Helios Magazine. Intervista con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Pino Riotta* Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, coppia nella vita e nell’impegno per cercare di portare all’attenzione delle giovani generazioni i temi deRifondazione Comunista
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Libertà per Öcalan – Una soluzione politica per la questione curda
CONFERENZA INTERNAZIONALE - Libertà per Öcalan - Una soluzione politica per la questione curda - Venerdì 11 aprile 2025 15:00 - 16:00 Apertura: DiscRifondazione Comunista
Nome di battaglia “Luce”. Il coraggio di una staffetta partigiana
di Alba Vastano - La Resistenza passi da ricordo dei protagonisti a memoria delle nuove generazioni (Luce) Luciana Romoli, nome di battaglia ‘Luce’, cRifondazione Comunista
Radio MIR. Sinistra, nuovi scenari di guerra e difesa dei diritti
I mutati scenari di guerra stanno travolgendo l'ordine mondiale creato dopo la fine dell'Unione Sovietica. La globalizzazione sia dei diritti che dell'economiaRifondazione Comunista
Stefano Galieni
C’è un’idea, che cerca di tradursi in vero e proprio impianto ideologico fondativo, che sta attraversando tutta l’Europa e che si esprime ai massimi livelli in paesi culturalmente e politicamente oggi fragili come l’Italia. Ai valori della destra dichiarata, che si richiamano ad un nazionalismo esasperato, ad un culto della “patria bianca e cattolica”, fa da contraltare il pensiero rabberciato di un sedicente mondo progressista e democratico che ha trovato un suo apogeo nella Piazza del Popolo del 15 marzo scorso, che poneva al centro del proprio esistere l’idea di Europa. Ma quale Europa? Non certo quella di Ventotene e nemmeno quella che, negli anni della decolonizzazione, della scoperta di una produzione culturale e politica diffusa e plurale, si apriva al mondo e si interrogava. L’Europa della guerra si fa “nazione” e ribadisce in maniera ignorante, arrogante e suprematista, la propria centralità presente, passata e futura. Poco importa se nel presente l’UE è frammentata e divisa e se nel futuro è destinata ad essere un continente vecchio, probabilmente in via di estinzione, l’importante è affermare che tutto quanto c’è di migliore sul pianeta sia considerato merito e quindi ad esclusivo appannaggio di questa misera porzione di mondo. Inutile analizzare le contraddizioni dei personaggi che si sono alternati sul palco della piazza romana, addobbata di bandiere UE, (perché Unione ed Europa sono considerati sinonimi anche nei confini), questo è quanto la cultura mainstream e di mercato impone oggi come unica, conformista, proposta e i protagonisti non meritano neanche di essere citati. Ma una riflessione è urgente e necessaria, da sinistra, per affrontare il nodo non risolto di una battaglia delle idee che in tali ambiti non ha né spazio né diritto di cittadinanza. E si prova a partire da una concezione rattrappita della storia, imbottita di eurocentrismo in salsa bellica, secondo cui arte, cultura, sono esclusivo patrimonio “nostro”, il resto del mondo non avrebbe, in base a tale concezione, prodotto mai nulla di rilevante. Un principio sconcertante che fa tabula rasa di civiltà millenarie, con cui abbiamo relazioni di ogni tipo ma che si prova a considerare da questo punto di vista subalterne e soprattutto incompatibili. Si prova a dimenticare il fatto che le prime tracce di scrittura giungono dal mondo sumero. E ovviamente si rimuove il fatto che il primo testo scritto di cui si ha notizia risalga al 2880 AC ad opera di Ptahhotep, visir di un faraone della V dinastia. Le cifre con cui facciamo oggi di conto, i metodi utilizzati per i complessi calcoli che regolano la nostra vita, sono arabe al punto che lo stesso termine “algebra” (unione o completamento), utilizzato dal matematico persiano Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, risalgono a circa 1300 anni fa. I suoi studi affondano le radici nella storia millenaria dell’Antico Egitto e delle civiltà mesopotamiche, ma questo sembra, è il caso di dirlo, non contare nulla.
Un razzismo di fondo che ha radici nella storia europea, ma che sembrava essere stato affrontato nei decenni passati, almeno da una parte del mondo culturale e artistico più aperto, sembra essere stato rimosso con un colpo di spugna. Si cerca di re-imporre, sempre secondo una logica di dominio, l’idea che il pianeta non sia mai stato plurale, che i paesi esistenti fuori dai confini della nostra fortezza, non abbiano radici in civiltà millenarie, si pensi a Cina, Giappone, Subcontinente indiano, si cerchi almeno di conoscere quanto accaduto nell’America precolombiana o nel continente africano prima delle invasioni europee e tanto altro ancora. Invece prevale uno sguardo miope, ipocrita e patetico, utile unicamente a lasciare l’illusione che ancora oggi possa avere un futuro un continente che ha vissuto per secoli sulla depredazione e i genocidi. Recentemente è stato pubblicato per “Asino d’oro”, un gran bel libro di ricerca interdisciplinare sulle radici del razzismo, dal titolo “Esseri umani uguali”- Nel volume si alternano spunti di ricerca in merito alle diverse forme di razzismo italiano, partendo da approcci fra loro, solo apparentemente, distanti (medicina, filosofia, attualità politica) intervallati da interviste a personalità del mondo intellettuale che hanno subito o subiscono ancora, forme di discriminazione fondate sul colore della pelle. Il testo, molto puntuale e frutto dell’interconnessione fra diversi autori e autrici, a loro volta provenienti da esperienze diverse, tocca un punto, ad avviso di chi scrive, nodale, nel capitolo inerente alla filosofia. Ci si interroga sulla nascita del razzismo (si pensi alla definizione dei popoli “barbari, in cui peraltro rientravano buona parte di quelli europei) per giungere all’illuminismo di Voltaire fino ad incontrare padri del pensiero filosofico moderno come Hegel e Kant. La filosofia di quel periodo – e poco è cambiato nel secolo successivo – è coeva all’epoca delle esplorazioni, soprattutto in Africa, che immediatamente si traducevano in espansione coloniale, nella tratta degli schiavi, nell’accaparramento delle risorse. Gli imperi sorti su tali rapine si fondarono sulla presunzione che, nei filosofi citati già trova compiutezza, secondo cui le popolazioni con cui si veniva a contatto non avevano storia, non erano composte da veri e propri esseri umani, andavano civilizzati, costretti alla religione dominante (quella cristiana con le sue varianti), comunque appartenevano ad un’altra specie – si utilizzava la parola “razze “da considerare inferiori, al massimo adatte a lavori di fatica e su cui esercitare il comando dell’uomo bianco. Nelle elucubrazioni di chi non entrò poi mai fisicamente nel “Cuore di tenebra” di Conrad, si passò dalla costruzione del mito del “buon selvaggio” di Rousseau, non contaminato dal peccato originale, ad una demonizzazione di persone considerate prive di freni inibitori, pigri, indolenti, da educare, magari con la frusta, come eterni bambini. L’espansione coloniale permise di estendere tale concezione su gran parte del pianeta che venne considerato semplicemente non solo inferiore ma senza storia. Non bastarono le scoperte scientifiche, architettoniche, astronomiche, prodotte nell’America precolombiana né tantomeno l’incontro con realtà complesse in termini di cosmogonia e di visione del mondo come quelle dell’India eccetera.
Molto più tardi e anche grazie all’esplosione dei grandi movimenti di decolonizzazione, si dovette fare i conti con l’ampiezza straordinaria di chi aveva percorso strade simili a quelle europee, con qualche migliaio di anni di anticipo. E se il Ramayana, primo poema redatto in sanscrito di cui si rintraccia l’autore, Vālmīki, risale probabilmente al II secolo AC, gli scritti di Confucio, in Cina al 770 AC, quasi in contemporanea alla leggendaria nascita di Roma. Sono ignoti gli autori de Il libro dei morti, raccolta di formule elaborata intorno al 1550 AC. Questi esempi non vogliono servire a stabilire primazie, quanto a far digerire a coloro che celebrano l’Europa come alfa e omega di tutto, che la letteratura, come ogni altra forma di espressione umana, ha origini poligenetiche e si è sviluppata in base a contesti diversi. E così le forme di organizzazione politica, chi era in Piazza del Popolo ignora o ha dimenticato che l’Impero del Mali, nell’Africa Occidentale, ha origini nel nostro Medioevo XIII secolo, e raggiunse, prima dell’arrivo degli europei, una popolazione di quasi 50 milioni di persone. Ancor prima, nell’VIII secolo AC in quella che i romani denominavano poi Nubia, nacque un regno, D’mt, da cui trae origine l’attuale Etiopia. Questo mentre il “celeste impero” della Cina nasceva nel III secolo AC, tardi se confrontata con la Civiltà della valle dell’Indo, 3000 anni AC, in parallelo con il mondo mesopotamico e in piena età del bronzo. E perché ignorare gli olmechi che costituirono, nell’area mesoamericana, odierno Messico, una delle prime civiltà pre-colonizzazione, fra il 1400 e il 400 a.c.? Ancora va ripetuto, non si tratta di assegnare quanto di togliere primati ed abolire gerarchie atte a motivare ogni forma di oppressione e discriminazione. Se la piazza dell’Europa si forma sul principio di essere fondante del pianeta, dimostra un’arretratezza e uno spirito neocoloniale e profondamente razzista mai superato. E va notato come nelle performance in cui si sono esibiti i rappresentanti di questa “Europa Make Again”, siano spariti gli immensi romanzieri russi che è assurdo non ascrivere anche al patrimonio culturale collettivo. La logica di guerra e di costruzione del nemico porta addirittura a dimenticare coloro che fino a pochi anni fa erano importanti partner, passi per i paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, abbandonati al loro destino e considerati estranei da almeno 60 anni, ma se anche Cechov, Dostoevskij e Tolstoj, devono sparire dall’orizzonte, tutto diviene più ridicolo. Come se durante la Seconda guerra mondiale tutte le potenze alleate avessero deciso, di comune accordo, di bandire Dante, Petrarca o Mann. Quello che da alcune voci di quella piazza, le più autocentrate, è messo da parte, attiene anche al non rendersi conto che già da decenni, ma ancor più oggi, il processo iniziato con la conquista – non scoperta – delle Americhe e a seguire con la spartizione del pianeta, è irrimediabilmente finito ed oggi l’UE, anche militarmente ed economicamente, è una forza fra le altre, in cui si concentrano ancora le ricchezze del mondo ma che non ha alcuna reale spinta propulsiva.
Ma, da ultimo, siamo convinti veramente che tale approccio costituisca una dimostrazione di inadeguatezza che attiene unicamente all’Europa guerrafondaia di destra o liberal progressista? Se mi si permette un punto di vista individuale, nutro seri dubbi. Anche nella nostra sinistra internazionalista e contraria alle guerre, permangono elementi, dovuti certamente anche alla scarsa conoscenza ed a una micidiale depoliticizzazione del Paese che avviene in contemporanea con una sua profonda mutazione in senso pluriculturale della società. Dietro ai tanti “nuovi visi” che incontriamo, spesso ci sono millenni di storia e formidabili esperienze politiche, artistiche, letterarie, musicali, frutto di cosmogonie composite di cui ignoriamo completamente l’esistenza. Da decenni è giunto il tempo, mai completamente affrontato, di una decolonizzazione della nostra cultura, della presa d’atto che questa costituisce una forma sociale aggregante ma non l’unica, che la sola soluzione è nel riconoscerne in maniera paritaria, evitando, ovviamente ogni relativismo, le altre esperienze in circolazione. Decolonizzare non è unicamente riconoscere i crimini commessi dai propri passati governanti quanto, soprattutto, guardare al presente e al futuro con occhi radicalmente diversi. Magari pronti a scorgere nell’intuizione politica, economica, artistica, ecologista, femminista, che arriva da diversi angoli del pianeta, una chiave per comprendere se stessi e per affrontare il futuro non in solitudine ma nella complessità, con l’intenzione di cambiare il mondo, non in nome di una “civiltà” ma in quello di un’alternativa prospettiva per tutte e tutti.
In nome dell’Europa, una supremazia mai esistita
Stefano Galieni C’è un’idea, che cerca di tradursi in vero e proprio impianto ideologico fondativo, che sta attraversando tutta l’Europa eRifondazione Comunista
Queste le parole del ministro Nordio dopo i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella: “Purtroppo il legislatore e anche la stessa magistratura possono arrivare entro certi limiti a reprimere questi fatti che si radicano probabilmente nella assoluta mancanza, non solo di educazione civica, ma anche di rispetto delle persone. Soprattutto per quanto riguarda giovani o giovani adulti di etnie che magari non hanno la nostra sensibilità soprattutto verso le donne. Questa è questione di educazione”.
Ci troviamo di fronte a un ennesimo e inaccettabile tentativo di etnicizzazione della violenza. La maggior parte dei femminicidi avviene proprio in contesti nativi, ma Nordio, dopo la mossa inutile della creazione del reato specifico di femminicidio, ritiene solo necessario esprimere il proprio razzismo borghese, dimostrando di non conoscere nemmeno il fenomeno di cui parla. I femminicidi sono un fenomeno italiano, relazionale, familiare, ed è necessario un piano culturale, psicologico ed educativo adatto da parte del governo. Piano che non esisterà mai.
Le donne e le ragazze non sono tutelate in modo appropriato da nessun punto di vista: dal lavoro alla propria stessa possibilità di sopravvivenza, in un contesto patriarcale sempre più esasperato. La soluzione non è certo quella di evocare un’astratta “educazione civica”.
Al razzismo e classismo di Nordio fa eco Marina Terragni, che si autodefinisce “femminista” ed è neo-Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza su incarico governativo. Terragni ritiene le tendenze violente un problema psicoanalitico, da trattare, si suppone, a pagamento, e senza sensibilità e aiuto da parte dello Stato; ma prima di tutto in famiglia: “I corsi di affettività, come osserva Massimo Ammaniti, decano degli psicanalisti, possono ben poco: non si tratta di teoria, ma di un ‘lessico emotivo’ che si apprende fin dalla più tenera età nella dinamica concreta degli affetti familiari.” Quanto alle donne, imparino da sole!: “Mentre le ragazze devono imparare a riconoscere per tempo quei segnali – il possesso, la gelosia ossessiva – che preludono al gesto violento. E a chiedere aiuto prima possibile”. Tutto viene risolto così, con la responsabilità personale delle ragazze. Imparino, le ragazze, a risolvere tutto nel privato, perché una Autorità Garante non è in grado di dire altro su chi le sta uccidendo se non ovvietà psicoanalitiche da salotto.
Rifondazione Comunista, conscia che l’educazione all’affettività nelle scuole è stata monopolizzata da gruppi neofondamentalisti misogini ed antiabortisti come i Provita, sostiene il diritto a un’ educazione pubblica all’affettività, laica e stabilmente curricolare. Educazione che sia in grado di intercettare e comprendere, ma anche di orientare le persone verso vite senza fantasmi patriarcali e oppressione, molestie e violenza.
Non crediamo in una società che si sensibilizzi solo con serie Netflix, pur pregevoli, come Adolescence. I doveri di uno Stato sono quelli di costruire pratiche efficaci di prevenzione. Sosteniamo che non può esistere una lotta efficace contro la violenza se non si mettono in discussione le radici di una società dove l’unico modello è quello competitivo e dove i corpi delle donne sono equiparati a merce. Una vera educazione all’affettività deve essere anche educazione critica e aprire prospettive di cambiamento relazionale, quindi sociale.
Maurizio Acerbo, Segretario del Partito della Rifondazione Comunista- Sinistra Europea
Silvia Conca, già Responsabile politiche LGBTQIA+
Paola Guazzo, Direttivo Circolo della Conoscenza e delle Culture Transfemministe
Rifondazione : Da Nordio e Terragni affermazioni irricevibili in merito ai femminicidi. La cultura reazionaria riafferma un patriarcato razzista
Queste le parole del ministro Nordio dopo i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella: "Purtroppo il legislatore e anche la stessa magistratura possono arrivRifondazione Comunista
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Acerbo (Prc): Meloni trasforma il ddl paura in decreto in spregio della Costituzione
In spregio assoluto dell'articolo 77 della Costituzione il Governo Meloni annuncia l'ennesimo decreto-legge in tema di Sicurezza nel quale a stare alle indiscreRifondazione Comunista
Acerbo (PRC): indegno attacco dell’ambasciata israeliana all’arcivescovo Moscone
A nome del Partito della Rifondazione Comunista esprimo la più totale solidarietà all'arcivescovo di Vieste-Manfredonia-San Giovanni Rotondo, Mons. Franco MosRifondazione Comunista
Acerbo (PRC): sabato al corteo a Roma con bandieroni pace e Palestina
Dopo il voto odierno del parlamento europeo si conferma l'urgenza di un grande movimento contro il riarmo e la guerra. Per questo abbiamo immediatamente rispostRifondazione Comunista
In questi giorni potrebbero arrivare le lettere di licenziamento ai 121 lavoratori e lavoratrici dell’ex-GKN. Il 31 Marzo è stato l’ultimo giorno della procedura di mobilità ed è stata negata dall’azienda la possibilità di proroga della mobilità in attesa della pubblicazione del piano concordatario sulla cui base si sarebbe potuto impostare un piano di salvaguardia dei posti di lavoro.
Ancora una volta la società QF si è mostrata indisponibile alla salvaguardia di posti di lavoro e sorda alle proposte di reindustrializzazione del sito. Questo viene reso ancora più grave dalla violazione delle norme contro la delocalizzazione, di cui è stata chiesta dalla GKN e dalla FIOM applicazione.
La più importante lotta operaia italiana, che era riuscita anche nell’impresa di proporre dei piani di reindustrializzazione del sito e di raccolta di più di un milione di euro da immettere nel capitale sociale della Cooperativa che avrebbe svolto queste nuove attività, rischia di finire.
Come Giovani Comunisti/e siamo dal primo giorno stati a fianco di questa lotta e degli operai e delle operaie che per quasi 4 lunghi anni l’hanno portata avanti. Crediamo che debba intervenire il MIMIT al fine di salvaguardare i posti di lavoro e la possibilità che in quel luogo si possa continuare a produrre, tramite la Cooperativa della GKN, non più secondo una logica padronale bensì di cooperazione e mutuo soccorso.
Paolo Bertolozzi, coordinatore nazionale Giovani Comunisti/e
Auro Bizzoni, responsabile nazionale Lavoro Giovani Comunisti/e
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Helsinki, il disarmo e non il ReArm
di Roberto Musacchio - Cinquant’anni fa ad Helsinki, in piena guerra fredda e con l’Europa divisa dal muro di Berlino, praticamente tutti gli Stati europRifondazione Comunista
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NON POSSIAMO ESSERE INDIFFERENTI
Lettera aperta al cinema e al mondo della cultura in Italia Noi che lavoriamo e viviamo nel mondo della cultura, ci rifiutiamo di continuRifondazione Comunista
Nelle ultime 24 ore tre operai sono morti sul lavoro. La strage continua nel menefreghismo del governo. Chiediamo che sia finalmente introdotto il reato di omicidio sul lavoro perchè è inaccettabile che anche quando si accertano le responsabilità delle imprese le condanne risultino irrisorie. Il governo Meloni ha introdotto pene pesantissime inventando reati di ogni genere persino per reprimere le feste danzanti autogestite ma si guarda bene di intervenire per la sicurezza sul lavoro.
C’è bisogno di repressione e prevenzione con una rete capillare di controlli perchè la vita umana dovrebbe valere più del profitto. Bisogna investire nella sicurezza per chi lavora che è una vera emergenza non buttare soldi per le armi che arricchiscono azionisti dell’industria bellica. Si assumano ispettori e si ricostruisca una rete di controlli efficaci.
Purtroppo non c’è nulla da aspettarsi da questo governo. Per lanciare un segnale forte c’è bisogno di un grande partecipazione al voto nel referendum promosso dalla Cgil che, tra i quesiti, prevede un intervento sacrosanto per la sicurezza cancellando l’attuale norma sui subappalti.
Non rassegniamoci alla strage.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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“Comunque c’è un fatto positivo: dopo decenni pare che quest’anno non abbiano gettato fango sui partigiani con le falsità su via Rasella”, conclude Acerbo.
Fosse Ardeatine, Acerbo (PRC): ANPI ha ragione, Meloni e La Russa rimuovono responsabilità fascisti
"Le critiche che il Presidente nazionale dell'ANPI Pagliarulo ha rivolto a Meloni e La Russa sono più che fondate", scrive sulla sua pagina fb il segretario diRifondazione Comunista
di Francesco Sylos Labini -
Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblica comprimendo la domanda interna, trascurando le infrastrutture e riducendo gli investimenti in ricerca, innovazione tecnologica e clima. Ma chi è il soggetto di questo “abbiamo”? Lui stesso, naturalmente, fin dalla famosa lettera scritta insieme all’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet—una linea poi seguita dal governo Monti.
C’è però un dettaglio cruciale: ricerca e innovazione tecnologica non si improvvisano in pochi mesi o anni, ma richiedono decenni. Lo dimostra l’esempio della Cina, che ha sviluppato la propria capacità industriale in parallelo a un investimento massiccio nella ricerca. Nel 2000, il paese contribuiva solo per il 6% alla produzione manifatturiera globale; nel 2020, questa quota è salita al 30%, con proiezioni che indicano un possibile raggiungimento del 45% entro il 2030. Oggi, la Cina è la principale potenza manifatturiera mondiale e domina settori strategici come l’energia solare e le batterie elettriche, dove la sua quota di produzione supera già l’80%.
Negli ultimi vent’anni, la produzione automobilistica cinese è passata dall’1% al 39% del totale globale, mentre l’Europa è scesa dal 35% al 15% e gli Stati Uniti dal 15% al 3%. Le esportazioni di automobili dalla Cina sono cresciute esponenzialmente: da 500.000 unità nel 2016 a 4,7 milioni nel 2024,rendendo la Cina il primo esportatore mondiale e superando il Giappone. Nel settore delle auto elettriche, la cinese BYD si è affermata come il principale produttore, con 2,9 milioni di unità vendute nel 2023, seguita dalla statunitense Tesla con 1,8 milioni. Dietro di loro si trovano sei marchi con vendite comprese tra 400.000 e 500.000 unità, equamente divisi tra aziende cinesi e tedesche. Attualmente, in Cina operano ben 32 produttori di veicoli elettrici.
Nel campo della tecnologia e dell’innovazione, la Cina tuttavia domina sempre più il panorama globale e per questo la sua quota di mercato è destinata a crescere mentre quella delle industrie europee a diminuire. Nel 2021 ha depositato il 37,8% dei brevetti mondiali, contro il 17,8% degli Stati Uniti e il 16% del Giappone. Oggi è leader in 29 settori su 36, tra cui informatica, elettronica e telecomunicazioni, mentre l’Europa gioca un ruolo sempre più marginale. Un caso emblematico è quello dell’intelligenza artificiale: nel gennaio 2025, la società cinese DeepSeek ha rilasciato modelli open-source superiori a GPT-4, scuotendo il settore tecnologico e finanziario occidentale. Non è stato un fulmine a ciel sereno: già nel 2022, la Cina deteneva il 61% dei brevetti nell’IA generativa, contro il 21% degli Stati Uniti e appena il 2% dell’Europa (incluso il Regno Unito).
La marginalità dell’Europa nell’automotive, nella manifattura in generale, nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica non è un evento accidentale, dovuto a Trump, Musk o Putin/Xi ma il risultato di decenni di assenza di una politica economica ed industriale sia a livello nazionale che comunitario. Il “mercato ”, contrariamente alle aspettative, non ha colmato questa lacuna.
Alla base di questo problema c’è anche una costante riduzione dei finanziamenti destinati all’università e alla formazione, che ha rallentato lo sviluppo di ricerche innovative. Infine, come evidenziato dallo stesso Draghi nel suo rapporto di settembre, la guerra in Ucraina e la conseguente perdita dei gasdotti dalla Russia hanno lasciato le imprese europee alle prese con prezzi del l’elettricità 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti e con prezzi del gas naturale 4-5 volte più alti.
Questo combinato disposto ha avuto un effetto devastante sulla manifattura europea, compromettendone la competitività e portando a crisi industriali, chiusure di impianti e licenziamenti, che nel medio-periodo porterà ad un declino economico e sociale. Mentre il dibattito pubblico si avvita su un’idea di Europa sempre più astratta, le scelte concrete di cui dovremmo discutere sono ben altre. La soluzione proposta? Convertire l’industria automobilistica europea alla produzione di armi. L’incapacità di competere sul mercato viene così compensata dalle commesse statali, giustificate dalla necessità di difesa. Così, i motori elettrici delle auto più avanzate vengono rimpiazzati dai motori diesel dei carri armati, mentre il dibattito sul cambiamento climatico scompare dalla scena. Tuttavia, questa è solo una soluzione temporanea, a vantaggio esclusivo delle grandi industrie del comparto militare. Non risolverà né il problema della competitività nell’innovazione tecnologica, né quello della difesa, ma rischia invece di esacerbare le tensioni sociali.
L’Europa è in crisi? Draghi è tra i primi responsabili
di Francesco Sylos Labini - Durante la sua audizione alla Camera dei deputati, Mario Draghi ha evidenziato come, nel tempo, si sia sacrificata la spesa pubblRifondazione Comunista
di Barbara Spinelli -
Mercoledì alla Camera Giorgia Meloni ha lanciato una bomba che più sporca non potrebbe essere, contro chi sabato scorso ha manifestato per l’Europa. Ha citato alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene in cui si afferma che lo Stato federale europeo sarà di natura socialista, e potrà nascere solo tramite una rivoluzione che aggiri (temporaneamente) le volontà nazionali. Ha trascurato il resto del Manifesto, dedicato alla natura democratica, economica, sociale che secondo i suoi autori (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni) avrebbe dovuto avere la Federazione.
Meloni ha omesso il luogo in cui il Manifesto fu scritto: il confino a Ventotene dove il regime relegò circa 800 antifascisti (“Mussolini mandava la gente a far vacanza al confino”, Berlusconi 2003). Una parte dei confinati aveva già fatto anni di carcere: dieci nel caso di Spinelli. I padri fondatori di Fratelli d’Italia sono eredi di quel crimine.
Meloni ripete che “è nata dopo”, negando che i neo-fascisti postbellici, con trame nere e golpe falliti, avessero qualcosa a che vedere col Ventennio. Perfino Helmut Kohl, che post-nazista non era, disse un giorno che era venuto al mondo dopo la guerra, ma subito dopo si corresse e ammise che tutti i “nati dopo” erano “corresponsabili”della storia nazista.
Almeno due elementi del discorso governativo andrebbero chiariti. Primo: il bellicismo solo parziale che Meloni può adottare in presenza dell’opposizione della Lega, e dunque l’uso che viene fatto di Ventotene come silenziatore dei dissidi e distrazione parlamentare (a conferma: il leghista Giorgetti ha sorriso con tento, in aula). Secondo: le frasi rivoluzionarie estrapolate dal Manifesto, “spaventose”per la presidente del Consiglio.
Primo elemento: Meloni ha usato Ventotene per sgangherare ogni discussione seria sul Piano Riarmo che la presidente della Commissione Von der Leyen ha annunciato il 4 marzo (ieri ribattezzato Readiness 2030: cioè “Pronti alla guerra ”). Elly Schlein cerca con lodevole fatica di contrastare la chiamata alle armi, cara ai capitribù del Pd (Gentiloni, Bonaccini, ecc), ma quel che suggerisce non è una linea politica alternativa. È un cambio di vocabolario, non di sostanza: meglio Difesa europea anziché 27 eserciti nazionali, dice, se ci si vuole “preparare alla guerra” come reclamato da Von der Leyen. Sia Meloni sia Schlein sanno che nelle condizioni attuali è del tutto inconcepibile una Difesa comune gestita da un’autorità unica come avviene per l’euro.
Né è possibile la deterrenza: fortunatamente non abbiamo 6000 testate atomiche come Mosca, per dissuaderla. Manca uno Stato europeo, manca una comune politica estera, manca un Parlamento vero. Alcune politiche militari potranno essere coordinate e lo saranno, ma coordinamento non è unità di politiche e di intenti. Il Manifesto di Ventotene è disatteso da tutti, in questo campo.
Già l’euro fu costruito senza creare anticipatamente uno Stato unico, ed è il motivo per cui mente chi parla di grandioso successo senza ombre.
L’umiliazione della Grecia e le disuguaglianze sociali innescate negli anni dell ’austerità sono la conferma che la vittoria è come minimo monca.
La difesa europea e l’autonomia dell ’Unione sarebbero certo utili, per rendere gli europei meno dipendenti dal dispositivo militare statunitense e dalle sue attuali involuzioni fascistoidi, visibili nelle politiche di immigrazione, nella repressione delle dissidenze universitarie, nell’appoggio alle guerre di Israele.
Ma visto che i fautori della difesa europea si richiamano al manifesto di Ventotene occorre che sappiano l’essenziale: quel testo nacque nell’agosto 1941, nel mezzo della Seconda guerra mondiale, e aspirava a un’unità politica –un governo federale –non per fare le guerre ma per sormontare gli Stati nazione e dar quindi vita a una potenza di pace. E con chi edificarla? Con la Germania, che nel ’41 stava occupando mezza Europa e aveva iniziato l’invasione della Russia.
Oggi se si vuole un’Europa che superi la bellicosità congenita degli Stati nazione è con la Russia che urge mettere in piedi una sicurezza comune. Lo prospettò Gorbaciov negli anni 90 del secolo scorso: si rese conto della sconfitta dell’Urss, propose una Casa Comune Europea, e chiese agli occidentali –Usa in testa –di non comportarsi da vincitori e di instaurare assieme a Mosca una pace che escludesse l’espansione atlantica sino ai confini russi. Non fu ascoltato e la Nato s’allargò fino a promettere, nel 2008, l’ingresso di Ucraina e Georgia. Nessun leader russo può accettarlo, e Trump sembra prenderne atto. Non così gli Stati europei, tranne Ungheria e Slovacchia, e lo si può capire.
La sconfitta non solo di Zelensky, ma dell’intero Occidente è fenomenale, e gli europei sono paralizzati, avendo criminalizzato chiunque parlasse con Mosca. Di qui la continuazione degli aiuti all’Ucraina, caldeggiata dal Consiglio europeo e anche dalla Piazza per l’Europa del 15 marzo. Nel suo Parlamento il Cancelliere Merz dichiara che la Russia minaccia la Germania e l’Europa e dunque urge un formidabile riarmo.
L’attore Benigni racconta Ventotene con efficacia, in eurovisione, ma d’un tratto grida che “in Russia esistono fabbriche che sfornano milioni di fake news ogni giorno”. Su Repubblica lo scrittore Antonio Scurati lamenta la svanita combattività delle genti europee e constata che da questo punto di vista il nostro sviluppo postbellico “è stato un avanzare regressivo” (che c’entra con Ventotene?). Nel Parlamento solo 5Stelle e Sinistra Avs si oppongono a invii di armi e chiedono negoziati. Sabato in piazza sventolavano bandiere ucraine e georgiane, non palestinesi. Quelle palestinesi sventolavano in un’altra piazza romana. Tre giorni dopo Netanyahu ricominciava lo sterminio a Gaza con le armi Usa e nostre.
Passiamo al secondo elemento: la rivoluzione che nel Manifesto fa nascere la Federazione. Meloni cita passaggi sconfessati da Spinelli fin dal 1943 e ignora i brani in cui si spiega che vuol dire Europa socialista: “La rivoluzione europea […] dovrà essere socialista, proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione di condizioni più umane di vita”. O passaggi tuttora invisi a destra sul reddito minimo: “La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”.
Nel 1941 parlare di rivoluzione era d’obbligo: c’era il fascismo. Ma anche oggi le conseguenze logiche del Manifesto (Stato federale, Stato sociale per tutti, Casa Comune con la Russia, disarmo) implicherebbero una rivoluzione delle menti e della politica. Nessuno si sente di farla.
pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2025
Ecco chi usa Ventotene e chi ne abusa
di Barbara Spinelli - Mercoledì alla Camera Giorgia Meloni ha lanciato una bomba che più sporca non potrebbe essere, contro chi sabato scorso ha manifestatRifondazione Comunista
Lettera aperta sulla situazione delle carceri italiane
È di ieri la drammatica notizia che rivela che, in quarantotto ore, all’interno della casa circondariale di Verona, si sono verificati due suicidi portando così, la tragica conta delle morti in carcere e per carcere del 2025 (siamo solo al 19 marzo) a 19, dei quali 6 in Emilia-Romagna (4 nel carcere di Modena, 1 a Bologna e 1 a Parma) e lo stato di cose è così in Toscana, in Umbria e in molti altri territori. Negli anni precedenti la situazione non era migliore e, tra i casi passati agli onori della cronaca, ricordiamo i 9 morti della rivolta del carcere di S. Anna di Modena dell’8 e 9 marzo 2020, in epoca di lockdown covid dove va sottolineata l’opacità del sistema carcerario nell’iter giudiziario. Purtroppo, dati i presupposti, anche il 2025 non andrà in direzione diversa.
Il caso di Verona rappresenta un esempio significativo ma, purtroppo, non è un caso isolato anzi, tutt’altro. Il rapporto annuale 2024 di Antigone sulle condizioni e sul rispetto dei diritti e delle garanzie delle persone private della libertà personale ci consegna un quadro che definire drammatico e allarmante è poco.
Problemi già noti ed ampiamente denunciati sono ancora tutti lì e, spesso, si sono addirittura aggravati: è così per esempio per il sovraffollamento (16.000 detenute/i oltre la capienza regolamentare, cifre che portano l’indice nazionale di sovraffollamento al 133,44%), per le condizioni totalmente inadeguate e fatiscenti di molte strutture che mettono le persone in stato di privazione della libertà personale nella condizione di vivere in situazioni insopportabili sul piano psicologico ed anche igienico-sanitario.
Inoltre, sussiste la mancanza di personale qualificato: educatrici/educatori, psicologhe/psicologi, mediatrici e mediatori culturali e, contestualmente, su tutto il territorio nazionale fatto salvo per pochissimi esempi virtuosi, è quasi del tutto assente una vera attività di reinserimento sociale che permetterebbe alle detenute e ai detenuti di passare alcune ore al giorno fuori dalle piccole ed anguste celle (lavoro, scuola etc.).
Alla luce di questo disastro sociale nel solo 2024 le persone detenute in Italia che si sono suicidate sono state 86, il numero più alto da quando a livello nazionale vengono raccolti i dati, altissimo anche il numero, sempre crescente, degli atti di autolesionismo e, dai presupposti che ci sono, il 2025 non andrà meglio.
Morire nelle mani dello Stato è inaccettabile, la misura è colma, e non è possibile che nessun Governo, non quello in carica e nemmeno i precedenti, abbiano mai manifestato l’intenzione di intervenire in tal senso venendo meno al principio Costituzionale che vede la detenzione in Carcere come strumento riabilitativo e prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
In questo paese serve una vera riforma del sistema carcerario che preveda:
- misure alternative alla detenzione per ridurre i numeri nelle carceri per adulti e in quelli minorili
- rinnovamento e adeguamento delle strutture
- un nuovo regolamento che innovi la vita interna, più ore fuori dalle celle, lavoro, istruzione, attività di reinserimento sociale (dove ciò avviene il tasso di recidiva è sotto l’1%)
- assunzione di personale specializzato come operatori, educatori e mediatori culturali
- presenza costante di supporto psicologico
Inoltre, come chiede Antigone, serve che:
- Le Regioni facciano investimenti straordinari nella formazione professionale
- Le ASL vadano a verificare con visite ispettive non preventivamente annunciate se le condizioni carcerarie siano o meno rispettose di standard minimi igienico sanitari
Questo sarebbe l’operato del governo di un paese civile. Purtroppo, il governo attuale da questo punto di vista è sordo, e il DDL 1660 cosiddetto “sicurezza” che criminalizza il dissenso prevedendo anni di condanne per azioni che non sono certamente reati si muove nella direzione di esasperare ulteriormente una situazione già di suo al collasso.
Servono mobilitazione e sensibilizzazione sul rispetto dei basilari Diritti Umani.
Costituzione, Articolo 27
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].
Non è ammessa la pena di morte.
19 marzo 2025
Prime/i firmatarie/i:
Daniela Alessandri, Valeria Allocati, Elena Maria Anelli, Simone Antonioli, Michela Arricale, Fabrizio Baggi, Tatiana Bertini, Michela Becchis, Giovanni Bruno, Giovanna Capelli, Silvana Cesani, Marisa Chiaretta, Monica Coin, Luisa Colombo, Domenico Cosentino, CRED, Alberto Deambrogio, Stefania de Marco, Erica Erinaldi, Fiorenzo Fasoli, Eliana Ferrari, Grazia Francescatti, Loredana Fraleone, Giada Galletta, Nicola Giudice, Stefano Grondona, Tonia Guerra, Cristian Iannone, Ezio Locatelli, Massimo Lorusso, Vittore Luccio, Stefano Lugli, Chiara Marzocchi, Maura Mauri, Vito Meloni, Rosario Marra, Cadigia Perini, Miria Pericolosi, Tania Poguish, Stefanella Ravazzi, Luca Sardone, Vittorio Savini, Monica Sgherri, Giulio Strambi, Silvia Stocchetti, Giovanna Ticca, Danielle Vangieri, Roberto Villani
CARCERI ITALIANE: UNA SITUAZIONE NON PIU’ TOLLERABILE
Lettera aperta sulla situazione delle carceri italiane È di ieri la drammatica notizia che rivela che, in quarantotto ore, all’interno dellaRifondazione Comunista
Non comprendo le polemiche sulle parole di Giorgia Meloni che questa volta ha il merito di aver detto alcune verità incontrovertibili. La prima naturalmente è quella che lei, essendo erede politica del regime fascista che mandò al confino Spinelli, Colorni e Rossi con il Manifesto di Ventotene non c’entra nulla trattandosi di un documento dell’antifascismo militante. La seconda, implicita nelle citazioni lette, è che con il Manifesto non c’entrano nulla neanche Ursula von der Leyen, Mario Draghi, Renzi, Calenda, il Pd e gli esponenti del centrosinistra e centristi che in queste ore contestano le parole della premier. Il manifesto di Ventotene era un manifesto per la rivoluzione socialista europea e questo è incontrovertibile. Contiene principi socialisti che saranno fatti propri dalla nostra Costituzione nata da quella rivoluzione antifascista europea che fu la Resistenza e che saranno alla base dell’azione dei partiti del movimento operaio dopo la sconfitta del nazifascismo in tutta l’Europa occidentale. Per il Manifesto di Ventotene come per la nostra Costituzione la proprietà privata non è sacra e i diritti delle classi lavoratrici e delle persone vengono prima del profitto e del mercato. Il modello sociale europeo con il welfare è stato il risultato della forza e della legittimazione che ebbe in Europa occidentale il movimento operaio e socialista nel dopoguerra e fino alla controrivoluzione neoliberista degli anni ’80 di Reagan e Thatcher. L’Unione Europea è nata con il trattato di Maastricht che ha posto invece il mercato al primo posto con conseguenze devastanti compreso il risorgere dell’estrema destra. Non a caso nel 2014 denunciammo, presentando la lista l’Altra Europa con Barbara Spinelli, che l’Unione Europea dei trattati ordoliberisti era la negazione dell’ispirazione originaria del Manifesto di Ventotene. Insomma con Ventotene non c’entrano nulla neanche gli editorialisti di Repubblica e Corriere e quelli come Renzi, Calenda o Bonaccini che ora strepitano. L’unica cosa positiva della manifestazione di Michele Serra è che Repubblica ha ristampato il manifesto e forse sarà letto da tanti che si renderanno conto della truffa che va avanti da trent’anni. Come Rifondazione Comunista pensiamo che vada rilanciato il Manifesto e la rivendicazione degli Stati Uniti socialisti d’Europa perchè il capitalismo neoliberista porta la guerra come le nuvole la tempesta.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
di Alessandra Algostino -
L’iniziativa di oggi è promossa dal coordinamento antifascista di Torino, che riunisce associazioni nazionali e locali, sindacati, centri sociali, comitati, ed ha visto l’adesione di moltissime realtà cittadine, tante, troppe, per citarle tutte, ben 46 sigle – che si riconoscono nella storia di diritti, libertà, uguaglianza affermati con la Resistenza e scritti nella Costituzione. Un segnale di speranza contro il clima di paura che veicola il disegno di legge sicurezza.
Il coordinamento antifascista nasce da un «dobbiamo reagire» – cito dal Manifesto istitutivo – per «difendere e praticare, in ogni occasione, la visione antifascista, internazionalista, egualitaria, multiculturale, pluralista e pacifista della Costituzione».
È in nome di questa visione che oggi siamo qui in piazza a contrastare il disegno di legge sicurezza e, insieme, il clima bellico, che genera e dal quale è generato: autoritarismo e guerra si alimentano a vicenda.
È un disegno che infittisce una tela repressiva ordita nel corso degli anni (legge sulla sicurezza n. 94 del 2009, governo Berlusconi; pacchetto “Minniti”, 2017; decreti Salvini, 2018-2019); un provvedimento in grado di oscurare lo spazio democratico di tutti noi; una deriva autoritaria che neutralizza la democrazia politica e quella sociale.
La sicurezza, come sicurezza dei diritti, sociale, sul lavoro, è sostituita dalla sicurezza come ordine pubblico; la valorizzazione della partecipazione e del dissenso come necessario in una democrazia (Bobbio) si muta in stigmatizzazione e repressione della critica e dell’agire alternativo.
La distanza dalla Costituzione è siderale: dalla democrazia conflittuale allo stato autoritario; dallo stato sociale allo stato penale; dall’emancipazione alla criminalizzazione; dall’inclusione all’espulsione; dalla partecipazione effettiva all’obbedienza all’autorità; dall’orizzonte aperto del pluralismo alla logica identitaria escludente del nemico.
La divergenza politica e sociale, gli eccedenti, coloro che vivono ai margini, sono i nemici. Tanti i sottintesi che questo porta con sé: il conflitto sociale non esiste e non ha titolo di esistere; le radici delle diseguaglianze sociali e della devastazione ambientale sono oggetto di un transfert che le addossa a chi le subisce e a chi le contesta; si crea uno stato di permanente emergenza e distrazione.
Si blinda l’esistente e si sterilizzano le sue contraddizioni.
Non voglio annoiarvi, ma provo a raccontarvi qualcuna delle norme del disegno di legge.
L’articolo 14 prevede che sia punito «l’impedimento alla libera circolazione su strada», ovvero il blocco esercitato con il proprio corpo (con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, se compiuto, come è normale, da più persone).
Il blocco stradale (e ferroviario) è un mezzo attraverso il quale si esprimono il dissenso, il disagio sociale, il conflitto nel mondo del lavoro, le proteste studentesche: è strettamente correlato all’esercizio di diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, come lo sciopero (art. 40), la riunione (art. 17) e la manifestazione del pensiero (art. 21).
Il significato ideologico della stigmatizzazione e dell’attrazione nell’universo penale del diritto di protesta si coniuga con la repressione concreta e produce un effetto deterrente e dissuasivo. È un’intimidazione istituzionale del dissenso.
Gli articoli 26 e 27 del disegno di legge, nel punire la «rivolta all’interno di un istituto penitenziario», ma anche in una struttura di accoglienza e trattenimento per i migranti (un CPR, un CAS, un hotspot), annoverano fra gli atti di resistenza «anche le condotte di resistenza passiva».
Da un lato, si toglie ancora voce a persone fragili, detenuti e migranti, che hanno pochissime possibilità di farsi sentire; dall’altro lato, confidando nel minor allarme sociale destato da provvedimenti destinati a persone tenute ai margini della società, si sperimenta e nel contempo si normalizza l’idea che la resistenza passiva, ovvero la disobbedienza nonviolenta, sia penalmente perseguibile (facile pensare agli eco-attivisti).
Ma non solo il dissenso è reato, lo sono anche la povertà e il disagio sociale. L’articolo 10 del disegno di legge introduce il nuovo reato, ridondante e dalla forte caratura simbolica, di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui». A fronte del grave problema sociale della casa, il legislatore non persegue politiche atte a garantire a tutti l’accesso all’abitazione – diritto che la Corte costituzionale qualifica inviolabile – ma adotta un approccio punitivo (e la pena non è lieve, da due a sette anni, come per l’omicidio colposo sul lavoro). Stessa pena è prevista anche per coloro che si intromettono o cooperano, ovvero che agiscono in solidarietà.
Il principio costituzionale di solidarietà (art. 2), nell’era Meloni, tra neoliberismo, autonomia differenziata e nazionalismo identitario, scompare dall’orizzonte.
In linea con la disumanizzazione dei migranti tra confinamenti ed esternalizzazione delle frontiere, è quindi la norma, dal chiaro tenore razzista, che prevede l’obbligo, per la vendita della scheda elettronica (S.I.M.), «se il cliente è cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea», di acquisire copia del titolo di soggiorno (art. 32 ddl).
Infine, a chiudere il cerchio, c’è l’istituzione di privilegi dell’autorità, con la creazione di un vero e proprio corredo di benefit per le forze di polizia: aggravanti in materia di violenza o minaccia, tutele rafforzate, pagamento di spese legali, facilitazioni nell’ottenere la licenza d’armi.
Si fa strada l’idea di uno stato fondato sull’autorità e sull’obbedienza: orizzonti estranei alla democrazia, che si fonda, imprescindibilmente, sulla partecipazione e sull’uguaglianza, sulla «pari dignità sociale» (art. 3 Cost.), sul pluralismo e sul conflitto.
L’uguaglianza come connotato del diritto proprio di una democrazia cede il passo a diritti speciali: da un lato, il diritto speciale del migrante, di chi vive ai margini, di chi dissente; e, dall’altro, il diritto speciale di chi rappresenta l’autorità.
Diritto del nemico e diritto dell’amico; disumano e super-umano. Il nemico è stigmatizzato e criminalizzato, espulso; l’amico, che veicola l’immagine dell’autorità, è celebrato e oggetto di franchigie e benefici.
La dicotomia amico/nemico rende evidente come la lotta contro il disegno di legge sicurezza si leghi al contrasto alla logica della guerra, alla spirale suicida del si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra; alla guerra si accompagna l’autoritarismo, come diceva Calamandrei, e viceversa.
Il no al ddl sicurezza si accompagna, dunque, al no alla guerra, al no al riarmo.
Gastone Cottino, partigiano, mancato il 4 gennaio 2024, alla cui volontà ed energia è debitore il coordinamento antifascista, ricordava l’alleanza fra i signori della guerra, i signori dell’economia e i signori della politica: contro questa collusione perversa, che possiamo definire un “neoliberismo autoritario”, rivendichiamo i diritti e la pace.
Rivendichiamo diritti e pace per tutti e tutte. Concretizzo. Questo a Torino, oggi, ad una settimana dalla sua possibile riapertura, significa anche opporsi al CPR di corso Brunelleschi, dove è stato lasciato morire Moussa Balde e dove la dignità e i diritti di tanti sono stati violati.
Chiudo.
Lo stato diseguale e autoritario del disegno di legge sicurezza uccide l’anima della Costituzione, che ha nel suo cuore la persona, la sua dignità e la sua emancipazione; chiude per tutte e tutti noi spazi di democrazia. Fermiamolo.
Apriamo squarci nella tela oscura che si stende sulla democrazia; alla paura opponiamo la speranza, la speranza come ottimismo militante (Bloch), come forza sociale; diritti, libertà e conflitto rendono concreto e possibile mantenere aperto l’orizzonte aperto della trasformazione.
Con un «non arrendetevi mai» si chiude un piccolo e prezioso libro di Gastone Cottino dal titolo indicativo “All’armi son fascisti”: la festa di oggi, per dire sì alle libertà e ai diritti e no alla paura, vuole essere un modo per non arrendersi.
Torino, 15 marzo 2025. In piazza senza paura.Sì alla libertà e ai diritti
di Alessandra Algostino - L’iniziativa di oggi è promossa dal coordinamento antifascista di Torino, che riunisce associazioni nazionali e locali, sindacatRifondazione Comunista
Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista ha proceduto a completare la formazione degli organi dirigenti nazionali con l’elezione della nuova Direzione e della Segreteria. L’assetto definitivo degli organismi andrà perfezionato con la convocazione dei congressi regionali che devono statutariamente tenersi entro tre mesi dalla fine del Congresso nazionale.
La prospettiva politica per la quale tutto il partito è chiamato ad operare, pur nel rispetto della dialettica e della pluralità interna, è quella indicata dal documento che ha prevalso, seppur di poco, nel voto degli iscritti e delle iscritte. La riconquista della piena autonomia strategica, ideale e organizzativa del PRC è l’acquisizione centrale ed irrinunciabile che ci ha consegnato il Congresso. La nostra autonomia costituisce il fondamento necessario sul quale si deve basare la nostra ispirazione unitaria che si concretizza, nell’attuale fase politica e sociale caratterizzata da molteplici elementi di differenziazione e di disorientamento anche nelle classi popolari, nella costruzione di diversi e variamente articolati fronti di lotta e di mobilitazione di massa. La massima unità nella massima chiarezza degli obbiettivi, per la massima efficacia politica: questa deve essere la nostra bussola.
La linea politica consegnataci dal Congresso nazionale ha trovato una prima ed efficace realizzazione nella nostra iniziativa sul tema della pace e dell’opposizione alla inaccettabile politica bellicista e di riarmo condotta dalla Commissione europea sotto la guida di Ursula von der Leyen. Contestando l’iniziativa di “Repubblica” che in nome di un generico europeismo era finalizzata a sostenere le politiche di ReArmEurope nonché tutto l’assetto neoliberista e antidemocratico sul quale si basa l’Unione Europea reale, abbiamo proposto la convocazione di un’altra piazza, per un’altra Europa che si ponga come obbiettivo la pace e la costruzione di un assetto globale fondato sull’autodeterminazione e la liberazione dei popoli e sulla cooperazione tra gli Stati.
La nostra iniziativa, convergente con l’appello lanciato da Transform! Italia che ha ricevuto migliaia di adesioni in pochissimi giorni ha consentito di realizzare l’appuntamento di Piazza Barberini e portato nel dibattito pubblico, nonostante la censura di gran parte dei media, una posizione chiaramente alternativa che ha aperto contraddizioni nell’operazione tentata da “Repubblica”. Questo si è riflesso anche nella decisione di importanti forze organizzate come la CGIL e l’ANPI (mentre l’ARCI ha scelto di non aderire) a partecipare ma affermando contemporaneamente il proprio rifiuto del progetto di riarmo, consistente in almeno 800 miliardi, proposto dalla Commissione europea.
La nostra impostazione, nel costruire la più ampia convergenza possibile attorno alla piazza pacifista del 15 marzo, è stata di rendere chiara l’impossibilità di tenere insieme chi è contro il piano di riarmo e favorevole alla ricerca di una soluzione diplomatica che metta fine quanto prima al conflitto in Ucraina, con chi invece aderisce alla retorica militarista e all’oltranzismo bellicista.
A partire da questo elemento di chiarezza occorre lavorare per allargare il fronte delle forze che si oppongono al piano di riarmo. Uno schieramento potenziale che deve unire anche parte di coloro che hanno scelto, contraddittoriamente, di partecipare alla piazza di “Repubblica” come coloro che hanno deciso di non scegliere nessuna delle due piazze, in particolare il Movimento 5 Stelle, al quale va riconosciuto di avere assunto una posizione netta nel Parlamento europeo.
Si tratta ora di costruire una mobilitazione che in ogni città coinvolga tutti coloro che si oppongono al piano di riarmo. Non bisogna sottovalutare la gravità delle decisioni politiche assunte a livello europeo, ma nemmeno l’insieme di contraddizioni e di ostacoli con i quali si dovranno confrontare le classi dominanti europee, attraversate al loro interno da interessi economici e politici contrastanti e da una complessiva crisi di legittimità. Queste classi dominanti si affidano al riarmo e al bellicismo per fronteggiare tutte le conseguenze negative prodotte dalle scelte che hanno portato avanti nei decenni scorsi: una globalizzazione subalterna alla grande finanza e alle multinazionali, il progressivo smantellamento dello Stato sociale, le politiche di austerità imposte nella crisi del debito, una visione del contesto globale come terreno di riproposizione della supremazia dell’Occidente.
Per bloccare la deriva bellicista e militarista è indispensabile anche promuovere un’iniziativa a livello europeo resa finora difficile dalle divergenze che si sono espresse tra gli stessi partiti che aderiscono all’eurogruppo “The Left”. Sul tappeto va posta l’accelerazione della crisi della NATO che deve essere sostituita non da “coalizioni di volenterosi” ma da un sistema condiviso di sicurezza europea analogo a quello a suo tempo costruito ad Helsinki.
Per quanto riguarda l’Ucraina, senza farsi illusioni sulle motivazioni di Trump e di Putin, non si può che guardare con favore ad un possibile cessate-il-fuoco ed alla realizzazione di una soluzione politica e diplomatica che, se perseguita già tre anni fa, avrebbe risparmiato morti e distruzioni da entrambe le parti.
Il quadro internazionale come quello politico italiano sono in una fase di movimento, con improvvise e a volte imprevedibili accelerazioni, che richiedono la massima capacità di iniziativa e di intervento del nostro partito, senza spocchia settaria come anche senza subalternità nei confronti di alcuno.
Il riarmo e il pericolo di una estensione della guerra in Europa sono un tema centrale dal quale non si può prescindere ma esso non può essere separato dall’insieme degli altri punti di crisi che si vanno accumulando e intrecciando nell’assetto del capitalismo finanziarizzato e neoliberista che si è imposto dalla fine degli ’80.
L’ascesa globale dell’estrema destra, che ha portato all’affermazione in Italia di una forza politica in diretta continuità con il neofascismo, la crescita deil’AfD in Germania, la vittoria di Trump negli Stati Uniti, non può essere sottovalutata né derubricata ad un semplice cambio di gestione interno alle classi dominanti. Per questo riteniamo che il prossimo appuntamento del 25 aprile deve caratterizzarsi per un’ampia mobilitazione del nostro partito anche in coordinamento con la campagna del Partito della Sinistra Europea: “Fascism=War. Peace is our victory” (Fascismo=Guerra. La pace è la nostra vittoria). Dobbiamo portare in questo appuntamento, con spirito unitario, la connessione tra antifascismo, lotta al razzismo e al patriarcato, rifiuto della guerra e del militarismo, difesa delle libertà democratiche da ogni torsione autoritaria, come quelle messe in campo dal governo Meloni (DL 1660, premierato, utilizzo del sistema scolastico quale strumento di indottrinamento ideologico di cui sono pericoloso esempio le Indicazioni nazionali per l’insegnamento nella primaria e le Linee guida per l’insegnamento di educazione civica, ecc.).
La fissazione della data all’8-9 giugno dei referendum voluti dalla CGIL insieme a quello promosso da noi sul riconoscimento della cittadinanza ai nuovi italiani, volutamente scelta per rendere più difficile il raggiungimento del quorum, costituisce un’altra priorità per l’azione del nostro partito nei prossimi mesi. La confluenza dei diversi referendum dovrà servirci per mettere al centro la questione sociale e la difesa dei diritti delle classi lavoratrici insieme alla unificazione delle lotte tra persone native e migranti contro la volontà convergente delle destre e del padronato di frammentare e dividere le classi popolari. La nostra presenza attiva nei coordinamenti provinciali per i referendum deve costituire un’occasione importante anche per riaffermare e consolidare l’ampiezza delle relazioni politiche e sociali che ci caratterizza e che è stata riscontrata in modo visibile nel nostro Congresso nazionale.
La situazione politica italiana nella quale interverrà l’esito dei referendum è tutt’altro che stabilizzata. La destra al governo mantiene il suo consenso ma non ha affrontato e risolto nessuno dei problemi strutturali del capitalismo italiano (stagnazione, deindustrializzazione, marginalizzazione nelle catene del valore) e in compenso ha aggravato le condizioni preesistenti di povertà e precarietà. Pur con contraddizioni interne, il polo di destra mantiene una sua solidità, mentre appare frammentato il fronte delle opposizioni. Nel PD si è esplicitata l’offensiva della destra interna verso la leadership di Elly Schlein per le sue, pur timide, correzioni di rotta rispetto alle precedenti direzioni di Renzi, Letta, ecc. Il Movimento 5 Stelle cerca di affermare un profilo autonomo che, soprattutto sulla questione del contrasto alla guerra e al riarmo, può favorire la costruzione di una reale opposizione al governo su temi qualificanti. È auspicabile che in questa direzione la manifestazione promossa per il 5 aprile possa essere aperta alla convergenza ad altre forze che ne condividano alcuni punti programmatici di rilievo.
In questa situazione nella quale il “campo largo” in realtà non esiste, l’opposizione alla destra è complessivamente debole e slegata dalle esigenze reali delle classi popolari, la posizione di autonomia e di ispirazione unitaria senza subalternità del nostro partito ci consente di intervenire indicando una nostra idea di alternativa politica e sociale alle destre. Una proposta che possa vedere la confluenza, prima che di forze politiche (che pure è indispensabile), delle mobilitazioni sociali che sono presenti nel Paese, seppure ancora in forma frammentaria e non sufficientemente radicata; dal no all’autonomia differenziata e al DL 1660, ai momenti di conflittualità sociale diffusi e di difesa delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, ai movimenti territoriali per l’ambiente e la giustizia sociale, alla solidarietà ai popoli palestinese e curdo, ai movimenti femminista, transfemminista e LGBTQIA+ che hanno promosso lo sciopero e le tante piazze dell’8 marzo. In ognuno di questi ambiti, il PRC intende essere non un elemento residuale o dedito alla mera predicazione quanto una forza indispensabile alla costruzione di un più forte intreccio tra proposta politica e mobilitazione sociale. Siamo e vogliamo essere sempre più il “partito necessario” per unire insieme “alto” e “basso” e per ricostruire la speranza nella possibilità concreta della trasformazione sociale che la crisi del capitalismo rende sempre più impellente.
Per questo occorre rimettere al centro l’estensione delle nostre forze organizzate e dei nostri legami di massa, soprattutto aprendoci a tutte quelle realtà che faticano a vedere nella vita concreta del nostro partito una risposta al loro bisogno di essere socialmente attive e politicamente influenti. La ripresa della Linke tedesca, senza che si possa pensare ad una superficiale trasposizione di esperienze in contesti diversi, ci dice come sia certamente importante essere presenti in modo innovativo e comprensibile sui media sociali ma altrettanto indispensabile sia il rapporto diretto, “fisico”, sui territori, nei quartieri, nelle zone spesso quasi totalmente abbandonate dalla desertificazione della politica. Occorre invertire radicalmente la tendenza alla riduzione o alla stagnazione del numero degli iscritti e delle iscritte (unitamente alla sperimentazione di nuove forme di autofinanziamento), a partire dalla nostra presenza che pure resta, oltre che umanamente ricca, anche più estesa e radicata di altre forze che, magari rappresentate nelle istituzioni, al di fuori di quelle restano largamente virtuali.
Il Comitato Politico Nazionale dovrà trovare forme di gestione del proprio lavoro al fine di orientarsi sempre di più all’analisi concreta della situazione concreta, alla indicazione e verifica degli obbiettivi, alla individuazione di tutti gli strumenti per il rafforzamento ideale e organizzativo del partito, evitando che ogni riunione diventi oggetto di dibattito generico o, peggio ancora, la stantia ed immodificabile riproposizione di un permanente dibattito congressuale.
Il CPN impegna tutto il partito per i prossimi mesi su questi obiettivi prioritari di impegno:
campagna contro la guerra e contro il “ReArm Europe”
Nell’anno dell’80° della fine della Seconda guerra mondiale e della Liberazione del nostro paese, risuona in noi il monito del Presidente Partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai”.
Come Partito della Rifondazione Comunista, rivolgiamo un appello, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai tanti e tante, che non si sentono di essere “intruppati” nella retorica del “ReArm Europe”, affinché si costruiscano insieme in tutto il paese, centinaia di piazze “Contro il Riarmo e per la Pace” e si lavori per una grande manifestazione nazionale e per una mobilitazione europea da promuovere in relazione con i movimenti e il Partito della Sinistra Europea.
Vanno proseguite la mobilitazione contro la guerra in Ucraina, il genocidio in Palestina, per la liberazione di Ocalan e contro il blocco a Cuba.
Campagna referendaria lavoro e cittadinanza
I referendum sul lavoro promossi dalla CGIL e quello sulla Cittadinanza, sui cui forte è il nostro sostegno per il SI all’abrogazione, che si svolgeranno l’8 e 9 giugno in concomitanza con il secondo turno delle elezioni amministrative, rappresentano la sfida politica per ridare nuovo protagonismo politico ai lavoratori e lavoratrici e mettono in discussione la stagione neoliberista che depreda e impoverisce i molti e arricchisce i pochi.
Tutte le nostre strutture territoriali sono impegnate a partecipare con forza ai Comitati Unitari a sostegno della campagna referendaria e nelle iniziative che autonomamente assumeremo, affiancandovi la riproposizione della nostra proposta di legge sul salario minimo e la necessità di introdurre una legge contro gli omicidi sul lavoro e l’abrogazione della Bossi-Fini.
Presentato dal Segretario Maurizio Acerbo e approvato a maggioranza dal Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista in data 16 marzo 2025
Contro la guerra e il riarmo, per la giustizia sociale e la difesa delle classi lavoratrici, per l’alternativa politica e sociale alla destra, Rifondazione Comunista è sempre più il “partito necessario”.
Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista ha proceduto a completare la formazione degli organi dirigenti nazionali con lRifondazione Comunista
Acerbo (Prc): Domani a Piazza Barberini contro il riarmo e la guerra
Domani appuntamento a Roma in Piazza Barberini per dire di no al riarmo e alla guerra. Sarà una piazza di pace senza ambiguità in alternativa all'adunata convRifondazione Comunista
Lucca, Acerbo(Prc): FdI difende consigliere sotto processo
Fratelli d'Italia esprime solidarietà al consigliere comunale Massimo Della Nina che abbiamo denunciato per istigazione all'odio razziale e apologia di reato.Rifondazione Comunista
Ursula&C. lascino in pace De Gasperi: la sua Difesa europea era un’altra cosa
di Luciano Canfora - caro Direttore, aleggia nella nostra stampa il dilemma ducesco “Burro o cannoni?”. E, ora come allora, il coro do mestico risponde:Rifondazione Comunista
Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale
di Emiliano Brancaccio - «C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. ApplicatoRifondazione Comunista
Laura Tussi*
Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spontanei e subitanei.
Una logica e teoria floreale: una “scelta di fiori” come nell’etimologia dal greco. Perché Pierpaolo Loi è un vero “cultore” che sceglie i suoi fiori più belli, le sue poetiche e rime e composizioni più rare e le coltiva traducendole in azioni e scelte di vita, di volti, di inquietudini e di sogni che travalicano ogni confine.
Dalla prefazione del comune amico Carlo Bellisai, scrittore e poeta e attivista del movimento nonviolento, si evince la descrizione di una struttura poetica che, oltre ogni confine, delinea appunto la specifica specificità dell’essere e le azioni più significative dell’esistenza in un’infinità di rimandi attenti e subitanei da cui trapela l’infinito esistenziale. Dalle “mani unite” l’autore rivela “il dio in cui non crede” per la sua lunga militanza nelle comunità ecclesiali di base. Il suo inesausto impegno per un pluralismo di fedi rinnovate dal Concilio Vaticano secondo, dove ogni volto è una poetica dell’incontro di una intera vita spesa nella solidarietà verso “il volto dell’altro”, nel guardarsi negli occhi, vicendevolmente, come sublime gesto di amore e d’amicizia, in cui può bastare un sorriso, dove oggi il cielo è per un’amica nell’utopia e nella speranza di notti insonni di dolore e dolori nella sconfinata presenza del nulla quale via d’uscita verso l’incanto e l’infinito. In una terra di nessuno.
Quando profeti non mancano, sia nella poetica e morte di Oscar Romero sia nell’impegno sociale commemorativo di un’atroce notizia, rimemorando la stazione di Bologna: ancora bambini uccisi. Una strage senza tempo. Un buio irrisolto.
In un cammino di pace e nonviolenza, disarmo e diritti umani, l’autore si pone verso l’altro da sé con un “mi aspetterai” nei sogni, negli eventi, nelle rime del quotidiano e del sublime. Senza sosta cercare, giunti sul crinale di un baratro esistenziale e resistenziale di un sogno, di tempo rinnovato, dove il mondo alla rovescia palpita di nessi e attese e solitudini. Ho sognato quindi resto umano e “così sia” in intrecci di sguardi di un canto notturno nel profondo della notte e nel repentino risveglio. E ancora l’impegno si fa pressante nella giornata della memoria oggi, in un ricordo volto ai bambini e alle bambine di Gaza. Uomini a terra. Non respiro…
Cercando senso in una rinascita nel fardello dell’ingiustizia, fino ad arrivare a Hiroshima e a quello che rappresenta e testimonia attualmente in una congiuntura amara in cui viviamo sul crinale del baratro nucleare, oltre il luogo dell’altro, perché ora è tempo di osare la pace.
Queste parole raccolgono un’antologia dei fiori scelti delle poetiche di Pierpaolo Loi, dove si respirano ansia e aria di solitudini e attivismo al contempo, in un estremo e antico connubio e anelito e incontro con l’altro da sé. Perché vogliamo la pace. In un abbraccio che accoglie.
E l’autore trasforma la ricerca della pace nel senso ultimo della sua fervida e inesausta scrittura e poetica libera e pensante.
Altra versione su Italia che cambia e Sardegna che cambia
*Libro di poesie di Pierpaolo Loi, Prefazione di Carlo Bellisai.
Edizioni Multimage.
Oltre ogni confine. Di volti di luoghi di inquietudini e di sogni.
Laura Tussi* Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spRifondazione Comunista
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Acerbo (Prc): oggi a Lucca per Youns vittima del razzismo
Oggi a Lucca si è tenuta l'udienza del processo che vede imputato il consigliere comunale Massimo Della Nina che definì "rifiuto umano" Youns El Boussettaoui,Rifondazione Comunista
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La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza -
Comunicato di Lavoro Società – Sinistra sindacale confederale -
Michele Serra, dalle pagine di Repubblica, ha chiamato ad una piazza per un’Europa libera e unita. Una piazza invocata all’indomani dell’umiliazione pubblica di Zelensky da parte di Trump, una piazza che nulla dice della necessità di Pace, una piazza che nulla dice sul piano Rearm che costerà 800 miliardi a danno della spesa sociale su scala europea.
Non esiste un’astratta idea di Europa che valga più della Pace, della pacifica convivenza tra i popoli e di un’Europa dei diritti sociali e civili.
L’appello all’unità dell’Europa che caratterizza la manifestazione del 15 marzo è distante dall’idea di Europa che la Cgil, non da sola, ha cercato di far vivere in questi anni.
L’idea di Europa che assieme abbiamo promosso ha attraversato le piazze italiane ed europee nelle manifestazioni per la pace e contro ogni guerra, nelle vertenze sindacali che invocavano politiche industriali e nel contrasto alle politiche liberiste.
La manifestazione del 15 marzo non promuove un’Europa diversa da quella bellicista, rappresentata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e di Macron, e che nelle scelte della Commissione UE e del Consiglio europeo prepara l’economia alla guerra.
Noi non cammineremo al fianco di chi vuole la guerra.
Condividiamo la necessità di una forte e ampia mobilitazione per la Pace in raccordo con tutte le reti che da sempre sono impegnate su questo fronte.
Coordinamento nazionale Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Parole giuste per una piazza sbagliata
La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza - Comunicato di Lavoro Società - Sinistra sindacale confederale - Michele Serra, dalle pagine di RepubblicRifondazione Comunista
Martedì 11 marzo alle ore 9.00 sarò ascoltato al Tribunale di Lucca come teste nel procedimento a carico del consigliere comunale del comune di Porcari Massimo Della Nina. Nel luglio 2021 ho presentato, in qualità di segretario nazionale di Rifondazione comunista, una denuncia all’autorità giudiziaria per istigazione all’odio razziale e apologia di reato nei confronti di Massimo Della Nina che aveva scritto un post su facebook commentando l’uccisione a Voghera di Youns El Boussettaoui in cui definiva la vittima un ‘nessuno’ e ‘un rifiuto umano’. Ricordo che era stato l’assessore leghista Massimo Adriatici a sparare al cittadino marocchino di 39 anni affetto da problemi psichici.
Ho sentito il dovere di presentare questa denuncia dopo aver letto le dichiarazioni di Della Nina sulla stampa. Non si può transigere di fronte a parole così contrarie ai principi fondamentali della nostra Costituzione. Secondo il consigliere ammazzare una persona che soffre di problemi psichici sarebbe più che giustificato e quindi non vale la pena di rammaricarsi o di biasimare l’autore del delitto. È pensando a questo tipo di elettori che Salvini non condannò in quei giorni l’assassinio perpetrato dall’esponente del suo partito, anzi arrivò a difendere un assessore che girava per la città con la pistola col colpo in canna sostituendosi alle forze dell’ordine. Le affermazioni del consigliere comunale Della Nina riportate dalla stampa erano così gravi che ho sentito il dovere di segnalarle all’autorità giudiziaria. La democrazia e la convivenza civile vanno difese con determinazione.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Di seguito riporto il post pubblicato dal Della Nina su facebook:
“Chi era il marocchino ucciso l’altro giorno a Voghera? Nessuno”. Anzi, “un autentico rifiuto umano”.
“Mi dispiace per la comunità marocchina che piange un morto, ma li invito a riflettere su chi era veramente costui. Non ne faccio una questione razziale, sarei stato altrettanto duro si fosse trattato di un italiano. Si da il caso però che fosse marocchino. Si può dire o qualcuno si offende? Era un marocchino. Punto. Ora spostate pure l’attenzione sull’assessore armato che avrà, lui sì, la vita rovinata da questo autentico rifiuto umano”.
“Oggi, il mondo è un posto un po’ più pulito. E se proprio lo volete fare, indignatevi per un carabiniere ucciso in servizio o per un padre di famiglia ammazzato dalla mafia. Non per questa feccia. Lo ripeto, l’altro giorno a Voghera, non è morto nessuno”
Forse per distrarre l’opinione pubblica dal faraonico fallimento – almeno ad oggi – della delocalizzazione dei centri di detenzione per migranti, in Albania, il ministro dell’Interno rilancia annunciando a breve, l’apertura di 5 nuovi Centri Permanenti per il Rimpatrio in territorio italiano. Le immagina come strutture atte a contenere e a rimpatriare fra le 50 e le 200 persone, con tempi massimi di 18 mesi, da situare in strutture militari dismesse, possibilmente in prossimità degli aeroporti e comunque in zone caratterizzate da scarsa densità abitativa. Il mondo dell’attivismo antirazzista è da tempo mobilitato per impedire questo nuovo scempio politico, giuridico e umano e si sta cercando anche di individuare le aree interessate. Potrebbero sorgerne a Castelovolturno, in Campania, a Ventimiglia in Liguria, a Ferrara in Emilia, a Falconara Marittima nelle Marche, poi in luoghi ancora non specificati della Calabria. Saranno strutture protette dal vincolo di essere luoghi di “sicurezza nazionale” e su alcune competenze dipenderanno dal ministero della Difesa, equiparabili a strumenti di guerra. Mobilitarsi perché i nuovi CPR non aprano, perché non torni in funzione – come promesso – quello di Torino e perché chiudano quelli ancora in funzione sarà per Rifondazione Comunista elemento non negoziabile. Riprendiamo le mobilitazioni per impedire questa oscenità e anche perché le decine di milioni sottratti per costruire galere vengano destinate a spese sociali per chi, migrante o autoctono che sia, ne ha bisogno.
Maurizio Acerbo, Segretario Nazionale Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
La storia calpestata, dalle Foibe in poi
Intervista a Eric Gobetti, storico e saggista a cura di Alba Vastano - ‘…. Senza il contesto storico e geografico le foibe risultano incomprensibili. SenRifondazione Comunista
di Franco Berardi -
L’Imbianchina dice: “Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace”
Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
(Bertolt Brecht)
Lin Jian, portavoce del Ministro degli esteri ha dichiarato che se gli Stati Uniti intendono proseguire nel condurre una guerra tariffaria, una guerra commerciale, o qualsiasi altro tipo di guerra, la Cina combatterà fino alla fine, fino all’amara conclusione.
“I cinesi non possono essere influenzati da falsità, né scoraggiati da intimidazioni, né hanno mai tollerato egemonia e bullismo.” ha aggiunto Lin Jian.
Se aspettavamo il fischio d’inizio ora l’abbiamo sentito forte e chiaro. Lin Jiang almeno ha detto saggiamente che, comunque vada, la conclusione è amara. E impassibile come sanno essere i musi gialli ha aggiunto: “Pressione coercizione e minacce non sono il modo giusto di trattare con la Cina. Tentare la massima pressione sulla Cina è un errore di calcolo.”
Errore di calcolo è la sintesi migliore.
L’occidente ha fatto un errore di calcolo dopo l’altro, se pensiamo alla guerra di Ucraina e alla sua catastrofe finale. Ma gli europei non sono contenti, non hanno capito la lezione e dopo avere costretto l’Ucraina a sacrificarsi per il nostro eroismo ora non sanno bene come venirne fuori, e lanciano un investimento di non si sa quanti fantastilioni per il riarmo.
Riarmiamoci! Ingiunge la signora Ursula, l’imbianchina, e subito i democratici italiani si preparano a marciare per la guerra e convocano le masse a manifestare a difesa della democrazia. Sempre più armi sempre più morti sempre più guerra grida un giornalista di fama sul giornale genocidario La Repubblica.
“…vai un po’ a spiegarlo ai greci che il patto di stabilita’ può essere derogato per le armi, ma non poteva essere derogato per le loro vite…” mi scrive l’amico Giovanni.
Ma Michele Serra è uomo d’onore. Ha promesso a Zelenskyy di sostenerlo fino alla morte e adesso si prepara a morire senza batter ciglio.
Io sto qui sugli spalti a vedere Michele che guida le truppe dei liberatori.
Nel nome, ovviamente, della democrazia che tutti ci invidiano. La democrazia che ha restaurato lo schiavismo e mette a tacere chi non è felice di partecipare a un nuovo genocidio.
Come sonnambuli, dicono gli storici, gli europei entrarono nella prima guerra.
Un secolo e dieci anni dopo non si sono ancora svegliati.
Credono ancora di essere i primi della classe e invece non se li fuma più nessuno. Credono ancora che tutti quei selvaggi stanno aspettando che noi gli portiamo il progresso. Federico Rampini (collega di Serra) invita tutto il mondo a ripetere con lui: Grazie Occidente”, e durante un safari in un paese africano osserva compiaciuto un negretto che usa il cellulare, e sorride. Ringraziaci, dice, negretto. Se non c’eravamo noi occidentali eri ancora lì con il tamburo, altro che cellulare.
E intanto Bernard Henry Levy con la camicia al vento guida un plotone di cavalieri con la spada sguainata e urla forsennato: vive la France! vive le genocide!
Non fateci caso, i poveretti soffrono di quei disturbi che la vecchiaia porta a chi non ha la fortuna di spegnersi prima di ridursi così.
Tutti gli europei, chi più chi meno, sono affetti da Alzheimer. Altrimenti ricorderebbero, nevvero? ricorderebbero com’è andata a finire l’altra volta, e la volta precedente – e tutte le altre volte in cui si ficcarono in testa di essere eroi, patrioti.
Patrioti sì. Come diceva Bertrand Russell patrioti sono coloro che per futili motivi sono pronti a uccidere o a farsi ammazzare.
Per futili motivi abbiamo mandato gli ucraini a farsi ammazzare da quel biondino di Pietroburgo che adesso, sornione, si frega le mani contento, e strizza l’occhio al biondo di Mar-aLago.
E adesso, chissà, siamo pronti a gettarci anche noi maschilmente nella pugna. Compreremo più armi, dai traditori americani naturalmente, e loro saranno contenti di vendercele.
E si sfregheranno le mani contenti e conteranno i dollari, mentre il biondino – c’è da scommetterci – non resterà oziosamente a guardare che Ursula, Michele e Federico si siano armati a sufficienza.
“L’imbianchino vi dirà: le macchine
provvederanno per noi. pochissimi
dovranno morire. Ma voi
morirete a centinaia di migliaia, tanti
quanti morire non se n’è mai veduti.”
(Bertolt Brecht)
Io cito Bertolt Brecht, ma temo che non sia giusto farlo, perché lui, nel 1939, poteva scrivere queste parole:
“Anche l’odio contro la bassezza
Stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
Fa rauca la voce. Oh, noi
Che abbiamo voluto preparare il terreno alla gentilezza,
Noi non potevamo essere gentili.
Ma voi, quando verrà l’ora
In cui l’uomo all’altro uomo sarà un aiuto
Pensate a noi
Con indulgenza. “
Noi non possiamo.
Non ci sarà nessuno che possa pensare a noi con indulgenza.
L’amara conclusione
di Franco Berardi - L'Imbianchina dice: "Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace" Al momento di marciare molti non sanno cheRifondazione Comunista
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitare, è stato assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Brescia dalla ignobile, infondata accusa di spaccio di droghe leggere in occasione di un presidio alle case popolari della Malpensata tenutosi a giugno di tre anni fa.
Una squallida provocazione. La visione delle immagini riprese dalle telecamere poste nel quartiere – come da richiesta dell’avvocato difensore di Fabio avv. Rocco Gargano – ha reso possibile l’accertamento dei fatti, senza ombra di dubbio, e l’individuazione di ben altre responsabilità. A questo proposito la Corte d’Appello di Brescia ha raccomandato il Tribunale di Bergamo di perseguire la persona che con la sua falsa testimonianza ha indebitamente coinvolto Fabio ai fini di operare un depistaggio rispetto alla reale dinamica dei fatti. Il fattaccio aveva dato subito corso a manifestazioni di solidarietà a Fabio davanti alla Prefettura a cui avevano partecipato molte/i attiviste/i sociali o anche semplici cittadini che di Fabio conoscono la pulizia morale e l’impegno sociale e politico dalla parte delle fasce sociali più deboli. Questo impegno andrà avanti più che mai insieme a quello di tante altre compagne e compagni che con Fabio condividono la necessità di battersi per una società più giusta e rispettosa della dignità delle persone.
Francesco Macario, Segretario provinciale Prc-Se di Bergamo
Ezio Locatelli, Comitato Politico Nazionale Prc-se, già deputato
Fabrizio Baggi, Segretario regionale Prc Lombardia
Bergamo, 4 marzo 2025
RIFONDAZIONE: SVELATE LE RESPONSABILITA’ DELLA PROVOCAZIONE NEI CONFRONTI DI FABIO COCHIS. GIUSTIZIA E’ STATA FATTA
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitaRifondazione Comunista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all’adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un’Unione Europea che ha scelto la strada della guerra e del riarmo. Bisogna scendere in piazza semmai per dire no al mostruoso piano di riarmo da 800 miliardi annunciato da Ursula von der Leyen e ancor di più a qualsiasi invio di truppe in Ucraina.
L’Europa fa finta di ribellarsi a Trump ubbidendo alla sua richiesta di aumentare le spese militari? Mentre il patto di stabilità impone tagli alla spesa pubblica, il piano di riarmo è la pietra tombale sul modello sociale europeo. I nostri soldi vanno spesi per la sanità, l’assistenza sociale, il lavoro, la cultura, la ricerca, l’ambiente non per diventare un polo imperialista in guerra con altre potenze. La Commissione Europea ha portato avanti una linea guerrafondaia che non permette di identificarsi con una bandiera che non è simbolo di pace e nemmeno di diritti umani vista la complicità col genocidio a Gaza. Non vogliamo un’Europa militarista ma potenza di pace. A Ursula von der Leyen rispondiamo con le parole di Berlinguer: se vuoi la pace prepara la pace
Per questo diserteremo la piazza di Michele Serra a cui diciamo che “qui o si fa la pace o si muore”. Ma la diserzione silenziosa non basta. Non lasciamo che il 15 marzo sia solo dell’europeismo con l’elmetto. Proponiamo a chi è contro la guerra e il riarmo di ritrovarsi in una piazza pacifista.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc
Acerbo (Prc): no al riarmo europeo. Ci vuole una piazza pacifista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all'adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un'Unione Europea che ha scelto la strada dellRifondazione Comunista
È un fatto politico positivo che la direzione del PD abbia deciso di sostenere i referendum della Cgil contro il jobs act. Mi complimento con Elly Schlein che ha imposto su questo tema, come sull’autonomia differenziata e l’immigrazione, una svolta a un PD che porta la responsabilità con la destra di decenni di politiche antipopolari e antioperaie.
Il PD dal 2008 si è purtroppo caratterizzato come un partito neoliberista schierato contro la classe lavoratrice. Le politiche a favore della precarizzazione del lavoro, dell’innalzamento dell’età pensionabile, i tagli alla sanità e al welfare hanno prodotto un’enorme delusione nelle classi popolari alimentando l’astensionismo e aprendo la strada alla vittoria dell’estrema destra. Gli imitatori dello pseudoriformismo alla Tony Blair e i ventriloqui dei diktat della commissione europea hanno reso il nostro paese più povero e più ingiusto.
Quelli che contestano il sostegno al referendum sono gli stessi estremisti di centro che hanno consegnato l’Italia a Meloni e Salvini. La loro opposizione anche alla timida correzione di rotta sulla guerra in Ucraina proposta dalla segretaria del PD rende evidente che la classe dirigente del PD continua a seguire la strada bellicista che ha portato meritatamente al disastro Scholtz e la coalizione semaforo in Germania.
Sui referendum della Cgil noi lavoriamo con il massimo impegno unitario. Chi boicotta o rema contro il referendum è il miglior alleato della destra.
Dobbiamo costruire in ogni città, in ogni paese, ovunque possibile comitati popolari unitari a sostegno dei quesiti referendari per il lavoro e la cittadinanza.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole.
Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questa lotta.
Apprendiamo con rabbia che nella giornata di ieri il gruppo neo-fascista Blocco Studentesco ha esposto nei licei d’Italia (segnalazioni arrivano da Milano, Udine, Cagliari, Ascoli e soprattutto da Avellino dove sono stati esposti in ben 4 scuole) dei cartelloni con scritto “Antifascismo=mafia”.
Non dovrebbe essere necessario menzionare tutti gli esempi di comunisti, antifascisti e democratici che hanno lottato contro la mafia e i fenomeni mafiosi. Alcuni dando anche la loro vita. Pio La Torre, Peppino Impastato, Santi Milisenna, Placido Rizzotto.
L’accostamento tra l’idea che portò migliaia di giovani e non solo a combattere per la loro libertà ed un fenomeno che affligge oramai tutto il nostro paese è ovviamente inaccettabile.
Degno solo di chi, sconfitto dalla storia, trova nuova linfa nell’attuale situazione politica italiana, dove gli eredi dell’MSI continuano nella loro opera di revisionismo della Resistenza e della nostra storia repubblicana.
Come Giovani Comunisti/e e Partito della Rifondazione Comunista oltre a condannare il gesto, chiediamo quindi che non solo i responsabili vengano individuati e sottoposti alle dovute sanzioni disciplinari del caso, ma anche che, negli istituti in cui si sono verificati questi episodi, si svolgano degli incontri sul tema della Resistenza, dell’antifascismo e della dura lotta contro la mafia portata avanti da tanti e tante.
Allora come oggi: no pasaran!
Paolo Bertolozzi, coordinatore nazionale Giovani Comunisti/e
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea
Marco Canciani, responsabile Antifascismo Giovani Comunisti/e
Antifascismo = mafia? da Blocco Studentesco gesto inqualificabile nelle scuole
Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole. Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questRifondazione Comunista
Assistiamo costernati all’andazzo imposto dal Ministro dell’Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosse nei principali centri delle aree metropolitane italiane per evitare disordini nell’ambito delle feste in piazza per il Capodanno a colpi di DASPO urbani. Si tratta, come scrivono i migliori avvocati e i migliori magistrati in due autonome e condivisibili prese di posizione, dell’irrogazione di punizione senza atti illeciti, di allontanamenti decisi dalla polizia giudiziaria a totale arbitrio. Polizia giudiziaria che dovrà ‘a vista’ decidere quale persona o quale pubblico esercizio possa rappresentare un pericolo per la “Sicurezza percepita da residenti e turisti”.
La Costituzione non poteva essere disattesa in modo più plateale: non è solo la libertà di muoversi senza restrizione e di esprimere la propria personalità in un giorno di festa, il problema è che sono misure classiste!
Come scrive MD nel suo comunicato vanno denunciate “le diseguaglianze del tessuto urbano, sempre più spaccato in zone di serie A, riservate a cittadini e turisti benestanti, e zone di serie B, lontane dalle luci del centro e verso le quali “i disturbatori” saranno verosimilmente allontanati”" Speriamo che il Capo dello Stato, cui auguriamo buon 2025, se ne accorga!
Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Gianluca Schiavon, Responsabile giustizia, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
PRC: Con Piantedosi è zona nera, Capodanno incostituzionale
Assistiamo costernati all'andazzo imposto dal Ministro dell'Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosRifondazione Comunista
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