Recedenti
Non è stupefacente che si vada in così pochi a votare. Non si tratta solo dell’ultima tornata, ma di una deriva in atto da tempo. Non è questione che riguardi questa o quella parte politica, ma la politica tutta. Altrimenti la frattura fra il discorso politico, in generale il discorso pubblico, e la realtà diventa davvero pericolosa.
Quando si fa cenno alla distanza fra “i politici” (che è già definizione indiscriminata, sicché qualunquista) e la vita di ogni giorno ci si riferisce, per lo più, al tema dei privilegi lontani dai bisogni. Ma è un approccio moralistico, inconcludente, cui il personale politico risponde provando a usare il linguaggio della “gente”, con ciò stesso comunicando che lo ritiene un frullato fra superficiale, rozzo e volgare. Tutta commedia, tutta fuffa. La frattura c’è, ma si allarga da un’altra parte, che è poi quella in cui si trovano tanti dei non votanti.
Il nostro discorso pubblico, che sia fatto dalla politica o dalla comunicazione, ha un vocabolario limitato ai disastri e alla miseria, corredato di concetti che cavalcano i soprusi e le ingiustizie. Siccome poi le cose non cambiano, trattasi di un gigantesco piagnisteo inutile. A questo si aggiunga che avendo un’intonazione rivendicativa, va a finire che, stando sempre sulle premesse e mai nel concreto, finisce con il rivendicare cose opposte. È invece sprovvisto di tesi, idee e suggestioni che maneggino il positivo, la crescita, il progresso. Vediamo perché e il danno che provoca.
L’intera campagna elettorale nazionale, che ha portato alle elezioni del settembre scorso, è stata condotta cantando i salmi della recessione. La gara era a chi si doleva e condoleva di più, a chi andava promettendo più aiuti e sostegni. Una congrega di recedenti. Ma mentre questo andava in scena, il governo Draghi, nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, avvertiva che la crescita 2022 sarebbe stata superiore al previsto e quella del 2023 pari a un +0.6%. Crescita meno sostenuta, ma pur sempre crescita. Che sarebbe l’opposto della recessione. Vabbè, ma Draghi barava per magnificarsi, gli altri che dicevano? Tutti (dalla Commissione Ue all’Ocse) segnalavano crescita, più contenuta, salvo il Fondo monetario. E tutti si sbagliavano, perché all’inizio dell’anno era già acquisito il +0.4% e ora le previsioni volgono verso un +0.8%. Siccome non ci sono né trucchi né miracoli è segno che l’Italia produttiva funziona maglio di quanto si creda, difatti a dicembre si raggiungeva il 60.5% della popolazione attiva occupata (che non è molto, ma lo è per l’Italia) e semmai il problema era ed è quello dei lavoratori mancanti.
Se non ci si tappasse gli occhi davanti a tutto questo ci si concentrerebbe sul cosa può essere fatto per rendere migliore la vita dell’Italia produttiva, sforzandosi di portare quel modello dove le cose non funzionano. Invece si parte dalle cose che non funzionano, le si erige a simbolo d’Italia e ci si pone il problema di come portare via soldi alla parte produttiva per finanziare l’improduttiva. Volete anche il voto?
Abbiamo discusso per settimane di regionalismo differenziato. Il governo ha varato un testo (campa cavallo), dicendo che più si delega e meglio funzioneranno le cose. Poi ne succedono due: a. alle elezioni per le preziosissime regioni non vanno che pochissimi; b. al Consiglio dei ministri di domani (giovedì) dovrebbe arrivare il testo di un decreto relativo al Pnrr, che centralizza competenze e responsabilità, in modo da non perdere il treno. Non conosco il testo, ma concetto corretto. Solo che è diverso da quanto sostenuto una settimana prima del voto.
Non è mica un problema del solo governo o della sola destra: è un costume generalizzato. Che presuppone l’Italia produttiva funzioni e pedali comunque, mentre i voti si vanno a cercare allargando la spesa pubblica corrente e spendendo parole di consolazione e rivendicazione. Così la frattura s’allarga, sentendosi traditi e presi in giro gli uni e gli altri.
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L’evento
Ora è finito. Dalla minoritaria posizione di chi non ne ha seguito una sola serata (tutte nottate, per la precisione), dall’ancor più ristretta cerchia di quanti non ne hanno detto una parola, in corso d’opera, porto il mio omaggio al significativo evento. Noi non seguaci del Festival siamo indicati come spocchiosi elitari. Non ho nulla contro le élite, ma ho l’impressione che siano gli entusiasti a sottovalutare, nel bene e nel male, almeno tre aspetti.
1. È uno dei pochi eventi del secolo scorso che porta nel presente l’antico modello comunicativo. Un trionfo del broadcasting: una cosa avviene in un punto, da quello viene trasmesso in tutti gli altri, e anche chi non lo segue è al corrente di quel che accade, perché diventa argomento di generale comunicazione e conversazione. Nel mondo digitale il pubblico si frammenta, ciascuno guarda o ascolta quello che gli pare, destrutturando le basi del discorso comune. Il Festival s’impone come evento e ribalta i rapporti di forza, mettendo il digitale al servizio dell’unicità. Quanti si ostinano a sfuggire verranno comunque raggiunti dall’eco di quel che colà accade.
Si può essere felici o costernati che ciò accada per un concorso canoro, ma è irrilevante. Quel che conta è che si tratta di un esempio, raro, di argomento comune sul quale si possono avere opinioni opposte. Le democrazie funzionavano così e hanno cominciato a funzionare meno da quando ciascuno non ha solo la propria opinione, ma anche la propria realtà. E se il vecchio modello offriva troppo potere agli ideatori del discorso comune, quello della frammentazione offre troppi spazi ai mestatori della sua demolizione.
2. Il Festival ha successo perché ci sono le canzoni, ma ci tiene a non essere un Festival delle canzoni. Non ho misuratoti particolari, ma credo che la gran parte del pubblico segua le canzoni, mentre la pressoché totalità del discorso di contorno è su altro. E il resto, anno dopo anno, da tanti e tanti anni, è sapientemente costruito per far parlare chi non sa cantare. Non c’è Festival senza polemica del Festival. E qui diventa lo specchio di quel che l’intellettualità poco pensata suppone sia la sensibilità degli italiani. Destra e sinistra va sempre bene, in un Paese fazioso, ma il sesso è una miniera inesauribile. Perché sia sfruttato appieno si deve essere rompitori di tabù, che se non ci sono più tocca inventarseli. Tabù, che ridere: <<Che bella pansé che tieni/ che bella pansé che hai/ me la dai?…>>. Nino Taranto, 1953. Poi Renato Carosone. Oggi sarebbero lapidati.
Gli scandalizzati odierni, da mostrare in scena, non sono il pastore sardo e la casalinga di Voghera, di arbasiniana memoria, ma le tatuate beghine del politicamente corretto, pronte a tremar d’indignazione libertaria se solo t’azzardi a dire che una slinguazzata organizzata e solo una gran cafonata, sicché a quel punto le beghine del conformismo che s’immagina anticonformista tuonano: omofobia. Oh beghine care, la fobia, ovvero la paura, è un problema serio, ma non è che l’ossessività sia da meno. L’idea che un complimento spinto sia violenza, se intersessuale, mentre una lingua in bocca sia passione, se omo, pareggia le beghine odierne a quelle del <<non lo fo per piacer mio, ma…>>.
In quanto alla destra e alla sinistra, disse già tutto Giorgio Gaber nel monologo su chi era comunista, del 1991: c’è chi era comunista perché lo spettacolo lo richiedeva, c’è chi era comunista perché prima era fascista. I coraggiosi portatori delle idee scontate.
3. Tuona la destra: fuori la sinistra dalla Rai. Calmatevi. L’avete lottizzata a turno. Fu già di destra, conservando la sinistra, e fu già di sinistra, conservando la destra. Ora rilottizzerete, ma non provateci nemmeno a far credere che sia una svolta. Ascoltate Amadeus, che se ne intende: gli ascolti chiudono il discorso. Verissimo, ma quale? Quello del servizio pubblico, perché quando s’usa quel metro quella che vi spartite è una televisione commerciale, posseduta dallo Stato e finanziata da contribuenti che non vorrebbero contribuire.
Andate pure avanti così, ma amerei non lo faceste a mie spese.
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Turchia: il terremoto potrebbe ribaltare il panorama politico
La mattina presto del 6 febbraio, due terremoti hanno devastato la Turchia sudorientale e la Siria settentrionale, facendo crollare edifici in un raggio sorprendente di diverse centinaia di chilometri. Più di 22.000 persone sono morte e altre decine di migliaia sono rimaste ferite. Giorni dopo, sopravvissuti e vittime rimangono tra le macerie. Con ogni probabilità, […]
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Ucraina: la Russia bombarda solo per bombardare
“Ero quasi addormentato, verso le 10 o le 11, quando ho guardato fuori dalla finestra ed era come un’alba rossa”, ha detto Alla, 64 anni, le cui finestre dell’edificio vicino sono state distrutte dall’esplosione. Il vetro era sparso per terra e la porta accanto il proiettile ha lasciato un buco aperto sei piani più in […]
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Vita di impresa: assetti organizzativi e prevenzione dei reati
Il 22 febbraio alle ore 18:00 presso l’aula Malagodi della Fondazione Einaudi si terrà la conferenza dal titolo: “Vita di impresa: assetti organizzativi e prevenzione dei reati”
Curatore dell’eventoNino Parisi
Saluti introduttiviAndrea Cangini
Tavola rotonda– Andrea Ostellari
– Antonio Matonti
– Anna Vittoria Chiusano
– Massimiliano Annetta
Sessione di Q&A con i rappresentanti del mondo produttivo
Aperitivo di network
L’evento verrà trasmesso in streaming sui social network della Fondazione
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Il Giappone e il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore agricolo
Nel 2019, il governo giapponese ha introdotto la legge di riforma dello stile di lavoro che ha cercato di aumentare la diversità sul posto di lavoro e migliorare le condizioni di lavoro. Ma la riforma non è stata discussa a sufficienza in uno dei settori che ne ha più bisogno: l’agricoltura. L’industria agricola in Giappone […]
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Ucraina: il percorso verso la pace passa direttamente attraverso le linee rosse di Putin
Mentre l’invasione russa dell’Ucraina si avvicina al traguardo di un anno, la risposta occidentale è ancora minata da timori esagerati di escalation e preoccupazioni mal riposte sui pericoli di ‘provocare Putin’. Ma mentre i leader e i commentatori occidentali continuano ad avvertire delle terribili conseguenze se l’Ucraina osa resistere, l’esperienza degli ultimi dodici mesi racconta […]
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Non dobbiamo impegnarci in crociate isteriche contro Russia e Cina
Dall’inizio della guerra di Vladimir Putin in Ucraina, molti leader occidentali hanno inciampato in se stessi nel tentativo di far vedere che stavano facendo più dei loro pari per sostenere l’Ucraina nella sua guerra contro la Russia. Il recente apparente colpo politico del governo del Regno Unito nel convincere il leader ucraino Volodymyr Zelensky a visitare […]
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Carcere minorile di Nisida: Francesca Fagnani come Eduardo
‘Notizie’, fatti, situazioni che meriterebbero maggiore attenzione e riflessione; e che invece ‘scivolano’ tra l’indifferenza dei più e il fastidio di molti. Carcere milanese di San Vittore. La notte di Capodanno Luis, un ragazzo peruviano di 21 anni, viene incarcerato, l’accusa è furto aggravato; un mese dopo si impicca. Riescono a soccorrerlo, ma le sue […]
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La sinistra “fuori moda e fuori tema” e una riflessione sull’astensionismo
Al direttore
Chiuse le urne nelle due principali regioni italiane, al netto delle percentuali dei singoli partiti o della somma puramente algebrica degli stessi, queste elezioni hanno certificato qualcosa di più profondo, su cui vale indubbiamente la pena soffermarsi e riflettere. Fatte salve eventuali prossime smentite che dobbiamo certamente mettere in conto, al momento è importante analizzare la realtà dei dati “a caldo”.
In questa tornata elettorale, dove, come si diceva, sono andate al voto quelle che senza alcun dubbio possiamo definire le regioni nevralgiche dell’intero paese (una, il Lazio, sede del motore politico nazionale, l’altra, la Lombardia, di quello economico), hanno avuto la meglio i partiti, di maggioranza o di opposizione, meglio strutturati. Non è un problema di leadership: tutti gli attuali movimenti politici, chi più chi meno, hanno un leader facilmente riconoscibile e riconducibile al partito di appartenenza.
Ma non possiamo certamente prescindere da una considerazione oggettiva: la Lega, il Partito democratico e Fratelli d’Italia hanno qualcosa in più. Anzi, qualcosa che agli altri storicamente manca: una struttura e una classe dirigente sedimentata nel tempo e, soprattutto, strutturata. Di questi tre, due di maggioranza e uno di opposizione, che indubbiamente hanno “tenuto” a queste elezioni, c’è altresì da notare che uno (il Pd) è anche momentaneamente senza leader. Tutti e tre provengono da una storia che ha radici profonde, nonostante talvolta il cambio di sigle o di nomi.
La Lega può certamente essere considerato un partito “storico”, anzi, nel panorama parlamentare attuale è quello più longevo tuttora in campo. Se vogliamo, potremmo definirla una sorta di vendetta della politica: non è sufficiente essere un abile oratore, un politico preparato o anche uno straordinario comunicatore: occorre un Partito! Non serve avere tanti vice leader, che poi nella realtà dei fatti sono qualifiche insignificanti, serve invece una solida classe dirigente sui territori.
Una condizione del genere non si costruisce dall’oggi al domani, ci vogliono forza e coraggio (e spesso anche batoste elettorali!), ma è senza dubbio – la storia lo insegna – garanzia certa di durata nel tempo e, soprattutto, di capacità di assorbire i colpi. Non garantisce insomma il successo, le vittorie o gli insuccessi in politica si susseguono e si inseguono, ma garantisce ammortizzatori che possano governare le affermazioni elettorali e cauterizzare le sconfitte.
Possiamo essere certi che da domani i politologi si concentreranno sulla scarsa partecipazione al voto e amenità del genere, ma questi sono dati in linea con l’andamento di tutti o quasi i paesi europei nel momento storico attuale. L’elemento di novità mi pare proprio quello sopra segnalato, ma ci sarà certamente tempo e modo di ritornarci, questa volta “a freddo”.
Giuseppe Benedetto,
Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
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La sinistra “fuori moda e fuori tema” e una riflessione sull’astensionismo
Al direttore
Chiuse le urne nelle due principali regioni italiane, al netto delle percentuali dei singoli partiti o della somma puramente algebrica degli stessi, queste elezioni hanno certificato qualcosa di più profondo, su cui vale indubbiamente la pena soffermarsi e riflettere. Fatte salve eventuali prossime smentite che dobbiamo certamente mettere in conto, al momento è importante analizzare la realtà dei dati “a caldo”.
In questa tornata elettorale, dove, come si diceva, sono andate al voto quelle che senza alcun dubbio possiamo definire le regioni nevralgiche dell’intero paese (una, il Lazio, sede del motore politico nazionale, l’altra, la Lombardia, di quello economico), hanno avuto la meglio i partiti, di maggioranza o di opposizione, meglio strutturati. Non è un problema di leadership: tutti gli attuali movimenti politici, chi più chi meno, hanno un leader facilmente riconoscibile e riconducibile al partito di appartenenza.
Ma non possiamo certamente prescindere da una considerazione oggettiva: la Lega, il Partito democratico e Fratelli d’Italia hanno qualcosa in più. Anzi, qualcosa che agli altri storicamente manca: una struttura e una classe dirigente sedimentata nel tempo e, soprattutto, strutturata. Di questi tre, due di maggioranza e uno di opposizione, che indubbiamente hanno “tenuto” a queste elezioni, c’è altresì da notare che uno (il Pd) è anche momentaneamente senza leader. Tutti e tre provengono da una storia che ha radici profonde, nonostante talvolta il cambio di sigle o di nomi.
La Lega può certamente essere considerato un partito “storico”, anzi, nel panorama parlamentare attuale è quello più longevo tuttora in campo. Se vogliamo, potremmo definirla una sorta di vendetta della politica: non è sufficiente essere un abile oratore, un politico preparato o anche uno straordinario comunicatore: occorre un Partito! Non serve avere tanti vice leader, che poi nella realtà dei fatti sono qualifiche insignificanti, serve invece una solida classe dirigente sui territori.
Una condizione del genere non si costruisce dall’oggi al domani, ci vogliono forza e coraggio (e spesso anche batoste elettorali!), ma è senza dubbio – la storia lo insegna – garanzia certa di durata nel tempo e, soprattutto, di capacità di assorbire i colpi. Non garantisce insomma il successo, le vittorie o gli insuccessi in politica si susseguono e si inseguono, ma garantisce ammortizzatori che possano governare le affermazioni elettorali e cauterizzare le sconfitte.
Possiamo essere certi che da domani i politologi si concentreranno sulla scarsa partecipazione al voto e amenità del genere, ma questi sono dati in linea con l’andamento di tutti o quasi i paesi europei nel momento storico attuale. L’elemento di novità mi pare proprio quello sopra segnalato, ma ci sarà certamente tempo e modo di ritornarci, questa volta “a freddo”.
Giuseppe Benedetto,
Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
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Il suicidio dell’Ue sull’elettrico
Serve razionalità civile, politica ed economica per analizzare un suicidio civile, politico ed economico. L’adesione incondizionata dell’Unione europea al totem dell’elettrico coincide con la mutilazione di una specializzazione (il diesel prima di tutto), con la cessione di sovranità tecnologica (l’elettrico è core business della Cina) e con la prospettiva di una desertificazione industriale, che comprende sia i carmakers sia
la filiera. Questo indebolimento dell’Europa delle fabbriche fa il paio con il rafforzamento dell’America delle fabbriche, che beneficia di un pacchetto di 400 miliardi di dollari –l’Ira, Inflation reduction act – con sussidi diretti alle imprese e sconti fiscali alle famiglie per l’acquisto di prodotti green, come le auto elettriche.
Il contesto europeo nasce dall’innestarsi di due fenomeni psico-politici prima che tecno-produttivi: il diesel gate tedesco e l’ecologismo radicale, con i suoi tratti da pseudo-religione. Il primo ha oscurato nella opinione pubblica europea ogni significativo miglioramento nell’impatto ambientale dei carburanti tradizionali. Il secondo ha ammantato di moralismo ogni discorso pubblico sulle nuove tecnologie. L’elettrico è assurto a dogma che ha cancellato ogni comparazione approfondita sugli effetti in Africa, in Sud America e in Asia dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare con cui si fabbricano, per esempio, le batterie. Questo dogma astratto ha trascurato gli effetti reali sui cittadini-consumatori: in teoria i primi beneficiari, nei fatti le vittime di una selezione “classista” di portafoglio, perché le vetture elettriche sono in media più care.
Un dogma ma anche un perno dei nuovi equilibri internazionali, con appunto la Cina in una posizione di leadership funzionale anche alla cessione di sovranità tecnologica da parte dell’Europa. Nell’elettrico servono meno addetti per produrre una automobile. E la componentistica è differente da quella attuale. In questo contesto esiste l’Unione europea. Ma esistono anche la Germania, la Francia e l’Italia. Con le proprie specificità. Sul piano nazionale per il nostro Paese le cose si complicano. Nella dimensione pubblica e nella dimensione privata. La Francia con il suo centralismo e la Germania con il sistema misto governo nazionale-Laender possono finanziare le politiche industriali di transizione con più agio rispetto all’Italia, perché hanno conti nazionali più in ordine. L’altro elemento sono i singoli produttori, appunto, nazionali.
In ogni tecnologia di frontiera la concentrazione delle risorse tecnologiche e finanziarie, scientifiche e manageriali avviene in nodi coesi e corposi, come appunto le grandi imprese, che producono ricadute sulle filiere sottostanti. I produttori tedeschi hanno reagito al dieselgate con imponenti piani di investimento sull’elettrico, beneficiando del connubio con il sistema cinese. Renault e Peugeot hanno nel tempo creato noccioli duri sull’elettrico che, adesso, costituiscono buone radici generative. Nella dinamica di Stellantis – nata dalla fusione formale e dall’annessione sostanziale di Fca a Peugeot – il sistema industriale nazionale italiano sconta un ritardo di trent’anni: la gracilità dei
cicli di investimenti della Fiat negli anni ’90, la debolezza patrimoniale sua e di Chrysler e la sfiducia nel modello di business dell’elettrico di Marchionne hanno favorito lo svuotamento industriale del Paese di origine, l’Italia, dei suoi marchi, dei suoi centri di ricerca e delle sue fabbriche. Questo vale in ogni segmento. Tanto più nell’elettrico.
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L’Event Horizon Telescope ha scrutato nel cuore di una quasar | Passione Astronomia
"L’Event Horizon Telescope ha osservato la lontana quasar NRAO 530 per studiare l’oggetto e il ruolo dei campi magnetici nella sua formazione."
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TERREMOTO TURCHIA-SIRIA. Ora domande fondamentali per Idlib e Qamishli
di Nasser Qandil – Al Bina
(foto di Ahmed Akacha)
Pagine Esteri, 15 febbraio 2023 – Le forze di opposizione siriane dovranno presto affrontare domande fatali poiché il terremoto costringerà la Turchia a porre fine al suo intervento. Il devastante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria ha creato una nuova situazione in cui Ankara si trova a dover sfruttare le proprie risorse per anni a venire per riprendersi dalle conseguenze del disastro, sostiene il caporedattore di un quotidiano libanese. Ciò accelererà il processo che porterà alla fine del suo intervento in Siria, che a sua volta dovrà affrontare le forze anti-regime nel nord-est e nel nord-ovest siriano con pressanti domande sul loro destino all’indomani del ritiro della Turchia.
Nella scena regionale si pone ora un interrogativo importante sulla scia del disastro causato dal terremoto: quale vantaggio può ottenere la Turchia dal mantenere le sue forze in Siria. La Turchia si trova ad aver bisogno di impegnare le sue risorse per il processo di ripresa dalle conseguenze del disastro e lo deve fare migliorando i rapporti con gli altri paesi. Da qui nasce il suo attuale tentativo di normalizzare le relazioni con la Grecia, come ha rivelato lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan. Allo stesso modo, Erdogan ha perseguito la normalizzazione con la Siria nella fase precedente al sisma con l’intento di ridurre gli oneri causati dall’intervento (negli anni passati in Siria) che ha sperperato gran parte delle risorse turche e ha portato rovina e terrorismo in Siria. E se prima era così, immaginate com’è adesso, dopo il terremoto. E tutti sanno che una condizione necessaria per le normali relazioni turco-siriane è il ritiro di Ankara dal territorio siriano.
Non c’è osservatore del dossier turco/siriano che non sappia che, prima del terremoto, il processo iniziato con la costituzione del quadrilatero russo/turco/iraniano/siriano sarebbe sfociato in una riunione militare di sicurezza volta a discutere i meccanismi per affrontare la situazione anomala nella Siria nordoccidentale, dopo che erano state discusse condizioni simili nella Siria nordorientale. Pertanto, la preoccupazione causata dalle conseguenze del disastro non durerà a lungo prima che sorga l’urgente necessità di andare avanti. Significherà mettere sul tavolo il futuro delle enclavi siriane nord-orientali e nord-occidentali a causa della loro connessione con la decisione turca di ritirarsi dalla Siria.
Erdogan, si sa, vorrebbe condizionare il suo arretramento a un risultato in termini di sicurezza che gli permetta di dichiarare al suo popolo che la minaccia è stata sradicata. A sua volta la Siria vuole che la sua cooperazione politica e di sicurezza verso quell’obiettivo sia subordinata a un impegno turco per mettere fine l’enclave del nord-ovest (Idlib), con Mosca e Teheran che appoggiano Damasco su questo punto.
Qui sorge la domanda su cosa intendono fare i politici siriani che si definiscono i leader della cosiddetta rivoluzione (del 2011). In che modo il mantenimento della loro presa sull’enclave siriana nordoccidentale si inserisce nella loro visione futura della Siria? Hanno una tale visione? Certo è che l’idea di un’azione militare che consenta loro di espandersi e diffondersi nelle aree siriane controllate dallo Stato è fuori discussione, anche solo come fantasia. Hanno il coraggio di dichiarare la loro intenzione di stabilire uno Stato indipendente nelle aree sotto il loro controllo? Controllano veramente quelle aree? Oppure nella realtà è un conglomerato di gruppi armati di varia affiliazione che mantiene il controllo di quella regione? La maggior parte di questi gruppi vive grazie ai finanziamenti di alcuni Paesi del Golfo e di alcune organizzazioni che promuovono l’estremismo (religioso) in altri Stati del Golfo, nonché della Fratellanza musulmana. Anche loro sanno che senza la copertura turca questa enclave non ha futuro. Hanno pensato a come affronteranno il ritiro turco quando verrà il momento?
Nel nord-est della Siria, il quadro è simile. Non ci sono prospettive militari su cui i leader delle Forze democratiche siriane (SDF) possano scommettere per espandere la loro amministrazione autonoma o affermare di far parte di un movimento siriano che controlla l’intero territorio siriano. Né sono in grado di dichiarare il loro Stato in quella zona e proclamare la secessione dalla Siria. E nemmeno di utilizzare il loro controllo dell’area per negoziare termini che trascendano un singolo Stato siriano e di avanzare formule federaliste. Quindi cosa diranno quando gli sarà chiesto delle loro strategie se gli Stati siriano e turco raggiungessero un accordo con una mediazione congiunta russo/iraniana per sradicare l’enclave? La risposta è che non hanno il controllo della decisione. Pagine Esteri
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GERUSALEMME. «Ora i coloni israeliani attaccano anche noi cristiani»
di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 10 febbraio 2023 – «Sai dell’ultimo attacco? Hanno distrutto una statua di Gesù alla Flagellazione. Coloni ed estremisti israeliani prendono di mira anche i cristiani», ci dice Sami nel suo negozio di alimentari affollato di bambini usciti da scuola. Si riferisce all’attacco compiuto il 2 febbraio alla Cappella della Condanna, dietro il complesso della Flagellazione, da un uomo che le autorità israeliane hanno descritto come un turista americano, uno «squilibrato». E che invece il Patriarcato latino (cattolico) ha indicato come un «estremista ebreo». A fermarlo è stato il portiere del sito religioso, Majed Al Rishek, un musulmano. Le immagini del placcaggio rugbistico dell’aggressore hanno fatto il giro del web. «Qui a Porta Nuova siamo preoccupati» aggiunge Sami «prima (gli estremisti) sputavano quando, durante i nostri riti religiosi, vedevano la croce. Adesso sono violenti, ci urlano di andare via perché, dicono, Israele è solo degli ebrei. Qualcuno di noi ora chiude prima del solito». Qualche sera fa, davanti al ristorante Taboun, decine di religiosi estremisti hanno inveito contro turisti e proprietari dei locali. Ne è seguita una violenta rissa in strada andata avanti per mezz’ora con lanci di sedie e bottiglie e tavoli rovesciati.
Porta Nuova con i suoi vicoli stretti che corrono fino alla Porta di Giaffa e al Santo Sepolcro è la manifestazione storica oltre che religiosa della comunità palestinese cristiana. Negli ultimi due-tre anni Porta Nuova è diventata anche un punto di ritrovo serale. Lo scorso Natale, tra luci colorate e ricchi addobbi, ha ospitato la soprano italiana Giuliana Mettini che si è esibita con canti festivi apprezzati da abitanti e turisti. Il comune israeliano di Gerusalemme, mosso anche da intenti turistici, ha dato alla comunità cristiana a Porta Nuova una ampia possibilità di organizzare eventi e attività. «Ma agli estremisti israeliani non piace questa libertà e che i cristiani possano mostrarsi attivi nel professare la loro fede ed esibire la croce», spiega Mariam, cattolica impegnata in attività di sostegno agli anziani. «Per loro» aggiunge la donna «tutti gli arabi, musulmani e cristiani, devono lasciare questa terra».
Le Chiese da tempo denunciano gli atti vandalici che subiscono dagli estremisti non solo a Gerusalemme. E hanno chiesto alle autorità israeliane di agire con polso fermo per mettere fine a queste intimidazioni. Nelle ultime settimane gli avvertimenti minacciosi si sono moltiplicati. Un cimitero cristiano ortodosso a Gerusalemme è stato devastato, la scritta «Morte ai cristiani» è stata lasciata sui muri di un monastero nel quartiere armeno e sono stati vandalizzati i locali del centro maronita di Maalot. «Non è un caso che la legittimazione della discriminazione e della violenza nell’opinione pubblica e nell’attuale scenario politico israeliano si traduca poi anche in atti di odio e di violenza contro la comunità cristiana», denuncia il Patriarcato latino facendo riferimento al nuovo governo israeliano di cui fanno parte partiti di destra estrema e suprematisti come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir.
A un paio di centinaia di metri dalla Porta di Giaffa, la Cattedrale di San Giacomo – o meglio, di due distinti santi di nome Giacomo – costruita nel 1163 ancora oggi viene illuminata senza l’elettricità, solo dalla luce del sole, da candele e lampade ad olio. È il motore che anima il quartiere armeno della città vecchia di Gerusalemme e la sua comunità – meno di mille persone – per la maggior parte composta da profughi e sopravvissuti al genocidio in Turchia. Alcuni vantano origini antiche a Gerusalemme che vanno indietro di mille anni. Pur vivendo con i palestinesi e considerati da questi parte integrante del loro popolo, gli armeni hanno buoni rapporti con gli israeliani e si mantengono relativamente «autonomi» rispetto al conflitto. «Siamo orgogliosi del nostro passato e teniamo alla nostra identità, riconosciamo i diritti di tutti e vogliamo vivere in pace», ci dice Hagop Djernazian, un giovane attivista armeno. Da qualche tempo le cose si sono complicate per la sua comunità. Djernazian spiega che «sempre più spesso giovani estremisti ebrei scrivono frasi minacciose sui muri, e strappano i nostri manifesti funebri perché sopra c’è la croce».
George Kahkedijan
All’interno del convento armeno ci attende George Kahkedijan, un giovane che qualche sera fa prima è stato percosso e arrestato dalla polizia e poi detenuto per 16 ore. «Poco prima» racconta «la nostra chiesa era stata attaccata, (gli estremisti) hanno strappato la nostra bandiera. Siamo scesi in strada per allontanarli ma quelli hanno subito cominciato a urlare mekhablim mekhablim (terroristi,ndr) e la polizia è intervenuta solo contro di noi». Pagine Esteri
L'articolo GERUSALEMME. «Ora i coloni israeliani attaccano anche noi cristiani» proviene da Pagine Esteri.
In Cina e Asia – Usa: "Incursione del pallone cinese forse non intenzionale”
Usa: "Incursione del pallone cinese forse non intenzionale"
Sotto indagine il presidente della Federcalcio cinese
Governatore del Xinjiang annulla visita in Europa
L'Australia rimuoverà le telecamere cinesi dagli uffici pubblici
Pechino è la capitale cinese dell'IA
Cina: solare ed eolico coprono quasi il fabbisogno energetico delle famiglie
L'articolo In Cina e Asia – Usa: “Incursione del pallone cinese forse non intenzionale” proviene da China Files.
Medicina estetica corpo: cos’è e come funziona la cavitazione
Tra le tecniche più utilizzate nell’ambito della medicina estetica troviamo la cavitazione, una tecnica non invasiva e non chirurgica che sfrutta gli ultrasuoni a bassa frequenza per eliminare il grasso in eccesso localizzato. Non tutti conoscono la cavitazione, perché rappresenta per la medicina estetica corpo una procedura all’avanguardia, finalizzata a stimolare il movimento e il […]
L'articolo Medicina estetica corpo: cos’è e come funziona la cavitazione proviene da L'Indro.
#uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – Quella che si impone…
[…] Quella che si impone invece è la lotta a fondo contro tutti coloro che nelle industrie, nei commerci, nelle banche, nel possesso terriero hanno chiesto i mezzi del successo ai privilegi, ai monopoli naturali ed artificiali, alla protezione doganale, ai divieti di impianti di nuovi stabilimenti concorrenti, ai brevetti a catena micidiali per gli inventori veri, ai prezzi alti garantiti dallo Stato.
da Lineamenti di una politica economica liberale, Movimento Liberale Italiano, 1943
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Giustizia nel mirino della Destra: Italia come Israele, Polonia, Ungheria…?
Non si fa che parlare del ‘caso Cospito’ e, cosa più grave, ne parla esplicitamente quello che presume di essere il Ministro della Giustizia, il dr. Carlo Nordio. Assieme ai suoi colleghi di Governo. Dico ‘presume’ perché un Ministro della Giustizia di queste cose non parla, agisce e tace, magari evitando che dai suoi uffici escano […]
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La Difesa vale un punto di Pil, ma sull’export… L’audizione di Aiad
Supportare il settore della Difesa e velocizzare le pratiche interne dello Stato sulle attività relative alle esportazioni del comparto. Sono stati questi i nodi principali dell’intervento del presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) Giuseppe Cossiga, e il segretario generale Carlo Festucci, in audizione di fronte alla commissione Esteri e Difesa del Senato. Queste attività, inoltre, saranno alla base della possibilità di concretizzazione del progetto della Difesa comune europea, che dovrà costruire una piattaforma industriale comune a livello continentale.
Un ecosistema diversificato
I vertici dell’Aiad hanno sottolineato anche i numeri del comparto industriale della difesa e dell’aerospazio in Italia. Sul territorio nazionale si contano 180 aziende federate. La maggior parte sono Pmi (che rappresentano il 10% circa del valore totale), accanto ai grandi campioni nazionali come Leonardo e Fincantieri. Le realtà italiane sono attive in tutti i campi, spaziando nei domini classici di terra, mare (con la nuova realtà in espansione dell’underwater) a aria, fino ai nuovi campi operativi dello spazio e del cyber. A questi si aggiungono le eccellenze della componentistica, degli equipaggiamenti, dei servizi e dell’addestramento per la Difesa e l’aerospazio.
I numeri del comparto
Un settore d’eccellenza, che si riflette anche sul fatturato, pari a circa 17 miliardi di euro. Si tratta più o meno di un intero punto percentuale del Pil nazionale, e nel complesso il valore della produzione, incluso l’indotto, è di circa quaranta miliardi di euro. Due terzi del fatturato, inoltre, proviene dall’export, che rappresenta nel complesso il 13% del saldo commerciale italiano. Di fronte a questa consapevolezza, tuttavia, i Paesi verso i quali l’Italia esporta maggiormente, concentrati nella zona del Medio Oriente, “potrebbero a volte presentare delle criticità anche ai sensi della legge 185” che regola le esportazioni di difesa, ha registrato Cossiga. “La legge – ha proseguito il presidente di Aiad – dà poca chiarezza ed è scarsamente immediata” concludendo come ci sarebbe bisogno di “migliorare la rapidità di esecuzione dell’export”.
Arsenali e Ucraina
Di fronte alla domanda se la fornitura di aiuti militari all’Ucraina possa causare una mancanza di scorte negli arsenali nazionali, il presidente Cossiga ha sottolineato come “le scorte che l’Italia aveva a disposizione non sono sufficienti per fronteggiare una guerra o un conflitto”, una situazione che nel lungo periodo potrebbe essere aggravata dal conflitto tra Russia e Ucraina. Per questo, ha aggiunto “occorre ripensare ad un ripianamento delle scorte militari”.
Verso la controffensiva di primavera? Austin alza il livello del supporto a Kiev
Continuiamo a lavorare per fornire all’Ucraina una piena e credibile capacità di combattimento, e non solo equipaggiamento. A dirlo è stato il segretario della Difesa americano, Lloyd Austin a margine del nono incontro del Gruppo consultivo di supporto per l’Ucraina, l’iniziativa internazionale a livello di ministri della Difesa lanciata proprio dal segretario statunitense. L’incontro, tra l’altro, avviene a dieci giorni dall’anniversario dell’invasione russa in Ucraina, “La prossima settimana – ha ricordato Austin – il mondo segnerà un cupo traguardo, un anno da quando la Russia ha invaso il suo pacifico vicino, l’Ucraina”.
Formare le capacità di combattimento
Le parole di Austin sembrano segnare un cambio di passo importante da parte della coalizione che sostiene il diritto alla difesa di Kiev, passando dalla semplice fornitura di mezzi e materiali a un coinvolgimento più attivo per quanto riguarda la preparazione operativa e delle capacità di combattimento delle Forze armate di Kiev. “Per questo abbiamo deciso di sincronizzare le nostre donazioni in un piano integrato di addestramento” ha spiegato ancora il segretario Usa, che ha anche registrato come nel complesso, i Paesi occidentali abbiano fornito a Kiev oltre otto Brigate di combattimento. Per dare una misura, si tratta secondo l’organica impiegata dallo US Army di unità di manovra di base, di circa cinquemila militari, capaci di operazioni complesse.
Si rafforza il sostegno a Kiev
Le previsioni descritte da Austin, messe a sistema con quanto stabilito nel corso degli appuntamenti precedenti come la fornitura di carri armati e di sistemi missilistici Samp/T, registra un aumento complessivo del sostegno occidentale al Paese invaso. Dopo il fallimento dell’invasione iniziale, l’iniziativa è passata in campo ucraino, in cui nel corso dell’anno si è visto virare dalla sola resistenza a manovre complesse articolate. Grazie alla fornitura di sistemi sempre più sofisticati e, soprattutto, al rafforzarsi di una catena logistica, Kiev è riuscita a recuperare porzioni importanti del proprio territorio.
Verso l’offensiva di primavera?
Secondo diversi analisti e studiosi, quindi, sarebbe possibile prevedere nel corso della primavera l’avvio di una controffensiva generale da parte ucraina, con l’obiettivo ultimo di liberare la maggior parte del proprio Paese occupato. In particolare, si tratterebbe di sgomberare la fascia costiera che collega la Crimea alle repubbliche separatiste. L’aumento qualitativo, oltre che quantitativo, del sostegno dei Paesi guidati dagli Stati Uniti potrebbe dunque fornire le capacità e i mezzi necessari per assicurare la buona riuscita di questa operazione.
Il ruolo dell’Italia
In questo contesto si inserisce anche il supporto garantito dall’Italia, rappresentato al vertice dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, il quale si è anche confrontato direttamente con il segretario Austin su come Italia e Stati Uniti possono affrontare insieme le sfide internazionali e il sostegno al popolo ucraino. Dopo il fallimento dell’operazione speciale, infatti, la Russia ha avviato una campagna di strike aerei con missili e droni diretta alle infrastrutture energetiche di tutta l’Ucraina. Una campagna che ha colpito direttamente anche zone civili. Per proteggersi da questi attacchi Kiev ha richiesto la dotazione del sistema di difesa aerea Samp/T con i missili Aster-30, messi a disposizione a fine gennaio da Roma e Parigi.
Corea del Nord – Cuba: una relazione indistruttibile
Anche uno sguardo superficiale a qualsiasi mappa (e soprattutto a un globo) del pianeta Terra è sufficiente all’osservatore per capire che Pyongyang e L’Avana non sono vicine. Al contrario, la distanza aerea tra le due capitali è di ben 12.500 chilometri. Cuba è un paese insulare, l’isola più grande del gruppo delle Grandi Antille, circondata […]
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L’astensione è l’ennesimo macigno elettorale per la sinistra italiana
A partire dalle elezioni del 1979 la partecipazione alle consultazioni parlamentari ha subito un progressivo calo che l’ha portata dal 93,4% del 1976 al 63,8% lo scorso 25 settembre 2022. Il dato delle regionali di ieri? Le mitiche periferie, che dalla sinistra sono passate stabilmente alla destra, votano sempre meno. Ci spaventavamo del più grande partito, “l’astensione”, quando era del 40% e ora che è al 60%? Chi sarà eletto (di tutte le liste) brinderà e gli altri no. È sempre più un fatto personale, e del proprio gruppetto, vincere o meno. Solo che stavolta il divorzio con la politica e ancora di più con il centrosinistra (terzo polo incluso) è profondo. Crollo della partecipazione e antipolitica sono due colpi durissimi alla democrazia. Proprio “la gente” si è stufata del “meno peggio” e piuttosto si butta sul nazionalpopulista. Stavolta, anche il cosiddetto “ceto medio riflessivo” si è stufato e ha disertato le urne.
Eppure l’arroganza delle nomenclature dei partiti perdenti è al massimo storico. Ancora credono che uno slogan a Sanremo, il progressismo chic degli influencer o i talk serali, possano sostituire le capacità di rappresentanza di un partito veramente popolare. Rispetto alle regionali precedenti (senza concomitanza con le politiche e su due giorni) vota il 30% di elettori in meno. Non solo, crollano iscrizioni, i comizi finali sono sempre più eventi piccoli, spesso solo online. Lo stesso per congressi e primarie. Tutti a lamentarsi della qualità dei candidati, ma la malattia è più profonda. Non è facile fare attività politica e va ringraziato sempre chi si candida e fa un passo avanti. La partecipazione è crollata in ogni ambito: sociale, sindacale, associativo, politico. Per i gruppi dirigenti non sembra un grosso problema. Tra “pochi”, la pratica della cooptazione funziona anche meglio. Il guaio è che quando ci si auto-coopta si finisce con il non leggere più la realtà. Un esempio? Come si può confondere il giudizio reale sulla sanità di una Regione (che non corrisponde auna buona o cattiva campagna vaccinale) con il “parere” di chi ha un fondo sanitario privato o di chi con due telefonate salta qualsiasi lista d’attesa? È altra cosa ascoltare le esperienze di chi ha bisogno di diagnosi, di cure, di assistenza delle disabilità, dei pronto soccorso, delle terapie dei malati oncologici.
Il nostro stato sociale sta crollando, crescono le persone abbandonate e chi rinuncia a curarsi. Ma è arretrato, da molti anni, per molti italiani. Mentre la politica lo soffoca. Se, dove si governa, la qualità dei servizi sociali è scadente si dà forza a chi vuole smontarli e privatizzare. Ho votato centrosinistra e ritengo che la Lombardia e il sistema degli accreditamenti ai privati non siano un modello da imitare, ma è indubbio che è più facile che dal Lazio ci si vada a curare in Lombardia che non viceversa. Certo è dura gestire perché ci sono responsabilità pregresse, ma almeno non presentiamoci come la terra promessa. E non è un caso che, più in generale, le campagne elettorali siano accolte dal disinteresse, dal “tanto non cambia nulla”. Il candidato è altrettanto “solo”, i partiti non esistono quasi più. È, tuttavia, un bel segnale che i partiti più strutturati nel territorio reggano meglio. Ma anche lì l’insofferenza è notevole. C’è da sperare che almeno stavolta, dopo le sconfitte più cocenti o elezioni senza la metà degli aventi diritto, ci sia il coraggio di fare sul serio. Non come è accaduto prima e dopo il 25 settembre.
E non usate la carta “giovani” mettendo in pista dei “giovani bonsai” di loro stessi. Con la stessa mimica, la stessa furbizia e cinismo per imparare a galleggiare. I meccanismi di legittimazione sono stati tutti indeboliti rafforzando la percezione popolare dell’idea (malsana) che votare non conti nulla. Anche per continuare a dare colpa alla “gente”, che qualche responsabilità la ha pure. Perché se ti informi, acquisisci consapevolezza e scegli in modo veramente libero, ma diventi anche più esigente verso chiti rappresenta. E però ti stufi anche prima della solita minestra che non sa più di nulla, neanche condita con le più necessarie alleanze.
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L’India potrebbe essere la Cina di questo decennio
Questo potrebbe essere il decennio dell’India se gioca bene le sue carte. Lo Stato subcontinentale è pronto per essere la prossima Cina, anche se il suo percorso sarà probabilmente meno diretto di quello della Cina e più leninista, due passi avanti e uno indietro. Lasciando da parte le molteplici questioni interne che l’India dovrà affrontare […]
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PD: manca il progetto, fine della storia?
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Benché appaia una perdita di tempo non è inutile interrogarsi su uno dei fenomeni più oscuri e complessi […]
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In che modo le relazioni con l’Occidente sostengono la difesa di Singapore
Mentre la deterrenza militare e la diplomazia sono spesso citate come i due pilastri della strategia di difesa di Singapore, un terzo pilastro critico ma trascurato è l’importanza delle relazioni della città-stato con le maggiori potenze occidentali. Queste relazioni sono state fondamentali per rafforzare le capacità di deterrenza militare di Singapore e aggiungere peso alle […]
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Iran: successione a Khamenei, i leader iraniani possono reinventare la Repubblica Islamica?
Il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha 83 anni. E mentre ha vissuto abbastanza a lungo per assistere al 44° anniversario della rivoluzione iraniana, la lotta per succedergli non può essere lontana. Anzi, è già iniziato. Tutti i partiti chiave, non ultimo l’establishment clericale radicale, stanno ora manovrando per sostenere i loro candidati preferiti […]
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70 anni di Massimo Troisi: con la sua dolcezza fece gran chiasso
Il 19 febbraio prossimo, Massimo Troisi, avrebbe festeggiato i suoi 70 anni, essendo nato il 19 febbraio del 1953 a S. Giorgio a Cremano, a due passi da Napoli. Il mondo del cinema e quanti hanno voluto bene a questo attore dotato di un umorismo straordinario, surreale, ironico, lo festeggerà in vari modi: ricordandolo, proiettando […]
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Come studiare la pirateria spaziale a danno dell’umanità!
«A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». È una delle tante frasi attribuite a Giulio Andreotti. Che sia sua o no, importa poco, ma una cosa è certa. Quanto il vecchio statista italiano avrebbe avuto ragione se avesse saputo che il 4 gennaio scorso è andato in briciole Cosmos 2499, causando […]
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Ale Pole
in reply to Informa Pirata • • •Anche se mi permetto di rabbuiarmi un pochino all’idea che dietro ci sia Google, azienda che ha costruito il suo impero (e lo mantiene) grazie ai dati che riesce ad estrapolare dalle nostre vite.
Ma è un pensiero da colazione frettolosa…
Informa Pirata
in reply to Ale Pole • •