“Comunque c’è un fatto positivo: dopo decenni pare che quest’anno non abbiano gettato fango sui partigiani con le falsità su via Rasella”, conclude Acerbo.
Fosse Ardeatine, Acerbo (PRC): ANPI ha ragione, Meloni e La Russa rimuovono responsabilità fascisti
"Le critiche che il Presidente nazionale dell'ANPI Pagliarulo ha rivolto a Meloni e La Russa sono più che fondate", scrive sulla sua pagina fb il segretario diRifondazione Comunista
di Francesco Sylos Labini -
Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblica comprimendo la domanda interna, trascurando le infrastrutture e riducendo gli investimenti in ricerca, innovazione tecnologica e clima. Ma chi è il soggetto di questo “abbiamo”? Lui stesso, naturalmente, fin dalla famosa lettera scritta insieme all’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet—una linea poi seguita dal governo Monti.
C’è però un dettaglio cruciale: ricerca e innovazione tecnologica non si improvvisano in pochi mesi o anni, ma richiedono decenni. Lo dimostra l’esempio della Cina, che ha sviluppato la propria capacità industriale in parallelo a un investimento massiccio nella ricerca. Nel 2000, il paese contribuiva solo per il 6% alla produzione manifatturiera globale; nel 2020, questa quota è salita al 30%, con proiezioni che indicano un possibile raggiungimento del 45% entro il 2030. Oggi, la Cina è la principale potenza manifatturiera mondiale e domina settori strategici come l’energia solare e le batterie elettriche, dove la sua quota di produzione supera già l’80%.
Negli ultimi vent’anni, la produzione automobilistica cinese è passata dall’1% al 39% del totale globale, mentre l’Europa è scesa dal 35% al 15% e gli Stati Uniti dal 15% al 3%. Le esportazioni di automobili dalla Cina sono cresciute esponenzialmente: da 500.000 unità nel 2016 a 4,7 milioni nel 2024,rendendo la Cina il primo esportatore mondiale e superando il Giappone. Nel settore delle auto elettriche, la cinese BYD si è affermata come il principale produttore, con 2,9 milioni di unità vendute nel 2023, seguita dalla statunitense Tesla con 1,8 milioni. Dietro di loro si trovano sei marchi con vendite comprese tra 400.000 e 500.000 unità, equamente divisi tra aziende cinesi e tedesche. Attualmente, in Cina operano ben 32 produttori di veicoli elettrici.
Nel campo della tecnologia e dell’innovazione, la Cina tuttavia domina sempre più il panorama globale e per questo la sua quota di mercato è destinata a crescere mentre quella delle industrie europee a diminuire. Nel 2021 ha depositato il 37,8% dei brevetti mondiali, contro il 17,8% degli Stati Uniti e il 16% del Giappone. Oggi è leader in 29 settori su 36, tra cui informatica, elettronica e telecomunicazioni, mentre l’Europa gioca un ruolo sempre più marginale. Un caso emblematico è quello dell’intelligenza artificiale: nel gennaio 2025, la società cinese DeepSeek ha rilasciato modelli open-source superiori a GPT-4, scuotendo il settore tecnologico e finanziario occidentale. Non è stato un fulmine a ciel sereno: già nel 2022, la Cina deteneva il 61% dei brevetti nell’IA generativa, contro il 21% degli Stati Uniti e appena il 2% dell’Europa (incluso il Regno Unito).
La marginalità dell’Europa nell’automotive, nella manifattura in generale, nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica non è un evento accidentale, dovuto a Trump, Musk o Putin/Xi ma il risultato di decenni di assenza di una politica economica ed industriale sia a livello nazionale che comunitario. Il “mercato ”, contrariamente alle aspettative, non ha colmato questa lacuna.
Alla base di questo problema c’è anche una costante riduzione dei finanziamenti destinati all’università e alla formazione, che ha rallentato lo sviluppo di ricerche innovative. Infine, come evidenziato dallo stesso Draghi nel suo rapporto di settembre, la guerra in Ucraina e la conseguente perdita dei gasdotti dalla Russia hanno lasciato le imprese europee alle prese con prezzi del l’elettricità 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti e con prezzi del gas naturale 4-5 volte più alti.
Questo combinato disposto ha avuto un effetto devastante sulla manifattura europea, compromettendone la competitività e portando a crisi industriali, chiusure di impianti e licenziamenti, che nel medio-periodo porterà ad un declino economico e sociale. Mentre il dibattito pubblico si avvita su un’idea di Europa sempre più astratta, le scelte concrete di cui dovremmo discutere sono ben altre. La soluzione proposta? Convertire l’industria automobilistica europea alla produzione di armi. L’incapacità di competere sul mercato viene così compensata dalle commesse statali, giustificate dalla necessità di difesa. Così, i motori elettrici delle auto più avanzate vengono rimpiazzati dai motori diesel dei carri armati, mentre il dibattito sul cambiamento climatico scompare dalla scena. Tuttavia, questa è solo una soluzione temporanea, a vantaggio esclusivo delle grandi industrie del comparto militare. Non risolverà né il problema della competitività nell’innovazione tecnologica, né quello della difesa, ma rischia invece di esacerbare le tensioni sociali.
L’Europa è in crisi? Draghi è tra i primi responsabili
di Francesco Sylos Labini - Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblRifondazione Comunista
di Barbara Spinelli -
Mercoledì alla Camera Giorgia Meloni ha lanciato una bomba che più sporca non potrebbe essere, contro chi sabato scorso ha manifestato per l’Europa. Ha citato alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene in cui si afferma che lo Stato federale europeo sarà di natura socialista, e potrà nascere solo tramite una rivoluzione che aggiri (temporaneamente) le volontà nazionali. Ha trascurato il resto del Manifesto, dedicato alla natura democratica, economica, sociale che secondo i suoi autori (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni) avrebbe dovuto avere la Federazione.
Meloni ha omesso il luogo in cui il Manifesto fu scritto: il confino a Ventotene dove il regime relegò circa 800 antifascisti (“Mussolini mandava la gente a far vacanza al confino”, Berlusconi 2003). Una parte dei confinati aveva già fatto anni di carcere: dieci nel caso di Spinelli. I padri fondatori di Fratelli d’Italia sono eredi di quel crimine.
Meloni ripete che “è nata dopo”, negando che i neo-fascisti postbellici, con trame nere e golpe falliti, avessero qualcosa a che vedere col Ventennio. Perfino Helmut Kohl, che post-nazista non era, disse un giorno che era venuto al mondo dopo la guerra, ma subito dopo si corresse e ammise che tutti i “nati dopo” erano “corresponsabili”della storia nazista.
Almeno due elementi del discorso governativo andrebbero chiariti. Primo: il bellicismo solo parziale che Meloni può adottare in presenza dell’opposizione della Lega, e dunque l’uso che viene fatto di Ventotene come silenziatore dei dissidi e distrazione parlamentare (a conferma: il leghista Giorgetti ha sorriso con tento, in aula). Secondo: le frasi rivoluzionarie estrapolate dal Manifesto, “spaventose”per la presidente del Consiglio.
Primo elemento: Meloni ha usato Ventotene per sgangherare ogni discussione seria sul Piano Riarmo che la presidente della Commissione Von der Leyen ha annunciato il 4 marzo (ieri ribattezzato Readiness 2030: cioè “Pronti alla guerra ”). Elly Schlein cerca con lodevole fatica di contrastare la chiamata alle armi, cara ai capitribù del Pd (Gentiloni, Bonaccini, ecc), ma quel che suggerisce non è una linea politica alternativa. È un cambio di vocabolario, non di sostanza: meglio Difesa europea anziché 27 eserciti nazionali, dice, se ci si vuole “preparare alla guerra” come reclamato da Von der Leyen. Sia Meloni sia Schlein sanno che nelle condizioni attuali è del tutto inconcepibile una Difesa comune gestita da un’autorità unica come avviene per l’euro.
Né è possibile la deterrenza: fortunatamente non abbiamo 6000 testate atomiche come Mosca, per dissuaderla. Manca uno Stato europeo, manca una comune politica estera, manca un Parlamento vero. Alcune politiche militari potranno essere coordinate e lo saranno, ma coordinamento non è unità di politiche e di intenti. Il Manifesto di Ventotene è disatteso da tutti, in questo campo.
Già l’euro fu costruito senza creare anticipatamente uno Stato unico, ed è il motivo per cui mente chi parla di grandioso successo senza ombre.
L’umiliazione della Grecia e le disuguaglianze sociali innescate negli anni dell ’austerità sono la conferma che la vittoria è come minimo monca.
La difesa europea e l’autonomia dell ’Unione sarebbero certo utili, per rendere gli europei meno dipendenti dal dispositivo militare statunitense e dalle sue attuali involuzioni fascistoidi, visibili nelle politiche di immigrazione, nella repressione delle dissidenze universitarie, nell’appoggio alle guerre di Israele.
Ma visto che i fautori della difesa europea si richiamano al manifesto di Ventotene occorre che sappiano l’essenziale: quel testo nacque nell’agosto 1941, nel mezzo della Seconda guerra mondiale, e aspirava a un’unità politica –un governo federale –non per fare le guerre ma per sormontare gli Stati nazione e dar quindi vita a una potenza di pace. E con chi edificarla? Con la Germania, che nel ’41 stava occupando mezza Europa e aveva iniziato l’invasione della Russia.
Oggi se si vuole un’Europa che superi la bellicosità congenita degli Stati nazione è con la Russia che urge mettere in piedi una sicurezza comune. Lo prospettò Gorbaciov negli anni 90 del secolo scorso: si rese conto della sconfitta dell’Urss, propose una Casa Comune Europea, e chiese agli occidentali –Usa in testa –di non comportarsi da vincitori e di instaurare assieme a Mosca una pace che escludesse l’espansione atlantica sino ai confini russi. Non fu ascoltato e la Nato s’allargò fino a promettere, nel 2008, l’ingresso di Ucraina e Georgia. Nessun leader russo può accettarlo, e Trump sembra prenderne atto. Non così gli Stati europei, tranne Ungheria e Slovacchia, e lo si può capire.
La sconfitta non solo di Zelensky, ma dell’intero Occidente è fenomenale, e gli europei sono paralizzati, avendo criminalizzato chiunque parlasse con Mosca. Di qui la continuazione degli aiuti all’Ucraina, caldeggiata dal Consiglio europeo e anche dalla Piazza per l’Europa del 15 marzo. Nel suo Parlamento il Cancelliere Merz dichiara che la Russia minaccia la Germania e l’Europa e dunque urge un formidabile riarmo.
L’attore Benigni racconta Ventotene con efficacia, in eurovisione, ma d’un tratto grida che “in Russia esistono fabbriche che sfornano milioni di fake news ogni giorno”. Su Repubblica lo scrittore Antonio Scurati lamenta la svanita combattività delle genti europee e constata che da questo punto di vista il nostro sviluppo postbellico “è stato un avanzare regressivo” (che c’entra con Ventotene?). Nel Parlamento solo 5Stelle e Sinistra Avs si oppongono a invii di armi e chiedono negoziati. Sabato in piazza sventolavano bandiere ucraine e georgiane, non palestinesi. Quelle palestinesi sventolavano in un’altra piazza romana. Tre giorni dopo Netanyahu ricominciava lo sterminio a Gaza con le armi Usa e nostre.
Passiamo al secondo elemento: la rivoluzione che nel Manifesto fa nascere la Federazione. Meloni cita passaggi sconfessati da Spinelli fin dal 1943 e ignora i brani in cui si spiega che vuol dire Europa socialista: “La rivoluzione europea […] dovrà essere socialista, proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione di condizioni più umane di vita”. O passaggi tuttora invisi a destra sul reddito minimo: “La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”.
Nel 1941 parlare di rivoluzione era d’obbligo: c’era il fascismo. Ma anche oggi le conseguenze logiche del Manifesto (Stato federale, Stato sociale per tutti, Casa Comune con la Russia, disarmo) implicherebbero una rivoluzione delle menti e della politica. Nessuno si sente di farla.
pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2025
Ecco chi usa Ventotene e chi ne abusa
di Barbara Spinelli - Mercoledì alla Camera Giorgia Meloni ha lanciato una bomba che più sporca non potrebbe essere, contro chi sabato scorso ha manifestatRifondazione Comunista
Lettera aperta sulla situazione delle carceri italiane
È di ieri la drammatica notizia che rivela che, in quarantotto ore, all’interno della casa circondariale di Verona, si sono verificati due suicidi portando così, la tragica conta delle morti in carcere e per carcere del 2025 (siamo solo al 19 marzo) a 19, dei quali 6 in Emilia-Romagna (4 nel carcere di Modena, 1 a Bologna e 1 a Parma) e lo stato di cose è così in Toscana, in Umbria e in molti altri territori. Negli anni precedenti la situazione non era migliore e, tra i casi passati agli onori della cronaca, ricordiamo i 9 morti della rivolta del carcere di S. Anna di Modena dell’8 e 9 marzo 2020, in epoca di lockdown covid dove va sottolineata l’opacità del sistema carcerario nell’iter giudiziario. Purtroppo, dati i presupposti, anche il 2025 non andrà in direzione diversa.
Il caso di Verona rappresenta un esempio significativo ma, purtroppo, non è un caso isolato anzi, tutt’altro. Il rapporto annuale 2024 di Antigone sulle condizioni e sul rispetto dei diritti e delle garanzie delle persone private della libertà personale ci consegna un quadro che definire drammatico e allarmante è poco.
Problemi già noti ed ampiamente denunciati sono ancora tutti lì e, spesso, si sono addirittura aggravati: è così per esempio per il sovraffollamento (16.000 detenute/i oltre la capienza regolamentare, cifre che portano l’indice nazionale di sovraffollamento al 133,44%), per le condizioni totalmente inadeguate e fatiscenti di molte strutture che mettono le persone in stato di privazione della libertà personale nella condizione di vivere in situazioni insopportabili sul piano psicologico ed anche igienico-sanitario.
Inoltre, sussiste la mancanza di personale qualificato: educatrici/educatori, psicologhe/psicologi, mediatrici e mediatori culturali e, contestualmente, su tutto il territorio nazionale fatto salvo per pochissimi esempi virtuosi, è quasi del tutto assente una vera attività di reinserimento sociale che permetterebbe alle detenute e ai detenuti di passare alcune ore al giorno fuori dalle piccole ed anguste celle (lavoro, scuola etc.).
Alla luce di questo disastro sociale nel solo 2024 le persone detenute in Italia che si sono suicidate sono state 86, il numero più alto da quando a livello nazionale vengono raccolti i dati, altissimo anche il numero, sempre crescente, degli atti di autolesionismo e, dai presupposti che ci sono, il 2025 non andrà meglio.
Morire nelle mani dello Stato è inaccettabile, la misura è colma, e non è possibile che nessun Governo, non quello in carica e nemmeno i precedenti, abbiano mai manifestato l’intenzione di intervenire in tal senso venendo meno al principio Costituzionale che vede la detenzione in Carcere come strumento riabilitativo e prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
In questo paese serve una vera riforma del sistema carcerario che preveda:
- misure alternative alla detenzione per ridurre i numeri nelle carceri per adulti e in quelli minorili
- rinnovamento e adeguamento delle strutture
- un nuovo regolamento che innovi la vita interna, più ore fuori dalle celle, lavoro, istruzione, attività di reinserimento sociale (dove ciò avviene il tasso di recidiva è sotto l’1%)
- assunzione di personale specializzato come operatori, educatori e mediatori culturali
- presenza costante di supporto psicologico
Inoltre, come chiede Antigone, serve che:
- Le Regioni facciano investimenti straordinari nella formazione professionale
- Le ASL vadano a verificare con visite ispettive non preventivamente annunciate se le condizioni carcerarie siano o meno rispettose di standard minimi igienico sanitari
Questo sarebbe l’operato del governo di un paese civile. Purtroppo, il governo attuale da questo punto di vista è sordo, e il DDL 1660 cosiddetto “sicurezza” che criminalizza il dissenso prevedendo anni di condanne per azioni che non sono certamente reati si muove nella direzione di esasperare ulteriormente una situazione già di suo al collasso.
Servono mobilitazione e sensibilizzazione sul rispetto dei basilari Diritti Umani.
Costituzione, Articolo 27
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].
Non è ammessa la pena di morte.
19 marzo 2025
Prime/i firmatarie/i:
Daniela Alessandri, Valeria Allocati, Elena Maria Anelli, Simone Antonioli, Michela Arricale, Fabrizio Baggi, Tatiana Bertini, Michela Becchis, Giovanni Bruno, Giovanna Capelli, Silvana Cesani, Marisa Chiaretta, Monica Coin, Luisa Colombo, Domenico Cosentino, CRED, Alberto Deambrogio, Stefania de Marco, Erica Erinaldi, Fiorenzo Fasoli, Eliana Ferrari, Grazia Francescatti, Loredana Fraleone, Giada Galletta, Nicola Giudice, Stefano Grondona, Tonia Guerra, Cristian Iannone, Ezio Locatelli, Massimo Lorusso, Vittore Luccio, Stefano Lugli, Chiara Marzocchi, Maura Mauri, Vito Meloni, Rosario Marra, Cadigia Perini, Miria Pericolosi, Tania Poguish, Stefanella Ravazzi, Luca Sardone, Vittorio Savini, Monica Sgherri, Giulio Strambi, Silvia Stocchetti, Giovanna Ticca, Danielle Vangieri, Roberto Villani
CARCERI ITALIANE: UNA SITUAZIONE NON PIU’ TOLLERABILE
Lettera aperta sulla situazione delle carceri italiane È di ieri la drammatica notizia che rivela che, in quarantotto ore, all’interno dellaRifondazione Comunista
Non comprendo le polemiche sulle parole di Giorgia Meloni che questa volta ha il merito di aver detto alcune verità incontrovertibili. La prima naturalmente è quella che lei, essendo erede politica del regime fascista che mandò al confino Spinelli, Colorni e Rossi con il Manifesto di Ventotene non c’entra nulla trattandosi di un documento dell’antifascismo militante. La seconda, implicita nelle citazioni lette, è che con il Manifesto non c’entrano nulla neanche Ursula von der Leyen, Mario Draghi, Renzi, Calenda, il Pd e gli esponenti del centrosinistra e centristi che in queste ore contestano le parole della premier. Il manifesto di Ventotene era un manifesto per la rivoluzione socialista europea e questo è incontrovertibile. Contiene principi socialisti che saranno fatti propri dalla nostra Costituzione nata da quella rivoluzione antifascista europea che fu la Resistenza e che saranno alla base dell’azione dei partiti del movimento operaio dopo la sconfitta del nazifascismo in tutta l’Europa occidentale. Per il Manifesto di Ventotene come per la nostra Costituzione la proprietà privata non è sacra e i diritti delle classi lavoratrici e delle persone vengono prima del profitto e del mercato. Il modello sociale europeo con il welfare è stato il risultato della forza e della legittimazione che ebbe in Europa occidentale il movimento operaio e socialista nel dopoguerra e fino alla controrivoluzione neoliberista degli anni ’80 di Reagan e Thatcher. L’Unione Europea è nata con il trattato di Maastricht che ha posto invece il mercato al primo posto con conseguenze devastanti compreso il risorgere dell’estrema destra. Non a caso nel 2014 denunciammo, presentando la lista l’Altra Europa con Barbara Spinelli, che l’Unione Europea dei trattati ordoliberisti era la negazione dell’ispirazione originaria del Manifesto di Ventotene. Insomma con Ventotene non c’entrano nulla neanche gli editorialisti di Repubblica e Corriere e quelli come Renzi, Calenda o Bonaccini che ora strepitano. L’unica cosa positiva della manifestazione di Michele Serra è che Repubblica ha ristampato il manifesto e forse sarà letto da tanti che si renderanno conto della truffa che va avanti da trent’anni. Come Rifondazione Comunista pensiamo che vada rilanciato il Manifesto e la rivendicazione degli Stati Uniti socialisti d’Europa perchè il capitalismo neoliberista porta la guerra come le nuvole la tempesta.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
di Alessandra Algostino -
L’iniziativa di oggi è promossa dal coordinamento antifascista di Torino, che riunisce associazioni nazionali e locali, sindacati, centri sociali, comitati, ed ha visto l’adesione di moltissime realtà cittadine, tante, troppe, per citarle tutte, ben 46 sigle – che si riconoscono nella storia di diritti, libertà, uguaglianza affermati con la Resistenza e scritti nella Costituzione. Un segnale di speranza contro il clima di paura che veicola il disegno di legge sicurezza.
Il coordinamento antifascista nasce da un «dobbiamo reagire» – cito dal Manifesto istitutivo – per «difendere e praticare, in ogni occasione, la visione antifascista, internazionalista, egualitaria, multiculturale, pluralista e pacifista della Costituzione».
È in nome di questa visione che oggi siamo qui in piazza a contrastare il disegno di legge sicurezza e, insieme, il clima bellico, che genera e dal quale è generato: autoritarismo e guerra si alimentano a vicenda.
È un disegno che infittisce una tela repressiva ordita nel corso degli anni (legge sulla sicurezza n. 94 del 2009, governo Berlusconi; pacchetto “Minniti”, 2017; decreti Salvini, 2018-2019); un provvedimento in grado di oscurare lo spazio democratico di tutti noi; una deriva autoritaria che neutralizza la democrazia politica e quella sociale.
La sicurezza, come sicurezza dei diritti, sociale, sul lavoro, è sostituita dalla sicurezza come ordine pubblico; la valorizzazione della partecipazione e del dissenso come necessario in una democrazia (Bobbio) si muta in stigmatizzazione e repressione della critica e dell’agire alternativo.
La distanza dalla Costituzione è siderale: dalla democrazia conflittuale allo stato autoritario; dallo stato sociale allo stato penale; dall’emancipazione alla criminalizzazione; dall’inclusione all’espulsione; dalla partecipazione effettiva all’obbedienza all’autorità; dall’orizzonte aperto del pluralismo alla logica identitaria escludente del nemico.
La divergenza politica e sociale, gli eccedenti, coloro che vivono ai margini, sono i nemici. Tanti i sottintesi che questo porta con sé: il conflitto sociale non esiste e non ha titolo di esistere; le radici delle diseguaglianze sociali e della devastazione ambientale sono oggetto di un transfert che le addossa a chi le subisce e a chi le contesta; si crea uno stato di permanente emergenza e distrazione.
Si blinda l’esistente e si sterilizzano le sue contraddizioni.
Non voglio annoiarvi, ma provo a raccontarvi qualcuna delle norme del disegno di legge.
L’articolo 14 prevede che sia punito «l’impedimento alla libera circolazione su strada», ovvero il blocco esercitato con il proprio corpo (con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, se compiuto, come è normale, da più persone).
Il blocco stradale (e ferroviario) è un mezzo attraverso il quale si esprimono il dissenso, il disagio sociale, il conflitto nel mondo del lavoro, le proteste studentesche: è strettamente correlato all’esercizio di diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, come lo sciopero (art. 40), la riunione (art. 17) e la manifestazione del pensiero (art. 21).
Il significato ideologico della stigmatizzazione e dell’attrazione nell’universo penale del diritto di protesta si coniuga con la repressione concreta e produce un effetto deterrente e dissuasivo. È un’intimidazione istituzionale del dissenso.
Gli articoli 26 e 27 del disegno di legge, nel punire la «rivolta all’interno di un istituto penitenziario», ma anche in una struttura di accoglienza e trattenimento per i migranti (un CPR, un CAS, un hotspot), annoverano fra gli atti di resistenza «anche le condotte di resistenza passiva».
Da un lato, si toglie ancora voce a persone fragili, detenuti e migranti, che hanno pochissime possibilità di farsi sentire; dall’altro lato, confidando nel minor allarme sociale destato da provvedimenti destinati a persone tenute ai margini della società, si sperimenta e nel contempo si normalizza l’idea che la resistenza passiva, ovvero la disobbedienza nonviolenta, sia penalmente perseguibile (facile pensare agli eco-attivisti).
Ma non solo il dissenso è reato, lo sono anche la povertà e il disagio sociale. L’articolo 10 del disegno di legge introduce il nuovo reato, ridondante e dalla forte caratura simbolica, di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui». A fronte del grave problema sociale della casa, il legislatore non persegue politiche atte a garantire a tutti l’accesso all’abitazione – diritto che la Corte costituzionale qualifica inviolabile – ma adotta un approccio punitivo (e la pena non è lieve, da due a sette anni, come per l’omicidio colposo sul lavoro). Stessa pena è prevista anche per coloro che si intromettono o cooperano, ovvero che agiscono in solidarietà.
Il principio costituzionale di solidarietà (art. 2), nell’era Meloni, tra neoliberismo, autonomia differenziata e nazionalismo identitario, scompare dall’orizzonte.
In linea con la disumanizzazione dei migranti tra confinamenti ed esternalizzazione delle frontiere, è quindi la norma, dal chiaro tenore razzista, che prevede l’obbligo, per la vendita della scheda elettronica (S.I.M.), «se il cliente è cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea», di acquisire copia del titolo di soggiorno (art. 32 ddl).
Infine, a chiudere il cerchio, c’è l’istituzione di privilegi dell’autorità, con la creazione di un vero e proprio corredo di benefit per le forze di polizia: aggravanti in materia di violenza o minaccia, tutele rafforzate, pagamento di spese legali, facilitazioni nell’ottenere la licenza d’armi.
Si fa strada l’idea di uno stato fondato sull’autorità e sull’obbedienza: orizzonti estranei alla democrazia, che si fonda, imprescindibilmente, sulla partecipazione e sull’uguaglianza, sulla «pari dignità sociale» (art. 3 Cost.), sul pluralismo e sul conflitto.
L’uguaglianza come connotato del diritto proprio di una democrazia cede il passo a diritti speciali: da un lato, il diritto speciale del migrante, di chi vive ai margini, di chi dissente; e, dall’altro, il diritto speciale di chi rappresenta l’autorità.
Diritto del nemico e diritto dell’amico; disumano e super-umano. Il nemico è stigmatizzato e criminalizzato, espulso; l’amico, che veicola l’immagine dell’autorità, è celebrato e oggetto di franchigie e benefici.
La dicotomia amico/nemico rende evidente come la lotta contro il disegno di legge sicurezza si leghi al contrasto alla logica della guerra, alla spirale suicida del si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra; alla guerra si accompagna l’autoritarismo, come diceva Calamandrei, e viceversa.
Il no al ddl sicurezza si accompagna, dunque, al no alla guerra, al no al riarmo.
Gastone Cottino, partigiano, mancato il 4 gennaio 2024, alla cui volontà ed energia è debitore il coordinamento antifascista, ricordava l’alleanza fra i signori della guerra, i signori dell’economia e i signori della politica: contro questa collusione perversa, che possiamo definire un “neoliberismo autoritario”, rivendichiamo i diritti e la pace.
Rivendichiamo diritti e pace per tutti e tutte. Concretizzo. Questo a Torino, oggi, ad una settimana dalla sua possibile riapertura, significa anche opporsi al CPR di corso Brunelleschi, dove è stato lasciato morire Moussa Balde e dove la dignità e i diritti di tanti sono stati violati.
Chiudo.
Lo stato diseguale e autoritario del disegno di legge sicurezza uccide l’anima della Costituzione, che ha nel suo cuore la persona, la sua dignità e la sua emancipazione; chiude per tutte e tutti noi spazi di democrazia. Fermiamolo.
Apriamo squarci nella tela oscura che si stende sulla democrazia; alla paura opponiamo la speranza, la speranza come ottimismo militante (Bloch), come forza sociale; diritti, libertà e conflitto rendono concreto e possibile mantenere aperto l’orizzonte aperto della trasformazione.
Con un «non arrendetevi mai» si chiude un piccolo e prezioso libro di Gastone Cottino dal titolo indicativo “All’armi son fascisti”: la festa di oggi, per dire sì alle libertà e ai diritti e no alla paura, vuole essere un modo per non arrendersi.
Torino, 15 marzo 2025. In piazza senza paura.Sì alla libertà e ai diritti
di Alessandra Algostino - L’iniziativa di oggi è promossa dal coordinamento antifascista di Torino, che riunisce associazioni nazionali e locali, sindacatRifondazione Comunista
Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista ha proceduto a completare la formazione degli organi dirigenti nazionali con l’elezione della nuova Direzione e della Segreteria. L’assetto definitivo degli organismi andrà perfezionato con la convocazione dei congressi regionali che devono statutariamente tenersi entro tre mesi dalla fine del Congresso nazionale.
La prospettiva politica per la quale tutto il partito è chiamato ad operare, pur nel rispetto della dialettica e della pluralità interna, è quella indicata dal documento che ha prevalso, seppur di poco, nel voto degli iscritti e delle iscritte. La riconquista della piena autonomia strategica, ideale e organizzativa del PRC è l’acquisizione centrale ed irrinunciabile che ci ha consegnato il Congresso. La nostra autonomia costituisce il fondamento necessario sul quale si deve basare la nostra ispirazione unitaria che si concretizza, nell’attuale fase politica e sociale caratterizzata da molteplici elementi di differenziazione e di disorientamento anche nelle classi popolari, nella costruzione di diversi e variamente articolati fronti di lotta e di mobilitazione di massa. La massima unità nella massima chiarezza degli obbiettivi, per la massima efficacia politica: questa deve essere la nostra bussola.
La linea politica consegnataci dal Congresso nazionale ha trovato una prima ed efficace realizzazione nella nostra iniziativa sul tema della pace e dell’opposizione alla inaccettabile politica bellicista e di riarmo condotta dalla Commissione europea sotto la guida di Ursula von der Leyen. Contestando l’iniziativa di “Repubblica” che in nome di un generico europeismo era finalizzata a sostenere le politiche di ReArmEurope nonché tutto l’assetto neoliberista e antidemocratico sul quale si basa l’Unione Europea reale, abbiamo proposto la convocazione di un’altra piazza, per un’altra Europa che si ponga come obbiettivo la pace e la costruzione di un assetto globale fondato sull’autodeterminazione e la liberazione dei popoli e sulla cooperazione tra gli Stati.
La nostra iniziativa, convergente con l’appello lanciato da Transform! Italia che ha ricevuto migliaia di adesioni in pochissimi giorni ha consentito di realizzare l’appuntamento di Piazza Barberini e portato nel dibattito pubblico, nonostante la censura di gran parte dei media, una posizione chiaramente alternativa che ha aperto contraddizioni nell’operazione tentata da “Repubblica”. Questo si è riflesso anche nella decisione di importanti forze organizzate come la CGIL e l’ANPI (mentre l’ARCI ha scelto di non aderire) a partecipare ma affermando contemporaneamente il proprio rifiuto del progetto di riarmo, consistente in almeno 800 miliardi, proposto dalla Commissione europea.
La nostra impostazione, nel costruire la più ampia convergenza possibile attorno alla piazza pacifista del 15 marzo, è stata di rendere chiara l’impossibilità di tenere insieme chi è contro il piano di riarmo e favorevole alla ricerca di una soluzione diplomatica che metta fine quanto prima al conflitto in Ucraina, con chi invece aderisce alla retorica militarista e all’oltranzismo bellicista.
A partire da questo elemento di chiarezza occorre lavorare per allargare il fronte delle forze che si oppongono al piano di riarmo. Uno schieramento potenziale che deve unire anche parte di coloro che hanno scelto, contraddittoriamente, di partecipare alla piazza di “Repubblica” come coloro che hanno deciso di non scegliere nessuna delle due piazze, in particolare il Movimento 5 Stelle, al quale va riconosciuto di avere assunto una posizione netta nel Parlamento europeo.
Si tratta ora di costruire una mobilitazione che in ogni città coinvolga tutti coloro che si oppongono al piano di riarmo. Non bisogna sottovalutare la gravità delle decisioni politiche assunte a livello europeo, ma nemmeno l’insieme di contraddizioni e di ostacoli con i quali si dovranno confrontare le classi dominanti europee, attraversate al loro interno da interessi economici e politici contrastanti e da una complessiva crisi di legittimità. Queste classi dominanti si affidano al riarmo e al bellicismo per fronteggiare tutte le conseguenze negative prodotte dalle scelte che hanno portato avanti nei decenni scorsi: una globalizzazione subalterna alla grande finanza e alle multinazionali, il progressivo smantellamento dello Stato sociale, le politiche di austerità imposte nella crisi del debito, una visione del contesto globale come terreno di riproposizione della supremazia dell’Occidente.
Per bloccare la deriva bellicista e militarista è indispensabile anche promuovere un’iniziativa a livello europeo resa finora difficile dalle divergenze che si sono espresse tra gli stessi partiti che aderiscono all’eurogruppo “The Left”. Sul tappeto va posta l’accelerazione della crisi della NATO che deve essere sostituita non da “coalizioni di volenterosi” ma da un sistema condiviso di sicurezza europea analogo a quello a suo tempo costruito ad Helsinki.
Per quanto riguarda l’Ucraina, senza farsi illusioni sulle motivazioni di Trump e di Putin, non si può che guardare con favore ad un possibile cessate-il-fuoco ed alla realizzazione di una soluzione politica e diplomatica che, se perseguita già tre anni fa, avrebbe risparmiato morti e distruzioni da entrambe le parti.
Il quadro internazionale come quello politico italiano sono in una fase di movimento, con improvvise e a volte imprevedibili accelerazioni, che richiedono la massima capacità di iniziativa e di intervento del nostro partito, senza spocchia settaria come anche senza subalternità nei confronti di alcuno.
Il riarmo e il pericolo di una estensione della guerra in Europa sono un tema centrale dal quale non si può prescindere ma esso non può essere separato dall’insieme degli altri punti di crisi che si vanno accumulando e intrecciando nell’assetto del capitalismo finanziarizzato e neoliberista che si è imposto dalla fine degli ’80.
L’ascesa globale dell’estrema destra, che ha portato all’affermazione in Italia di una forza politica in diretta continuità con il neofascismo, la crescita deil’AfD in Germania, la vittoria di Trump negli Stati Uniti, non può essere sottovalutata né derubricata ad un semplice cambio di gestione interno alle classi dominanti. Per questo riteniamo che il prossimo appuntamento del 25 aprile deve caratterizzarsi per un’ampia mobilitazione del nostro partito anche in coordinamento con la campagna del Partito della Sinistra Europea: “Fascism=War. Peace is our victory” (Fascismo=Guerra. La pace è la nostra vittoria). Dobbiamo portare in questo appuntamento, con spirito unitario, la connessione tra antifascismo, lotta al razzismo e al patriarcato, rifiuto della guerra e del militarismo, difesa delle libertà democratiche da ogni torsione autoritaria, come quelle messe in campo dal governo Meloni (DL 1660, premierato, utilizzo del sistema scolastico quale strumento di indottrinamento ideologico di cui sono pericoloso esempio le Indicazioni nazionali per l’insegnamento nella primaria e le Linee guida per l’insegnamento di educazione civica, ecc.).
La fissazione della data all’8-9 giugno dei referendum voluti dalla CGIL insieme a quello promosso da noi sul riconoscimento della cittadinanza ai nuovi italiani, volutamente scelta per rendere più difficile il raggiungimento del quorum, costituisce un’altra priorità per l’azione del nostro partito nei prossimi mesi. La confluenza dei diversi referendum dovrà servirci per mettere al centro la questione sociale e la difesa dei diritti delle classi lavoratrici insieme alla unificazione delle lotte tra persone native e migranti contro la volontà convergente delle destre e del padronato di frammentare e dividere le classi popolari. La nostra presenza attiva nei coordinamenti provinciali per i referendum deve costituire un’occasione importante anche per riaffermare e consolidare l’ampiezza delle relazioni politiche e sociali che ci caratterizza e che è stata riscontrata in modo visibile nel nostro Congresso nazionale.
La situazione politica italiana nella quale interverrà l’esito dei referendum è tutt’altro che stabilizzata. La destra al governo mantiene il suo consenso ma non ha affrontato e risolto nessuno dei problemi strutturali del capitalismo italiano (stagnazione, deindustrializzazione, marginalizzazione nelle catene del valore) e in compenso ha aggravato le condizioni preesistenti di povertà e precarietà. Pur con contraddizioni interne, il polo di destra mantiene una sua solidità, mentre appare frammentato il fronte delle opposizioni. Nel PD si è esplicitata l’offensiva della destra interna verso la leadership di Elly Schlein per le sue, pur timide, correzioni di rotta rispetto alle precedenti direzioni di Renzi, Letta, ecc. Il Movimento 5 Stelle cerca di affermare un profilo autonomo che, soprattutto sulla questione del contrasto alla guerra e al riarmo, può favorire la costruzione di una reale opposizione al governo su temi qualificanti. È auspicabile che in questa direzione la manifestazione promossa per il 5 aprile possa essere aperta alla convergenza ad altre forze che ne condividano alcuni punti programmatici di rilievo.
In questa situazione nella quale il “campo largo” in realtà non esiste, l’opposizione alla destra è complessivamente debole e slegata dalle esigenze reali delle classi popolari, la posizione di autonomia e di ispirazione unitaria senza subalternità del nostro partito ci consente di intervenire indicando una nostra idea di alternativa politica e sociale alle destre. Una proposta che possa vedere la confluenza, prima che di forze politiche (che pure è indispensabile), delle mobilitazioni sociali che sono presenti nel Paese, seppure ancora in forma frammentaria e non sufficientemente radicata; dal no all’autonomia differenziata e al DL 1660, ai momenti di conflittualità sociale diffusi e di difesa delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, ai movimenti territoriali per l’ambiente e la giustizia sociale, alla solidarietà ai popoli palestinese e curdo, ai movimenti femminista, transfemminista e LGBTQIA+ che hanno promosso lo sciopero e le tante piazze dell’8 marzo. In ognuno di questi ambiti, il PRC intende essere non un elemento residuale o dedito alla mera predicazione quanto una forza indispensabile alla costruzione di un più forte intreccio tra proposta politica e mobilitazione sociale. Siamo e vogliamo essere sempre più il “partito necessario” per unire insieme “alto” e “basso” e per ricostruire la speranza nella possibilità concreta della trasformazione sociale che la crisi del capitalismo rende sempre più impellente.
Per questo occorre rimettere al centro l’estensione delle nostre forze organizzate e dei nostri legami di massa, soprattutto aprendoci a tutte quelle realtà che faticano a vedere nella vita concreta del nostro partito una risposta al loro bisogno di essere socialmente attive e politicamente influenti. La ripresa della Linke tedesca, senza che si possa pensare ad una superficiale trasposizione di esperienze in contesti diversi, ci dice come sia certamente importante essere presenti in modo innovativo e comprensibile sui media sociali ma altrettanto indispensabile sia il rapporto diretto, “fisico”, sui territori, nei quartieri, nelle zone spesso quasi totalmente abbandonate dalla desertificazione della politica. Occorre invertire radicalmente la tendenza alla riduzione o alla stagnazione del numero degli iscritti e delle iscritte (unitamente alla sperimentazione di nuove forme di autofinanziamento), a partire dalla nostra presenza che pure resta, oltre che umanamente ricca, anche più estesa e radicata di altre forze che, magari rappresentate nelle istituzioni, al di fuori di quelle restano largamente virtuali.
Il Comitato Politico Nazionale dovrà trovare forme di gestione del proprio lavoro al fine di orientarsi sempre di più all’analisi concreta della situazione concreta, alla indicazione e verifica degli obbiettivi, alla individuazione di tutti gli strumenti per il rafforzamento ideale e organizzativo del partito, evitando che ogni riunione diventi oggetto di dibattito generico o, peggio ancora, la stantia ed immodificabile riproposizione di un permanente dibattito congressuale.
Il CPN impegna tutto il partito per i prossimi mesi su questi obiettivi prioritari di impegno:
campagna contro la guerra e contro il “ReArm Europe”
Nell’anno dell’80° della fine della Seconda guerra mondiale e della Liberazione del nostro paese, risuona in noi il monito del Presidente Partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai”.
Come Partito della Rifondazione Comunista, rivolgiamo un appello, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai tanti e tante, che non si sentono di essere “intruppati” nella retorica del “ReArm Europe”, affinché si costruiscano insieme in tutto il paese, centinaia di piazze “Contro il Riarmo e per la Pace” e si lavori per una grande manifestazione nazionale e per una mobilitazione europea da promuovere in relazione con i movimenti e il Partito della Sinistra Europea.
Vanno proseguite la mobilitazione contro la guerra in Ucraina, il genocidio in Palestina, per la liberazione di Ocalan e contro il blocco a Cuba.
Campagna referendaria lavoro e cittadinanza
I referendum sul lavoro promossi dalla CGIL e quello sulla Cittadinanza, sui cui forte è il nostro sostegno per il SI all’abrogazione, che si svolgeranno l’8 e 9 giugno in concomitanza con il secondo turno delle elezioni amministrative, rappresentano la sfida politica per ridare nuovo protagonismo politico ai lavoratori e lavoratrici e mettono in discussione la stagione neoliberista che depreda e impoverisce i molti e arricchisce i pochi.
Tutte le nostre strutture territoriali sono impegnate a partecipare con forza ai Comitati Unitari a sostegno della campagna referendaria e nelle iniziative che autonomamente assumeremo, affiancandovi la riproposizione della nostra proposta di legge sul salario minimo e la necessità di introdurre una legge contro gli omicidi sul lavoro e l’abrogazione della Bossi-Fini.
Presentato dal Segretario Maurizio Acerbo e approvato a maggioranza dal Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista in data 16 marzo 2025
Contro la guerra e il riarmo, per la giustizia sociale e la difesa delle classi lavoratrici, per l’alternativa politica e sociale alla destra, Rifondazione Comunista è sempre più il “partito necessario”.
Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista ha proceduto a completare la formazione degli organi dirigenti nazionali con lRifondazione Comunista
Acerbo (Prc): Domani a Piazza Barberini contro il riarmo e la guerra
Domani appuntamento a Roma in Piazza Barberini per dire di no al riarmo e alla guerra. Sarà una piazza di pace senza ambiguità in alternativa all'adunata convRifondazione Comunista
Lucca, Acerbo(Prc): FdI difende consigliere sotto processo
Fratelli d'Italia esprime solidarietà al consigliere comunale Massimo Della Nina che abbiamo denunciato per istigazione all'odio razziale e apologia di reato.Rifondazione Comunista
Ursula&C. lascino in pace De Gasperi: la sua Difesa europea era un’altra cosa
di Luciano Canfora - caro Direttore, aleggia nella nostra stampa il dilemma ducesco “Burro o cannoni?”. E, ora come allora, il coro do mestico risponde:Rifondazione Comunista
Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale
di Emiliano Brancaccio - «C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. ApplicatoRifondazione Comunista
Laura Tussi*
Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spontanei e subitanei.
Una logica e teoria floreale: una “scelta di fiori” come nell’etimologia dal greco. Perché Pierpaolo Loi è un vero “cultore” che sceglie i suoi fiori più belli, le sue poetiche e rime e composizioni più rare e le coltiva traducendole in azioni e scelte di vita, di volti, di inquietudini e di sogni che travalicano ogni confine.
Dalla prefazione del comune amico Carlo Bellisai, scrittore e poeta e attivista del movimento nonviolento, si evince la descrizione di una struttura poetica che, oltre ogni confine, delinea appunto la specifica specificità dell’essere e le azioni più significative dell’esistenza in un’infinità di rimandi attenti e subitanei da cui trapela l’infinito esistenziale. Dalle “mani unite” l’autore rivela “il dio in cui non crede” per la sua lunga militanza nelle comunità ecclesiali di base. Il suo inesausto impegno per un pluralismo di fedi rinnovate dal Concilio Vaticano secondo, dove ogni volto è una poetica dell’incontro di una intera vita spesa nella solidarietà verso “il volto dell’altro”, nel guardarsi negli occhi, vicendevolmente, come sublime gesto di amore e d’amicizia, in cui può bastare un sorriso, dove oggi il cielo è per un’amica nell’utopia e nella speranza di notti insonni di dolore e dolori nella sconfinata presenza del nulla quale via d’uscita verso l’incanto e l’infinito. In una terra di nessuno.
Quando profeti non mancano, sia nella poetica e morte di Oscar Romero sia nell’impegno sociale commemorativo di un’atroce notizia, rimemorando la stazione di Bologna: ancora bambini uccisi. Una strage senza tempo. Un buio irrisolto.
In un cammino di pace e nonviolenza, disarmo e diritti umani, l’autore si pone verso l’altro da sé con un “mi aspetterai” nei sogni, negli eventi, nelle rime del quotidiano e del sublime. Senza sosta cercare, giunti sul crinale di un baratro esistenziale e resistenziale di un sogno, di tempo rinnovato, dove il mondo alla rovescia palpita di nessi e attese e solitudini. Ho sognato quindi resto umano e “così sia” in intrecci di sguardi di un canto notturno nel profondo della notte e nel repentino risveglio. E ancora l’impegno si fa pressante nella giornata della memoria oggi, in un ricordo volto ai bambini e alle bambine di Gaza. Uomini a terra. Non respiro…
Cercando senso in una rinascita nel fardello dell’ingiustizia, fino ad arrivare a Hiroshima e a quello che rappresenta e testimonia attualmente in una congiuntura amara in cui viviamo sul crinale del baratro nucleare, oltre il luogo dell’altro, perché ora è tempo di osare la pace.
Queste parole raccolgono un’antologia dei fiori scelti delle poetiche di Pierpaolo Loi, dove si respirano ansia e aria di solitudini e attivismo al contempo, in un estremo e antico connubio e anelito e incontro con l’altro da sé. Perché vogliamo la pace. In un abbraccio che accoglie.
E l’autore trasforma la ricerca della pace nel senso ultimo della sua fervida e inesausta scrittura e poetica libera e pensante.
Altra versione su Italia che cambia e Sardegna che cambia
*Libro di poesie di Pierpaolo Loi, Prefazione di Carlo Bellisai.
Edizioni Multimage.
Oltre ogni confine. Di volti di luoghi di inquietudini e di sogni.
Laura Tussi* Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spRifondazione Comunista
Acerbo (Prc): oggi a Lucca per Youns vittima del razzismo
Oggi a Lucca si è tenuta l'udienza del processo che vede imputato il consigliere comunale Massimo Della Nina che definì "rifiuto umano" Youns El Boussettaoui,Rifondazione Comunista
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La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza -
Comunicato di Lavoro Società – Sinistra sindacale confederale -
Michele Serra, dalle pagine di Repubblica, ha chiamato ad una piazza per un’Europa libera e unita. Una piazza invocata all’indomani dell’umiliazione pubblica di Zelensky da parte di Trump, una piazza che nulla dice della necessità di Pace, una piazza che nulla dice sul piano Rearm che costerà 800 miliardi a danno della spesa sociale su scala europea.
Non esiste un’astratta idea di Europa che valga più della Pace, della pacifica convivenza tra i popoli e di un’Europa dei diritti sociali e civili.
L’appello all’unità dell’Europa che caratterizza la manifestazione del 15 marzo è distante dall’idea di Europa che la Cgil, non da sola, ha cercato di far vivere in questi anni.
L’idea di Europa che assieme abbiamo promosso ha attraversato le piazze italiane ed europee nelle manifestazioni per la pace e contro ogni guerra, nelle vertenze sindacali che invocavano politiche industriali e nel contrasto alle politiche liberiste.
La manifestazione del 15 marzo non promuove un’Europa diversa da quella bellicista, rappresentata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e di Macron, e che nelle scelte della Commissione UE e del Consiglio europeo prepara l’economia alla guerra.
Noi non cammineremo al fianco di chi vuole la guerra.
Condividiamo la necessità di una forte e ampia mobilitazione per la Pace in raccordo con tutte le reti che da sempre sono impegnate su questo fronte.
Coordinamento nazionale Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Parole giuste per una piazza sbagliata
La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza - Comunicato di Lavoro Società - Sinistra sindacale confederale - Michele Serra, dalle pagine di RepubblicRifondazione Comunista
Martedì 11 marzo alle ore 9.00 sarò ascoltato al Tribunale di Lucca come teste nel procedimento a carico del consigliere comunale del comune di Porcari Massimo Della Nina. Nel luglio 2021 ho presentato, in qualità di segretario nazionale di Rifondazione comunista, una denuncia all’autorità giudiziaria per istigazione all’odio razziale e apologia di reato nei confronti di Massimo Della Nina che aveva scritto un post su facebook commentando l’uccisione a Voghera di Youns El Boussettaoui in cui definiva la vittima un ‘nessuno’ e ‘un rifiuto umano’. Ricordo che era stato l’assessore leghista Massimo Adriatici a sparare al cittadino marocchino di 39 anni affetto da problemi psichici.
Ho sentito il dovere di presentare questa denuncia dopo aver letto le dichiarazioni di Della Nina sulla stampa. Non si può transigere di fronte a parole così contrarie ai principi fondamentali della nostra Costituzione. Secondo il consigliere ammazzare una persona che soffre di problemi psichici sarebbe più che giustificato e quindi non vale la pena di rammaricarsi o di biasimare l’autore del delitto. È pensando a questo tipo di elettori che Salvini non condannò in quei giorni l’assassinio perpetrato dall’esponente del suo partito, anzi arrivò a difendere un assessore che girava per la città con la pistola col colpo in canna sostituendosi alle forze dell’ordine. Le affermazioni del consigliere comunale Della Nina riportate dalla stampa erano così gravi che ho sentito il dovere di segnalarle all’autorità giudiziaria. La democrazia e la convivenza civile vanno difese con determinazione.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Di seguito riporto il post pubblicato dal Della Nina su facebook:
“Chi era il marocchino ucciso l’altro giorno a Voghera? Nessuno”. Anzi, “un autentico rifiuto umano”.
“Mi dispiace per la comunità marocchina che piange un morto, ma li invito a riflettere su chi era veramente costui. Non ne faccio una questione razziale, sarei stato altrettanto duro si fosse trattato di un italiano. Si da il caso però che fosse marocchino. Si può dire o qualcuno si offende? Era un marocchino. Punto. Ora spostate pure l’attenzione sull’assessore armato che avrà, lui sì, la vita rovinata da questo autentico rifiuto umano”.
“Oggi, il mondo è un posto un po’ più pulito. E se proprio lo volete fare, indignatevi per un carabiniere ucciso in servizio o per un padre di famiglia ammazzato dalla mafia. Non per questa feccia. Lo ripeto, l’altro giorno a Voghera, non è morto nessuno”
Forse per distrarre l’opinione pubblica dal faraonico fallimento – almeno ad oggi – della delocalizzazione dei centri di detenzione per migranti, in Albania, il ministro dell’Interno rilancia annunciando a breve, l’apertura di 5 nuovi Centri Permanenti per il Rimpatrio in territorio italiano. Le immagina come strutture atte a contenere e a rimpatriare fra le 50 e le 200 persone, con tempi massimi di 18 mesi, da situare in strutture militari dismesse, possibilmente in prossimità degli aeroporti e comunque in zone caratterizzate da scarsa densità abitativa. Il mondo dell’attivismo antirazzista è da tempo mobilitato per impedire questo nuovo scempio politico, giuridico e umano e si sta cercando anche di individuare le aree interessate. Potrebbero sorgerne a Castelovolturno, in Campania, a Ventimiglia in Liguria, a Ferrara in Emilia, a Falconara Marittima nelle Marche, poi in luoghi ancora non specificati della Calabria. Saranno strutture protette dal vincolo di essere luoghi di “sicurezza nazionale” e su alcune competenze dipenderanno dal ministero della Difesa, equiparabili a strumenti di guerra. Mobilitarsi perché i nuovi CPR non aprano, perché non torni in funzione – come promesso – quello di Torino e perché chiudano quelli ancora in funzione sarà per Rifondazione Comunista elemento non negoziabile. Riprendiamo le mobilitazioni per impedire questa oscenità e anche perché le decine di milioni sottratti per costruire galere vengano destinate a spese sociali per chi, migrante o autoctono che sia, ne ha bisogno.
Maurizio Acerbo, Segretario Nazionale Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
La storia calpestata, dalle Foibe in poi
Intervista a Eric Gobetti, storico e saggista a cura di Alba Vastano - ‘…. Senza il contesto storico e geografico le foibe risultano incomprensibili. SenRifondazione Comunista
di Franco Berardi -
L’Imbianchina dice: “Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace”
Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
(Bertolt Brecht)
Lin Jian, portavoce del Ministro degli esteri ha dichiarato che se gli Stati Uniti intendono proseguire nel condurre una guerra tariffaria, una guerra commerciale, o qualsiasi altro tipo di guerra, la Cina combatterà fino alla fine, fino all’amara conclusione.
“I cinesi non possono essere influenzati da falsità, né scoraggiati da intimidazioni, né hanno mai tollerato egemonia e bullismo.” ha aggiunto Lin Jian.
Se aspettavamo il fischio d’inizio ora l’abbiamo sentito forte e chiaro. Lin Jiang almeno ha detto saggiamente che, comunque vada, la conclusione è amara. E impassibile come sanno essere i musi gialli ha aggiunto: “Pressione coercizione e minacce non sono il modo giusto di trattare con la Cina. Tentare la massima pressione sulla Cina è un errore di calcolo.”
Errore di calcolo è la sintesi migliore.
L’occidente ha fatto un errore di calcolo dopo l’altro, se pensiamo alla guerra di Ucraina e alla sua catastrofe finale. Ma gli europei non sono contenti, non hanno capito la lezione e dopo avere costretto l’Ucraina a sacrificarsi per il nostro eroismo ora non sanno bene come venirne fuori, e lanciano un investimento di non si sa quanti fantastilioni per il riarmo.
Riarmiamoci! Ingiunge la signora Ursula, l’imbianchina, e subito i democratici italiani si preparano a marciare per la guerra e convocano le masse a manifestare a difesa della democrazia. Sempre più armi sempre più morti sempre più guerra grida un giornalista di fama sul giornale genocidario La Repubblica.
“…vai un po’ a spiegarlo ai greci che il patto di stabilita’ può essere derogato per le armi, ma non poteva essere derogato per le loro vite…” mi scrive l’amico Giovanni.
Ma Michele Serra è uomo d’onore. Ha promesso a Zelenskyy di sostenerlo fino alla morte e adesso si prepara a morire senza batter ciglio.
Io sto qui sugli spalti a vedere Michele che guida le truppe dei liberatori.
Nel nome, ovviamente, della democrazia che tutti ci invidiano. La democrazia che ha restaurato lo schiavismo e mette a tacere chi non è felice di partecipare a un nuovo genocidio.
Come sonnambuli, dicono gli storici, gli europei entrarono nella prima guerra.
Un secolo e dieci anni dopo non si sono ancora svegliati.
Credono ancora di essere i primi della classe e invece non se li fuma più nessuno. Credono ancora che tutti quei selvaggi stanno aspettando che noi gli portiamo il progresso. Federico Rampini (collega di Serra) invita tutto il mondo a ripetere con lui: Grazie Occidente”, e durante un safari in un paese africano osserva compiaciuto un negretto che usa il cellulare, e sorride. Ringraziaci, dice, negretto. Se non c’eravamo noi occidentali eri ancora lì con il tamburo, altro che cellulare.
E intanto Bernard Henry Levy con la camicia al vento guida un plotone di cavalieri con la spada sguainata e urla forsennato: vive la France! vive le genocide!
Non fateci caso, i poveretti soffrono di quei disturbi che la vecchiaia porta a chi non ha la fortuna di spegnersi prima di ridursi così.
Tutti gli europei, chi più chi meno, sono affetti da Alzheimer. Altrimenti ricorderebbero, nevvero? ricorderebbero com’è andata a finire l’altra volta, e la volta precedente – e tutte le altre volte in cui si ficcarono in testa di essere eroi, patrioti.
Patrioti sì. Come diceva Bertrand Russell patrioti sono coloro che per futili motivi sono pronti a uccidere o a farsi ammazzare.
Per futili motivi abbiamo mandato gli ucraini a farsi ammazzare da quel biondino di Pietroburgo che adesso, sornione, si frega le mani contento, e strizza l’occhio al biondo di Mar-aLago.
E adesso, chissà, siamo pronti a gettarci anche noi maschilmente nella pugna. Compreremo più armi, dai traditori americani naturalmente, e loro saranno contenti di vendercele.
E si sfregheranno le mani contenti e conteranno i dollari, mentre il biondino – c’è da scommetterci – non resterà oziosamente a guardare che Ursula, Michele e Federico si siano armati a sufficienza.
“L’imbianchino vi dirà: le macchine
provvederanno per noi. pochissimi
dovranno morire. Ma voi
morirete a centinaia di migliaia, tanti
quanti morire non se n’è mai veduti.”
(Bertolt Brecht)
Io cito Bertolt Brecht, ma temo che non sia giusto farlo, perché lui, nel 1939, poteva scrivere queste parole:
“Anche l’odio contro la bassezza
Stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
Fa rauca la voce. Oh, noi
Che abbiamo voluto preparare il terreno alla gentilezza,
Noi non potevamo essere gentili.
Ma voi, quando verrà l’ora
In cui l’uomo all’altro uomo sarà un aiuto
Pensate a noi
Con indulgenza. “
Noi non possiamo.
Non ci sarà nessuno che possa pensare a noi con indulgenza.
L’amara conclusione
di Franco Berardi - L'Imbianchina dice: "Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace" Al momento di marciare molti non sanno cheRifondazione Comunista
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitare, è stato assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Brescia dalla ignobile, infondata accusa di spaccio di droghe leggere in occasione di un presidio alle case popolari della Malpensata tenutosi a giugno di tre anni fa.
Una squallida provocazione. La visione delle immagini riprese dalle telecamere poste nel quartiere – come da richiesta dell’avvocato difensore di Fabio avv. Rocco Gargano – ha reso possibile l’accertamento dei fatti, senza ombra di dubbio, e l’individuazione di ben altre responsabilità. A questo proposito la Corte d’Appello di Brescia ha raccomandato il Tribunale di Bergamo di perseguire la persona che con la sua falsa testimonianza ha indebitamente coinvolto Fabio ai fini di operare un depistaggio rispetto alla reale dinamica dei fatti. Il fattaccio aveva dato subito corso a manifestazioni di solidarietà a Fabio davanti alla Prefettura a cui avevano partecipato molte/i attiviste/i sociali o anche semplici cittadini che di Fabio conoscono la pulizia morale e l’impegno sociale e politico dalla parte delle fasce sociali più deboli. Questo impegno andrà avanti più che mai insieme a quello di tante altre compagne e compagni che con Fabio condividono la necessità di battersi per una società più giusta e rispettosa della dignità delle persone.
Francesco Macario, Segretario provinciale Prc-Se di Bergamo
Ezio Locatelli, Comitato Politico Nazionale Prc-se, già deputato
Fabrizio Baggi, Segretario regionale Prc Lombardia
Bergamo, 4 marzo 2025
RIFONDAZIONE: SVELATE LE RESPONSABILITA’ DELLA PROVOCAZIONE NEI CONFRONTI DI FABIO COCHIS. GIUSTIZIA E’ STATA FATTA
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitaRifondazione Comunista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all’adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un’Unione Europea che ha scelto la strada della guerra e del riarmo. Bisogna scendere in piazza semmai per dire no al mostruoso piano di riarmo da 800 miliardi annunciato da Ursula von der Leyen e ancor di più a qualsiasi invio di truppe in Ucraina.
L’Europa fa finta di ribellarsi a Trump ubbidendo alla sua richiesta di aumentare le spese militari? Mentre il patto di stabilità impone tagli alla spesa pubblica, il piano di riarmo è la pietra tombale sul modello sociale europeo. I nostri soldi vanno spesi per la sanità, l’assistenza sociale, il lavoro, la cultura, la ricerca, l’ambiente non per diventare un polo imperialista in guerra con altre potenze. La Commissione Europea ha portato avanti una linea guerrafondaia che non permette di identificarsi con una bandiera che non è simbolo di pace e nemmeno di diritti umani vista la complicità col genocidio a Gaza. Non vogliamo un’Europa militarista ma potenza di pace. A Ursula von der Leyen rispondiamo con le parole di Berlinguer: se vuoi la pace prepara la pace
Per questo diserteremo la piazza di Michele Serra a cui diciamo che “qui o si fa la pace o si muore”. Ma la diserzione silenziosa non basta. Non lasciamo che il 15 marzo sia solo dell’europeismo con l’elmetto. Proponiamo a chi è contro la guerra e il riarmo di ritrovarsi in una piazza pacifista.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc
Acerbo (Prc): no al riarmo europeo. Ci vuole una piazza pacifista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all'adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un'Unione Europea che ha scelto la strada dellRifondazione Comunista
È un fatto politico positivo che la direzione del PD abbia deciso di sostenere i referendum della Cgil contro il jobs act. Mi complimento con Elly Schlein che ha imposto su questo tema, come sull’autonomia differenziata e l’immigrazione, una svolta a un PD che porta la responsabilità con la destra di decenni di politiche antipopolari e antioperaie.
Il PD dal 2008 si è purtroppo caratterizzato come un partito neoliberista schierato contro la classe lavoratrice. Le politiche a favore della precarizzazione del lavoro, dell’innalzamento dell’età pensionabile, i tagli alla sanità e al welfare hanno prodotto un’enorme delusione nelle classi popolari alimentando l’astensionismo e aprendo la strada alla vittoria dell’estrema destra. Gli imitatori dello pseudoriformismo alla Tony Blair e i ventriloqui dei diktat della commissione europea hanno reso il nostro paese più povero e più ingiusto.
Quelli che contestano il sostegno al referendum sono gli stessi estremisti di centro che hanno consegnato l’Italia a Meloni e Salvini. La loro opposizione anche alla timida correzione di rotta sulla guerra in Ucraina proposta dalla segretaria del PD rende evidente che la classe dirigente del PD continua a seguire la strada bellicista che ha portato meritatamente al disastro Scholtz e la coalizione semaforo in Germania.
Sui referendum della Cgil noi lavoriamo con il massimo impegno unitario. Chi boicotta o rema contro il referendum è il miglior alleato della destra.
Dobbiamo costruire in ogni città, in ogni paese, ovunque possibile comitati popolari unitari a sostegno dei quesiti referendari per il lavoro e la cittadinanza.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole.
Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questa lotta.
Apprendiamo con rabbia che nella giornata di ieri il gruppo neo-fascista Blocco Studentesco ha esposto nei licei d’Italia (segnalazioni arrivano da Milano, Udine, Cagliari, Ascoli e soprattutto da Avellino dove sono stati esposti in ben 4 scuole) dei cartelloni con scritto “Antifascismo=mafia”.
Non dovrebbe essere necessario menzionare tutti gli esempi di comunisti, antifascisti e democratici che hanno lottato contro la mafia e i fenomeni mafiosi. Alcuni dando anche la loro vita. Pio La Torre, Peppino Impastato, Santi Milisenna, Placido Rizzotto.
L’accostamento tra l’idea che portò migliaia di giovani e non solo a combattere per la loro libertà ed un fenomeno che affligge oramai tutto il nostro paese è ovviamente inaccettabile.
Degno solo di chi, sconfitto dalla storia, trova nuova linfa nell’attuale situazione politica italiana, dove gli eredi dell’MSI continuano nella loro opera di revisionismo della Resistenza e della nostra storia repubblicana.
Come Giovani Comunisti/e e Partito della Rifondazione Comunista oltre a condannare il gesto, chiediamo quindi che non solo i responsabili vengano individuati e sottoposti alle dovute sanzioni disciplinari del caso, ma anche che, negli istituti in cui si sono verificati questi episodi, si svolgano degli incontri sul tema della Resistenza, dell’antifascismo e della dura lotta contro la mafia portata avanti da tanti e tante.
Allora come oggi: no pasaran!
Paolo Bertolozzi, coordinatore nazionale Giovani Comunisti/e
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea
Marco Canciani, responsabile Antifascismo Giovani Comunisti/e
Antifascismo = mafia? da Blocco Studentesco gesto inqualificabile nelle scuole
Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole. Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questRifondazione Comunista
Assistiamo costernati all’andazzo imposto dal Ministro dell’Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosse nei principali centri delle aree metropolitane italiane per evitare disordini nell’ambito delle feste in piazza per il Capodanno a colpi di DASPO urbani. Si tratta, come scrivono i migliori avvocati e i migliori magistrati in due autonome e condivisibili prese di posizione, dell’irrogazione di punizione senza atti illeciti, di allontanamenti decisi dalla polizia giudiziaria a totale arbitrio. Polizia giudiziaria che dovrà ‘a vista’ decidere quale persona o quale pubblico esercizio possa rappresentare un pericolo per la “Sicurezza percepita da residenti e turisti”.
La Costituzione non poteva essere disattesa in modo più plateale: non è solo la libertà di muoversi senza restrizione e di esprimere la propria personalità in un giorno di festa, il problema è che sono misure classiste!
Come scrive MD nel suo comunicato vanno denunciate “le diseguaglianze del tessuto urbano, sempre più spaccato in zone di serie A, riservate a cittadini e turisti benestanti, e zone di serie B, lontane dalle luci del centro e verso le quali “i disturbatori” saranno verosimilmente allontanati”" Speriamo che il Capo dello Stato, cui auguriamo buon 2025, se ne accorga!
Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Gianluca Schiavon, Responsabile giustizia, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
PRC: Con Piantedosi è zona nera, Capodanno incostituzionale
Assistiamo costernati all'andazzo imposto dal Ministro dell'Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosRifondazione Comunista
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di Dino Greco -
Agli organizzatori del presidio antifascista del 28 dicembre è stato opposto, dagli esponenti e fautori dell’antifascismo light, una botta e via, il rimprovero peloso di avere dato visibilità ai fascisti.
La memoria mi è subito andata alla legge Mancino del 1993 che, come anche la questura dovrebbe sapere, “condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali”. La legge, che per il momento è ancora in vigore, punisce come reato penale grave chi si renda responsabile di questi comportamenti. Anche allora vi fu chi sostenne che la legge era sbagliata. Sapete perché? Perché – così dissero – si trasformavano i fascisti in vittime. La storia, ancora una volta, si ripete, sebbene con le sembianze della farsa.
Silenzio tombale anche sulla legge Scelba del 1953, che in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana introdusse il reato di apologia del fascismo: per questura e procura della Repubblica è come se non esistesse, come uscito da tutti i radar è il reato di ricostituzione del partito fascista. Al punto che i questurini – applauditissimi dall’establishment del potere locale – si sono sentiti in dovere di intervenire a suon di manganelli per strappare dalle mani dei manifestanti uno striscione che ricordava che la Costituzione è antifascista.
Ora però ci viene detto che le regole devono essere rispettate e che all’intimazione della questura di non scendere in piazza bisognava obbedire.
Qui si pone una domanda cruciale: è giusto obbedire alle leggi ingiuste? La storia del nostro Paese è piena di lotte sociali che sono state condotte per cambiare norme, regole, leggi che favorivano i più forti contro i più deboli. Furono lotte che resero l’Italia un pò più civile. Per dirne una sola, lo Statuto dei lavoratori non sarebbe mai nato se per conquistarlo i lavoratori non avessero ingaggiato conflitti molto forti ed impiegato forme di lotta che urtavano contro un legalitarismo formale che fu scatenato contro di loro, manu militari, dai poteri costituiti che inflissero loro un pesante prezzo di sangue.
Diceva don Lorenzo Milani, intorno alla metà degli anni Sessanta, che quando ci si trova di fronte ad una legge ingiusta “non c’è scuola più grande” che essere disponibili a pagare di persona per la propria disobbedienza. E aggiungeva: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste. Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
I ragazzi e le ragazze che l’altra sera, a prezzo delle botte, rifiutavano di farsi strappare quello striscione che tenevano stretto e che inneggiava alla Costituzione e all’antifascismo erano dei moderni eroi, degni dei partigiani che combatterono e morirono, armi in pugno, per cacciare l’occupante nazista e liquidare il fascismo che aveva portato il paese alla rovina. Personalmente li ringrazio per la speranza che rappresentano in un presente tanto denso di cattivi presagi.
Una risposta al Pd e a tutti i cortigiani dell’antifascismo light
di Dino Greco - Agli organizzatori del presidio antifascista del 28 dicembre è stato opposto, dagli esponenti e fautori dell’antifascismo light, una bottaRifondazione Comunista
marcolo reshared this.
L’aggressione squadrista all’insegnante di Brescia dimostra che hanno ragione le antifasciste e gli antifascisti che sono scesi in piazza nonostante il divieto.
Torniamo a chiedere le dimissioni del questore che ha lasciato sfilare i neofascisti che hanno imbrattato con svastiche una città che subì la strage di Piazza della Loggia e fatto caricare antifascisti.
Vergognose le dichiarazioni della sindaca che avrebbe dovuto stare in piazza con la fascia tricolore con gli antifascisti. A Brescia ora la destra propone sfacciatamente un ordine del giorno in consiglio comunale di condanna del presidio antifascista.
Ringrazio i compagni di Rifondazione Comunista Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi che avevano fatto la comunicazione alla Questura di aver tenuto il punto rifiutando di ottemperare a un divieto che equiparava fascisti e antifascisti e tutte le compagne e i compagni che sono scesi in piazza.
Purtroppo va segnalata negativamente l’incomprensibile posizione del presidente provinciale dell’Anpi e del segretario della Camera del Lavoro che hanno giustificato il divieto di manifestare.
L’aggressione fascista subita dall’insegnante a cui va la nostra solidarietà mostra quanti danni abbia prodotto lo sdoganamento del fascismo.
E’ importante sottolineare che il professore è stato affrontato da 5 ragazzi che tentavano di fargli dire che col fascismo si stava meglio e che avendo ottenuto una dichiarazione opposta lo hanno prima insultato e poi riempito di pugni. È indubbiamente squadrista la sequenza del fatto perché è tipica di una vera e propria spedizione punitiva preordinata. Infatti hanno fermato il professore chiamandolo per nome prima di aggredirlo.
Dovrebbero riflettere quelli che hanno acconsentito al divieto di manifestare.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
Acerbo (Prc): aggressione a insegnante a Brescia dimostra che antifasciste/i hanno ragione
L'aggressione squadrista all'insegnante di Brescia dimostra che hanno ragione le antifasciste e gli antifascisti che sono scesi in piazza nonostante il divieto.Rifondazione Comunista
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Raffaele Tecce
Appena ho saputo della scomparsa di Eugenio Donise ho provato un immensa tristezza, per l’affetto fraterno che ho sempre avuto per una figura autorevole,intelligentissima, colta e generosa del PCI a Napoli.
Ho conosciuto personalmente Eugenio Donise nel 1977,io neo eletto segretario provinciale del Pdup per il comunismo e lui segretario provinciale del PCI, durante le consultazioni che Eugenio pazientemente faceva con tutti i partiti della maggioranza che sosteneva il Sindaco Valenzi.
Già in quell’ occasione mi colpirono cortesia, vero rispetto per tutte le forze della Sinistra anche piccole e passione politica.
C ‘ era in Eugenio la consapevolezza del valore nazionale di quella eccezionale esperienza istituzionale di cui era parte, ma anche la certezza che bisognava dare risposta ai bisogni sociali più forti, a partire da casa e lavoro. Tutti ricordiamo, ad esempio, la sua apertura al confronto con il forte movimento dei disoccupati organizzati.
“Napoli non si governa da un solo palazzo”, si ribadiva sempre.
Da segretario regionale Campano nel 1985 ci accolse con apertura e disponibilità quando come Pdup per il comunismo confluimmo nel PCI.
Mi iscrissi alla sezione San Giuseppe Porto, nel centro storico dove abitavo, e li incontrai due compagni importanti per la mia successiva militanza nel Pci: Claudio Massari, il segretario della sezione e Nino Ferraiuolo stimatissimo professore ed organizzatore di iniziative culturali e sociali comuniste.
Ricordo, inoltre, che dopo lo scioglimento del PCI la sua partecipazione a momenti di dibattito difficili, come al seminario di Arco(Tn) nel 1993 , dove con Tortorella ed altre compagne e compagni decise di” stare nel gorgo”.
Guardò sempre con rispetto ed attenzione la nascita nel 1991 del Partito della Rifondazione Comunista, a Napoli e nazionalmente e partecipò attivamente alla importante esperienza della Federazione della Sinistra, a partire dal 2004, di cui fu componente del Comitato nazionale insieme a Nino Ferraiuolo.
Ricordo sempre le nostre chiacchierate a Piazza San Domenico maggiore sempre con Nino, ed in comunicazione sostanziale con tutta la città.
Caro Eugenio, mi hai insegnato molto.
Condoglianze alla sua famiglia
EUGENIO DONISE, UN COMUNISTA ITALIANO VERO
Raffaele Tecce Appena ho saputo della scomparsa di Eugenio Donise ho provato un immensa tristezza, per l'affetto fraterno che ho sempre avuto pRifondazione Comunista
Danilo Dolci, il ricordo del figlio Amico tra libri, musica ed esempio
di LAURA TUSSI Nel centenario della nascita di Danilo Dolci torniamo a parlarvi del suo impegno politico, sociale ed educativo attraverso le paroleRifondazione Comunista
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Con grande gioia abbiamo appreso la notizia dell’incontro tra la delegazione del Dem Parti e il compagno Ocalan nell’isola carcere di Imrali. Si apre uno spiraglio alla speranza che finalmente si ponga fine alla repressione turca contro il popolo curdo. Negli anni scorsi abbiamo temuto per la stessa vita del presidente Ocalan, il Nelson Mandela del popolo curdo, di cui non si avevano più notizie. Non solo Apo è sottoposto dal 1999 a un regime di isolamento duro in violazione delle convenzioni internazionali ma negli ultimi anni erano state impedite anche le visite di familiari e degli stessi legali a loro volta sistematicamente arrestati e condannati per terrorismo.
Era stata impedita la visita persino alla delegazione della Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). Noi stessi avevamo partecipato nel 2022 a una delegazione investigativa internazionale che ha potuto constatare il grado di repressione e di violazione dello stato di diritto nella Turchia di Erdogan con 350.000 detenuti, tra cui parlamentari, sindaci, sindacalisti, intellettuali della sinistra curda e persino medici e avvocati rei di aver assistito perseguitati politici.
L’incontro di ieri segna la riapertura di un possibile dialogo per la soluzione della questione curda. Ocalan si è dichiarato di nuovo disponibile e con prudenza bisognerà verificare se il regime turco sia davvero intenzionato a percorrere la strada di un “nuovo paradigma”. Purtroppo gli attacchi contro il Rojava delle ultime settimane non sono un elemento incoraggiante. Bisogna capire quale sarà la risposta a questo segnale di nuova apertura delle forze armate turche che hanno sempre tentato di impedire una trattativa anche grazie allo spropositato potere che hanno sulla base di una costituzione assai sciovinista.
Come abbiamo sempre sostenuto, la liberazione di Ocalan, come quella di Marwan Barghouti per la Palestina, è la chiave per un’evoluzione democratica e una soluzione di pace in Medio Oriente. Il confederalismo democratico proposto da Ocalan è un progetto che consentirebbe di superare i continui conflitti causati dall’eredità del colonialismo. La proposta di Ocalan non è separatista ma quella del riconoscimento dell’autonomia del Kurdistan turco nell’ambito di una più generale democratizzazione dello stato. E’ un modello di convivenza che il movimento di liberazione curdo propone anche in Siria per il superamento dei conflitti etnici e religiosi. Purtroppo l’Unione europea invece di sostenere un movimento di resistenza laico, democratico e femminista come quello curdo in questi anni è stata complice dell’alleato NATO Erdogan e ha mantenuto il PKK nell’elenco delle organizzazione terroriste.
Noi di Rifondazione Comunista che, con il compagno Ramon Mantovani, cercammo di salvare Ocalan dalla cattura da parte della Turchia ricordiamo che il fondatore del Pkk aveva diritto all’asilo nel nostro paese e che fu catturato grazie all’ignavia dell’allora governo di centrosinistra che obbedì alle pressioni del presidente USA Bill Clinton. Lo stabilì un tribunale dopo la sua cattura e lo aveva anche quando il governo italiano l’ha costretto ad andarsene. In ragione della nostra risoluzione approvata in parlamento che riconosceva l’esistenza di un conflitto armato da risolvere con un negoziato. Sulla base di quella risoluzione l’Italia riconobbe a migliaia di kurdi con passaporto turco l’asilo. Libertà per Ocalan!
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del PRC e Anna Camposampiero, esecutivo Sinistra Europea
PRC: liberazione Ocalan via per la pace e democrazia in Medio Oriente
Con grande gioia abbiamo appreso la notizia dell'incontro tra la delegazione del Dem Parti e il compagno Ocalan nell'isola carcere di Imrali. Si apre uno spiragRifondazione Comunista
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Comunicato di Fiorenzo Bertocchi e Dino Greco a nome di Rifondazione comunista
Brescia, Rifondazione: “nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti”
“Le immagini del pestaggio inflitto dalla polizia ai manifestanti antifascisti che avevano raccolto l’invito a recarsi in piazza per protestare contro la libertà di movimento concessa a Brescia alle formazioni nazifasciste, hanno fatto il giro d’Italia. E nessuna censura, nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti. Dobbiamo confessare la nostra ingenuità: avevamo denunciato l’equidistanza con cui gli organi deputati alla sicurezza pubblica trattavano fascisti e antifascisti. Ci sbagliavamo. Le cose stanno molto peggio di così e i fatti, non le chiacchiere di questi giorni, sono lì a darne plastica dimostrazione.
Il 13 dicembre, il “cartello nero” delle organizzazioni neofasciste bresciane ha dato vita ad una manifestazione pubblica che istiga all’odio razziale ed esibiva una chiara fede nostalgica: “Siamo tornati- gridavano- e lì sono le nostre radici”. Ebbene, costoro hanno potuto impunemente sfilare e imbrattare la città e i suoi monumenti di svastiche. La questura non ha avuto nulla da dire e, soprattutto, da fare. Ieri, lo stesso immobile questore ha inviato uno schieramento possente di polizia con l’ordine tassativo di impedire, a qualsiasi costo, lo svolgimento di un pacifico presidio antifascista. All’apertura di due striscioni che ricordavano la natura antifascista della Costituzione e l’impegno dei cittadini bresciani a farne rispettare lettera e sostanza, è partita l’aggressione che è stata sull’orlo di sconfinare in un generale, drammatico pestaggio che solo la responsabilità dei manifestanti ha saputo evitare.
Ai fascisti che si erano rintanati in un loro covo e’ stato invece permesso di svolgere, all’esterno dell’edificio, un comizietto carico di tutto il loro odio antidemocratico. Ecco dunque la sostanza di tutta la vicenda e del conseguente “avviso ai naviganti” che ne è sortito: alla mobilitazione antifascista non sarà consentito niente! Con riflesso immediato, prima ancora che il famigerato ddl-sicurezza sia approvato dal parlamento, le norme gravemente liberticide in esso contenute diventano pratica ispirazione nella testa e nelle azioni dei cosiddetti organi di sicurezza. Suscitano infine un’infinita tristezza – e creano altrettanti motivi di preoccupazione – i pietosi inviti che da pulpiti insospettabili sono venuti a chiudersi in casa, a disertare la manifestazione antifascista di ieri, ponendo i manifestanti in una condizione di isolamento che i questurini hanno interpretato, come sempre, a loro modo.
Quanto al commento della sindaca, che si unisce solidalmente al pestaggio della polizia, c’è una sola cosa da dire: è vero, Brescia ha un problema, e bello grosso. E la sindaca ne è parte. Una cosa è comunque certa, e lor signori, tutti, è bene lo tengano nel debito conto: l’assemblea permanente antifascista non smobilita sotto le botte della polizia e gli insulti dei suoi corifei. Si andrà avanti, perché la Costituzione antifascista è un lascito troppo importante perché sia lasciato deperire o mortificare.
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Non è accettabile che la polizia abbia oggi manganellato i partecipanti al presidio antifascista a Brescia mentre ai fascisti è stato invece consentito di improvvisare un comizietto e un brindisi fuori dal loro covo.
Vergognoso che la polizia abbia cercato di strappare dalle mani dei manifestanti lo striscione ‘Brescia è antifascista’ nella città della strage di Piazza della Loggia. lI questore di Brescia, dopo aver consentito un vergognoso corteo di neofascisti, ha deciso di negare il permesso al presidio antifascista e poi di tentare di scioglierlo con la forza.
Ringrazio i nostri compagni Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi per la determinazione con cui hanno deciso di disobbedire al divieto immotivato che gli è stato comunicato dalla questura e ai mille antifascisti che hanno partecipato al presidio e al corteo mantenendo la calma e garantendo l’ordine pubblico e la legalità costituzionale senza cedere alle provocazioni.
Chiediamo le dimissioni del questore. Il diritto di manifestare è garantito dalla Costituzione e non va consentito al governo Meloni di limitarlo.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
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Il discorso del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi interrogativi sul futuro dell’esercito italiano e il suo ruolo crescente nella politica interna. Masiello ha affermato che l’esercito non desidera la guerra, ma che la preparazione alla guerra è essenziale per garantire la pace, un concetto che non solo tradisce i principi costituzionali italiani, ma sottolinea una pericolosa visione della forza armata come pilastro della sicurezza e dell’ordine interno. Questo approccio, che implica un esercito sempre pronto ad agire, non solo in scenari di guerra, ma anche per risolvere le crisi interne, segna un cambio di paradigma che merita attenzione.
La proposta di rinominare l’Accademia di Stato Maggiore dell’Esercito in “Scuola di Guerra” è un segnale evidente di un’escalation militare nella visione istituzionale. Non si tratta più solo di una forza di difesa, ma di una forza sempre pronta a rispondere a scenari complessi, interni ed esterni, dove l’esercito potrebbe essere visto come l’attore centrale nel garantire la stabilità. Questo non è solo un cambiamento nell’educazione militare, ma un’apertura a una visione in cui la politica non è più l’unica responsabile nella gestione delle crisi.
Le parole di Masiello, pur non invocando esplicitamente una modifica della Costituzione, rispondono alla logica di un esercito sempre pronto, che va oltre la semplice difesa della patria, con implicazioni che vanno ad intaccare il controllo civile e democratico sulle forze armate. Se l’esercito viene visto come il principale strumento per garantire la sicurezza e la stabilità, è chiaro che si sta minando il ruolo delle istituzioni politiche, sempre più sopraffatte da una crescente influenza militare nelle dinamiche interne. E ciò è tanto più preoccupante se messo in relazione con il rischio di una politicizzazione delle forze armate, che rischia di portare l’Italia verso una deriva autoritaria.
Alla luce dei generali in politica, di questo genere di esternazioni,dei venti di guerra che soffiano forti e della presidenza trump che invita al bilateralismo cercando di affossare, ancora più di quanto non sia già , il rapporto multilaterale delle politica estera USA, impongono una riflessione profonda su quali siano i rischi che stiamo correndo, del destino dei sistemi democratici , del ruolo dell’Unione Europea come possibile rete di protezione. Ricordo le riflessioni di Fabio Mini, che nel suo articolo La Rivincita di Sparta del 2012 evidenziava come il crescente potere militare potesse minacciare la democrazia. Mini parlava di vere e proprie “pulsioni” autoritarie all’interno dell’esercito, e delle pericolose interazioni con le oligarchie economiche, che avrebbero potuto sfociare in un pericoloso intervento militare nella gestione politica del paese. Secondo Mini, le forze armate, pur essendo strutturalmente autoritarie e gerarchiche, sono in grado di farsi protagoniste in tempi di crisi, soprattutto quando la politica civile fallisce nel garantire la stabilità o non sa rispondere ai propri impegni sulla scena internazionale. Mini non metteva in dubbio che l’esercito potesse essere necessario in determinati scenari, ma avvertiva della pericolosità di una politicizzazione delle forze armate, le cui “pulsioni” autoritarie avrebbero potuto emergere se la politica civile avesse perso la sua capacità di governare efficacemente. In un contesto come quello che stiamo vivendo, dove l’esercito sembra acquistare sempre più visibilità e potere, le sue parole risultano estremamente attuali.
Da Vannacci alle parole di Masiello, passando per il DDL Sicurezza, tutti i segnali sembrano indicarci una tendenza inquietante, che va ben oltre la semplice necessità di prepararsi a conflitti esterni. La crescita della militarizzazione della politica interna, insieme all’inasprimento delle pene per chi partecipa a manifestazioni pubbliche e alla possibilità di un intervento delle forze armate nell’ordine pubblico, segnalano un mutamento pericoloso. Questo scenario potrebbe sfociare in un sistema in cui l’esercito e la polizia non sono più semplicemente separati ma diventano strumenti complementari di controllo sociale, mettendo a rischio la libertà di espressione e i diritti civili.
Il DDL Sicurezza 2024, infatti, va nella direzione di un’ulteriore militarizzazione della vita civile. L’introduzione di misure che permettono l’impiego delle forze armate per operazioni di ordine pubblico, oltre alla crescente sorveglianza sociale tramite l’uso dei servizi segreti, ampliano il rischio che il dissenso venga represso con la forza, piuttosto che con il dialogo e la mediazione. L’inasprimento delle pene per i reati commessi durante le manifestazioni, insieme all’espansione dei poteri dei servizi segreti, rappresentano una vera e propria minaccia alla libertà di espressione e alla protezione dei diritti civili. La possibilità che gruppi sociali o politici di opposizione possano essere considerati minacce alla sicurezza è un segnale allarmante, che potrebbe portare alla repressione delle opinioni divergenti e all’imbavagliamento delle voci critiche.
Tutti questi sviluppi si intrecciano con le dichiarazioni del Generale Masiello, che ha affermato la necessità di una preparazione alla guerra per garantire la pace, indicando implicitamente che le forze armate devono essere pronte non solo a difendere il paese ma a intervenire attivamente in scenari di conflitto interno. In altre parole, la crescente enfasi sulla prontezza militare potrebbe aprire la porta a una politicizzazione delle forze armate, con il rischio che queste diventino l’unico strumento per affrontare le crisi politiche e sociali, ignorando i principi costituzionali che separano la politica civile dall’intervento militare.
Da un lato, si promuove una visione bellica delle forze armate, come se la preparazione alla guerra fosse l’unica strada per raggiungere la pace. Dall’altro, il contesto legislativo del DDL Sicurezza fa emergere il rischio di una deriva autoritaria, in cui le forze militari e di polizia si sostituiscono alla politica democratica, reprimendo ogni forma di opposizione.
Le forze democratiche non possono più ignorare questi segnali. La combinazione tra politica e militari, con la crescente centralità delle forze armate nelle scelte politiche interne, costituisce una vera minaccia per la tenuta democratica del paese. Non è più possibile trattare questi sviluppi come se fossero semplici adattamenti alle necessità della sicurezza. Sono i segnali preoccupanti di un cambiamento più profondo, che rischia di minare le basi democratiche e il nostro impegno per una società pacifica e giusta.
Infine, quello che in questo scenario è ancora più preoccupante, è la spinta a ulteriore divisione e frazionamento di quello che a quanto pare dovrebbe invece essere un fronte unito a difesa del difendibile, a salvare quanto ancora è salvabile, e anche in quel caso , che sembra ormai utopico, la battaglia di difesa del sistema democratico sarebbe difficile da combattere . Questo dovrebbe urlare a tutti che è necessario unire tutte le forze sinceramente democratiche per contrastare questa pericolosa evoluzione. L’esercito non deve diventare attore politico, né le forze di polizia e i servizi segreti devono avere il potere di reprimere il dissenso e limitare le libertà civili e non si deve permettere la separazione delle carriere in magistratura fondamento della separazione dei poteri proprio di un sistema pienamente democratico. Se non si interviene ora, potremmo trovarci in un futuro non troppo lontano , in una condizione esistenziale dove la libertà sarà sacrificata sull’altare della sicurezza e dove la democrazia sarà definitivamente sostituita dal controllo autoritario.
IL discorso del Generale Masiello fa eco agli avvertimenti, inascoltati , del Generale Mini in “ la Rivincita di Sparta”, pubblicato su LIMES nel 2012 .
Il discorso del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi interrogatRifondazione Comunista
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Alla presidente del consiglio Giorgia Meloni che definisce utili le spese militari con argomentazioni assolutamente ridicole rispondono che l’Italia ha bisogno di ospedali che funzionino non di buttare soldi per arricchire la lobby degli armamenti. In realtà Giorgia Meloni dalla demagogia sovranista è passata al ruolo di zerbino di NATO, USA e Commissione europea e quindi deve addolcire la pillola dei tagli necessari a compensare l’aumento delle spese militari che ci vogliono imporre. Se Giorgia Meloni fosse davvero sovranista dovrebbe rispondere in sede internazionale che l’Italia ha una Costituzione che ripudia la guerra e che l’Italia ha una spesa sanitaria molto al di sotto alla media europea e non possiamo permetterci il lusso di buttare soldi per la guerra. La realtà è che Giorgia Meloni fa la voce grossa solo per dare spettacolo sui tg e sui social ma si guarda bene dal difendere i nostri interessi nazionali. Una vera sovranista risponderebbe a Trump, a Rutte e a Ursula von der Leyen che l’Italia può fare a meno della NATO e che in paesi neutrali come l’Austria e la Svizzera si vive benissimo. Almeno Orban ha il coraggio di alzare la voce in Europa, lei sembra un Draghi anzi un Letta con la parrucca. Trump chiede di portare la spesa al 5% del PIL, Rutte al 3, noi non dobbiamo neanche portarla al 2 anzi andrebbe tagliata perché nessun trattato ci impone la militarizzazione del nostro paese. Se Trump vuole uscire dalla NATO ci fa un piacere. Non vediamo l’ora che lascino le loro basi in Italia portandosi i loro ordigni atomici.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista . Sinistra Europea
Acerbo (PRC): cara Meloni utili sono ospedali non spese militari
Alla presidente del consiglio Giorgia Meloni che definisce utili le spese militari con argomentazioni assolutamente ridicole rispondono che l'Italia ha bisognoRifondazione Comunista
Comunicato del circolo di Rifondazione Comunista Tina Costa di Torpignattara:
Stanotte ignoti teppisti fascisti hanno divelto e danneggiato la targa che ricorda il partigiano Clemente Scifoni in Piazza della Maranella e poi sono passati davanti alla nostra casa del popolo in via Bordoni, a cento metri. Hanno strappato la bandiera della comunità LGBT+ e scagliato delle bottiglie di birra contro la vetrata di ingresso senza causare danni importanti.
I rigurgiti fascisti sono legittimati dal dal governo e da alte cariche dello stato. Non si possono derubricare come semplice goliardia atti di vandalismo che hanno una chiara matrice. I fascisti provano fastidio per la memoria della resistenza partigiana, per la presenza dei comunisti sul territorio, per l’organizzazione popolare dal basso che il nostro circolo e la nostra Casa del Popolo di Torpignattara rappresentano. Questa organizzazione popolare si muove e cresce alla luce del sole e non si lascia intimidire da questi atti vigliacchi. Alla riapertura delle scuole distribuiremo un volantino con la storia del partigiano Clemente Scifoni.
Partito della Rifondazione Comunista, circolo Tina Costa di Torpignattara Roma
Dichiarazione di Maurizio Acerbo, segretario nazionale e di Elena Mazzoni, segretaria della federazione di Roma del Partito della Rifondazione Comunista:
“L’attacco vandalico alla targa che ricorda un partigiano e alla nostra sede è un fatto grave che segnala quanto forti siano i rigurgiti fascisti nel nostro paese. A fomentarli è direttamente la destra al governo che da anni cerca di screditare la Resistenza e di delegittimare l’antifascismo. Solidarietà al circolo Tina Costa e alla Casa del Popolo che è un presidio di democrazia, cultura e convivenza tra le comunità nel quartiere”.
A Torpignattara vandalismo fascista contro targa partigiana e Casa del Popolo
Comunicato del circolo di Rifondazione Comunista Tina Costa di Torpignattara: Stanotte ignoti teppisti fascisti hanno divelto e danneggiato la targa che ricordRifondazione Comunista
rag. Gustavino Bevilacqua reshared this.
Gianluca Schiavon*
Dopo una messe di leggi provvedimento a risposta delle emergenze penali più balzane, il Governo di destra, per mano dei ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto, ha perfezionato nel ddl ‘sicurezza’ un corpus organico di norme compiutamente orientato alla repressione dei soggetti che questa maggioranza politica considera persone marginali e potenzialmente contrarie all’interesse dei potenti. L’indirizzo del Governo, finora, è parso incontrastato perché insoddisfacenti sono state le risposte di opposizione. A fronte di decreti-legge tanto bizzarri quanto difficilmente applicabili nell’organizzazione della Giustizia attuale, uno per tutti, quello che ha introdotto il delitto di rave party, le forze sociali parevano impegnate singolarmente a contrastare la puntuale norma liberticida.
La maggioranza ha così sfigurato l’ordinamento con un insieme ampio di norme incostituzionali come la reintroduzione di una disposizione già annullata con la sentenza della Consulta n. 359/2000, vale a dire il reinserimento del pericolo di fuga tra le esigenze cautelari idonee a motivare le misure cautelari per i minorenni nel famigerato decreto Caivano.
Nell’ambito pervasivo dell’amministrazione della Giustizia e dell’ordine pubblico è squadernata la velleità di americanizzazione del governo delle destre; emerge, infatti, l’attacco alle grandi città come luoghi in cui la produzione del valore produce qualche germe di resistenza e persino di contropotere. Non sfugge come siano oggetto di una campagna per la paura e per la reazione alla maniera di Trump tutti i centri urbani: dalle città-porto europee di Genova e Trieste, agli snodi della logistica, all’area metropolitane de-industrializzate milanese e torinese, il territorio smisurato di Roma capitale e delle metropoli del mezzogiorno.
Il disegno di legge sicurezza segna, tuttavia, un momento di discontinuità perché è emerso un fronte unito contro la tattica della destra coagulato da una strategia costituzionale. Un fronte evidentemente composito che va dalla rete dei Negozianti italiani canapa (NIC) ai collettivi studenteschi più radicali, dai Giuristi democratici, alle associazioni del volontariato carcerario, da Articolo 21 ai lavoratori organizzati della GKN. Un fronte meticcio e intergenerazionale, ma, soprattutto, un fronte che attraverso la parola d’ordine ritiro immediato del DDL ha un potenziale ricompositivo di tutte le vertenze attraverso le quali i soggetti sociali declinano il conflitto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-corpi e libertà-repressione. Si passa, quindi, forse per la prima volta dopo tanti anni, da un sodalizio tra forze militanti e addetti ai lavori, che ha resistito alla espansione del diritto penale del nemico, a una coalizione tra soggetti diversi nel quale partecipano forze di massa: ARCI, ANPI, CGIL, UIL, sindacati conflittuali, camere penali. Il tornante si è manifestato dopo un apparente periodo di stasi del movimento contro le guerre e gli imperialismi. Pare, infatti, riemerso il movimento dopo essere stato atterrito dalla ineluttabile barbarie della terza guerra mondiale a pezzi nel momento in cui è stato compreso da larghe minoranze europee il nesso guerra mondiale-repressione interna.
Il processo ri-aggregativo non è esauribile nella manifestazione di Roma, ma ha ancora un margine di espansione perché nasce da manifestazioni territoriali e regionali, dagli scioperi, dalle occupazioni di scuole e facoltà, dall’astensione dalle udienze dei penalisti. Sta maturando una risposta, a fronte di un disegno sanzionatorio universale del Governo, altrettanto universale che partendo dalla vita concreta contrappone un modello di liberazione dal comando capitalista e dal bisogno indotto.
Dopo la manifestazione di almeno 50.000 persone a Roma, il procedimento legislativo è continuato con la discussione degli emendamenti nella II Commissione del Senato proposti dalle opposizioni parlamentari, ma il portato di tutte le manifestazioni ha già inciso significativamente: il Capo dello Stato starebbe imponendo – a differenza da ciò che non ha fatto col decreto Caivano – la modifica di tutte le norme più manifestamente incostituzionali. SI tratterebbe di tre gruppi di norme: quelle norme ‘anti-borseggiatrici rom’ che rendono facoltativa la esecuzione della reclusione per le donne incinta o madri di figli fino a un anno e obbligatoria l’esecuzione penale per le madri fino a tre anni, di quella discriminatoria verso il cittadino extraUE per l’acquisto di una sim telefonica e di quelle incriminanti la resistenza passiva nei reati di rivolta carceraria e rivolta in CPR.
La battaglia, tuttavia, non è che all’inizio dal momento che il movimento non può accettare nulla che non sia il ritiro di tutto il ddl, fatto politico difficile, ma non impossibile. A patto di non interrompere la mobilitazione e l’agitazione sui territori per tornare nella capitale il secondo fine settimana di gennaio con un progetto minuto di riflessione e di sabotaggio dei dispositivi del controllo sociale, dunque di ri-soggettivazione delle vite di ognuna e ognuno.
*Responsabile Giustizia, PRC-S.E.
DDL sicurezza (paura) ora viene il bello!
Gianluca Schiavon* Dopo una messe di leggi provvedimento a risposta delle emergenze penali più balzane, il Governo di destra, per mano dei ministri NoRifondazione Comunista
Il tribunale di Palermo ha emanato la sua sentenza assolvendo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Insomma trattenere in mare, in nome di una oscena propaganda xenofoba 147 persone, per 19 giorni, persone salvate da morte certa, come accadde 5 anni fa quando l’imputato era ministro dell’Interno, non è reato. Forse perché le persone salvate cercavano salvezza in Europa? Attendiamo le motivazioni della sentenza che odorano di arrampicata sugli specchi, ma il segnale è orrendo ed in perfetta linea col ddl 1660. Segna una fine ingloriosa di uno Stato di diritto già ampiamente calpestato in passato ma che oggi si rivela ancor più macabro e crudele. Il potere politico comanda su quello giudiziario quando si tratta di garantire impunità ad un esponente dell’esecutivo. Che ci si mobiliti contro questa ed altre sentenze che probabilmente seguiranno, che ci si schieri dalla parte di quei giudici che non accettano di inchinarsi, di chi continuerà a prestare soccorso in mare. Rifondazione Comunista, come tante altre associazioni, corpi intermedi, realtà di movimento, continuerà a considerare il leader leghista un misero imprenditore della paura di cui presto, la storia di questo Paese si dovrà vergognare
Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Ci uniamo alla richiesta di Anpi di vietare il raduno fascista che tutti gli anni viene organizzato a Roma il 7 gennaio per ricordare i fatti di Acca Larentia Non è accettabile che, nel disprezzo assoluto della nostra Costituzione, in un luogo pubblico si permetta a esponenti di organizzazioni neofasciste di manifestare a parole e gesti la loro appartenenza violando anche le leggi scritte in applicazione della XII Disposizione. E’ una vergogna per il nostro paese ed è un affronto per tutti quei giovani, uomini e donne, che si sono battuti nella Resistenza e hanno dato la vita per la libertà e la democrazia. Cosa si aspetta ancora a dichiarare lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste, a partire proprio da Casa Pound che in più occasioni ha manifestato il suo carattere violento, squadrista e antidemocratico? Proprio per questo quattro suoi appartenenti sono appena stati rinviati a giudizio a Napoli. Non stiamo chiedendo al ministro Piantedosi di dichiararsi antifascista, conoscendo la sua riluttanza, ma di svolgere il suo lavoro rispettando la Costituzione antifascista sulla quale ha prestato giuramento. Rifondazione, come tante altre Associazioni, lo sta chiedendo da tempo: le organizzazioni fasciste vanno sciolte immediatamente!
Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Rita Scapinelli, responsabile antifascismo del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
rag. Gustavino Bevilacqua reshared this.
Non conosce limiti ormai la guerra della destra contro la libertà di espressione e se potessero probabilmente anche contro la libertà di pensiero. Visto che stanno lavorando per criminalizzare qualsiasi libertà.
Dopo gli attacchi a Serena Bortone, agli autori cinematografici, ai giornalisti di Report, a Saviano, dopo la sospensione di Christian Raimo dall’insegnamento per tre mesi, adesso c’è anche la querela per diffamazione (con richiesta pure di risarcimento) del ministro per “l’istruzione e il merito” Valditara contro lo scrittore ed ex direttore del Salone internazionale del libro di Torino Nicola Lagioia e contro il giornalista Giulio Cavalli. Il “ministro dell’istruzione” si è sentito offeso per alcune dichiarazioni di Lagioia e per un articolo di Cavalli perché si sono permessi di ironizzare su un tweet del ministro scritto in un italiano non “eccellente” (“…. Se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia…”. Per fare un esempio.
Siamo completamente d’accordo con Lagioia quando dice che “sono atti intimidatori… che creano un clima di paura”, anche perché ad opera di un ministro contro un normale cittadino. Ma questo è esattamente lo scopo di questo governo.
E poiché il tweet di Valditara iniziava dicendo, sempre in perfetto italiano: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene…”, siamo completamene d’accordo con Lagioia anche quando dice che in Italia ci sono stranieri che padroneggiano l’italiano in maniera splendida e che se dovessero sottoporsi a un test lo supererebbero meglio del ministro.
Attendiamo querela?
Maurizio Acerbo Segretario nazionale
Stefania Brai, Responsabile cultura
Stefano Galieni Responsabile immigrazione
rag. Gustavino Bevilacqua reshared this.
Antonello patta*
È un’Italia ben diversa dall’immaginario mondo di Giorgia quella che emerge da una serie di rapporti pubblicati ieri dalla Commissione Europea;
I dati, oltre a mettere in evidenza le persistenti fragilità dell’economia italiana alle prese col rischio di una nuova fase di deindustrializzazione, svelano impietosamente cosa si cela dietro i successi occupazionali millantati dal governo delle destre.
Per l’Italia Il confronto su lavoro, salari e occupazione, anche solo con le medie europee, tralasciando i Paesi più virtuosi, è avvilente.
È vero che il tasso di occupazione è cresciuto, anche perché si partiva da una situazione molto arretrata, ma rimane ben 9 punti percentuali sotto la media europea; preoccupante il divario occupazionale tra uomo e donna: 19,5%, il doppio della media Ue; Drammatico il tasso di occupazione nel sud e nelle isole: 25% inferiore ai valori medi del continente; il tasso di giovani che non studiano e non lavorano è del 16,1%, 5 punti peggio della media dei 27.
A spiegare cosa si nasconde dietro il presunto successo del governo concorrono anche i dati forniti da Eurostat che confermano il progressivo calo dei salari italiani certificato da tempo da tutti gli organismi nazionali e internazionali: negli ultimi 15 anni, i salari italiani sono scesi del 6% mentre nella media degli altri paesi europei sono aumentati dell’11%.
La diffusione estrema del lavoro povero rappresenta la causa principale dell’aumento della povertà attestato da Bruxelles che ricorda quanto sia alta nel nostro Paese la quota di popolazione a rischio povertà: il 23%, il 27,1% quella dei bambini, entrambe ben al di sopra delle medie europee.
Negli stessi rapporti sempre a proposito dell’Italia si può leggere: “la percentuale di persone colpite da gravi privazioni materiali e sociali è aumentata, in linea con l’elevata e stagnante quota di persone che vivono in povertà assoluta”, pari al 9,8 per cento nel 2023.
Le ragioni di questa situazione drammatica sono note e rimandano a un sistema economico malato, che perde quote nei settori industriali più avanzati e tiene in comparti come l’edilizia il turismo e il commercio dove notoriamente sono ampiamente diffusi bassi salari, lavoro precario e irregolare come testimoniano i dati europei secondo cui il numero delle persone occupate a tempo determinato in Italia è tra i più elevati d’Europa, più del 15%;
La precarietà lavorativa e la diffusione della povertà secondo l’Europa determinano “la cultura always on”, cioè la disponibilità ad essere attivi 24 ore su 24 come testimonia un sondaggio condotto da Eurofound in Belgio, Francia, Italia e Spagna secondo cui oltre l’80% degli intervistati si è dichiarato disponibile ad accettare di lavorare oltre il normale impegno lavorativo.
Una situazione conseguenza di decenni di leggi che hanno aggravato la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori con la diffusione di mille forme di precarietà e lavoro irregolare funzionali a renderli sempre più ricattabili e imporre lavori sottopagati, privi di tutele e diritti e più sfruttamento.
Di fronte a questa situazione aggravata anche dal taglio del reddito di cittadinanza il governo delle destre si comporta come se i drammatici problemi della struttura produttiva del paese non lo riguardassero; vara una finanziaria che non solo non fa nulla per salari, pensioni e redditi dei ceti popolari, ma taglia ancora la spesa pubblica mettendo cinicamente in conto un’ulteriore riduzione dei diritti, dei salari e dei consumi, con la naturale conseguenza di deprimere ancora di più l’economia e aumentare il disagio sociale.
I sovranisti nostrani quando parlano di patria, pensano agli interessi del capitale e dei ceti che si arricchiscono sulle rendite speculative, sull’evasione fiscale e sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Solo le lotte potranno restituire dignità al lavoro, diritti e reddito alle cittadine e ai cittadini e arrestare il drammatico declino del Paese.
*Responsabile nazionale lavoro del Prc
“NON È VERO CHE IN ITALIA TUTTO VA BENE!” CE LO DICE L’EUROPA
Antonello patta* È un’Italia ben diversa dall’immaginario mondo di Giorgia quella che emerge da una serie di rapporti pubblicati ieri dalla CommissioneRifondazione Comunista
Si chiamava Giovanni Battista Macciò l’operaio della Culmv morto schiacciato la scorsa notte nel porto di Genova mentre lavorava: un’altra vittima sacrificata al primato del profitto
Non si parli di nuovo di fatale incidente o di non rispetto delle procedure di sicurezza che sono tali solo se reggono in qualsiasi condizione; se non lo fanno, non sono tali e non possono essere usate come scusante, il tappeto sotto cui nascondere turni e doppi turni, cottimi e precarietà, uniti a controlli insufficienti e mancati investimenti sulla sicurezza.
La verità è che anche questa tragica morte è figlia della ricerca del massimo di sfruttamento col minimo dei costi: si sono deregolamentate e privatizzate le banchine, si è spezzettata la gestione del lavoro, si impongono turni e carichi di lavoro che di per sé producono insicurezza e rischi continui per la vita dei lavoratori.
Ora siamo al film già visto della sequela di messaggi di cordoglio farisaici che non durano lo spazio di una giornata; che nel loro susseguirsi nel corso dell’anno senza che nulla cambi davvero, invece che suscitare rabbia e mobiitazione durature contro il sacrificio di vittime sull’altare del profitto, finiscono per produrre un’assuefazione che fa il gioco di politici e governi che il cambiamento non lo vogliono.
Nel dichiarare i nostro più completo sostegno al giusto sciopero dei portuali, alla loro lotta per un lavoro garantito e sicuro, non possiamo non ribadire la necessità di controlli che facciano rispettare le leggi sulla sicurezza esistenti e l’attuazione di nuove norme a partire dall’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro.
Rifondazione Comunista si stringe attorno alla famiglia e ai colleghi di lavoro di GB Macciò e dell’altro lavoratore rimasto ferito, per il quale auguriamo una rapida guarigione.
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Gianni Ferretti, segretario della federazione di Genova
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea
PORTO DI GENOVA – BASTA MORTI SUL LAVORO
Si chiamava Giovanni Battista Macciò l'operaio della Culmv morto schiacciato la scorsa notte nel porto di Genova mentre lavorava: un'altra vittima sacrificataRifondazione Comunista