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Guida per idioti alle elezioni politiche


Giunti ormai a pochi giorni dalle elezioni politiche, possiamo preparare una guida alle elezioni per idioti, che spieghi in poche parole le visioni concorrenti della società italiana da parte dei diversi schieramenti. Abbiamo una coalizione di centrodestr

Giunti ormai a pochi giorni dalle elezioni politiche, possiamo preparare una guida alle elezioni per idioti, che spieghi in poche parole le visioni concorrenti della società italiana da parte dei diversi schieramenti.

Abbiamo una coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia), una dicentrosinistra (PD, +Europa, Verdi e Sinistra italiani), una liberale(Calenda e Renzi) ed infine i Cinquestelle da soli. Trascuriamo le altre organizzazioni folcloristiche, come “Il partito della follia creativa” del dottor Cirillo, da anni ilare presenza nelle elezioni romane.

Non parliamo di proposte specifiche, bensì di un’impostazione generale. In particolare, evitiamo qualunque riferimento ai rapporti con la UE, con la NATO, la guerra in Ucraina e il debito pubblico, perché su questi temi, semplicemente, non c’è alcuna possibilità di scelta.

I tre partiti di destra, nonostante qualche divisione non banale, condividono una chiara impostazione ideologica, una nostalgica visione di un piccolo mondo antico in cui ci si conosceva tutti, ognuno aveva un lavoro, c’erano pochi stranieri, l’Europa era lontana e la vita scorreva tra la sagra dei tortelli e la messa della domenica, un mondo alla Pane, amore e fantasia. Le donne restavano a casa a cucinare le eccellenze culinarie che il mondo ancora non ci invidiava, facevano figli e non abortivano, se non di nascosto.

Si rubava, anche, ma di nascosto; non si pagavano le tasse, ma di nascosto; c’erano anche gli omosessuali, che non andavano in giro a fare i “pride”. E a chi osava, c’era l’arma letale del pettegolezzo, punto di partenza per l’ostracismo sociale, pena peggiore del carcere. Si andava nelle case chiuse, all’aperto e senza sensi di colpa, raccontando barzellette contro le mogli. Il futuro che ci offre il centrodestra, in altre parole, è il ritorno ad una società in cui il maschio bianco etero è ai vertici e la cultura ne celebra le fanfaronate, dai bordelli alle sgommate in tangenziale.

Colonna sonora: Povia, “Luca era gay”

Nel lato sinistro non mancano proposte interessanti, come la scuola dell’infanzia obbligatoria, la reintroduzione dell’imposta di successione, il salario minimo e lo ius scholae, ma si avverte che sono estemporanee, fatte per accontentare una delle molteplici lobby che si alligna nel sottobosco della società civile, senza una riflessione complessiva sulla società futura. Secondo la sinistra, i prossimi decenni dovranno essere, per forza, multietnici, gender, ecologici, meritocratici, sostenibili ed equi, ma non ci dice come questo Sol dell’Avvenire dovrebbe essere realizzato.

In realtà la politica del PD è una forma molto italica di conservatorismo progressista, fare il minimo indispensabile perché ogni decisione rischia, in primo luogo, di spaccare il partito, poi di essere bloccata da un TAR o da un sindaco o da una protesta di piazza. La sinistra ha rinunciato completamente all’idea di governare i complessi processi in corso in Italia, se non affidandosi all’Europa, madre salvifica ma non sempre benigna.

Colonna sonora: “Bella Ciao” (a bassa voce per non dare fastidio)

Passando ai Cinquestelle, la visione di Italia che Conte sta cercando in modo piuttosto annaspante di vendere al paese è quella dell’unica vera sinistra attenta ai bisogni della gente. Su questo, le credenziali di Conte sono interessanti, vedi reddito di cittadinanza. I Cinquestelle propongono sostanzialmente una società in cui uno Stato paternalista si fa carico di ogni problema, con un ampio allargamento dei cordoni delle borse, ma che non ha alcuna idea di come riorganizzare la società e l’economia nel suo complesso, senza grandi slanci, con un rinnegamento degli ideali più interessanti di rifondazione della politica lanciati dai Cinquestelle degli inizi. In altre parole, un traccheggiamento a vista, salvo intese.

Colonna sonora: Francesco Guccini, “La locomotiva”

Venendo al quarto polo, i due ragazzi terribili, Calenda e Renzi, sembrano gli unici con il coraggio di una visione davvero rivoluzionaria del futuro: individuo, impresa, liberalismo estremo, meritocrazia, Draghi ed Europa. Non è chiaro come tutto questo possa essere realizzato in una società invecchiata (male) come quella italiana, tenuta ignorante dal terrore televisivo, mentre i giovani, quei pochi che non sono fuggiti all’estero, sperano di fare fortuna con Tik-Tok. Tuttavia, i due rinascimentali propongono forse l’unica agenda per un radicale cambiamento dell’Italia, peccato che, come i bravissimi Maneskin, piacciano solo ai cinquantenni che credono di avere ancora vent’anni.

Colonna sonora: Madonna, “Like a Virgin”

Un’ulteriore scelta è l’astensione. Il rifiuto di partecipare al più importante appuntamento elettorale della vita pubblica è un fatto grave ma non può essere negato. Chi si astiene coscientemente non intende legittimare un sistema che ha tolto ai cittadini la libertà di scegliere i propri rappresentanti e governanti.

Ciò grazie ad una legge elettorale assurda, che premia le accozzaglie e accentra ogni potere nelle mani dei segretari di partito i quali, comunque, non sono in grado da anni di prendere alcuna decisione che non siano le questioni identitarie, fuffa solo per chi non soffre le discriminazioni (vedi decreti sicurezza contro gli immigrati, le restrizioni all’aborto contro le donne, l’ideologia della famiglia tradizionale imposta ad un paese arcobaleno da cinquant’anni).

Colonna sonora: La Rappresentante di Lista, “Ciao ciao”

Ecco, queste sono le scelte a disposizione degli italiani e delle italiane. Potenzialmente, andiamo dalla restaurazione dell’ancien régime alla repubblica socialista, con mille sfumature dal nero al rosso. E tanto grigio, colore del fumo.

In realtà, c’è ben poco da scegliere. La politica economico-finanziaria, che ci piaccia o no, è decisa dai mercati finanziari internazionali, su cui la Commissione europea non comanda. Di politica estera non parliamo perché non l’abbiamo dai tempi di Andreotti. I clandestini continueranno ad arrivare con o senza blocco navale. Con la cultura non si mangia. Gli unici possibili e sostanziabili cambiamenti sono nei diritti sociali, ovvero in quelli che più fanno male quando si perdono. Questi sono essenzialmente i diritti dei lavoratori, la scuola pubblica, la sanità pubblica e la libertà di decidere del proprio corpo, che siano l’aborto o il fine vita.

Le diverse coalizioni hanno già mostrato nei fatti cosa faranno o non faranno su ciascuno di questi temi, ma lascio a ciascuno e ciascuna di voi il compito di informarsi e di scegliere, per una volta, con consapevolezza.

Non dovrebbe essere difficile.

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Francesco Rocchetti, Segretario Generale ISPI, e la giornalista Silvia Boccardi raccontano dell'incontro tra Putin e Xi Jinping a Samarcanda e con Eleonora Tafuro Ambrosetti, analista dell’Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’ISPI si int…


Stati Uniti: l’industria della cannabis subisce i colpi della crisi


Stati Uniti: mala tempora currunt per la cannabis. E per tutto l’indotto che vi gravita intorno. Mentre le aziende di tutto il mondo chiudevano a causa della diffusione della COVID-19, l’industria della marijuana era considerata “essenziale” in quasi 30 Stati e poteva trarre vantaggio dalla pandemia. Ma più di due anni dopo, tra l’aumento dell’inflazione […]

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Ursula Von Der Leyen: “Viva L’Europa!”. Il discorso sullo Stato dell’Unione


Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione Europea, pronuncia parole forti e decise nel suo discorso sullo Stato dell'Unione. L'articolo Ursula Von Der Leyen: “Viva L’Europa!”. Il discorso sullo Stato dell’Unione proviene da ilcaffeonline. https

Il discorso sullo Stato dell’Unione di quest’anno è decisamente molto diverso da quello che venne pronunciato lo scorso settembre. Le parole della Presidente della Commissione sono risuonate non solo nell’aula del Parlamento ma anche nelle petites rues di Strasburgo, nelle larghe vie di Bruxelles e in tutte le altre città europee.

Ursula Von Der Leyen, vestita di giallo e di blu, ha iniziato il suo intervento con una constatazione: “Mai prima d’ora questo Parlamento si è trovato a discutere lo stato della nostra Unione mentre
sul suolo europeo infuriava la guerra”
.

Davanti ad Olena, la consorte di Zelensky, ha infatti ricordato l’immenso coraggio che la popolazione ucraina continua a dimostrare contro l’aggressione di Putin. Ha puntualizzato: “Le sanzioni resteranno in vigore. È il momento della risolutezza, non delle concessioni”.

Secondo Ursula questa guerra è l’apice di uno scontro ben delineato, quello tra autocrazia e democrazia, tra valori occidentali e credi zaristi.

L’Europa ha reagito coesa a questa guerra alla sua economia, alla sua energia, al suo futuro. La Presidente porta un esempio italiano virtuoso, quello dei ceramifici al centro della nostra penisola che hanno deciso di spostare i turni al mattino presto per beneficiare delle tariffe più basse dell’energia.

Entra così nell’argomento letteralmente più scottante e impellente: quello energetico.

La proposta europea è quella di mitigare il carobollette con oltre 140 miliardi di euro. Come? Tassando gli extra-profitti. La Presidente ha infatti dichiarato “ci sono grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone, che stanno realizzando profitti enormi e inaspettati, che non si sarebbero mai nemmeno immaginate”.

E ancora, due riforme necessarie sono quella radicale del mercato dell’energia elettrica e, in linea con il Green Deal, l’introduzione di una Banca europea dell’idrogeno, fonte che verrà trasformata in un mercato di massa con ingenti investimenti nei prossimi decenni.

Ursula è pronta a sostenere gli avanzamenti e la rilevanza del progetto green europeo nelle due prossime occasioni internazionali, alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità di Montreal e alla COP27 di Sharm el-Sheikh.

Ha colto l’occasione poi per annunciare una nuova legislazione europea sulle materie prime critiche, punto cruciale per il successo della transizione sostenibile nell’economia e nel mondo digitale, in continuità con il Chips Act.

Altra tematica fondamentale toccata nel discorso sullo Stato dell’Unione è stata l’importanza di combattere la disinformazione nella rete ma anche nelle università europee; “queste menzogne
sono tossiche per le nostre democrazie
”.

Citando la Regina Elisabetta e David Sassoli, Ursula ha ricordato a tutti i presenti l’essenzialità di difendere sempre il nostro modello occidentale. Migliorarlo ogni giorno significa crescita collettiva, per tutti gli individui.

L’Europa sarà in grado di guardare oltre e cercare nuovi orizzonti?

Si, se coltiverà lo spirito di Maastricht, dove stabilità e crescita vanno necessariamente di pari passo; dove si uniscono tutte le forze in nome di un comune obiettivo; dove volontà e solidarietà si mescolano; dove ogni cittadino europeo si sente a casa.

Ursula auspica che questo spirito europeo, cresciuto moltissimo dopo lo scoppio della pandemia, possa crescere ancor più forte e in armonia.

Come esempio finale della sua riflessione, ha elogiato Magdalena e Agnieszka, due giovani polacche che in pochi giorni hanno organizzato migliaia di volontari per accogliere i rifugiati ucraini. Un esempio di altruismo e umanità.

La loro storia è, secondo la Von Der Leyen, emblematica e rappresenta al meglio il sentimento dell’Unione e della nostra comunità europea.

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Durante la settimana appena trascorsa è stata ancora l’inflazione a tenere banco quale prima preoccupazione delle economie occidentali.


Oggi saremo a Grugliasco, in provincia di Torino, per #TuttiAScuola, la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno scolastico.

L’iniziativa, giunta alla XXII edizione, sarà una grande festa che metterà al centro le esperienze delle scuole.



Rublati


La fonte, i tempi e il fatto. Questi gli elementi da tenere in considerazione per capire il significato di una nota statunitense relativa ai soldi che dalla Russia sarebbero giunti a componenti politiche di 24 Paesi. Fin da prima che la criminale aggressi

La fonte, i tempi e il fatto. Questi gli elementi da tenere in considerazione per capire il significato di una nota statunitense relativa ai soldi che dalla Russia sarebbero giunti a componenti politiche di 24 Paesi.

Fin da prima che la criminale aggressione russa all’Ucraina partisse, l’intelligence statunitense ha scelto un approccio diverso da quello classico: disvelare anziché celare. Il valore maggiore delle informazioni riservate è consistito nel renderle pubbliche.

Fecero sapere che, secondo le loro informazioni, l’ammassarsi di truppe russe ai confini ucraini non era manco per niente un’esercitazione, ma la premessa di un’imminente invasione. In tanti li accusarono di propaganda e Putin fece lo spiritoso. L’informazione era esatta e le cose sono andate come erano state descritte.

Circa i finanziamenti russi a politici europei, sono noti quelli alla destra francese di Le Pen. Quindi non una novità. Perché adesso? Per noi italiani è facile supporre che la tempistica sia stata scelta in relazione alle elezioni del prossimo 25 settembre.

A parte che sembrerebbe non esserci note sull’Italia, la stessa cosa sarebbe valsa per le notizie francesi. Ma sono sensazioni superficiali, che non tengono conto di due dati fondamentali: a. la ricerca sulle influenze russe nasce negli Usa perché gli Usa furono penetrati; b. la scadenza elettorale più rilevante è in Usa. Forse quei tempi hanno rilevanza maggiore dei nostri.

Il fatto va ben delineato: se ci sono trasferimenti di denaro a partiti o soggetti politici, ovviamente non dichiarati, da noi si tratta di un reato. E dei reati si occupa la giustizia. Per me possono anche metterci il nome di Tizio, in quelle carte, ma continuerò a considerarlo innocente e a credere alle sue smentite, fino a sentenza contraria.

Il che, però, non mi distoglie di un capello dall’osservare che il citato Tizio ha posizioni filorusse, s’è speso contro le sanzioni, non voleva inviare armi all’Ucraina. Che non sono reati, ma responsabilità politiche. E in politica sono quelle che contano.

Con le influenze russe in casa nostra ci siamo cresciuti. I comunisti sovietici finanziavano i comunisti italiani. Ma quel fatto, documentato dalla stessa memorialistica comunista, non deve trarci in inganno: non era il finanziamento a una comune idea, ma soldi per sostenere la stessa idea che oggi sostiene Putin: indebolire le democrazie e minare la credibilità di chi le governa.

Per questo è ininfluente pagare a sinistra o a destra, mentre è rilevante investire sugli sfasciacarrozze. Che non necessariamente devono essere politici.

Distinguere il reato dalla responsabilità politica serve anche a guardare un po’ oltre. Di certo in Russia non si son crucciati perché degli svalvolati italiani volevano bloccare il gasdotto dall’Azerbaijan (Tap), fortunatamente senza riuscirci. Ed hanno goduto quando ci siamo evirati rinunciando a gran parte del gas che abbiamo in Adriatico. E se guardate ai protagonisti di quelle pessime battaglie ce ne trovate di destra e di sinistra. Mica notizie segrete, se ne vantavano.

E siccome 300 milioni in 24 Paesi, dal 2014 sono poco più della mancia al cameriere, porgerei maggiore attenzione al fronte del gas e alla formulazione dei contratti, con eventuali liberalità aziendali. Il che porta più a governanti tedeschi che non a neonazisti che pure i russi accudirono con amore. Idem per il lato italiano.

Possiamo usare una sola bussola, per evitare svarioni: osservare i fatti noti ed esprimere un giudizio sui putinofili nostrani (prevalentemente a destra); fare attenzione agli interessi delle battaglie contro il gas non russo (ben distribuiti fra saltimbanchi di diverso colore); ribaltare, come si sta facendo, la politica energetica, rendendosi totalmente indipendenti dal mefitico gas russo.

Questa non è una faccenda da pupazzetti in magliettina, ma da ridisegno di equilibri globali. E come tale va trattata.

La Ragione

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Ursula Von Der Leyen: “Viva L’Europa!”. Il discorso dello Stato dell’Unione


Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione Europea, pronuncia parole forti e decise nel suo discorso sullo Stato dell'Unione. L'articolo Ursula Von Der Leyen: “Viva L’Europa!”. Il discorso dello Stato dell’Unione proviene da ilcaffeonline. https

Il discorso sullo Stato dell’Unione di quest’anno è decisamente molto diverso da quello che venne pronunciato lo scorso settembre. Le parole della Presidente della Commissione sono risuonate non solo nell’aula del Parlamento ma anche nelle petites rues di Strasburgo, nelle larghe vie di Bruxelles e in tutte le altre città europee.

Ursula Von Der Leyen, vestita di giallo e di blu, ha iniziato il suo intervento con una constatazione: “Mai prima d’ora questo Parlamento si è trovato a discutere lo stato della nostra Unione mentre
sul suolo europeo infuriava la guerra”
.

Davanti ad Olena, la consorte di Zelensky, ha infatti ricordato l’immenso coraggio che la popolazione ucraina continua a dimostrare contro l’aggressione di Putin. Ha puntualizzato: “Le sanzioni resteranno in vigore. È il momento della risolutezza, non delle concessioni”.

Secondo Ursula questa guerra è l’apice di uno scontro ben delineato, quello tra autocrazia e democrazia, tra valori occidentali e credi zaristi.

L’Europa ha reagito coesa a questa guerra alla sua economia, alla sua energia, al suo futuro. La Presidente porta un esempio italiano virtuoso, quello dei ceramifici al centro della nostra penisola che hanno deciso di spostare i turni al mattino presto per beneficiare delle tariffe più basse dell’energia.

Entra così nell’argomento letteralmente più scottante e impellente: quello energetico.

La proposta europea è quella di mitigare il carobollette con oltre 140 miliardi di euro. Come? Tassando gli extra-profitti. La Presidente ha infatti dichiarato “ci sono grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone, che stanno realizzando profitti enormi e inaspettati, che non si sarebbero mai nemmeno immaginate”. E ancora, due riforme necessarie sono quella radicale del mercato dell’energia elettrica e, in linea con il Green Deal, l’introduzione di una Banca europea dell’idrogeno, fonte che verrà trasformata in un mercato di massa con ingenti investimenti nei prossimi decenni.

Ursula è pronta a sostenere gli avanzamenti e la rilevanza del progetto green europeo nelle due prossime occasioni internazionali, alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità di Montreal e alla COP27 di Sharm el-Sheikh.

Ha colto l’occasione poi per annunciare una nuova legislazione europea sulle materie prime critiche, punto cruciale per il successo della transizione sostenibile nell’economia e nel mondo digitale, in continuità con il Chips Act.

Altra tematica fondamentale toccata nel discorso sullo Stato dell’Unione è stata l’importanza di combattere la disinformazione nella rete ma anche nelle università europee; “queste menzogne
sono tossiche per le nostre democrazie
”.

Citando la Regina Elisabetta e David Sassoli, Ursula ha ricordato a tutti i presenti l’essenzialità di difendere sempre il nostro modello occidentale. Migliorarlo ogni giorno significa crescita collettiva, per tutti gli individui.

L’Europa sarà in grado di guardare oltre e cercare nuovi orizzonti?

Si, se coltiverà lo spirito di Maastricht, dove stabilità e crescita vanno necessariamente di pari passo; dove si uniscono tutte le forze in nome di un comune obiettivo; dove volontà e solidarietà si mescolano; dove ogni cittadino europeo si sente a casa.
Ursula auspica che questo spirito europeo, cresciuto moltissimo dopo lo scoppio della pandemia, possa crescere ancor più forte e in armonia.

Come esempio finale della sua riflessione, ha elogiato Magdalena e Agnieszka, due giovani polacche che in pochi giorni hanno organizzato migliaia di volontari per accogliere i rifugiati ucraini. Un esempio di altruismo e umanità.

La loro storia è, secondo la Von Der Leyen, emblematica e rappresenta al meglio il sentimento dell’Unione e della nostra comunità europea.

L'articolo Ursula Von Der Leyen: “Viva L’Europa!”. Il discorso dello Stato dell’Unione proviene da ilcaffeonline.



Hezbollah, il «guardiano» del gas del Libano


Il movimento sciita alza la voce nella trattativa con Israele sui confini marittimi e il giacimento di Karish. Ali Daamoush: «Se Israele estrarrà gas dalla zona contesa senza un accordo avrà scelto la guerra». L'articolo Hezbollah, il «guardiano» del gas

di Michele Giorgio* –

Pagine Esteri, 15 settembre 2022 – Il sogno dei libanesi è sfruttare il giacimento sottomarino di gas di Karish che lascia immaginare entrate per miliardi di dollari. La realtà è Beirut per metà al buio per la scarsa elettricità disponibile, gli aumenti del prezzo del carburante, l’inflazione fuori controllo e il crollo continuo della lira scambiata ieri a 36mila per un dollaro. E chi i dollari non li ha, gira avendo in tasca dozzine di banconote tenute strette da un elastico, necessarie anche solo per comprare qualcosa al minimarket sotto casa. Ammesso che si abbiano lire da spendere. Il 78% dei libanesi vive in condizioni di povertà. Jihad, il taxista che ci porta dal quartiere centrale di Hamra a quello periferico di Haret Hreik sente sulle sue spalle tutto il peso della crisi. «Ormai non si vive più, ogni giorno aumenta il prezzo della benzina e la lira non vale nulla. Se solo potessi partire e andare via da questo paese di politici falliti, tutti senza eccezione», ci dice dando una accelerata alla sua vecchia auto. Due giorni fa è arrivato un altro pugno allo stomaco della maggioranza dei libanesi. La Banca centrale ha revocato i sussidi per le importazioni di carburante facendo schizzare verso l’alto il prezzo di benzina e gasolio.

Tra una maledizione scagliata a questo o quel politico, Jihad ci fa notare che le lunghe code e gli ingorghi nelle strade di Beirut sono meno intensi di qualche tempo fa. «Muoversi in auto costa troppo, fare rifornimento non è più per tutti», ci spiega lasciandoci davanti all’ufficio del religioso Ali Daamoush, vicepresidente dell’esecutivo del movimento sciita Hezbollah. Esponente tra i più noti dell’ala politica del movimento sciita, Daamoush ha accettato di rispondere alle nostre domande sull’andamento della trattativa indiretta che il Libano sta portando avanti, con la mediazione statunitense, per la definizione del confine marittimo con Israele. Tel Aviv è decisa ad avviare nelle acque tra i due paesi lo sfruttamento del giacimento sottomarino di Karish entro settembre. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha reagito a questa intenzione minacciando in una intervista a Mayadeen Tv che «Se l’estrazione di petrolio e gas dal giacimento di Karish inizierà a settembre prima che il Libano ottenga i suoi diritti, allora faremo di tutto per raggiungere i nostri obiettivi…Nessuno desidera la guerra e la decisione è nelle mani di Israele, non nelle nostre». Qualche settimana fa, Hezbollah ha inviato droni – abbattuti quasi subito – verso la nave mandata da Israele per effettuare i primi rilievi a Karish. Un messaggio inequivocabile.

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Daamoush smorza l’ottimismo generato dalle ultime dichiarazioni del mediatore Usa, Amos Hochstein sui progressi fatti dalla trattativa. «Si parla di segnali positivi – ci dice – ma dobbiamo vedere come andranno le cose alla fine, ci sono punti molto importanti da discutere. Noi restiamo fermi sulla nostra posizione, a ciò che ha detto il segretario Nasrallah sui diritti irrinunciabili del Libano». Quindi aggiunge di non fidarsi della mediazione statunitense: «Non vediamo negli Stati uniti una parte affidabile e credibile. Stanno sempre dalla parte di Israele. Hochstein ci offre condizioni che sono sempre favorevoli per Israele».

Il movimento sciita Hezbollah – sostenuto dall’Iran e forte di un’ala militare ben addestrata ed armata di decine di migliaia di razzi – malgrado il calo registrato dal suo schieramento politico («8 marzo») alle ultime elezioni, resta la forza più influente nella politica libanese. E non manca di far sentire il suo peso recitando, con l’approvazione di tanti libanesi e la disapprovazione di molti altri, il ruolo di unico difensore degli interessi economici del paese. Dall’esito del negoziato dipenderà la possibilità del Libano di poter sfruttare riserve di gas sottomarino al momento di entità incerta. La differenza se sarà deciso un confine marittimo piuttosto di un altro, è di miliardi di dollari, vitali per un paese che ha disperato bisogno di valuta pregiata per stabilizzare la lira e ridare fiducia ai libanesi che nel 2019 hanno manifestato in massa contro corruzione, malgoverno e l’intera classe politica.

Nell’ultimo periodo si sono intensificati raduni e manifestazioni, anche in mare, di libanesi che chiedono al governo uscente di adottare una posizione più ferma tale da garantire al paese una quota maggiore di riserve di gas. Daamoush rispondendo a una nostra domanda afferma che Hezbollah rispetterà le decisioni del governo. Poi avverte: «Pensiamo che il governo non rinuncerà ai diritti del popolo libanese. Se invece vedremo che non ci saranno benefici per la nostra gente allora faremo sentire forte la nostra voce». E ancora: «Se Israele estrarrà gas dalla zona contesa senza un accordo, allora difenderemo i nostri diritti. In quel caso sarà Israele che avrà scelto la guerra non noi». Ad agosto anche il premier israeliano Yair Lapid ha usato toni bellicosi avvertendo che il suo governo non esiterà a proteggere gli interessi del paese.

Il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie in Libano è parallelo allo stallo politico. Il premier incaricato Najib Mikati non è ancora riuscito a formare una maggioranza. Inoltre, il 31 ottobre scadrà il mandato del presidente Aoun e al momento non c’è ancora accordo sul nome del futuro capo dello Stato. Si pensa che in assenza di un nuovo gabinetto Aoun si rifiuterà di lasciare il palazzo di Baabda. I cittadini libanesi intanto già guardano con preoccupazione all’inverno che si avvicina con il carburante alle stelle e la poca elettricità disponibile. Charbel, nel suo piccolo negozio di souvenir, pensa di procurarsi quanta più legna da ardere possibile per la sua vecchia stufa. «Da anni era solo decorativa lì a casa ma ora dovrà riscaldarci per tutto l’inverno. Trovare la legna però non è facile» dice con un mezzo sospiro. Come lui proveranno a fare decine di migliaia di libanesi. Il paese famoso per i suoi cedri e gli alberi secolari ora rischia anche il disboscamento. «Non ci hanno lasciato altra scelta, comprare il gasolio ti porta via quanto spendi per sfamarti un mese», si giustifica Charbel. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2022 dal quotidiano Il Manifesto

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EGITTO. Quattro giornaliste nel mirino del regime di El Sisi


La direttrice della testata indipendente Mada Masr e tre giornaliste sono state accusate dalla magistratura di aver rivolto accuse infondate a un partito politico che sostiene il regime di Abdel Fattah El Sisi L'articolo EGITTO. Quattro giornaliste nel m

della redazione

Pagine Esteri, 8 settembre 2022 – La magistratura egiziana ha interrogato per ore quattro giornaliste dopo una denuncia per diffamazione presentata dal partito il Futuro della Nazione, legato al regime del presidente Abdel Fattah el Sisi, per un articolo scritto dalla testata indipendente Mada Masr. Le quattro sono state rilasciate su cauzione e restano indagate per i reati di pubblicazione di notizie false e diffamazione di membri di un partito politico.

In un paese dove i servizi di sicurezza hanno ridotto al silenzio quasi tutte le voci critiche, Madr Masr è uno dei pochi media egiziani che non sono sotto il diretto controllo statale o influenzati dal governo. Il 31 agosto ha pubblicato una newsletter su Futuro della Nazione, che domina il parlamento e sostiene il presidente El Sisi. L’articolo riferisce di una inchiesta in corso che vede coinvolti importanti dirigenti di questo partito e che riguarda “gravi violazioni finanziarie”. Il partito ha negato tutto accusando Madr Masr di utilizzare “tattiche dubbie e non professionali per destabilizzare la sicurezza del Paese”. Decine di denunce sono state presentate dai membri di Futuro della Nazione contro tre giornaliste – Rana Mamdouh, Sara Seif Eddin e Beesan Kassab – insieme alla loro caporedattrice, Lina Attalah.

Ieri le quattro donne sono state lungamente interrogate dai magistrati ed informate di essere accusate di calunnia e diffamazione, di utilizzo dei social media per molestare i membri di Futuro della Nazione della pubblicazione di notizie false intese a turbare l’ordine pubblico. Lina Attalah è stata anche accusata di gestire un sito web di notizie (Mada Masr) “senza licenza”. E’ dal 2018 che Madr Masr cerca di ottenere la licenza, quando è entrata in vigore una nuova legge che regola i media, ma non è ancora riuscito ad ottenerla. Da parte sua il giornale ha fatto sapere di credere “nell’integrità della nostra posizione legale e del nostro impegno per i più alti standard di pubblicazione professionale”. “Esprimiamo anche – ha scritto in un comunicato – il nostro rammarico per il fatto che il partito politico di maggioranza in Egitto, noto per essere vicino al potere, stia usando tali tattiche per intimidire un mezzo di stampa che opera per conto dell’interesse pubblico”.

Reporters sans frontières, l’organismo di tutela globale della libertà di stampa, si è detto estremamente preoccupato per la minaccia a Madr Masr e ha avvertito che “le continue molestie, intimidazioni e arresti di giornalisti da parte del governo egiziano stanno raggiungendo livelli pericolosi”. Sono migliaia i prigionieri politici in Egitto, in prevalenza attivisti e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani ma anche giornalisti e difensori dei diritti umani tra i quali il più noto è Alaa Abdel Fattah. Pagine Esteri

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Sabra e Shatila. 40 anni dal massacro


Il ricordo della strage è conservato e tramandato e vive ancora la speranza del diritto al ritorno. Ma le loro condizioni di vita si aggravano. L'articolo Sabra e Shatila. 40 anni dal massacro proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2022/09/1

Pagine Esteri, 16 settembre 2022- Beirut, Libano. Era il 1982. Il 16 settembre. L’esercito israeliano era giunto nella zona occidentale di Beirut e insieme alla Falange libanese circondò i campi profughi di Sabra e Shatila.

L’obiettivo dichiarato era quello di scovare i combattenti palestinesi. Ma i campi erano privi di protezione militare: i combattenti erano andati via. Dopo dubbi e discussioni era stato deciso di accettare l’accordo proposto dagli Stati Uniti di Ronald Regan e ritirarsi dai campi profughi per evitare la strage.

Erano state date precise garanzie. Dagli USA e da Israele: una volta che usciti dal Libano i combattenti, la popolazione civile palestinese non avrebbe subito conseguenze.

player.vimeo.com/video/7501558…

Ma il 16 settembre, per 3 giorni, i campi furono rastrellati. Prima i falangisti pareva cercassero solo gli uomini. Poi hanno cominciato a prendere anche le donne e ad assicurarsi che ci fossero i bambini.

L’esercito israeliano, intanto, aveva chiuso i campi, i palestinesi non potevano uscire e ai falangisti veniva permesso di entrare. L’obiettivo politico della Falange libanese era cacciare dal Libano i palestinesi.

E poi di vendicarsi. Vendicarsi per l’assassinio del suo leader, Bachir Gemajel, ucciso due giorni prima.

In questo modo cominciò la strage, illuminata dai fari di perimetro dell’esercito israeliano.

Andò avanti per 3 giorni.

I primi che visitarono i campi dopo il ritiro israeliano descrissero l’orrore di uomini, donne e bambini chiusi in trappola e trucidati. I metodi furono violenti e sanguinari e non si disdegnò l’utilizzo della decapitazione.

Dopo 40 anni i due campi profughi sono ancora lì. Ma la memoria è viva e tramandata da associazioni, volontari, scuole, dagli adulti ai bambini.

La situazione dei palestinesi è misera, i campi sono incredibilmente sovraffollati ma gli è vietato, in Libano, acquistare abitazioni.

La condizione sanitaria è preoccupante, cavi che spostano acqua e energia elettrica pendono insieme aggrovigliati come una rete tra i vicoli sempre più stretti e le case alte e buie. Ai palestinesi è vietato svolgere moltissimi lavori In Libano, decine. I bambini e le bambine spesso non possono far altro che lavorare con i genitori oppure vagare soli per i campi. Le associazioni li accolgono, provano a tenerli con loro, tra attività, giochi e istruzione, come fa la Beirut Atfal al Assomoud (La casa dei figli della Resistenza). Ma le forze non bastano mai.

Insieme al Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila, delegazioni italiane e internazionali parteciperanno alle celebrazioni per il 40ennale che si terranno oggi, 16 settembre.

Un’occasione per ricordare ma anche per aprire gli occhi sul presente. Pagine Esteri

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La Cina prende atto delle crepe nelle relazioni attraverso lo Stretto di Taiwan


L’ultimo Libro bianco su Taiwan pubblicato dall’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato nell’agosto 2022 espone la questione intrattabile al centro delle difficili relazioni della Cina continentale con Taiwan: le identità divergenti delle persone attraverso lo Stretto. Pechino vede Taiwan come una provincia rinnegata, una sbornia politica inquadrata nel contesto del […]

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L’altra faccia del regno di Elisabetta II


Globale, personale, individuale. Le reazioni alla morte della regina Elisabetta II sembravano cogliere alla sprovvista anche gli ignari repubblicani. In Australia, l’ex primo ministro Malcolm Turnbull, che aveva guidato l’Australian Republic Movement, è stato un pasticcio di riflessione sulla scomparsa. La vecchia nemica Francia risplendeva di un lontano calore familiare. Negli Stati Uniti si è […]

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Regina Elisabetta II: fede e virtù


La regina Elisabetta II è nata nell’era della radio, è stata incoronata nell’era della televisione ed è morta nell’era in cui la CGI poteva portare al tè un orso che mangiava marmellata. La sua vita è stata vissuta in un mondo fatto dai media, il che significa che non solo il suo è stato il […]

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Molto più di un ‘faccia a faccia’ tra Putin e Xi Jinping: il vertice di Samarcanda rimette in discussione l’ordine mondiale.


Contributi di solidarietà 140 miliardi di euro. Questo quanto la Commissione Europea punta a raccogliere imponendo un prelievo sugli extra profitti delle compagnie energetiche.


Ucraina: dentro l’ospedale della guardia nazionale di Kiev


Era da tempo che cercavo di visitare un ospedale militare in Ucraina, senza riuscirci. Poi inaspettatamente questa opportunità mi viene offerta per puro caso in una calda giornata di maggio. Il mio contatto sul posto tra un’intervista e l’altra già pianificate riceve una telefonata, e mi dice: “Mi hanno chiamato dall’ospedale della polizia e mi […]

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A Samarcanda: Russia, Cina, petrolio e guerra


Il Vertice di Samarcanda della Shanghai Cooperation Organization, occasione per sondare il rapporto Xi Jinping-Vladimir Putin con protagonista preso a pretesto il confronto tra il 'mondo secondo Pechino e Mosca' e il 'mondo secondo l'Occidente'

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L’esperienza del cittadino ed il passaporto “elettronico”


In questo articolo Pier Paolo Bucalo, si sofferma sul processo di richiesta del passaporto, in particolare sulla gestione della fotografia. L'articolo L’esperienza del cittadino ed il passaporto “elettronico” proviene da ilcaffeonline. https://ilcaffeon

L’esperienza del cliente/cittadino

Quattro anni fa ho disegnato e lanciato, in Luiss Business School, il primo programma executive in Italia in Customer Experience Management, ossia “Gestione dell’esperienza del cliente”. L’ obiettivo è la promozione della cultura della centralità del cliente all’interno delle aziende, ridisegnando ed organizzando i processi aziendali per ottimizzare l’esperienza del Cliente.

Tra i messaggi emersi con più frequenza nel corso delle prime quattro edizioni del programma, sicuramente quello che sia limitante parlare di “clienti”.

Ognuno di noi, nel corso della vita, ha tanti cappelli in testa: io sono cliente, dipendente, studente, (a volte) paziente, tifoso, certamente un cittadino.

Ma a prescindere dal cappello specifico, con il quale l’essere umano vive una determinata esperienza, vuole sempre essere trattato in modo “umano” e rispettoso.

C’è una bella frase inglese che recita: “There is a big difference between a human being and being human”.

Il passaporto “elettronico”

Pensando all’esperienza del cittadino italiano, ossia alla somma delle numerose esperienze che ognuno di noi vive quando interagisce con le PA, ce n’è qualcuna di davvero incredibile.

In questa sede, vorrei soffermarmi sul processo di richiesta del passaporto, ed in particolare sul processo relativo alla gestione della fotografia sul passaporto, ora chiamato “elettronico”.

Io cittadino, per ottenere il mio passaporto “elettronico”, mi devo preoccupare di avere una fotografia bella e recente. Per definizione, nel 2022, tutte le foto recenti sono state acquisite in formato digitale. Per averne una in alta definizione, mi sarò rivolto ad un fotografo professionista o anche semplicemente ad un amico con uno smartphone recente.

A questo punto è triste scoprire che con la mia bella foto digitale in alta definizione, io cittadino non posso farci assolutamente niente, tranne che andare in uno studio fotografico per farmela stampare su carta fotografica nel minuscolo formato 45mm x 35 mm. Passaggio obbligato.

Questo ahimè con l’unico scopo di consentire a qualcuno, presso la Questura del territorio di residenza, di scansionare successivamente tale micro-fototessera per riportarla nel formato elettronico.

Non vi sembra assurdo?

Non sarebbe – ad esempio – molto più semplice consentire ai cittadini italiani di effettuare l’upload di una propria foto in formato digitale direttamente su SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale)?

Assumendosi personalmente tutte le responsabilità (anche penali) al riguardo, e successivamente consentire a tutte le amministrazioni pubbliche che rilasciano documenti (passaporto, carta d’identità, patente di guida, altro) di utilizzare tale fotografia?

Tale alternativa avrebbe il vantaggio di produrre documenti con fotografie di qualità nettamente migliore ed eviterebbe la necessità di onerosi processi manuali di scansione della foto stessa.

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Russia, Ucraina, Occidente: il posizionamento difficile


Nella fase attuale la politica chiamata a trovare soluzioni per porre fine alle ostilità, è sviluppare una narrativa politica per confezionare e 'vendere' tali soluzioni alla società

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I migranti dell’Asia centrale nelle vene della Russia


Gli asiatici centrali sono al centro dell'economia russa. Circa 9 milioni di abitanti dell'Asia centrale risiedono e lavorano in Russia

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Elisabetta II lascia un Canada meno britannico


Per i canadesi la morte della regina segna l'inizio di una riflettere su rilevanza e significato della monarchia in una Nazione che si riconcilia con il suo passato coloniale e cerca il suo posto sulla complessa scena globale

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Ho deciso di scrivere qua, su questa piattaforma "intermedia" le mie considerazioni sulla discussione che si è scatenata a seguito di questo mio tweet:
twitter.com/chiaraepoi/status/…
Dopo 192 commenti, alcuni dei quali molto acidi e la solita schiera di fenomeni che sanno tutto loro ho deciso di chiudere i commenti perché mi sono stufata.
Cosa ho imparato da questa esperienza?
1) che la maggior parte delle persone sui social ha una scala di priorità che come minimo non coincide con la mia. Secondo me l'uso dei femminili nei nomi delle professioni, per quanto possa essere considerato importante, non può avere lo stesso peso delle discriminazioni (salariali e non) che le donne subiscono sul posto di lavoro.
2) che Twitter è pieno di fenomeni che credono di sapere tutto su tutto e non hanno l'umiltà di ammettere che al mondo ci sia qualcuno che ne sa più di loro (ma questo avrei dovuto saperlo prima)
3) che Twitter è pieno di gente che spara sentenze sulla gente che non conosce (e anche questo avrei dovuto saperlo)
4) che c'è un sacco di gente che non ha la minima idea dei problemi di discriminazione delle donne sul posto di lavoro (e non parlo solo di salario)
5) (e poi ho finito) che non so scrivere i curriculum, parlo di cose che non so solo perché esprimo quella che è chiaramente solo una mia opinione e che tutti lavorano in posti fantastici dove la parità tra i generi è una cosa acquisita e invece io in un posto di merda (e io che pensavo che la mia azienda fosse un po' meglio delle altre, pensate un po')
Chiudo qua questa cosa, pensando sempre di più che per vivere felici su Twitter bisogna scrivere solo frasi d'amore, mandare foto di gattini e al massimo far vedere ogni tanto le tette o il culo. Già se condividi il link a una canzone che ti piace parte la schiera dei puntacazzisti che hanno da ridire su quello che hai messo, figuriamoci.
Torno nel mio antro in silenzio, nei miei pensieri (perché io penso, anche se qualcuno non lo crede) e nelle cose che mi danno sicurezza e tranquilltà, anche perché credo di non essere più in grado di reggere uno shitstorm di questa portata.
in reply to Chiara R

io credo che dal momento in cui si accetta di esporsi con un pensiero su una qualsiasi piattaforma bisogna anche saper, purtroppo, sviluppare un certo distacco verso le considerazioni reiette. La troppoa libertà di parola che ci è stata data e che ci è sfuggita di mano ha portato a fenomeni come questi. Non vuol essere una giustificazione questo pensiero, solo una considerazione personale. Io tendo ad osservare e a percepire questi eventi con distacco dopotutto


La partita


Oltre l’Ucraina La riscossa militare ucraina dimostra che fornire aiuti e armi a chi ha subito una criminale invasione è non solo efficace, ma anche lo strumento per negoziare. Se i russi avessero potuto affondare come un coltello caldo nel burro nessun n

Oltre l’Ucraina


La riscossa militare ucraina dimostra che fornire aiuti e armi a chi ha subito una criminale invasione è non solo efficace, ma anche lo strumento per negoziare. Se i russi avessero potuto affondare come un coltello caldo nel burro nessun negoziato si sarebbe mai visto.

La grave depressione economica russa, l’incapacità produttiva, compresa quella di sostituire le armi distrutte, fino al punto da elemosinarle dagli stati canaglia, Corea del Nord in testa, dimostra che le sanzioni funzionano eccome. Quanti, nel mondo delle democrazie, erano contrari alle armi e diffondevano la bugia che le sanzioni puniscono più i sanzionatori che i sanzionati, non sono delle anime sensibili, ma sensibilizzate all’imperialismo putiniano. Una tara che non sarà cancellabile per molti anni.

Il conflitto, però, non sarà deciso sul campo. Nessuna delle due parti è in grado di prevalere. Che è poi la condizione per cui non si passa dall’aggressione criminale alla guerra mondiale. Sul campo, pagando con il sangue, si stabiliscono le premesse del negoziato. Su cosa?

Putin non voleva l’Ucraina in quanto tale. Ci credevano solo i suoi accoliti. Ha scelto l’Ucraina perché l’Occidente aveva dato prova dell’esatto opposto di quello di cui la propaganda putinofila lo ha accusato: era disposto a tollerare e abbozzare, pur di non guerreggiare.

Non era la Nato che si espandeva ad Est, era la Russia che si espandeva oltre i confini. Lo scopo della guerra russa, però, non era l’Ucraina, bensì un nuovo equilibrio globale, che restaurasse il mondo crollato nel 1990. Crollo festeggiato dagli uomini liberi e per il bene dell’umanità.

All’azzardo putiniano ha dato corda la Cina. Il sangue lo mettevano i russi, il crollo sarebbe stato russo, ma il guadagno poteva essere cinese. Da qui anche le iniziative su Taiwan. Quel disegno ha fallito. Sul lato russo tocca ai russi liquidarlo, con il suo artefice.

Pena l’isolamento e la miseria per gli anni a venire. Quando ancora il conflitto non era iniziato ci si poneva il problema di come salvare la faccia a Putin, ora sono i russi a dovere stabilire come salvarsi da Putin. Il resto sarà confronto di forza militare senza guerra, di influenza economica e di capacità diplomatica.

Il mondo unipolare non c’era, non c’è e non ci sarà. Quello bipolare è morto e ha mancato la resurrezione. Ma gli equilibri sono tutti da definire. L’Occidente è stato unito e determinato nel sostenere l’Ucraina.

Continueremo a farlo, perché per loro è una guerra nazionale e per noi sono un Paese che combatte anche nel nostro interesse. Ma il conflitto si fermerà quando la diplomazia avrà iniziato il lavoro su equilibri che non riguardano né solo l’Ucraina né solo l’ex impero sovietico. E di questo no, non mi pare vi sia adeguata consapevolezza politica, dalle nostre parti.

Non solo le guerre, ma anche le partite si vincono se non si dimentica mai a quale scopo le si combatte e gioca. La nostra è imperdibile, perché intestata alla crescita della ricchezza e l’affermarsi della libertà.

La Ragione

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Ucraina: è arrivata la bufera


Tra soldati che fuggono, astuti piani di inganno e inattesi colpi di fortuna quale sarà il destino della operazione militare speciale?

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Fr.#09 / b a n k r u n


Nel frammento di oggi: la corruzione del sistema bancario e le sue vittime / Lo stato socio occulto dei rapporti umani / Vieni alla Privacy Week 2022? / Meme e citazione del giorno.

La corruzione del sistema bancario e le sue vittime


Il sistema bancario, che ormai ha perso ogni utilità reale, se non quella di cane da guardia e arma dello stato, miete sempre più vittime.

Una di queste vittime è una giovane amica di nazionalità russa, che in effetti ama l’Italia più di me. Purtroppo il suo passaporto contiene un dato, la sua nazionalità russa, che viene mal digerito dai sistemi informativi dei sistemi bancari italiani (ma probabilmente vale lo stesso per molti paesi dell’Europa dei diritti). Per questo, diverse banche, in ultimo Unicredit, si rifiutano di aprirle un conto corrente.

Un’altra vittima del sistema bancario, di cui leggo su twitter, scrive ieri:

Oggi in banca mi hanno detto che chiuderanno la cassa a fine settembre.Rimarrà aperta solo in sede centrale a Firenze, se voglio prelevare solo da bancomat con le mie carte. Immagino già quando si spengeranno i bancomat per mancanza di energia. Controlli i miei soldi controlli tutto.

Ebbene sì, amico di twitter, chi controlla i tuoi soldi (che non sono tuoi, e neanche esistono, ma questa è un’altra storia) controlla tutto: la tua vita, le tue relazioni, la tua capacità di pensiero e di azione. Perdere la capacità di usare il contante equivale a perdere quel pizzico di capacità di controllo sulla moneta che ci rimane.

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E ancora, sempre ieri apprendo di una donna libanese costretta ad entrare in banca con una pistola, nel disperato tentativo di ricevere i “suoi” soldi in un paese in cui l’inflazione è ormai iper-inflazione e dove la moneta ha perso più del 95% del suo valore dal 2019 a oggi.

Che fare allora, quando dati come la nazionalità o l’etnia vengono usati contro di te dall’intero sistema bancario? Che fare quando il sistema bancario rimuove progressivamente ogni mezzo per detenere un minimo di controllo e possesso fisico sui tuoi soldi? Che fare quando, a causa delle politiche delle banche centrali e dei governi criminali, il potere d’acquisto della tua moneta viene annientato1 nel giro di qualche decade o pochi anni, costringendo la società intera a modificare completamente le sue preferenze temporali e modo di vivere?

Purtroppo non esiste e non potrà mai esistere una soluzione politica. La salvezza non è nella collettività o nello stato, solo la dannazione. È lo stato, di ogni tempo e ogni luogo, che continuamente usa il suo monopolio sulla moneta come arma contro i suoi nemici e cittadini (stessa cosa). È lo stato che svaluta appositamente la moneta, attraverso l’inflazione, per erodere il patrimonio dei cittadini e diminuire il carico del debito sulle sue spalle.

La soluzione non può che essere individuale; non arriverà nessuno a salvarvi. Uscire dal sistema bancario, slegarsi dalle catene monetarie di stato e usare Bitcoin, come moneta libera, privata, incensurabile, trasparente e accessibile a chiunque in ogni momento. Al protocollo Bitcoin non interessa la tua nazionalità. Il protocollo Bitcoin non detiene in ostaggio i tuoi soldi, sei tu la tua banca.

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Lo stato socio occulto dei rapporti umani


In questi giorni è uscito un nuovo libro di Daniele Capezzone, “Bomba a orologeria: L'autunno rovente della politica italiana” in cui cita alcuni estratti di due miei articoli usciti su Atlantico Quotidiano.

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Il contesto è quello di cui parla Privacy Chronicles: l’immoralità dell’ideologia collettivista e statalista, che porta allo sviluppo e accettazione di politiche liberticide, contro la privacy, proprietà e contro la libertà di autodeterminazione degli individui.

Qui i due articoli da cui sono stati presi gli estratti:

E qui invece un articolo a cui sono particolarmente affezionato, in cui cerco di spiegare l’ideologia collettivista e il ruolo degli intellettuali nel creare masse di zombie disposte ad accettare qualsiasi cosa.

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Vieni alla Privacy Week 2022?


Parlando ora di cose belle, fra esattamente 11 giorni inizia la Privacy Week 2022. Un evento organizzato da me e molte altre persone.

Cinque giorni (26-30 settembre) in cui si parlerà di privacy, sicurezza dei dati, Bitcoin, intelligenza artificiale e tanto altro con più di 100 speaker e dozzine di tavole rotonde, interviste, dibattiti e approfondimenti.

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L’evento si terrà a Milano in Cariplo Factory presso BASE Via Bergognone, 34.

Il 26 settembre alle 14:30, subito dopo l’apertura, parlerò anch’io. Se sei di Milano, perché non passi a trovarci? Cerca sul sito www.privacyweek.it gli eventi o le giornate che ti piacciono di più e registrati, ti aspettiamo!

Meme del giorno


238313Attenzione: non è un meme… è stato hackerato il profilo del Ministero e hanno iniziato a spammare news sul merge verso Proof of Shitcoinery di quello scam chiamato Ethereum.

Citazione del giorno


I don't believe we shall ever have a good money again before we take the thing out of the hands of government, that is, we can't take them violently out of the hands of government, all we can do is by some sly roundabout way introduce something that they can't stop.

- Friedrich A. Hayek (on Bitcoin)


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Leggi gli altri Frammenti

1

L’euro ha perso più del 50% del suo valore dal 2001 a oggi. Il dollaro più del 68%. La sterlina inglese ha perso più del 99% del suo valore durante tutto il regno della Regina Elisabetta.



BEN(E)DETTO 15 settembre 2022


Appello: non votiamo tutti i partiti che propongono scostamenti di bilancio. Cioè nuovo debito da pagare con le nostre tasse. Sarebbe un segnale di serietà ai partiti da parte degli elettori.

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Oggi #15settembre è la #GiornataMondialeDellaDemocrazia!

Il #DemocracyDay è stato istituito dalle Nazioni Unite e, quest’anno, all’evento si parlerà di come la libertà dei media sia una componente fondamentale di una sana democrazia.



L’autentico liberale non ha paura della verità


Essere liberali non significa essere popolari, né con la “P” maiuscola, né con la “p” minuscola. Significa essere controcorrente quando serve Essere liberali non significa essere popolari, né con la «P» maiuscola, né con la «p» minuscola. Significa essere

Essere liberali non significa essere popolari, né con la “P” maiuscola, né con la “p” minuscola. Significa essere controcorrente quando serve


Essere liberali non significa essere popolari, né con la «P» maiuscola, né con la «p» minuscola. Significa essere controcorrente quando serve. Sappiamo bene quale è il sentimento popolare sulla questione esplosa in queste ore dei finanziamenti russi a varie forze politiche dei Paesi occidentali. Ma i sentimenti sono questione da social. Ai report delle intelligence straniere, da qualunque Paese provengano, i liberali preferiscono le sentenze dei Tribunali della Repubblica.

Vogliamo l’accertamento dei reati. Non ci piace la sete spasmodica di informazione, che si trasforma in strumento di battaglia elettorale. Non ci piacciono le ipotesi di reato, nemmeno iscritte a registro da un pm, che diventano verdetti di condanna per acclamazione di popolo. Da sempre non ci piacciono gli inquinamenti a pochi giorni dal voto, né quando provengono dai pm militanti, né quando arrivano come soffiate dai servizi segreti.

Vogliamo sapere. Vogliamo sapere se il regime russo ha finanziato dei partiti italiani. Come volevamo sapere se il PCI avesse ricevuto fondi dall’Unione Sovietica (ricordiamo anche che le posizioni della sinistra italiana erano ben diverse). Abbiamo il diritto di conoscere – qui risiede la differenza tra liberali e populisti – secondo le regole della Costituzione e della legge.

Qualora l’intelligence americana avesse delle informazioni rilevanti, pretendiamo che la Procura della Repubblica apra un fascicolo e indaghi rapidamente. Se riterrà sussistente l’illecito chiederà il rinvio a giudizio. In caso contrario, domanderà l’archiviazione. Si chiama Stato di diritto e va osservato sempre, nolente o volente.

Sarebbe gravissimo se delle forze politiche avessero ricevuto finanziamenti dal Cremlino. Ma non è un report dei servizi segreti, magari interpretato da questo o quel giornale house organ di partito, a potercelo dire. La contingenza politica e la raccolta di consensi non prevarichino le regole minime della civiltà occidentale.

Se un’indagine conoscitiva, mai giunta in Procura e a nessuna Istituzione italiana, dovesse influenzare le elezioni, allora sì, saremmo molto simili alla Russia. In conclusione questa vicenda non deve, né può essere affrontata con la curiosità morbosa delle infedeltà coniugali tra un calciatore e una soubrette. Questa è vicenda che va trattata secondo le regole del Diritto.

Il Giornale

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Investimenti online: sempre più gettonati i software per il trading automatico


L’accelerazione della trasformazione digitale ha interessato anche il mondo degli investimenti, portando un numero sempre maggiore di risparmiatori ad affacciarsi verso il trading online. Naturalmente, come tutte le altre modalità di investimento, anche in questo caso prima di iniziare a operare sui mercati finanziari è necessario disporre di un adeguato bagaglio di conoscenze, così da […]

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Attestato di prestazione energetica: tutto ciò che c’è da sapere al riguardo


Quando si parla di certificato Ape, ci si riferisce ad un documento molto importante, specie nel settore immobiliare. Anche definito certificazione energetica, esso è un documento obbligatorio ai fini della compravendita e della regolazione in termini burocratici di un immobile. L’attestato di prestazione energetica serve, come dice il nome stesso, a identificare le principali caratteristiche […]

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Hezbollah, il «guardiano» del gas del Libano


Il movimento sciita alza la voce nella trattativa con Israele sui confini marittimi e il giacimento di Karish. Ali Daamoush: «Se Israele estrarrà gas dalla zona contesa senza un accordo avrà scelto la guerra». L'articolo Hezbollah, il «guardiano» del gas

di Michele Giorgio* –

Pagine Esteri, 15 settembre 2022 – Il sogno dei libanesi è sfruttare il giacimento sottomarino di gas di Karish che lascia immaginare entrate per miliardi di dollari. La realtà è Beirut per metà al buio per la scarsa elettricità disponibile, gli aumenti del prezzo del carburante, l’inflazione fuori controllo e il crollo continuo della lira scambiata ieri a 36mila per un dollaro. E chi i dollari non li ha, gira avendo in tasca dozzine di banconote tenute strette da un elastico, necessarie anche solo per comprare qualcosa al minimarket sotto casa. Ammesso che si abbiano lire da spendere. Il 78% dei libanesi vive in condizioni di povertà. Jihad, il taxista che ci porta dal quartiere centrale di Hamra a quello periferico di Haret Hreik sente sulle sue spalle tutto il peso della crisi. «Ormai non si vive più, ogni giorno aumenta il prezzo della benzina e la lira non vale nulla. Se solo potessi partire e andare via da questo paese di politici falliti, tutti senza eccezione», ci dice dando una accelerata alla sua vecchia auto. Due giorni fa è arrivato un altro pugno allo stomaco della maggioranza dei libanesi. La Banca centrale ha revocato i sussidi per le importazioni di carburante facendo schizzare verso l’alto il prezzo di benzina e gasolio.

Tra una maledizione scagliata a questo o quel politico, Jihad ci fa notare che le lunghe code e gli ingorghi nelle strade di Beirut sono meno intensi di qualche tempo fa. «Muoversi in auto costa troppo, fare rifornimento non è più per tutti», ci spiega lasciandoci davanti all’ufficio del religioso Ali Daamoush, vicepresidente dell’esecutivo del movimento sciita Hezbollah. Esponente tra i più noti dell’ala politica del movimento sciita, Daamoush ha accettato di rispondere alle nostre domande sull’andamento della trattativa indiretta che il Libano sta portando avanti, con la mediazione statunitense, per la definizione del confine marittimo con Israele. Tel Aviv è decisa ad avviare nelle acque tra i due paesi lo sfruttamento del giacimento sottomarino di Karish entro settembre. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha reagito a questa intenzione minacciando in una intervista a Mayadeen Tv che «Se l’estrazione di petrolio e gas dal giacimento di Karish inizierà a settembre prima che il Libano ottenga i suoi diritti, allora faremo di tutto per raggiungere i nostri obiettivi…Nessuno desidera la guerra e la decisione è nelle mani di Israele, non nelle nostre». Qualche settimana fa, Hezbollah ha inviato droni – abbattuti quasi subito – verso la nave mandata da Israele per effettuare i primi rilievi a Karish. Un messaggio inequivocabile.

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Daamoush smorza l’ottimismo generato dalle ultime dichiarazioni del mediatore Usa, Amos Hochstein sui progressi fatti dalla trattativa. «Si parla di segnali positivi – ci dice – ma dobbiamo vedere come andranno le cose alla fine, ci sono punti molto importanti da discutere. Noi restiamo fermi sulla nostra posizione, a ciò che ha detto il segretario Nasrallah sui diritti irrinunciabili del Libano». Quindi aggiunge di non fidarsi della mediazione statunitense: «Non vediamo negli Stati uniti una parte affidabile e credibile. Stanno sempre dalla parte di Israele. Hochstein ci offre condizioni che sono sempre favorevoli per Israele».

Il movimento sciita Hezbollah – sostenuto dall’Iran e forte di un’ala militare ben addestrata ed armata di decine di migliaia di razzi – malgrado il calo registrato dal suo schieramento politico («8 marzo») alle ultime elezioni, resta la forza più influente nella politica libanese. E non manca di far sentire il suo peso recitando, con l’approvazione di tanti libanesi e la disapprovazione di molti altri, il ruolo di unico difensore degli interessi economici del paese. Dall’esito del negoziato dipenderà la possibilità del Libano di poter sfruttare riserve di gas sottomarino al momento di entità incerta. La differenza se sarà deciso un confine marittimo piuttosto di un altro, è di miliardi di dollari, vitali per un paese che ha disperato bisogno di valuta pregiata per stabilizzare la lira e ridare fiducia ai libanesi che nel 2019 hanno manifestato in massa contro corruzione, malgoverno e l’intera classe politica.

Nell’ultimo periodo si sono intensificati raduni e manifestazioni, anche in mare, di libanesi che chiedono al governo uscente di adottare una posizione più ferma tale da garantire al paese una quota maggiore di riserve di gas. Daamoush rispondendo a una nostra domanda afferma che Hezbollah rispetterà le decisioni del governo. Poi avverte: «Pensiamo che il governo non rinuncerà ai diritti del popolo libanese. Se invece vedremo che non ci saranno benefici per la nostra gente allora faremo sentire forte la nostra voce». E ancora: «Se Israele estrarrà gas dalla zona contesa senza un accordo, allora difenderemo i nostri diritti. In quel caso sarà Israele che avrà scelto la guerra non noi». Ad agosto anche il premier israeliano Yair Lapid ha usato toni bellicosi avvertendo che il suo governo non esiterà a proteggere gli interessi del paese.

Il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie in Libano è parallelo allo stallo politico. Il premier incaricato Najib Mikati non è ancora riuscito a formare una maggioranza. Inoltre, il 31 ottobre scadrà il mandato del presidente Aoun e al momento non c’è ancora accordo sul nome del futuro capo dello Stato. Si pensa che in assenza di un nuovo gabinetto Aoun si rifiuterà di lasciare il palazzo di Baabda. I cittadini libanesi intanto già guardano con preoccupazione all’inverno che si avvicina con il carburante alle stelle e la poca elettricità disponibile. Charbel, nel suo piccolo negozio di souvenir, pensa di procurarsi quanta più legna da ardere possibile per la sua vecchia stufa. «Da anni era solo decorativa lì a casa ma ora dovrà riscaldarci per tutto l’inverno. Trovare la legna però non è facile» dice con un mezzo sospiro. Come lui proveranno a fare decine di migliaia di libanesi. Il paese famoso per i suoi cedri e gli alberi secolari ora rischia anche il disboscamento. «Non ci hanno lasciato altra scelta, comprare il gasolio ti porta via quanto spendi per sfamarti un mese», si giustifica Charbel. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2022 dal quotidiano Il Manifesto

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GAZA. Il mare è una ricchezza ma spaventa chi vive sulla costa


REPORTAGE. E' cresciuto a causa del cambiamento climatico e minaccia le case del campo profughi di Shate. E' solo uno degli effetti del disastro ambientale in questo lembo di territorio palestinese sotto blocco israeliano ed egiziano. L'articolo GAZA. Il

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 8 settembre 2022 – Nella Striscia di Gaza nessuno dimentica i lutti sofferti da 49 famiglie durante l’ultima escalation, un mese fa, tra Israele e il Jihad islami e sotto i bombardamenti dell’aviazione israeliana. Ma la vita va avanti e a migliaia vanno in spiaggia e al mare, l’unica vacanza possibile per i 2 milioni e duecentomila palestinesi che vivono come prigionieri. Questo piccolo lembo di terra palestinese, sotto blocco israeliano da 15 anni, offre ai suoi abitanti circa 40 chilometri di costa. «Abbiamo solo il mare» ci dice Bilal, 29 anni, con la famiglia nella spiaggia del capoluogo Gaza city, «facciamo il bagno con le nostre bambine e ci proteggiamo dal gran caldo di questi giorni. Arriviamo al mattino e andiamo via al tramonto, come gran parte delle famiglie che vedi in spiaggia». Mentre Bilal risponde alle nostre domande, sette-otto ragazzi davanti a noi si tuffano in acqua lanciando urla di gioia. Una donna va in riva con la sua bimba che piange impaurita. Alle nostre spalle un nugolo di ragazzini circonda il carretto dei ghiaccioli da pochi centesimi. Scene da mare, come in qualsiasi parte del mondo. E fare il bagno a Gaza quest’anno è ancora più bello. Con il completamento di tre impianti di trattamento delle acque reflue – grazie a donazioni per 250 milioni di dollari – quest’estate i bagnanti possono tuffarsi senza temere malattie.

A qualcuno però il mare di Gaza fa paura. Dozzine di famiglie del campo profughi di Shate, alla periferia nord di Gaza city, lo vedono troppo vicino alle loro povere case fatiscenti. La crisi climatica, l’aumento delle temperature e il conseguente innalzamento dei mari sta avendo un impatto anche su Gaza dove la sostenibilità ambientale è già fragile da lungo tempo. «Il nostro campo è vicino al mare, un tempo avevamo la spiaggia, oggi è quasi sparita», ci racconta Mohammad Abu Hamada, 72 anni, figlio di profughi palestinesi della Nakba. «Fino a una decina di anni fa il mare era nostro amico» prosegue «la sua bellezza ci aiutava a sopportare la povertà. Ora non più, l’acqua è troppo vicina. Quando viene l’inverno e il mare è grosso abbiamo paura che le onde possano inghiottirci, assieme alle nostre case. Nessuno interviene e presto saremo costretti ad andare via, sta diventando pericoloso». Timori ampiamente giustificati.

La gente di Gaza, già costretta a sopportare le conseguenze di guerre e bombardamenti e la carenza di acqua potabile ed elettricità, ora deve lottare per costruire una resilienza climatica. «Non è facile porre rimedio alla devastazione ambientale mentre si è sotto blocco (israeliano) da anni, con una crisi umanitaria da affrontare ogni giorno» ci spiega il professore Ahmed Hilles, direttore del Nied, l’Istituto per l’ambiente e lo sviluppo a Rimal (Gaza city). «Gli interventi da fare sono urgenti» aggiunge «le precipitazioni complessive, già scarse, sono diminuite ulteriormente. E quando arrivano sono molto violente, in poche ore cadono gli stessi millimetri di pioggia che anni fa misuravamo in un arco di tempo molto più ampio e provocano inondazioni in aree urbane popolate. Non solo, queste piogge tanto violente devastano le coltivazioni accrescendo l’insicurezza alimentare e contribuiscono a far infiltrare nel terreno le sostanze tossiche di cui Gaza è impregnata».

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In Medio Oriente le temperature sono aumentate di 1,5 gradi, ben al di sopra delle tendenze globali di 1,1 gradi. Le temperature dovrebbero salire di oltre 4 gradi entro la fine del secolo, accompagnate da una diminuzione delle precipitazioni annuali con stime che vanno dal 30 al 60%. Gaza è diventata un hotspot del cambiamento climatico all’interno di un hotspot in cui domina una emergenza umanitaria di base che vede al centro dei problemi la poca acqua potabile. Quella disponibile al 90% non è bevibile secondo gli standard internazionali. Il blocco israeliano è un fattore centrale perché accresce la difficoltà se non l’impossibilità di intervenire con progetti e programmi specifici per affrontate il cambiamento climatico e la poca acqua. Gli impianti di desalinizzazione costruiti a Gaza sono costosi, richiedono una manutenzione continua e non bastano a soddisfare il fabbisogno. «In media – ricorda il professor Hilles – una persona a Gaza riceve circa un quinto della quantità di acqua potabile raccomandata dall’Oms (solo 21 litri al giorno, contro i 100 litri raccomandati, ndr). Questo è meno del 10 percento dei 280 litri medi che i cittadini israeliani ricevono ogni giorno». A Gaza solo la falda acquifera costiera è sicura per bere ed è l’unica fonte d’acqua naturale della Striscia. Tuttavia, avverte Hilles, «questa riserva d’acqua, a causa dell’aumento del livello e della forza del mare, è infiltrata sempre di più dall’acqua salata. Un problema al quale contribuiscono anche l’estrazione eccessiva e le acque reflue non trattate». Intervenire non è facile. «Lo scontro in atto (dal 2007) tra il governo dell’Anp a Ramallah e quello di Hamas a Gaza complica qualsiasi tentativo di mettere in campo interventi seri per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Le due parti invece di farsi la guerra dovrebbero cooperare» ci dice un giornalista di Khan Yunis che vuole restare anonimo.

Ma l’ostacolo principale alla capacità di rispondere alla crisi umanitaria e a mitigare i cambiamenti climatici resta il blocco israeliano. Da anni Israele limita severamente l’ingresso di materiali a Gaza che definisce di «doppio uso», ossia utilizzabili sia per scopi civili che militari da parte di Hamas. L’accesso dei palestinesi ai materiali di base per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture è sotto il controllo dell’esercito israeliano che può decidere in qualsiasi momento di bloccare del tutto l’ingresso di certi materiali. Ciò rallenta i progetti per la riabilitazione delle reti idriche, per l’energia elettrica e la sicurezza alimentare. «Intanto – conclude il professor Hilles – aumentano i bisogni di una popolazione in forte crescita demografica in un territorio minuscolo. Ogni anno il saldo tra morti e nuovi nati fa segnare +70-80mila. Di pari passo aumentano i bisogni primari e si aggrava l’inquinamento». Pagine Esteri

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GRAN BRETAGNA. Ong per i diritti umani a nuova premier Truss: basta attacchi ai migranti


Due organizzazioni della società civile e un sindacato hanno presentato presso l'alta corte di Londra una denuncia contro una delle politiche più controverse del governo dell'ex premier: un accordo per il trasferimento forzato in Ruanda dei richiedenti as

della redazione con testi dell’agenzia DIRE

Pagine Esteri, 7 settembre 2021 – La nuova primo ministro Liz Truss “avrebbe la possibilità di lasciarsi alle spalle le politiche divisive che hanno segnato l’amministrazione del predecessore Boris Johnson”, e invece durante la sua campagna per la leadership conservatrice “ha scommesso ancora di più sulle politiche dell’ex premier crudeli verso i più vulnerabili, tra cui profughi e rifugiati”. Sonya Sceats, direttrice esecutiva dell’organizzazione britannica di difesa dei diritti delle vittime di tortura Freedom from Torture, commenta così all’agenzia Dire l’incarico come primo ministro di Truss, affidatole dal suo partito e sugellato quest’oggi dalla Regina Elisabetta nel Castello scozzese di Balmoral.

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Elizabeth Truss

La nuova premier, 46 anni, nativa di Oxford, ministra degli Esteri durante la passata amministrazione, è stata eletta alla guida del Partito conservatore, schieramento che governa il Paese, da circa 172mila elettori iscritti alla formazione dei “tories”. Le consultazioni si sono rese necessarie dopo le dimissioni di Johnson, che ha dovuto lasciare l’incarico dopo essere sopravvissuto a un voto di sfiducia, a fronte anche delle forti critiche ricevute per aver violato le limitazioni imposte dal suo governo durante la fase più acuta della pandemia di Covid-19 prendendo parte a una festa nella sede del governo nonché sua residenza, al 10 di Downing street.

Due organizzazioni della società civile e un sindacato hanno presentato presso l’alta corte di Londra una denuncia contro una delle politiche più controverse del governo dell’ex premier: un accordo per il trasferimento forzato in Ruanda dei richiedenti asilo che fanno ingresso irregolare in Gran Bretagna. L’intesa, firmata nella capitale Kigali lo scorso aprile dalla ormai ex ministra degli Interni Priti Patel – che si è dimessa ieri dopo la nomina di Truss alla guida dei conservatori – è stata annunciata in contemporanea da Johnson a Londra. Il primo volo verso il Paese africano sarebbe dovuto partire a giugno, ma è stato bloccato già sulla pista di decollo dopo un ricorso alla Corte europea dei diritti umani (Cedu) presentata da uno dei passeggeri. I giudici europei hanno stabilito che il piano del governo britannico non può essere applicato finché la giustizia britannica non avrà concluso tutti i procedimenti giudiziari che sono stati presentati contro tale misura.

E’ da qui quindi, dal versante dei diritti, soprattutto quelli a rischio, che Sceats guarda al nuovo esecutivo a guida Truss che verrà annunciato nelle prossime ore. “La nuova premier potrebbe abbandonare una serie di politiche di cui il popolo britannico è veramente stufo”, premette l’attivista, che però aggiunge: “Durante la sua campagna per farsi eleggere alla guida dei tories ha scommesso ancora più fortemente su politiche che attaccano i diritti umani come l’intesa con il Ruanda, siglata all’insegna del principio ‘soldi in cambio di persone’, e poi il National security bill e il British Bill of Rights”. Le bozze di questi due ultimi provvedimenti sono al momento entrambe in fase di esame da parte della Camera dei Lord, uno dei primi passaggi dell’iter necessario per diventare leggi, così come prevede l’ordinamento britannico. Le misure sono state duramente criticate da diverse organizzazioni, in quanto accusate, fra le altre cose, di assestare duri colpi alla libertà di espressione e dei diritti umani, oltre a fornire la possibilità a Londra di sottrarsi alle sentenze della Cedu.

Freedom from Torture, che fornisce assitenza psicosociale alle vittime di tortura che ottegono asilo nel Regno Unito, fornirà un documento con diverse testimonianze a sostengo della causa presentata ieri contro il piano di Londra e Kigali. Un rapporto della ong Medical Justice Uk ha individuato almeno 14 vittime di tortura che erano state destinate al trasferimento verso il Ruanda, un Paese che le organizzazioni non considerano sicuro per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e le garanzie contro la tortura.

“Sappiamo che le misure su cui punterà Truss avranno un impatto enorme sulle comunità più vulnerabili della nostra società, logorando così quella rete di sicurezza dei diritti umani che ci rende tutti più sicuri”, constata Sceats.
L’attivista lancia quindi un appello alla politica ma ancora di più ai cittadini britannici: “In tempi di crisi economica senza precedenti, questo Paese ha bisogno di una leader sensibile e compassionevole, non di un’esponente di destra ancora più inutilmente muscolare. Sta al popolo della Gran Bretagna- scandisce ancora Sceats- chiedere al suo governo di rappresentare tutti, a prescindere dalla loro condizione economica o dalla loro provenienza”. Pagine Esteri

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Ursula von der Leyen traccia un bilancio e indica sfide e priorità dell’UE nel discorso sullo Stato dell’Unione. Il primo, dice, “mentre in Europa infuria una guerra”. “Putin fallirà.


L’Europa attende il gas del Turkmenistan


In risposta alla guerra del Cremlino contro l’Ucraina, l’Unione Europea si sta muovendo per emanciparsi dal gas naturale russo. Sebbene la mossa abbia un buon senso geopolitico, il taglio delle forniture di gas russe ha già causato problemi economici. Prima della guerra, la Russia forniva il 40 per cento del gas europeo. L’Unione Europea ora [...]

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Etiopia: Abiy e la sua paura della pace


Il Tigray ha offerto colloqui per la pace, ma il premier federale Abiy Ahmed non risponde. Il suo problema più grande è l'Eritrea. Si rischia una guerra regionale

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