-Castillo che sono scesi in piazza per chiedere la scarcerazione immediata dell’ormai ex presidente del Perù.

I dimostranti rivendicano anche la convocazione immediata dell’Assemblea Costituente.

Intanto i ministri peruviani annunciano una visita nelle zone maggiormente interessate dalle manifestazioni, regioni dichiarate in stato di emergenza, per provare ad aprire un dialogo.

Il ministro della Giustizia e dei diritti umani, José Tello ha dichiarato che la repressione è l’ultima spiaggia ma che lo stato di emergenza serve per garantire la sicurezza.

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di Davide Matrone –

Pagine Esteri, 13 dicembre 2022 – La situazione in Perù è incandescente. La giornata del 12 dicembre ha generato un cambiamento brusco e repentino della realtà del paese in pieno caos. Ieri si è registrato un botta e risposta tra il presidente destituito e detenuto Pedro Castillo e la neo Presidente Dina Boluarte. Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Dichiarazioni scritte che hanno acceso gli animi della popolazione peruviana che nelle ultime ore ha invaso le piazze e le strade di molte città del paese. Lima, Arequipa, Huancabamba, Piura, Ayabaca, Chota, Cusco, Puno, Trujillo, Ucayali ed Andahuaylas, sono solo alcune delle zone calde di questa rivolta popolare che si è incrementata nelle ultime 48 ore. La zona centro sud del Perù è praticamente in rivolta e purtroppo bisogna già fare i conti coi primi 4 morti nelle zone di Andahuaylas e Huancabamba dove anche due scolari minorenni hanno perso la vita durante le manifestazioni popolari. Dina Boluarte viene attaccata ora dai manifestanti con maggior vigore e rabbia per la morte dei due adolescenti.

Ci sono alcune rivendicazioni ferme e precise da parte del popolo peruviano: scarcerazione immediata dell’ex Presidente Pedro Castillo e Convocazione di una Nuova Assemblea Costituente. Quest’ultima è maturata negli anni nella società peruviana e dagli ambienti accademici ha poi conquistato i settori dei contadini e lavoratori del paese. La più grande manifestazione per la Nuova Assemblea Costituente si ebbe nel novembre del 2020 quando milioni di peruviani, in rappresentanze delle forze politiche rivoluzionarie e progressiste del paese, scesero in piazza per chiedere la fine della Costituzione liberista e fascistoide dell’epoca del Fujimorismo. Nel programma elettorale di Pedro Castillo, durante le elezioni del 2021 c’era anche appunto quella della Convocazione dell’Assemblea Costituente. Nonostante i buoni propositi però non c’è stato poi il tempo di metterla in pratica. Nella giornata di ieri l’ex presidente del Perù si è espresso con le seguenti parole attraverso il suo twitter: “Caro, grandioso e paziente popolo peruviano. Io, Pedro Castillo, è lo stesso che 16 mesi fa venne eletto dal popolo per essere Presidente Costituzionale della Repubblica. Vi parlo nel momento più difficile del mio governo umiliato, incomunicato, maltrattato e sequestrato ma ancora investito della fiducia del popolo sovrano, ma anche intriso dello spirito glorioso dei nostri antenati. Vi parlo per ribadire in modo incondizionato di essere fedele al mandato popolare e costituzionale che ricopro come Presidente. Non abbandonerò e non mi dimetterò dalle mie alte e sacre funzioni. Quanto è stato detto recentemente da una usurpatrice del potere è quanto vuole la destra golpista del paese. Pertanto, il popolo non dovrebbe innamorarsi del suo sporco gioco di chiedere elezioni anticipate. Basta con gli abusi. Assemblea Costituente, ora. Libertà immediata”.

Queste parole dure e ferme di Castillo vengono immediatamente dopo alle dichiarazioni di Dina Boluarte che ha dichiarato alla Nazione: “All’assumere l’incarico di Presidente ho ribadito sin dal primo minuto che il mio governo avrebbe cercato il dialogo e la concertazione con tutti per il bene del paese. Governare significa rappresentare gli interessi di tutti i peruviani. Il mio dovere come Presidente della Repubblica è leggere ed interpretare le aspirazioni del popolo peruviano. Mi assumo la responsabilità di realizzare un dialogo con il Congresso ed anticipare le elezioni per il prossimo anno”. Una serie di affermazioni vuote e piene di retorica che non convincono per niente il popolo in lotta se non gli interessi delle elite peruviane. Le dichiarazioni di Boluarte sembrano uscite da un copione già ascoltato e visto in Ecuador con l’allora Presidente Lenin Moreno che con la scusa del dialogo e della concertazione aprì la strada allo smantellamento dello stato sociale costruito coi 10 anni di Rafael Correa. Dina Boluarte va per lo stesso cammino a quanto pare.

Intanto anche il popolo indigeno del Perù si è unito alle proteste in difesa del programma politico del Presidente Castillo. Nella giornata del 12 dicembre, le nazionalità indigene del Perù hanno espresso la volontà di realizzare una marcia in tutto il paese attraversolo da nord a sud. In una conferenza stampa all’aperto hanno rilasciato le seguenti parole: “Non hanno permesso di lavorare il governo. Questo Congresso ha frenato l’iter di almeno una sessantina di progetti di legge a favore dei contadini e dei lavoratori che erano parte del programma elettorale di Castillo. Il Congresso in modo frenetico e arbitrario ha destituito il Presidente e ora lo vuole anche già sentenziare. Il popolo indigeno del Perù non può restare in silenzio di fronte a questo delitto perpetuato dal Congresso. Quindi, ci stiamo organizzando e stiamo allertando tutto il popolo affinché giunga fino a Lima per circondare e chiudere il Congresso del paese”.

Nel frattempo a livello continentale, in un comunicato congiunto, le cancellerie dei governi di Colombia, Bolivia, Messico ed Argentina non riconoscono Dina Boluarte come Presidente Costituzionale del Perù. Allo stesso tempo esprimono la loro preoccupazione per le sorti dell’ex Presidente Castillo che è stato vittina di un atto antidemocratico come sanzionato nell’articolo 23 della Convezione Americana sui Diritti Umani ratificato nel Patto di Costa Rica, approvato il 22 novembre del 1969. Inoltre, lo stesso Pedro Castillo è stato oggetto di un trattamento giuridico violento in violazione dell’articolo 25 della stessa Convenzione. I quattro governi latinoamericani dichiarano, oltretutto, che venga accettata la volontà del popolo peruviano attraverso le urne, nuovamente. Pagine Esteri

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Andrea Russo

@Simona :mastodon:⚜ Castillo ha tentato un colpo di stato, ma ha avuto buoni motivi per farlo.

Premetto che Castillo non è una bella persona, è una cosa a metà tra un D'Alema e un Beppe Grillo: affarista ma anche populista giacobino, a cavallo tra lo zoccolo duro della sinistra eversiva e l'imprenditoria chiacchierata di sinistra.

Tuttavia si è ritrovato eletto a furor di popolo ma con un parlamento totalmente ostile e in mano ai fujimoriani che hanno tentato l'impeachment per due o tre volte per "indegnità" (sulla base di alcune accuse di corruzione, sicuramente vere ma non così strane per quegli stati) e che, un anno fa, ha approvato una legge interpretativa della costituzione che limitava la capacità del Presidente di sciogliere il Parlamento (mentre il Parlamento conservava il diritto di mettere sotto accusa il Presidente). Alla fine ci stavano riuscendo, ma Castillo ha provato lo stesso a sciogliere il Parlamento.
Il resto è cronaca, ma la storia può essere riassunta nella solita capacità della peggiore destra di saper fare opposizione dura (prendendola da molto lontano: vedi la grazia a Fujimori...), vittimismo strappalacrime e bastardate istituzionali. Il tutto con l'appoggio degli USA!

Per quanto riguarda la Boluarte, non è strano che la Fujimorina ne abbia parlato bene: Boluarte è un pupazzo che non conta nulla e un po' di rispetto istituzionale è strumentale alla narrazione della democrazia ripristinata dopo il tentato golpe. Ma in realtà si tratta di una presidente debolissima che deve fare buon viso a cattivo gioco e ha inaugurato un governo tecnico così di destra (capitanato dal presidente degli avvocati peruviani) che il governo Draghi in confronto sembra un governo democristiano di fine anni 70.

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Andrea Russo
@Simona :mastodon:⚜ è un casino. Io seguo la politica ispano americana in maniera mediamente più accurata rispetto alla normalità, ma non riesco a starci dietro: mi basta smettere di leggere le notizie di un singolo paese per due o tre mesi e mi rendo conto che potrebbe essere cambiato tutto e che devo rimettermi al passo con quello che è successo 🤣


PERÙ. Il popolo chiede la liberazione del presidente Castillo, militari uccidono quattro giovani


Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Parole che hanno innescato una rivolta popolare. Colombia, Bolivia, Messico e Argentina n

di Davide Matrone –

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Pagine Esteri, 13 dicembre 2022 – La situazione in Perù è incandescente. La giornata del 12 dicembre ha generato un cambiamento brusco e repentino della realtà del paese in pieno caos. Ieri si è registrato un botta e risposta tra il presidente destituito e detenuto Pedro Castillo e la neo Presidente Dina Boluarte. Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Dichiarazioni scritte che hanno acceso gli animi della popolazione peruviana che nelle ultime ore ha invaso le piazze e le strade di molte città del paese. Lima, Arequipa, Huancabamba, Piura, Ayabaca, Chota, Cusco, Puno, Trujillo, Ucayali ed Andahuaylas, sono solo alcune delle zone calde di questa rivolta popolare che si è incrementata nelle ultime 48 ore. La zona centro sud del Perù è praticamente in rivolta e purtroppo bisogna già fare i conti coi primi 4 morti nelle zone di Andahuaylas e Huancabamba dove anche due scolari minorenni hanno perso la vita durante le manifestazioni popolari. Dina Boluarte viene attaccata ora dai manifestanti con maggior vigore e rabbia per la morte dei due adolescenti.

Ci sono alcune rivendicazioni ferme e precise da parte del popolo peruviano: scarcerazione immediata dell’ex Presidente Pedro Castillo e Convocazione di una Nuova Assemblea Costituente. Quest’ultima è maturata negli anni nella società peruviana e dagli ambienti accademici ha poi conquistato i settori dei contadini e lavoratori del paese. La più grande manifestazione per la Nuova Assemblea Costituente si ebbe nel novembre del 2020 quando milioni di peruviani, in rappresentanze delle forze politiche rivoluzionarie e progressiste del paese, scesero in piazza per chiedere la fine della Costituzione liberista e fascistoide dell’epoca del Fujimorismo. Nel programma elettorale di Pedro Castillo, durante le elezioni del 2021 c’era anche appunto quella della Convocazione dell’Assemblea Costituente. Nonostante i buoni propositi però non c’è stato poi il tempo di metterla in pratica. Nella giornata di ieri l’ex presidente del Perù si è espresso con le seguenti parole attraverso il suo twitter: “Caro, grandioso e paziente popolo peruviano. Io, Pedro Castillo, è lo stesso che 16 mesi fa venne eletto dal popolo per essere Presidente Costituzionale della Repubblica. Vi parlo nel momento più difficile del mio governo umiliato, incomunicato, maltrattato e sequestrato ma ancora investito della fiducia del popolo sovrano, ma anche intriso dello spirito glorioso dei nostri antenati. Vi parlo per ribadire in modo incondizionato di essere fedele al mandato popolare e costituzionale che ricopro come Presidente. Non abbandonerò e non mi dimetterò dalle mie alte e sacre funzioni. Quanto è stato detto recentemente da una usurpatrice del potere è quanto vuole la destra golpista del paese. Pertanto, il popolo non dovrebbe innamorarsi del suo sporco gioco di chiedere elezioni anticipate. Basta con gli abusi. Assemblea Costituente, ora. Libertà immediata”.

Queste parole dure e ferme di Castillo vengono immediatamente dopo alle dichiarazioni di Dina Boluarte che ha dichiarato alla Nazione: “All’assumere l’incarico di Presidente ho ribadito sin dal primo minuto che il mio governo avrebbe cercato il dialogo e la concertazione con tutti per il bene del paese. Governare significa rappresentare gli interessi di tutti i peruviani. Il mio dovere come Presidente della Repubblica è leggere ed interpretare le aspirazioni del popolo peruviano. Mi assumo la responsabilità di realizzare un dialogo con il Congresso ed anticipare le elezioni per il prossimo anno”. Una serie di affermazioni vuote e piene di retorica che non convincono per niente il popolo in lotta se non gli interessi delle elite peruviane. Le dichiarazioni di Boluarte sembrano uscite da un copione già ascoltato e visto in Ecuador con l’allora Presidente Lenin Moreno che con la scusa del dialogo e della concertazione aprì la strada allo smantellamento dello stato sociale costruito coi 10 anni di Rafael Correa. Dina Boluarte va per lo stesso cammino a quanto pare.

Intanto anche il popolo indigeno del Perù si è unito alle proteste in difesa del programma politico del Presidente Castillo. Nella giornata del 12 dicembre, le nazionalità indigene del Perù hanno espresso la volontà di realizzare una marcia in tutto il paese attraversolo da nord a sud. In una conferenza stampa all’aperto hanno rilasciato le seguenti parole: “Non hanno permesso di lavorare il governo. Questo Congresso ha frenato l’iter di almeno una sessantina di progetti di legge a favore dei contadini e dei lavoratori che erano parte del programma elettorale di Castillo. Il Congresso in modo frenetico e arbitrario ha destituito il Presidente e ora lo vuole anche già sentenziare. Il popolo indigeno del Perù non può restare in silenzio di fronte a questo delitto perpetuato dal Congresso. Quindi, ci stiamo organizzando e stiamo allertando tutto il popolo affinché giunga fino a Lima per circondare e chiudere il Congresso del paese”.

Nel frattempo a livello continentale, in un comunicato congiunto, le cancellerie dei governi di Colombia, Bolivia, Messico ed Argentina non riconoscono Dina Boluarte come Presidente Costituzionale del Perù. Allo stesso tempo esprimono la loro preoccupazione per le sorti dell’ex Presidente Castillo che è stato vittina di un atto antidemocratico come sanzionato nell’articolo 23 della Convezione Americana sui Diritti Umani ratificato nel Patto di Costa Rica, approvato il 22 novembre del 1969. Inoltre, lo stesso Pedro Castillo è stato oggetto di un trattamento giuridico violento in violazione dell’articolo 25 della stessa Convenzione. I quattro governi latinoamericani dichiarano, oltretutto, che venga accettata la volontà del popolo peruviano attraverso le urne, nuovamente. Pagine Esteri

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@Simona :mastodon:⚜ Boric ha detto "Sic transit gloria mundi" (cit. Berlusca vs Gheddafi)

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@Simona :mastodon:⚜ il presidente cileno si è solo detto dispiaciuto che le cose non stiano andando bene. L'Argentina invece oltre che aver sostenuto la Boluarte, non ha nascosto la propria irritazione per come sia stato fatto fuori Castillo


YEMEN: 11.000 bambini uccisi o feriti dalla guerra


Questo il bilancio di otto anni di conflitto pubblicato dall’Unicef, l’Agenzia dell’Onu per i diritti dell’infanzia, ma “è probabile che i numeri siano molto più alti”. Circa 2.2 milioni i bambini gravemente malnutriti. L'articolo YEMEN: 11.000 bambini u

di Valeria Cagnazzo*

Pagine Esteri, 13 dicembre 2022Una media di 4 bambini uccisi o feriti ogni giorno, tutti i giorni, dal 2015 ad oggi. Oltre 3.770 quelli che hanno perso la vita, ma il dato potrebbe essere di gran lunga sottostimato. E’ quanto emerge dal più recente rapporto pubblicato dall’UNICEF, l’Agenzia per l’infanzia delle Nazioni Unite, sugli otto anni di conflitto in Yemen.

A pagare le spese del conflitto che devasta il Paese dal 2015 e vede scontrarsi le forze filogovernative, sostenute dall’Arabia Saudita, e i ribelli Houthi, supportati dall’Iran, sono, ancora una volta, i bambini. Al termine del suo ultimo viaggio in Yemen, la Direttrice Esecutiva dell’Unicef, Catherine Russell, ha denunciato la drammatica situazione in cui versa il Paese e soprattutto la popolazione minorenne, con nuovi allarmanti dati.

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Migliaia di bambini hanno perso la vita”, ha dichiarato, raccontando anche i suoi incontri con i piccoli pazienti nei reparti pediatrici dei pochi ospedali rimasti in piedi, rimasti feriti o menomati a vita a causa della guerra. “Come Mansour, che ho incontrato in un centro di riabilitazione e protesi sostenuto dall’UNICEF. La sua gamba è stata amputata dal ginocchio dopo che è stato colpito da un cecchino. Nessun bambino dovrebbe sopportare tutto questo”.

In aprile 2022, un accordo tra il governo e gli Houthi ha ridotto l’intensità del conflitto, ma tra i bambini si continuano a contare le vittime di una guerra irrisolta. Solo tra inizio ottobre e fine novembre, riferisce sempre l’UNICEF, 62 bambini sono rimasti uccisi o feriti. Non era andata meglio nei tre mesi precedenti, quando almeno 74 altri minorenni avevano perso la vita o subito gravi ferite a causa dell’esplosione di mine antiuomo.

E’ per questo che Catherine Russell ha approfittato della missione per chiedere un rinnovo della tregua nel Paese, e che le parti rivali così come la comunità internazionale si spendano per tutelare l’infanzia yemenita, se ancora si vuole sperare di assicurare ai bambini del Paese “un futuro decente”.

Non sono soltanto le esplosioni, infatti, a minacciare i bambini in Yemen. “Centinaia di migliaia rimangono a rischio di morte per malattie prevenibili o fame“, ha dichiarato Russell. Si perde la vita perché non si ha accesso all’acqua, al cibo, e perché ci si ammala di malattie infettive altrove curabili e prevenibili con l’igiene e le vaccinazioni.

I numeri di bambini che costantemente rischiano di morire per questi motivi sembrano sfuggire alle statistiche. Volendo azzardare un bilancio, ma sottolineando ancora una volta quanto possa sottostimare l’entità del problema, l’UNICEF parla di 2.2 milioni di bambini “gravemente malnutriti”. Un quarto di loro ha meno di cinque anni. Per loro è altissimo il rischio di contrarre e di morire di malattie come il colera e il morbillo. Il 28% dei bambini sotto l’anno, tra l’altro, secondo l’UNICEF non ha ricevuto vaccinazioni.

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Appena pochi giorni fa, il 9 dicembre, l’ONG Medici Senza Frontiere (MSF) ha pubblicato sul suo sito ufficiale l’articolo “Cinque ragioni per cui la malnutrizione sta aumentando in Yemen”. Se è vero che le esplosioni da aprile si sono ridotte, anche l’ONG premio Nobel per la Pace ribadisce come le morti di fame siano in salita.

La povertà generata dalla guerra ha fatto sì che le famiglie non possano più permettersi l’acquisto di cibo, è questa la prima motivazione addotta da MSF al picco di malnutrizione. Né è possibile accedere a cure mediche di base, a causa del collasso del sistema sanitario yemenita. Le condizioni di vita, inoltre, sono spesso drammatiche, e molti sono gli sfollati interni, per i quali l’accesso ai beni di prima necessità è estremamente ridotto. La scarsità di servizi di cure primarie, inoltre, ha drasticamente ridotto la consapevolezza sulla salute, con cure scarse o assenti durante la gravidanza e durante i primi mesi di vita dei bambini, con rischi di malnutrizione e malattie amplificati.

MSF, infine, individua nei vuoti della risposta umanitaria il quinto motivo per il quale lo Yemen sta letteralmente morendo di fame. L’interruzione di programmi di assistenza da parte di alcune organizzazioni o la carenza di programmi nutrizionali o di approvvigionamento di cibo tra gli errori individuati nel settore umanitario. Per questo motivo, ad esempio, il cibo terapeutico per i bambini gravemente malnutrito non arriva in tutte le aree e se è disponibile, non lo è a sufficienza per tutti i pazienti.

Proprio poiché gli sforzi umanitari compiuti nel Paese vittima di otto anni di guerra e troppo spesso dimenticato non sono evidentemente stati sufficienti, durante la sua missione in Yemen, la Direttrice dell’UNICEF ha lanciato l’”Appello di azione umanitaria per i bambini” (Humanitarian Action for Children Appeal). Un fondo grazie al quale raggiungere i bambini vittime delle guerre di tutto il mondo con acqua, cibo, servizi sanitari, educazione e protezione, per il valore di 10.3 miliardi di dollari. In Yemen, riguarderebbe un numero di persone drammaticamente alto: oltre 23.4 milioni di persone, ovvero tre quarti della popolazione, hanno al momento bisogno di assistenza. Oltre 17.8 milioni non hanno accesso ad acqua pulita e servizi igienici. Oltre la metà di loro sono bambini. Pagine Esteri

*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Come medico volontario è stata in Grecia, Libano ed Etiopia. Ha scritto di Palestina su agenzie online, tra cui Nena News Agency, anche sotto pseudonimo. Sue poesie sono comparse nella plaquette “Quando un letto si svuota in questa stanza” per il progetto “Le parole necessarie”, nella rivista “Poesia” (Crocetti editore) e su alcune riviste online. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Per la sezione inediti, nel 2018 ha vinto il premio di poesia “Elena Violani Landi” dell’Università di Bologna e il premio “Le stanze del Tempo” della Fondazione Claudi, mediante il quale nel 2019 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, “Inondazioni” (Capire Editore). Nel 2020, il libro è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.

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In molti sono convinti che il futuro di internet sarà nel metaverso: un mondo digitale immersivo, in tre dimensioni, da vivere in realtà virtuale e in cui dovremmo trasferire una parte crescente delle nostre esistenze, dal lavoro allo shopping, dall’…


Rosemary Sullivan – Chi ha tradito Anne Frank


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Al Jazeera denuncia Israele alla Cpi dell’Aja: «Shireen Abu Akleh fu colpita intenzionalmente»


Nuove evidenze mostrano, secondo il network qatariota, che «è stata una uccisione deliberata». Il premier Lapid: «Nessuno interrogherà o indagherà i soldati dell'esercito israeliano». L'articolo Al Jazeera denuncia Israele alla Cpi dell’Aja: «Shireen Abu

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 7 dicembre 2022 – Non si arrende Al Jazeera. Il network qatariota afferma di essere in possesso di nuovi elementi a sostegno della sua tesi di spari intenzionali da parte di uno o più soldati israeliani contro la sua corrispondente in Cisgiordania, la palestinese con cittadinanza statunitense Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin lo scorso 11 maggio. E ieri ha denunciato lo Stato di Israele alla Corte penale internazionale dell’Aja. «L’affermazione secondo cui Shireen sarebbe stata uccisa per errore in uno scontro a fuoco è completamente infondata», afferma la tv. Quest’ultimo sviluppo giunge dopo un’indagine del team legale di Al Jazeera che avrebbe fatto emergere «nuove prove basate su resoconti di testimoni oculari, l’esame di riprese video e risultati forensi». La risposta del premier israeliano uscente Yair Lapid è stata secca: «Nessuno interrogherà o indagherà i soldati dell’esercito israeliano. Nessuno ci può fare la morale sul comportamento in guerra, tanto meno la rete tv Al Jazeera». Il futuro ministro della Pubblica sicurezza e leader dell’estrema destra Itamar Ben-Gvir ha descritto Al Jazeera come «antisemita» e chiesto la sua espulsione.

Israele respinge l’idea che magistrati e commissioni d’inchiesta internazionali possano svolgere indagini sulle azioni del suo esercito e delle sue forze di sicurezza nei Territori palestinesi che occupa da 55 anni. Sostiene che il suo sistema giudiziario militare è in grado di giudicare in modo indipendente. Tuttavia, dati e statistiche esaminate dai centri per la difesa dei diritti umani, a cominciare dall’israeliano B’Tselem, evidenziano che solo in casi rari la magistratura militare israeliana, dopo le denunce presentate da civili palestinesi o in seguito ad offensive ed operazioni dell’esercito a Gaza e in Cisgiordania, ha chiesto l’incriminazione di soldati o agenti della guardia di frontiera (polizia). L’inchiesta, dice B’Tselem, di solito viene chiusa senza conseguenze per i militari. Si attende, ad esempio, l’esito di quella relativa a un caso della scorsa settimana. Ammar Mufleh, un palestinese di 23 anni, è stato fermato ad Huwara (Nablus) da un soldato israeliano. Un filmato mostra Mufleh tenuto per la testa dal militare. Il giovane, disarmato, sferra pugni sul braccio e sul torace del militare che a un certo estrae una pistola e gli spara contro più colpi, anche quando è a terra, uccidendolo all’istante. I palestinesi denunciano una «esecuzione a sangue freddo» simile, affermano, ad altre avvenute in questi ultimi anni in occasione di attacchi, spesso solo tentati o minacciati, all’arma bianca a soldati israeliani. Questi ultimi, aggiungono, sparerebbero intenzionalmente «per uccidere sul posto» l’aggressore. Il soldato di Huwara (un druso), intervistato da un tv israeliana, ha detto di aver aperto il fuoco perché si è sentito in pericolo di vita e perché il palestinese voleva prendergli il mitra. L’inchiesta, sostengono i palestinesi, non metterà in dubbio la sua versione.

Al Jazeera in ogni caso non intende accettare la spiegazione data da Israele dell’uccisione di Shireen Abu Akleh, ossia che la giornalista sia stata colpita «accidentalmente» da tiri dei soldati. Tesi accolta nei mesi scorsi da un team di investigatori statunitensi. «Le prove presentate alla Corte dell’Aja – ha spiegato l’emittente che ha anche mandato in onda un nuovo servizio d’inchiesta sull’accaduto – ribaltano le tesi delle autorità israeliane e confermano, al di là di ogni dubbio, che non c’erano scambi di colpi d’arma da fuoco nella zona dove si trovava la giornalista se non quelli indirizzati direttamente a lei dalle Forze di occupazione israeliane». «Le evidenze mostrano – ha proseguito la tv qatariota – che questa uccisione deliberata faceva parte di una campagna più vasta per colpire e silenziarci».

L’avvocato della tv, Rodney Dixon, ha spiegato che sta lavorando per identificare chi è direttamente coinvolto nell’uccisione di Abu Akleh. Al Jazeera vuole anche una indagine della Cpi sulla distruzione, durante la guerra del maggio 2021, da parte dell’aviazione israeliana, dell’edificio con la sua sede a Gaza city. Israele la giustificò con la presunta presenza nel palazzo di combattenti di Hamas. Pagine Esteri

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PERU’. Il popolo chiede la liberazione del presidente Castillo, militari uccidono quattro giovani


Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Parole che hanno innescato una rivolta popolare. Colombia, Bolivia, Messico e Argentina n

di Davide Matrone

Pagine Esteri, 13 dicembre 2022 – La situazione in Perù è incandescente. La giornata del 12 dicembre ha generato un cambiamento brusco e repentino della realtà del paese in pieno caos. Ieri si è registrato un botta e risposta tra il presidente destituito e detenuto Pedro Castillo e la neo Presidente Dina Boluarte. Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Dichiarazioni scritte che hanno acceso gli animi della popolazione peruviana che nelle ultime ore ha invaso le piazze e le strade di molte città del paese. Lima, Arequipa, Huancabamba, Piura, Ayabaca, Chota, Cusco, Puno, Trujillo, Ucayali ed Andahuaylas, sono solo alcune delle zone calde di questa rivolta popolare che si è incrementata nelle ultime 48 ore. La zona centro sud del Perù è praticamente in rivolta e purtroppo bisogna già fare i conti coi primi 4 morti nelle zone di Andahuaylas e Huancabamba dove anche due scolari minorenni hanno perso la vita durante le manifestazioni popolari. Dina Boluarte viene attaccata ora dai manifestanti con maggior vigore e rabbia per la morte dei due adolescenti.

Ci sono alcune rivendicazioni ferme e precise da parte del popolo peruviano: scarcerazione immediata dell’ex Presidente Pedro Castillo e Convocazione di una Nuova Assemblea Costituente. Quest’ultima è maturata negli anni nella società peruviana e dagli ambienti accademici ha poi conquistato i settori dei contadini e lavoratori del paese. La più grande manifestazione per la Nuova Assemblea Costituente si ebbe nel novembre del 2020 quando milioni di peruviani, in rappresentanze delle forze politiche rivoluzionarie e progressiste del paese, scesero in piazza per chiedere la fine della Costituzione liberista e fascistoide dell’epoca del Fujimorismo. Nel programma elettorale di Pedro Castillo, durante le elezioni del 2021 c’era anche appunto quella della Convocazione dell’Assemblea Costituente. Nonostante i buoni propositi però non c’è stato poi il tempo di metterla in pratica. Nella giornata di ieri l’ex presidente del Perù si è espresso con le seguenti parole attraverso il suo twitter: “Caro, grandioso e paziente popolo peruviano. Io, Pedro Castillo, è lo stesso che 16 mesi fa venne eletto dal popolo per essere Presidente Costituzionale della Repubblica. Vi parlo nel momento più difficile del mio governo umiliato, incomunicato, maltrattato e sequestrato ma ancora investito della fiducia del popolo sovrano, ma anche intriso dello spirito glorioso dei nostri antenati. Vi parlo per ribadire in modo incondizionato di essere fedele al mandato popolare e costituzionale che ricopro come Presidente. Non abbandonerò e non mi dimetterò dalle mie alte e sacre funzioni. Quanto è stato detto recentemente da una usurpatrice del potere è quanto vuole la destra golpista del paese. Pertanto, il popolo non dovrebbe innamorarsi del suo sporco gioco di chiedere elezioni anticipate. Basta con gli abusi. Assemblea Costituente, ora. Libertà immediata”.

Queste parole dure e ferme di Castillo vengono immediatamente dopo alle dichiarazioni di Dina Boluarte che ha dichiarato alla Nazione: “All’assumere l’incarico di Presidente ho ribadito sin dal primo minuto che il mio governo avrebbe cercato il dialogo e la concertazione con tutti per il bene del paese. Governare significa rappresentare gli interessi di tutti i peruviani. Il mio dovere come Presidente della Repubblica è leggere ed interpretare le aspirazioni del popolo peruviano. Mi assumo la responsabilità di realizzare un dialogo con il Congresso ed anticipare le elezioni per il prossimo anno”. Una serie di affermazioni vuote e piene di retorica che non convincono per niente il popolo in lotta se non gli interessi delle elite peruviane. Le dichiarazioni di Boluarte sembrano uscite da un copione già ascoltato e visto in Ecuador con l’allora Presidente Lenin Moreno che con la scusa del dialogo e della concertazione aprì la strada allo smantellamento dello stato sociale costruito coi 10 anni di Rafael Correa. Dina Boluarte va per lo stesso cammino a quanto pare.

Intanto anche il popolo indigeno del Perù si è unito alle proteste in difesa del programma politico del Presidente Castillo. Nella giornata del 12 dicembre, le nazionalità indigene del Perù hanno espresso la volontà di realizzare una marcia in tutto il paese attraversolo da nord a sud. In una conferenza stampa all’aperto hanno rilasciato le seguenti parole: “Non hanno permesso di lavorare il governo. Questo Congresso ha frenato l’iter di almeno una sessantina di progetti di legge a favore dei contadini e dei lavoratori che erano parte del programma elettorale di Castillo. Il Congresso in modo frenetico e arbitrario ha destituito il Presidente e ora lo vuole anche già sentenziare. Il popolo indigeno del Perù non può restare in silenzio di fronte a questo delitto perpetuato dal Congresso. Quindi, ci stiamo organizzando e stiamo allertando tutto il popolo affinché giunga fino a Lima per circondare e chiudere il Congresso del paese”.

Nel frattempo a livello continentale, in un comunicato congiunto, le cancellerie dei governi di Colombia, Bolivia, Messico ed Argentina non riconoscono Dina Boluarte come Presidente Costituzionale del Perù. Allo stesso tempo esprimono la loro preoccupazione per le sorti dell’ex Presidente Castillo che è stato vittina di un atto antidemocratico come sanzionato nell’articolo 23 della Convezione Americana sui Diritti Umani ratificato nel Patto di Costa Rica, approvato il 22 novembre del 1969. Inoltre, lo stesso Pedro Castillo è stato oggetto di un trattamento giuridico violento in violazione dell’articolo 25 della stessa Convenzione. I quattro governi latinoamericani dichiarano, oltretutto, che venga accettata la volontà del popolo peruviano attraverso le urne, nuovamente. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2022/12/13/mon…



JENIN. Uccisa una palestinese di 16 anni durante un raid dell’esercito israeliano


Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa colpita alla testa da un proiettile. L'esercito israeliano riconosce che potrebbe essere stata uccisa "accidentalmente" dal fuoco dei suoi soldati. L'articolo JENIN. Uccisa una palestinese

AGGIORNAMENTO ORE 18.30

L’esercito israeliano comunica che con “alta probabilità” un cecchino della polizia di frontiera ha “accidentalmente” sparato e ucciso la sedicenne Jana Zakarna che, dice il comunicato, sarebbe stata vicina a uomini armati che da un tetto sparavano ai soldati durante un raid a Jenin.

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della redazione

(nella foto Jana Zakarna)

Pagine Esteri, 12 dicembre 2022 – Con una sorta di ammissione parziale delle sue responsabilità, l’esercito israeliano ha comunicato di aver avviato indagini per “accertare” se i suoi soldati hanno aperto il fuoco verso una ragazzina palestinese, uccidendola, la scorsa a Jenin, in Cisgiordania. Una uccisione che descrive come “accidentale” perché, afferma in un comunicato il portavoce militare, è avvenuta “durante uno scontro a fuoco con uomini armati palestinesi”. Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa con una ferita da arma da fuoco alla testa dopo che le truppe israeliane si erano ritirate da Jenin.

Secondo la tv israeliana Kan e il portale di notizie Ynet, Zakarna potrebbe “essere stata erroneamente presa di mira” mentre osservava le truppe dal terrazzo. I soldati, affermano gli stessi media israeliani, hanno effettivamente sparato contro i tetti di diverse abitazioni di Jenin, da dove, affermano, combattenti palestinesi avrebbero aperto il fuoco sulle forze israeliane che stavano arrestando due fratelli “ricercati”, Thaer e Muhammad Hatnawi, di 40 e 33 anni, e Hassan Marei, 30 anni. Altri tre palestinesi sono stati feriti negli scontri a fuoco.

La “Brigata Jenin” ha comunicato di aver resistito con un intenso fuoco di armi automatiche al raid israeliano al quale hanno preso parte anche soldati di unità speciali sotto copertura e cecchini piazzati sui tetti. Tra gli israeliani non si segnalano feriti. La scorsa settimana i militari avevano ucciso altri tre palestinesi a Jenin.
Questa mattina due giovani militanti sono rimasti feriti in un’esplosione avvenuta nel campo profughi della città causata, secondo la Brigata Jenin, dal fuoco di un drone israeliano. Questa versione non ha però trovato una conferma indipendente.

Jana Zakarna è il 218esimo palestinese ucciso dalle forze armate israeliane quest’anno, in gran parte in Cisgiordania durante ripetute incursioni in città e villaggi scattate dopo gli attacchi armati della scorsa primavera a Tel Aviv e altre città che hanno ucciso 18 civili israeliani. Tra le vittime palestinesi figurano una cinquantina di minori e una giornalista, Shireen Abu Akleh, della tv qatariota Al Jazeera, anche lei colpita “accidentalmente” secondo la versione fornita dall’esercito israeliano. Pagine Esteri

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Luigi Einaudi e la successione


Un liberale come Luigi Einaudi attribuiva al merito un significato individuale, tale per cui la societa e l’organizzazione economica devono premiare l’intelligenza, la fatica e il lavoro del singolo individuo, mentre ciò non vale nel caso di chi eredita u

Un liberale come Luigi Einaudi attribuiva al merito un significato individuale, tale per cui la societa e l’organizzazione economica devono premiare l’intelligenza, la fatica e il lavoro del singolo individuo, mentre ciò non vale nel caso di chi eredita una piccola o grande fortuna da quel singolo individuo che l’ha accumulata nel tempo.

Eppure lo stesso Einaudi sottolinea una cosa di buon senso, ovvero che chi “fa i soldi” non li fa soltanto per sé stesso o per la gloria ma esattamente per passare questa ricchezza ai propri figli o in generale a chi egli ritenga degno di riceverla al momento della propria morte (anche prima, tramite delle donazioni). Quindi bisogna stare attenti a inventarsi un’imposta di successione espropriativa che tolga all’individuo tutto o quasi il patrimonio nel momento in cui egli passa a miglior vita: si corre il grosso rischio
di togliere una delle motivazioni principali ad avere successo economico.

La situazione peggiora quando le imposte di successione di livello espropriativo vengono utilizzate per finanziare la cosiddetta “spesa corrente” e non quella “in conto capitale” per investimenti di lungo termine. Il rischio é che le ricchezze accumulate dagli individui vengano dissipate senza che queste abbiano il tempo di ricostituirsi (grazie alla residua voglia dei cittadini di accumularle, messa a dura prova dalle aliquote eccessive dell’imposta stessa).

D’altra parte, secondo Einaudi é più che giusto che l’imposta di successione serva ad appianare almeno in parte le differenze nei punti di partenza conseguenti ai diversi patrimoni familiari. Tuttavia, l’imposta di successione dev’essere ben congegnata, tenendo presente esigenze diverse che ‘spingono’ in direzioni diverse, per cui é necessario trovare un compromesso intelligente.

Einaudi esplicitamente apprezzava la cosiddetta proposta del “sistema Rignano” (nulla a che fare con il Comune di nascita di Renzi, ovviamente, ma un riferimento all’ingegner Eugenio Rignano che la ideò). Partendo dal presupposto che lo Stato deve utilizzare i proventi per finanziare spese di investimento e non dev’essere pagato in natura ma in denaro (per evitare che accumuli beni — per esempio immobili – di cui farebbe calare pesantemente il valore nel momento in cui decidesse di disfar ìsene per esigenze di cassa), il “sistema Rignano” consiste nell’esentare il primo passaggio successorio (da Tizio al figlio Caio), mentre tutti i passaggi successivi sono tassati per un
terzo del patrimonio iniziale e i pagamenti delle imposte garantiti da un’ipoteca messa dallo Stato sui beni del defunto Tizio. Dunque il nipote Sempronio paga il primo terzo, il bisnipote Caio iunior il secondo terzo e il trisnipote Sempronio iunior l’ultimo terzo. A questo punto l’eredita iniziale sarebbe completamente incamerata dallo Stato, ma tutti i membri della famiglia che eredita possono conservare l’intera eredita iniziale se a ogni passaggio successivo al primo sono in grado di risparmiare una somma pari al terzo del patrimonio iniziale che dev’essere pagato allo Stato, cosi da avere risorse aggiuntive per farlo.

Tanto per essere chiari: per un’eredita di 900mila euro gli eredi a partire da Caio devono risparmiare 300mila euro aggiuntivi per pagare le imposte dovute e preservare il patrimonio iniziale.

La Ragione, 14 dicembre 2022, pag. 3

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PD: quale europeismo?


Con tutto, proprio tutto e anche un po’ di più, con tutto il rispetto per il Prof. Pasquino, non condivido la sua osservazione sul fatto che il PD sia oggi un partito certamente europeista e convintamente tale. Sul fatto, invece, che sia indispensabile in Italia è una cosa non solo condivisibile, ma auspicabile. Purché sia […]

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Ucraina: USA – Russia, quel dialogo mai interrotto


Negli ultimi giorni, mentre sul campo proseguono le operazioni militari e mentre la popolazione civile appare sempre più chiaramente il vero bersaglio della campagna in corso, intorno al teatro ucraino sembrano affacciarsi timidi segnali di distensione. In particolare, dopo l’incontro fra i vertici dei servizi di intelligence russi e statunitensi che si è svolto alla metà […]

L'articolo Ucraina: USA – Russia, quel dialogo mai interrotto proviene da L'Indro.



Medio Oriente: la politica USA è un autogoal


L’amministrazione Biden eccelle nel segnare i propri obiettivi, da nessuna parte più che in Medio Oriente. Nel clamore della recente visita del Presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita è mancato il fatto che nessuna parte del mondo si presta più del Medio Oriente a mettere in pratica la visione dell’amministrazione di un mondo in […]

L'articolo Medio Oriente: la politica USA è un autogoal proviene da L'Indro.



Arresti e perquisizioni per sospetta corruzione finalizzata ad influenzare il Parlamento europeo: lo scandalo ‘Qatargate’ scuote le istituzioni europee.



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Scuola di Liberalismo 2022 – Messina: lezione di Lorenzo Infantino sul tema “Diritto, legislazione e libertà”


Quarto appuntamento dell’edizione 2022, la dodicesima, della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino- Pulejo. Il corso,

Quarto appuntamento dell’edizione 2022, la dodicesima, della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino- Pulejo. Il corso, che tratterà principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articolerà in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.

La quarta lezione si svolgerà lunedì 12 dicembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Diritto, legislazione e libertà” di Friedrich August von Hayek, economista e sociologo annoverabile tra i massimi teorici del Liberalismo.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.

Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina

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Cronache di fasci e Meloni al governo


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) L’osservazione dei primi provvedimenti di questa tanta destra con sfocature centriste è utile per verificare orientamenti e strategie […]

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La geopolitica entra in orbita con le ambizioni spaziali di Stati Uniti e Cina


Le stazioni spaziali sono foriere di un sempre più profondo bipolarismo nelle relazioni internazionali dello spazio. Gli Stati Uniti guidano la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e guideranno tutto ciò che verrà dopo di essa, ma non sono più visti come il potere unipolare incontrastato nello spazio. La Cina ora ha anche una stazione spaziale nazionale, chiamata Tiangong, che […]

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La Turchia si prepara a nuove conquiste


Il 19 novembre il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha iniziato a lanciare attacchi aerei, droni e di artiglieria sulle città della Siria nord-orientale. In quattro giorni sono stati registrati almeno 100 attacchi e le forze democratiche siriane (SDF), la forza sostenuta dagli Stati Uniti nell’area, hanno iniziato a segnalare morti militari e civili. Erdogan […]

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Il valore di scelte moderate


Come ha mostrato da ultimo il ballottaggio della settimana scorsa in Georgia, si può dire, alla MarkTwain, che «la notizia della imminente morte della democrazia americana è risultata fortemente esagerata». Con la vittoria del candidato democratico Raphae

Come ha mostrato da ultimo il ballottaggio della settimana scorsa in Georgia, si può dire, alla MarkTwain, che «la notizia della imminente morte della democrazia americana è risultata fortemente esagerata». Con la vittoria del candidato democratico Raphael Warnock contro il candidato trumpiano Herschel Walker, l’amministrazione Biden consolida la maggioranza di cui dispone al Senato. Si conferma il trend manifestatosi in novembre. L’estremismo di Trump non ha pagato.

L’amministrazione democratica ha perso il controllo della Camera dei rappresentanti ma ha retto all’assalto repubblicano smentendo la regola secondo cui le elezioni di midterm puniscono duramente il partito del Presidente in carica. Nessuno dei candidati estremisti imposti da Trump al partito repubblicano è stato eletto.

Dopo la sua sconfitta nelle elezioni presidenziali del 2020 e il traumatico assalto a Capitol Hill del gennaio 2021, gli anticorpi presenti nella democrazia americana si sono messi in moto e stanno potentemente ridimensionando l’estremismo trumpiano e la sua carica eversiva.
Ricordiamo, a conferma della solidità delle istituzioni americane, anche tutti quei governatori ed altri esponenti del partito repubblicano che rifiutarono di avallare il tentativo di Trump di annullare il risultato delle elezioni presidenziali. Le democrazie non sono mai completamente al riparo da tentativi eversivi. Nelle antiche repubbliche il pericolo era rappresentato da generali vittoriosi in guerra.

Oggi possono essere solo magnati dotati, oltre che di ricchezza, anche di capacità demagogiche, a tentare di imporre soluzioni cesaristiche.
È interessante notare che costoro possono essere sconfitti se vengono contrastati, non da un estremismo di segno opposto, ma da una politica moderata capace di mobilitare gli elettori contrari all’avventurismo politico.

Il ridimensionamento di Trump è una buona notizia non solo per gli Stati Uniti. Lo è anche per le democrazie europee. Perché la sua vittoria, nel 2016, nella democrazia-guida del mondo occidentale, contribuì alla crescita di movimenti estremisti in Europa. Essi erano nati per ragioni che avevano a che fare con la vita interna delle democrazie europee ma ricevettero comunque una forte spinta dalla presidenza Trump e dalle sue politiche.

Cesarismi a parte, le democrazie oscillano, a seconda delle circostanze, fra fasi in cui prevale l’una o l’altra estrema e fasi in cui prevale la politica moderata di forze centriste. Si noti anche che se le elezioni sono vinte da una forza estrema essa, per mantenersi al potere, deve per lo più governare ammainando molte delle bandiere estremiste che agitava prima di vincere le elezioni. Nei casi(drammatici, ma fortunatamente abbastanza rari) in cui il centro politico si svuoti e restino in campo solo gli estremisti, allora la democrazia può correre rischi assai seri. Si immagini una Francia post-Macron, in cui le forze dominanti siano rappresentate solo dalla destra di Marine Le Pen e dalla sinistra di Jean-Luc Mélenchon. A quel punto, bisognerebbe interrogarsi sulla tenuta della democrazia francese.

Le fasi in cui la democrazia esibisce maggiore stabilità sono quelle dominate da forze centriste. E si capisce perché: sono le forze che dispongono della flessibilità necessaria per stipulare i compromessi senza i quali non si governano le nostre società complesse.
C’è in questo anche un insegnamento per l’Italia. La nostra è forse, fra tutte le democrazie occidentali, la più «difficile». Lo testimonia il quarantennio di democrazia bloccata, con la Dc sempre al governo e il Pci sempre all’opposizione. Anche se si cerca di parlarne il meno possibile quel passato influenza il nostro presente.

Consideriamo solo il periodo più recente. Con le elezioni del 2018 ci fu un drammatico indebolimento delle forze centriste e la vittoria di quelle estreme (maggioranza relativa ai 5 Stelle). Si formò uno dei governi più estremisti della nostra storia: il Conte 1 in mano a 5 Stelle e Lega. Ma durò solo un anno. Il Conte 2 (5 Stelle più Partito democratico) che gli succedette si formò con le modalità trasformistiche che sono proprie della nostra tradizione. Il cambiamento di maggioranza comportò però uno spostamento verso politiche più moderate. È seguita la fase, imposta dall’emergenza pandemica, della tregua e della decompressione con il governo Draghi.

L’attuale governo è guidato dalla leader di un partito che viene dall’estrema destra ma è indubbio che Meloni abbia cercato e cerchi di tenere la barra il più possibile al centro. Lo prova, nonostante le intemperanze degli alleati, oltre che la posizione sull’Ucraina, una finanziaria che, sia pure con qualche sbavatura, è in evidente continuità con le politiche del governo Draghi, e un rapporto con Bruxelles che, grazie anche ai buoni uffici del presidente della Repubblica, non è al momento conflittuale. Lo prova pure la posizione del governo sulla giustizia.

Nonostante il tentativo dell’Associazione Nazionale Magistrati e dei suoi tanti amici di far passare il ministro Nordio per un estremista, non c’è nulla nelle posizioni espresse dal ministro che non sia ancorata alla concezione liberale dello Stato di diritto. Ci sono, è vero, le tensioni con la Francia sull’immigrazione. Dureranno fin quando non si troverà un accordo europeo che tuteli i diversi interessi. L’insegnamento riguarda anche quello che al momento (ma fino a quando?) è ancora il maggiore partito di opposizione, il Pd. La tentazione di inseguire i 5 Stelle è evidente e fortissima.

In coincidenza con la volontà di prendere le distanze dalle ragioni fondative del Pd, accusato oggi (nientemeno) che di «neo-liberismo» da alcuni intellettuali (ma anche da certi capi-corrente). Dietro a tutto ciò si intravvede la nostalgia per la «vocazione minoritaria», per i bei tempi in cui il partito comunista era relegato in permanenza all’opposizione. Allora ci si poteva sentire puri e moralmente integri: non c’era il rischio di doversi sporcare le mani con i compromessi che impone l’attività di governo.

Il Pd è a un bivio. Può ribadire la sua volontà di essere una forza capace di contendere credibilmente il governo alla destra, oppure può scegliere la strada opposta: combinare il partito degli amministratori in periferia e quello del movimentismo (alla Mélenchon) al centro. Con scarse probabilità di sconfiggere l’attuale maggioranza alle prossime elezioni. Le democrazie funzionano al meglio quando prevale la moderazione e la politica del compromesso. In quelle fasi possono anche diventare piuttosto noiose. Difficile che capiti anche a noi .

Il Corriere della Sera

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