Salta al contenuto principale


[escursioni] -ottimo taglio. Donne elegantissime

alle 2,45 a.m. buttano le bottiglie di vetro la spazzatura non calcolano la traiettoria] di notte vociare persone che fischiano la roba buona i tarocchi [auto con musica alta sotto la finestra anche] in bicicletta contro auto in sosta variabile i cani [dei condomìni lontani abbaiano per primi degli dei] ora occupato la pazienza la verde Q8 esaurite


noblogo.org/lucazanini/escursi…



Laura Marling - Once I Was An Eagle (2013)


immagine

Negli ultimi cinque anni, la musicista inglese Laura Marling ha inciso quattro album, nulla di straordinario si potrà pensare, ebbene, questa cantautrice ha 23 anni e il suo primo lavoro l'ha pubblicato a soli 18 anni. Se nei primi dischi era inevitabilmente espressa una certa ingenuità, con questo quarto album, la Marling affina la sua musica in modo sottile e discreto. Once I Was an Eagle è un album molto intimo, dove anche i momenti più profondi e le sensazioni personali vengono espresse in maniera semplice, con un senso elegante, consapevole ed intenso. Il suono è tipicamente folk, principalmente chitarre acustiche, pianoforti, archi e percussioni, tutti estremamente misurati con uno stile molto sommesso e silenzioso... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/1440824439



noblogo.org/available/laura-ma…


Laura Marling - Once I Was An Eagle (2013)


immagine

Negli ultimi cinque anni, la musicista inglese Laura Marling ha inciso quattro album, nulla di straordinario si potrà pensare, ebbene, questa cantautrice ha 23 anni e il suo primo lavoro l'ha pubblicato a soli 18 anni. Se nei primi dischi era inevitabilmente espressa una certa ingenuità, con questo quarto album, la Marling affina la sua musica in modo sottile e discreto. Once I Was an Eagle è un album molto intimo, dove anche i momenti più profondi e le sensazioni personali vengono espresse in maniera semplice, con un senso elegante, consapevole ed intenso. Il suono è tipicamente folk, principalmente chitarre acustiche, pianoforti, archi e percussioni, tutti estremamente misurati con uno stile molto sommesso e silenzioso... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/1440824439


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




QOELET - Capitolo 10


Sapienza, follia e stoltezza1Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere: un po' di follia ha più peso della sapienza e dell'onore.2Il cuore del sapiente va alla sua destra, il cuore dello stolto alla sua sinistra.3E anche quando lo stolto cammina per strada, il suo cuore è privo di senno e di ognuno dice: “Quello è un pazzo”.4Se l'ira di un potente si accende contro di te, non lasciare il tuo posto, perché la calma pone rimedio a errori anche gravi.

5C'è un male che io ho osservato sotto il sole, uno sbaglio commesso da un sovrano: 6la stoltezza viene collocata in posti elevati e i ricchi siedono in basso. 7Ho visto schiavi andare a cavallo e prìncipi camminare a piedi, per terra, come schiavi.8Chi scava una fossa vi può cadere dentro e chi abbatte un muro può essere morso da una serpe.9Chi spacca pietre può farsi male e chi taglia legna può correre pericoli.10Se il ferro si ottunde e non se ne affila il taglio, bisogna raddoppiare gli sforzi: il guadagno sta nel saper usare la saggezza. 11Se il serpente morde prima d'essere incantato, non c'è profitto per l'incantatore.12Le parole del saggio procurano stima, ma le labbra dello stolto lo mandano in rovina:13l'esordio del suo parlare è sciocchezza, la fine del suo discorso pazzia funesta.14L'insensato moltiplica le parole, ma l'uomo non sa quello che accadrà: chi può indicargli ciò che avverrà dopo di lui?15Lo stolto si ammazza di fatica, ma non sa neppure andare in città.

Il potere e i suoi rischi16Povero te, o paese, che per re hai un ragazzo e i tuoi prìncipi banchettano fin dal mattino!17Fortunato te, o paese, che per re hai un uomo libero e i tuoi prìncipi mangiano al tempo dovuto, per rinfrancarsi e non per gozzovigliare.18Per negligenza il soffitto crolla e per l'inerzia delle mani piove in casa.19Per stare lieti si fanno banchetti e il vino allieta la vita, ma il denaro risponde a ogni esigenza.20Non dire male del re neppure con il pensiero e nella tua stanza da letto non dire male del potente, perché un uccello del cielo potrebbe trasportare la tua voce e un volatile riferire la tua parola.

_________________Note

10,20 un uccello del cielo: l’immagine dell’uccello propagatore di notizie appartiene alla sapienza popolare antica.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 5-20. Nel passo 10,5-20 si delinea una inclusione (5s. e 20) che incornicia due parti simmetriche e parallele (7-10 e 16-19), le quali a loro volta racchiudono un nucleo centrale a struttura parallela (11-15).

vv. 5-6.20. L'introduzione afferma che una parte del male di cui si fa esperienza dipende dagli errori di chi sta al potere. Notiamo che lo stesso concetto di male ricompare alla fine del v. 13, ovvero alla metà esatta del nucleo centrale, così da periodizzare l'intera pericope qualificandola in termini di negatività. Tuttavia, se in 5-6 l'autore riportava una riflessione alquanto amareggiata sugli errori di chi è al potere, in 20 sembra mettersi la mano sulla bocca, perché è troppo pericoloso parlar male di chi è potente e ricco.

vv. 7-10.16-19. Nei vv. 8-9 viene sottolineato il rischio inerente a ogni forma di agire in situazione, e nel v. 18 all'inverso il rischio inerente all'inazione. Nel v. 10 la sapienza è paragonata a un utensile di ferro, e così se ne evidenzia la potenza; al tempo stesso però si dichiara la necessità ché tale strumento sia davvero utile e vantaggioso: è l'efficacia pratica, il vantaggio, che ne decreta il successo. Dunque è l'aspetto dinamico della sapienza che vien messo in risalto, poiché una sapienza statica, stabilita e formalizzata, diventa subito un ferro smussato, non più adatto a interpretare la realtà in modo efficace e costringe il suo possessore a faticare invano.

vv. 11-15. Osserviamo dei personaggi negativi che svolgono azioni lesive con la loro sfera orale: il serpente morde (11), le labbra dell'idiota rovinano qualcuno (12), lo stolto moltiplica le parole (14); l'attività ('ămal) degli stolti che stanca qualcuno (15) può dunque essere intesa nel senso di «logorrea», rimanendo così sempre nell'ambito di un “parlare” connotato negativamente.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



Rete criminale organizzata albanese smantellata


https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983851Una serie di perquisizioni in Albania, nei giorni scorsi, ha portato all'arresto di 10 presunti membri di una rete criminale organizzata albanese coinvolta nel traffico di cocaina e nel riciclaggio di denaro. La rete, che aveva legami con organizzazioni internazionali, è stata presa di mira dalle forze dell'ordine albanesi in coordinamento con Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi.https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983853

Durante l'operazione, le autorità hanno sequestrato ingenti beni, tra cui immobili, veicoli e azioni di società per un valore di diversi milioni di euro. L'indagine ha inoltre portato alla luce una serie di prove fisiche e digitali, inclusi i dati della piattaforma di comunicazione criptata Sky ECC, che è stata disattivata nel 2021 ma ha comunque prodotto risultati operativi.

Il capo della rete era coinvolto nell'organizzazione di spedizioni e nell'investimento in grandi quantità di cocaina, ed era ricercato per una condanna a 21 anni di carcere emessa da un tribunale italiano per omicidio e altri reati. L'operazione ha segnato un successo basato sui dati: gli investigatori hanno ricostruito consegne di tonnellate di cocaina verso i porti dell'UE e sequestrato milioni di euro di beni.

#SKYECC #criminalitàalbanese


noblogo.org/cooperazione-inter…


Rete criminale organizzata albanese smantellata


Rete criminale organizzata albanese smantellata


https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983851Una serie di perquisizioni in Albania, nei giorni scorsi, ha portato all'arresto di 10 presunti membri di una rete criminale organizzata albanese coinvolta nel traffico di cocaina e nel riciclaggio di denaro. La rete, che aveva legami con organizzazioni internazionali, è stata presa di mira dalle forze dell'ordine albanesi in coordinamento con Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi.https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983853

Durante l'operazione, le autorità hanno sequestrato ingenti beni, tra cui immobili, veicoli e azioni di società per un valore di diversi milioni di euro. L'indagine ha inoltre portato alla luce una serie di prove fisiche e digitali, inclusi i dati della piattaforma di comunicazione criptata Sky ECC, che è stata disattivata nel 2021 ma ha comunque prodotto risultati operativi.

Il capo della rete era coinvolto nell'organizzazione di spedizioni e nell'investimento in grandi quantità di cocaina, ed era ricercato per una condanna a 21 anni di carcere emessa da un tribunale italiano per omicidio e altri reati. L'operazione ha segnato un successo basato sui dati: gli investigatori hanno ricostruito consegne di tonnellate di cocaina verso i porti dell'UE e sequestrato milioni di euro di beni.

#SKYECC #criminalitàalbanese


Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.





✍️Ho pensato di farmi un regalo, perché credo sia giunto il momento di dedicarmi un pensiero, un tramonto, un' alba o semplicemente di aprire il mio cuore a colei che in tutti questi anni non ho ascoltato, ho emarginato e talvolta ho dimenticato! E allora... Cara me, È arrivato il momento, il giorno, il traguardo, lo stesso di 10 anni fa, ovviamente cambia molto... è passato un decennio, mezzo secolo di vita, così riaffiorano ricordi, pensieri, emozioni, bilanci e qualche fragilità. Gli anni sono passati, veloci, a volte lenti, difficili, tristi e malinconici, poche, ma uniche volte sereni e felici, ma li ho vissuti, li ho assaporati al meglio! Ci sono ricordi che non bussano, invece costantemente si presentano come onde agitate di un mare in tempesta o venti freddi, da una finestra volutamente lasciata socchiusa. Improvvisamente un rumore, un odore, un silenzio, ti riportano in quella stanza, da quella voce che non hai più sentito, da quel dolore che hai sempre nascosto! È strano che ritorni proprio adesso, come se fin'ora nn abbia avuto il coraggio di lasciarlo andare! Spesso il passato continua ad avere potere su di noi, ma non è il passato che ci blocca, ma il modo in cui lo guardiamo, così pensiamo che potevamo essere più forti e magari sbagliare di meno!

Ma cara me, oggi sei un’altra persona, perché hai affrontato giornate difficili, hai visto cose che non volevi vedere e hai raggiunto una consapevolezza, che ti stai cucendo giorno dopo giorno, una nuova voce che può parlare a quella te di ieri, rassicurandola che andrà tutto bene .. Fin'ora insieme abbiamo cercato di tenere insieme i pezzi del puzzle...oggi lo possiamo completare, dando nuova forma al passato e dando senso alla nostra storia. E in questo sta la guarigione, nel non dimenticare, ma nel ricominciare ! Così, finalmente un giorno, potremo ripensare, guardarci indietro senza abbassare lo sguardo, senza versare lacrime, senza provare dolore o tristezza perché in fondo quel dolore, quei momenti difficili, non ci hanno spezzate, ma rese diversamente forti, fragili, sensibili e ancora vive per lottare insieme e proseguire il racconto della nostra vita. Perché mia cara, piccola me, io sono cresciuta, ma è solo insieme che possiamo continuare a vivere, sopravvivere ed amare il nostro mondo, i nostri cari, le nostre debolezze! Ti voglio tanto bene!

IMG-20250813-070911.jpg


noblogo.org/magia/ho-pensato-d…



[vortex]o visionare l'idonea [Kubíček resiste alle alte preso] in disparte è come k come] sigla dell'altoforno dove] a Boston c'è la neve maglie regolari sistema di quartieri a U migliora] il rendimento il] primo inverno della modernità a [formula M


noblogo.org/lucazanini/vortex-…



QOELET - Capitolo 9


Tutto è nelle mani di Dio1A tutto questo mi sono dedicato, ed ecco tutto ciò che ho verificato: i giusti e i sapienti e le loro fatiche sono nelle mani di Dio, anche l'amore e l'odio; l'uomo non conosce nulla di ciò che gli sta di fronte.2Vi è una sorte unica per tutti: per il giusto e per il malvagio, per il puro e per l'impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per chi è buono e per chi è cattivo, per chi giura e per chi teme di giurare.3Questo è il male in tutto ciò che accade sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti e per di più il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza dimora in loro mentre sono in vita. Poi se ne vanno fra i morti. 4Certo, finché si resta uniti alla società dei viventi, c'è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto. 5I vivi sanno che devono morire, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, è svanito il loro ricordo. 6Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.7Su, mangia con gioia il tuo pane e bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere.8In ogni tempo siano candide le tue vesti e il profumo non manchi sul tuo capo.9Godi la vita con la donna che ami per tutti i giorni della tua fugace esistenza che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua parte nella vita e nelle fatiche che sopporti sotto il sole. 10Tutto ciò che la tua mano è in grado di fare, fallo con tutta la tua forza, perché non ci sarà né attività né calcolo né scienza né sapienza nel regno dei morti, dove stai per andare.

L’uomo non conosce neppure la sua ora11Tornai a considerare un'altra cosa sotto il sole: che non è degli agili la corsa né dei forti la guerra, e neppure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza, e nemmeno degli intelligenti riscuotere stima, perché il tempo e il caso raggiungono tutti. 12Infatti l'uomo non conosce neppure la sua ora: simile ai pesci che sono presi dalla rete fatale e agli uccelli presi al laccio, l'uomo è sorpreso dalla sventura che improvvisa si abbatte su di lui.

La sapienza del povero è disprezzata13Anche quest'altro esempio di sapienza ho visto sotto il sole e mi parve assai grave: 14c'era una piccola città con pochi abitanti. Un grande re si mosse contro di essa, l'assediò e costruì contro di essa grandi fortificazioni. 15Si trovava però in essa un uomo povero ma saggio, il quale con la sua sapienza salvò la città; eppure nessuno si ricordò di quest'uomo povero. 16Allora io dico: “È meglio la sapienza che la forza, ma la sapienza del povero è disprezzata e le sue parole non sono ascoltate”.17Le parole pacate dei sapienti si ascoltano meglio delle urla di un comandante di folli.18Vale più la sapienza che le armi da guerra, ma un solo errore può distruggere un bene immenso. _________________Note

9,5 i morti non sanno nulla: come il libro di Giobbe e come molti salmi, anche il libro di Qoèlet testimonia la concezione di una esistenza al di là della morte, ma una esistenza di ombre, prive di vita e di ricordi. Vedi Gb 3,17 e nota.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-12. Qoelet continua il suo riflettere riproponendo a se stesso e al suo interlocutore il problema della retribuzione, visto nella prospettiva di una speciale protezione accordata da Dio a chi è giusto e saggio (v. 1). Ora tale protezione non è un dato confermato dall'esperienza, ché anzi la morte, certezza ineludibile per ognuno, toglie significatività alle differenze tra gli uomini (v. 2). Il fatto che tutti gli uomini, senza differenza, vengano colpiti dalla morte, è visto come un male. E il colmo è che gli uomini vivono come se non dovessero morire, pieni di male e di follia, e poi, all'improvviso se ne vanno tra i morti (v. 3). Come attesta un proverbio, non c'è nessuna buona ragione per preferire la morte alla vita (v. 4). Tutto il v. 5 gravita intorno al problema conoscitivo. I primi due membri compongono un parallelismo antitetico intorno al “conoscere” attivo: i vivi sanno almeno che moriranno, i morti non sanno nulla. I secondi due membri negano pure la conoscenza passiva dei morti, che sarebbe quanto meno una piccola ricompensa: invece anche il loro ricordo viene dimenticato, e allo stesso modo con la morte finisce anche il mondo degli affetti (v. 6). Con un brusco salto l'autore afferma: «Dio ha già gradito le tue opere», senza tuttavia dare alcun criterio in base al quale riconoscere la giustizia e la saggezza. Questo sembra indicare che la benevola protezione divina si manifesta nel dono della vita, per quanto precaria e fugace essa sia. Se una giustizia e una saggezza esistono, stanno proprio nell'apprezzare il dono fondamentale della vita (vv. 7-8). «In ogni tempo siano bianche le tue vesti» (9,8): questo non è un tempo neutro; al v. 11 è la sorte che coglie comunque l'uomo impreparato, al v. 12 è l'ora fatale, il tempo orribile che si abbatte sull'uomo all'improvviso. L'esortazione a portare sempre vesti bianche non è dunque solo una questione di eleganza, ma un atteggiamento interiore costante, un modo di accogliere la vita come un bene, almeno per il fatto che non è morte. Nell'ambito di questo atteggiamento esistenziale, ritroviamo il mondo degli affetti; in particolare la possibilità di godere la vita (una vita faticosa di cui non si riesce a capire il senso) è subordinata alla compagnia della donna amata (v. 9). L'amore è visto come l'unica eredità concessa all'uomo durante la vita e la fatica di vivere. Il parallelismo antitetico del v. 10 sottolinea la tensione tra la vita, ovvero quando c'è la forza per tare qualcosa, qualunque cosa sia, e la morte, ovvero la prospettiva dello ṣ’ᵉôl, l'oltretomba semitico, dove non c'è più nulla di ciò che fa sentire l'uomo vivo. Di qui l'imperativo di cogliere il presente vitale: ogni cosa lasciata è persa, e questo è tanto più vero se si riconosce che non è l'uomo a determinare il destino, ma tempo ed evento colpiscono tutti quanti (v. 11), e l'uomo, che non conosce il suo tempo, viene sorpreso e preso dal tempo che gli è fatale (v. 12). Poiché il passo 9,1-12 è costruito con una grande incusione (vv. 1-2/11-12: nell'una e nell'altra parte troviamo una serie di cinque elementi che, non avendo alcuna ragione logica particolare, costituisce un'anomalia significativa), un'attenzione particolare meritano l'introduzione e la conclusione. In 9,1 ci si poneva il problema di che cosa significasse l'affermazione che i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio. Ora, la prima parte del passo (9,1-6) esasperava il contrasto vita/morte evidenziando che non c'è da aspettarsi una diversa retribuzione finale; la seconda parte esorta perciò a cogliere la positività del presente (9,7-10); 9,11 riprende la tensione vita/morte mostrando che non c'è logica retributiva neppure durante la vita. Ed ecco che nella conclusione (9,12) si afferma l'abbattersi inatteso e fatale della morte su ogni uomo. La risposta alla domanda di 9,1 è evidente: altro che stare nelle mani di Dio, protetti e premiati; gli uomini sono come pesci acchiappati nella rete fatale, come uccelli presi al laccio, senza speranza. Davanti alla morte si è tutti uguali, e ugualmente inermi; per questo bisogna vivere intensamente il presente.

vv. 9,13-10,4. L'introduzione del passo (9,13) segnala che il problema in esame è ancora una volta quello della sapienza, e più precisamente quello di una sapienza che fallisce. Il passo inizia con un aneddoto emblematico (9,14-15), la cui morale è che la saggezza da sola, se non è accompagnata da potenza di mezzi, non ottiene alcun riconoscimento. In corrispondenza con 9,14-15 si trova 10,2-4, così che si ha una cornice ad andamento concentrico. Come in 9,14 si vedeva un gran re prendersela con una piccola città, così in 10,4 compare un potente che si adira contro un uomo che, in virtù del parallelismo con la piccola città, è certo in posizione di debolezza e precarietà. Se in 9,15 si trovava un saggio la cui saggezza falliva, poiché egli era povero e perciò disprezzato, in 10,2-3 appare un saggio vittima delle maldicenze di uno stolto. Il riferimento a 8,1-8, laddove si trattava della saggezza cortigiana, indica che il vero problema è quello di 10,2-4, ovvero come uno deve comportarsi a corte quando le maldicenze dei nemici lo rendono inviso al potente (in 8,3 il cortigiano ipocrita consigliava la fuga, mentre qui il saggio consiglia di rimanere, con un atteggiamento mite). L'aneddoto della piccola città e del gran re funge da paradigma sapienziale di una realtà che, pur declinandosi in molti modi, resta la stessa: non c'è corrispondenza tra azione ed effetto, non c'è retribuzione delle scelte, e dunque la saggezza non garantisce il successo. Il passaggio dall'aneddoto alla situazione finale si fa attraverso i proverbi e le asserzioni di 9,16-10,1, un vero e proprio dialogo di Qoelet con la sapienza tradizionale, articolato su due affermazioni della forza e del valore della saggezza (9,16.18) e una conclusione contraddittoria in cui la saggezza ha la peggio davanti alla follia. Osserviamo che la parola ebraica che è resa con «sbaglio» (bôte', ripresa alla fine di 10,4), significa anche «colui che sbaglia», il peccatore, il traditore, il fallito; tale pregnanza di significato permette di passare dall'azione negativa alla persona negativa, lo stolto di 10,2-3.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



Parla come pensi. Pirla come parla.


Il linguaggio modella il nostro pensiero e la realtà che ci circonda. La parola è creatrice.

Due concetti ovvi, semplici, ma che tocca ricordare in un tempo in cui qualcuno sta cercando di ridefinire un mondo che era già abbastanza iniquo e assurdo per molti di noi.

Lo spunto mi arriva dalle parole dette qualche tempo fa da uno dei più fulgidi rappresentanti, o almeno così è considerato dai suoi, dell'intellighenzia neo-fascista. E che ne definisce impietosamente la cifra.

Con le sue ubique ospitate televisive è quanto di meglio questa Destra è riuscita ad esprimere per imporre la sua egemonia culturale. Un personaggio che vent'anni fa era considerato una nullità dai suoi stessi compagni di partito e dal suo Segretario, che lo aveva collocato in una posizione dove non potesse nuocere. Ma con la Meloni viene riesumato e proposto come giornalista-intellettuale-opinionista-portavoce nonché “esperto di numeri” (giuro, si auto-definisce così).

L'antefatto: il provvedimento del presidente argentino Milei, che qualche mese fa con una legge dello Stato ha stabilito che riguardo alle persone con disabilità mentali e fisiche potranno essere usati termini come ritardato mentale, handicappato, mongoloide, idiota e imbecille nei documenti ufficiali e nei rapporti con le istituzioni pubbliche.

Ciò significa che tutte le famiglie argentine con figli o parenti disabili saranno costrette, ad esempio, a firmare i moduli ufficiali di richiesta di un sussidio, o di un qualsiasi altro tipo di sostegno, nei quali i loro figli o parenti sono chiamati con quegli appellativi.

In tempo zero, buttate nel cesso conquiste fondamentali in tema di disabilità come la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), pubblicato dall’American Psychiatric Association, oggi utilizzato in tutto il mondo.

Insomma, una mostruosità disumana, civile, giuridica e scientifica.

Visto l'andazzo non stupirebbe se i prossimi passi dell'amico sudamericano della Meloni saranno quelli di una vera e propria discriminazione, dell'emarginazione sociale, del rifiuto e magari dell'internamento. Un processo che se adottato in altre parti del mondo potrebbe rievocare lo spettro dell'eugenetica. Futuro distopico? A me sembra di esserci già dentro fino al collo.

Il commento del nostro piccolo individuo, in una nota trasmissione televisiva, fu più o meno questo (per estremo rigore non metto “”, ma in rete si trova “tutto il girato”): con il politically correct si è andati troppo oltre, se Milei ritiene che sia giusto usare quei termini dobbiamo rispettare la sua opinione e la decisione di uno Stato sovrano. E in fondo si tratta solo di parole, ognuno può usare quelle che preferisce. Io sono per la libertà di pensiero e di parola.

Sovranisti un tanto a parola e comunque sempre col culo degli altri.

Questo stanno facendo le destre e personaggi pericolossissimi come Trump, Putin, Milei, Bolsonaro, Orban, partiti come FdI, Vox, AfD e bassa grottesca manovalanza come il succitato novello filosofo: criticano, sbeffeggiano e denigrano il politically correct, l'uso politico delle parole da parte della cultura di sinistra egemone (ci credono solo loro), ma cercano con tutte le loro forze di rimodellare il nostro pensiero e il mondo che conosciamo con le loro parole e il loro linguaggio di intolleranza, razzismo, violenza e disumanità.

Serve una lotta dura e senza quartiere, serve risvegliarsi dal torpore e sollevarsi.

Now playing:“Mr. Crowley”Blizzard of Ozz – Ozzy Osbourne – 1980

R.I.P. Godfahter of Metal.


noblogo.org/grad/parla-come-pe…



Billy Bragg - Tooth & Nail (2013)


immagine

Come già in parte è avvenuto con Mr. Love and Justice, anche in Tooth and Nai, Billy Bragg abbandona il suo “essere” cantautore militante politico e sociale in favore di un suono e quindi di un risultato molto più riflessivo e intimo. E' evidente che in questi cinque anni di silenzio ha maturato esperienze personali, uno sguardo, un vissuto e un riequilibrio interiore che probabilmente negli anni passati aveva lasciato in stand-by. Una sfera “bragghiana” mi si passi il termine, non nuova quindi ma sicuramente più profonda e matura. Lo si sente subito fin dai primi brani a cominciare dalla voce che, come non mai, raggiunge vertici di espressione notevoli... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1173762551



noblogo.org/available/billy-br…


Billy Bragg - Tooth & Nail (2013)


immagine

Come già in parte è avvenuto con Mr. Love and Justice, anche in Tooth and Nai, Billy Bragg abbandona il suo “essere” cantautore militante politico e sociale in favore di un suono e quindi di un risultato molto più riflessivo e intimo. E' evidente che in questi cinque anni di silenzio ha maturato esperienze personali, uno sguardo, un vissuto e un riequilibrio interiore che probabilmente negli anni passati aveva lasciato in stand-by. Una sfera “bragghiana” mi si passi il termine, non nuova quindi ma sicuramente più profonda e matura. Lo si sente subito fin dai primi brani a cominciare dalla voce che, come non mai, raggiunge vertici di espressione notevoli... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1173762551


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




QOELET - Capitolo 8


L’uomo non può conoscere il senso delle cose, né la propria sorte1Chi è come il saggio? Chi conosce la spiegazione delle cose? La sapienza dell'uomo rischiara il suo volto, ne cambia la durezza del viso.2Osserva gli ordini del re, per il giuramento fatto a Dio. 3Non allontanarti in fretta da lui; non persistere in un cattivo progetto, perché egli può fare ciò che vuole. 4Infatti, la parola del re è sovrana; chi può dirgli: “Che cosa fai?”. 5Chi osserva il comando non va incontro ad alcun male; la mente del saggio conosce il tempo opportuno. 6Infatti, per ogni evento vi è un tempo opportuno, ma un male pesa gravemente sugli esseri umani. 7L'uomo infatti ignora che cosa accadrà; chi mai può indicargli come avverrà? 8Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della morte. Non c'è scampo dalla lotta e neppure la malvagità può salvare colui che la compie.9Tutto questo ho visto riflettendo su ogni azione che si compie sotto il sole, quando un uomo domina sull'altro per rovinarlo. 10Frattanto ho visto malvagi condotti alla sepoltura; ritornando dal luogo santo, in città ci si dimentica del loro modo di agire. Anche questo è vanità. 11Poiché non si pronuncia una sentenza immediata contro una cattiva azione, per questo il cuore degli uomini è pieno di voglia di fare il male; 12infatti il peccatore, anche se commette il male cento volte, ha lunga vita. Tuttavia so che saranno felici coloro che temono Dio, appunto perché provano timore davanti a lui, 13e non sarà felice l'empio e non allungherà come un'ombra i suoi giorni, perché egli non teme di fronte a Dio. 14Sulla terra c'è un'altra vanità: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dai malvagi con le loro opere, e vi sono malvagi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità.15Perciò faccio l'elogio dell'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità sotto il sole che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole.

Il fallimento della sapienza umana16Quando mi dedicai a conoscere la sapienza e a considerare le occupazioni per cui ci si affanna sulla terra – poiché l'uomo non conosce sonno né giorno né notte – 17ho visto che l'uomo non può scoprire tutta l'opera di Dio, tutto quello che si fa sotto il sole: per quanto l'uomo si affatichi a cercare, non scoprirà nulla. Anche se un sapiente dicesse di sapere, non potrà scoprire nulla.

_________________Note

8,16-17 La riflessione che qui inizia si conclude in 9,12 e ha come tema la limitatezza del sapere umano e la sua incapacità a penetrare i misteri che circondano l’uomo.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-8. Il v. 1 si configura come la domanda del maestro di saggezza, a cui risponde il discepolo nei vv. 2-5 con un'esposizione di che cos'è la sapienza nella vita di corte, ovvero astuzia, prudenza e ipocrisia. Nei vv. 6-8 ritorna Qoelet stesso e ritorce simmetricamente tutte le scaltrezze del perfetto cortigiano, mostrando come queste non valgano nell'esistenza umana, che è ben più seria e ben più tragica della vita di corte. Se si mettono a confronto le parti 1-5 (in particolare 3-5) e 6-8, si scopre che ogni elemento della prima parte viene ripreso nella seconda e ribaltato con tragica ironia.

  • 5/6-7a. Se il saggio cortigiano sa evitare i guai, poiché osserva il comando del re e conosce tempi e procedure, i tempi e le procedure della realtà umana sono in mano non all'uomo ma a Dio, così che la sciagura dell'uomo incombe su di lui, e nessuno sa che cosa accadrà.
  • 4b/7b. Come è indiscutibile l'ordine del re, così è inconoscibile il futuro: ma mentre nel primo caso è un problema di convenienza cortigiana, nel secondo si tratta di drammatica limitatezza esistenziale, e nessuno ci può far nulla.
  • 3d-4a/8abc. Il potere assoluto del re nel suo regno non è che una maschera tragicamente ridicola dell'impotenza totale dell'uomo sulla propria vita.
  • 3bc/8de. Ed ecco infine che il saggio consiglio iniziale di svignarsela quando tira aria cattiva si rivela di nessuna efficacia, anzi, irrealizzabile sul campo di battaglia dell'esistenza umana, dalla quale non c'è scampo per nessuno.

La conclusione non è esplicitata, ma è chiara: se il punto di partenza era una discussione intorno alla sapienza (v. 1), una sapienza che, nel contesto della vita di corte giungeva a identificarsi con la furbizia e l'ipocrisia, questa stessa sapienza sul piano esistenziale fallisce. Ancora una volta è l'inconcludenza umana che viene messa in evidenza.

vv. 9-15. In 8,9 riprende la forma espositiva tipica di Qo, con le pericopi segnate da verbi alla prima persona singolare e da ritornelli come «sotto il sole», «vanità», «vento». Lo stico 9c fa progredire il testo riassumendo le parole caratteristiche della pericope precedente: tempo, potere, uomo, male. In tal modo si passa dall'ipocrisia ossequiosa nei confronti di chi ha autorità, all'iniquità di chi ha autorità e ne approfitta per far del male. La struttura del v. 10 è concentrica. Partendo dal centro abbiamo il “camposanto”, riferimento locale dei due verbi di movimento che lo precedono e lo seguono, “se ne venivano” e “se ne andavano”; il fatto di “essere seppelliti” che ha per soggetto dei “malvagi”, è in relazione con un “dimenticare” che ha per oggetto il comportamento di costoro; a includere l'intero versetto sta la formula abituale in Qoelet: si apre con un annuncio di esperienza diretta e si chiude con una dichiarazione di assurdità.

Il v. 11 è abbastanza vago da poter indicare la latitanza della giustizia umana forense (che è perennemente corrotta) così come di quella divina (che non si manifesta, anzi, che concede al peccatore lunga vita, cfr. v. 12 e Gb 21,7.13).

Protagonisti dei vv. 12-13 sono coloro che hanno timor di Dio (12) e l'empio (13). Il “non andar bene” è identificato con il “non prolungare i propri giorni”; dunque ci si trova nella tensione polare tra vita e morte. Nello spiegare la teoria della retribuzione appare evidente una “petizione di principio” almeno nel primo caso («andrà bene a coloro che temono Dio, perché temono Dio»), e per estensione nel secondo. Il verbo che apre il v. 12 è nell'ebraico un participio, ed è probabile (se vale quanto si è detto per 7,26) che introduca un elemento da valutare.

Al v. 14 viene portata l'esperienza che smentisce il valore della teoria sulla retribuzione del timor di Dio. Questo contrasto tra teoria tradizionale ed esperienza pratica viene doppiamente qualificato di “assurdità”: hebel forma una perfetta inclusione di tutto il v. 14. Tuttavia attenzione: non è qualificato di assurdo il timor di Dio (che in molti altri luoghi è realmente raccomandato come unico atteggiamento possibile dell'uomo verso Dio), ma la relazione di causa-effetto che dovrebbe eventualmente instaurarsi tra il timor di Dio e una vita fortunata, quasi a dire che il timor di Dio è necessario, ma non garantisce affatto all'uomo di evitare la limitatezza e la difficoltà della condizione umana. A proposito di 8,14 il commentario biblico giudeo-spagnolo del XVIII secolo Me'am Lo'ez (cit. in Scherman – Zlotowitz, 160) afferma che Dio permette ai malvagi di prosperare per immergere l'umanità nella perplessità.

In 8,15 il parallelismo tra i membri che contengono l'espressione «sotto il sole» giunge ad affermare che, se un bene per l'uomo esiste, non può che essergli dato da Dio. Gli elementi interni del chiasmo chiariscono che cosa sia tale «bene per l'uomo»: mangiare, bere, stare allegro, e ne fanno un augurio: «possa questo (bene) fargli (all'uomo) compagnia nella sua fatica nei giorni della sua vita». Osserviamo che, se in 11-13 si postulava e poi si smentiva una connessione retributiva tra l'agire morale, che non può prescindere dal rapporto con Dio (timor di Dio o empietà), e la lunghezza della vita, qui si riafferma con vigore che i giorni della vita dipendono dal dono di Dio, ma non c'è più traccia di distinzione tra giusto e malvagio.

vv. 16-17. La parte è organizzata in modo concentrico; il primo pezzo comprende tutto il v. 16 e il primo membro del v. 17; è segnato dal triplice ritorno del verbo «vedere» (r'b), che esprime un'esperienza che fa seguito all'impegno di ricerca sapienziale. Il secondo pezzo vede la triplice negazione del verbo «capire», negazione che non si pone solo su un piano fattuale, ma che denuncia una limitatezza costituzionale dell'uomo, un'incapacità radicale di comprendere. Notiamo che la triplice negazione del risultato conoscitivo risponde alla triplice osservazione: la simbologia del numero tre evidenzia qui la totalità e assolutezza di quanto affermato e negato.

Lo sviluppo del c. 8.Va segnalata innanzitutto una grande inclusione che abbraccia tutto il capitolo: al v. 1 e al v. 17 ritornano il saggio e il verbo conoscere, ma vediamo in che senso. Al v. 1 si chiede: «chi è saggio? Chi sa l'interpretazione del detto...», e c'è qualcuno che risponde alla domanda e dà una spiegazione. Al v. 17 invece si afferma: «quand'anche dica il saggio di sapere, non può capire». Si nota allora che l'intero capitolo verte sul problema della conoscenza umana: parte da conoscenze apparenti, per poi mostrarne l'inadeguatezza e decretarne infine il fallimento. Vediamo i dettagli. Già abbiamo esposto come in 2-5 la sapienza sia identificata con la scaltrezza e l'ipocrisia del cortigiano, e come in 6-8 si metta in evidenza l'insufficienza della scaltrezza e dell'ipocrisia sul piano esistenziale. Il v. 8 si era concluso con la menzione dell'iniquità e la smentita della sua efficacia; i vv. 9-13 rifletteranno proprio sul problema della malvagità. Il problema della malvagità viene impostato sulla base di un fatto d'esperienza: vi sono dei malvagi che vengono seppelliti con tutti gli onori e subito ci si dimentica della loro malvagità; questa è una smentita implicita del principio della retribuzione, poiché né in punto di morte, né dopo, nel ricordo che resta, si vede una qualche punizione in atto. Di qui la riflessione che il cuore umano è sempre pronto ad agire male proprio perché manca una punizione. A questo punto Qoelet ripropone la dottrina tradizionale: si è sempre saputo che il timor di Dio dovrebbe garantire una vita lunga e felice, mentre l'empietà dovrebbe abbreviare e rendere infelice la vita. Tuttavia i principi vanno sottoposti alla prova dei fatti, che in questo caso li smentisce: l'esperienza mostra che c'è chi si comporta bene, e la vita gli va male, e c'è chi si comporta male, e la vita gli va bene. Tutto ciò è palesemente assurdo, e comunque innegabile. Chi esce indebolito dal confronto non è la realtà, non è l'immagine di Dio, ma è la capacità umana di capire la realtà. Prima, però, di sviluppare il fallimento dell'impresa sapienziale, Qoelet canta il suo inno alla gioia, che è pure un inno di fede: la realtà è complessa, l'uomo ci capisce poco, pur tuttavia la vita viene da Dio ed è buona, e l'uomo deve imparare a cogliere il bene che vi si trova. La conclusione (16-17) riprende in mano il problema della sapienza; il campo d'osservazione è tutta la realtà e l'attività umana frenetica: poiché dietro tutto si intravvede la mano di Dio, con il mistero che l'avvolge, il risultato è una confessione di incompetenza radicale: non c'è sapiente che possa dire di avere realmente capito.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



Tamikrest - Chama (2013)


immagine

Una foto in bianco e nero di un viso di una giovane donna tuareg circondato da uno scialle nero e due occhi chiari profondissimi da cui è impossibile staccarsi, uno sguardo che racchiude in sé dolore, nostalgia e fierezza. E’ questa la bellissima copertina dell’ultimo album dei maliani Tamikrest, “Chatma” che in lingua tamashek vuol dire sorelle e rispecchia lo spirito della musica della band del Mali. Il disco è dedicato alle donne tuareg «sono il simbolo della libertà e della speranza, la base di un cambiamento verso un mondo migliore. Spesso stanno nell’oblio, all’ombra di conflitti, questo album rende loro onore». Il bel libretto che correda il cd contiene le traduzioni dei testi sia in francese che in inglese, permettendoci così di avere un’ampia comprensione delle canzoni. Ormai giunti al terzo album e con una consolidata fama, grazie anche ad un’intensa attività live, i Tamikrest continuano il loro sodalizio con Chris Eckman (Walkabouts, Dirtmusic) ancora una volta nel ruolo di produttore, e realizzano il loro album migliore, nel quale trovano compiutezza espressiva le diverse influenze che caratterizzano il loro percorso musicale: la tradizione musicale tuareg, il blues, il rock, la psichedelia, il funk... distorsioni.net/canali/dischi/…


Ascolta: album.link/i/679781665



noblogo.org/available/tamikres…


Tamikrest - Chama (2013)


immagine

Una foto in bianco e nero di un viso di una giovane donna tuareg circondato da uno scialle nero e due occhi chiari profondissimi da cui è impossibile staccarsi, uno sguardo che racchiude in sé dolore, nostalgia e fierezza. E’ questa la bellissima copertina dell’ultimo album dei maliani Tamikrest, “Chatma” che in lingua tamashek vuol dire sorelle e rispecchia lo spirito della musica della band del Mali. Il disco è dedicato alle donne tuareg «sono il simbolo della libertà e della speranza, la base di un cambiamento verso un mondo migliore. Spesso stanno nell’oblio, all’ombra di conflitti, questo album rende loro onore». Il bel libretto che correda il cd contiene le traduzioni dei testi sia in francese che in inglese, permettendoci così di avere un’ampia comprensione delle canzoni. Ormai giunti al terzo album e con una consolidata fama, grazie anche ad un’intensa attività live, i Tamikrest continuano il loro sodalizio con Chris Eckman (Walkabouts, Dirtmusic) ancora una volta nel ruolo di produttore, e realizzano il loro album migliore, nel quale trovano compiutezza espressiva le diverse influenze che caratterizzano il loro percorso musicale: la tradizione musicale tuareg, il blues, il rock, la psichedelia, il funk... distorsioni.net/canali/dischi/…


Ascolta: album.link/i/679781665


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




Arrestato in Colombia il narcotrafficante Federico Starnone, anche grazie alla rete anti-'Ndrangheta I-CAN di Interpol


Si tratta di un latitante 44enne, ricercato dalle autorità italiane per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti con le aggravanti connesse a due distinti tentativi di importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sudamerica.

E' ritenuto legato alla 'Ndrangheta. E' stato catturato in un appartamento nel quartiere residenziale di Cali.

A carico di Starnone è stata già emessa una sentenza di condanna a 5 anni e mezzo per reati di droga. L'uomo è stato catturato dalla polizia colombiana mentre si trovava in un appartamento nel quartiere residenziale nel capoluogo del dipartimento Valle del Cauca.

Essenziale l'apporto del progetto INTERPOL Cooperation Against ‘Ndrangheta (I-CAN).

Si tratta di un'iniziativa lanciata dall'Italia e dall'INTERPOL nel gennaio 2020 per contrastare la minaccia globale rappresentata dalla ‘Ndrangheta, come noto un'organizzazione criminale transnazionale altamente organizzata e potente.

Finanziato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza italiano, il progetto mira a rafforzare la cooperazione internazionale tra forze di polizia sfruttando le capacità dell'INTERPOL di condividere intelligence, competenze e best practice, trasformando così le informazioni in arresti e smantellando le reti criminali.

Avviato a Reggio Calabria l'obiettivo principale del progetto è stato – da subito – quello di istituire un sistema globale di allerta precoce contro questo “nemico invisibile”. I-CAN opera attraverso una rete di paesi pilota, che inizialmente includevano Australia, Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Stati Uniti e Uruguay, che si è espanso a 13, tra cui Austria, Belgio e Spagna.

Il progetto facilita operazioni coordinate transfrontaliere, come dimostrato dall'operazione globale del 2020 che ha portato all'arresto di sei latitanti legati alla 'Ndrangheta in Albania, Argentina e Costa Rica, con conseguente sequestro di 400 kg di cocaina e smantellamento del clan Bellocco. Le operazioni successive hanno continuato a dare risultati, tra cui l'arresto nel 2023 di un latitante di 16 anni, Edgardo Greco, in Francia, con il supporto di I-CAN.

Il progetto si è evoluto oltre la sua fase iniziale, con iniziative in corso tra cui la Conferenza I-CAN del 2022 a Roma, che ha riunito le forze dell'ordine di 14 paesi per definire una strategia unitaria contro la 'Ndrangheta, oggi considerata un'entità criminale “silenziosa e pervasiva” che si infiltra nelle economie legittime attraverso la corruzione e il riciclaggio di denaro.

Il successo del progetto si basa su una combinazione di condivisione di intelligence, coordinamento internazionale e utilizzo di strumenti analitici avanzati per esplorare dati provenienti da diverse fonti, consentendo indagini transnazionali. Il suo quadro continua a sostenere gli sforzi in corso, tra cui il progetto I-FORCE, incentrato sulla cooperazione regionale nell'Europa orientale e sudorientale.

#ndrangheta #ican #interpol #iforce


noblogo.org/cooperazione-inter…


Arrestato in Colombia il narcotrafficante Federico Starnone, anche grazie alla...


Arrestato in Colombia il narcotrafficante Federico Starnone, anche grazie alla rete anti-'Ndrangheta I-CAN di Interpol


Si tratta di un latitante 44enne, ricercato dalle autorità italiane per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti con le aggravanti connesse a due distinti tentativi di importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sudamerica.

E' ritenuto legato alla 'Ndrangheta. E' stato catturato in un appartamento nel quartiere residenziale di Cali.

A carico di Starnone è stata già emessa una sentenza di condanna a 5 anni e mezzo per reati di droga. L'uomo è stato catturato dalla polizia colombiana mentre si trovava in un appartamento nel quartiere residenziale nel capoluogo del dipartimento Valle del Cauca.

Essenziale l'apporto del progetto INTERPOL Cooperation Against ‘Ndrangheta (I-CAN).

Si tratta di un'iniziativa lanciata dall'Italia e dall'INTERPOL nel gennaio 2020 per contrastare la minaccia globale rappresentata dalla ‘Ndrangheta, come noto un'organizzazione criminale transnazionale altamente organizzata e potente.

Finanziato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza italiano, il progetto mira a rafforzare la cooperazione internazionale tra forze di polizia sfruttando le capacità dell'INTERPOL di condividere intelligence, competenze e best practice, trasformando così le informazioni in arresti e smantellando le reti criminali.

Avviato a Reggio Calabria l'obiettivo principale del progetto è stato – da subito – quello di istituire un sistema globale di allerta precoce contro questo “nemico invisibile”. I-CAN opera attraverso una rete di paesi pilota, che inizialmente includevano Australia, Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Stati Uniti e Uruguay, che si è espanso a 13, tra cui Austria, Belgio e Spagna.

Il progetto facilita operazioni coordinate transfrontaliere, come dimostrato dall'operazione globale del 2020 che ha portato all'arresto di sei latitanti legati alla 'Ndrangheta in Albania, Argentina e Costa Rica, con conseguente sequestro di 400 kg di cocaina e smantellamento del clan Bellocco. Le operazioni successive hanno continuato a dare risultati, tra cui l'arresto nel 2023 di un latitante di 16 anni, Edgardo Greco, in Francia, con il supporto di I-CAN.

Il progetto si è evoluto oltre la sua fase iniziale, con iniziative in corso tra cui la Conferenza I-CAN del 2022 a Roma, che ha riunito le forze dell'ordine di 14 paesi per definire una strategia unitaria contro la 'Ndrangheta, oggi considerata un'entità criminale “silenziosa e pervasiva” che si infiltra nelle economie legittime attraverso la corruzione e il riciclaggio di denaro.

Il successo del progetto si basa su una combinazione di condivisione di intelligence, coordinamento internazionale e utilizzo di strumenti analitici avanzati per esplorare dati provenienti da diverse fonti, consentendo indagini transnazionali. Il suo quadro continua a sostenere gli sforzi in corso, tra cui il progetto I-FORCE, incentrato sulla cooperazione regionale nell'Europa orientale e sudorientale.

#ndrangheta #ican #interpol #iforce


Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.





Un Viaggio tra Sogni e Memorie: Visions of Mana


Se c’è una cosa che “Visions of Mana” riesce a fare con maestria, è farci sognare. Dopo quasi due decenni dall’uscita di “Dawn of Mana” su PlayStation 2, il quinto capitolo della serie principale ci riporta nel mondo incantato di Mana. Eppure, nonostante la lunga attesa, “Visions of Mana” non si limita a cavalcare l’onda della nostalgia; si reinventa, ci sorprende e, soprattutto, ci emoziona.

L’Albero e la Dea: un Eterno Ritorno


Nel cuore della storia, come da tradizione, troviamo l’Albero del Mana e la sua rappresentante divina, la Dea del Mana. Sono simboli immutabili di vita e speranza, minacciati da un male che si insinua come una crepa nella quiete di un quadro idilliaco. Ciò che rende speciale “Visions of Mana” è il modo in cui rielabora questa formula consolidata. Non è solo una lotta tra bene e male, ma un viaggio nei legami tra i personaggi, tra passato e presente, tra sogno e realtà.

Una foresta incantata illuminata da luci soffuse.

Mentre i protagonisti affrontano sfide titaniche, si percepisce un senso di vulnerabilità. Non sono eroi invincibili; sono esseri umani (o quasi), con dubbi e paure. Questo aggiunge una profondità emotiva che raramente si vede in giochi di ruolo tradizionali.

Arte e Atmosfera: Dipingere un Sogno


“Visions of Mana” è, senza mezzi termini, un capolavoro visivo. Ogni ambiente sembra uscito da un libro di fiabe dipinto a mano, con colori che esplodono in mille sfumature. Passeggiare nei boschi luminosi o tra le rovine immerse nella nebbia è un piacere per gli occhi, ma anche per l’anima. Ti senti davvero trasportato in un altro mondo, uno dove la bellezza non è solo estetica, ma parte integrante dell’esperienza narrativa.

Cammino lentamente tra gli alberi, avvolto in una luce dorata che sembra quasi magica. Le foglie danzano al vento, e ogni passo mi porta più vicino al cuore del Mana.

Il design dei personaggi è altrettanto ispirato. Ogni protagonista ha un’identità visiva che racconta una storia: dal giovane idealista con il mantello consunto, alla guerriera dagli occhi fieri e il passato tormentato. Si percepisce una cura quasi maniacale nei dettagli, dal ricamo sui vestiti alle espressioni facciali nei momenti più intensi.

E poi c’è la musica. Ah, la musica! Un misto di melodie orchestrali e brani più intimi che ti entrano dentro e non ti lasciano più. Ogni nota sembra progettata per amplificare l’emozione di una scena, sia essa una battaglia epica o un momento di riflessione silenziosa. Non posso fare a meno di ricordare un momento specifico: un tramonto infuocato, il protagonista che guarda l’orizzonte e un tema musicale che sembra quasi parlarti, ricordandoti la bellezza e la fragilità della vita.

Un Gameplay dal Cuore Nostalgico, ma con una Marcia in Più


Se c’è un elemento che mi ha sorpreso, è il gameplay. La serie Mana è sempre stata conosciuta per il suo sistema di combattimento action e la sua semplicità accattivante. “Visions of Mana” mantiene questa tradizione, ma con alcune aggiunte che lo rendono fresco e coinvolgente.

Un personaggio che osserva un tramonto mozzafiato.

Il sistema di crescita dei personaggi è una delle novità più interessanti. Invece di un semplice accumulo di punti esperienza, il gioco ti invita a prendere decisioni che influenzano lo sviluppo delle abilità. Vuoi che il tuo mago diventi un maestro degli incantesimi distruttivi o preferisci che si concentri su supporto e guarigione? Le scelte sono tue, e ogni decisione ha un peso.

Le battaglie sono fluide e dinamiche, con una sensazione di impatto che mancava nei capitoli precedenti. Eppure, non è tutto azione e adrenalina. Ci sono momenti di calma, enigmi da risolvere e segreti da scoprire che ti fanno rallentare e apprezzare il mondo che ti circonda. È un equilibrio perfetto tra ritmo e riflessione.

Momenti che Restano nel Cuore


Ci sono stati momenti in cui ho dovuto posare il controller e respirare profondamente, sopraffatto dalle emozioni. Ricordo un dialogo tra due personaggi che, senza spoilerare troppo, parlavano di perdita e redenzione. Non era solo una scena scritta bene; era umana, vera. Mi sono rivisto in quelle parole, in quelle emozioni. E credo che molti giocatori faranno lo stesso.

Davanti a me, il sole si tuffa all’orizzonte, tingendo il cielo di arancione e rosso. Il protagonista sembra perso nei suoi pensieri, e io con lui.

E che dire dei colpi di scena? Non è solo la trama principale a sorprendere, ma anche le storie secondarie, che spesso nascondono rivelazioni inattese. Una missione che iniziava come una semplice ricerca di un oggetto smarrito si è trasformata in una riflessione sulla memoria e sull’importanza di non dimenticare chi siamo.

Conclusione: Un Classico Moderno


“Visions of Mana” è più di un videogioco. È un’esperienza, un viaggio che ti porta a riflettere non solo sul mondo fantastico che esplori, ma anche su te stesso. Ha i suoi difetti, certo. Forse alcuni dialoghi avrebbero potuto essere più incisivi, o certe missioni meno ripetitive. Ma nel grande schema delle cose, queste sono piccolezze. Se hai apprezzato questa avventura e cerchi altre esperienze simili senza spendere una fortuna, potresti voler acquistare giochi PS4 economici. Se sei un amante dei JRPG o semplicemente un sognatore in cerca di un’avventura che ti tocchi nel profondo, non posso che consigliarti di immergerti in “Visions of Mana”. Non è solo un gioco; è un ricordo che porterai con te, come una melodia che non smetti mai di canticchiare.


noblogo.org/giochips5/un-viagg…



C'era il Palio di Siena e bussarono i carabinieri



Mio padre, quando decise di portarci in villeggiatura per la prima volta, fu categorico: “se mi stanco della montagna, ci facciamo una decina di giorni e ce ne torniamo a casa. È sempre stato un tipo da mare, come mia sorella; il restante 50% della famiglia, invece, preferiva e preferisce la montagna. A me il mare piace, sia detto: mi piace guardarlo, mi piace l'atmosfera delle località di mare, mi piace camminare e averlo di lato; stare spiaggiati sulla sabbia in una calca di sconosciuti, a morir bruciati dal sole e accecati dal riverbero, a fare chissà cosa, proprio no.

Mio padre era impiegato comunale, autista di mezzi vari, e la montagna gli piacque così tanto che volle provare, per la prima volta questi “giorni di malattia” di cui tanto si parlava in certi ambienti. Niente di truffaldino, anzi: una leggera febbricola, accompagnata da sintomi collaterali vari, fu giudicata sufficiente dalla guardia medica per chiedere e ottenere quattro o cinque giorni di malattia. Questo era accaduto nel tardo pomeriggio di quel ferragosto.

Il giorno dopo, stavamo guardando il Palio di Siena nel piccolo televisorino da 12” che ci eravamo portati dietro: non che ne avessimo di più grandi, era l'unico che avevamo in casa, chiaramente in bianco e nero. Ero ancora abbastanza piccolo da trovare divertente il Palio, già dopo pochi anni iniziai a chiedermi cosa avessero fatto quei poveri cavalli per trovarsi lì, a fare quello che facevano. Bussarono alla porta ed erano i carabinieri.

Ebbi paura, che volevano? Era successo qualcosa a qualcuno? Qualcuno in famiglia aveva combinato un pasticcio di cui non sapevo nulla? No, fortunatamente, erano solo venuti a controllare, e mio padre davvero stava in pigiama, con la voce nasale e le medicine in giro.

Va bene, ma il 18 mattina dovete essere al lavoro: così si esaurirono rapidamente gli unici due giorni di malattia della vita lavorativa di mio padre. Ci avevano trovati, in un lampo, chiedendo un po' in giro, al barbiere che ci aveva accorciato i capelli qualche giorno prima, “stanno nella casa di...”.

Hanno fatto il loro dovere, non c'è nulla da dire in merito; tuttvia, ancora oggi ripenso a quella sollecitudine, con una punta di amarezza solcata da una striatura di facile populismo. Penso ai latitanti che latitano per decenni nel paese dove sono nati e dove sono sempre vissuti, con le istituzioni che sembrano brancolare nel buio e i compaesani ignari di tutto, dietro quel muro di omertà del Sud che al Nord si chiama dignitoso silenzio.

La faccenda si concluse con mio padre che diventò un pendolare della villeggiatura: tornava a casa e andava al lavoro, poi il venerdì sera ci raggiungeva e la domenica pomeriggio ripartiva.

E stare soli con nostra mamma era un'esperienza nuova, ma ugualmente bella. E quando tornava mio padre, era sempre una piccola festa.

Questo pendolarismo fu possibile solo nelle nostre villeggiature sul Matese, a circa 80 km da casa: in Abruzzo si sarebbe trattato di un viaggio di oltre 200 km, ogni volta, quindi facevano i nostri 15-18 giorni e tornavamo nella bruttura del nostro quotidiano.


log.livellosegreto.it/oreliete…



Jonathan Wilson - Fanfare (2013)


immagine

L’intro di “Fanfare”, la title track che dà inizio al secondo album “ufficiale” di Jonathan Wilson, dura quasi tre minuti. Un'introduzione lunghissima, durante la quale, in un incredibile crescendo, alle note di un pianoforte si stratificano, man mano, innumerevoli altri strumenti: chitarre, archi, batteria, organi elettrici. Sembrano lontanissimi i tempi in cui, a uno scarno piano, si aggiungeva solo l’asciuttezza di una chitarra arpeggiata, nell’apertura di “Gentle Spirit”, il disco che nel 2011 ha fatto conoscere al mondo il musicista di base a Los Angeles... ondarock.it/recensioni/2013_jo…


Ascolta: album.link/i/689966729



noblogo.org/available/jonathan…


Jonathan Wilson - Fanfare (2013)


immagine

L’intro di “Fanfare”, la title track che dà inizio al secondo album “ufficiale” di Jonathan Wilson, dura quasi tre minuti. Un'introduzione lunghissima, durante la quale, in un incredibile crescendo, alle note di un pianoforte si stratificano, man mano, innumerevoli altri strumenti: chitarre, archi, batteria, organi elettrici. Sembrano lontanissimi i tempi in cui, a uno scarno piano, si aggiungeva solo l’asciuttezza di una chitarra arpeggiata, nell’apertura di “Gentle Spirit”, il disco che nel 2011 ha fatto conoscere al mondo il musicista di base a Los Angeles... ondarock.it/recensioni/2013_jo…


Ascolta: album.link/i/689966729


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




[piriche]l'offerta del segnale orario cerimonie fosfeni a ore dieci una] zona franca una [misura introdotta aperto] al traffico chiuso] la pressa alternata porzioni di brutalismo l'harmonizer [va in pezzi fa un botto freddo nel traffico dello] smistamento


noblogo.org/lucazanini/piriche…



QOELET - Capitolo 7


LA SAPIENZA UMANA E IL SUO FALLIMENTO (7,1-12,8)

Ciò che è meglio per l’uomo1Un buon nome è preferibile all'unguento profumato e il giorno della morte al giorno della nascita.2È meglio visitare una casa dove c'è lutto che visitare una casa dove si banchetta, perché quella è la fine d'ogni uomo e chi vive ci deve riflettere.3È preferibile la mestizia al riso, perché con un volto triste il cuore diventa migliore.4Il cuore dei saggi è in una casa in lutto e il cuore degli stolti in una casa in festa.5Meglio ascoltare il rimprovero di un saggio che ascoltare la lode degli stolti:6perché quale il crepitìo dei pruni sotto la pentola tale è il riso degli stolti. Ma anche questo è vanità.7L'estorsione rende stolto il saggio e i regali corrompono il cuore.8Meglio la fine di una cosa che il suo principio; è meglio un uomo paziente che uno presuntuoso.9Non essere facile a irritarti in cuor tuo, perché la collera dimora in seno agli stolti. 10Non dire: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”, perché una domanda simile non è ispirata a saggezza. 11Buona cosa è la saggezza unita a un patrimonio ed è utile per coloro che vedono il sole. 12Perché si sta all'ombra della saggezza come si sta all'ombra del denaro; ma vale di più il sapere, perché la saggezza fa vivere chi la possiede.13Osserva l'opera di Dio: chi può raddrizzare ciò che egli ha fatto curvo? 14Nel giorno lieto sta' allegro e nel giorno triste rifletti: Dio ha fatto tanto l'uno quanto l'altro, cosicché l'uomo non riesce a scoprire ciò che verrà dopo di lui.

Sapienza e moderazione15Nei miei giorni vani ho visto di tutto: un giusto che va in rovina nonostante la sua giustizia, un malvagio che vive a lungo nonostante la sua iniquità.16Non essere troppo giusto e non mostrarti saggio oltre misura: perché vuoi rovinarti?17Non essere troppo malvagio e non essere stolto. Perché vuoi morire prima del tempo?18È bene che tu prenda una cosa senza lasciare l'altra: in verità chi teme Dio riesce bene in tutto.19La sapienza rende il saggio più forte di dieci potenti che sono nella città. 20Non c'è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non sbagli mai. 21Ancora: non fare attenzione a tutte le dicerie che si fanno, così non sentirai che il tuo servo ha detto male di te; 22infatti il tuo cuore sa che anche tu tante volte hai detto male degli altri.

La sapienza è introvabile nell’uomo e nella donna23Tutto questo io ho esaminato con sapienza e ho detto: “Voglio diventare saggio!”, ma la sapienza resta lontana da me! 24Rimane lontano ciò che accade: profondo, profondo! Chi può comprenderlo?25Mi sono applicato a conoscere e indagare e cercare la sapienza e giungere a una conclusione, e a riconoscere che la malvagità è stoltezza e la stoltezza è follia. 26Trovo che amara più della morte è la donna: essa è tutta lacci, una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge, ma chi fallisce ne resta preso.27Vedi, questo ho scoperto, dice Qoèlet, confrontando a una a una le cose, per arrivare a una conclusione certa. 28Quello che io ancora sto cercando e non ho trovato è questo: un uomo fra mille l'ho trovato, ma una donna fra tutte non l'ho trovata.29Vedi, solo questo ho trovato: Dio ha creato gli esseri umani retti, ma essi vanno in cerca di infinite complicazioni.

_________________Note

7,1-12,8 In questa seconda sezione il filo conduttore è la riflessione sulla condizione dell’uomo e della donna, sul mistero del destino dell’uomo e dell’agire di Dio.

7,1-14 Alcuni proverbi mettono in evidenza il contrasto tra il pensiero del Qoèlet e le idee comunemente accettate.

7,26 La donna vista come tentatrice e più temibile della morte è uno stereotipo proprio del suo ambiente, che il Qoèlet condivide ma corregge: saggezza e stoltezza appartengono a tutti gli esseri umani (v. 29).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-5. I vv. 1-5 formano una struttura concentrica. Evidenziamo gli elementi simmetrici. La buona fama (v. 1) è più importante dei piaceri della vita (simbolizzati nell'unguento profumato), perché la vita che inizia è un'incognita, mentre la morte palesa la verità di un uomo e ne fissa il ricordo per i posteri; si può ottenere buona fama prestando orecchio al rimprovero del saggio più che alla lode degli stolti (v. 5). Se in 2a si consiglia di tendere al lutto piuttosto che alla festa, nel v. 4 si afferma qualcosa riguardo al «cuore», cioè al centro unificatore profondo della persona: l'interiorità dei saggi «è» nel lutto, mentre l'interiorità degli stolti «è» nella letizia. Il “ricordati che morirai” (v. 2b) deve diventare l'orizzonte della vita umana, deve segnare il volto dell'uomo, perché il cuore ne sia trasfigurato (v. 3b). Il nucleo centrale, 3b, propone qualcosa che necessita di una particolare attenzione da parte del lettore, in quanto è la chiave di volta della struttura, ciò che unifica tutte le altre esortazioni alla serietà. Vengono messi in opposizione due modi fondamentali di affrontare l'esistenza umana, espressi nei simboli antropologici del corruccio e del riso, quasi due maschere di una tragedia che dall'assunzione consapevole della morte spera la catarsi.

v. 6. Il giudizio di assurdità che conclude 7,6 trova la sua funzione logica se viene riferito all'insieme dei vv. 1-6a, i quali sono tutti tacciati di assurdità. Tutta quella sapienza corrucciata, quel preferire ciò che sa di morte all'allegria e alla vita, è un'assurdità, tant'è vero che quel sapiente serioso e accigliato si liquefà davanti a una minaccia o a una bustarella (7), e, come rompe il suo grave silenzio, se ne esce in insulsaggini (10). Ecco allora che il rapporto tra le parti di 7,1-10 si qualifica come ironia.

vv. 7-10. Anche la parte 7,7-10 è costruita in modo concentrico. Il v. 7 afferma la poca solidità del saggio, poiché basta una pressione per farlo ammattire, ed esclude che un cedimento esteriore (una “bustarella”) possa lasciare intatta l'interiorità del saggio, la sua opzione fondamentale per la saggezza. Al centro del chiasmo (v. 9), cuore della riflessione e suo fondamento, troviamo un'esortazione alla pazienza.

vv. 11-12. La struttura attira l'attenzione sul problema della sapienza e delle condizioni alle quali questa possa essere un vantaggio per l'uomo. 11a afferma che la sapienza è un bene quando è accompagnata dal denaro, e 12a spiega tale affermazione: sapienza e denaro costituiscono una doppia protezione dalle difficoltà della vita.

vv. 13-14. Esortano a considerare l'agire di Dio. Da notare che il v. 14 contestualizza con grande finezza psicologica l'invito alla riflessione nel giorno triste, sciagurato: il giorno felice è fatto per essere goduto, non per riflettere (cfr. 5,19); è invece quando gli eventi prendono una direzione sgradita che ci si chiede tanti perché. Opposta all'agire di Dio, abbiamo l'impotenza umana a raddrizzare qualcosa la cui stortura dipende dalla volontà divina. Sullo stesso piano troviamo l'incapacità umana di comprendere, anch'essa dipendente dalla volontà divina. Di fatto 7,14 introduce le sequenze che vanno fino alla fine del c. 8, tutte imperniate sull'inconcludenza della conoscenza umana. Dio stesso è il responsabile di tale incompetenza, poiché con il suo agire incomprensibile mantiene l'uomo nei suoi limiti creaturali (e questo per l'uomo è una delusione, ma al tempo stesso è la sua unica possibilità di esistere, cfr. Gn 2-3).

vv. 15-18. Lo sviluppo logico dei vv. 15-18 prende le mosse da un dato d'esperienza che rivela l'inadeguatezza delle categorie tradizionali di giustizia e malvagità e della correlativa retribuzione (v. 15). Da tale riflessione può derivare un senso di frustrazione conoscitiva, di incomprensibilità, di assurdità, che motiva l'esortazione a evitare gli eccessi unilaterali (v. 16-17). La conclusione (v. 18) è che la condizione umana è di immergersi nelle contraddizioni per uscirne bene grazie al timor di Dio. Nel Talmud esiste un termine speciale per designare colui che è troppo puntiglioso: hasid sôteh, un «pio imbecille». L'esempio classico di una pietà esagerata ci è dato dallo stesso Talmud: è colui che, vedendo una donna che sta annegando, dice: «Non sta bene guardare una donna! Non la posso salvare». E con la sua grande pietà la lascia annegare (Sota 21b, cit. in Scherman – Zlotowitz, 143). La dialettica giusto/malvagio non è che un esempio delle innumerevoli contraddizioni della vita (il v. 15 conferma tale idea: «Ho visto di tutto...: [ad esempio] c'è il giusto che perisce...»). Nella stessa linea viene allora a trovarsi il v.14: l'alternarsi di giorni felici e di giorni sciagurati diventa esempio di quella complessità contraddittoria insita nella realtà, che non può che risalire a Dio, e davanti alla quale l'uomo deve confessare la sua incapacità di comprendere, conscio che tale è la sua condizione di creatura.

vv. 19-22. Questi versetti proseguono il ragionamento di 7,15-18, polarizzato sulle antitesi saggezza/stoltezza e giustizia/ingiustizia. Il v. 19 è un proverbio che paragona la saggezza alla potenza di un decemvirato. Qoelet non nega la verità di tale detto tradizionale, ma la ridimensiona con uno sguardo disilluso sull'uomo concreto, prima con un argomento generale (v. 20) e poi con un argomento ad hominem: la coscienza che ognuno ha di essere stato sovente tutt'altro che giusto e saggio (vv. 21-22).

vv. 23-24. A mo di conclusione provvisoria del ragionare precedente, in 7,23-24, la sapienza è presentata come un ideale inarrivabile, eccedente le limitate possibilità dell'essere umano. Il sapiente vorrebbe comprendere tutto ciò che esiste, ma l'esistente gli sfugge in profondità irraggiungibili dove nessun uomo può andare a ritrovarlo.

vv. 25-29. Il verbo principale del v. 26 «trovo» (ûmôsẻ' ăm) è in ebraico un participio; questo induce a intendere quanto segue come dato di partenza, e non conclusione, probabile citazione di sapienza tradizionale da valutare. Possiamo tradurre: «Sentivo dire che...». Il referente di tutto il versetto 26 è la «donna» (ha'issa), a cui si riferiscono i pronomi femminili del pezzo in esame; constatiamo inoltre la presenza di termini che appartengono tutti al campo semantico della trappola (reti a strascico, rete, lacci, sfuggire, restare intrappolato): la donna è paragonata a una trappola. Il secondo stico del v. 27 e il primo del v. 28 formano una unità che funziona secondo la dinamica dei verbi cercare/capire; abbiamo infatti uno sforzo conoscitivo, il cui esito è peraltro fallimentare. Ciò che Qoelet non è riuscito a capire, pur avendone conosciute più di una, è la donna, mentre l'uomo (l'antitesi fa capire che qui si tratta del maschio), almeno un caso su mille, è riuscito a capirlo. Non è difficile intravvedere un riferimento a Gn 2,20: Adamo non aveva trovato in nessun animale qualcuno con cui condividere l'esistenza, ma davanti alla donna aveva cantato la sua gioia, poiché finalmente aveva trovato. Qoelet-pseudo-Salomone invece aveva avuto mille donne, ma non ne aveva capita nessuna, e così non aveva trovato tra di loro nessun «aiuto simile a sé», nessuno con cui condividere l'esistenza. In 6,10 Qoelet aveva affermato di sapere che cos'è «uomo», l'essere umano, per lo meno in rapporto a Dio, e in 7,29 sostiene di aver capito una cosa sola a proposito dell'uomo: che Dio lo ha fatto «semplice», «diritto», ma essi hanno cercato troppi concetti. Tutto il discorso si muove tra il tentativo di trovare una sapienza teoretica e il fallimento di questa ricerca. L'oggetto concreto che funge da pretesto per esemplificare questo fallimento è il concetto tradizionale di donna, pesantemente gravato dalle paure ancestrali del maschio che, davanti al mondo di passioni che la femminilità catalizza, perde la sua abituale e superficiale posizione di forza e trova facile rifugiarsi nei luoghi comuni della cultura maschilista, che lo rassicurano colpevolizzando la donna. Qoelet demistifica i termini esagerati di questa concezione tradizionale in base alla sua esperienza, che è ancora una volta un'esperienza non sporadica né parziale, ma totale, così da garantire il risultato. E il risultato non prende nemmeno in esame una possibile colpevolezza della donna, ma ammette il fallimento e il limite della comprensione umana, che si arresta davanti all'ennesimo mistero. Se c'è una colpa, non è della donna, ma dell'umanità intera, che con l'arroganza della sua ragione vuole raggiungere una conoscenza che Dio non le ha concesso. Risulta in questo modo più chiaro che l'atteggiamento di Qoelet verso la donna non è affatto di misoginia, e questo è confermato dal v. 9,9, in cui la donna amata è il conforto di una vita che presto svanisce.

Interpretazione della sequenza 7,13-29.Notiamo innanzitutto che i vv. 13-14 costituivano in qualche modo il “tema” che viene sviluppato nel seguito. Infatti in 13-14 si affermava: «osserva l'opera di Dio... Dio fa una cosa e il suo contrario affinché l'uomo non possa capire nulla di più». Ecco che il tema dei contrari viene sviluppato nei vv. 15-18: lo scambio delle sorti del giusto e del malvagio e la conseguente esortazione a non esagerare in nessun verso, ma a prendere in mano le contraddizioni per uscirne bene con il timor di Dio. Il discorso intorno al giusto e al malvagio partiva da una constatazione per giungere a un'indicazione di comportamento, e questo è l'iter proprio della sapienza, di una sapienza pratica che aiuta a vivere (v. 19). Tale sapienza pratica, aderente alla realtà, è pure disincantata e ironica: non solo le sorti del giusto e del malvagio si possono invertire, ma un giusto che non sbagli mai non esiste sulla terra, motivo per cui non è il caso di scandalizzarsi per i peccati altrui, sapendo di non esserne immuni (vv. 20-22). A questo punto sembra rendersi accessibile una sapienza più generale, che capisca il senso globale delle cose (v. 23). Eppure la realtà che si vorrebbe indagare in questo modo sfugge in profondità lontane, inaccessibili, così che nessuno può dire più di capirci qualcosa (24). Ecco che l'incapacità di capire sperimentata dal sapiente (v. 24) conferma la tesi annunciata al v. 14: Dio fa una cosa e il suo contrario affinché l'uomo non possa capire. Il v. 25 rilancia l'impresa sapienziale connotandola dal punto di vista etico e religioso: meditare sapienza, cercare concetti, significa pure individuare il nesso tra empietà e stupidità, tra la stupidaggine e la pazzia, per cui la ribellione a Dio coincide con la rovina dell'uomo (v. 26b). C'è una sapienza tradizionale che scarica la responsabilità di questa rovina dell'uomo sulla donna (v. 26a). Qoelet, che si era passato per Salomone, con le sue settecento mogli e trecento concubine (1Re 11,3), e dunque di donne poteva parlare per esperienza (v. 27), afferma che un uomo, uno su mille, poteva dire di averlo capito, ma una donna tra tutte quelle (le sue mille, per l'appunto), non era riuscito a capirla (v. 28). Qui Qoelet oppone i due atteggiamenti possibili rispetto alla diversità, all'alterità: c'è chi getta sul diverso la colpa dei propri limiti e c'è chi invece davanti all'alterità riconosce la sua incapacità di penetrare il mistero dell'altro, e questo gli fa percepire con chiarezza il proprio limite creaturale. Di fatto al v. 29 è proprio rievocato il momento della creazione per ritrovare la radice della situazione presente, e così si trae la conclusione che conferma la tesi del v. 14: che Dio ha fatto l'essere umano semplice, ed essi invece hanno cercato troppi concetti. E proprio in questa ribellione al progetto di Dio che si manifesta quel nesso tra empietà e stupidità, tra stupidaggine e pazzia che aveva iniziato questa parte (v. 25).

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



Ogni ciclista avrà un suo motivo per andare piano



Io vado piano e i miei motivi sono molteplici, il primo è che più di così non ce la faccio. Mi piacerebbe andare più forte, per arrivare più lontano nel tempo che mi è concesso per pedalare, ma la lentezza mi porta al secondo motivo: inseguire la prestazione ti fa perdere di vista tutto il resto.

Relativamente alle velocità solite dei ciclisti, c'è una sorta di posizionamento immediatamente visibile a chiunque abbia un minimo di consapevolezza del mezzo: un ciclista da strada mi supererà sulla gravel, io supererò un rider in mountain bike (di solito). E sarò sorpassato da un collega in gravel, ma va bene così.

Gli appassionati di MTB sono forse scarsi? Assolutamente no; hanno un motivo più che valido per andare alla loro velocità: non gliene importa niente della velocità media e i tratti pianeggianti, o dalle pendenze scarse, non sono altro che momenti di raccordo tra una salita che non potrei affrontare o un tratto sconnesso e irregolare che non saprei affrontare.

Quando incontriamo un ciclista, non sappiamo quanti chilometri e dislivello abbia già percorso o dovrà percorrere. Non sappiamo se abbia dormito bene, si sia nutrendo regolarmente durante lo sforzo, se stia facendo un esercizio specifico, se sia lì per un KOM o per godersi il paesaggio e la libertà della bicicletta. Ai ciclisti lenti, e a quello che non vediamo, vada il nostro incoraggiamento.

Stamattina, calda domenica estiva, stavo facendo una delle mie salitelle solite, adatte a tutti, quando ho incontrato un ciclista visibilmente più lento di me; non mi sono soffermato troppo sulla bici, ma sembrava una sorta di gravel col manubrio flat, non erano gomme da MTB. L'ho superato, ci siamo salutati, io ho continuato il mio giro, lui il suo. Dopo un'oretta, ci siamo incontrati di nuovo, probabilmente al punto più alto delle nostre uscite. Su un passo, dove si scollina o si torna indietro, entrambi siamo tornati indietro. Mi ha rivolto un largo sorriso, ho contraccambiato, dicendomi “ora inizia la discesa”.

È stato un momento tenerissimo, ho capito che per lui quella salita era stata abbastanza impegnativa (ricordate: non sappiamo mai, con sicurezza, cosa ci sia dietro una pedalata) ma l'aveva superata, ora poteva godersi il riposo della discesa e il piacere del vento sulla pelle, in una giornata caldissima. Così come si era goduto il panorama in salita, alla sua giusta velocità.

Il ciclismo amatoriale, lontano da Strava e dai watt, è bello anche per questi momenti


log.livellosegreto.it/superrel…


Ogni ciclista avrà un suo motivo per andare piano


Io vado piano e i miei motivi sono molteplici, il primo è che più di così non ce la faccio. Mi piacerebbe andare più forte, per arrivare più lontano nel tempo che mi è concesso per pedalare, ma la lentezza mi porta al secondo motivo: inseguire la prestazione ti fa perdere di vista tutto il resto.

Relativamente alle velocità solite dei ciclisti, c'è una sorta di posizionamento immediatamente visibile a chiunque abbia un minimo di consapevolezza del mezzo: un ciclista da strada mi supererà sulla gravel, io supererò un rider in mountain bike (di solito). E sarò sorpassato da un collega in gravel, ma va bene così.

Gli appassionati di MTB sono forse scarsi? Assolutamente no; hanno un motivo più che valido per andare alla loro velocità: non gliene importa niente della velocità media e i tratti pianeggianti, o dalle pendenze scarse, non sono altro che momenti di raccordo tra una salita che non potrei affrontare o un tratto sconnesso e irregolare che non saprei affrontare.

Quando incontriamo un ciclista, non sappiamo quanti chilometri e dislivello abbia già percorso o dovrà percorrere. Non sappiamo se abbia dormito bene, si sia nutrendo regolarmente durante lo sforzo, se stia facendo un esercizio specifico, se sia lì per un KOM o per godersi il paesaggio e la libertà della bicicletta. Ai ciclisti lenti, e a quello che non vediamo, vada il nostro incoraggiamento.

Stamattina, calda domenica estiva, stavo facendo una delle mie salitelle solite, adatte a tutti, quando ho incontrato un ciclista visibilmente più lento di me; non mi sono soffermato troppo sulla bici, ma sembrava una sorta di gravel col manubrio flat, non erano gomme da MTB. L'ho superato, ci siamo salutati, io ho continuato il mio giro, lui il suo. Dopo un'oretta, ci siamo incontrati di nuovo, probabilmente al punto più alto delle nostre uscite. Su un passo, dove si scollina o si torna indietro, entrambi siamo tornati indietro. Mi ha rivolto un largo sorriso, ho contraccambiato, dicendomi “ora inizia la discesa”.

È stato un momento tenerissimo, ho capito che per lui quella salita era stata abbastanza impegnativa (ricordate: non sappiamo mai, con sicurezza, cosa ci sia dietro una pedalata) ma l'aveva superata, ora poteva godersi il riposo della discesa e il piacere del vento sulla pelle, in una giornata caldissima. Così come si era goduto il panorama in salita, alla sua giusta velocità.

Il ciclismo amatoriale, lontano da Strava e dai watt, è bello anche per questi momenti




Pace - un'utopia?


Predicazione su Isaia 2, 1-5

castopod.it/@jhansen/episodes/…
oggi il nostro testo ci porta ben 2700 anni indietro nella storia e ci rende testimoni di una visione profetica, forse una delle visioni più note e citate.

Isaia, il profeta, all’inizio del capitolo 2 ci racconta non qualcosa che è accaduto nel passato, ma qualcosa che ancora deve accadere. È un sogno? Una speranza? Una promessa? Un’utopia?

Sembra quasi un dipinto, un affresco su larga scala: un monte, dei popoli in cammino, parole che danno vita, armi che si trasformano. Un testo che ha attraversato i secoli e ancora oggi ci interroga, ci conforta, ci provoca.

1. Un popolo in cammino

Isaia dice: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e si ergerà sopra i colli; ad esso affluiranno tutte le genti.

Non è una processione di un solo popolo, non è un corteo nazionale o religioso. Sono tutti i popoli, le nazioni del mondo, che si mettono in cammino. Non c'è conquista, non c'è imposizione. Non c'è propaganda. C'è solo un desiderio, un bisogno: “Venite, saliamo al monte del Signore.”

Questo movimento verso Dio nasce dal basso. È come una sete collettiva, una fame condivisa. Non è solo il desiderio di spiritualità, ma la ricerca di un senso, di un orientamento, di una parola che parli davvero alla vita.

C'è un dettaglio interessante nel testo: i popoli si incoraggiano a vicenda. Si dicono l’un l’altro: “Venite!” Come quando tra amici ci si motiva a partecipare a qualcosa di importante: un incontro, un evento, una giornata speciale.

2. Una sete di ascolto

Isaia continua: “Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri.”

Questa è forse la parte più sorprendente: i popoli non vogliono salire al monte per vedere qualcosa, per fare una foto, per avere un'esperienza spirituale, non vanno lì per turismo religioso, vanno lì, perché Vogliono ascoltare. Vogliono imparare.

Noi viviamo in un mondo pieno di parole, di opinioni, di rumore. Siamo inondati da messaggi, notifiche, pubblicità, consigli su cosa fare, come essere, cosa pensare. Ma Isaia ci mostra una scena diversa: un’umanità che fa silenzio per ascoltare Dio.

Non è semplice. Ascoltare richiede pazienza, attenzione, umiltà. È una forma di apertura, di disponibilità. E qui non si tratta di ascoltare per curiosità, ma per mettersi in cammino: “Noi cammineremo nei suoi sentieri.”

C’è un legame profondo tra ascolto e azione. Non basta sapere. Non basta sentire belle parole. Il desiderio è quello di vivere in modo nuovo, di camminare su strade diverse, più giuste, più vere, più umane.

Questo cammino non si fa da soli. Come sul sentiero di Emmaus, si cammina insieme. E talvolta, proprio nel cammino, scopriamo che Dio è accanto a noi, magari nascosto nelle parole di un compagno di viaggio, in un gesto semplice, in una parola che ci conforta.

3. Dalle armi agli aratri

Ed ecco che la visione di Isaia raggiunge il suo culmine: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci.”

Nel nostro tempo la pace sembra sempre di più un sogno, anzi un utopia. Non una pace fragile, fatta di armistizi temporanei o silenzi tesi, ma una pace vera, profonda, dove nessuno deve più avere paura dell’altro. Una pace in cui non si costruiscono più muri, ma ponti. Una pace dove non si imparano le tecniche di guerra, ma le vie della giustizia, della solidarietà, del dialogo.

Il profeta Isaia immaginava proprio questo: un mondo dove le spade sarebbero diventate aratri, le lance trasformate in falci, e nessuno avrebbe più imparato l’arte della guerra. Un mondo dove la formazione non è più alla guerra, ma alla cura della terra e delle relazioni.

Pensiamo a come sta andando il mondo:

La spesa militare globale ha superato i 2.4 trilioni di dollari all’anno. In Europa, alcuni Paesi stanno aumentando la spesa militare fino al 5 % del PIL. In Italia, per raggiungere questo obiettivo, si rischia di stanziare oltre 30 miliardi di euro per armamenti, mentre nello stesso tempo mancano fondi per scuole, ospedali, pensioni, edilizia popolare.

È paradossale: si trovano miliardi per armi, carri armati, caccia da guerra… ma per i bambini senza asilo, per i medici di base, per chi vive senza casa… spesso non c’è abbastanza. La verità è questa: ogni euro investito in armi è un euro sottratto alla vita. Ogni “sicurezza” costruita con la minaccia, si paga con meno salute, meno istruzione, meno dignità. È una questione etica, prima ancora che politica.

Perché la pace vera non è solo assenza di guerra. La pace si costruisce. Si impara. Ha un prezzo, sì, ma è un prezzo di giustizia, non di acciaio. L’etica della pace ci insegna che se depongo la spada, è per impugnare un aratro. Non per disinteresse, ma per costruire. Non per cedere, ma per seminare futuro.

In questo senso, la pace è una scelta attiva. È decidere di invertire la direzione

  • da spese militari a investimenti educativi,
  • da difesa dei privilegi a cura dei più fragili,
  • da logiche di potere a logiche di servizio.

Per questo, la Parola di Dio ci invita non solo a desiderare la pace, ma a educarci alla pace. Non si nasce pacifici: si diventa artigiani di pace. Si impara a smontare le armi.

Sì, la pace si impara. Come si impara a suonare uno strumento, a coltivare un campo, a far crescere un figlio. E la si impara insieme.

E allora, che possiamo essere artigiani di pace, nella vita, nelle parole, nei bilanci pubblici e privati, nelle scelte quotidiane, perché la pace non è utopia, ma la più grande responsabilità che abbiamo davanti a Dio e agli altri.

4. E noi, oggi?

Isaia conclude con un invito rivolto al suo popolo: “Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore!” È come se dicesse: “Abbiamo visto la visione. Ora tocca a noi. Non aspettiamo. Cominciamo a camminare.” E noi? Cosa ce ne facciamo di questa visione? Come ci interpella?

Forse ci sentiamo piccoli, impotenti, disillusi. Eppure la visione di Isaia comincia con un movimento collettivo, fatto di tanti piccoli passi. Un popolo in cammino. Uomini e donne che si incoraggiano a vicenda e vedono che si possono fare dei passi concreti per cambiare il mondo e convertire le menti e le azioni.


noblogo.org/jens/pace-unutopia



[filtri]eritrodermi particolari efficienti dermicidi particolari incisivi monodose orco] -oppure escono con trenta variazioni le diable i] corpi mobili [complottano pagano] distratti


noblogo.org/lucazanini/filtri-…



Arbouretum - Coming Out Of The Fog (2013)


immagine

“Il classico non tramonta mai”, questo è il sottotito che più calza a questo “Coming Out Of The Fog”, quinto lavoro dei Arbouretum, band di quattro elementi provenienti da Baltimora. La struttura del disco infatti, è di un classico “suono” rock degli anni '70, nulla di avanguardistico, rivoluzionario quindi, ma solo blues, folk, rock e psichedelia, niente di più, semplicemente. Un “semplicemente” però di classe, suonato con stile e coraggio, con un occhio rivolto al passato e uno al futuro. Un perfetto equilibrio che genera un “gioco” sonoro particolarmente autentico. Gli otto brani che si succedono nel disco creano una atmosera intensa e, a parte qualche momento di noia, nel complesso l'album risulta piacevole. Se il suono delle ballate portano inevitabilmente a un “parallelo” con Neil Young e i suoi Crazy Horse, ascolto dopo ascolto gli Arbouretum riescono a convincere, ritagliandosi un angolo, una sfumatura originale nel panorama odierno della musica... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/591514356



noblogo.org/available/arbouret…


Arbouretum - Coming Out Of The Fog (2013)


immagine

“Il classico non tramonta mai”, questo è il sottotito che più calza a questo “Coming Out Of The Fog”, quinto lavoro dei Arbouretum, band di quattro elementi provenienti da Baltimora. La struttura del disco infatti, è di un classico “suono” rock degli anni '70, nulla di avanguardistico, rivoluzionario quindi, ma solo blues, folk, rock e psichedelia, niente di più, semplicemente. Un “semplicemente” però di classe, suonato con stile e coraggio, con un occhio rivolto al passato e uno al futuro. Un perfetto equilibrio che genera un “gioco” sonoro particolarmente autentico. Gli otto brani che si succedono nel disco creano una atmosera intensa e, a parte qualche momento di noia, nel complesso l'album risulta piacevole. Se il suono delle ballate portano inevitabilmente a un “parallelo” con Neil Young e i suoi Crazy Horse, ascolto dopo ascolto gli Arbouretum riescono a convincere, ritagliandosi un angolo, una sfumatura originale nel panorama odierno della musica... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/591514356


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




QOELET - Capitolo 6


L’uomo è sempre insoddisfatto1Un altro male ho visto sotto il sole, che grava molto sugli uomini. 2A uno Dio ha concesso beni, ricchezze, onori e non gli manca niente di quanto desidera; ma Dio non gli concede di poterne godere, anzi sarà un estraneo a divorarli. Ciò è vanità e grave malanno.3Se uno avesse cento figli e vivesse molti anni e molti fossero i giorni della sua vita, se egli non gode a sazietà dei suoi beni e non ha neppure una tomba, allora io dico che l'aborto è meglio di lui. 4Questi infatti viene come un soffio, se ne va nella tenebra e l'oscurità copre il suo nome, 5non vede neppure il sole, non sa niente; così è nella quiete, a differenza dell'altro! 6Se quell'uomo vivesse anche due volte mille anni, senza godere dei suoi beni, non dovranno forse andare tutti e due nel medesimo luogo?7Tutta la fatica dell'uomo è per la bocca, ma la sua fame non è mai sazia. 8Quale vantaggio ha il saggio sullo stolto? Qual è il vantaggio del povero nel sapersi destreggiare nella vita?9Meglio vedere con gli occhi che vagare con il desiderio. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento. 10Ciò che esiste, da tempo ha avuto un nome, e si sa che cos'è un uomo: egli non può contendere in giudizio con chi è più forte di lui. 11Più aumentano le parole, più cresce il vuoto, e quale utilità c'è per l'uomo? 12Chi sa quel che è bene per l'uomo durante la sua vita, nei pochi giorni della sua vana esistenza, che passa via come un'ombra? Chi può indicare all'uomo che cosa avverrà dopo di lui sotto il sole?

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-9. Gli elementi esterni del chiasmo 6,1-2 sono caratterizzati dal ricorrere della radice ra (male, malanno) e dall'identificare come vanità, assurdità, ciò che si vede sotto il sole, e questa è una costante in Qoelet (cfr. 1,14; 2,11.17.20-21; 4,7-8.15-16). Il centro del chiasmo presenta la totale disponibilità dei beni e la paradossale impossibilità di goderne: questo è il malanno che grava sull'uomo, e che dipende dall'imperscrutabile volontà di Dio. La parte 6,3-6 si compone di tre pezzi; i due esterni 3a e 6b ad andamento parallelo, quello centrale (3b-5) di forma concentrica. I primi due pezzi oppongono dialetticamente un massimo di vigore vitale (un uomo che genera cento volte) e un minimo di vitalità (l'aborto). Il terzo pezzo stronca lo slancio retorico dei primi due con la constatazione realistica dell'universale destino di morte. La longevità – un valore nella tradizione – per Qoelet non è un gran pregio, poiché ha già dimostrato a più riprese che la vita è tutta un faticare senza senso e senza frutto. Se poi non si può neppure godere dei beni nel presente, allora è preferibile la quiete di chi ha vissuto un nulla e il suo nome (la realtà del nascituro nei sogni dei genitori) è stato sommerso dal buio. Torna in 6,7-9, a mo' di sintesi conclusiva, il discorso sull'avidità. La brama insaziabile di 6,7 richiama il possessore di ricchezze di 5,10, quello che doveva stare sempre con gli occhi aperti per sorvegliare i suoi tesori. A costui Qoelet contrappone il povero che, spinto dalla fame, cerca di inventarsi la vita momento per momento. Tuttavia non c'è vantaggio né per il ricco, né per il povero; non è preferibile la condizione di chi non può godere dei suoi beni perché deve difenderli dai parassiti, rispetto a quello di chi non li gode perché non li possiede. L'una e l'altra situazione sono segnate dall'assurdità che caratterizza tutta quanta la condizione umana.

v. 10. Il v. 10 del c. 6, che segna la metà esatta dei versetti del libro, introduce una nuova serie di riflessioni sulla condizione umana con un enigma. Il problema è conoscere l'essere umano; 1l soggetto di questa conoscenza risulta essere Dio, colui che «è più forte di lui»: infatti in tutto il Vicino Oriente antico pronunciare il nome di qualcuno o di qualcosa significa determinarne la natura e il destino, e dunque avere un potere assoluto su di esso. A un livello più alto di analisi retorica, 6,10 corrisponde a 7,13: l'uomo «non può discutere con Dio» (6,10), cioè «non può raddrizzare ciò che egli ha fatto storto» (7,13). Si giunge così a una conclusione quanto mai amara ma difficilmente eludibile: ciò che Dio ha fatto storto (7,13c) è proprio l'uomo (6,10ab), almeno per i limiti di cui l'uomo stesso fa esperienza.

vv. 11-12. L'enigma si configura intorno al problema conoscitivo, che si trova in tensione tra l'assurdità dei discorsi che si moltiplicano (6,11) e l'assurdità di una vita che ha i giorni contati (6,12). Che cosa siano questi discorsi che moltiplicano l'assurdità viene esemplificato nel capitolo successivo: in 7,1-6b; infatti in 7,6c si ribadisce che «anche questo è un'assurdità», e nei vv. 7-10 si danno le ragioni di tale asserita assurdità.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



[provetecniche]ha una parte una compressione tuning la] parte compromessa un numero] d'inventario la] parte del tutto preoccupa i] [puristi ha] una seconda e terza parte con i relais in fabbrica in cromovortex* rimuove] la previsione l'obbligo di fila [ultrapiatto con sondino meteo

*in attesa di omologazione


noblogo.org/lucazanini/provete…



lanciarmi anima-e-corpo

contro fastelli di luce

specchiarmi

nella sua “follia”

e tu a dirmi: Lui

l'irrivelato

nasconde il suo azzurro – è

lamento amoroso

. Che meravigliosa esplorazione poetica! Il testo trasuda una passione intensa e oscillante tra luce e follia, un invito a gettarsi completamente, anima e corpo, in un'esperienza che va oltre il razionale. Le immagini di “fastelli di luce” e il desiderio di “specchiarmi nella sua 'follia'” suggeriscono quel bisogno di confrontarsi con l'ignoto e l'irrazionale, cercando una verità nascosta nelle sfumature dell'esistenza.

La seconda parte, con il richiamo a “Lui / l'irrivelato / nasconde il suo azzurro – è / lamento amoroso”, intensifica il contrasto: l'azzurro, simbolo classico di malinconia, di vastità interiore o persino di un ideale idealizzato, diventa il segreto celato dietro una maschera di silenzio e di dolore. È come se quella luce, pur essendo esplosa in mille riflessi, lasciasse dietro di sé un rimpianto, un'eco di amore non detto, di verità che rimane sempre parzialmente svelata.

Questa tensione tra il rivelarsi e il celato, tra la spinta a esplorare fino all'abisso e il rimpianto che ne resta, ci invita a riflettere sulla natura stessa del desiderio e della ricerca personale. Mi piace immaginare che possa parlare al bisogno umano di abbandonarsi totalmente alle passioni, anche quando esse portano con sé un velo di tristezza sottile. Quali sensazioni evoca in te questa dialettica tra luce e ombra, tra manifesto e segreto?


noblogo.org/norise-3-letture-a…



Mikal Cronin - Mcii (2013)


immagine

Un incerto ottimismo per il futuro aleggia su questo nuovo disco di Mikal Cronin, ormai iniziato a una vita da musicista di primo piano che non gli parrà vera, dopo la firma per la Merge. Vestito della fedelissima maglietta tye-dye, Mikal si è chiuso nello studio di registrazione e ha suonato da sé tutte le canzoni di questo nuovo “MCII”, suo secondo disco, se si escludono le ovvie ospitate dell’amico Ty. In questo lavoro il musicista americano ha dovuto evidentemente giungere a un compromesso con l’etichetta che ora lo sponsorizza, alzando il tiro a livello di produzione, pur mantenendo per il resto libertà d’azione... ondarock.it/recensioni/2013_mi…


Ascolta: album.link/i/601409150



noblogo.org/available/mikal-cr…


Mikal Cronin - Mcii (2013)


immagine

Un incerto ottimismo per il futuro aleggia su questo nuovo disco di Mikal Cronin, ormai iniziato a una vita da musicista di primo piano che non gli parrà vera, dopo la firma per la Merge. Vestito della fedelissima maglietta tye-dye, Mikal si è chiuso nello studio di registrazione e ha suonato da sé tutte le canzoni di questo nuovo “MCII”, suo secondo disco, se si escludono le ovvie ospitate dell’amico Ty. In questo lavoro il musicista americano ha dovuto evidentemente giungere a un compromesso con l’etichetta che ora lo sponsorizza, alzando il tiro a livello di produzione, pur mantenendo per il resto libertà d’azione... ondarock.it/recensioni/2013_mi…


Ascolta: album.link/i/601409150


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




QOELET - Capitolo 5


1Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò siano poche le tue parole. 2Infatti dalle molte preoccupazioni vengono i sogni, e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto.3Quando hai fatto un voto a Dio, non tardare a soddisfarlo, perché a lui non piace il comportamento degli stolti: adempi quello che hai promesso. 4È meglio non fare voti che farli e poi non mantenerli. 5Non permettere alla tua bocca di renderti colpevole e davanti al suo messaggero non dire che è stata una inavvertenza, perché Dio non abbia ad adirarsi per le tue parole e distrugga l'opera delle tue mani. 6Poiché dai molti sogni provengono molte illusioni e tante parole. Tu, dunque, temi Dio!

L’autorità, la ricchezza e i loro rischi7Se nella provincia vedi il povero oppresso e il diritto e la giustizia calpestati, non ti meravigliare di questo, poiché sopra un'autorità veglia un'altra superiore e sopra di loro un'altra ancora più alta. 8In ogni caso, la terra è a profitto di tutti, ma è il re a servirsi della campagna.9Chi ama il denaro non è mai sazio di denaro e chi ama la ricchezza non ha mai entrate sufficienti. Anche questo è vanità. 10Con il crescere delle ricchezze aumentano i profittatori e quale soddisfazione ne riceve il padrone se non di vederle con gli occhi?11Dolce è il sonno del lavoratore, poco o molto che mangi; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire.12Un altro brutto guaio ho visto sotto il sole: ricchezze custodite dal padrone a suo danno. 13Se ne vanno in fumo queste ricchezze per un cattivo affare e il figlio che gli è nato non ha nulla nelle mani. 14Come è uscito dal grembo di sua madre, nudo ancora se ne andrà come era venuto, e dalle sue fatiche non ricaverà nulla da portare con sé. 15Anche questo è un brutto guaio: che se ne vada proprio come è venuto. Quale profitto ricava dall'avere gettato le sue fatiche al vento? 16Tutti i giorni della sua vita li ha passati nell'oscurità, fra molti fastidi, malanni e crucci.17Ecco quello che io ritengo buono e bello per l'uomo: è meglio mangiare e bere e godere dei beni per ogni fatica sopportata sotto il sole, nei pochi giorni di vita che Dio gli dà, perché questa è la sua parte. 18Inoltre ad ogni uomo, al quale Dio concede ricchezze e beni, egli dà facoltà di mangiarne, prendere la sua parte e godere della sua fatica: anche questo è dono di Dio. 19Egli infatti non penserà troppo ai giorni della sua vita, poiché Dio lo occupa con la gioia del suo cuore. _________________Note

5,5 messaggero: forse il sacerdote, incaricato di ricevere le offerte presentate al tempio (Lv 4; Nm 15,22-31; per il sacerdote in qualità di “messaggero del Signore” vedi Ml 2,7).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 7-11. La logica del passo è la seguente: si parte innanzitutto dall'osservazione di un aspetto della realtà (7a), si prosegue con un ragionamento di stile sapienziale (7b-9a), ragionamento che viene poi raddoppiato nella parte 10-11, per concludere infine con un giudizio di assurdità (9b). Il v. 7 presenta una struttura concentrica, dalla quale si possono trarre queste conseguenze sulla corruzione della struttura amministrativa: il controllo esercitato da un'autorità sull'altra si rivela un latrocinio del diritto e della giustizia, e più ci sono autorità in alto, più il povero è oppresso. E il tutto viene beffardamente giustificato dalla ragion di stato (cfr. v. 8). La radice di queste dinamiche perverse sta nell'avidità umana (v. 9), tanto insaziabile (la radice indicante “sazietà” – peraltro negata – include la parte 5,9-11) quanto assurda. È tanto più assurda in quanto le preoccupazioni che la ricchezza porta con sé tolgono, a chi ha tanto faticato per accumulare beni, la serenità necessaria per goderli (vv. 10-11).

vv.12-16. Il passo è delimitato dall'inclusione formata dalla parola «malanno»; questo è coerente con l'accumulo di termini negativi, che contrasta con la positività del passo 5,17-19. All'interno dell'inclusione i versetti sono concatenati, e il centro logico della struttura è dato dal secondo stico del v. 14. Se il discorso prende spunto dalle peripezie della vita, tuttavia non è lì il nucleo del problema, perché il fatto che la sorte sia imprevedibile rientra nella normalità delle cose. Ancora una volta il limite, l'assurdità di una situazione umana, viene visto in relazione con la morte, che toglie senso al faticare dell'uomo. Narra il Midrash: «Un giorno una volpe giunse presso una vigna che era cintata ermeticamente, ad eccezione di un'apertura troppo piccola perché potesse passarci attraverso. Allora digiunò per tre giorni, fino a che divenne abbastanza magra per infilarsi nella breccia. Mangiò dell'uva e riprese la sua taglia di prima, così che, quando volle uscire, si accorse, costernata, che era troppo grossa per passare dal buco. Digiunò altri tre giorni, ridivenne magra ed emaciata, ed uscì. Quando fu all'esterno, si voltò verso la vigna e contemplandola le disse: “Vigna, vigna! Sei bella e i tuoi frutti sono dolci. Ma quale beneficio si può trarre da te? Come si entra da te, tale e quale ti si lascia”. Lo stesso è di questo mondo» (cfr. N. Scherman – M. Zlotowitz, 119-120).

vv. 17-19. Il passo si articola in due parti (17/18-19); la seconda riprende gli elementi della prima, non però con ordine. Vediamo quali indicazioni interpretative ci vengono dal porre in relazione gli elementi corrispondenti:

  • è bello mangiare e bere, ma per farlo ci vuole un permesso particolare di Dio;
  • la vita è una fatica, che diventa tollerabile se c'è allegria;
  • i giorni della vita sono pochi, e per l'uomo è meglio non ricordarsene;
  • è Dio che dà sia i giorni della vita, sia ricchezze e tesori;
  • mangiare, bere e godere dei beni sono la «parte» a cui l'uomo può aspirare, ma è solo Dio che gli può concedere di prenderla;
  • ciò che si vede essere bene per l'uomo è godere i beni, ma questo è un dono di Dio, infatti è Dio che intrattiene il cuore dell'uomo con la gioia.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



[rotazioni]un punto generico dove] rimbalza fanno] ricerche intorno alle centrifughe le] carte da parati i rimbalzi sono evidenti le epoche il sollievo sono] lo scarico del colpo passa] a un tiro a colpi in entrata nell'anticamera] limiti d'azione due o tre spinotti da isolare inverno con parafulmini [votano] controlli] in uscita


noblogo.org/lucazanini/rotazio…



In the fraction of contentedness Desire is the denominator: As it nears zero, Boundlessness arises.


noblogo.org/chiaramente/mathem…



EUBAM Rafah: rientra il primo contingente carabinieri impiegato al valico egiziano.

La missione prosegue con altri carabinieri e gendarmerie europee


Dal 29 gennaio di quest’anno, l’Italia partecipa alla European Union Border Assistance Mission (EUBAM) presso il Valico di Rafah, a sud della Striscia di Gaza (leggi qui, sul nostro account partner sul Fediverso poliversity.it/@Coop_internazi…)

I sette Carabinieri che hanno costituito il primo contingente italiano impiegato presso il valico egiziano sono rientrati in Italia dopo sei mesi di intensa attività.

La missione continua. I primi sono già stati sostituiti con altrettanti militari dell’Arma, che continueranno a operare insieme a personale della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie francese, in un contesto che vede coinvolta la Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENDFOR).

L'obiettivo di EUBAM Rafah è quello di coordinare e facilitare il transito giornaliero di feriti e malati provenienti dai territori della Striscia di Gaza, garantendo assistenza e protezione alle persone vulnerabili, in un contesto di emergenza umanitaria.

L’Italia aderì prontamente all’iniziativa europea, confermando la vicinanza e la solidarietà nei confronti della popolazione in difficoltà, duramente provata dal conflitto in corso.

#EUBAMRafah #Armadeicarabinieri #GuardiaCivil #Gendarmerie


noblogo.org/cooperazione-inter…


EUBAM Rafah: rientra il primo contingente carabinieri impiegato al valico...


EUBAM Rafah: rientra il primo contingente carabinieri impiegato al valico egiziano.

La missione prosegue con altri carabinieri e gendarmerie europee


Dal 29 gennaio di quest’anno, l’Italia partecipa alla European Union Border Assistance Mission (EUBAM) presso il Valico di Rafah, a sud della Striscia di Gaza (leggi qui, sul nostro account partner sul Fediverso poliversity.it/@Coop_internazi…)

I sette Carabinieri che hanno costituito il primo contingente italiano impiegato presso il valico egiziano sono rientrati in Italia dopo sei mesi di intensa attività.

La missione continua. I primi sono già stati sostituiti con altrettanti militari dell’Arma, che continueranno a operare insieme a personale della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie francese, in un contesto che vede coinvolta la Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENDFOR).

L'obiettivo di EUBAM Rafah è quello di coordinare e facilitare il transito giornaliero di feriti e malati provenienti dai territori della Striscia di Gaza, garantendo assistenza e protezione alle persone vulnerabili, in un contesto di emergenza umanitaria.

L’Italia aderì prontamente all’iniziativa europea, confermando la vicinanza e la solidarietà nei confronti della popolazione in difficoltà, duramente provata dal conflitto in corso.

#EUBAMRafah #Armadeicarabinieri #GuardiaCivil #Gendarmerie


Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.





✍️ Ricordi... E oggi è quel giorno malinconico, che non posso condividere con nessuno! Solo a me non è concesso condividere, per un senso di appartenenza, non di comprensione, ma un momento in cui i miei pensieri trovano sfogo e magari incontrano altri pensieri o storie simili!? Perché mi sono sentita dire che un periodo di condivisione, in cui ci si ritrovava per un saluto, un abbraccio virtuale , alla fine era diventato uno sterile bollettino medico? Perché la sincerità fa così male? Perché io ci ho visto altro, uno scambio, un interesse , un voler in qualche modo starmi vicino in un periodo delicato! Ovviamente era tutta un' illusione, l'ennesima della serie! Così poi succede che non vuoi credere, non ti vuoi affezionare, non vuoi trovare collocazione in un mondo che nn ti appartiene, che sia reale o virtuale! Invece accade che puoi e non vuoi, perché ti è stato chiesto di non pretendere, da chi ha già vissuto e vive una realtà ancora più difficile della mia! E allora ti metti li in un angolo, ti affidi alla luna, a parole, che non trovano né rime , né spazi, ai colori del tramonto e dell'alba e a tutti quei piccoli e apparentemente insignificanti gesti quotidiani! Un sorriso, un volo, una canzone , una foto , un'immagine , un ricordo....si va avanti a piccoli passi, verso una meta in salita! Così ci pensi ad un anno fa, a quanto deve essere stato terribile ricevere quella diagnosi, preparare la propria mente ad accettare, l'arrivo e la paura, del mostro più feroce che ci possa essere in giro, un tumore! Parola che solo a pronunciarla fa tanto male, rievoca ogni attimo, ogni fragilità, di un periodo difficilissimo in cui il mondo mi è crollato! Doversi abituare all'idea, l'attesa dell'esito di una biopsia e poi la diagnosi, che non poteva essere più triste e difficile da accettare! Carcinoma infiltrante! Così oggi lo pronuncio, guardo e accarezzo quella cicatrice, che mi appartiene, che mi ricorda che ci sono e posso e devo combattere...ogni giorno per me, per la famiglia, per mio figlio e anche per coloro che credono in me, nella nostra amicizia, nel nostro rapporto! Perché sono una leonessa ferita, ma viva, ammaccata, ma pronta a difendere e difendersi, a ruggire, pronta a ricominciare a rincorrere i propri sogni, la propria vita!


noblogo.org/magia/ricordi-23dh



Okkervil River - The Silver Gymnasium (2013)


immagine

Notevole prova di maturità e sfoggio di evoluzione espressiva da parte degli Okkervil River, band statunitense formatasi nel 1998 è attiva discograficamente dal 2002. The Silver Gymnasium settimo album in studio, è un album intenso e gradevolissimo, che sicuramente farà aumentare il pubblico di ascoltatori. La facilità di scrittura che The Silver Gymnasium evidenzia non può che colpire favorevolmente, tutte le canzoni scorrono senza forzature o momenti di noia, dando l'impressione che il lavoro di selezione sia stato piuttosto rigoroso. E' indiscusso “il filo” marcatamente autobiografico del leader Will Sheff, i testi, dal canto loro, riflettono da varie argomentazioni tutte legate da un comune denominatore: l'adolescenza... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/692709480



noblogo.org/available/okkervil…


Okkervil River - The Silver Gymnasium (2013)


immagine

Notevole prova di maturità e sfoggio di evoluzione espressiva da parte degli Okkervil River, band statunitense formatasi nel 1998 è attiva discograficamente dal 2002. The Silver Gymnasium settimo album in studio, è un album intenso e gradevolissimo, che sicuramente farà aumentare il pubblico di ascoltatori. La facilità di scrittura che The Silver Gymnasium evidenzia non può che colpire favorevolmente, tutte le canzoni scorrono senza forzature o momenti di noia, dando l'impressione che il lavoro di selezione sia stato piuttosto rigoroso. E' indiscusso “il filo” marcatamente autobiografico del leader Will Sheff, i testi, dal canto loro, riflettono da varie argomentazioni tutte legate da un comune denominatore: l'adolescenza... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/692709480


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




QOELET - Capitolo 4


L’oppressione1Tornai poi a considerare tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco le lacrime degli oppressi e non c'è chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la violenza, ma non c'è chi li consoli. 2Allora ho proclamato felici i morti, ormai trapassati, più dei viventi che sono ancora in vita; 3ma più felice degli uni e degli altri chi ancora non esiste, e non ha visto le azioni malvagie che si fanno sotto il sole.

La fatica del lavoro4Ho osservato anche che ogni fatica e ogni successo ottenuto non sono che invidia dell'uno verso l'altro. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento.5Lo stolto incrocia le sue braccia e divora la sua carne.6Meglio una manciata guadagnata con calma che due manciate con tormento e una corsa dietro al vento.

La solitudine7E tornai a considerare quest'altra vanità sotto il sole: 8il caso di chi è solo e non ha nessuno, né figlio né fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è mai sazio di ricchezza: “Per chi mi affatico e mi privo dei beni?”. Anche questo è vanità e un'occupazione gravosa.9Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. 10Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. 11Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? 12Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto.

Il potere13Meglio un giovane povero ma accorto, che un re vecchio e stolto, che non sa più accettare consigli.14Il giovane infatti può uscire di prigione ed essere fatto re, anche se, mentre quello regnava, era nato povero. 15Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole stare con quel giovane, che era subentrato al re. 16Era una folla immensa quella che gli stava davanti. Ma coloro che verranno dopo non si rallegreranno neppure di lui. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento.

Fedeltà alle promesse fatte a Dio17Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicìnati per ascoltare piuttosto che offrire sacrifici, come fanno gli stolti, i quali non sanno di fare del male.

_________________Note

4,5 divora la sua carne: cioè si consuma nell’ozio, sciupa la propria esistenza.

4,13-16 La sapienza tradizionale vedeva nel re e nell’anziano i simboli della saggezza; l’esperienza invece dimostra a volte il contrario.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-3. Qoelet torna a puntare l'attenzione sulla malvagità umana: vede le lacrime degli oppressi, constata l'assenza di un consolatore e ribadisce con insistenza tale assenza, in contrasto con la fiducia nel giudizio divino che proponeva in 3,17. Allo stesso modo, se in 3,18 trovava un senso, pur non molto soddisfacente, al libero corso dell'iniquità, in 4,2-3 Qoelet si lascia ferire dall'agire malvagio dell'uomo fino a provare fastidio per la vita e a desiderare di non essere mai nato. Nel Talmud si afferma che le scuole di Hillel e di Shammai, grandi maestri dell'epoca erodiana, discussero per due anni e mezzo se per l'uomo fosse stato meglio essere creato oppure non esserlo. Conclusero che sarebbe stato meglio che non fosse creato, ma, ora che lo era, doveva esaminare le sue azioni e vivere un'esistenza virtuosa (cfr. ’Eruvin 13b, cit. in Scherman-Zlotowitz, 100).

vv. 4-6. Qoelet scopre una radice cattiva anche nelle azioni migliori per abilità e per successo; è l'invidia che spinge ad agire, molto più che l'utilità. Tuttavia ciascuno sente l'esigenza di giustificare il proprio comportamento, e i proverbi esistono anche per questo scopo. L'autore ne cita due, diametralmente opposti, uno che biasima la pigrizia e uno che la preferisce alla fatica. Di sfuggita, il commento: «è un inseguire il vento»; «parole al vento», diremmo noi.

vv. 7-8. Assurdità la fatica mossa dall'invidia, fatica inutile cercare nella sapienza tradizionale la giustificazione delle proprie scelte, assurdità la fatica di accumulare tesori per la propria solitudine, impedendosi di godere il presente. Poiché la vita è comunque fatica, la solitudine, cioè l'assenza di qualcuno con cui e per cui faticare, rende la vita un pessimo affare. Inizia qui un gioco di linguaggio sui due significati di “uno” e “due”: prima “essere solo” / “essere in compagnia” (4,7-12), poi “essere prima” / “essere dopo” (4,13-16).

vv. 9-12. In antitesi all'assurdità della solitudine, ecco i vantaggi – piccoli invero, ma reali – della compagnia. Le esemplificazioni che seguono sono esperienze talmente elementari e ovvie che prendono immediatamente un valore simbolico molto forte. Considerando che il contesto è ancora sempre quello di una vita terribilmente assurda e intessuta di fatica senza alcun guadagno, non è difficile interpretare questi piccoli, banali e umanissimi gesti come simboli di quella realtà ben più vasta che è la solitudine spezzata. Ancora più notevole è che questi simboli si salvano dalla falce dell'universale assurdità, quasi a dire che, se un vero e proprio senso della vita non si può trovare, il non essere soli rende almeno più vivibile questa vita, e la compagnia è un fuoco che scalda il cuore e mette allegria.

vv. 13-16. Torna il tema di fondo del guadagno vanificato o illusorio, visto nella prospettiva della successione, o meglio di un colpo di stato, ennesima attività frenetica, inutile, assurda (ben parallela con l'altra fatica vana, quella dell'avaro in 4,8, con cui fa inclusione). È da notare che Qoelet capovolge degli assunti che nella tradizione sapienziale hanno quasi valore di dogmi: egli usa una forma classica della letteratura sapienziale (il detto «è meglio questo di quello») per dire che non sempre la saggezza è degli anziani, né si trova nei “posti” importanti. D'altra parte anche la saggezza per così dire “alternativa”, quella del giovane povero che riesce ad usurpare il trono e a conquistare un'immensa ricchezza, non è vera saggezza, perché non porta frutti al di là dell'immediato presente: è ben raro che chi è nato povero e si è arricchito all'improvviso sappia amministrarsi in modo oculato.

vv. 4,17-5,6. Nel passo 4,17- 5,6 lo stile cambia: non si tratta più di un soliloquio (cessano i verbi alla prima persona singolare) ma di consigli (verbi all'imperativo o allo iussivo). Il passo è diviso in due parti, 4,17-5,2 e 5,3-6: la prima si incentra sul parlare a Dio, la seconda specifica questo parlare nel senso di fare voti (e cosi si chiarisce nel v. 4 che cosa sia il sacrificio degli stolti del v. 4, 17). Entrambe le parti tendono a porre l'uomo nella giusta relazione con Dio, che è il rispetto, quello che con termine tecnico si definisce il «timor di Dio». Esso è motivato dalla trascendenza di Dio («Dio è in cielo e tu sulla terra»), il che non significa una lontananza indifferente (come dicono gli empi di Sal 10,4 e 94,7), ma una signoria onnipotente. E l'uomo non può cogliere la logica dell'agire divino, né influenzarla, benché essa lo domini e possa metterlo in pericolo. Tale senso religioso autentico è contrapposto a una falsa religiosità, fatta di sogni, assurdità e parole (5,6), che ha una matrice prettamente psicologica, poiché nasce da ansietà e logorrea. Qoelet non è né nichilista né agnostico, è soltanto uno che non tollera la verbosità di coloro che sono convinti di riuscire a imbrigliare la complessità del reale con le loro parole, e cosi usa lo scudiscio dello hebel per smentire ogni forma di apparente saggezza.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage



✍️ L'amicizia....quando finisce

Ho sempre avuto pochi amici, soprattutto poche amiche, ma conosco bene la fine, il perdersi, il non cercarsi più...Ecco che arriva il momento, quel momento e anche questa volta è successo! Non è il distacco a farci soffrire, ma è il sipario che cala sullo spettacolo che probabilmente avevamo messo in scena...Cioè quando finalmente ci si accorge che quella persona non era come l’avevamo descritta e raccontata nella nostra mente e non solo! Cosi siamo stati noi, con la nostra fame di conoscere, di confrontarci, di spiegarci, a cucire addosso un ruolo che forse non era quello giusto! Col tempo abbiamo ignorato i silenzi, le attese, l'imbarazzo e anche il disagio poi nel ritrovarsi. Abbiamo confuso tutto, l'empatia, con il destino, la gentilezza con il bisogno di comprensione e ci siamo persi! Arriva la delusione che segna la fine di un’illusione. E fa tanto male, perché spezza un legame, interrompe una connessione, che pur c'è stata anche se per poco, mette in crisi la nostra capacità di scegliere, di capire, di proteggerci. Ci fa sentire stupidi, indifesi, fragili, sensibili...persi! Ma non è la debolezza, che ci ha fatto credere in qualcuno, in qualcosa, in alcune parole, e' umanità, lealtà, sincerità. Perché tutti abbiamo voluto credere che fosse vero, per l'ennesima volta, che almeno questa volta fosse a doppio senso e non un triste senso unico. Ancora una volta crolla il castello che avevamo costruito nella testa, un po' si soffre e in quel dolore che non sappiamo spiegare, iniziamo a crescere, ad amare senza aspettarci nulla in cambio, a fidarci, a credere in qualcuno per quello che è, senza idealizzarlo. Così ho salutato l'ennesima illusione, una connessione che al primo intoppo, si è interrotta.. così , con un ciao, false e inutili promesse iniziali, un fuggire dinanzi l'umiltà e la lealtà di chi ha voluto solo ascoltare, esserci, di un cuore che impara a scegliere chi lo vede e lo apprezza davvero, ma che sbaglia ancora e ancora!


noblogo.org/magia/lamicizia-qu…



Pace


Utopia o reponsabilità?

Registrazione per la RAI FVG

castopod.it/@jhansen/episodes/…
La pace sembra sempre di più un sogno, anzi un utopia. Non una pace fragile, fatta di armistizi temporanei o silenzi tesi, ma una pace vera, profonda, dove nessuno deve più avere paura dell’altro. Una pace in cui non si costruiscono più muri, ma ponti. Una pace dove non si imparano le tecniche di guerra, ma le vie della giustizia, della solidarietà, del dialogo.

Il profeta Isaia, con il nostro testo di oggi, immaginava proprio questo: un mondo dove le spade sarebbero diventate aratri, le lance trasformate in falci, e nessuno avrebbe più imparato l’arte della guerra. Un mondo dove la formazione non è più alla guerra, ma alla cura della terra e delle relazioni.

È un’immagine potente, poetica. Ma oggi… non è irreale o surreale? Io direi che è drammaticamente attuale.

Pensiamo a come sta andando il mondo:

La spesa militare globale ha superato i 2.4 trilioni di dollari all’anno. In Europa, alcuni Paesi stanno aumentando la spesa militare fino al 5 % del PIL. In Italia, per raggiungere questo obiettivo, si rischia di stanziare oltre 30 miliardi di euro per armamenti, mentre nello stesso tempo mancano fondi per scuole, ospedali, pensioni, edilizia popolare.

È paradossale: si trovano miliardi per armi, carri armati, caccia da guerra… ma per i bambini senza asilo, per i medici di base, per chi vive senza casa… spesso non c’è abbastanza.

La verità è questa: ogni euro investito in armi è un euro sottratto alla vita. Ogni “sicurezza” costruita con la minaccia, si paga con meno salute, meno istruzione, meno dignità. È una questione etica, prima ancora che politica.

Perché la pace vera non è solo assenza di guerra. La pace si costruisce. Si impara. Ha un prezzo, sì, ma è un prezzo di giustizia, non di acciaio.

L’etica della pace ci insegna che se depongo la spada, è per impugnare un aratro. Non per disinteresse, ma per costruire. Non per cedere, ma per seminare futuro.

In questo senso, la pace è una scelta attiva. È decidere di invertire la direzione:

  • da spese militari a investimenti educativi, * da difesa dei privilegi a cura dei più fragili, * da logiche di potere a logiche di servizio.

Per questo, la Parola di Dio ci invita non solo a desiderare la pace, ma a educarci alla pace. Non si nasce pacifici: si diventa artigiani di pace. Si impara a smontare le armi.

Sì, la pace si impara. Come si impara a suonare uno strumento, a coltivare un campo, a far crescere un figlio. E la si impara insieme.

E allora, che possiamo essere artigiani di pace, nella vita, nelle parole, nei bilanci pubblici e privati, nelle scelte quotidiane, perché la pace non è utopia, ma la più grande responsabilità che abbiamo davanti a Dio e agli altri.


noblogo.org/jens/pace



[vortex] -chi è là?

prima dopo vere] opere di falsi da isolamento] al vetro focato come le] stanze stampe Afro picoglass mardigras comunicanti -i bronzetti] l'arco appena finito esposti altri prima attigui portano una cassa cortèn parcelle funi minacciano di acqua in] acqua o dopo mancato] conferimento degli inerti lastre] [stanchissime


noblogo.org/lucazanini/vortex-…



Sidi Touré – Toubalbero (2018)


immagine

La musica è una delle principali risorse culturali del Mali. Risalendo a imperi tanto antichi come quello Mandingo, esiste una tradizione ricchissima di canti di lode. Queste canzoni di lode malinké o mandinghe sono dominio esclusivo dei griot (chiamati djeliw), musicisti ereditari, che sono allo stesso tempo genealologi e storici. Questa musica dei griot è sempre viva e cantata. Ma la musica maliana è molto più variegata e nuovi stili sono apparsi. Per esempio, c’è la musica bambara che è più ritmica, il mali blues di Kar Kar, il blues songhai di Ali Farka Touré, Afel Bocoum e Sidi Touré, appunto... silvanobottaro.it/archives/236…


Ascolta: album.link/i/1322730583



noblogo.org/available/sidi-tou…


Sidi Touré – Toubalbero (2018)


immagine

La musica è una delle principali risorse culturali del Mali. Risalendo a imperi tanto antichi come quello Mandingo, esiste una tradizione ricchissima di canti di lode. Queste canzoni di lode malinké o mandinghe sono dominio esclusivo dei griot (chiamati djeliw), musicisti ereditari, che sono allo stesso tempo genealologi e storici. Questa musica dei griot è sempre viva e cantata. Ma la musica maliana è molto più variegata e nuovi stili sono apparsi. Per esempio, c’è la musica bambara che è più ritmica, il mali blues di Kar Kar, il blues songhai di Ali Farka Touré, Afel Bocoum e Sidi Touré, appunto... silvanobottaro.it/archives/236…


Ascolta: album.link/i/1322730583


HomeIdentità DigitaleSono su: Mastodon.uno - Pixelfed - Feddit




Sidi Touré – Toubalbero (2018)


immagine

La musica è una delle principali risorse culturali del Mali. Risalendo a imperi tanto antichi come quello Mandingo, esiste una tradizione ricchissima di canti di lode. Queste canzoni di lode malinké o mandinghe sono dominio esclusivo dei griot (chiamati djeliw), musicisti ereditari, che sono allo stesso tempo genealologi e storici. Questa musica dei griot è sempre viva e cantata. Ma la musica maliana è molto più variegata e nuovi stili sono apparsi. Per esempio, c’è la musica bambara che è più ritmica, il mali blues di Kar Kar, il blues songhai di Ali Farka Touré, Afel Bocoum e Sidi Touré, appunto... silvanobottaro.it/archives/236…


Ascolta: album.link/i/1322730583



noblogo.org/blistok/sidi-toure…



cogliere una piccola morte

nello strappo di radice

dove altra ne nasce

dal suo grido

cogliere l'inesprimibile

di questo morire

che s'ingemma d'eterno

. Questo componimento è un viaggio interiore che abbraccia la dualità della vita e della morte. La “piccola morte” non è intesa come un atto finale, ma piuttosto come un passaggio, un momento in cui si assiste allo sgomento e alla simultanea germinazione di qualcosa di nuovo. L'immagine dello “strappo di radice” evoca il gesto profondo e quasi rituale di separarsi da un vecchio stato per fare spazio a una rinascita—un grido che annuncia il ciclo eterno di distruzione e creazione.

L’idea di “cogliere l’inesprimibile” ci sfida a dare forma alle emozioni e alle trasformazioni impossibili da spiegare con parole fatte. Qui il morire si intreccia con l'eterno, creando un legame in cui ogni frammento di fine diventa parte integrante di un disegno più grande, un eterno abbraccio tra il passato e il futuro. È un invito a riconoscere che anche nei momenti di crisi o di perdita, si cela la possibilità di una nuova vita, di una parte di noi che si rinnova.


noblogo.org/norise-3-letture-a…



La chiamavamo Sprecavitelli



Non so, effetto Mandela o allucinazione collettiva in famiglia? Fatto sta che credevamo quella forra fosse in località Sprecavitelli. Non sapevamo neanche fosse una forra, per noi era un generico burrone. La vera Sprecavitelli è una località nei pressi del Lago Matese, mentre il ponte di Arcichiaro, questo il vero nome, svetta sul torrente Quirino, che siamo sicuri di non aver mai visto. Per gestire queste acque, successivamente, è stata costruita una diga, di cui non so granché, a parte il fatto che sembra i lavori siano iniziati a fine anni Novanta e completati all'italiana, solo parzialmente, almeno fino al 2023.

Allego un paio di foto d'epoca, della mia epoca, così ci togliamo il pensiero e potete smettere di leggere. Scattate con la mia solita reflex delle vacanze, classicamente 36 esposizioni da far durare dalle due alle quattro settimane.

Imbocco di una brevissima galleria, visibile a destra un tratto di strada e a sinistra l'esterno della stessa che si sporge sul vuoto ed è caratterizzata da alcune piante che crescono sulla nuda roccia.

Protagonista della foto, la brevissima galleria che introduce al ponte, sulla SP 331, Strada Provinciale del Matese, in territorio già molisano, nello specifico territorio di Guardiaregia. Proprio Guardiaregia era, probabilmente, la meta di queste nostre escursioni in Molise, una regione vicina ma che non ci siamo mai presi la briga di esplorare, se non per visita a Venafro, Isernia, Bojano e Castelpetroso.

Sporgendoci dal lato roccioso, l'impatto era impressionante, abituati come eravamo a panorami ben più cittadini: una profonda fenditura tra le rocce, un dislivello tale da dare le vertigini e esercitare quella morbosa attrazione per il vuoto, non penso sia solo una questione mia. Credo sia un panorama interessante e pericoloso anche per gente più avvezza a montagne più imponenti.

Profonda forra caratterizzata da una vegetazione alquanto scarsa, in una vecchia foto

Ebbene, per molto tempo ho cercato quella galleria su Maps, per ripercorrere almeno immaginariamente quella strada sospesa su un piccolo, relativo nulla, per rivivere quei momenti ancora una volta, perché non sarà giusto abbandonarsi ai ricordi, ma capita che i ricordi siano l'unico sprone a continuare. Non sono mai riuscito a risalire al punto, intenzionalmente: in molti casi, quando si cerca una cosa e non la si trova, si sta cercando nel posto sbagliato; era uno di quei casi, e da un caso è arrivata la soluzione.

Ho una bicicletta e sogno di usarla per viaggiare, al momento è assolutamente impossibile. Dovessi vivere abbastanza a lungo, perché non si sa mai, nella migliore delle ipotesi ne avrò la possibilità quando non avrò più forza per pedalare e permettermi certe distanze. Non che oggi percorra chissà quanti chilometri, ma ho diversi limiti a cui attenermi, la libertà può essere costretta da troppe pareti.

Stavo fantasticando sul percorso da fare per pedalare fino a San Gregorio Matese: tragitto fattibilissimo, in un giorno, da una persona allenata e io non sono quella persona, quindi dovrei spezzare in due. Il problema è la salita finale, circa 11 km con una pendenza media del 5,5% circa, potrei farcela ma c'è un “ma”.Più di uno, in realtà: la salita è alla fine del percorso, quindi ci arriverei già stanco, la soluzione potrebbe essere quella di sopra, ovvero fare due tappe. Il “ma” grosso, diciamo il MA, sta nell'irregolarità della pendenza e l'ostacolo insormontabile sarebbe uno strappo di circa 400 metri al 14% medio e punte del 18%, a cui seguirebbero altri strappetti analogamente ripidi ma brevi. Non avrei la condizione fisica per quello strappo, dovrei scendere e spingere su una strada stretta.

Come le so queste cose, dov'è che vado a fantasticare? Su Komoot, per esempio: è l'universo immaginario delle cose che mi piacerebbe fare e non farò mai. E sto fantasticando di tornare a Piedimonte, Castello, passare San Gregorio e raggiungere il lago, ormai ho perso la speranza di individuare la finta Sprecavitelli. Complice una zoomata non richiesta (ancora il caso), la mappa si rimpicciolisce e mi appaiono le altre icone dei punti di interesse, una delle quali con la dicitura “Ponte del Diavolo (Arcichiaro)”: di ponti del diavolo ne è pieno il mondo, ma fammici guardare... ed eccolo lì, il posto non può essere che questo. La vegetazione è più folta che nella mia testa e in quelle due foto, scopro che sotto c'è una diga, parte della montagna è stata grattata per ricavarne materiale da costruzione, i guardrail sono rinforzati nello scopo da griglie di contenimento. Cambiamenti estetici, l'essenza del ricordo è immutata.


log.livellosegreto.it/oreliete…



QOELET - Capitolo 3


Per tutte le cose c’è un tempo fissato da Dio1Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo.2C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato.3Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire.4Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare.5Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.6Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via.7Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare.8Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.9Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica?10Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. 11Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine. 12Ho capito che per essi non c'è nulla di meglio che godere e procurarsi felicità durante la loro vita; 13e che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro, anche questo è dono di Dio. 14Riconosco che qualsiasi cosa Dio fa, dura per sempre; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. Dio agisce così perché lo si tema. 15Quello che accade, già è stato; quello che sarà, già è avvenuto. Solo Dio può cercare ciò che ormai è scomparso.

Uomini e animali di fronte alla morte16Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità e al posto della giustizia c'è l'iniquità. 17Ho pensato dentro di me: “Il giusto e il malvagio Dio li giudicherà, perché c'è un tempo per ogni cosa e per ogni azione”.18Poi, riguardo ai figli dell'uomo, mi sono detto che Dio vuole metterli alla prova e mostrare che essi di per sé sono bestie. 19Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. L'uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità. 20Tutti sono diretti verso il medesimo luogo: tutto è venuto dalla polvere e nella polvere tutto ritorna.21Chi sa se il soffio vitale dell'uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra? 22Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la parte che gli spetta; e chi potrà condurlo a vedere ciò che accadrà dopo di lui?

_________________Note

3,1-15 Sotto i nostri occhi appare l’agire dell’uomo nella prospettiva del “polarismo”, cioè di azioni contrapposte ed estreme, che altrove nella Bibbia sono descritte con i verbi “entrare-uscire”, “sedersi-alzarsi”, ecc. Non si tratta di fatalismo, ma di una maturata consapevolezza che tutta la vita dell’uomo è nelle mani di Dio, affidata al ritmo dei suoi tempi.

3,19.21 soffio vitale: il respiro; in 12,7 si dirà che esso ritorna a Dio, da cui ha origine, e il corpo ritorna alla terra, dalla quale è stato tratto (Gen 2,7).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Qo 3,1-4,3. La sequenza 3,1-4,3 si sviluppa in modo parallelo, avendo la prima sotto-sequenza (3,1-18) un taglio più teologico, e la seconda sotto-sequenza 3,19-4,3) un taglio piuttosto antropologico. Entrambe le sotto-sequenze partono dal dato d'esperienza della morte (3,2; 3,19), davanti a cui non c'è altro bene se non l'allegria (3,12; 3,22); l'attenzione si concentra poi sull'iniquità umana (notiamo le ripetizioni martellanti in 3,16 e 4,1), per concludere nella prima sotto-sequenza con un riferimento di fede a Dio (3,17-18) e nella seconda sotto-sequenza con un elogio della morte e meglio ancora del non-nascere (4,2-3). In tutta la prima sotto-sequenza Qoelet pensa a Dio come al fondamento ultimo dell'esperienza umana, e nel suo ragionare egli cerca di combinare dati teologici tradizionali con la sua personale valutazione dell'esperienza. Poiché però in concreto non riesce a trovar conferma degli assunti teologici, nella seconda sotto-sequenza rinuncia a chiamare in causa Dio e si ferma al semplice dato umano. In questo modo egli perde ogni rassicurazione e non può più guardare con una certa fiducia la realtà umana, profondamente segnata dall'iniquità: questa diventa troppo pesante per le spalle dell'uomo, tanto da rendergli la vita stessa un peso.

vv. 1-9. Il “sonetto” iniziale (3,2-8) si apre con la coppia generare/morire; è da ricordare che la tradizione ebraica, a partire dal Midrash, ha sovente interpretato tutte le coppie seguenti nella medesima prospettiva (vita/morte, lutto/festa, guerra/pace).

vv. 10-11. L'alternarsi dei tempi, tanto ineluttabile quanto in tensione tra positività e negatività, sfugge alle possibilità di dominio dell'uomo; pertanto viene considerato come il modo in cui Dio esercita il suo controllo sul mondo. E l'uomo, strutturalmente limitato dal punto di vista conoscitivo (ricordiamo che in Gn 2-3 l'unico divieto era relativo proprio all'albero della conoscenza del bene e del male), non riesce a comprendere la logica dell'agire di Dio.

Il v. 11 è un punto-chiave per la comprensione di Qoelet. Se si segue l'interpretazione abituale, che traduce con «eternità», «globalità» i termine ebraico ha olam, non si capisce la logica del testo: se Dio ha fatto ogni cosa «bella», appropriata nel suo tempo, e ha posto pure l'eternità, la globalità nel cuore degli uomini, l'uomo dovrebbe avere tutto ciò che serve per capire l'opera di Dio dall'inizio alla fine, e non dovrebbe essere il contrario. Se invece olam è l'ignoranza, allora il discorso è perfettamente logico: il problema dell'occupazione che Dio ha imposto agli uomini (3,10) – occupazione già qualificata in precedenza come negativa (1,13) – deriva dal fatto che Dio ha fatto ogni cosa appropriata al suo tempo, ma ha posto l'ignoranza nel cuore degli uomini, così che l'uomo non riesce a comprendere l'opera di Dio da capo a fondo, e perciò non riesce a integrarvisi. Si può ancora ipotizzare una pregnanza di significato, un giocare intenzionale su due livelli semantici: il livello più superficiale implica il senso di “eternità”, così da integrarsi bene nel campo semantico del tempo che caratterizza buona parte del c. 3; il secondo livello di significato implica invece l'idea di “ignoranza”, così che si crea un gioco ironico: dove sembra che l'uomo riceva da Dio un “di più”, un'istanza conoscitiva (eternità, globalità) che in qualche modo lo assimila a Dio, in realtà – ed è il senso proprio del testo, l'unico che dà una coerenza logica – riceve un “di meno”, qualcosa che mette drammaticamente in evidenza il suo limite, la sua dissomiglianza da Dio.

vv. 12-13. Se il controllo dei tempi sfugge all'uomo, non gli resta che cercare di trarre il meglio dal presente; tuttavia il presente rientra nell'alternanza dei tempi, per cui anche la possibilità di gioire e di godere dipende da Dio e, visto che è positiva, viene letta come suo dono.

vv. 14-15. L'impossibilità di influire sull'alternarsi dei tempi viene spiegata riflettendo su chi è Dio, sulla sua eternità e sovranità, e questa riflessione porta al timore di Dio e alla certezza di non potergli sfuggire.

vv. 16-18. L'attenzione si sposta nuovamente sul mondo degli uomini, e si constata il crimine perfino là dove dovrebbe trionfare la giustizia (v. 16). Alla luce delle precedenti riflessioni su Dio, viene addotta la tradizionale certezza del giudizio di Dio, che rimetterà in ordine ogni cosa, emettendo un giudizio di condanna per gli uomini che si sono comportati come bestie gli uni verso gli altri.

vv. 19-21. Tuttavia non c'è alcuna conferma dell'intervento di Dio, poiché l'assimilazione dell'uomo alla bestia salta bruscamente dal piano etico al piano esistenziale, dal comportamento alla sorte comune: la morte, col grave dubbio che pure dopo non ci sia alcuna differenza tra l'uomo e la bestia. Le asserzioni tradizionali sul giudizio divino non vengono di per sé negate, però, poiché la loro realizzazione è localizzata nel futuro, e nel futuro dell'uomo c'è la morte e niente altro dopo di essa, è implicito che anche l'ansia di giustizia è un'esigenza del cuore umano (come altrove si è già visto la conoscenza) a cui la realtà non dà soddisfazione. Ecco perché si ritrova l'etichetta dello bebel: tutto è assurdo (v. 19).

v. 22. Ritorna in conclusione la sentenza «non c'è altro bene»: questa volta però non c'è più nessun riferimento a Dio; la riflessione sulla morte lo ha eliminato dall'orizzonte, poiché la relazione con Dio dura finché dura la vita, e per il «dopo» non c'è alcuna prospettiva. Pertanto la locuzione conclusiva «dopo» (’aharayw) difficilmente può indicare l'aldilà, mentre è più probabile che sia legata al problema dell'alternarsi imprevedibile e ininfluenzabile dei tempi: bisogna gioire nel presente, mentre si agisce, perché non si può sapere il prossimo “tempo” che cosa riserva.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R IIndice BIBBIAHomepage