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PODCAST. SUDAN: Militari golpisti cercano accordo con opposizione ma nelle strade la protesta non cessa


I generali al potere hanno stretto un accordo preliminare con le Forze della libertà e del cambiamento, il più grande gruppo dell'opposizione, per la creazione di un governo di transizione. La popolazione contesta l'intesa che potrebbe offrire ai militari

Pagine Esteri, 6 dicembre 2022 – Nuove mobilitazioni in Sudan contro il generale Abdel Fattah el Burhan e il suo braccio destro (accusato di crimini contro l’umanità) Hamdan Dagalo.

I due militari provano a raggiungere una intesa con l’opposizione politica che, di fatto, lasci nelle mani delle forze armate il controllo del paese e dei suoi apparati economici. Su quanto accade in queste queste ore in Sudan abbiamo intervistato Lorenzo Scategni, volontario italiano a Khartoum,
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Per l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), il 2022 è stato forse uno degli anni più traumatici dalla sua nascita, con gli accordi di Helsinki del 1975, ad oggi.


“Farha”, la Nakba palestinese in un film e Israele boicotta Netflix


Girato dalla regista giordana Darin Sallam, racconta attraverso gli occhi di una ragazzina della strage nel 1948 di una intera famiglia palestinese da parte di una milizia ebraica. L'articolo “Farha”, la Nakba palestinese in un film e Israele boicotta Ne

di Michele Giorgio* –

Pagine Esteri, 6 dicembre 2022 – La campagna contro «Farha» è cominciata ben prima del rilascio del film su Netflix. Gli israeliani, dai ministri fino ai cittadini comuni, o meglio la maggior parte di essi, sono furiosi contro la piattaforma statunitense perché ha reso disponibile al pubblico mondiale un film che attraverso gli occhi di una ragazzina, racconta di una strage avvenuta nel 1948, durante le fasi che portarono alla nascita dello Stato di Israele, di una intera famiglia palestinese, inclusi bambini, da parte di uomini di una milizia ebraica. «È pazzesco che Netflix abbia deciso di trasmettere in streaming un film il cui unico scopo è di incitare contro i soldati israeliani», ha tuonato il ministro delle finanze uscente Avigdor Liberman. Analogo il giudizio del suo collega alla cultura, Hili Tropper: «quel film si fonda su di un mucchio di bugie». Dopo l’inserimento di «Farha» su Netflix, si è anche registrato in Israele un calo degli abbonamenti alla piattaforma. Azioni che non hanno turbato più di tanto la regista del film, la giordana Darin Sallam, che ripete di aver rappresentato una vicenda vera, simile ad altre avvenute nel 1948 e che Israele vorrebbe tenere nascoste.

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Il film piace a molti, naturalmente di più ai palestinesi che vi notano una accurata rappresentazione della violenza subita dai loro nonni e parenti anziani quasi 75 anni fa durante la Nakba, la catastrofe, così come è chiamato l’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi dalla loro terra e la perdita di tutto ciò che avevano, a cominciare dai loro villaggi – distrutti in gran parte dopo il conflitto – e dalle loro case. L’elaborazione del trauma nazionale della Nakba attraverso l’arte è una delle strade privilegiate che segue da un po’ di tempo la folta schiera di giovani registe e registi palestinesi sbocciata negli ultimi 10-15 anni. Un percorso che l’establishment israeliano prova ad ostacolare, in particolare all’estero, perché getta un’ombra sulle azioni e le strategie del movimento sionista e contraddice la narrazione ufficiale della nascita dello Stato ebraico: brutali, violenti e intransigenti furono solo gli arabi, gli israeliani non fecero altro che difendersi e realizzare il «ritorno del popolo ebraico dopo duemila anni nella terra promessa». L’esodo palestinese, secondo questa tesi, fu volontario, nessuno dei profughi e degli sfollati fu costretto a scappare sotto la minaccia delle armi.

«Questa versione non può essere contraddetta neanche da un singolo episodio. Il motivo è semplice: la Nakba per Israele non è mai esistita anche se persino importanti storici israeliani ne hanno scritto sulla base di documenti ufficiali», spiega al manifesto Jeff Halper, antropologo israelo-americano autore di sei libri sulla questione palestinese. «La Nakba non può essere insegnata o studiata nelle scuole – aggiunge Halper – perché il suo riconoscimento metterebbe in discussione l’immagine luminosa che la versione ufficiale ha dato di quanto è accaduto prima, durante e dopo il 1948. Anche il massacro di Deir Yassin (un villaggio nei pressi di Gerusalemme, ndr) ampiamente documentato deve restare chiuso in un cassetto». Di recente, ricorda l’antropologo, «ha generato polemiche e condanne a ripetizione Tantura, un documentario (del regista israeliano Alon Schwarz, ndr) che riferisce con testimonianze dei protagonisti il massacro di decine di palestinesi compiuto sempre nel 1948 da una brigata israeliana». Secondo Halper la comunità internazionale e l’opinione pubblica occidentale accettano senza porsi interrogativi la narrazione ufficiale israeliana perché «considerano necessario tutto ciò che, inclusa la Nakba, ha favorito la creazione dello Stato di Israele».

La campagna israeliana contro «Farha» nel frattempo va avanti. La trama del film è pura fiction, scrivono sui social tanti israeliani, quelle scene, aggiungono, non sono mai avvenute nella realtà. I palestinesi al contrario difendono il film e insistono sul suo fondamento storico. Le atrocità del 1948, scrivono, non sono mai terminate. E denunciano che in serie tv e film di produzione israeliana, presenti anche su Netflix, i palestinesi sono sistematicamente rappresentati come un popolo di violenti e terroristi. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 6 dicembre da Il Manifesto

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Ucraina: un campo di battaglia che si sta esaurendo


Tra i morti militari e civili e quelli che sono fuggiti, la popolazione dell'Ucraina si sta riducendo drammaticamente. La Russia sta perseguendo proprio questo. Un modo per aprire una trattativa realistica con l’avversario vero, gli USA

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A Scienze Politiche sono riprese le lezioni di Scuola di Liberalismo – Gazzetta del Sud


Ha preso il via, nell’aula del Dipartimento di Scienze politiche di piazza XX settembre, il ciclo di lezioni della Scuola di Liberalismo, giunta al suo 12° anno, coordinata da Pippo Rao, che nella sua introduzione ha voluto evidenziare l’importanza di app

Ha preso il via, nell’aula del Dipartimento di Scienze politiche di piazza XX settembre, il ciclo di lezioni della Scuola di Liberalismo, giunta al suo 12° anno, coordinata da Pippo Rao, che nella sua introduzione ha voluto evidenziare l’importanza di approfondire i temi legati al pensiero liberale come momento formativo sui valori di cittadinanza e di società “aperta”.

Un laboratorio culturale che quest’anno vede al centro l’analisi di alcuni testi capitali del pensiero politico, che verranno approfonditi in
13 lezioni sviluppate on line. Ha introdotto la serata il direttore del Dipartimento di Scienze Politiche Mario Calogero. Il senatore Enzo
Palumbo ha voluto ricordare le vittime dell’alluvione di Ischia, luogo legato a Benedetto Croce, che a Casamicciola perdette la famiglia.

Il primo testo ad essere analizzato è stato “Quattro saggi sulla libertà” del grande filosofo Isahia Berlin, e ha visto la relazione-prolusione
del prof. Gluscope Gembillo, storico della filosofia, noto per i suoi studi sulla complessità, che cura la direzione scientifica della Scuola di
Liberalismo. «Siamo di fronte a un testo capitale del pensiero politico del Novecento, una raccolta di saggi scritti dal 1949 agli anni ’50, che contiene temi e argomentazioni di grande attualità», ha ribadito il docente.

Berlin – che teorizzo il liberalismo come forma di difesa individuale contro le ingerenze statali – focalizzò il suo interesse sul “fare storia”, sul tema della ricerca storiografica come elemento fondamentale, sempre dinamico, per comprendere il presente e identificare il vissuto personale e sociale di una personalità e di una comunità, superando- ha osservato Gembillo-quel “presentismo” che oggi invade il pensiero contemporaneo grazie anche all’uso convulso dei social e dei mezzi di divulgazione. Considerava il Novecento come un secolo di rottura rispetto al precedente, col passaggio dal pensiero positivista e razionale all’irrazionalismo, alla diffusione di nuovi filoni di saperi legati alla psicologia e all’esistenzialismo.

Altro tema di grande rilievo, quello della formazione del dissenso da parte delle grandi ideologie, capaci di tacitare, con tecniche apposite, ogni forma di dialogo, di pensiero usando l’ironia dissacrante e depotenziamento della figura degli intellettuali allontanando i “devianti e centralizzando il potere, anche attraverso lo strumento burocratico.

Gazzetta del Sud

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Orbán usa il calcio per proiettare la Grande Ungheria e la discriminazione razziale


L’Ungheria non si è qualificata per la Coppa del Mondo del Qatar, ma ciò non ha impedito al primo ministro Viktor Orbán di sfruttare l’attuale attenzione del mondo per il calcio per segnalare la sua definizione putiniana dei confini dell’Europa centrale come definiti dalla civiltà e dall’etnia piuttosto che dalle frontiere riconosciute a livello internazionale. […]

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Misure e contromisureEmbargo e price cap. Sono queste le due misure entrate in vigore oggi e che riguardano il greggio russo. La prima, imposta dall’UE, riguarda le importazioni via mare.


In Iran i manifestanti indicono tre giorni di sciopero generale. E gli osservatori avvertono: “Anche se fosse confermata, l’abolizione del velo non fermerebbe la protesta”.


Cina – India: LAC, quella linea instabile e precorritrice


60 anni fa: guerra sino-indiana. Come allora, Cina e India, su quello stesso confine che corre tra le montagne himalayane, vivono l'eredità geopolitica di quella guerra. L'Asia meridionale precursore di ciò che potrà essere visto all'interno del sistema internazionale in un futuro decisamente prossimo

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Toscana instagrammabile: alla scoperta dell’enogastronomia della regione


La Toscana è una delle 5 regioni più belle d’Italia, ma conquista la prima posizione se si parla delle fotografie scattate da chi la visita. Le dolci colline toscane, i vigneti e gli uliveti sanno come attirare decine di migliaia di turisti ogni anno, e sono davvero in pochi coloro che resistono alla tentazione della […]

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La Fondazione Luigi Einaudi compie 60 anni: evento a Roma col pescarese D’Andreamatteo


La Fondazione Luigi Einaudi ha appena celebrato il 60esimo anniversario di attività. L’evento celebrativo dell’importante traguardo raggiunto si è tenuto giovedì scorso, 1° dicembre 2022 a Roma, nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Tra i partecipant

La Fondazione Luigi Einaudi ha appena celebrato il 60esimo anniversario di attività.
L’evento celebrativo dell’importante traguardo raggiunto si è tenuto giovedì scorso, 1° dicembre 2022 a Roma, nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.

Tra i partecipanti all’appuntamento anche il pescarese Jacopo D’Andreamatteo, da anni componente della direzione della Fondazione Luigi Einaudi nonché referente in Abruzzo della stessa. D’Andreamatteo è anche autore di un testo pubblicato all’interno del volume celebrativo dal titolo “Sessant’anni di diffusione del pensiero liberale”.

Alla presentazione del volume sono intervenuti, oltre che al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, lhan Kyuchyuk presidente di Alde e parlamentare europeo del gruppo Renew Europe, Hakima El Haité presidente di Liberal International e il senatore Matteo Renzi.

Questo il commento di Jacopo D’Andreamatteo, figlio del compianto onorevole Piero:

“È stato un vero privilegio poter scrivere delle pagine della nostra fantastica storia e del rapporto che lega la Fondazione a Liberal International anche grazie a Giovanni Malagodi che ne è stato presidente per ben due mandati”.

Notizie d’Abruzzo

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56º rapporto CENSIS: italiani malinconici, impauriti ed egoisti


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) In collegamento streaming dal Parlamentino del Cnel ho partecipato alla presentazione del 56° Rapporto Censissulla situazione sociale del […]

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Una casa europea per i liberali italiani.


Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa p

Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa politica europea che più gli è consona. L’Alde, il gruppo liberale dell’Europarlamento

Tra le tante anomalie italiane, ce n’è una poco notata: siamo l’unico Paese europeo a non avere eletti nell’Alde, il gruppo liberale dell’Europarlamento.

È così da decenni, perché da decenni la cultura liberale in Italia è rimasta schiacciata dalla cultura democristiana e da quella socialdemocratica post comunista. Due “chiese” alle quali i liberali italiani hanno finito per associarsi pur di esistere, rassegnandosi ad approdare a Bruxelles nel Ppe piuttosto che nel Pse, due contenitori politici sempre più eterogenei e datati. Un’anomalia in Italia, un’anomalia in Europa.

Ebbene, tutto lascia credere che quest’anomalia verrà presto sanata. Se n’è avuta conferma lo scorso giovedì in occasione delle celebrazioni, in sala Zuccari al Senato, dei sessant’anni di attività culturale e scientifica della Fondazione dedicata al più autorevole dei liberali italiani: Luigi Einaudi. È stato un coro. Dal presidente dell’Alde, Ilhan Kyuchyuk, alla presidente dell’Internazionale liberale, Hakima El Haitè, al leader di Italia Viva, Matteo Renzi in rappresentanza del Terzo Polo, al presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, fino al Segretario generale della Fondazione, il sottoscritto, non c’è stato intervento che non abbia rimarcato l’incongruità di tale anomalia e manifestato l’intenzione di sanarla al più presto.

Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa politica europea che più gli è consona. L’Alde.

I tempi cambiano. Siamo all’inizio di un ciclo politico nuovo in Italia e in Europa. Il brand liberale ed einaudiano vanta oggi un’inedita centralità sia culturale sia politica: tutto il resto ne consegue…

Formiche

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Una casa europea per i liberali italiani.


Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa p

Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa politica europea che più gli è consona. L’Alde, il gruppo liberale dell’Europarlamento

Tra le tante anomalie italiane, ce n’è una poco notata: siamo l’unico Paese europeo a non avere eletti nell’Alde, il gruppo liberale dell’Europarlamento.

È così da decenni, perché da decenni la cultura liberale in Italia è rimasta schiacciata dalla cultura democristiana e da quella socialdemocratica post comunista. Due “chiese” alle quali i liberali italiani hanno finito per associarsi pur di esistere, rassegnandosi ad approdare a Bruxelles nel Ppe piuttosto che nel Pse, due contenitori politici sempre più eterogenei e datati. Un’anomalia in Italia, un’anomalia in Europa.

Ebbene, tutto lascia credere che quest’anomalia verrà presto sanata. Se n’è avuta conferma lo scorso giovedì in occasione delle celebrazioni, in sala Zuccari al Senato, dei sessant’anni di attività culturale e scientifica della Fondazione dedicata al più autorevole dei liberali italiani: Luigi Einaudi. È stato un coro. Dal presidente dell’Alde, Ilhan Kyuchyuk, alla presidente dell’Internazionale liberale, Hakima El Haitè, al leader di Italia Viva, Matteo Renzi in rappresentanza del Terzo Polo, al presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, fino al Segretario generale della Fondazione, il sottoscritto, non c’è stato intervento che non abbia rimarcato l’incongruità di tale anomalia e manifestato l’intenzione di sanarla al più presto.

Le elezioni europee del 2024 saranno un banco di prova. La crisi, di identità e politica, di Forza Italia e del Pd potrebbe mettere in moto una slavina destinata a riqualificare l’offerta politica nazionale e ad alloggiare i liberali italiani nella casa politica europea che più gli è consona. L’Alde.

I tempi cambiano. Siamo all’inizio di un ciclo politico nuovo in Italia e in Europa. Il brand liberale ed einaudiano vanta oggi un’inedita centralità sia culturale sia politica: tutto il resto ne consegue…

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Le proteste in Cina minacciano il potere di Xi?


All'inizio del suo terzo mandato, Xi si trova ad fronte una virulenta recrudescenza della pandemia e un ribollente malcontento che ha portato a proteste in tutta la Nazione. Xi dovrà reagire, ma qualsiasi tipo di reazione potrebbe ottenere l'effetto contrario

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Australia: l’imperativo della difesa è allineare AUKUS e Quad


La collaborazione con i partner AUKUS è fondamentale per Canberra per procurarsi, testare e commercializzare le ultime tecnologie militari. Allo stesso tempo, un impegno più profondo con i partner di Quad Giappone e India può aiutare a garantire una solida rete di filiera per l'industria della difesa australiana

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La Fondazione Luigi Einaudi partecipa all’edizione 2022 di “Più libri più liberi”


La Fondazione Luigi Einaudi è lieta di partecipare all’edizione 2022 di Più libri più liberi, (link al sito) con la presentazione del suo volume, edito da Gangemi Editore, “60 anni di diffusione del pensiero liberale”. Interverranno come relatori il Segre

La Fondazione Luigi Einaudi è lieta di partecipare all’edizione 2022 di Più libri più liberi, (link al sito) con la presentazione del suo volume, edito da Gangemi Editore, “60 anni di diffusione del pensiero liberale”.
Interverranno come relatori il Segretario Generale delle Fondazione Einaudi Andrea Cangini e la Direttrice Scientifica Emma Galli. Introdurrà gli interventi la Dott.ssa Daniela Raspa.

Più libri più liberi è la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria e si svolge a Roma nel mese di dicembre. Dal 2017, la manifestazione si tiene presso il nuovo centro congressi della capitale, La Nuvola, progettata dall’archistar Massimiliano Fuksas. Cinque giorni e oltre 650 eventi in cui incontrare gli autori, assistere a reading e performance musicali, ascoltare dibattiti sulle tematiche di settore.

La Fondazione Luigi Einaudi sarà ospite nello stand della Regione Lazio, che ha patrocinato il progetto editoriale.

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Il FMI deve intensificare gli sforzi per mantenere a galla l’Ucraina nel 2023


Il mondo è giustamente impressionato dalle vittorie inaspettate delle forze armate ucraine contro la Russia, e l’Occidente collettivo ha fornito all’Ucraina armi moderne in abbondanza. Eppure le armi da sole non bastano. Come ha sottolineato l’editorialista Niall Ferguson a settembre: “L’esercito ucraino potrebbe vincere. L’economia ucraina sta perdendo“. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, l’Occidente deve […]

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Iran: i religiosi hanno dichiarato guerra al proprio popolo


Una confraternita ristretta e privilegiata di leader religiosi ha monopolizzato il potere a Teheran dal 1979. Nella loro indifferenza ai cambiamenti nella società iraniana, questa vecchia guardia, nel tentativo di far risorgere i suoi giorni di gloria degli anni '80, ha nuovamente scatenato le odiate pattuglie della moralità su un popolo che non le avrebbe più accettate

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IRIDE, assegnati i contratti per il primo lotto della costellazione italiana


Sabato scorso sono stati assegnati i contratti per la costruzione del lotto iniziale di 22 satelliti multispettrali ad alta risoluzione della costellazione IRIDE. Gli elementi saranno realizzati in Italia in tutta la filiera, o almeno saranno costruiti nei perimetri nazionali i sottosistemi in cui si può assicurare un’autosufficienza e completata, secondo le regole del PNRR, […]

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Giovane ucciso dall’esercito israeliano a Dheisha, 212 i palestinesi morti nel 2022


Secondo le statistiche del Ministero della Salute da inizio del 2022, 160 palestinesi sono stati colpiti morte nei territori della Cisgiordania e 52 nella striscia di Gaza L'articolo Giovane ucciso dall’esercito israeliano a Dheisha, 212 i palestinesi mo

di Elisa Brunelli

Pagine Esteri, 5 dicembre 2022 – Un nastro rosso con il simbolo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina avvolge la fronte di Omar Mannaa, mentre la bandiera palestinese ne copre il corpo esanime. Solo qualche giorno prima compariva in un video mentre preparava il pane nel piccolo forno in cui lavorava, nel cuore del campo profughi di Dheisha di Betlemme. All’alba di questa mattina, 5 dicembre, è stato ucciso durante un’incursione dell’esercito israeliano, operazione che si è conclusa con altri 6 feriti gravi e quattro arresti, tra cui il fratello di Omar. In tutto il territorio di Betlemme è in corso uno sciopero generale che accompagna il funerale del 22enne.

GUARDA IL VIDEO

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Si allunga così la lista dei palestinesi uccisi quest’anno dall’esercito israeliano. Secondo le statistiche del Ministero della Salute palestinese, da inizio del 2022 si contano 212 vittime, 160 nei territori della Cisgiordania e 52 nella striscia di Gaza, in seguito alla guerra dei 3 giorni dello scorso agosto. Una trentina sono invece gli israeliani uccisi nello stesso periodo, in prevalenza in attacchi armati avvenuti la scorsa primavera a Tel Aviv e in altre città.

Frequenti, raccontano dal campo di Dheisha, sono le irruzioni dell’esercito in mezzo alle case che hanno sostituito confusionariamente le prime tende del ‘48. Le testimonianze di quattro generazioni di profughi cominciano dal dramma della Nakba per ricordare i carri armati dell’Intifada fino a raccontare le esistenze e le resistenze di oggi. La strada principale che arriva al campo è disseminata dai resti dell’ultima barricata data alle fiamme. La firma di alcuni giovani residenti per provare ad impedire i raid dentro il campo profughi da parte dei mezzi dell’esercito.

“Non trovo differenza tra la mia generazione e la loro. Non possiamo fare altro che continuare a resistere. Non abbiamo più nulla da perdere”, spiega Mahmoud Ramadan, oggi portavoce del campo. A 15 anni, durante la seconda Intifada, era stato ferito gravemente dai proiettili dell’Occupazione. I blindati israeliani stavano avanzando e, allora come oggi, anche i più giovani tentavano di impedire l’ennesimo attacco al campo. Ai lanci di pietre, i militari avevano risposto con il fuoco dei proiettili. Ramadan si era salvato miracolosamente, a differenza dei suoi compagni, dopo che uno di questi ha raggiunto, recidendola, la vena safena.

L’uccisione di Omar Mannaa si colloca all’interno di una più ampia operazione che ha coinvolto diverse zone dei Territori Occupati. Sono 17 i palestinesi detenuti nelle ultime ore dall’esercito dalle aree sotto controllo dell’Autorità Palestinese, riporta l’agenzia stampa palestinese WAFA.

Nel campo profughi di Jenin è stato arrestato Yhaya Al-Saadi, figlio di Bassaam Al-Saadi, il leader militare in Cisgiordania del gruppo armato del Jihad palestinese. Nella città di Ni’lin, a ovest di Ramallah tre persone sono state arrestate dopo il saccheggio delle loro case. Perquisizioni anche nelle abitazioni di al-Bireh, che si sono concluse con l’arresto di un adolescente. Altre otto persone sono state arrestate nel distretto di Hebron.

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Addameer, l’associazione per il sostegno ai prigionieri palestinesi all’interno delle carceri e nei centri di detenzione israeliani, si contano 4.760 prigionieri politici palestinesi, tra cui 160 minori, 33 donne. 820 quelli sottoposti a “detenzione amministrativa”, senza alcuna accusa né processi a carico. Pagine Esteri

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔸 #Scuola, iscrizioni per l’anno scolastico 2023/2024 dal 9 al 30 gennaio 2023
🔸 Varato il decreto ministeriale: 500 milioni agli ITS.



La fotografia di Yangkun Shi


Il lavoro fotografico del fotografo cinese Yangkun Shi è incentrato sul rapporto tra il singolo e la sua libertà personale, con l’ambiente e la comunità sociale.
La “nuova generazione” cinese ha vissuto un rapido sviluppo e sconvolgimenti politici. Il lavoro fotografico di Yangkun Shi rappresenta visivamente uno scorcio delle ambizioni e delle problematiche dei giovani cinesi. Una fotografia che unisce documentalismo e ricerca personale, concentrandosi su tematiche inerenti la relazione del singolo nei confronti della società.
fotografiaartistica.it/la-foto…



Ritardati


Avevano cominciato durante la campagna elettorale: il Pnrr va cambiato e l’Italia è in ritardo. Il governo Draghi smentiva i ritardi, del resto non rilevati dai controlli della Commissione Ue, mentre avvertiva che quasi tutto era già stato messo a gara, s

Avevano cominciato durante la campagna elettorale: il Pnrr va cambiato e l’Italia è in ritardo. Il governo Draghi smentiva i ritardi, del resto non rilevati dai controlli della Commissione Ue, mentre avvertiva che quasi tutto era già stato messo a gara, sicché c’era poco di modificabile. Poi sono arrivati al governo e i cambiamenti sono cambiati, accantonando i contenuti e concentrandosi sui valori economici, visto che i prezzi di talune materie prime erano cresciuti. E questo è tanto ragionevole quanto già previsto. Al governo, però, taluni ministri si sono messi a sostenere che i ritardi erano gravi e l’Italia non avrebbe mai e poi mai potuto rispettare tutti gli impegni nei tempi previsti. Taluni (come Fitto) lo sosteneva con aria contrita, talaltro (Salvini) con l’audace profilo di chi ha trovato un motivo per polemizzare con l’Ue. Anche se i ritardi sono italiani. Menti in anticipo sui controlli o attardate in campagna elettorale? Fatto è che ieri ha parlato il ministro dell’Economia, Giorgetti: l’Italia rispetterà tutti gli impegni di fine anno. Converranno con noi che le due versioni sono in vago contrasto.

Il guaio è che dei passi ritardati ci sono eccome. Delle direzioni sbagliate sono state imboccate e il rischio del danno grave, all’Italia, è reale. Il Pnrr non è solo un elenco di spese e realizzazioni, talché taluno si chiede se saremo capaci di spendere una tale montagna di soldi. Evidentemente non cogliendo il lato imbarazzante e grottesco di un simile dubitare. Il Pnrr genererà risultati effettivamente rivoluzionari, disincagliandoci da lustri di crescita asfittica, solo al combinarsi di tre fattori: 1. la capacità di investire, senza ritardi e sprechi, i soldi forniti dall’Unione europea, a fondo perduto e a tassi agevolati; 2. la sollecitazione che quegli investimenti devono esercitare sugli investimenti privati, sommandone e sperabilmente moltiplicandone la forza propulsiva; 3. le riforme che prosciughino il pantano in cui l’Italia era finita, non facendo correre rischi alla locomotiva ripartita.

Sul primo punto si è detto e si vedrà. Vogliamo sperare abbia ragione Giorgetti. Il secondo arriva con l’apertura effettiva dei cantieri, e ci siamo. Il terzo non è solo in ritardo, ma in parte interdetto. E, per la miseria, non sarà stato certo il prezzo del gas a far ritardare o contraddire governo e Parlamento. Il che si conferma prendendo alcuni temi rivelatori. Tutti i raziocinanti sanno che, con questa leva demografica, il sistema delle pensioni non regge, difatti tutti parlano di riforme, in un cantiere sempiterno che somiglia all’ammuina. L’ultima riforma con questo nome fu la Fornero. Da lì in poi si lavora con sospensioni, ritocchi, proroghe, aggiustamenti, ammiccamenti e via andare. E lo si sta facendo anche ora con la legge di bilancio. Ma non sono riforme, sono echi ritardati di campagna elettorale.

La crescita chiede digitalizzazione, ma il solo provvedimento preso va in direzione opposta, concedendo di non usarla per incassare (con un limite a 60 euro che somiglia troppo alla richiesta dei tassisti romani per una corsa fuori dal raccordo). Non casca il mondo, ma casca la maschera. La crescita chiede giustizia funzionante e, come detto dal ministro della giustizia, Nordio, farla funzionare significa anche depenalizzare quel che non ha senso sia reato. Ma il primo atto è stata la pasticciata istituzione di un nuovo reato. Il reddito di cittadinanza divide le fazioni, ma tutti ripetono che va fatta la riforma di uffici del lavoro e formazione, ma si vedono solo gli aggiustamenti del reddito, senza le riforme ripetute come poesiole.

Eppure un governo politico dovrebbe essere più bravo di uno tecnico, nell’avviare le riforme. Un Parlamento con una maggioranza chiara più efficiente. Un’opposizione che poi voglia governare più interessata a disegnare il futuro, senza pensare che proporre e inciuciare siano sinonimi. Tutti terreni ritardati. Senza altra scusa se non l’ossessione della propaganda.

La Ragione

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Decretato


Hanno sbagliato. Non è successo niente, non ci sono stati danni, perché era inutile prima, durante e dopo. Ma da quel che è successo va tratto insegnamento. Che il così detto “decreto rave” fosse sbagliato era evidente. Il ministro della giustizia, che c’

Hanno sbagliato. Non è successo niente, non ci sono stati danni, perché era inutile prima, durante e dopo. Ma da quel che è successo va tratto insegnamento.

Che il così detto “decreto rave” fosse sbagliato era evidente. Il ministro della giustizia, che c’entra nulla perché scavalcato, lo ammette candidamente. Il guaio è che il decreto legge è il solo strumento di cui il governo dispone per legiferare autonomamente, salvo ratifica non oltre i 60 giorni. Può farlo solo se necessario e urgente. In questo caso: né l’uno né l’altro. Che lo stesso estensore di quel che è urgente e necessario lo modifichi, è grottesco. Il tutto solo per ottenere della propaganda dozzinale, indirizzata a chi non sa nulla di diritto.

Non è la prima volta che capita e questo non è il primo governo. L’eccesso di decretazione evidenzia un problema legislativo. Decretare male un problema di cultura. Decretare inutilmente il politicantismo. Posto e decretato che questo è stato un errore, lo si usi per non ricascarci.

La Ragione

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Donne e diritto romano d’Oriente nel periodo giustinianeo


Status delle donne e diritto romano orientale La condizione giuridica delle donne nella società romana rivela una situazione asimmetrica e variegata in quanto legata all’estrazione sociale (libera o schiava, patrizia o plebea) e alle caratteristicheContinue reading

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Il 6 dicembre alle ore 15.00, presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Ministro Giuseppe Valditara presenterà il Piano per l’edilizia scolastica.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.



IRAN. Abolita la “polizia morale” ma Teheran non conferma. Tre giorni di nuove mobilitazioni


Ad annunciare lo scioglimento dell’organismo statale considerato responsabile dell’uccisione di Mahsa Amini è stato il Procuratore Generale Montesari. Ma intorno al provvedimento regna l'incertezza. Per i prossimi tre giorni gli attivisti chiamano allo sc

di Valeria Cagnazzo*

Pagine Esteri, 5 dicembre 2022 – Per tre giorni a partire da oggi uno sciopero generale bloccherà le attività commerciali in Iran. A indirlo sono stati nella giornata di ieri gli attivisti che da oltre undici settimane a questa parte portano avanti le proteste che stanno infiammando il Paese. La rabbia per il decesso di Mahsa Amini, ventiduenne di origine curda morta il 16 settembre in una stazione di polizia dopo l’arresto perché non indossava bene il velo, non si è ancora sedata. I manifestanti intanto non allentano la pressione sul governo. Per i prossimi tre giorni, oltre a invitare i commercianti a tenere abbassate le serrande dei loro negozi, chiedono alla popolazione di boicottare qualsiasi attività economica. L’apice di queste giornate dovrebbe essere raggiunto mercoledì 7 dicembre, con una protesta di massa in occasione della visita del Presidente Ebrahim Raisi all’Università di Teheran per le celebrazioni della “Giornata dello studente”.

Quando a metà settembre gli iraniani si sono lanciati in strada in segno di protesta per la presunta uccisione di Amini, nessuno avrebbe previsto che le manifestazioni si sarebbero protratte per oltre due mesi mettendo il Paese a ferro e fuoco con una delle più grandi insurrezioni popolari dalla rivoluzione khomeinista del 1979.

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Mahsa Amini si trovava a Teheran in visita a suo fratello quando la “polizia della moralità”, l’organo del governo che si occupa di vigilare sulla condotta e sull’abbigliamento degli iraniani, l’ha arrestata perché il suo velo copriva la tua testa in maniera blanda, lasciando scoperti i capelli sulla fronte. Due ore dopo, la ragazza, che nella sua famiglia veniva chiamata con il suo nome curdo Jina (pronunciato Zhina), secondo quanto riferito dalle autorità avrebbe avuto un infarto e una crisi epilettica nella stazione di polizia dove era stata condotta. Dopo tre giorni di coma, la studentessa è morta nell’Ospedale Kasra di Teheran, secondo i familiari per le torture subite durante l’arresto.

Nel Paese gli arresti e le violenze della polizia della moralità in nome del rispetto della “sharia” sono all’ordine del giorno, e forse proprio per questo l’uccisione di Mahsa Amini è finita per scatenare un’indignazione inedita. “Chiunque avrebbe potuto essere al suo posto”, hanno commentato gli attivisti sui social. Dal 16 settembre, per le strade le fila dei manifestanti contro il governo di Raisi e contro i suoi bracci armati continuano a ingrossarsi, le donne sfilano accanto agli uomini togliendosi il velo e dandogli fuoco e su Twitter si sono tagliate i capelli “per Mahsa”.

L’esito delle proteste è un fiume di sangue. Secondo l’agenzia HRANA (Human Rights Activist News Agency), da settembre al 3 dicembre almeno 470 manifestanti sarebbero stati uccisi dalla polizia. Tra di loro, ci sarebbero 64 minorenni. I poliziotti uccisi sarebbero al momento 61. Oltre alla mattanza di attivisti, ingenti sono stati anche gli arresti. Sempre secondo HRANA, 18.210 manifestanti sarebbero finiti dietro alle sbarre per aver partecipato alle proteste o per aver espresso critiche online nei confronti del governo.

Un governo che ha smesso di negare l’entità della crisi che l’ha travolto e che sabato scorso ha ammesso, nella persona del Ministro dell’interno, che nelle proteste degli iraniani ci sarebbero state numerose vittime, circa 200 persone secondo le sue stime. Poco più tardi, si sarebbe persino spinto oltre.

E’ di sabato 3 dicembre, infatti, la notizia che la polizia morale iraniana sarebbe stata abolita. A rilanciarla, tra gli altri, Reuters e Al Jazeera, per quanto finora non siano ancora giunte conferme ufficiali da parte del governo di Teheran. Un esito inaspettato e probabilmente insperato anche da parte di gran parte dei manifestanti che da due mesi e mezzo rischiano la vita chiedendo diritti e libertà.

Ad annunciarlo sarebbe stato il Procuratore Generale Mohammad Jafar Montazeri, durante un evento sulla “guerra ibrida nelle recenti rivolte”. Secondo l’agenzia Iranian Labor Agency, intervistato a proposito della polizia morale avrebbe risposto “E’ stata la stessa autorità che l’ha fondata a smantellarla”. Il ministero dell’interno, che è l’organo che effettivamente controlla il corpo dei poliziotti morali, non ha al momento rilasciato né conferme né smentite. Montazeri si sarebbe premurato poi di aggiungere che l’autorità giudiziaria avrebbe continuato a vigilare sulla condotta morale della popolazione.

Sul corpo delle donne iraniane il governo vigila con rigore sin dalla rivoluzione dell’ayatollah Khomeini. E’ contro di lui soprattutto che la folla si scagliava nel giorno del funerale di Mahsa Amini, come principale responsabile della morte della ragazza. Qualsiasi trasgressione da allora può essere punita con l’arresto e con qualunque forma di violenza e di tortura. E’ solo sotto il governo di Mahmoud Ahmadinejad nel 2006, però, che è stato formalmente istituito un corpo di polizia a se stante deputato esclusivamente al controllo del rispetto delle leggi comportamentali della sharia.

La cosiddetta “polizia della moralità”, “Gasht-e-Ershad” in persiano, da allora controlla che le donne indossino adeguatamente il velo, ovvero senza lasciare scoperti i capelli, e che i loro abiti non lascino intuire le forme del loro corpo e le loro maniche coprano le braccia fino ai polsi. Vigila, inoltre, anche sul consumo di alcool, sulle effusioni in pubblico, sugli incontri di uomini e donne che non siano imparentati tra di loro. Ciascuna di queste azioni può comportare una multa o addirittura la detenzione, e sempre più testimonianze negli anni hanno riferito di torture e violenze da parte dei poliziotti morali ai danni delle donne, dentro e fuori le stazioni di polizia.

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Diverse proteste e mobilizzazioni social della società civile iraniana hanno provato negli ultimi anni a contestare l’utilizzo di questo strumento di violenza per reprimere i diritti delle donne iraniane e non solo e, in generale, l’imposizione dell’hijab. Nel 2016, era stata creata addirittura una app per android, “Gershad”, per aiutare le donne a evitare la “polizia della moralità”, segnalando i siti di pattugliamento su una mappa virtuale.

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Sul sito di Play Store, nelle informazioni della app, i cui programmatori sono rimasti anonimi, si legge “Gershad è una mappa di diverse città dell’Iran, insieme a informazioni aggiornate sugli ultimi luoghi in cui è presente la pattuglia dell’Irshad. Osservando la mappa della città in cui vivi, puoi scegliere percorsi che hanno meno probabilità di essere presidiati. Allo stesso tempo, quando ti imbatti in una visita guidata in una parte della città, puoi facilmente segnare la sua posizione a Gershad in pochi secondi e salvare altri cittadini dall’essere intrappolati”. L’app fu bloccata poco dopo il suo lancio.

Adesso ad essere bloccata sarebbe stata finalmente la “polizia della moralità”, al prezzo di centinaia di morti e migliaia di arresti. Secondo molti attivisti, tuttavia, questa presunta “soppressione” potrebbe equivalere semplicemente a un atto “formale” mirato a distrarre l’opinione pubblica internazionale, che aveva condannato negli scorsi mesi la repressione delle manifestazioni in Iran e l’utilizzo della violenza per imporre il velo. L’organismo potrebbe, di fatto, ricostituirsi con un nuovo nome, o le sue “competenze” essere affidate ad altre forze di polizia.

Nessuno, d’altronde, ha annunciato che le donne iraniane saranno liberate dall’imposizione del velo in pubblico, hanno osservato diversi attivisti in rete. Non è solo contro il velo o la polizia della moralità, d’altronde, che stanno protestando da settembre, hanno osservato in molti, ma per porre fine al regime islamico in Iran. La notizia dell’abolizione del corpo di polizia potrebbe comportare quindi un grave danno all’esito delle loro manifestazioni, piuttosto che avere i risvolti positivi che dall’osservatorio occidentale sembrerebbe avere.

It’s disinformation that Islamic Republic of Iran has abolished it’s morality police. It’s a tactic to stop the uprising.
Protesters are not facing guns and bullets to abolish morality police or forced hijab.They want to end Islamic regime.#MahsaAmini
pic.twitter.com/qRcY0Kaepc pic.twitter.com/6ShBqnSbMn

— Masih Alinejad 🏳️ (@AlinejadMasih) December 4, 2022


Lo smantellamento delle pattuglie dell’Ershad potrebbe essere soltanto lo specchietto per le allodole progettato dal governo di Raisi per allontanare gli occhi internazionali dalle strade insanguinate dall’Iran, temono gli attivisti. Un atto pseudo-liberale per convincere delle buone intenzioni del regime. La ratifica della sospensione, transitoria o meno, dei poliziotti della moralità rischierebbe in tal caso di avere come unico effetto quello di spegnere drammaticamente i riflettori sui volti delle donne e degli uomini che in Iran invocano la caduta del governo, condannandoli alla repressione più violenta nel silenzio del mondo. Pagine Esteri

4053221*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993), praticante pubblicista, è un medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Come medico volontario è stata in Grecia, Libano ed Etiopia. Ha pubblicato libri di poesie ottenendo numerosi riconoscimenti e premi.

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VIDEO. Bahrain: re Hamad accoglie il presidente israeliano Herzog, la popolazione lo contesta


Primo viaggio in Bahrain di un capo di stato israeliano dopo la firma degli Accordi di Abramo. Caloroso il benvenuto di re Hamad ma la popolazione della piccola monarchia del Golfo continua a non accettare l'intesa con Israele e manifesta a favore dei pal

della redazione

Pagine Esteri, 4 dicembre – Il presidente israeliano Isaac Herzog ha visitato oggi il Bahrain dove ha incontrato il re, Hamad bin Isa Al Khalifa. I colloqui si sono incentrati sull’espansione delle relazioni bilaterali, cominciate in maniera ufficiale dopo la firma degli Accordi di Abramo tra Israele e quattro paesi arabi nel 2020. Herzog ha descritto il suo viaggio come un «momento di grande importanza» per il Medio Oriente. Il presidente israeliano – che viaggia accompagnato da una delegazione di rappresentanti dell’industria e delle imprese – domani sarà ospite del presidente degli Emirati Arabi Uniti (Uae), Mohamed bin Zayed al Nahyan. L’incontro dovrebbe includere colloqui sulla cooperazione nel settore spaziale. Accolto con calore dal re del Bahrain, Herzog invece è stato duramente contestato dalla popolazione bahranita che sostiene i palestinesi e i loro diritti.

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CISGIORDANIA. 5 palestinesi uccisi. Lapid chiede di fermare la Corte Penale Internazionale


Nuove letali incursioni dell'esercito dello Stato ebraico nei Territori occupati. Un quinto palestinese è stato ucciso dopo aver investito intenzionalmente una israeliana con la sua automobile. L'articolo CISGIORDANIA. 5 palestinesi uccisi. Lapid chiede

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 30 novembre, 2022 – Giunto ai suoi ultimi giorni da primo ministro, Yair Lapid ha inviato una lettera a più di 50 capi di stato e di governo in cui esorta a fermare i palestinesi intenzionati a sollecitare le Nazioni unite ad applicare la risoluzione approvata all’inizio di novembre che chiede il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sull’occupazione militare israeliana, la colonizzazione ebraica e i piani di annessione allo Stato ebraico del territorio palestinese. Secondo Lapid sarebbe in atto «uno sforzo concertato contro Israele, per screditare le legittime preoccupazioni degli israeliani sulla sicurezza e per delegittimare l’esistenza» dello Stato ebraico.

Il premier israeliano uscente, un paio di mesi fa, si era detto a favore della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Ma questa soluzione non potrà mai essere realizzata se prima non avrà termine l’occupazione militare israeliana dei territori di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est cominciata nel 1967. Occupazione presente in ogni momento dell’esistenza degli occupati e che ha colpito anche ieri: quattro palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante incursioni in Cisgiordania alla ricerca, afferma Tel Aviv, di «sospetti terroristi». A Kafr Ein sono stati uccisi due fratelli, Zafer e Jawad Rimawi. A Beit Ummar (Hebron) è stato colpito a morte Mufid Khalil. Il poliziotto dell’Anp Raed al Naasan è stato ucciso durante scontri nel villaggio di Al Mughayer (Ramallah).

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I funerali di due dei cinque palestinesi uccisi, foto WAFA

Un quinto palestinese, Rani Fayez, è stato ucciso a Betunia dopo che, stando al bollettino diffuso dal portavoce dell’esercito, aveva investito intenzionalmente con la sua automobile e ferito gravemente una soldatessa israeliana appena uscita da un parcheggio. Inseguito, Fayez è morto sotto i colpi d’arma da fuoco sparati dalla polizia israeliana. Il portavoce militare ha spiegato le uccisioni come atti di «legittima difesa». Diverso il giudizio dei palestinesi della Cisgiordania. Il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Muhammad Shtayyeh ha definito «un crimine atroce» l’uccisione dei due fratelli. «Siamo di fronte a una escalation – ha detto – che porta il presagio di grandi pericoli». «Con la continua dichiarazione di guerra al nostro popolo, chiediamo ai paesi del mondo di intervenire con urgenza per fermare e frenare la macchina per uccidere israeliana».

L’escalation di questi ultimi giorni, segnati anche da un attentato a Gerusalemme Ovest in cui sono morti due israeliani, rischia di aggravarsi nelle prossime settimane quando la palla passerà al nuovo governo di estrema destra che sta formando Benyamin Netanyahu. Preoccupa più di tutto l’incarico di futuro ministro della Pubblica Sicurezza, con poteri speciali, assegnato a Itamar ben Gvir, il leader del partito razzista Otzmah Yehudit. Stando ai media israeliani i comandi militari hanno avvertito Netanyahu che la situazione potrebbe precipitare in una terza Intifada palestinese se ci saranno provocazioni da parte dei suoi ministri ultranazionalisti.

Nella regione intanto cresce il rischio di una nuova guerra. Manovre aeree che simuleranno attacchi contro le centrali nucleari iraniane sono state avviate ieri dalle aviazioni militari di Israele e Stati Uniti. Si tratta di una delle esercitazioni congiunte più ampie ed impegnative degli ultimi anni. Pagine Esteri

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#uncaffèconluigieinaudi – Poiché si vuole la sorveglianza…


Poiché si vuole la sorveglianza, si tratta solo di determinare le modalità della sorveglianza; affidandola ad organi tecnici che riscuoterebbero la fiducia degli enti sorveglianti e garantirebbero pienamente gli interessi pubblici da Corriere della Sera,
Poiché si vuole la sorveglianza, si tratta solo di determinare le modalità della sorveglianza; affidandola ad organi tecnici che riscuoterebbero la fiducia degli enti sorveglianti e garantirebbero pienamente gli interessi pubblici


da Corriere della Sera, 1 giugno 1913

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Ma Schlein, qualche volta, va a comprare il pane?


Un partito che esce a pezzi dalle elezioni, dovrebbe dire dove vuole andare, cosa fare, da che parte vuole stare. Schlein malgrado tutto non lo dice

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PD: nomi nuovi, partito vecchio


Vorticoso lavorio dietro i candidati del 'rinnovamento' del partito democratico. Mentre Meloni sembra possa dormire sonni tranquilli, Berlusconi e Salvini abbaiano ma non mordono, e Calenda può sempre nel caso venire in soccorso

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