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Assistiamo costernati all’andazzo imposto dal Ministro dell’Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosse nei principali centri delle aree metropolitane italiane per evitare disordini nell’ambito delle feste in piazza per il Capodanno a colpi di DASPO urbani. Si tratta, come scrivono i migliori avvocati e i migliori magistrati in due autonome e condivisibili prese di posizione, dell’irrogazione di punizione senza atti illeciti, di allontanamenti decisi dalla polizia giudiziaria a totale arbitrio. Polizia giudiziaria che dovrà ‘a vista’ decidere quale persona o quale pubblico esercizio possa rappresentare un pericolo per la “Sicurezza percepita da residenti e turisti”.
La Costituzione non poteva essere disattesa in modo più plateale: non è solo la libertà di muoversi senza restrizione e di esprimere la propria personalità in un giorno di festa, il problema è che sono misure classiste!
Come scrive MD nel suo comunicato vanno denunciate “le diseguaglianze del tessuto urbano, sempre più spaccato in zone di serie A, riservate a cittadini e turisti benestanti, e zone di serie B, lontane dalle luci del centro e verso le quali “i disturbatori” saranno verosimilmente allontanati”" Speriamo che il Capo dello Stato, cui auguriamo buon 2025, se ne accorga!

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Gianluca Schiavon, Responsabile giustizia, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

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di Dino Greco -

Agli organizzatori del presidio antifascista del 28 dicembre è stato opposto, dagli esponenti e fautori dell’antifascismo light, una botta e via, il rimprovero peloso di avere dato visibilità ai fascisti.
La memoria mi è subito andata alla legge Mancino del 1993 che, come anche la questura dovrebbe sapere, “condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali”. La legge, che per il momento è ancora in vigore, punisce come reato penale grave chi si renda responsabile di questi comportamenti. Anche allora vi fu chi sostenne che la legge era sbagliata. Sapete perché? Perché – così dissero – si trasformavano i fascisti in vittime. La storia, ancora una volta, si ripete, sebbene con le sembianze della farsa.

Silenzio tombale anche sulla legge Scelba del 1953, che in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana introdusse il reato di apologia del fascismo: per questura e procura della Repubblica è come se non esistesse, come uscito da tutti i radar è il reato di ricostituzione del partito fascista. Al punto che i questurini – applauditissimi dall’establishment del potere locale – si sono sentiti in dovere di intervenire a suon di manganelli per strappare dalle mani dei manifestanti uno striscione che ricordava che la Costituzione è antifascista.
Ora però ci viene detto che le regole devono essere rispettate e che all’intimazione della questura di non scendere in piazza bisognava obbedire.

Qui si pone una domanda cruciale: è giusto obbedire alle leggi ingiuste? La storia del nostro Paese è piena di lotte sociali che sono state condotte per cambiare norme, regole, leggi che favorivano i più forti contro i più deboli. Furono lotte che resero l’Italia un pò più civile. Per dirne una sola, lo Statuto dei lavoratori non sarebbe mai nato se per conquistarlo i lavoratori non avessero ingaggiato conflitti molto forti ed impiegato forme di lotta che urtavano contro un legalitarismo formale che fu scatenato contro di loro, manu militari, dai poteri costituiti che inflissero loro un pesante prezzo di sangue.

Diceva don Lorenzo Milani, intorno alla metà degli anni Sessanta, che quando ci si trova di fronte ad una legge ingiusta “non c’è scuola più grande” che essere disponibili a pagare di persona per la propria disobbedienza. E aggiungeva: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste. Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.

I ragazzi e le ragazze che l’altra sera, a prezzo delle botte, rifiutavano di farsi strappare quello striscione che tenevano stretto e che inneggiava alla Costituzione e all’antifascismo erano dei moderni eroi, degni dei partigiani che combatterono e morirono, armi in pugno, per cacciare l’occupante nazista e liquidare il fascismo che aveva portato il paese alla rovina. Personalmente li ringrazio per la speranza che rappresentano in un presente tanto denso di cattivi presagi.

marcolo reshared this.



L’aggressione squadrista all’insegnante di Brescia dimostra che hanno ragione le antifasciste e gli antifascisti che sono scesi in piazza nonostante il divieto.

Torniamo a chiedere le dimissioni del questore che ha lasciato sfilare i neofascisti che hanno imbrattato con svastiche una città che subì la strage di Piazza della Loggia e fatto caricare antifascisti.

Vergognose le dichiarazioni della sindaca che avrebbe dovuto stare in piazza con la fascia tricolore con gli antifascisti. A Brescia ora la destra propone sfacciatamente un ordine del giorno in consiglio comunale di condanna del presidio antifascista.
Ringrazio i compagni di Rifondazione Comunista Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi che avevano fatto la comunicazione alla Questura di aver tenuto il punto rifiutando di ottemperare a un divieto che equiparava fascisti e antifascisti e tutte le compagne e i compagni che sono scesi in piazza.

Purtroppo va segnalata negativamente l’incomprensibile posizione del presidente provinciale dell’Anpi e del segretario della Camera del Lavoro che hanno giustificato il divieto di manifestare.

L’aggressione fascista subita dall’insegnante a cui va la nostra solidarietà mostra quanti danni abbia prodotto lo sdoganamento del fascismo.

E’ importante sottolineare che il professore è stato affrontato da 5 ragazzi che tentavano di fargli dire che col fascismo si stava meglio e che avendo ottenuto una dichiarazione opposta lo hanno prima insultato e poi riempito di pugni. È indubbiamente squadrista la sequenza del fatto perché è tipica di una vera e propria spedizione punitiva preordinata. Infatti hanno fermato il professore chiamandolo per nome prima di aggredirlo.

Dovrebbero riflettere quelli che hanno acconsentito al divieto di manifestare.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista

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Raffaele Tecce


Appena ho saputo della scomparsa di Eugenio Donise ho provato un immensa tristezza, per l’affetto fraterno che ho sempre avuto per una figura autorevole,intelligentissima, colta e generosa del PCI a Napoli.

Ho conosciuto personalmente Eugenio Donise nel 1977,io neo eletto segretario provinciale del Pdup per il comunismo e lui segretario provinciale del PCI, durante le consultazioni che Eugenio pazientemente faceva con tutti i partiti della maggioranza che sosteneva il Sindaco Valenzi.
Già in quell’ occasione mi colpirono cortesia, vero rispetto per tutte le forze della Sinistra anche piccole e passione politica.
C ‘ era in Eugenio la consapevolezza del valore nazionale di quella eccezionale esperienza istituzionale di cui era parte, ma anche la certezza che bisognava dare risposta ai bisogni sociali più forti, a partire da casa e lavoro. Tutti ricordiamo, ad esempio, la sua apertura al confronto con il forte movimento dei disoccupati organizzati.
“Napoli non si governa da un solo palazzo”, si ribadiva sempre.
Da segretario regionale Campano nel 1985 ci accolse con apertura e disponibilità quando come Pdup per il comunismo confluimmo nel PCI.
Mi iscrissi alla sezione San Giuseppe Porto, nel centro storico dove abitavo, e li incontrai due compagni importanti per la mia successiva militanza nel Pci: Claudio Massari, il segretario della sezione e Nino Ferraiuolo stimatissimo professore ed organizzatore di iniziative culturali e sociali comuniste.
Ricordo, inoltre, che dopo lo scioglimento del PCI la sua partecipazione a momenti di dibattito difficili, come al seminario di Arco(Tn) nel 1993 , dove con Tortorella ed altre compagne e compagni decise di” stare nel gorgo”.
Guardò sempre con rispetto ed attenzione la nascita nel 1991 del Partito della Rifondazione Comunista, a Napoli e nazionalmente e partecipò attivamente alla importante esperienza della Federazione della Sinistra, a partire dal 2004, di cui fu componente del Comitato nazionale insieme a Nino Ferraiuolo.
Ricordo sempre le nostre chiacchierate a Piazza San Domenico maggiore sempre con Nino, ed in comunicazione sostanziale con tutta la città.

Caro Eugenio, mi hai insegnato molto.
Condoglianze alla sua famiglia



di LAURA TUSSI Nel centenario della nascita di Danilo Dolci torniamo a parlarvi del suo impegno politico, sociale ed educativo attraverso le parole e i ricordi del figlio Amico Dolci. A cento anni di distanza dalla sua nascita, Danilo Dolci resta una delle figure più importanti in Italia nel Secondo Dopoguerra per l’impegno politico, [...]

Laura Tussi reshared this.



Con grande gioia abbiamo appreso la notizia dell’incontro tra la delegazione del Dem Parti e il compagno Ocalan nell’isola carcere di Imrali. Si apre uno spiraglio alla speranza che finalmente si ponga fine alla repressione turca contro il popolo curdo. Negli anni scorsi abbiamo temuto per la stessa vita del presidente Ocalan, il Nelson Mandela del popolo curdo, di cui non si avevano più notizie. Non solo Apo è sottoposto dal 1999 a un regime di isolamento duro in violazione delle convenzioni internazionali ma negli ultimi anni erano state impedite anche le visite di familiari e degli stessi legali a loro volta sistematicamente arrestati e condannati per terrorismo.

Era stata impedita la visita persino alla delegazione della Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). Noi stessi avevamo partecipato nel 2022 a una delegazione investigativa internazionale che ha potuto constatare il grado di repressione e di violazione dello stato di diritto nella Turchia di Erdogan con 350.000 detenuti, tra cui parlamentari, sindaci, sindacalisti, intellettuali della sinistra curda e persino medici e avvocati rei di aver assistito perseguitati politici.

L’incontro di ieri segna la riapertura di un possibile dialogo per la soluzione della questione curda. Ocalan si è dichiarato di nuovo disponibile e con prudenza bisognerà verificare se il regime turco sia davvero intenzionato a percorrere la strada di un “nuovo paradigma”. Purtroppo gli attacchi contro il Rojava delle ultime settimane non sono un elemento incoraggiante. Bisogna capire quale sarà la risposta a questo segnale di nuova apertura delle forze armate turche che hanno sempre tentato di impedire una trattativa anche grazie allo spropositato potere che hanno sulla base di una costituzione assai sciovinista.

Come abbiamo sempre sostenuto, la liberazione di Ocalan, come quella di Marwan Barghouti per la Palestina, è la chiave per un’evoluzione democratica e una soluzione di pace in Medio Oriente. Il confederalismo democratico proposto da Ocalan è un progetto che consentirebbe di superare i continui conflitti causati dall’eredità del colonialismo. La proposta di Ocalan non è separatista ma quella del riconoscimento dell’autonomia del Kurdistan turco nell’ambito di una più generale democratizzazione dello stato. E’ un modello di convivenza che il movimento di liberazione curdo propone anche in Siria per il superamento dei conflitti etnici e religiosi. Purtroppo l’Unione europea invece di sostenere un movimento di resistenza laico, democratico e femminista come quello curdo in questi anni è stata complice dell’alleato NATO Erdogan e ha mantenuto il PKK nell’elenco delle organizzazione terroriste.

Noi di Rifondazione Comunista che, con il compagno Ramon Mantovani, cercammo di salvare Ocalan dalla cattura da parte della Turchia ricordiamo che il fondatore del Pkk aveva diritto all’asilo nel nostro paese e che fu catturato grazie all’ignavia dell’allora governo di centrosinistra che obbedì alle pressioni del presidente USA Bill Clinton. Lo stabilì un tribunale dopo la sua cattura e lo aveva anche quando il governo italiano l’ha costretto ad andarsene. In ragione della nostra risoluzione approvata in parlamento che riconosceva l’esistenza di un conflitto armato da risolvere con un negoziato. Sulla base di quella risoluzione l’Italia riconobbe a migliaia di kurdi con passaporto turco l’asilo. Libertà per Ocalan!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del PRC e Anna Camposampiero, esecutivo Sinistra Europea



Comunicato di Fiorenzo Bertocchi e Dino Greco a nome di Rifondazione comunista

Brescia, Rifondazione: “nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti”

“Le immagini del pestaggio inflitto dalla polizia ai manifestanti antifascisti che avevano raccolto l’invito a recarsi in piazza per protestare contro la libertà di movimento concessa a Brescia alle formazioni nazifasciste, hanno fatto il giro d’Italia. E nessuna censura, nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti. Dobbiamo confessare la nostra ingenuità: avevamo denunciato l’equidistanza con cui gli organi deputati alla sicurezza pubblica trattavano fascisti e antifascisti. Ci sbagliavamo. Le cose stanno molto peggio di così e i fatti, non le chiacchiere di questi giorni, sono lì a darne plastica dimostrazione.

Il 13 dicembre, il “cartello nero” delle organizzazioni neofasciste bresciane ha dato vita ad una manifestazione pubblica che istiga all’odio razziale ed esibiva una chiara fede nostalgica: “Siamo tornati- gridavano- e lì sono le nostre radici”. Ebbene, costoro hanno potuto impunemente sfilare e imbrattare la città e i suoi monumenti di svastiche. La questura non ha avuto nulla da dire e, soprattutto, da fare. Ieri, lo stesso immobile questore ha inviato uno schieramento possente di polizia con l’ordine tassativo di impedire, a qualsiasi costo, lo svolgimento di un pacifico presidio antifascista. All’apertura di due striscioni che ricordavano la natura antifascista della Costituzione e l’impegno dei cittadini bresciani a farne rispettare lettera e sostanza, è partita l’aggressione che è stata sull’orlo di sconfinare in un generale, drammatico pestaggio che solo la responsabilità dei manifestanti ha saputo evitare.

Ai fascisti che si erano rintanati in un loro covo e’ stato invece permesso di svolgere, all’esterno dell’edificio, un comizietto carico di tutto il loro odio antidemocratico. Ecco dunque la sostanza di tutta la vicenda e del conseguente “avviso ai naviganti” che ne è sortito: alla mobilitazione antifascista non sarà consentito niente! Con riflesso immediato, prima ancora che il famigerato ddl-sicurezza sia approvato dal parlamento, le norme gravemente liberticide in esso contenute diventano pratica ispirazione nella testa e nelle azioni dei cosiddetti organi di sicurezza. Suscitano infine un’infinita tristezza – e creano altrettanti motivi di preoccupazione – i pietosi inviti che da pulpiti insospettabili sono venuti a chiudersi in casa, a disertare la manifestazione antifascista di ieri, ponendo i manifestanti in una condizione di isolamento che i questurini hanno interpretato, come sempre, a loro modo.

Quanto al commento della sindaca, che si unisce solidalmente al pestaggio della polizia, c’è una sola cosa da dire: è vero, Brescia ha un problema, e bello grosso. E la sindaca ne è parte. Una cosa è comunque certa, e lor signori, tutti, è bene lo tengano nel debito conto: l’assemblea permanente antifascista non smobilita sotto le botte della polizia e gli insulti dei suoi corifei. Si andrà avanti, perché la Costituzione antifascista è un lascito troppo importante perché sia lasciato deperire o mortificare.

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Non è accettabile che la polizia abbia oggi manganellato i partecipanti al presidio antifascista a Brescia mentre ai fascisti è stato invece consentito di improvvisare un comizietto e un brindisi fuori dal loro covo.

Vergognoso che la polizia abbia cercato di strappare dalle mani dei manifestanti lo striscione ‘Brescia è antifascista’ nella città della strage di Piazza della Loggia. lI questore di Brescia, dopo aver consentito un vergognoso corteo di neofascisti, ha deciso di negare il permesso al presidio antifascista e poi di tentare di scioglierlo con la forza.
Ringrazio i nostri compagni Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi per la determinazione con cui hanno deciso di disobbedire al divieto immotivato che gli è stato comunicato dalla questura e ai mille antifascisti che hanno partecipato al presidio e al corteo mantenendo la calma e garantendo l’ordine pubblico e la legalità costituzionale senza cedere alle provocazioni.
Chiediamo le dimissioni del questore. Il diritto di manifestare è garantito dalla Costituzione e non va consentito al governo Meloni di limitarlo.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista

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Il discorso del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi interrogativi sul futuro dell’esercito italiano e il suo ruolo crescente nella politica interna. Masiello ha affermato che l’esercito non desidera la guerra, ma che la preparazione alla guerra è essenziale per garantire la pace, un concetto che non solo tradisce i principi costituzionali italiani, ma sottolinea una pericolosa visione della forza armata come pilastro della sicurezza e dell’ordine interno. Questo approccio, che implica un esercito sempre pronto ad agire, non solo in scenari di guerra, ma anche per risolvere le crisi interne, segna un cambio di paradigma che merita attenzione.

La proposta di rinominare l’Accademia di Stato Maggiore dell’Esercito in “Scuola di Guerra” è un segnale evidente di un’escalation militare nella visione istituzionale. Non si tratta più solo di una forza di difesa, ma di una forza sempre pronta a rispondere a scenari complessi, interni ed esterni, dove l’esercito potrebbe essere visto come l’attore centrale nel garantire la stabilità. Questo non è solo un cambiamento nell’educazione militare, ma un’apertura a una visione in cui la politica non è più l’unica responsabile nella gestione delle crisi.

Le parole di Masiello, pur non invocando esplicitamente una modifica della Costituzione, rispondono alla logica di un esercito sempre pronto, che va oltre la semplice difesa della patria, con implicazioni che vanno ad intaccare il controllo civile e democratico sulle forze armate. Se l’esercito viene visto come il principale strumento per garantire la sicurezza e la stabilità, è chiaro che si sta minando il ruolo delle istituzioni politiche, sempre più sopraffatte da una crescente influenza militare nelle dinamiche interne. E ciò è tanto più preoccupante se messo in relazione con il rischio di una politicizzazione delle forze armate, che rischia di portare l’Italia verso una deriva autoritaria.

Alla luce dei generali in politica, di questo genere di esternazioni,dei venti di guerra che soffiano forti e della presidenza trump che invita al bilateralismo cercando di affossare, ancora più di quanto non sia già , il rapporto multilaterale delle politica estera USA, impongono una riflessione profonda su quali siano i rischi che stiamo correndo, del destino dei sistemi democratici , del ruolo dell’Unione Europea come possibile rete di protezione. Ricordo le riflessioni di Fabio Mini, che nel suo articolo La Rivincita di Sparta del 2012 evidenziava come il crescente potere militare potesse minacciare la democrazia. Mini parlava di vere e proprie “pulsioni” autoritarie all’interno dell’esercito, e delle pericolose interazioni con le oligarchie economiche, che avrebbero potuto sfociare in un pericoloso intervento militare nella gestione politica del paese. Secondo Mini, le forze armate, pur essendo strutturalmente autoritarie e gerarchiche, sono in grado di farsi protagoniste in tempi di crisi, soprattutto quando la politica civile fallisce nel garantire la stabilità o non sa rispondere ai propri impegni sulla scena internazionale. Mini non metteva in dubbio che l’esercito potesse essere necessario in determinati scenari, ma avvertiva della pericolosità di una politicizzazione delle forze armate, le cui “pulsioni” autoritarie avrebbero potuto emergere se la politica civile avesse perso la sua capacità di governare efficacemente. In un contesto come quello che stiamo vivendo, dove l’esercito sembra acquistare sempre più visibilità e potere, le sue parole risultano estremamente attuali.

Da Vannacci alle parole di Masiello, passando per il DDL Sicurezza, tutti i segnali sembrano indicarci una tendenza inquietante, che va ben oltre la semplice necessità di prepararsi a conflitti esterni. La crescita della militarizzazione della politica interna, insieme all’inasprimento delle pene per chi partecipa a manifestazioni pubbliche e alla possibilità di un intervento delle forze armate nell’ordine pubblico, segnalano un mutamento pericoloso. Questo scenario potrebbe sfociare in un sistema in cui l’esercito e la polizia non sono più semplicemente separati ma diventano strumenti complementari di controllo sociale, mettendo a rischio la libertà di espressione e i diritti civili.

Il DDL Sicurezza 2024, infatti, va nella direzione di un’ulteriore militarizzazione della vita civile. L’introduzione di misure che permettono l’impiego delle forze armate per operazioni di ordine pubblico, oltre alla crescente sorveglianza sociale tramite l’uso dei servizi segreti, ampliano il rischio che il dissenso venga represso con la forza, piuttosto che con il dialogo e la mediazione. L’inasprimento delle pene per i reati commessi durante le manifestazioni, insieme all’espansione dei poteri dei servizi segreti, rappresentano una vera e propria minaccia alla libertà di espressione e alla protezione dei diritti civili. La possibilità che gruppi sociali o politici di opposizione possano essere considerati minacce alla sicurezza è un segnale allarmante, che potrebbe portare alla repressione delle opinioni divergenti e all’imbavagliamento delle voci critiche.

Tutti questi sviluppi si intrecciano con le dichiarazioni del Generale Masiello, che ha affermato la necessità di una preparazione alla guerra per garantire la pace, indicando implicitamente che le forze armate devono essere pronte non solo a difendere il paese ma a intervenire attivamente in scenari di conflitto interno. In altre parole, la crescente enfasi sulla prontezza militare potrebbe aprire la porta a una politicizzazione delle forze armate, con il rischio che queste diventino l’unico strumento per affrontare le crisi politiche e sociali, ignorando i principi costituzionali che separano la politica civile dall’intervento militare.

Da un lato, si promuove una visione bellica delle forze armate, come se la preparazione alla guerra fosse l’unica strada per raggiungere la pace. Dall’altro, il contesto legislativo del DDL Sicurezza fa emergere il rischio di una deriva autoritaria, in cui le forze militari e di polizia si sostituiscono alla politica democratica, reprimendo ogni forma di opposizione.

Le forze democratiche non possono più ignorare questi segnali. La combinazione tra politica e militari, con la crescente centralità delle forze armate nelle scelte politiche interne, costituisce una vera minaccia per la tenuta democratica del paese. Non è più possibile trattare questi sviluppi come se fossero semplici adattamenti alle necessità della sicurezza. Sono i segnali preoccupanti di un cambiamento più profondo, che rischia di minare le basi democratiche e il nostro impegno per una società pacifica e giusta.

Infine, quello che in questo scenario è ancora più preoccupante, è la spinta a ulteriore divisione e frazionamento di quello che a quanto pare dovrebbe invece essere un fronte unito a difesa del difendibile, a salvare quanto ancora è salvabile, e anche in quel caso , che sembra ormai utopico, la battaglia di difesa del sistema democratico sarebbe difficile da combattere . Questo dovrebbe urlare a tutti che è necessario unire tutte le forze sinceramente democratiche per contrastare questa pericolosa evoluzione. L’esercito non deve diventare attore politico, né le forze di polizia e i servizi segreti devono avere il potere di reprimere il dissenso e limitare le libertà civili e non si deve permettere la separazione delle carriere in magistratura fondamento della separazione dei poteri proprio di un sistema pienamente democratico. Se non si interviene ora, potremmo trovarci in un futuro non troppo lontano , in una condizione esistenziale dove la libertà sarà sacrificata sull’altare della sicurezza e dove la democrazia sarà definitivamente sostituita dal controllo autoritario.

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Alla presidente del consiglio Giorgia Meloni che definisce utili le spese militari con argomentazioni assolutamente ridicole rispondono che l’Italia ha bisogno di ospedali che funzionino non di buttare soldi per arricchire la lobby degli armamenti. In realtà Giorgia Meloni dalla demagogia sovranista è passata al ruolo di zerbino di NATO, USA e Commissione europea e quindi deve addolcire la pillola dei tagli necessari a compensare l’aumento delle spese militari che ci vogliono imporre. Se Giorgia Meloni fosse davvero sovranista dovrebbe rispondere in sede internazionale che l’Italia ha una Costituzione che ripudia la guerra e che l’Italia ha una spesa sanitaria molto al di sotto alla media europea e non possiamo permetterci il lusso di buttare soldi per la guerra. La realtà è che Giorgia Meloni fa la voce grossa solo per dare spettacolo sui tg e sui social ma si guarda bene dal difendere i nostri interessi nazionali. Una vera sovranista risponderebbe a Trump, a Rutte e a Ursula von der Leyen che l’Italia può fare a meno della NATO e che in paesi neutrali come l’Austria e la Svizzera si vive benissimo. Almeno Orban ha il coraggio di alzare la voce in Europa, lei sembra un Draghi anzi un Letta con la parrucca. Trump chiede di portare la spesa al 5% del PIL, Rutte al 3, noi non dobbiamo neanche portarla al 2 anzi andrebbe tagliata perché nessun trattato ci impone la militarizzazione del nostro paese. Se Trump vuole uscire dalla NATO ci fa un piacere. Non vediamo l’ora che lascino le loro basi in Italia portandosi i loro ordigni atomici.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista . Sinistra Europea



Comunicato del circolo di Rifondazione Comunista Tina Costa di Torpignattara:
Stanotte ignoti teppisti fascisti hanno divelto e danneggiato la targa che ricorda il partigiano Clemente Scifoni in Piazza della Maranella e poi sono passati davanti alla nostra casa del popolo in via Bordoni, a cento metri. Hanno strappato la bandiera della comunità LGBT+ e scagliato delle bottiglie di birra contro la vetrata di ingresso senza causare danni importanti.
I rigurgiti fascisti sono legittimati dal dal governo e da alte cariche dello stato. Non si possono derubricare come semplice goliardia atti di vandalismo che hanno una chiara matrice. I fascisti provano fastidio per la memoria della resistenza partigiana, per la presenza dei comunisti sul territorio, per l’organizzazione popolare dal basso che il nostro circolo e la nostra Casa del Popolo di Torpignattara rappresentano. Questa organizzazione popolare si muove e cresce alla luce del sole e non si lascia intimidire da questi atti vigliacchi. Alla riapertura delle scuole distribuiremo un volantino con la storia del partigiano Clemente Scifoni.
Partito della Rifondazione Comunista, circolo Tina Costa di Torpignattara Roma

Dichiarazione di Maurizio Acerbo, segretario nazionale e di Elena Mazzoni, segretaria della federazione di Roma del Partito della Rifondazione Comunista:

“L’attacco vandalico alla targa che ricorda un partigiano e alla nostra sede è un fatto grave che segnala quanto forti siano i rigurgiti fascisti nel nostro paese. A fomentarli è direttamente la destra al governo che da anni cerca di screditare la Resistenza e di delegittimare l’antifascismo. Solidarietà al circolo Tina Costa e alla Casa del Popolo che è un presidio di democrazia, cultura e convivenza tra le comunità nel quartiere”.

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Gianluca Schiavon*

Dopo una messe di leggi provvedimento a risposta delle emergenze penali più balzane, il Governo di destra, per mano dei ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto, ha perfezionato nel ddl ‘sicurezza’ un corpus organico di norme compiutamente orientato alla repressione dei soggetti che questa maggioranza politica considera persone marginali e potenzialmente contrarie all’interesse dei potenti. L’indirizzo del Governo, finora, è parso incontrastato perché insoddisfacenti sono state le risposte di opposizione. A fronte di decreti-legge tanto bizzarri quanto difficilmente applicabili nell’organizzazione della Giustizia attuale, uno per tutti, quello che ha introdotto il delitto di rave party, le forze sociali parevano impegnate singolarmente a contrastare la puntuale norma liberticida.

La maggioranza ha così sfigurato l’ordinamento con un insieme ampio di norme incostituzionali come la reintroduzione di una disposizione già annullata con la sentenza della Consulta n. 359/2000, vale a dire il reinserimento del pericolo di fuga tra le esigenze cautelari idonee a motivare le misure cautelari per i minorenni nel famigerato decreto Caivano.

Nell’ambito pervasivo dell’amministrazione della Giustizia e dell’ordine pubblico è squadernata la velleità di americanizzazione del governo delle destre; emerge, infatti, l’attacco alle grandi città come luoghi in cui la produzione del valore produce qualche germe di resistenza e persino di contropotere. Non sfugge come siano oggetto di una campagna per la paura e per la reazione alla maniera di Trump tutti i centri urbani: dalle città-porto europee di Genova e Trieste, agli snodi della logistica, all’area metropolitane de-industrializzate milanese e torinese, il territorio smisurato di Roma capitale e delle metropoli del mezzogiorno.

Il disegno di legge sicurezza segna, tuttavia, un momento di discontinuità perché è emerso un fronte unito contro la tattica della destra coagulato da una strategia costituzionale. Un fronte evidentemente composito che va dalla rete dei Negozianti italiani canapa (NIC) ai collettivi studenteschi più radicali, dai Giuristi democratici, alle associazioni del volontariato carcerario, da Articolo 21 ai lavoratori organizzati della GKN. Un fronte meticcio e intergenerazionale, ma, soprattutto, un fronte che attraverso la parola d’ordine ritiro immediato del DDL ha un potenziale ricompositivo di tutte le vertenze attraverso le quali i soggetti sociali declinano il conflitto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-corpi e libertà-repressione. Si passa, quindi, forse per la prima volta dopo tanti anni, da un sodalizio tra forze militanti e addetti ai lavori, che ha resistito alla espansione del diritto penale del nemico, a una coalizione tra soggetti diversi nel quale partecipano forze di massa: ARCI, ANPI, CGIL, UIL, sindacati conflittuali, camere penali. Il tornante si è manifestato dopo un apparente periodo di stasi del movimento contro le guerre e gli imperialismi. Pare, infatti, riemerso il movimento dopo essere stato atterrito dalla ineluttabile barbarie della terza guerra mondiale a pezzi nel momento in cui è stato compreso da larghe minoranze europee il nesso guerra mondiale-repressione interna.

Il processo ri-aggregativo non è esauribile nella manifestazione di Roma, ma ha ancora un margine di espansione perché nasce da manifestazioni territoriali e regionali, dagli scioperi, dalle occupazioni di scuole e facoltà, dall’astensione dalle udienze dei penalisti. Sta maturando una risposta, a fronte di un disegno sanzionatorio universale del Governo, altrettanto universale che partendo dalla vita concreta contrappone un modello di liberazione dal comando capitalista e dal bisogno indotto.

Dopo la manifestazione di almeno 50.000 persone a Roma, il procedimento legislativo è continuato con la discussione degli emendamenti nella II Commissione del Senato proposti dalle opposizioni parlamentari, ma il portato di tutte le manifestazioni ha già inciso significativamente: il Capo dello Stato starebbe imponendo – a differenza da ciò che non ha fatto col decreto Caivano – la modifica di tutte le norme più manifestamente incostituzionali. SI tratterebbe di tre gruppi di norme: quelle norme ‘anti-borseggiatrici rom’ che rendono facoltativa la esecuzione della reclusione per le donne incinta o madri di figli fino a un anno e obbligatoria l’esecuzione penale per le madri fino a tre anni, di quella discriminatoria verso il cittadino extraUE per l’acquisto di una sim telefonica e di quelle incriminanti la resistenza passiva nei reati di rivolta carceraria e rivolta in CPR.

La battaglia, tuttavia, non è che all’inizio dal momento che il movimento non può accettare nulla che non sia il ritiro di tutto il ddl, fatto politico difficile, ma non impossibile. A patto di non interrompere la mobilitazione e l’agitazione sui territori per tornare nella capitale il secondo fine settimana di gennaio con un progetto minuto di riflessione e di sabotaggio dei dispositivi del controllo sociale, dunque di ri-soggettivazione delle vite di ognuna e ognuno.

*Responsabile Giustizia, PRC-S.E.



Il tribunale di Palermo ha emanato la sua sentenza assolvendo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Insomma trattenere in mare, in nome di una oscena propaganda xenofoba 147 persone, per 19 giorni, persone salvate da morte certa, come accadde 5 anni fa quando l’imputato era ministro dell’Interno, non è reato. Forse perché le persone salvate cercavano salvezza in Europa? Attendiamo le motivazioni della sentenza che odorano di arrampicata sugli specchi, ma il segnale è orrendo ed in perfetta linea col ddl 1660. Segna una fine ingloriosa di uno Stato di diritto già ampiamente calpestato in passato ma che oggi si rivela ancor più macabro e crudele. Il potere politico comanda su quello giudiziario quando si tratta di garantire impunità ad un esponente dell’esecutivo. Che ci si mobiliti contro questa ed altre sentenze che probabilmente seguiranno, che ci si schieri dalla parte di quei giudici che non accettano di inchinarsi, di chi continuerà a prestare soccorso in mare. Rifondazione Comunista, come tante altre associazioni, corpi intermedi, realtà di movimento, continuerà a considerare il leader leghista un misero imprenditore della paura di cui presto, la storia di questo Paese si dovrà vergognare

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

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Ci uniamo alla richiesta di Anpi di vietare il raduno fascista che tutti gli anni viene organizzato a Roma il 7 gennaio per ricordare i fatti di Acca Larentia Non è accettabile che, nel disprezzo assoluto della nostra Costituzione, in un luogo pubblico si permetta a esponenti di organizzazioni neofasciste di manifestare a parole e gesti la loro appartenenza violando anche le leggi scritte in applicazione della XII Disposizione. E’ una vergogna per il nostro paese ed è un affronto per tutti quei giovani, uomini e donne, che si sono battuti nella Resistenza e hanno dato la vita per la libertà e la democrazia. Cosa si aspetta ancora a dichiarare lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste, a partire proprio da Casa Pound che in più occasioni ha manifestato il suo carattere violento, squadrista e antidemocratico? Proprio per questo quattro suoi appartenenti sono appena stati rinviati a giudizio a Napoli. Non stiamo chiedendo al ministro Piantedosi di dichiararsi antifascista, conoscendo la sua riluttanza, ma di svolgere il suo lavoro rispettando la Costituzione antifascista sulla quale ha prestato giuramento. Rifondazione, come tante altre Associazioni, lo sta chiedendo da tempo: le organizzazioni fasciste vanno sciolte immediatamente!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Rita Scapinelli, responsabile antifascismo del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



Non conosce limiti ormai la guerra della destra contro la libertà di espressione e se potessero probabilmente anche contro la libertà di pensiero. Visto che stanno lavorando per criminalizzare qualsiasi libertà.

Dopo gli attacchi a Serena Bortone, agli autori cinematografici, ai giornalisti di Report, a Saviano, dopo la sospensione di Christian Raimo dall’insegnamento per tre mesi, adesso c’è anche la querela per diffamazione (con richiesta pure di risarcimento) del ministro per “l’istruzione e il merito” Valditara contro lo scrittore ed ex direttore del Salone internazionale del libro di Torino Nicola Lagioia e contro il giornalista Giulio Cavalli. Il “ministro dell’istruzione” si è sentito offeso per alcune dichiarazioni di Lagioia e per un articolo di Cavalli perché si sono permessi di ironizzare su un tweet del ministro scritto in un italiano non “eccellente” (“…. Se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia…”. Per fare un esempio.

Siamo completamente d’accordo con Lagioia quando dice che “sono atti intimidatori… che creano un clima di paura”, anche perché ad opera di un ministro contro un normale cittadino. Ma questo è esattamente lo scopo di questo governo.

E poiché il tweet di Valditara iniziava dicendo, sempre in perfetto italiano: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene…”, siamo completamene d’accordo con Lagioia anche quando dice che in Italia ci sono stranieri che padroneggiano l’italiano in maniera splendida e che se dovessero sottoporsi a un test lo supererebbero meglio del ministro.

Attendiamo querela?

Maurizio Acerbo Segretario nazionale
Stefania Brai, Responsabile cultura
Stefano Galieni Responsabile immigrazione



Antonello patta*

È un’Italia ben diversa dall’immaginario mondo di Giorgia quella che emerge da una serie di rapporti pubblicati ieri dalla Commissione Europea;

I dati, oltre a mettere in evidenza le persistenti fragilità dell’economia italiana alle prese col rischio di una nuova fase di deindustrializzazione, svelano impietosamente cosa si cela dietro i successi occupazionali millantati dal governo delle destre.

Per l’Italia Il confronto su lavoro, salari e occupazione, anche solo con le medie europee, tralasciando i Paesi più virtuosi, è avvilente.

È vero che il tasso di occupazione è cresciuto, anche perché si partiva da una situazione molto arretrata, ma rimane ben 9 punti percentuali sotto la media europea; preoccupante il divario occupazionale tra uomo e donna: 19,5%, il doppio della media Ue; Drammatico il tasso di occupazione nel sud e nelle isole: 25% inferiore ai valori medi del continente; il tasso di giovani che non studiano e non lavorano è del 16,1%, 5 punti peggio della media dei 27.

A spiegare cosa si nasconde dietro il presunto successo del governo concorrono anche i dati forniti da Eurostat che confermano il progressivo calo dei salari italiani certificato da tempo da tutti gli organismi nazionali e internazionali: negli ultimi 15 anni, i salari italiani sono scesi del 6% mentre nella media degli altri paesi europei sono aumentati dell’11%.

La diffusione estrema del lavoro povero rappresenta la causa principale dell’aumento della povertà attestato da Bruxelles che ricorda quanto sia alta nel nostro Paese la quota di popolazione a rischio povertà: il 23%, il 27,1% quella dei bambini, entrambe ben al di sopra delle medie europee.

Negli stessi rapporti sempre a proposito dell’Italia si può leggere: “la percentuale di persone colpite da gravi privazioni materiali e sociali è aumentata, in linea con l’elevata e stagnante quota di persone che vivono in povertà assoluta”, pari al 9,8 per cento nel 2023.
Le ragioni di questa situazione drammatica sono note e rimandano a un sistema economico malato, che perde quote nei settori industriali più avanzati e tiene in comparti come l’edilizia il turismo e il commercio dove notoriamente sono ampiamente diffusi bassi salari, lavoro precario e irregolare come testimoniano i dati europei secondo cui il numero delle persone occupate a tempo determinato in Italia è tra i più elevati d’Europa, più del 15%;

La precarietà lavorativa e la diffusione della povertà secondo l’Europa determinano la cultura always on”, cioè la disponibilità ad essere attivi 24 ore su 24 come testimonia un sondaggio condotto da Eurofound in Belgio, Francia, Italia e Spagna secondo cui oltre l’80% degli intervistati si è dichiarato disponibile ad accettare di lavorare oltre il normale impegno lavorativo.

Una situazione conseguenza di decenni di leggi che hanno aggravato la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori con la diffusione di mille forme di precarietà e lavoro irregolare funzionali a renderli sempre più ricattabili e imporre lavori sottopagati, privi di tutele e diritti e più sfruttamento.

Di fronte a questa situazione aggravata anche dal taglio del reddito di cittadinanza il governo delle destre si comporta come se i drammatici problemi della struttura produttiva del paese non lo riguardassero; vara una finanziaria che non solo non fa nulla per salari, pensioni e redditi dei ceti popolari, ma taglia ancora la spesa pubblica mettendo cinicamente in conto un’ulteriore riduzione dei diritti, dei salari e dei consumi, con la naturale conseguenza di deprimere ancora di più l’economia e aumentare il disagio sociale.
I sovranisti nostrani quando parlano di patria, pensano agli interessi del capitale e dei ceti che si arricchiscono sulle rendite speculative, sull’evasione fiscale e sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.

Solo le lotte potranno restituire dignità al lavoro, diritti e reddito alle cittadine e ai cittadini e arrestare il drammatico declino del Paese.

*Responsabile nazionale lavoro del Prc



Si chiamava Giovanni Battista Macciò l’operaio della Culmv morto schiacciato la scorsa notte nel porto di Genova mentre lavorava: un’altra vittima sacrificata al primato del profitto
Non si parli di nuovo di fatale incidente o di non rispetto delle procedure di sicurezza che sono tali solo se reggono in qualsiasi condizione; se non lo fanno, non sono tali e non possono essere usate come scusante, il tappeto sotto cui nascondere turni e doppi turni, cottimi e precarietà, uniti a controlli insufficienti e mancati investimenti sulla sicurezza.
La verità è che anche questa tragica morte è figlia della ricerca del massimo di sfruttamento col minimo dei costi: si sono deregolamentate e privatizzate le banchine, si è spezzettata la gestione del lavoro, si impongono turni e carichi di lavoro che di per sé producono insicurezza e rischi continui per la vita dei lavoratori.
Ora siamo al film già visto della sequela di messaggi di cordoglio farisaici che non durano lo spazio di una giornata; che nel loro susseguirsi nel corso dell’anno senza che nulla cambi davvero, invece che suscitare rabbia e mobiitazione durature contro il sacrificio di vittime sull’altare del profitto, finiscono per produrre un’assuefazione che fa il gioco di politici e governi che il cambiamento non lo vogliono.
Nel dichiarare i nostro più completo sostegno al giusto sciopero dei portuali, alla loro lotta per un lavoro garantito e sicuro, non possiamo non ribadire la necessità di controlli che facciano rispettare le leggi sulla sicurezza esistenti e l’attuazione di nuove norme a partire dall’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro.
Rifondazione Comunista si stringe attorno alla famiglia e ai colleghi di lavoro di GB Macciò e dell’altro lavoratore rimasto ferito, per il quale auguriamo una rapida guarigione.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Gianni Ferretti, segretario della federazione di Genova
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea



Il Gup ha chiesto il rinvio a giudizio a Napoli per i quattro fascisti di CasaPound che il 23 ottobre del 2023 picchiarono Roberto Tarallo, quasi uccidendolo. La vittima degli squadristi fu aggredita perché sul giubbotto aveva la scritta “sono antifascista” . Gli imputati sono i fratelli Acuto, Palmentano, segretario della sezione Berta di Casa Pound e proveniente da Roma e l’ucraino Taras Abhua, a testimonianza dei legami tra neofascismo e etnonazionalismo banderista. Sono stati ammessi come parti civili lo stesso Roberto Tarallo, assistito dalla nostra compagna avvocata Elena Coccia, l’ANPI, attraverso l’avvocato Maria Giorgia de Gennaro, e il comune di Napoli. Il processo è stato aggiornato al 3 febbraio 2025. Tra i capi di imputazione riguardanti i fascisti di Casa Pound non solo l’aggressione ma anche i reati sanzionati dalla legge Mancino. Ancora una volta siamo di fronte a un partito organizzato sul piano nazionale che si dichiara apertamente fascista e i cui militanti sono responsabili da anni di aggressioni e violenze tipiche dello squadrismo fascista. Quello di Napoli non è l’unico procedimento a carico di squadristi di Casa Pound. Per esempio a Bari è in corso quello per l’aggressione alla nostra ex-europarlamentare Eleonora Forenza e al compagno napoletano Antonio Perillo. Torniamo a chiedere lo scioglimento di Casa Pound e degli altri gruppi neofascisti come imporrebbe la XII disposizione della Costituzione nata dalla Resistenza.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Rino Malinconico, segretario regionale e Elena Coccia segretaria di federazione del Partito della Rifondazione Comunista



Care compagne e cari compagni, in conclusione del secondo ciclo dei seminari autunno invernali del Partito della Rifondazione Comunista riportiamo i link di tutti e sette i seminari per permettere a chi non ha avuto modo di seguirli in diretta, di riascoltarli. Dino Greco, responsabile nazionale Formazione Prc-Se 01 Migrazioni: cambiare paradigma relatore: [...]


Si cerca di lasciar passare, in Italia, la giornata del 18 dicembre come una festività consolatoria in cui i bianchi suprematisti dimostrano di voler accogliere anche chi arriva da altri paesi. Una menzogna, si rimuove l’origine di tale giornata. Nella stessa data, ma si era nel 1990, le Nazioni Unite elaborarono una “Convenzione per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie”.

Un testo lungo e articolato, composto da oltre 90 articoli e tutto sommato moderato. Si limita a garantire i diritti e le tutele fondamentali per chi emigra e lavora, con generici richiami ad una convivenza e ad una parità che oggi paiono rivoluzionari. Non a caso solo i Paesi allora di emigrazione, neanche tutti, ratificarono la Convenzione. Non lo hanno fatto i paesi UE, il Brasile, gli Usa, il Canada, l’India, l’Australia e il Giappone, nemmeno il Sudafrica e i Paesi del Golfo, ovvero quelli in cui si emigra.

Guai a mettere a repentaglio il diritto a sfruttare che un colonialismo che dura da oltre 500 anni, costituisce l’ossatura dell’occidente, intende mantenere. Meglio lasciare che le decisioni – sovente negative e repressive – le prendano i singoli Stati sulla base delle proprie convenienze. E, per parlare di noi, in questi 34 anni si sono susseguiti di ogni colore, orientamento, composizione, ma questa proposta che rappresenta il minimo sindacale, non ha mai trovato l’approvazione di governi e parlamenti.

Il suo ruolo è dimenticato ovviamente anche dall’apparato mediatico che sostiene il suprematismo, pronto a criminalizzare chi emigra e non soddisfa il vincolo di subalternità, ma incapace di fare i conti con una società la cui composizione è profondamente cambiata. Per noi comuniste/i questo non è un giorno di festa ma un giorno di lotta che va tenuta alta per 365 giorni l’anno. Non ci autoassolviamo con la carità pelosa di chi solo oggi si accorge di chi aspira, ad esempio, ad avere cittadinanza, diritto di voto, welfare.

Siamo insieme a chi si rivolta e pretende un futuro diverso. La ratifica di una Convenzione dovrà segnare solo uno dei tanti passi da compiere nel segno di una lotta di classe che riafferma, partendo da ciò, la sua volontà di ricomporre ciò che il capitalismo ha frammentato.

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Stefano Galieni, Responsabile immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



I seminari autunno-invernali di Rifondazione - Relatore: Rino Malinconico discussant: Rosa Tavella Raffaele Tecce Gloria Scarlino Lunedì 15 dicembre 2024 Per quanto corrisponda a verità il detto latino “Repetita iuvant”, ci sforzeremo di andare oltre la ricapitolazione di quanto già contenuto in molti nostri documenti. Il tema che infatti affronteremo in questo nostro incontro verterà [...]


Non posso che applaudire all’iniziativa dell’amico e compagno Nicola Fratoianni che ha consegnato a Giorgia Meloni cartoline per la pace in vista del Natale. Condivido ovviamente anche la richiesta di non aumentare le spese militari. Mi permetto di consigliargli che se gli sono avanzate delle cartoline potrebbe donadistribuirle anche agli alleati del PD visto che si avvicina l’ennesima votazione sull’invio di armi all’Ucraina. Sarebbe un fatto positivo se il PD votasse finalmente contro l’invio di armi. Suggerirei anche di mandare una cartolina a Enrico Letta con cui AVS si è alleata alle ultime elezioni politiche invece di partecipare a una coalizione pacifista. Alla festa di Atreju Letta ha sostenuto una proposta gravissima di debito comune e MES per finanziare il riarmo su cui sarebbe doveroso che tutte le forze pacifiste si esprimessero con nettezza.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista

in reply to Rifondazione Comunista

@rifondazione gli suggerireste di inviare la cartolina della pace anche all'ambasciata russa?


Enrico Letta ha letteralmente consegnato nel 2022 il governo a Giorgia Meloni rompendo con il M5S in nome della fedeltà assoluta alla NATO e all’agenda Draghi.

Ora ricompare alla festa di Atreju con una proposta indecente per esaudire le richieste della NATO di portare la spesa militare al 3% del PIL.
Non contento dei danni che ha fatto da Presidente del Consiglio con i tagli alla sanità e da segretario del PD con il sostegno forsennato alla guerra, Enrico Letta ora propone di utilizzare il MES e fare “debito comune” per aumentare la spesa militare.

Mentre Cgil, Uil e sindacati di base scioperano per chiedere più investimenti per la sanità e lo stato sociale non per le armi, l’ex-segretario del PD propone di sostenere la corsa agli armamenti.

Se in Italia metà della popolazione non vota è anche perché con la nascita del PD gente come Letta, che in Francia starebbe con Macron e in Germania nel partito di Ursula von der Leyen, è stata presentata come la sinistra.

Quelli come Letta sono i migliori alleati di Giorgia Meloni.

Letta è uno dei rappresentanti di quella “Europa reale” che ha portato l’Europa dalla pace alla guerra e dal modello sociale al mercato asociale creando le condizioni sociali e culturali per la crescita dell’estrema destra.

Una vera sinistra e il cattolicesimo democratico che si ispira a Papa Francesco non hanno problemi a unirsi per chiedere che il debito comune si faccia per finanziare la sanità, lo stato sociale, le pensioni, la lotta alla povertà, la riconversione ecologica, la ricerca, l’istruzione, la cultura, l’industria farmaceutica pubblica, la creazione di lavoro in Europa.

Il neoliberismo e l’oltranzismo guerrafondaio di quelli come Letta portano invece assai lontano dalla via maestra della Costituzione.

Sorge un dubbio: ma Letta lavora per Meloni o entrambi sono al servizio degli Stati Uniti qualunque sia l’amministrazione?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea



Bisogna risalire al ventennio fascista per trovare leggi come il Ddl paura che criminalizza i diritti, il dissenso e tutte le minoranze, così come bisogna risalire al ventennio fascista per trovare esponenti del governo che minacciano apertamente giornalisti e promulgano leggi a limitazione della libertà di stampa. E bisogna risalire al ventennio fascista per trovare un ministro della cultura che interviene nel merito del linguaggio della produzione artistica e culturale e decide quali contenuti deve avere. Secondo il nuovo ministro Giuli: la destra è sicurezza, è legalità, è ordine anche nei conti pubblici, è meritocrazia Dopo anni di disordine in cui si mescolava un cinema stellare a posizioni di rendita il governo di destra e centro si è incaricato di mettere ordine . noi partecipiamo al rischio di impresa ma con ordine, creando selezioni e norme rigorose”. E ancora: È evidente che c’è bisogno di dare anche un segno identitario: vi siete mai chiesti perché non c’è mai stata una fiction su Fabrizio Quattrocchi?… Creare un nuovo immaginario significa creare sfere di autoriconoscimento, non il film iraniano con la cinepresa fissa sull’erba che cresce. Occorre riattivare le nostre radici, attingere a quelle profonde e rappresentarle”.
Da quando, se non sotto una forma di regime, è compito dello Stato creare un nuovo immaginario? Da quando lo Stato invece che sostenere quella produzione culturale e artistica che con i soli meccanismi del mercato non vedrebbe mai la luce, partecipa al rischio di impresa? E da quando, se non sotto una forma di regime, lo Stato decide cosa la produzione artistica deve rappresentare?
Rifondazione comunista sarà a fianco dei lavoratori della cultura e dell’informazione in tutte le battaglie contro ogni tentativo di censura e ogni forma di ingerenza nella libertà di espressione.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Stefania Brai, responsabile cultura del Partito della Rifondazione Comunista



LAURA TUSSI

Relazione riassuntiva dell’incontro di presentazione dell’Annuario “Agorà” del Liceo scientifico G. Ferraris di Varese: “Il coraggio della memoria e la storia europea del ‘900″

All’interno della comunità educante, il ruolo dei testimoni e la trasmissione della memoria: scuola e giovani generazioni contro ogni forma di militarismo e di irruzione dell’esercito nella vita formativa e educativa

I cultori della storia, gli insegnanti, gli educatori, i testimoni degli eventi devono mantenere il rapporto con il concreto relazionarsi delle comunità, con la testimonianza dei singoli, ma anche, in una prospettiva di trasformazione delle memorie, in un tessuto storico e sociale robusto, che confluisca in progetti e consista in una fonte di energia e di riflessione per le nuove generazioni.

Questo passaggio dal ricordo, dalla narrazione alla memoria, alla storia, alla riflessione è un processo che deve avvenire tramite il contributo della scuola e di tutti i suoi attori formativi che devono agire perché l’esercito non devasti le menti delle nuove generazioni con la sua prepotente irruzione in tutti gli ambiti della società

Un istituto educativo non concepito meramente come domicilio, insieme di persone, ma come una comunità di studio, contesto di comunità educante intesa nel senso e significato culturale di progettazione di idee e di confronto; perché l’attenzione e dimensione specifica dell’istituto scolastico consiste nella trasmissione culturale, lavorando, interagendo con le nuove generazioni, attraverso il metodo, lo strumento, la modalità ultima, pedagogica dell’impegno culturale, educativo del confronto, dell’interscambio di progetti e di idee e costruzione, elaborazione collettiva di basi valoriali.

La memoria della Resistenza Partigiana Antifascista: per dignità. Non per odio.

Il ruolo dei testimoni per tramandare la storia contemporanea

Il rapporto “memoria e testimonianza” è l’importante filo rosso educativo come il riferimento all’aspetto di documentazioni di studio e ricerche, elaborate, a diversi livelli, sia come eco di studi e indagini qualitative a livello nazionale (CEDEC, ANED, ANPI), sia di progetti di ricerca, attività di studio e documentazione, intrapresi dalla scuola, da insegnanti e da esperti e tecnici di settore.

Dunque veramente la scuola diventa comunità di ricerca, dove gli studiosi sono operatori sociali, insegnanti, impegnati a livello storico non avulso e disancorato dal territorio circostante, dal sistema formativo: educare non è militarizzare

Per questo i progetti di recupero storico si intraprendono in interazione con i vari enti ed agenzie educative operanti nell’ambito territoriale stesso, dove la comunità scolastica si apre al sistema formativo nella sua complessità ed auspicabile integrazione.

E’ deleterio fare accedere nelle scuole e nelle università l’esercito, i soldati, con la militarizzazione degli istituti. Ma è doveroso aprire ai partigiani e ai testimoni indiretti del significato di Antifascismo e di tutto quello che di nefasto e negativo comporta e rappresenta il periodo fascista e la militarizzazione degli istituti formativi e educativi, come sta avvenendo attualmente

Pertanto i ricercatori si trovano ad operare utilizzando ed animando pedagogicamente le agenzie educative, dalle biblioteche, agli oratori, al volontariato associazionistico culturale, pubblico e privato, in prospettive auspicabili e realizzabili positivamente, di senso compiuto, perché prodotto di interazione tra parti, per un passaggio di idee e un’intermediazione effettiva, efficiente ed efficace. La voce culturale e la memoria che scaturisce e si raccoglie nella scuola, attraverso di essa deve poi avere un suo deposito, un simbolo, una rappresentazione, senza essere lasciata solo al ricordo delle persone intervistate, dei testimoni o dei ricercatori, per cui si approntano i documenti in opuscoli, ingenti annuari, manuali di storia locale.

Seminare e diffondere valori, per ottenere un seguito di idee, retaggi di memorie significative nel tessuto sociale. Non militarizziamo la società! Vogliamo la pace con il tramite della memoria storica

I punti cardinali sono il ruolo educativo dei testimoni nella formazione e tradizione di una memoria collettiva di esperienze e documenti recuperati, considerando le figure pedagogiche dei testimoni e le questioni salienti dei processi di partecipazione: come partecipare, rendere partecipi a tali esperienze, tradotte in testimonianze, le giovani generazioni. Come passare e tramandare la memoria è il nodo del rapporto di formazione nella interazione tra memoria e storia, tra testimonianze e fonti di diverso tipo, per chiudere un cerchio ideale per giungere ad una trama di storia da proporre ai nostri giovani.

Il rapporto memoria e storia

I partigiani ammettono che è importante la memoria, perché aiuta a superare situazioni anche estremamente difficili collegate alle vicende, agli avvenimenti ed eventi inerenti la conquista della democrazia, vissuti in prima persona dagli ormai anziani e quasi tutti scomparsi testimoni per motivi biologici e anagrafici.

La memoria della Resistenza costituisce un ingente patrimonio morale, culturale, etico, da difendere e valorizzare perché, purtroppo, molte volte viene dimenticato, ignorato, in quanto rischia, sottovalutato di importanza, di cadere in oblio. Per cedere il posto alla violenza e a varie forme di violentismo e odio militare

Nella società italiana, insieme alla complessa memoria storica di quel periodo caratterizzato dalla lotta, dalla guerriglia partigiana di dignità, nella Resistenza, nel ripudio fascista alle leggi, alle regole, ai dettami di violenza e odio e disprezzo e prevaricazione del regime autarchico, la Resistenza ha portato il nostro Paese ai principi cardine della Costituzione e all’identità di Repubblica: questo non dobbiamo dimenticare. Sono valori sacri che devono essere portati a conoscenza e trasmessi soprattutto alle giovani generazioni per far comprendere il senso del sacrificio, l’impegno, le lotte per rivendicare la libertà, condotte per la democrazia, con la conseguente deportazione di parte del popolo italiano, militante nel movimento antifascista, nei campi di concentramento e sottocampi di sterminio e centinaia di migliaia di morti conoscenti, amici, compagni, partigiani, donne, bambini senza nome, senza età, senza sesso, senza più identità e dignità, ridotti a larve umane senza volto.

Oggi dobbiamo ricordare questo passato di terribile vergogna, di violenza e odio per impedire che il danno possa rivivere, ripresentificarsi, reiterarsi nella vita morale e politica del nostro Paese. Per questo dobbiamo impedire la militarizzazione della società. Impedire che l’esercito entri nel vasto mondo della formazione e dell’educazione

Anche nell’ultima campagna elettorale ANPI ed ANED hanno apportato l’esempio, con la loro fattiva presenza, dell’impegno, nell’importanza del ricordare e tramandare la memoria storica e il significato che rappresenta la militanza del popolo nella società italiana per la conquista della democrazia e della libertà. L’impegno fondamentale contemporaneo di tutte le forze politiche, morali, sindacali, culturali deve consistere nella difesa dei valori della Costituzione, il che significa mantenere fede al sacrificio di più di 65 milioni di uomini e donne, giovani e anziani, annientati e sacrificati per difendere la libertà, la democrazia a vantaggio delle giovani e future generazioni, durante la Seconda Guerra mondiale.

Lo spirito dell’antifascismo e l’anelito della Resistenza è ancora in gran parte presente nella coscienza della società, del popolo a livello associazionistico e di volontariato culturale per la pace contro la militarizzazione dei contesti sociali

Occorre tenere presente e far rivivere la memoria storica, ma soprattutto nell’impegno della difesa della Costituzione Repubblicana, che per il popolo italiano assume importante significato di libertà, democrazia, giustizia sociale: la nostra Costituzione è una delle più avanzate in tutta Europa e nel mondo. Per questo motivo le nuove generazioni devono conoscerla e rispettarla in un continuo rapporto dialogico con la memoria storica.

La generazione della Resistenza, che è sopravvissuta alla guerra, ha voluto testimoniare, tramandare le vicende, gli avvenimenti, mostrando così una grande attenzione nei confronti dei giovani per educarli alla pace in contrapposizione all’odio e al conflitto armato

Ma le generazioni intermedie dell’Italia Repubblicana hanno sicuramente subito un’interruzione di memoria. Improvvisamente ci si è resi conto di quanto fosse difficile coniugare la memoria individuale e collettiva con l’interpretazione e la narrazione storica che ha aperto nuovi problemi agli insegnanti, sfide innovative alla scuola.

Secondo Norberto Bobbio, il mestiere dell’insegnante è contemporaneamente terribile ed affascinante: terribile per le responsabilità che comporta; affascinante perché stabilisce il dialogo con le giovani generazioni, con il nuovo, il futuro, tra differenti contesti epocali e diverse identità sociali formatesi nell’evoluzione dei tempi

Per questo risulta un mestiere estremamente difficile. Gli insegnanti, tra gli intellettuali, sono coloro che più di tutti esercitano direttamente la funzione dell’autodidatta, perché molto spesso devono adattarsi a cambiamenti decisi altrove e studiare, intervenire ed aggiornarsi o meglio autoaggiornarsi per educare alla pace.

L’insegnante ha la responsabilità di ripudiare il militarismo come arma di formazione. Perché il militarismo è la fonte di tutti i mali e del male oscuro assoluto che è la guerra. Dobbiamo fare rispettare gli articoli di pace della Costituzione Repubblicana che è la più progressista e avanzata e innovativa del mondo



Oggi saremo in piazza al corteo contro il DDL Nordio/Piantedosi che costituisce un corpo organico di norme orientate a reprimere e criminalizzare la protesta sociale. È una legge fascistissima che sarà usata per impedire che il popolo italiano in futuro torni a difendere i propri diritti come fanno i francesi. È una legge contro lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini che se oseranno bloccare una strada per difendere
l’ospedale o il posto di lavoro saranno trattati come criminali mentre si fabbricano leggi a favore dei tangentisti e degli immobiliaristi. Col record di suicidi in carcere degli ultimi trent’anni non si pensa a renderle civili, ma si introduce il delitto di rivolta carceraria. Siamo stati e saremo in tutte le mobilitazioni contro un sistema di repressione pervicacemente anticostituzionale: il DDL sicurezza, o meglio paura, non deve essere approvato al Senato né così né con qualche modifica stilistica.
La protesta, la dialettica e il dissenso sono parte fondante e irrinunciabile della democrazia.
Questa deriva autoritaria disegnata da Piantedosi e dal governo Meloni va assolutamente fermata.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Gianluca Schiavon, responsabile giustizia Partito della Rifondazione Comunista



L’attacco della destra a Sigfrido Ranucci e a Report è l’ennesima conferma dell’intolleranza autoritaria che caratterizza il governo Meloni. Vogliono ridurre la RAI a un’emittente di regime e evidentemente non tollerano le inchieste di Report come ieri Berlusconi non tollerava Santoro, Biagi, Luttazzi e Travaglio. E sono talmente arroganti da dare pubblicamente ordini al servizio pubblico radiotelevisivo.
Togliere la tutela legale ai giornalisti di una trasmissione di inchiesta come Report significa impedire di fatto alla redazione di lavorare. Punire Ranucci togliendogli il grado di vicedirettore è una ritorsione inaccettabile da parte di un ceto politico che troppi sdoganano come post-fascista. Controllano la RAI, grazie alla legge vergognosa del PD di Renzi, hanno dalla loro parte Mediaset, ma non gli basta.
Solidarietà a Ranucci e a Report.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Stefania Brai, responsabile cultura del Partito della Rifondazione Comunista



Salutiamo con gioia la sentenza con cui il giudice del lavoro di Lanciano ha fatto giustizia condannando Stellantis a reintegrare la compagna Francesca Felice, lavoratrice dello stabilimento Sevel di Atessa (Ch).
Non possiamo tacere sul grave comportamento della Fim Cisl che si è resa complice della persecuzione di una lavoratrice dello Slai Cobas.

L’unità e la solidarietà della classe lavoratrice dovrebbe essere un principio ispiratore di tutte le organizzazioni sindacali.

Stellantis nel mentre penalizzava gli stabilimenti italiani non ha mai smesso di spremere lavoratrici e lavoratori (intensificando i ritmi di sfruttamento) e di portare avanti condotte antisindacali.

La crisi dell’industria del nostro paese non è responsabilità della classe operaia visto che è l’unica in Europa ad aver visto diminuire i salari. È il grande capitale, e la politica che lo asseconda, che sta impoverendo il nostro paese.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Viola Arcuri e Marco Fars, co-segretari regionali Abruzzo del Partito della Rifondazione Comunista



Oggi si sta svolgendo regolarmente lo sciopero generale indetto da Usb contro il governo, le politiche neoliberiste e la guerra.
Ha avuto successo la coraggiosa fermezza del sindacato di base che ha mantenuto lo sciopero in opposizione al solito ministro leghista Salvini che aveva disposto la precettazione illegittima dei lavoratori pubblici e dei trasporti riducendo da 24 a 4 le ore di sciopero.
Il Tar del lazio, accogliendo il ricorso di Usb, ha bocciato infatti il nuovo atto liberticida di Salvini perché totalmente arbitrario “in assenza della segnalazione della predetta Commissione” (di garanzia) e “tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia di pieno servizio”.
Ora il vicepresidente del governo di destra scarica la sua frustrazione contro i magistrati e continua la sua crociata contro il diritto di sciopero annunciando modifiche della legge che regolamenta gli scioperi in senso ancor più restrittivo; lo fa spacciandosi senza pudore come paladino dei cittadini contro il caos degli scioperi proprio mentre il governo taglia i servizi, per esempio nei trasporti, che lui millanta di voler difendere.
Ma, oltre alla democrazia, è l’insieme dei diritti ad esser sotto l’attacco portato avanti congiuntamente dalle politiche neoliberiste del governo e da un sistema di imprese basato su precarietà, bassi salari e sfruttamento.
Per questo, mentre sosteniamo lo sciopero odierno, ribadiamo con forza la necessità di un rilancio delle lotte e l’unificazione di tutto il mondo del lavoro pubblico e privato, delle organizzazioni sindacali e dei movimenti di lotta in una nuova grande stagione di lotte che rimetta al primo posto i diritti dei cittadini e la dignità del lavoro
Intanto oggi per il Prc, per le lavoratrici e i lavoratori e per chi ha a cuore i diritti sanciti dalla Costituzione, il diritto di sciopero è tra questi, oggi è una buona giornata.

Maurizio Acerbo segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea



Sono passati già dieci anni da quel 14 dicembre 2014 eppure sembra ieri che a chi l’andava a trovare nella sua casa in via Urbana al rione Monti Bianca chiedeva un’ultima sigaretta come una condannata a morte prima della fucilazione, ma per sicurezza teneva sotto il cuscino ben nascosta una stecca di Stop senza filtro ormai introvabili che fumava solo lei. Sia mai rimanere senza. Se ne è andata in una nuvola di fumo in attesa di diventare cenere come i capelli che non tingeva più e come lo sguardo che fino all’ultimo ti inceneriva se gli dicevi che la situazione è impossibile, i compagni sono stanchi e rassegnati, ormai non c’è più nulla da fare.

“C’è sempre qualcosa da fare. E bisogna fare quello che serve, non quello che ci piace” rispondeva. “Poi se te lo fai piacere è meglio”.

A Bianca la politica e la vita piacevano molto; all’unisono, coincidenti. E di vita e di fasi politiche ne ha vissute molte. Più delle sette che sembra spettino ai suoi amatissimi gatti.

Bambina che affronta la scomparsa prematura della mamma. Dodicenne che all’idraulico gappista venuto a riparare il lavello in cucina dice di essere disponibile a arruolarsi nei partigiani a condizione che gli diano un’arma: una colt possibilmente. Giovane che prova a scappare con un cavallerizzo zingaro che lavorava in un circo transitante a Pisa, la sua città natale. Contadina alla guida del trattore e poi operaia nella fabbrica del padre contro il quale organizza gli scioperi per gli aumenti salariali. Studentessa a Parigi, allora capitale della moda che gli lascia una particolare eleganza dove va a assistere alle lezioni alla Sorbona di Jean Paul Sartre. Poi si innamora di Roma che racconta negli articoli di cronaca di Paese sera, giornalista senza firma come si usava allora quando l’importante era il lavoro collettivo. Militante e dirigente del Pci, componente della CCC, la rocciosa commissione centrale di controllo presieduta da Giancarlo Pajetta che morì di crepacuore per lo scioglimento del Partito Comunista. Fondatrice di Rifondazione Comunista entusiasta di ripartire in mezzo a tanti vecchi compagni e giovani e giovanissimi comunisti., ragazzi e ragazze che la entusiasmarono nell’assemblea del Brancaccio. E poi per oltre venti anni una delle compagne più amate sia dentro che fuori del partito. Amore ricambiato in particolare per la Federazione Romana che stava sempre al centro delle sue preoccupazioni perché gliene davamo molte, e per la quale, se fosse stata più giovane, sarebbe stata una formidabile e trascinante segretaria. Impegnata sempre assiduamente nella formazione dei giovani con corsi e dispense collettive che illustravano la Repubblica Romana di Garibaldi e Mazzini, La Resistenza romana nell’Ottava Zona, il brigantaggio e il coraggio delle brigantesse ciociare. Una colonna dell’Anpi di Roma insieme a Tina Costa, inseparabile amica che a differenza di lei, pessima cuoca, cucinava benissimo.

Sembra ieri che è fumata via, cha abbiamo lanciato le sue ceneri a Ponte Mammolo nell’Aniene in un atto illegale come sarebbe piaciuto a lei. Sembra ieri perché in realtà non ci ha mai lasciato. Vive nella nostra coscienza. Con discreta eleganza, ma con grande classe: la sua, la nostra.

Le compagne e i compagni della Federazione Romana.



PREFETTURA DI LIVORNO CHIARISCA, ANCHE SU TRASPARENZA, PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI ALLA REDAZIONE DEL PIANO ED ESERCITAZIONI.

PAESE MOLTO ARRETRATO SU CONCRETA APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUGLI IMPIANTI A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE

Gli attivisti della Rete No Gas hanno evidenziato poco fa una situazione incresciosa che riguarda il Piano di Emergenza Esterno della Raffineria ENI di Livorno – Collesalvetti. Il piano, così come presentato sul sito del Comune, sarebbe stato aggiornato l’ultima volta nel 2017 e quindi sarebbe scaduto da ben 4 anni in quanto la legge obbliga ad aggiornarlo al massimo ogni tre anni.

Inoltre appare letteralmente incredibile che nell’era digitale il comune inviti i cittadini a consultare il piano andando in prefettura fisicamente negli orari di apertura.

I cittadini che abitano attorno alla Raffineria dovrebbero conoscere a menadito il Piano perché devono sapere come comportarsi in caso di incidente. Quindi, come accade in altre realtà, non solo il Piano dovrebbe essere disponibile su tutti i siti istituzionali ma dovrebbe essere adeguatamente pubblicizzato.

Siamo andati sul sito WEB della Prefettura di Livorno e lì non siamo riusciti a trovare proprio nulla, anche per tutti gli altri impianti a rischio di incidente rilevante della Provincia.

Il piano deve essere elaborato con la popolazione, come prescrive la legge, e usato per fare periodiche esercitazioni. Qui l’ultima sarebbe quella del 2018!

Purtroppo nel nostro paese dobbiamo constatare un’applicazione assai disinvolta delle normative sugli impianti a rischio di incidente rilevante e fa specie che troppo spesso siano proprio le prefetture ad essere inadempienti, come abbiamo rilevato anche in altre regioni. Le lacrime di coccodrillo non servono a nulla e anzi diventano particolarmente irritanti davanti alle continue tragedie che avvengono in questi siti che dovrebbero essere super controllati.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Marco Chiuppesi, segretario della federazione di Livorno del Partito della Rifondazione Comunista

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Il Tar ha sospeso l’ordinanza di Salvini che imponeva la riduzione dello sciopero del trasporto pubblico a 4 ore.

Il ministro dovrebbe smetterla con le sue campagne antisindacali. Sono lavoratrici e lavoratori che decidono se scioperare o meno. Il governo la smetta di attaccare un diritto sancito dalla Costituzione.

Rifondazione Comunista sostiene lo sciopero indetto dall’Usb che ha una piattaforma che condividiamo, a partire dal no alla guerra e all’aumento delle spese militari.

Dopo lo sciopero generale del 29 ottobre anche l’USB sciopera contro la manovra del governo.

Auspichiamo il successo dello sciopero perché è ora di dire basta alla perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni, alla precarizzazione del lavoro, ai tagli allo stato sociale, alle privatizzazioni.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



Dopo la sentenza della Consulta sui ricorsi di incostituzionalità della legge 86/2024, che la dichiara illegittima sui punti fondamentali, oggi la Cassazione dà il via libera al referendum abrogativo dell’intera legge Calderoli.
È un giorno importante per tutti coloro che da anni lottano con tenacia contro lo smembramento del Paese, per il milione e trecentomila cittadini/e che hanno firmato per cancellare una legge vergognosa.
Sgombrato il campo da dubbi tentativi di modifiche parziali, ora aspettiamo la pronuncia definitiva della Corte Costituzionale sull’ammissibilità, prevista entro il 20 gennaio.
Il Governo Meloni riceve un’altra sonora sconfitta, su un punto importante del patto scellerato su cui regge la sua maggioranza.
Con i comitati contro ogni autonomia differenziata, con il comitato referendario per l’abrogazione totale, ci prepariamo alla campagna referendaria di primavera per il Sì.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e
Tonia Guerra, responsabile campagna NO Autonomia Differenziata Partito della Rifondazione Comunista



di Paolo Ferrero dal Fatto Quotidiano - Il vincitore militare della guerra lampo in Siria è Abu Mohamed al Golani, il capo di Hayat Tahir al Sham. Golani è nato in Arabia Saudita nel 1982, del 2003 ha aderito ad “al Qaeda Iraq” ed è stato messo in galera dagli statunitensi ad Abu Graib e [...]


Criminalizzare il dissenso, la protesta e la disobbedienza rendendoli reato rappresenta uno dei più gravi attacchi ai diritti fondamentali, ad uno dei pilastri della democrazia: il diritto di manifestare e dissentire. Il ddl cosiddetto sicurezza non vuole mettere al sicuro i cittadini, ma chi detiene il potere per metterlo al riparo da ogni tipo di [...]


Il servizio del Tg3, andato oggi in onda nelle edizioni delle 14,20, ha confermato quanto ho denunciato immediatamente. In un impianto ENI inserito nella Direttiva Seveso III a effettuare le operazioni di carico delle autobotti non sono lavoratori specializzati con contratto dei chimici ma gli stessi camionisti. Per questo sono morti loro. Su questa gravissima circostanza presenterò un esposto all’autorità giudiziaria nelle prossime ore.

Gli autotrasportatori sono stati ammazzati da un sistema che scarica su di loro le operazioni di carico ad alto rischio.

A Calenzano, come ovunque in Italia, anche negli impianti Eni, si è risparmiato sui costi del personale per il carico facendo fare direttamente ai camionisti un lavoro per il quale non hanno quasi sempre una formazione specifica né tanto meno opportuna copertura assicurativa. Questo sistema, che coinvolge anche una grande società come Eni, crea una situazione di altissimo rischio considerato che così si gestiscono quasi ovunque in Italia materiali infiammabili e tossici

Si tratta di una cosa che in Germania, in Francia e gran parte d’Europa non accade: in altri paesi l’autotrasportatore consegna il mezzo agli operatori e ci risale sopra dopo che il personale ha concluso le operazioni. Per assicurarsi i contratti le ditte di trasporti accettano di farsi carico di queste operazioni e così fanno anche i padroncini che, essendo cottimisti e subordinati, sono di fatto l’anello debole della catena dei subappalti, costretti a lavorare perennemente nella fretta.
È molto grave che ENI non abbia ancora fornito informazioni al riguardo. Le autorità competenti dovrebbero appurare immediatamente se queste sono le circostanze della strage. Non accetto che si parli di errore umano perché, se quanto mi riferiscono camionisti è vero, degli onesti lavoratori sono morti a causa di un sistema che fa profitti sulla loro pelle. Siamo di fronte a omicidi bianchi di cui portano la responsabilità non solo l’ENI e tutte le autorità che avrebbero dovuto garantire la sicurezza. Ci rendiamo conto che questo sistema operava in un sito ad altissima pericolosità e che l’esplosione estendendosi a tutto l’impianto avrebbe potuto provocare un disastro ancor più devastante? Credo che l’autorità giudiziaria dovrebbe verificare se quanto ho appreso corrisponda al vero e inviterei le procure a estendere i controlli a tutta Italia. Non è tollerabile che in impianti che rientrano nella direttiva Seveso, o comunque ad alta pericolosità, si consentano operazioni di carico senza personale specializzato. Mi dicono che in qualche caso il personale ci sarebbe ma si tratterebbe non di lavoratori inquadrati nel contratto dei chimici ma di cooperative sociali.
La situazione che denuncio dicono che sia normale ma non lo è se Oltralpe accade il contrario. Il fatto che in questa condizione si trovano quotidianamente gli autotrasportatori italiani rende l’idea di quale sia il rispetto per le condizioni di sicurezza di chi lavora nel nostro paese. Approfittando di una normativa non chiara per quanto riguarda le competenze di caricatori e trasportatori le imprese si sono scaricate i costi relativi alla gestione di questa situazione di rischio.
Ai familiari delle vittime e dei dispersi la solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista

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Posso oggi confermare quanto ho scritto ieri nel mio precedente comunicato.

Gli autotrasportatori sono stati ammazzati da un sistema che scarica su di loro le operazioni di carico ad alto rischio.
In un impianto ENI inserito nella Direttiva Seveso a effettuare le operazioni di carico delle autobotti non sono lavoratori specializzati con contratto dei chimici ma i camionisti. Per questo sono morti loro.
A Calenzano, come ovunque in Italia, anche negli impianti Eni, si è risparmiato sui costi del personale per il carico facendo fare direttamente ai camionisti un lavoro per il quale non hanno quasi sempre una formazione specifica né tanto meno opportuna copertura assicurativa. Questo sistema, che coinvolge anche una grande società come Eni, crea una situazione di altissimo rischio considerato che così si gestiscono quasi ovunque in Italia materiali infiammabili e tossici

Si tratta di una cosa che in Germania, in Francia e gran parte d’Europa non accade: in altri paesi l’autotrasportatore consegna il mezzo agli operatori e ci risale sopra dopo che il personale ha concluso le operazioni. Per assicurarsi i contratti le ditte di trasporti accettano di farsi carico di queste operazioni e così fanno anche i padroncini che, essendo cottimisti e subordinati, sono di fatto l’anello debole della catena dei subappalti, costretti a lavorare perennemente nella fretta.
È molto grave che ENI non abbia ancora fornito informazioni al riguardo. Le autorità competenti dovrebbero appurare immediatamente se queste sono le circostanze della strage. Non accetto che si parli di errore umano perché, se quanto mi riferiscono camionisti è vero, degli onesti lavoratori sono morti a causa di un sistema che fa profitti sulla loro pelle. Siamo di fronte a omicidi bianchi di cui portano la responsabilità non solo l’ENI e tutte le autorità che avrebbero dovuto garantire la sicurezza. Ci rendiamo conto che questo sistema operava in un sito ad altissima pericolosità e che l’esplosione estendendosi a tutto l’impianto avrebbe potuto provocare un disastro ancor più devastante? Credo che l’autorità giudiziaria dovrebbe verificare se quanto ho appreso corrisponda al vero e inviterei le procure a estendere i controlli a tutta Italia. Non è tollerabile che in impianti che rientrano nella direttiva Seveso, o comunque ad alta pericolosità, si consentano operazioni di carico senza personale specializzato. Mi dicono che in qualche caso il personale ci sarebbe ma si tratterebbe non di lavoratori inquadrati nel contratto dei chimici ma di cooperative sociali.
La situazione che denuncio dicono che sia normale ma non lo è se Oltralpe accade il contrario. Il fatto che in questa condizione si trovano quotidianamente gli autotrasportatori italiani rende l’idea di quale sia il rispetto per le condizioni di sicurezza di chi lavora nel nostro paese. Approfittando di una normativa non chiara per quanto riguarda le competenze di caricatori e trasportatori le imprese si sono scaricate i costi relativi alla gestione di questa situazione di rischio.
Ai familiari delle vittime e dei dispersi la solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista



Non erano passate neanche 48 ore dalla fine dal regime di Assad e Italia, Austria, Germania e Regno Unito, già avevano deciso di sospendere le richieste di asilo. Ora che gli jihadisti di Al Qaeda hanno preso Damasco la Siria sarebbe diventata un paese sicuro dove si rispettano i diritti umani? Le milizie jihadiste finanziate da Turchia, Usa, petromonarchie e chissà quanti alleati del cd “mondo libero” oggi parlano di liberazione, ma quale è il futuro che attende la popolazione siriana in tutte le sue complesse componenti? Non lo sappiamo, nessuno può saperlo, ma intanto, col cinismo tipico delle post democrazie europee, si è deciso di sospendere le richieste d’asilo per uomini e donne che dalla Siria sono fuggiti. Questo dopo che, dal 2016, l’UE ha regalato miliardi di euro al regime di Erdogan, per trasformare la Turchia in un carcere a cielo aperto per siriani e non solo, tentando di fermare chi cercava scampo nei Paesi dell’Unione. Facciamo presente che oggi la Siria è nella stessa situazione della Libia nel 2011 con distruzioni ancor maggiori e la presenza di diverse milizie di fondamentalisti, nonché di truppe straniere provenienti da vari paesi. Nel nord è in atto l’attacco di jihadisti e turchi contro i curdi. La scelta dei governi europei di sospendere diritto di asilo è un atto di sciacallaggio vero e proprio che distrugge ogni vincolo del diritto internazionale, che dimostra, per l’ennesima volta, come le guerre costituiscano il paradigma strutturale di questa Europa, capace di armare chi fa comodo e contemporaneamente di distruggere chi lotta per la sopravvivenza. Che nessuno si azzardi a costringere, chi non lo vuole, a tornare in quei luoghi che dal 2011 sono macellerie in cui diversi carnefici si sono avvicendati. Chi propone tale scelta è da considerarsi complice della distruzione del diritto d’asilo e di crimini contro l’umanità. Perchè tutta questa fretta?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione PRC-S.E

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Antonello Patta*

Andrea Ilari**

La vicenda dei precari del Cnr può essere assunta per tante regioni a metafora di un paese il cui futuro è messo in crisi da politiche che sprecano risorse e competenze pubbliche straordinarie mentre distruggono la vita delle persone.
Nel CNR ci sono 4000 precari della ricerca giovani e meno giovani, assegnisti e tempi determinati. Questi uomini e queste donne si sono laureati e molti di loro (quelli che lavorano nella ricerca) hanno conseguito il dottorato. Sono tutti formati per lavorare nel campo della ricerca e sviluppo. Poiché i governi italiani in modo miope investono poco nella ricerca molti di loro vanno a lavorare all’estero. Un sondaggio informale promosso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel 2021 tra le diverse Sedi diplomatiche italiane ha contato circa 33mila ricercatori italiani all’estero. Il gruppo più grande è quello degli Stati Uniti, dove è stimato lavorino più di 15.000 scienziati italiani. Quindi con i soldi delle nostre tasse formiamo giovani ricercatori che poi saranno accolti da altri paesi dove le condizioni di lavoro sono senz’altro migliori.
Parte dei soldi del PNRR, una piccolissima parte sono stati spesi in ricerca e sviluppo e sono stati assunti molti ricercatori a tempo determinato con la promessa di una futura stabilizzazione, ma alle promesse come spesso accade non ha fatto seguito nessuna azione concreta. Non solo; la bozza della legge di bilancio prevede un blocco del 25 % del turn over e un aumento dell’età pensionabile che ridurrebbero ulteriormente le possibilità di impiego dei lavoratori del CNR. È in risposta a tutto ciò che ha ripreso vita il movimento precari uniti del CNR che ha cominciato a mettere in atto delle azioni di protesta.
Il 28 novembre 2024 le OO.SS. FLC CGIL e Federazione UIL Scuola RUA, insieme al movimento dei Precari Uniti, hanno indetto un’assemblea nazionale dei precari del CNR. L’evento ha registrato una partecipazione così straordinaria , sia precari che strutturati, provenienti da tutta Italia, che l’incontro, è stato spostato in uno spazio più grande dove si sono visti anche numerosi esponenti politici e rappresentanti degli organi di stampa.
Dietro questa grande spinta dal basso FLC CGIL e Federazione UIL Scuola RUA hanno rinnovato con forza la richiesta alla Presidente di avviare una ricognizione puntuale dei lavoratori precari in possesso dei requisiti previsti dalla normativa Madia (Dlgs 75/2017) per dare seguito al processo di stabilizzazione. Cosa possibile solo con un cambio di rotta rispetto alle previsioni contenute nella prossima Legge di Bilancio, che taglia fondi e personale.
La Presidente, dopo un breve e iniziale incontro avvenuto nell’atrio del CNR con le OO.SS. e una rappresentanza dei lavoratori precari, ha dichiarato che l’Ente, al momento, non intende procedere con le stabilizzazioni.
Questa posizione, ritenuta insufficiente e inaccettabile dall’assemblea, ha portato alla decisione di proseguire la mobilitazione, proclamando un’assemblea permanente presso il CNR. L’obiettivo è ottenere risposte chiare e concrete, sia dalla Presidente sia dal Governo, per porre fine alla condizione di precarietà che mina la dignità dei lavoratori del CNR.
Con questi obiettivi la lotta, con il presidio sulla scalinata della sede centrale del CNR, continua, forte della solidarietà delle lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato della CGIL e della UIL e del sostegno manifestato dal segretario della CGIL Maurizio Landini e dalla segretaria dell’FLC CGIL Gianna Fracassi
Come Prc sosteniamo questa lotta che rappresenta un esempio importante per i milioni di lavoratrici e lavoratori assunte/i con contratti precari, bassi salari e scarse tutele; sono ben 3 milioni in Italia, 500 mila nel pubblico, gli occupati a termine impiegati in tutti i settori pubblici e privati e considerati oramai come un fenomeno fisiologico nonostante le scarse tutele e i bassi salari con retribuzioni medie intorno ai 10 mila euro.

Numeri che fanno ben capire l’importanza della costruzione di un fronte di lotta di tutto il vario mondo dellle lavoratrici e dei lavoratori precari, un passaggio decisivo per la riunificazione di tutto il mondo del lavoro contro questo governo che continua a portare avanti le politiche neoliberiste che hanno frantumato la classe in lavoratori di serie A e di serie B per ridurre salari e diritti di tutte e tutti.

*responsabile nazionale lavoro del Prc
*Primo ricercatore del CNR, Direttivo FLC-CGIL Rieti-Roma Est -Valle dell’Aniene



I seminari autunno-invernali di Rifondazione - 6 Le classi sociali nell’Italia di oggi Pier Giorgio Ardeni discussant: Loris Caruso Tania Toffanin Marco Fama Lunedì 9 dicembre 2024 Cinquant’anni fa Paolo Sylos Labini pubblicò il “Saggio sulle classi sociali”, un libro che rivoluzionò l’idea stessa della struttura sociale italiana, mettendo in luce come negli anni del [...]