USA – Cina: chip, un’altra faccia della ‘guerra’
La ‘guerra dei chip’ scoppiata negli ultimi mesi fra Stati Uniti e Cina è solo l’ultima puntata del confronto politico-economico fra i due Paesi emerso in tutta la sua evidenza con la ‘trade war’ voluta dall’amministrazione Trump e dal quale la dimensione tecnologica rappresenta una componente importate. Negli ultimi anni, i semiconduttori sono, infatti, diventati un […]
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Il piú grande difetto
"Il più grande difetto che abbiamo, il difetto ineliminabile, è di fare fatica a rimanere concentrati su quello che accade, nel momento preciso in cui viene bene un disegno, quando il respiro dei bambini si fa più lento, prima di addormentarsi. Pensiamo, speriamo, progettiamo, e ci manca qualcuno, ricordiamo il film dell'altra sera, ripensiamo a un messaggio, contiamo sulle dita quanto manca al nostro compleanno, ci distraiamo, ci preoccupiamo, mentre quello che desideriamo è già vicino, speriamo e ci diamo da fare, mentre tutto già brilla e quello che abbiamo voluto e chiesto al cielo molti anni prima è proprio lì, in quel momento."
- Sara Gamberini - Infinito Moonlit
Dissidenze di popolo in Iran e in Cina
“La fiducia è qualcosa che non si vede…ma tesse fili come la tela di un ragno“ (M. Conte) In Iran e molto meno in Cina da tempo converge l’attenzione di media diplomazie governi del mondo. Siamo in una dinamica nuova in due Stati con regime autoritario teocratico o ideologico. Un punto dirimente è come il […]
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La Turchia ratificherà un accordo militare con l’Etiopia tra gli sforzi di riavvicinamento con l’Egitto
Il governo turco ha sottoposto all’approvazione del parlamento un accordo militare firmato con l’Etiopia nel 2021.
L’accordo, che ha ricevuto il via libera martedì dalla commissione per gli affari esteri del parlamento, mira a migliorare le relazioni militari e la condivisione dell’intelligence con l’Etiopia. I legislatori dell’opposizione hanno visto il passo per la ratifica dell’accordo come un’incoerenza nella politica estera del governo in un momento in cui Etiopia ed Egitto sono coinvolti in una disputa per la costruzione di una diga sul Nilo, considerato che la Turchia sta cercando di ricucire i rapporti con Egitto.
Durante una visita ufficiale del primo ministro etiope Abiy Ahmed ad Ankara il 18 agosto 2021, i ministeri della difesa hanno firmato tre accordi separati: il protocollo di attuazione del contributo finanziario, l’accordo di cooperazione finanziaria militare e l’accordo quadro militare, l’ultimo dei quali è stato il primo ad essere presentato al parlamento.
Approfondimento sull’accordo militare tra Abiy Ahmed Ali ed Erdogan nel 2021, in piena guerra genocida in Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etipia: Turchia ed il mercato fiorente della fornitura bellica in Africa
Le aree di cooperazione nell’accordo sono elencate come la partecipazione congiunta ad esercitazioni militari e operazioni non di combattimento come il mantenimento della pace, gli aiuti umanitari e le operazioni antipirateria. L’accordo consente inoltre ai due paesi di cooperare nel settore della difesa.
Ai sensi dell’articolo IV, paragrafo 6, dell’accordo, le parti concordano inoltre di condividere l’intelligence militare. Inoltre, le parti si forniranno supporto logistico reciproco e scambieranno munizioni, materiali e servizi sotto forma di sovvenzioni o dietro compenso.
Nell’accordo quadro con l’Etiopia è incluso anche un articolo sulla protezione delle informazioni classificate e dei diritti di proprietà fisica e intellettuale generalmente inclusi negli accordi di cooperazione nell’industria della difesa che la Turchia ha firmato con i paesi a cui intende vendere armi.Verbale della discussione in commissione parlamentare sull’accordo militare con l’Etiopia
Il deputato del partito İYİ (buono) e diplomatico in pensione Ahmet Kamil Erozan ha affermato che la Turchia aveva seri problemi con l’Egitto al momento della firma dell’accordo e che ora non è il momento giusto per ratificarlo. Affermando che non c’è coordinamento tra il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero della Difesa, Erozan ha affermato che la ratifica dell’accordo darebbe fastidio al presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi.
Tuttavia, il viceministro degli Esteri Faruk Kaymakçı ha dichiarato che l’accordo non riguardava nessun paese terzo, aggiungendo che accordi standard simili sono stati firmati finora con 86 paesi.Danni a un edificio scolastico nel Tigray dopo che un attacco aereo del governo etiope ha colpito il complesso della Dedebit Elementary School con un drone armato turco il 7 gennaio 2022. (Foto: Human Rights Watch).
Le relazioni militari turco-etiopi sono entrate nell’agenda internazionale dopo che l’esercito etiope il 7 gennaio 2022 ha colpito un edificio della scuola elementare pieno di bambini, donne e uomini anziani con droni acquistati dalla Turchia. Almeno 59 civili sono stati uccisi nell’attacco e altre decine sono rimasti feriti. Fino a quel momento, non si sapeva che la Turchia avesse venduto droni all’Etiopia. I resti di armi recuperati dal sito sono stati determinati come bombe guidate MAM-L (micromunizioni intelligenti) prodotte dalla turca Roketsan e abbinate esclusivamente a droni Bayraktar di fabbricazione turca.
Approfondimenti:
- 7 Gennaio 2022 – Report – Etiopia, civili uccisi dai continui raid aerei in un Tigray senza aiuti umanitari
- Gennaio 2022 – Etiopia, attacchi aerei droni con centinaia di morti tra i civili in Tigray
- 26 Agosto 2022 – Etiopia, attacco aereo su asilo a Mekellé nella regione del Tigray – Kindgarten Paradise + REPORT OSint Wim Zwijnenburg sui droni turchi TB-2 Bayraktar in Etiopia
- REPORT HRW – Human Rights Watch – Etiopia: attacco aereo su un campo per sfollati, probabile crimine di guerra
Notando che le armi che la Turchia aveva esportato in Etiopia sono state consegnate al governo legittimo, Kaymakçı ha affermato che i regolamenti sono stati rispettati su chi fosse l’utente finale. Ma non ha risposto alle accuse sull’uso di queste armi contro i civili.
I legislatori hanno anche affermato che l’ambasciata turca è stata spostata in Kenya quando i militanti del Tigray hanno annunciato che l’avrebbero presa di mira dopo il sanguinoso attacco, ma Kaymakçı ha detto martedì alla riunione del comitato che solo l’ambasciatore, non l’ambasciata, aveva temporaneamente lasciato l’Etiopia per motivi di sicurezza.
L’Egitto e il Sudan sono in una disputa con l’Etiopia per la costruzione della GERD – Grand Ethiopian Renaissance Dam quasi finita sul fiume Nilo. L’Egitto è preoccupato per una diminuzione dell’acqua nel fiume Nilo, dal quale soddisfa quasi tutto il suo fabbisogno di acqua potabile e irrigazione. Sebbene i tre paesi intendano riunirsi e negoziare una soluzione al problema, finora non sono stati in grado di stabilire un meccanismo per produrre una soluzione concreta.
Approfondimento: Disputa decennale sul GERD – Triangolo Egitto, Sudan, Etiopia, la Grande Diga e il Nilo
Grande diga rinascimentale etiope a Guba, Etiopia
Mercoledì, in visita a Washington per un vertice USA-Africa, il presidente egiziano el-Sisi ha chiesto aiuto agli Stati Uniti per spingere l’Etiopia a raggiungere un accordo sulla mega-diga durante il suo incontro con il segretario di Stato americano Antony Blinken, che aveva incontrato il giorno prima il primo ministro etiope Abij Ahmed.
Da tempo il governo del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan cerca di ricucire i difficili rapporti con l’Egitto. La Turchia ha avuto seri problemi con l’Egitto di Sisi per il sostegno che ha dato alla Fratellanza musulmana islamista, che Erdoğan considera ideologicamente vicina a lui.
Turchia ed Egitto sostengono anche due gruppi rivali in Libia, che affermano entrambi di rappresentare l’unico governo legittimo.
Tuttavia, quando le politiche di Erdoğan hanno provocato l’isolamento della Turchia nel mondo islamico, la Turchia ha avviato negoziati per corteggiare l’Egitto e l’Arabia Saudita, che hanno chiesto alla Turchia di adottare misure concrete per affrontare le loro preoccupazioni. La Turchia ha prima chiesto alle emittenti televisive affiliate ai Fratelli Musulmani che trasmettono da Istanbul di attenuare la loro retorica.
Nel marzo 2021 il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha annunciato che i negoziati diplomatici con l’Egitto erano iniziati senza precondizioni. Secondo le voci dei media turchi, la delegazione egiziana avrebbe trasmesso il messaggio che era nelle mani della Turchia garantire lo sviluppo dei colloqui, implicando la necessità di passi concreti da parte della Turchia.Erdogan e Al Sisi
Erdoğan ha salutato e stretto la mano a el-Sisi all’apertura dei Mondiali nella capitale del Qatar, Doha, il 20 novembre. L’amichevole stretta di mano è stata considerata un passo importante nel processo di normalizzazione in corso tra i due paesi.
Parlando ai giornalisti al suo ritorno dal Qatar, Erdoğan ha dichiarato:
“L’unione della nazione turca e del popolo egiziano in passato è molto importante per noi. Perché non ricominciare? Abbiamo dato loro il segnale”.
Portare proprio ora in parlamento l’accordo militare con l’Etiopia potrebbe anche essere visto come un messaggio contro la crescente cooperazione dell’Egitto con la Grecia nel Mediterraneo orientale.La Turchia ratificherà un accordo militare con l’Etiopia tra gli sforzi di riavvicinamento con l’Egitto
FONTE: nordicmonitor.com/2022/12/turk…
Servizi
Fatta la solita premessa, ovvero che tocca alle autorità inquirenti accertare i fatti e a un tribunale attribuire le responsabilità e quantificare le pene, ricordato ai moralisti che ospitano gli immorali che il garantismo non è un piacere fatto ai criminali, ma il fondamento del diritto per le persone oneste, sicché non esiste giusta pena senza giusto processo, fatta la premessa, proviamo a guardare oltre le valigiate di quattrini (altro che “bustarelle”) e sforziamo di comprenderne il significato. Il che ci allontana dallo scandalismo e ci riporta alla politica. Ci sono tre questioni da mettere a fuoco.
1. Sulla base di quel che è stato reso noto, non ci troviamo davanti a un tema di corruzione “classica”. Che è un reato perché manomette il mercato e crea una costosa disfunzione. Far vincere l’impresa X al posto della Y, che ha prodotto e offerta migliori, genera un’utilità illecita e provoca una disutilità collettiva. Ma lo scopo è l’arricchimento, non il sovvertimento. Qui, invece, si parla di denari per influenzare orientamenti politici, attinenti alla geopolitica o, se preferite, alla politica estera.
Non è una novità. Si potrebbe dire che, una volta crollato il comunismo, la Russia ha investito (appoggi e quattrini) nella destra, mentre il Qatar ha trovato interlocutori a sinistra. Entrambi, credo, se ne fregano della nostra destra e della nostra sinistra, serve loro influenzare la politica. Che è cosa molto diversa dal corrompere e, non a caso, materia di cui si occupano anche i servizi di sicurezza, alias segreti.
2. Queste influenze si esercitano sulle politiche nazionali e relativi interessi economici e culturali. Basta essere appassionati di calcio per sapere che la presenza del Qatar non è una novità, come non lo è nel mercato immobiliare. Se si muovono soldi e influenza sul e nel Parlamento europeo capita anche perché da fuori si sono acconti di quello che a molti europei sfugge: quel Parlamento conta. Ha un peso nel creare contesti politici. I putiniani ci hanno provato eccome, in quell’emiciclo, compiacendo i poteri cui si mostravano scompostamente devoti.
Senza offesa per nessuno, ma capita troppo spesso che gli eletti in quel Parlamento abbiano scarsa caratura politica. E capita, anche per colpa dell’informazione, che nessuno ne segua l’attività. Come fosse una sine cura ininfluente. Sarà bene cambiare atteggiamento all’interno, oltre che vigilare affinché nessuno li compri dall’esterno.
3. Il che porta a un delicato problema politico e di diritto. Il primo consiste nel fatto che ciascun parlamentare deve essere libero di esprimere il proprio pensiero, anche ove consista in amorevoli lodi per la Russia o il Qatar, senza che nessuno si possa permettere di togliergli la parola. Gli si risponda, ma lo si lasci libero e senza accusarlo d’essersi venduto. E sia libera la difesa anche degli interessi economici (che con il Qatar ci sono eccome). Altrimenti s’ammazza il Parlamento.
Il problema di diritto è che un parlamentare greco è stato arrestato dalla procura belga. Non ho il minimo dubbio sull’esistenza di elementi a giustificazione (per il resto se la vedranno con un tribunale), ma ne ho sull’opportunità che questo avvenga. La norma che lo consente si riferisce alla flagranza, ma una cosa è se spari a qualcuno, altra se accumuli soldi. Può farlo solo la procura ove ha sede il Parlamento? Perché per la flagranza dello sparo no, possono tutte le europee, mentre per i soldi che succede se un parlamentare francese viene arrestato in Ungheria, dopo che gli hanno piazzato i soldi in camera? Non è questione secondaria. Più è importante il Parlamento (e lo è), più questi problemi si deve porli.
Certo che gli europei sono colpiti da quelle montagne di banconote, ma le forze politiche europee commettono un grave errore ad accompagnarle con concetti quali: mele marce; vanno isolati; condanniamo e così via svicolando. Se non vogliono marinare in un inutile e malefico moralismo devono affrontare il problema più grosso: del Parlamento europeo si occupavano più gli altri che loro.
L'articolo Servizi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La recidiva criminale e la valutazione dell’impatto sociale: il caso ‘Getting Out To Work’
Coesione sociale agìta a favore degli ex detenuti, assistenza sociale mirata, politiche di reinserimento lavorativo e professionalizzazione, formazione permanente e così via sono una narrazione importante, ma spesso a bassa produttività di risultato (non valutato) ed a bassa efficienza riguardo allo scopo di reinserire nel lavoro gli ex detenuti e diminuire la recidiva criminale. In […]
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I musei aziendali della moda in italia. Economia e prospettive
Parte oggi il corso organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con Euracus, AreaSud e l’Accademia di Belle Arti di Catania, rivolto agli allievi di II livello dell’Accademia di Belle Arti di Catania e agli studenti dell’Università degli Studi di Catania.
I MUSEI AZIENDALI DELLA MODA IN ITALIA. ECONOMIA E PROSPETTIVE.
IMPRENDITORIA E IMPRESA NEL SETTORE AFAM
(Alta Formazione Artistica e Musicale)
I musei della moda e del costume sono parte della vasta platea che oggi alimenta il “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” della nostra nazione – il dato è circoscritto alle sole istituzioni di proprietà statale – con l’1,6% del Prodotto Interno Lordo 2019 (Fonte: Antonello Cherchi, I musei statali valgono 27 miliardi di euro (l’1,6% del Pil italiano), ilsole24ore, 7 ottobre 2019).
Rispetto al tradizionale impianto, negli ultimi anni si sono imposti alcuni modelli conservativi e fruitivi che stanno in bilico tra una museologia e museografia convenzionale, ovverosia finalizzata al restauro, alla conservazione e alla pubblica fruizione del reperto tessile e vestimentario e nuove modalità di pubblicità, commercializzazione e vendita del prodotto di moda. Sconfinando il principio normativo del gadget museale – disciplinato in Italia dalla L. n. 4 del 14 gennaio 1993, cosiddetta Legge Ronchey, e successive modifiche, integrazioni – tali modelli presentano veri e propri shop in intima osmosi – architettonica, ambientale, concettuale – con lo spazio museale. I casi studio più eclatanti e recenti in Italia sono rappresentati da Armani/Silos Milano, Gucci Garden Archetypes, Firenze, Bulgari Domus Aurea, Roma.
Attraverso un programma di conversazioni/interviste con gli ideatori, curatori, direttori creativi dei casi studio portati, si intende fare luce sulle strategie di marketing culturale che vi stanno dietro, ma, soprattutto, sulla “visione” che la moda italiana intende perseguire per il prossimo futuro, nel suo ruolo di colonna portante dell’economia nazionale.
Docenti: Salvatore Spagano (Docente UNICT), Vittorio Ugo Vicari (Docente ABACT), esperti del settore
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Russia sul piede di guerra contro il ‘nazionalismo kazako‘
Il 2 dicembre, Sputnik Kazakhstan, l’unità dell’agenzia di stampa statale russa nel Paese dell’Asia centrale , ha pubblicato sul suo sito web un’intervista con l’ambasciatore russo ad Astana, Alexei Borodavkin. Alcune delle cose dette dal rappresentante ufficiale di Mosca durante quella conversazione hanno suscitato molto scalpore nella società kazaka. Ciò non sorprende, dal momento che, […]
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Borsa: canapa, Canada e USA in picchiata, chiusura settimanale pessima
Entrambe le principali piazze borsistiche a livello mondiale nel settore della Canapa, cioè Canada e USA, chiudono entrambe con valori nettamente negativi. Oltre alla volatilità tipica che ha caratterizzato gran parte dell’intera annata borsistica, si sono via via aggiunti ulteriori fattori di complessità che non hanno fatto altro che indebolire progressivamente lo stato delle cose […]
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Il ‘pivot to Asia’ dell’ Arabia Saudita
La decisione dell’Arabia Saudita in ottobre di guidare un taglio di due milioni di barili al giorno nelle quote di produzione dell’OPEC+, e la dura risposta degli Stati Uniti, è solo l’esempio più recente della deriva nelle relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti. La disputa rischia di aprire spazi alla Cina per espandere la propria influenza […]
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USA: Biden si sta davvero avvicinando alla chiusura di Guantanamo?
A partire dall’8 dicembre 2022, la struttura di detenzione di Guantánamo Bay – una prigione al largo della giustizia americana e costruita per coloro che sono detenuti nell’infinita guerra globale al terrore di questo paese – è aperta da quasi 21 anni (o, per essere precisi, 7.627 giorni ). Tredici anni fa ho pubblicato un […]
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Ogni russo deve essere ritenuto responsabile dei crimini di guerra in Ucraina
La teoria delle finestre rotte della giustizia penale sostiene che se non vengono affrontati casi relativamente minori di disordine sociale come le finestre rotte, apriranno la strada a crimini più gravi. Lo stesso principio può essere applicato anche alle relazioni internazionali e alla geopolitica. Nel 2014, la Russia ha iniziato a ‘rompere le finestre’ in […]
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PMI, la ripresa è digital: +28% di utile netto per chi ci punta
La ripresa passa dal digital. La digitalizzazione può apportare grandi benefici alla produttività delle aziende, contribuendo alla crescita del PIL nazionale. Le imprese sono chiamate a colmare il gap con gli altri paesi europei, e lo stanno già facendo. Come riporta l’infografica ‘Perché la digitalizzazione delle aziende fa crescere il fatturato?’ di TeamSystem, rispetto ad […]
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La Spezia. Ennesimo omicidio di un lavoratore nel porto - Contropiano
"È ormai evidente che la questione sicurezza è completamente sfuggita di mano. Al di là delle frasi di circostanza noi lavoratori stiamo pagando anni di sconfitte sindacali e arretramenti sotto tutti i punti di vista. Anche questa volta, probabilmente, si troveranno mille giustificazioni per non dare responsabilità a coloro che in realtà sono i primi responsabili ed hanno nomi e cognomi: i soggetti privati che mai pagano per questi fatti gravissimi."
I musei aziendali della moda in italia. Economia e prospettive – Imprenditoria e impresa nel settore AFAM
Parte oggi il corso organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con Euracus, AreaSud e l’Accademia di Belle Arti di Catania, rivolto agli allievi di II livello dell’Accademia di Belle Arti di Catania e agli studenti dell’Università degli Studi di Catania.
I MUSEI AZIENDALI DELLA MODA IN ITALIA. ECONOMIA E PROSPETTIVE – IMPRENDITORIA E IMPRESA NEL SETTORE AFAM
(Alta Formazione Artistica e Musicale)
I musei della moda e del costume sono parte della vasta platea che oggi alimenta il “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” della nostra nazione – il dato è circoscritto alle sole istituzioni di proprietà statale – con l’1,6% del Prodotto Interno Lordo 2019 (Fonte: Antonello Cherchi, I musei statali valgono 27 miliardi di euro (l’1,6% del Pil italiano), ilsole24ore, 7 ottobre 2019).
Rispetto al tradizionale impianto, negli ultimi anni si sono imposti alcuni modelli conservativi e fruitivi che stanno in bilico tra una museologia e museografia convenzionale, ovverosia finalizzata al restauro, alla conservazione e alla pubblica fruizione del reperto tessile e vestimentario e nuove modalità di pubblicità, commercializzazione e vendita del prodotto di moda. Sconfinando il principio normativo del gadget museale – disciplinato in Italia dalla L. n. 4 del 14 gennaio 1993, cosiddetta Legge Ronchey, e successive modifiche, integrazioni – tali modelli presentano veri e propri shop in intima osmosi – architettonica, ambientale, concettuale – con lo spazio museale. I casi studio più eclatanti e recenti in Italia sono rappresentati da Armani/Silos Milano, Gucci Garden Archetypes, Firenze, Bulgari Domus Aurea, Roma.
Attraverso un programma di conversazioni/interviste con gli ideatori, curatori, direttori creativi dei casi studio portati, si intende fare luce sulle strategie di marketing culturale che vi stanno dietro, ma, soprattutto, sulla “visione” che la moda italiana intende perseguire per il prossimo futuro, nel suo ruolo di colonna portante dell’economia nazionale.
Docenti: Salvatore Spagano (Docente UNICT), Vittorio Ugo Vicari (Docente ABACT), esperti del settore
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In Ucraina la Russia è “condannata a vincere”
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 16 dicembre 2022 – La guerra in Ucraina sta per entrare nel decimo mese ma i combattimenti sembrano tutt’altro che vicini alla conclusione.
Il fronte occidentale continua a sostenere politicamente, economicamente e militarmente Kiev affermando di mirare – come d’altronde ripete quotidianamente Volodymyr Zelensky – alla definitiva sconfitta della Federazione Russa e al completo ritiro delle sue truppe da tutto il territorio ucraino.
La Russia non può perdere
Ma la verità – e lo sanno bene le cancellerie dei paesi aderenti al Patto Atlantico – è che la Russia non può perdere, perché un passo falso in Ucraina potrebbe segnare la fine del potere di Vladimir Putin e gravi conseguenze per la Federazione.
Nei giorni scorsi Zelensky ha affermato che «se morisse Putin la guerra finirebbe», ma non è affatto scontato. Certo, a Mosca potrebbe prevalere la corrente pragmatica dell’establishment, cosciente dei limiti oggettivi della macchina militare e dell’economia russa e magari incline a cercare una ricomposizione con la Nato, alla quale del resto la Russia si era fortemente avvicinata a metà degli anni ’90 del secolo scorso (ai tempi della “Partnership for Peace”), prima che Washington la escludesse e iniziasse l’assedio.
Il contesto internazionale attuale, però, non sembra certo evolvere verso una ricomposizione tra i vari poli della competizione globale tra potenze e blocchi geopolitici. La sconfitta del più consistente tentativo finora intrapreso da Mosca di riprendersi un pezzo importante dello spazio territoriale e geopolitico occupato prima dall’impero russo e poi dall’Urss, costituirebbe un grave shock non solo per l’attuale dirigenza russa ma soprattutto per le correnti ancora più radicali dello scenario politico russo, nel quale nazionalismo e sciovinismo prendono sempre più piede.
In caso di fallimento, è proprio da questi ambienti radicali che dovrebbe difendersi Putin, la cui caduta potrebbe innescare un’ulteriore escalation da parte della Russia nello strenuo tentativo di evitare un possibile collasso in uno scontro con la Nato sempre più diretto, per quanto per ora combattuto sul suolo ucraino. Le difficoltà di Mosca stanno già creando scompiglio negli “stan” dell’Asia Centrale, dove i vari regimi cercano di limitare la tradizionale influenza russa rafforzando le relazioni economiche e militari con la Cina, la Turchia e i paesi occidentali.
Qual è l’obiettivo di Mosca?
Non è affatto chiaro, però, cosa Putin consideri sufficiente per dichiararsi vincitore. Nelle prime settimane dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, sembrava che la cosiddetta “operazione militare speciale” puntasse non solo alla conquista del maggior numero di territori possibile ma anche a imporre a Kiev un governo fantoccio o comunque incline ad una trattativa impari con Mosca.
Poi, fallita la presa di Kiev e la decapitazione della leadership ucraina, la strategia del Cremlino sembrava mirare a occupare quantomeno tutta l’Ucraina sud-orientale per conquistare una stabile continuità territoriale con la Crimea e assimilare la maggior parte dei territori abitati dai russofoni, appropriandosi oltretutto delle zone più ricche di risorse naturali e infrastrutture industriali.
Nelle ultime settimane, invece, la strategia di Mosca sembra essere ulteriormente mutata: ora sembra che Putin miri a tenersi almeno alcuni dei territori annessi dopo aver deciso di abbandonare Kherson e le zone sulla sponda destra del fiume Dnipro, la cui difesa sarebbe costata un prezzo eccessivo, puntando nel contempo a fiaccare l’Ucraina per obbligare la sua la leadership a trattare.
Mosca martella città e infrastrutture
A questo mirano gli incessanti e implacabili bombardamenti, con droni e missili, delle infrastrutture civili (soprattutto centrali elettriche e sistemi idrici) e delle città ucraine realizzati dalle forze russe guidate da ottobre dal generale Sergej Surovikin.
Anche se Putin ha avvisato che i bombardamenti delle infrastrutture nevralgiche ucraine continueranno “in risposta” al sabotaggio del ponte di Kerč’ da parte di Kiev, appare evidente che Mosca intende piegare la popolazione civile lasciandola al buio, al freddo e senz’acqua durante il lungo e duro inverno ucraino.
Il premier ucraino Denys Smyhal ha avvisato che se gli attacchi ai sistemi elettrici ed idrici continueranno, il Pil del paese potrebbe crollare quest’anno del 50%.
Una relativa pausa invernale dei combattimenti a terra, inoltre, è utile a Mosca anche per addestrare ed inviare al fronte forze fresche, mobilitate in autunno, e riorganizzarsi logisticamente.
Usa e Ue aumentano aiuti e forniture militari
Per tentare di impedire il collasso dell’Ucraina l’Unione Europea si è impegnata a fornire a Kiev, nel corso del 2023, un pacchetto di aiuti pari a 18 miliardi, superando il veto del governo ungherese minacciato da Bruxelles del blocco dei fondi europei.
Dopo aver a lungo tentennato, invece, Washington sembra intenzionata ad inviare alcune batterie di Patriot a Kiev per migliorare la difesa antiaerea ucraina almeno sulla capitale del paese. Fornendo i Patriot, in grado di individuare e distruggere aerei e missili nemici anche a notevole distanza (ma non i droni), gli Stati Uniti sperano di diminuire l’intensità dei bombardamenti russi e dare un po’ di respiro a Kiev.
La formazione del personale in grado di utilizzare questo scudo antiaereo, però, è una procedura che richiede mesi; Mosca teme quindi che la Nato decida di far gestire inizialmente i Patriot al proprio personale militare, il che aumenterebbe ulteriormente il grado coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica nel conflitto in corso.
Proprio nei giorni scorsi, d’altronde, il tenente generale Robert Magowan, ex comandante dei Royal Marine di Londra, ha ammesso esplicitamente che alcune unità d’élite della marina britannica hanno partecipato a missioni «ad alto rischio politico e militare» e ad «operazioni segrete» sul suolo ucraino.
Gli Usa – che in totale hanno finora fornito all’Ucraina 19,3 miliardi di aiuti militari – hanno già inviato a Kiev alcuni missili HIMARS, imponendo però agli ucraini di utilizzarli solo per colpire le forze di Mosca sul suolo del paese invaso e non oltre il confine russo.
All’inizio di dicembre, comunque, Kiev ha deciso di bombardare, con droni dell’epoca sovietica potenziati, le basi russe di Ryazan ed Engels e un impianto petrolifero vicino a Kursk, centinaia di chilometri oltre il confine. Se gli attacchi hanno avuto un innegabile effetto psicologico sia in patria sia oltreconfine, la sortita non ha certo inciso sugli equilibri bellici. Mosca ha infatti risposto con massicci bombardamenti lanciando missili di ultima generazione realizzati negli ultimi mesi nonostante l’embargo alla quale la Russia è sottoposta da parte di Usa ed Ue.
La guerra sarà lunga
Da parte sua la Nato continua a inviare segnali contraddittori. Da una parte frena, tendenzialmente, gli impeti ucraini nel timore che Mosca si convinca ad usare tutti i mezzi a sua disposizione alzando il livello dell’asticella. D’altra parte, però, l’Alleanza Atlantica non ha nessun interesse ad un cessate il fuoco che concederebbe ossigeno a Mosca e potrebbe fomentare le contraddizioni interatlantiche tra Bruxelles – fortemente penalizzata dalla polarizzazione dello scenario mondiale sia sul fronte economico che militare – e Washington e Londra – che invece se ne avvantaggiano.
La Nato sembra puntare ad un lungo conflitto nella speranza non che Kiev cacci definitivamente i russi dal proprio territorio – possibilità alquanto remota – ma che la continuazione dei combattimenti sfianchi a lungo andare la Russia causando una crisi che ridimensioni fortemente le aspirazioni geopolitiche di Mosca.
Parlando al “Consiglio per lo sviluppo della società civile e dei diritti umani” Putin ha avvisato il popolo russo che la guerra in Ucraina sarà lunga e che sussiste il pericolo che si trasformi in un conflitto nucleare, anche se nessuna delle parti ammette di poter utilizzare per prima l’opzione atomica. Il presidente russo ha però vantato alcuni risultati positivi, come «l’acquisizione di nuovi territori» e il fatto che «il Mar d’Azov è diventato un mare interno della Russia».
Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ammesso che la guerra sarà lunga, insistendo sul fatto che sarà il campo di battaglia a decidere dove e quando si terranno eventuali colloqui di pace, escludendo quindi una trattativa con Mosca. Una trattativa che in realtà esiste già, per quanto dietro i riflettori, come dimostra il recente scambio tra un’atleta statunitense arrestata in Russia per traffico di stupefacenti e Viktor Bout, un ex ufficiale dell’aeronautica sovietica arrestato dagli Usa perché accusato di trafficare armi. A rivelare i contatti tra Russia e USA anche le reazioni infastidite e preoccupate di Kiev dei giorni scorsi; evidentemente gli ucraini temono un accordo tra le potenze nucleari che li bypassi.
Il Donbass sempre più martoriato
Paradossalmente, sia Putin che Stoltenberg hanno convenuto su un fatto che spesso l’informazione e la politica tendono a dimenticare: la guerra in corso non è iniziata il 24 febbraio scorso ma nel 2014, quando con il sostegno della Nato le correnti nazionaliste e scioviniste ucraine presero il potere a Kiev lanciando una “operazione militare speciale” contro le popolazioni russofone del Donbass che si opponevano al nuovo regime, a loro volta sostenute da Mosca che decise di annettersi la Crimea.
Il Donbass rimane il territorio più martoriato nei combattimenti, con le forze russe impegnate da settimane a tentare di strappare a Kiev la città di Bakhmut, strategica per l’eventuale conquista di centri come Kramatorsk, Slovjansk, Lyman e Izium.
Nelle ultime ore sembrerebbe che le forze di Mosca stiano avendo la meglio e stiano lentamente avanzando, dopo che negli ultimi due mesi non si sono registrati cambiamenti significativi della linea del fronte. Dal canto loro, le autorità dell’ormai ex Repubblica Popolare di Donetsk denunciano i più massicci bombardamenti dal 2014, che stanno riducendo le città in macerie e terrorizzando quella parte della popolazione che ha deciso di non evaquare in Russia. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora anche con il Manifesto, Catarsi e Berria.
L'articolo In Ucraina la Russia è “condannata a vincere” proviene da Pagine Esteri.
PERÙ. Castillo rimarrà in carcere per 18 mesi. Sale il numero dei manifestanti uccisi
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 16 dicembre 2022 – L’ex presidente del Perù Pedro Castillo, maestro elementare e dirigente sindacale, sorpresa delle elezioni del 2021 in Perù, rimarrà in prigione per 18 mesi come misura di carcerazione preventiva. La decisione è stata presa oggi (alle 20.00 in Perù) dal giudice supremo Juan Carlos Checkley, che ha giudicato gravi le misure annunciate dallo stesso Castillo il 7 dicembre scorso. Il presidente-maestro, in un discorso alla nazione aveva denunciato tentativi di golpe da parte delle destre e, per questo motivo, aveva dichiarato di voler sciogliere il parlamento e dar vita subito ad un processo di riforma costituzionale.
I suoi avvocati hanno immediatamente presentato ricorso ma Castillo rimane imputato dei reati di ribellione, associazione a delinquere e alterazione della quiete pubblica. La difesa, curata da Torres Vásquez, dichiara insensata l’accusa di ribellione dal momento che non ci sono state azioni violente di alcun tipo, organizzate da Castillo o dai suoi sostenitori.
Manifestazioni pro-Castillo nella regione di Ayacucho
Ma la decisione del giudice supremo ha gettato benzina sul fuoco delle manifestazioni che si stanno tenendo da giorni ormai in varie città del Perù. La situazione diventa ora dopo ora più drammatica, aumenta la violenza della repressione delle forze dell’ordine e cresce il numero dei manifestanti uccisi dalla polizia, al momento 18. I manifestanti chiedono la scarcerazione di Pedro Castillo e la convocazione di una nuova assemblea costituente.
Ad Ayacucho si sono tenuti, nelle ultime ore, gli scontri più violenti, con 7 manifestanti uccisi e 52 feriti. Il governo regionale ha accusato la premier Dina Boluarte, che ha preso il posto di Castillo dopo la mozione di sfiducia da parte del parlamento, di essere la responsabile, insieme ai ministri della difesa e dell’interno, delle uccisioni tra i manifestanti. Lo stesso governatore ha chiesto alla presidente di ordinare alla polizia di interrompere l’utilizzo di armi da fuoco contro chi protesta. Ma il governo ha, al contrario, dichiarato lo Stato di Emergenza nelle regioni più coinvolte dalle manifestazioni. La detenzione preventiva terrà l’ex presidente in carcere fino a giugno 2024. Così ha deciso il giudice supremo. Si aggrava il bilancio degli scontri tra polizia e manifestanti pro-Castillo
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Canapa: gli Stati Uniti puntano tutto su ricerca e sviluppo
I ricercatori del Texas hanno avviato un ambizioso progetto per sviluppare varietà di canapa per la doppia coltivazione di fibre e cereali che possano prosperare nelle condizioni climatiche dello Stato. Si prevede di sviluppare da dieci a venti varietà entro l’inizio del 2024, con l’obiettivo di rilasciarne altre 20-50 un anno dopo, nell’ambito di un […]
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A Pagamento
Quel che sta succedendo attorno al Parlamento Europeo merita una riflessione un po’ meno superficiale e un po’ meno di impatto. Chiaramente vedere, neanche le “bustarelle” ma le valigiate di quattrini non può che essere ripugnante, e quindi ci si augura che la magistratura, in questo caso belga, vada avanti con le indagini e che si arrivi al più presto ad un processo che stabilisca chi è il colpevole ed esattamente di cosa, e quindi venga poi inviato a scontare la pena.
Ma guardando un po’ più dentro, questo non sembra essere un capitolo di corruzione per interessi specifici, materiali, come quando un’azienda paga la tangente per ottenere l’appalto o la norma di legge che la favorisce in maniera particolare (che è sempre un reato, ma che inquina il mercato, la convenienza, la regolarità dentro un paese). Queste sono storie – non a caso sembrerebbe che la notizia venga da un’indagine dei servizi segreti prima esclusivamente belgi e poi allargato ad altri servizi di sicurezza nei paesi europei – questa è una storia che aggredisce non il regolare funzionamento del mercato all’interno dell’Unione Europea ma tenta di influenzarne le politiche, di indirizzarne le simpatie e le antipatie.
Non era mai successo? No, era già successo, non era successo che si trovassero le valigiate di quattrini, ma diciamo che la Russia di Putin aveva scelto la destra e la finanziava con i soldi, non solamente con le pacche sulle spalle. Le Pen in Francia aveva la campagna elettorale in gran parte finanziata da soldi e da prestiti russi. Quindi no, questa roba non è nuova, si può dire che la Russia aveva scelto la destra e sembrerebbe che il Qatar (o forse il Marocco, staremo a vedere) abbia una simpatia a sinistra. Ma più che simpatie questi sono agganci, cioè oggetti disponibili, il che ci porta alla seconda considerazione.
Posso capire chi prende soldi – per convenienza materiale – ma chi invece i soldi li dà, perché lo fa? Perché i russi finanziano la campagna elettorale di Le Pen e di qualche altro movimento di destra in Austria? Perché il Qatar dà tutti quei quattrini? Perché loro hanno capito quello che a molti europei sembra essere ancora oscuro: il Parlamento Europeo conta, la politica europea conta, e influenzarla è un vantaggio. Questo forse dovremmo cercare di capirlo anche noi, cioè vedere anche noi che quell’impiego di soldi denota un significato di quella istituzione.
Terzo elemento: il nostro e tutti i paesi dell’Unione Europea sono stati di diritto, quindi esiste – grazie al cielo – la possibilità che qualcuno indaghi e che qualcun altro – distinto da chi è indagato – giudichi, e questa è la vicenda di giustizia. Ma a noi importa anche che funzioni il Parlamento Europeo, perché i nostri sono Stati di diritto ma sono anche delle democrazie, e un parlamentare eletto deve poter esprimere liberamente il suo pensiero. Se una persona al Parlamento Europeo è convinta che nella vicenda della guerra in Ucraina abbia ragione Putin, anche se io la penso all’opposto, deve essere libero di poterlo dire, altrimenti finisce l’esistenza stessa del Parlamento. E nell’ essere libero di poterlo dire deve essere anche affrancato dall’accusa di ricevere dei soldi, altrimenti gli viene contestato un reato.
Quindi è necessario distinguere la parte criminale dall’attività politica, e nel farlo bisogna accorgersi anche di una cosa, che è successa nell’occasione di questa operazione sul Qatar, in cui un parlamentare greco è stato arrestato dalla procura belga. Bisogna fare attenzione perché (l’immunità parlamentare ovviamente non può estendersi a prendere quattrini) quel principio può essere pericoloso un domani in cui qualcuno di sgradito a un altro paese dovesse andarci a fare una conferenza e si inventano delle prove che non esistono. Sono tutti elementi di delicatezza e di importanza che però ci dicono che quello cui stiamo assistendo non è un capitolo dell’eterno libro della corruzione e della tentazione, è un capitolo dell’importanza dell’Unione Europea, dell’importanza del Parlamento Europeo e dell’importanza di difendere la propria sovranità dalle influenze pagate altrui.
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Svelate le 5 mani di poker più famose della storia
Il poker ha una storia lunga e ricca di storie e il poker moderno è diventato un vero e proprio spettacolo mediatico. Molte mani sono diventate famose nel corso degli anni per uno o più dei seguenti motivi: • luci abbaglianti • Le Telecamere, o telecamere a circuito chiuso, sono un modo efficace per migliorare […]
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Auto a noleggio lungo termine per privati e professionisti: le differenze
Noleggiare un’auto a lungo termine? Una soluzione che oggi viene scelta da tantissimi automobilisti della Penisola. Ci si trova infatti di fronte ad un sistema che propone dei vantaggi innegabili, non solo per i privati, ma anche per i professionisti e dunque per coloro che hanno aperto partita IVA. Nella guida di oggi, quindi, andremo […]
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Il Qatargate è un colpo all’italiana. Pregiudizio? Non tanto
La vicenda che ha sconvolto l’Europarlamento viene iscritta al nostro carattere nazionale: “The italian job”, intendendo che noi italiani siamo più inclini alla corruzione. L’espressione offende, certo. Ma prima o poi dovremo iniziare a domandarci per quale oscura ragione ce l’abbiano tutti con noi
Il cosiddetto “quatargate” che sta sconvolgendo l’Europarlamento si presta a diverse chiavi di lettura. La più facile ha a che fare con l’eclissi ufficiale del mitico primato morale della sinistra. Gli eredi del partito che per decenni si finanziò con i soldi di una potenza nemica e dittatoriale (l’Unione Sovietica), poi con i soldi dell’universo cooperativo emiliano, poi con i soldi di alcuni istituti di credito nazionali (“abbiamo una banca!”) e infine, da Buzzi a Soumahoro, con i soldi destinati all’assistenza dei migranti, ebbene, gli eredi di Enrico Berlinguer e i cantori della “questione morale” non sono migliori degli altri. Sono solo meglio organizzati e più ipocriti. Lettura sfiziosa, ma poco originale.
Più interessante, anche se più doloroso, provare a indagare le radici del fenomeno. Fenomeno che a Bruxelles viene iscritto addirittura al nostro carattere nazionale. “The italian job”, dicono. E lo dicono intendendo che noi italiani siamo più inclini di altri al sotterfugio e alla corruzione. Un pregiudizio? Mica tanto. È la conclusione cui giunsero un po’ tutti i viaggiatori europei che a partire dal Settecento attraversavano il Belpaese ammirandone le meraviglie artistiche ma deprecandone l’immoralità degli abitanti. È la conseguenza dell’aver inventato la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra e di averne fatto con indiscutibile successo prodotto da esportazione. È la conseguenza di quel “familismo amorale” che ci venne attribuito dal sociologo statunitense Edward C. Banfield negli anni Cinquanta. È la conseguenza, forse, della mancata riforma protestante e di troppe dominazioni straniere. È la logica che spinse le classi dirigenti italiane dei primi anni Novanta ad aderire a Maastricht per obbligarci, grazie al “vincolo esterno”, a quella virtù contabile che assai poco ci appartiene. Pregiudizi? Fino a un certo punto.
Qualche anno fa, due ricercatori della Columbia University e dell’Università della California passarono in rassegna le contravvenzioni per divieto di sosta inflitte ai diplomatici delle Nazioni Unite a New York. Poiché il personale dell’Onu gode dell’immunità, pagare le multe è faccenda che attiene all’educazione e al carattere personale. Ma educazione e carattere personale vantano anche una dimensione nazionale. Ebbene, nella classistica stilata dai due ricercatori americani i diplomatici italiani risultavano tra i più morosi del mondo. Per capirci, i nostri connazionali figuravano cento posizioni più in basso rispetto ai rappresentanti di nazioni considerate virtuose come Svezia e Norvegia…
“Italian job” è espressione che offende, certo. Ma prima o poi dovremo pure cominciare a domandarci per quale oscura ragione ce l’abbiano tutti con noi.
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Videogiochi: le icone che non muoiono mai
Il mondo dei videogiochi è paragonabile per molti versi a quello di una slot machine: una volta che si è tirata la leva non è detto che il risultato sarà quello sperato, e questo vale per molti titoli e personaggi alla loro prima apparizione. Il risultato non era affatto scontato, nonostante gli anni Settanta ed […]
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Il pescarese Jacopo D’Andreamatteo premiato a Roma per il suo volume – hgnews.it
A inizio dicembre a Roma, nella splendida sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, si è tenuto l’evento commemorativo per il 60° anniversario di attività della Fondazione Luigi Einaudi. Tra i partecipanti, autore anche di un testo pubblicato all’interno del volume celebrativo dal titolo “Sessant’anni di diffusione del pensiero liberale” c’era anche Jacopo D’Andreamatteo, pescarese, da anni componente della direzione della Fondazione Luigi Einaudi nonché referente in Abruzzo della stessa. Il volume, presentato anche con interventi oltre che del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, del presidente della Fondazione Luigi Einaudi Giuseppe Benedetto anche di lhan Kyuchyuk presidente di Alde e parlamentare europeo del gruppo Renew Europe, Hakima El Haité presidente di Liberal International e del senatore Matteo Renzi.
“È stato un vero privilegio poter scrivere delle pagine della nostra fantastica storia racconta Jacopo D’Andreamatteo – figlio del compianto onorevole Piero D’Andreamatteo – e del rapporto che lega la Fondazione a Liberal International anche grazie a Giovanni Malagodi che ne è stato presidente per ben due mandati”.
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A destra del Mes
Possono inghiottirlo come un boccone amaro, consapevoli di doverlo comunque deglutire, con il volto accartocciato e i lucciconi del piccolo cui non è stato lasciato scampo: apri la bocca. Ma possono anche masticarlo bene, traendone giovamento. Perché la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità è, per la maggioranza di destra, un’occasione. Un modo per cominciare a non fare la fine della sinistra, afflitta non tanto dall’avere perso le elezioni, ma dall’avere perso il senso dell’orientamento, dal ritrovarsi in stato confusionale. Non commetta la destra l’errore che fece la sinistra.
L’errore fu fare i furbi, finendo fessi. Archiviarono il comunismo (crollato) senza averlo rinnegato. Anzi, proprio per non rinnegarlo cambiarono nome e si finsero una cosa nuova. Da antieuropeisti divennero europeisti; da anti Nato divennero atlantisti; da comunisti si pretesero liberisti. E così via andando, ma senza mai fare i conti non con il passato remoto, ma con il loro passato personale, con le cose che le medesime persone avevano sostenuto. Ripresero identità per contrapposizione, l’antiberlusconismo al posto di falce e martello, sedendo ai governi per “senso di responsabilità”, che sarebbe la versione poetica dell’adattabilità. Il risultato è che non sanno più riconoscersi, per avere rifiutato di conoscersi.
La destra s’appresta a commettere lo stesso errore. Sono molto apprezzabili le parole di Giorgia Meloni sulle leggi razziali. Dispiace che non siano riprese con più evidenza. Sono importanti perché collocano sotto la guida di Benito Mussolini il momento vergognoso e più umiliante della nostra storia nazionale. Per molti di noi è scontato, per molti di loro no. Apprezzabili e importanti, ma è pur sempre la storia degli altri, antecedente alla nascita degli odierni politici. I conti devono farli con loro stessi, che quelli con il fascismo li ha già fatti la storia.
Il Mes è un’occasione. Siamo i soli a non avere ratificato la riforma, posto che il Mes già lo ratificammo ed è già operativo. Aspettare la Germania è stato un errore di sudditanza e ignoranza, perché la Germania lo aveva già ratificato. Comunque, ora è anche sentenziato. Siamo soli. E nel torto. Al governo lo sanno e devono trovare il modo per ratificare. Si può prendere la versione di Guido Crosetto: lo Stato è uno solo, quell’impegno è stato preso, noi siamo persone responsabili e ratifichiamo. È una via, ma anche un rimpiattarsi. Su quella strada si troveranno, fra qualche tempo, a non riconoscersi. Come capita alla sinistra che fu comunista.
Possono, invece, imboccare la più saggia alternativa: lo ratifichiamo perché è giusto farlo, perché molte delle cose che dicemmo (il guinzaglio, il cappio, lo strangolare…) erano spropositi insensati, questo non significa che il Mes sia perfetto, anzi proporremo di modificarlo ancora, il che, però, è impossibile, ci toglie voce in capitolo, se nel ratificarlo non ne riconosciamo l’indispensabilità. Eviterebbero così di far credere di scapolarla cambiando nome, perché può pure esserci qualche allocco convinto che siccome Fratelli d’Italia non è mai stato al governo si tratti di tutti debuttanti, laddove si tratta di già collaudati governanti, ma il trucchetto del nome, se abusato come fece la sinistra, porta a perdere l’identità.
Del resto, guardino al capitolo giustizia: lì non hanno giocato a nascondino, ma scelto un ministro che è l’opposto del giustizialismo della destra sventolante cappi e stazionante davanti alle procure, negli anni temperato dall’innocentismo (che è l’opposto del garantismo) berlusconiano. Sono andati dritto e sono bastate le parole di Nordio per far esplodere la sinistra, che sa quanto siano giuste, ma non trova il modo e il coraggio di riconoscerlo. Certo, ora si tratta di fare e non solo di dire, ma se avessero provato a mascherarsi, tenendo assieme giustizialismo e aggiustamenti, non avrebbero ottenuto alcun risultato. Sarebbero stati indistinguibili. E perdenti. Approfittino del Mes, che certe occasioni non si presentano tutti i giorni.
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Etiopia, Cittadini Usa Intrappolati nel Tigray, Detenuti ad Addis Abeba
Cittadini statunitensi intrappolati nel Tigray devastato dalla guerra vengono detenuti e interrogati dalle autorità etiopi mentre tentano di lasciare il Paese, lo dimostrano interviste a persone in fuga e familiari.
Le e-mail trapelate da funzionari statunitensi affermano che il governo etiope, adducendo motivi di sicurezza nazionale, ha insistito per trattenere e interrogare i cittadini statunitensi del Tigray, una posizione, dicono, che ha indotto Washington a interrompere i piani per il trasporto aereo degli americani dalla regione l’anno scorso.
I pochi fortunati a fuggire dalla regione, tagliati fuori dal mondo esterno per due anni mentre le forze governative combattevano contro i ribelli del Tigray, hanno detto all’AFP di essere stati individuati e interrogati mentre tentavano di andarsene.
Gebremedhn Gebrehiwot, un cittadino americano che è uscito dal Tigray all’inizio di quest’anno, ha detto di essere stato preso in disparte e interrogato all’aeroporto internazionale di Addis Abeba mentre cercava di imbarcarsi su un volo di ritorno.
“Avevo tutti i documenti, non c’era motivo di fermarmi”, ha detto all’AFP il diacono di San Diego. Credeva che il suo nome “tipicamente tigrino” fosse il motivo per cui era stato arrestato.
Dopo un’attesa di 90 minuti, gli è stato finalmente permesso di andarsene.
“Sono appena corso al cancello e ce l’ho fatta a malapena.”
Zenebu Negusse, 52 anni, ha detto ad AFP che anche lei è stata presa di mira mentre tentava di imbarcarsi sul suo volo diretto negli Stati Uniti.
La badante con sede in Colorado, che si trovava nel Tigray per visitare la sua anziana madre quando è iniziata la guerra nel novembre 2020, è riuscita a fuggire dalla regione su strada e si è rifugiata presso i parenti ad Addis Abeba.
Si è preoccupata di nascondere i suoi segni tribali tigrini, temendo di essere detenuta come alcuni dei suoi amici, ma il suo nome ha destato sospetti.
Ha detto che dopo uno straziante interrogatorio l’anno scorso durante il quale ha esplicitamente negato di essere tigrina, le è stato permesso di tornare a casa.
Alcuni che erano stati sul suo volo sono stati intercettati e presi in custodia, ha detto: “Sono stata fortunata. Molti altri no”.
AFP ha parlato con otto americani che hanno condiviso le loro storie e parlato della difficile situazione di amici e familiari – cittadini statunitensi o residenti permanenti – ancora nel Tigray.
L’Etiopia non riconosce la doppia nazionalità, il che significa che i funzionari possono trattare i cittadini statunitensi di origine etiope come etiopi, indipendentemente dal loro passaporto.
Evacuazione interrotta
Il governo degli Stati Uniti aveva elaborato un piano per evacuare gli americani intrappolati nel Tigray mentre i combattimenti si estendevano ad Addis Abeba nel novembre 2021.
Ma è stato interrotto all’ultimo minuto, con i funzionari statunitensi che hanno incolpato la richiesta dell’Etiopia che gli sfollati fossero soggetti a detenzione a tempo indeterminato per controllo.
“Il governo etiope … ha ritirato l’autorizzazione il giorno del (viaggio) quando gli Stati Uniti non erano d’accordo con la richiesta del governo etiope di autorizzare i passeggeri e potenzialmente trattenerli a tempo indeterminato prima di essere autorizzati a viaggiare ulteriormente”, si legge in un’e-mail di un funzionario degli Stati Uniti Senato visto dall’AFP.
Un’altra e-mail di un funzionario della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha anche accusato i “requisiti di controllo della sicurezza di Addis Abeba (per) aver impedito all’ambasciata americana di procedere con i piani di evacuazione”.
Le autorità statunitensi ed etiopi sono riuscite a “facilitare la partenza di 217 cittadini statunitensi, residenti permanenti legali, richiedenti visti immigrati e tutori di minori da Mekelle (la capitale del Tigray) ad Addis Abeba” a febbraio, ha detto ad AFP un portavoce del Dipartimento di Stato americano.
Il Dipartimento di Stato non ha commentato se alcuni sfollati siano stati detenuti ad Addis Abeba o sul numero di coloro che si sono recati negli Stati Uniti.
Non ha una stima del numero di americani ancora bloccati nel Tigray, ha detto il portavoce.
I funzionari del governo etiope non hanno risposto alle ripetute richieste di commento dell’AFP.
Profilazione etnica
Tutti gli americani intervistati da AFP hanno affermato di essere stati profilati etnicamente ad Addis Abeba dopo aver lasciato il Tigray.
Yohannes, un autista di Uber di 54 anni che ha chiesto all’AFP di non rivelare il suo cognome, ha dichiarato di essere stato messo in isolamento all’aeroporto di Addis Abeba mentre cercava di partire con la sua famiglia nel dicembre 2020.
“Ho detto che ero un cittadino statunitense, ma hanno detto che non mi avrebbero lasciato andare”.
I funzionari della sicurezza alla fine hanno ceduto dopo aver sborsato una grossa tangente, ha detto.
Era un prezzo che valeva la pena pagare per salvare suo figlio adolescente gravemente diabetico, ha aggiunto.
Il mese scorso è stato firmato un accordo di pace tra Addis Abeba e i ribelli del Tigray, ma molti americani hanno detto all’AFP di temere che i loro cari sarebbero stati arrestati anche se fossero riusciti a uscire dal Tigray.
Maebel Gebremedhin ha detto ad AFP che “circa 50” membri della famiglia sono rimasti intrappolati nel Tigray, tutti cittadini statunitensi e residenti permanenti.
“Quasi tutta la mia famiglia è lì”, ha detto l’attivista di Brooklyn, che non ha notizie di suo padre da più di un anno.
“C’è una tale paura all’interno della nostra comunità su (cosa) il governo etiope potrebbe fare alle nostre famiglie”.
Blackout
Il blackout delle comunicazioni ha colpito anche l’uomo d’affari statunitense Awet – non è il suo vero nome – che ha detto all’AFP di non aver parlato con sua moglie per oltre un anno e di non aver mai tenuto in braccio la loro bambina.
Il trentenne è volato in Etiopia l’anno scorso per riportarli a casa in Colorado, ma non gli è stato permesso di recarsi in Tigray.
Si è ripetutamente rivolto ai funzionari statunitensi chiedendo aiuto per far uscire la sua famiglia dall’Etiopia, ma senza successo.
“È sempre la stessa risposta: non abbiamo un piano di evacuazione”.
Una manciata di foto e video sono i suoi unici ricordi della figlia di due anni. E anche guardarli a volte è troppo doloroso, ha detto.
In un video visto da AFP, girato un anno fa e inviato da qualcuno con raro accesso a Internet via satellite nel Tigray, la bambina faceva fatica ad alzarsi o ad alzare le braccia magre.
“Le sue gambe erano troppo deboli a causa della mancanza di cibo”, ha detto il padre sconvolto.
“È strano sentirsi come un papà quando non hai nemmeno visto tua figlia.”
I genitori di Saba Desta si ritirarono nel Tigray dopo due decenni a Seattle che si stabilirono a Shire,città che fu pesantemente bombardata in ottobre prima della sua cattura da parte delle forze etiopi e dei loro alleati.
È stata frenesia per la preoccupazione per il padre di 70 anni, che soffre di un disturbo neurologico debilitante, che lo rende particolarmente vulnerabile in una regione con gravi carenze di medicinali.
Il 36enne aveva contattato il Dipartimento di Stato e l’ambasciata americana ad Addis Abeba per chiedere aiuto.
“Tutti mi hanno preso in giro”, ha detto ad AFP, trattenendo le lacrime.
Anche così, ha aggiunto, la vita potrebbe essere peggiore.
Conosce diverse persone detenute ad Addis Abeba, tra cui un’amica che è stata trattenuta per sei mesi e sua zia che è stata in custodia per circa una settimana.
La sua più grande paura, ha detto, era quella di far uscire i suoi anziani genitori dal Tigray, solo per essere detenuti ad Addis Abeba.
“Ho più paura di quello che potrebbe succedere loro ad Addis che in una zona di guerra come il Tigray”.
FONTE: rfi.fr/en/international-news/2…
EGITTO-TURCHIA. El Sisi rinuncia alla pace con Erdogan. La sua priorità è il gas
della redazione
Pagine Esteri, 15 dicembre 2022 – Resta, almeno per ora, un gesto simbolico senza effetti concreti la stretta di mano che il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi e il leader turco Recep Tayyip Erdogan si sono dati il mese scorso davanti all’emiro Tamim bin Hamad al Thani del Qatar, lasciando presagire una normalizzazione delle relazioni tra Egitto e Turchia. Questa settimana, con l’obiettivo di replicare al memorandum d’intesa tra Tripoli e Ankara nel Mediterraneo, el Sisi a sorpresa ha firmato un decreto che definisce i confini occidentali della Zona economica esclusiva (Zee) dell’Egitto. Il decreto firmato da el Sisi taglia a metà le Zee di Libia e Turchia, così come previste con il memorandum turco-libico. Si attende ora la risposta turca.
La mossa unilaterale di el Sisi frena il riavvicinamento con la Turchia in atto da circa un anno. I due paesi sono avversari irriducibili dal giorno del colpo di stato che nel 2013 portò al potere el Sisi e alla rimozione dei Fratelli musulmani alleati di Erdogan. Ma lo sono anche per motivi strategici ed economici poiché hanno forti interessi nello sfruttamento delle ingenti riserve di gas sottomarino nel Mediterraneo orientale.
Il Cairo ha voluto delimitare nel Mediterraneo ciò che ritiene debba essere sotto il suo controllo e rappresenti un interesse nazionale egiziano. Le entrate miliardarie che lascia intravedere nei prossimi anni lo sfruttamento del gas sottomarino di cui anche l’Egitto è ricco – all’enorme giacimento Zohr si è aggiunta la scoperta di recente di quello di Narges IX, di fronte alla città di El Arish (Sinai) -, hanno spinto el Sisi a rompere gli indugi e a inserirsi con prepotenza nel contesto energetico emerso dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalle sanzioni occidentali all’energia di Mosca.
A contrapporsi nella regione sono in particolare gli interessi della Turchia e dei Paesi del forum del gas nel Mediterraneo orientale (Emgf: Francia, Cipro, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Autorità nazionale palestinese). Le parti si combattono a suon di definizione delle rispettive acque territoriali e delle Zone economiche esclusive. Adesso è stato il turno dell’Egitto. Allo stesso tempo il Cairo prova ad ostacolare l’EastMed (1), il gasdotto che dovrebbe convogliare il gas di Israele e Cipro verso Italia e Grecia. Meno gas passerà per l’EastMed e più ricaverà l’Egitto con l’esportazione del suo gas liquido prodotto negli impianti di Damietta e Idku (disponibile anche per il passaggio del gas israeliano e cipriota). L’Egitto inoltre sogna di esportare verso l’Europa elettricità prodotta nel suo territorio.
Un eventuale ridimensionamento del progetto dell’EastMed non dispiace neppure ad Ankara che punta a diventare un hub energetico con gas russo, azero e anche Gnl. La Turchia infatti ha la maggior capacità di rigassificazione della regione. Pagine Esteri
NOTE
1) Il gasdotto del Mediterraneo orientale o semplicemente EastMed è un gasdotto pianificato offshore/onshore per collegare direttamente le risorse energetiche del Mediterraneo orientale alla Grecia continentale attraverso Cipro e Creta. Ancora in fase di progettazione, trasporterà il gas naturale dalle riserve di gas off-shore nel Bacino Levantino in Grecia e, insieme ai gasdotti Poseidon e IGB, in Italia e in altre regioni europee. Avrà una lunghezza di circa 1.900 km, raggiungerà una profondità di tre chilometri e avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno.
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Etiopia, Jigjiga Condanna a Morte l’Ufficiale di Polizia che ha Ucciso Juweria Subcis, Deputata della Regione dei Somali
L’Alta corte di Jigjiga, la capitale dello stato regionale somalo, ha condannato a morte il 12 dicembre un membro della polizia federale che ha sparato e ucciso Juweria Subcis, un membro del Comitato Centrale del Partito della Prosperità al potere e del parlamento regionale somalo, Etiopia.
“Giustizia è stata giustamente fatta senza indugio: anche se questo verdetto non riporterà indietro la nostra cara sorella, sarà un monito per ogni soldato a non puntare la pistola contro innocenti”, ha commentato Zuber, un membro della comunità somala.
La deputata Juweria è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco da un membro di un agente di polizia federale all’interno dell’aeroporto Garad Wilwal, nella capitale della regione, Jigjiga, il 25 ottobre. La sparatoria ha lasciato gravemente feriti altri tre, tra cui sua sorella, Ayan Subics, e un membro del gabinetto regionale, Abdirashid Mohammed.
L’alta corte di Jigjiga ha stabilito che il membro della polizia federale è stato ritenuto colpevole dell’omicidio del deputato Juweria Subcis e lo ha condannato a morte. Il tribunale ha comunque concesso all’assassino condannato il diritto di impugnare la sentenza, ha riferito l’emittente di stato .
Mohamed Guray, vice capo della sicurezza dello stato regionale somalo, ha confermato ad Addis Standard che all’epoca il deputato Juweria Subcis era stato “deliberatamente colpita” a morte.
Sua sorella, Fowsia Musse, cittadina americana, era tra i feriti gravi durante la sparatoria del 25 ottobre. Era in visita dalla sorella insieme al figlio di 14 anni, anch’egli ferito. La figlia di 8 anni di Musse è scappata illesa. A Musse, che ora è tornata negli Stati Uniti, è stata amputata una gamba a causa delle ferite riportate.
FONTE: addisstandard.com/asdailyscoop…
In Ucraina la Russia è “condannata a vincere”
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 16 dicembre 2022 – La guerra in Ucraina sta per entrare nel decimo mese ma i combattimenti sembrano tutt’altro che vicini alla conclusione.
Il fronte occidentale continua a sostenere politicamente, economicamente e militarmente Kiev affermando di mirare – come d’altronde ripete quotidianamente Volodymyr Zelensky – alla definitiva sconfitta della Federazione Russa e al completo ritiro delle sue truppe da tutto il territorio ucraino.
La Russia non può perdere
Ma la verità – e lo sanno bene le cancellerie dei paesi aderenti al Patto Atlantico – è che la Russia non può perdere, perché un passo falso in Ucraina potrebbe segnare la fine del potere di Vladimir Putin e gravi conseguenze per la Federazione.
Nei giorni scorsi Zelensky ha affermato che «se morisse Putin la guerra finirebbe», ma non è affatto scontato. Certo, a Mosca potrebbe prevalere la corrente pragmatica dell’establishment, cosciente dei limiti oggettivi della macchina militare e dell’economia russa e magari incline a cercare una ricomposizione con la Nato, alla quale del resto la Russia si era fortemente avvicinata a metà degli anni ’90 del secolo scorso (ai tempi della “Partnership for Peace”), prima che Washington la escludesse e iniziasse l’assedio.
Il contesto internazionale attuale, però, non sembra certo evolvere verso una ricomposizione tra i vari poli della competizione globale tra potenze e blocchi geopolitici. La sconfitta del più consistente tentativo finora intrapreso da Mosca di riprendersi un pezzo importante dello spazio territoriale e geopolitico occupato prima dall’impero russo e poi dall’Urss, costituirebbe un grave shock non solo per l’attuale dirigenza russa ma soprattutto per le correnti ancora più radicali dello scenario politico russo, nel quale nazionalismo e sciovinismo prendono sempre più piede.
In caso di fallimento, è proprio da questi ambienti radicali che dovrebbe difendersi Putin, la cui caduta potrebbe innescare un’ulteriore escalation da parte della Russia nello strenuo tentativo di evitare un possibile collasso in uno scontro con la Nato sempre più diretto, per quanto per ora combattuto sul suolo ucraino. Le difficoltà di Mosca stanno già creando scompiglio negli “stan” dell’Asia Centrale, dove i vari regimi cercano di limitare la tradizionale influenza russa rafforzando le relazioni economiche e militari con la Cina, la Turchia e i paesi occidentali.
Qual è l’obiettivo di Mosca?
Non è affatto chiaro, però, cosa Putin consideri sufficiente per dichiararsi vincitore. Nelle prime settimane dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, sembrava che la cosiddetta “operazione militare speciale” puntasse non solo alla conquista del maggior numero di territori possibile ma anche a imporre a Kiev un governo fantoccio o comunque incline ad una trattativa impari con Mosca.
Poi, fallita la presa di Kiev e la decapitazione della leadership ucraina, la strategia del Cremlino sembrava mirare a occupare quantomeno tutta l’Ucraina sud-orientale per conquistare una stabile continuità territoriale con la Crimea e assimilare la maggior parte dei territori abitati dai russofoni, appropriandosi oltretutto delle zone più ricche di risorse naturali e infrastrutture industriali.
Nelle ultime settimane, invece, la strategia di Mosca sembra essere ulteriormente mutata: ora sembra che Putin miri a tenersi almeno alcuni dei territori annessi dopo aver deciso di abbandonare Kherson e le zone sulla sponda destra del fiume Dnipro, la cui difesa sarebbe costata un prezzo eccessivo, puntando nel contempo a fiaccare l’Ucraina per obbligare la sua la leadership a trattare.
Mosca martella città e infrastrutture
A questo mirano gli incessanti e implacabili bombardamenti, con droni e missili, delle infrastrutture civili (soprattutto centrali elettriche e sistemi idrici) e delle città ucraine realizzati dalle forze russe guidate da ottobre dal generale Sergej Surovikin.
Anche se Putin ha avvisato che i bombardamenti delle infrastrutture nevralgiche ucraine continueranno “in risposta” al sabotaggio del ponte di Kerč’ da parte di Kiev, appare evidente che Mosca intende piegare la popolazione civile lasciandola al buio, al freddo e senz’acqua durante il lungo e duro inverno ucraino.
Il premier ucraino Denys Smyhal ha avvisato che se gli attacchi ai sistemi elettrici ed idrici continueranno, il Pil del paese potrebbe crollare quest’anno del 50%.
Una relativa pausa invernale dei combattimenti a terra, inoltre, è utile a Mosca anche per addestrare ed inviare al fronte forze fresche, mobilitate in autunno, e riorganizzarsi logisticamente.
Usa e Ue aumentano aiuti e forniture militari
Per tentare di impedire il collasso dell’Ucraina l’Unione Europea si è impegnata a fornire a Kiev, nel corso del 2023, un pacchetto di aiuti pari a 18 miliardi, superando il veto del governo ungherese minacciato da Bruxelles del blocco dei fondi europei.
Dopo aver a lungo tentennato, invece, Washington sembra intenzionata ad inviare alcune batterie di Patriot a Kiev per migliorare la difesa antiaerea ucraina almeno sulla capitale del paese. Fornendo i Patriot, in grado di individuare e distruggere aerei e missili nemici anche a notevole distanza (ma non i droni), gli Stati Uniti sperano di diminuire l’intensità dei bombardamenti russi e dare un po’ di respiro a Kiev.
La formazione del personale in grado di utilizzare questo scudo antiaereo, però, è una procedura che richiede mesi; Mosca teme quindi che la Nato decida di far gestire inizialmente i Patriot al proprio personale militare, il che aumenterebbe ulteriormente il grado coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica nel conflitto in corso.
Proprio nei giorni scorsi, d’altronde, il tenente generale Robert Magowan, ex comandante dei Royal Marine di Londra, ha ammesso esplicitamente che alcune unità d’élite della marina britannica hanno partecipato a missioni «ad alto rischio politico e militare» e ad «operazioni segrete» sul suolo ucraino.
Gli Usa – che in totale hanno finora fornito all’Ucraina 19,3 miliardi di aiuti militari – hanno già inviato a Kiev alcuni missili HIMARS, imponendo però agli ucraini di utilizzarli solo per colpire le forze di Mosca sul suolo del paese invaso e non oltre il confine russo.
All’inizio di dicembre, comunque, Kiev ha deciso di bombardare, con droni dell’epoca sovietica potenziati, le basi russe di Ryazan ed Engels e un impianto petrolifero vicino a Kursk, centinaia di chilometri oltre il confine. Se gli attacchi hanno avuto un innegabile effetto psicologico sia in patria sia oltreconfine, la sortita non ha certo inciso sugli equilibri bellici. Mosca ha infatti risposto con massicci bombardamenti lanciando missili di ultima generazione realizzati negli ultimi mesi nonostante l’embargo alla quale la Russia è sottoposta da parte di Usa ed Ue.
La guerra sarà lunga
Da parte sua la Nato continua a inviare segnali contraddittori. Da una parte frena, tendenzialmente, gli impeti ucraini nel timore che Mosca si convinca ad usare tutti i mezzi a sua disposizione alzando il livello dell’asticella. D’altra parte, però, l’Alleanza Atlantica non ha nessun interesse ad un cessate il fuoco che concederebbe ossigeno a Mosca e potrebbe fomentare le contraddizioni interatlantiche tra Bruxelles – fortemente penalizzata dalla polarizzazione dello scenario mondiale sia sul fronte economico che militare – e Washington e Londra – che invece se ne avvantaggiano.
La Nato sembra puntare ad un lungo conflitto nella speranza non che Kiev cacci definitivamente i russi dal proprio territorio – possibilità alquanto remota – ma che la continuazione dei combattimenti sfianchi a lungo andare la Russia causando una crisi che ridimensioni fortemente le aspirazioni geopolitiche di Mosca.
Parlando al “Consiglio per lo sviluppo della società civile e dei diritti umani” Putin ha avvisato il popolo russo che la guerra in Ucraina sarà lunga e che sussiste il pericolo che si trasformi in un conflitto nucleare, anche se nessuna delle parti ammette di poter utilizzare per prima l’opzione atomica. Il presidente russo ha però vantato alcuni risultati positivi, come «l’acquisizione di nuovi territori» e il fatto che «il Mar d’Azov è diventato un mare interno della Russia».
Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ammesso che la guerra sarà lunga, insistendo sul fatto che sarà il campo di battaglia a decidere dove e quando si terranno eventuali colloqui di pace, escludendo quindi una trattativa con Mosca. Una trattativa che in realtà esiste già, per quanto dietro i riflettori, come dimostra il recente scambio tra un’atleta statunitense arrestata in Russia per traffico di stupefacenti e Viktor Bout, un ex ufficiale dell’aeronautica sovietica arrestato dagli Usa perché accusato di trafficare armi. A rivelare i contatti tra Russia e USA anche le reazioni infastidite e preoccupate di Kiev dei giorni scorsi; evidentemente gli ucraini temono un accordo tra le potenze nucleari che li bypassi.
Il Donbass sempre più martoriato
Paradossalmente, sia Putin che Stoltenberg hanno convenuto su un fatto che spesso l’informazione e la politica tendono a dimenticare: la guerra in corso non è iniziata il 24 febbraio scorso ma nel 2014, quando con il sostegno della Nato le correnti nazionaliste e scioviniste ucraine presero il potere a Kiev lanciando una “operazione militare speciale” contro le popolazioni russofone del Donbass che si opponevano al nuovo regime, a loro volta sostenute da Mosca che decise di annettersi la Crimea.
Il Donbass rimane il territorio più martoriato nei combattimenti, con le forze russe impegnate da settimane a tentare di strappare a Kiev la città di Bakhmut, strategica per l’eventuale conquista di centri come Kramatorsk, Slovjansk, Lyman e Izium.
Nelle ultime ore sembrerebbe che le forze di Mosca stiano avendo la meglio e stiano lentamente avanzando, dopo che negli ultimi due mesi non si sono registrati cambiamenti significativi della linea del fronte. Dal canto loro, le autorità dell’ormai ex Repubblica Popolare di Donetsk denunciano i più massicci bombardamenti dal 2014, che stanno riducendo le città in macerie e terrorizzando quella parte della popolazione che ha deciso di non evaquare in Russia. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora anche con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Etiopia, Mentre il Tigray Si Calma Cresce il Conflitto in Oromia
Mentre un conflitto mortale in Etiopia inizia a placarsi, un altro sta crescendo, sfidando un governo desideroso di convincere la comunità internazionale a revocare le sanzioni e rilanciare quella che una volta era una delle economie in più rapida crescita dell’Africa .
Anche se il primo ministro etiope Abiy Ahmed partecipa al vertice USA-Africa questa settimana per promuovere l’ accordo di pace del mese scorso tra il suo governo e le autorità della regione del Tigray, la regione più ampia dell’Oromia appare sempre più instabile.
Il secondo paese più popoloso dell’Africa, con 120 milioni di persone, è di nuovo alle prese con tensioni mortali tra i gruppi etnici ei loro alleati armati. Entrambi i gruppi etnici Oromo e Amhara, i più grandi del paese, denunciano omicidi e incolpano l’altro. Con le telecomunicazioni spesso interrotte e i residenti che spesso temono ritorsioni se parlano, il bilancio delle vittime della violenza in Oromia è sconosciuto.
Parlando con l’Associated Press in condizione di anonimato per timori per la loro incolumità, diversi residenti di Oromia hanno descritto attacchi mortali nelle ultime settimane.
Un testimone nel distretto di Kiramu della regione ha detto che suo padre e suo cugino erano tra le almeno 34 persone uccise dal 24 novembre. Ha incolpato i soldati sotto il controllo del governo regionale di Oromia, dicendo di aver visto le loro uniformi.
“Tutto è iniziato con uno scontro tra un’unica milizia locale e membri delle forze speciali di Oromia”
“Tutto è iniziato con uno scontro tra un’unica milizia locale e membri delle forze speciali di Oromia”, ha detto. “Le forze speciali hanno ucciso la milizia che era un membro della comunità Amhara, e poi è seguita un’uccisione di una settimana”. Ha stimato che da allora centinaia di persone siano fuggite dalla zona.
Un residente di etnia Oromo di Kiramu, tuttavia, ha accusato un gruppo armato Amhara noto come Fano di aver attaccato e ucciso civili e ha affermato di aver visto più di una dozzina di corpi e di averne seppelliti quattro il 29 novembre.
“Questo gruppo di miliziani sta uccidendo la nostra gente, bruciando villaggi e saccheggiando tutto ciò che possediamo”, ha detto ad AP Dhugassa Feyissa. “Sparano a chiunque trovino… che si tratti di dipendenti pubblici, agenti di polizia o insegnanti”.
L’Oromo e l’Amara hanno vissuto insieme per anni, ha detto, ma non avevano mai visto combattere in questo modo prima.
Anche il vice amministratore del distretto di Gidda Ayanna, anch’esso teatro di alcune delle peggiori violenze di Oromia nelle ultime settimane, ha accusato i combattenti di Amhara Fano.
“I civili nella nostra zona vengono uccisi, sfollati e saccheggiati.”
“I civili nella nostra zona vengono uccisi, sfollati e saccheggiati. Questo gruppo è pesantemente armato, quindi non può competere con gli agricoltori che sono indifesi”, ha detto Getahun Tolera, osservando che il suo distretto ora ospita circa 31.000 persone che sono fuggite dai distretti vicini. “Stiamo ancora andando di casa in casa e scoprendo corpi”.
I funzionari del governo federale etiope si sono rifiutati di commentare le uccisioni in Oromia e non ne hanno ancora parlato apertamente. Il primo ministro la scorsa settimana ha detto solo che alcuni “nemici con visioni estreme” stavano cercando di destabilizzare il Paese, senza fornire dettagli.
Le forze di sicurezza etiopi, gli insorti Oromo e la milizia Amhara si stanno combattendo a vicenda in Oromia, la più grande regione dell’Etiopia, ha affermato William Davison, analista dell’International Crisis Group.
“Nel mezzo di un’intensificazione della lotta del governo contro i ribelli, tutti e tre hanno preso di mira i civili, in particolare l’etnia Amhara, il che ha portato a un aumento della violenza da parte delle milizie Amhara che affermano di difendere le loro comunità”, ha affermato.
Mentre le forze di sicurezza federali etiopi combattono contro l’Esercito di liberazione dell’Oromo, che il governo ha definito un gruppo terroristico, anche i residenti di Oromo e Amhara ed i loro alleati armati si combattono a vicenda per rimostranze vecchie e nuove.
I coloni Amhara si trasferirono per la prima volta in massa in Oromia negli anni ’80 durante una carestia nel nord dell’Etiopia. Hanno vissuto pacificamente lì fino agli ultimi tre anni. L’OLA – Oromo Liberation Army si è separato da un’organizzazione politica Oromo e, secondo quanto riferito, ha iniziato a prendere di mira Amhara, a volte come vendetta per le sue perdite alle forze governative. Secondo quanto riferito, la milizia Amhara ha iniziato a prendere di mira Oromos e le forze di sicurezza regionali sono state coinvolte.
Gli oromo sono il gruppo etnico più numeroso dell’Etiopia, seguiti dagli amhara, che hanno dominato la politica del paese per generazioni. Molti Oromo erano esultanti quando Abiy, che si identifica come Oromo, è diventato primo ministro nel 2018. Ma quell’eccitazione si è trasformata in frustrazione per la crescente violenza.
Nei giorni scorsi in alcune comunità si sono svolte manifestazioni di protesta contro le uccisioni.
Nei giorni scorsi in alcune comunità si sono svolte manifestazioni di protesta contro le uccisioni. La scorsa settimana, la Commissione etiope per i diritti umani nominata dal governo ha affermato che “centinaia” di persone sono state uccise in “modo raccapricciante” negli ultimi quattro mesi in 10 zone della regione di Oromia, e ha confermato la presenza delle forze governative, della milizia Amhara e l’OLA nelle aree in cui si verificano ripetuti omicidi.
“Gli attacchi deliberati contro i civili in queste aree sono effettuati sulla base dell’etnia e delle opinioni politiche… con l’affermazione che uno sostiene un gruppo rispetto all’altro”, ha detto la commissione, esortando il governo federale ad agire con urgenza.
Anche i partiti di opposizione stanno parlando. Il Partito Rivoluzionario del Popolo Etiope, il Partito dell’Unità di tutta l’Etiopia e il Partito Enat hanno chiesto maggiore sicurezza per le comunità colpite, e un alto funzionario etiope del Movimento nazionale di opposizione di Amhara ha chiesto al governo federale di intervenire.
“La totalità di noi è diventata un paese che non mostra una forte avversione per un continuo spargimento di sangue di innocenti, ovunque possa accadere”, ha detto Belete Molla in un post su Facebook all’inizio di questo mese.
Un’altra figura politica di spicco, il politico dell’opposizione oromo Jawar Mohammed, all’inizio di questo mese ha affermato che almeno 350 persone sono state uccise e oltre 400.000 sfollati “solo nelle ultime 48 ore” nelle aree di Kiramu, Horo Guduru, Kuyu e Wara Jarso di Oromia.
“Il governo deve smetterla di fingere che non stia succedendo nulla”, ha detto Jawar in un post su Facebook. “Il conflitto sta rapidamente diventando una guerra comunitaria che coinvolge i civili. Se non contenuto presto, probabilmente si diffonderà in altre parti dei due stati regionali e oltre”.
FONTE: apnews.com/article/politics-af…
EGITTO-TURCHIA. El Sisi rinuncia alla pace con Erdogan. La sua priorità è il gas
della redazione
Pagine Esteri, 15 dicembre 2022 – Resta, almeno per ora, un gesto simbolico senza effetti concreti la stretta di mano che il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi e il leader turco Recep Tayyip Erdogan si sono dati il mese scorso davanti all’emiro Tamim bin Hamad al Thani del Qatar, lasciando presagire una normalizzazione delle relazioni tra Egitto e Turchia. Questa settimana, con l’obiettivo di replicare al memorandum d’intesa tra Tripoli e Ankara nel Mediterraneo, el Sisi a sorpresa ha firmato un decreto che definisce i confini occidentali della Zona economica esclusiva (Zee) dell’Egitto. Il decreto firmato da el Sisi taglia a metà le Zee di Libia e Turchia, così come previste con il memorandum turco-libico. Si attende ora la risposta turca.
La mossa unilaterale di el Sisi frena il riavvicinamento con la Turchia in atto da circa un anno. I due paesi sono avversari irriducibili dal giorno del colpo di stato che nel 2013 portò al potere el Sisi e alla rimozione dei Fratelli musulmani alleati di Erdogan. Ma lo sono anche per motivi strategici ed economici poiché hanno forti interessi nello sfruttamento delle ingenti riserve di gas sottomarino nel Mediterraneo orientale.
Il Cairo ha voluto delimitare nel Mediterraneo ciò che ritiene debba essere sotto il suo controllo e rappresenti un interesse nazionale egiziano. Le entrate miliardarie che lascia intravedere nei prossimi anni lo sfruttamento del gas sottomarino di cui anche l’Egitto è ricco – all’enorme giacimento Zohr si è aggiunta la scoperta di recente di quello di Narges IX, di fronte alla città di El Arish (Sinai) -, hanno spinto el Sisi a rompere gli indugi e a inserirsi con prepotenza nel contesto energetico emerso dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalle sanzioni occidentali all’energia di Mosca.
A contrapporsi nella regione sono in particolare gli interessi della Turchia e dei Paesi del forum del gas nel Mediterraneo orientale (Emgf: Francia, Cipro, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Autorità nazionale palestinese). Le parti si combattono a suon di definizione delle rispettive acque territoriali e delle Zone economiche esclusive. Adesso è stato il turno dell’Egitto. Allo stesso tempo il Cairo prova ad ostacolare l’EastMed (1), il gasdotto che dovrebbe convogliare il gas di Israele e Cipro verso Italia e Grecia. Meno gas passerà per l’EastMed e più ricaverà l’Egitto con l’esportazione del suo gas liquido prodotto negli impianti di Damietta e Idku (disponibile anche per il passaggio del gas israeliano e cipriota). L’Egitto inoltre sogna di esportare verso l’Europa elettricità prodotta nel suo territorio.
Un eventuale ridimensionamento del progetto dell’EastMed non dispiace neppure ad Ankara che punta a diventare un hub energetico con gas russo, azero e anche Gnl. La Turchia infatti ha la maggior capacità di rigassificazione della regione. Pagine Esteri
NOTE
1) Il gasdotto del Mediterraneo orientale o semplicemente EastMed è un gasdotto pianificato offshore/onshore per collegare direttamente le risorse energetiche del Mediterraneo orientale alla Grecia continentale attraverso Cipro e Creta. Ancora in fase di progettazione, trasporterà il gas naturale dalle riserve di gas off-shore nel Bacino Levantino in Grecia e, insieme ai gasdotti Poseidon e IGB, in Italia e in altre regioni europee. Avrà una lunghezza di circa 1.900 km, raggiungerà una profondità di tre chilometri e avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno.
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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – La società futura sarà la società d’oggi…
La società futura sarà la società d’oggi, perfezionata, […] mossa sempre più da sentimenti elevati e spirituali
da Corriere della Sera, 8 novembre 1921
L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – La società futura sarà la società d’oggi… proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
PD: ‘filosofie’ da cercare, ticket da dimenticare
Lo dico con tutta la cautela del caso, lo dico con le dita strettamente incrociate, lo dico con l’ironico distacco di chi sa che la dice grossa, ma l’impressione mia è che, per una volta, qualcuno nel PD agisce chiaramente. Non senza qualche sorpresa, per carità sempre di PD si parla, ma schiettamente sì: alludo […]
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Andrea Russo
Unknown parent • •@Bishop 👺 capisco. E purtroppo l'autore dell'articolo non lo è...
Ma questo fa parte della follia antirussa che sta montando in questo periodo.
(l'Indro è un giornale interessante, ma a volte sbarella di brutto 😂 )