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Ergastolo ostativo: vendetta invece della pena, ricatto invece del recupero


Avrei voluto iniziare queste righe, con un riferimento disgustato all’ennesima cagnara scatenata in Parlamento tra i vari manutengoli della signora ‘Signor Presidente del Consiglio on.le Giorgia Meloni’, e sotto gli occhi indulgenti (e non molto consci) del suo Ministro della Giustizia, sempre più ‘stranito’. Ma poi, sono rimasto colpito dalla solita frase rozza e tranciante […]

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Dopo un 2022 con entrate record, nel 2023 le entrate russe dalle vendite di idrocarburi (petrolio e derivati, gas e carbone) sono destinate a tornare ai livelli pre-pandemia: da 330 a 180-200 miliardi di dollari.


Non è una novità, nel football americano lo fanno da anni...

ansa.it/sito/notizie/sport/cal…



Le ripercussioni della guerra in Ucraina continuano ad avere un profondo impatto sul Mediterraneo allargato e sull’Africa sub-sahariana.


Settore pubblico in sciopero, ma il premier Rishi Sunak non cede e il Regno Unito si prepara a un lungo braccio di ferro.


Fatto 30...La Banca Centrale Europea ha alzato i tassi di interesse di altri 50 punti, portandoli al 2,5%. Una decisione che non sorprende, almeno non quanto il segnale dato da Lagarde di voler continuare con i rialzi anche il prossimo marzo.


Dal Consiglio Ue oltre mezzo miliardo per l’Ucraina. Il settimo pacchetto aiuti


Un settimo pacchetto di aiuti del valore di mezzo miliardo di euro e lo stanziamento di 45 milioni per sostenere le attività di formazione della missione di assistenza militare dell’Unione europea (Eumam Ucraina). Così, in vista del vertice di domani tra

Un settimo pacchetto di aiuti del valore di mezzo miliardo di euro e lo stanziamento di 45 milioni per sostenere le attività di formazione della missione di assistenza militare dell’Unione europea (Eumam Ucraina). Così, in vista del vertice di domani tra l’Unione europea e l’Ucraina – il primo dalla concessione dello status di Paese candidato all’Ucraina –, il Consiglio dell’Ue ha adottato delle nuove misure per lo Strumento europeo per la pace (Epf), in modo da fornire ulteriore assistenza militare alle Forze armate ucraine.

Bruxelles a sostegno di Kiev

Si tratta di misure che mandano un messaggio chiaro e inequivocabile a detta dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Continueremo a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”. Grazie ai nuovi fondi “l’Ucraina dovrebbe ricevere tutte le attrezzature militari necessarie e la formazione militare di cui ha bisogno per difendere il proprio territorio e la sua popolazione dalla guerra di aggressione della Russia”, ha continuato Borrell. Quest’ultima decisione porta alla cifra record di 3,6 miliardi il contributo totale dell’Ue all’Epf in favore dell’Ucraina. Con gli ultimi fondi allocati, si vogliono fornire le attrezzature non letali necessarie, oltre a tutti i servizi collegati alle attività di formazione. Saranno infatti 15 mila i nuovi soldati addestrati grazie all’Eumam.

I passi precedenti

Quello odierno è il settimo pacchetto di aiuti in favore delle forze ucraine nella cornice dell’Epf, i precedenti erano stati stanziati l’anno scorso: il 28 febbraio, il 23 marzo, il 13 aprile, il 23 maggio, il 21 luglio e il 17 ottobre. Proprio al 17 ottobre risale inoltre la decisione di istituire l’Eumam Ucraina per la durata di due anni. Una missione che cerca di rispondere alle richieste avanzate dal Paese invaso all’alto rappresentante, per garantire alle forze ucraine una formazione militare individuale, collettiva e specializzata, nonché un miglior coordinamento della formazione fornita da Paesi diversi.

Prossimo vertice Ue-Ucraina

Al momento la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si trova in Ucraina con altri 15 membri del collegio dei commissari dell’Ue. Pronta a incontrare domani il presidente Volodymyr Zelensky, e alcuni membri del governo del Paese insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in occasione di quello che sarà il 24esimo vertice tra Ue-Ucraina, ma il primo da quando il Paese ha ottenuto lo status di Paese candidato all’Unione europea lo scorso giugno, pochi mesi dopo la presentazione della domanda di adesione. Al centro del vertice si discuterà il percorso di adesione del Paese, ma non solo, all’ordine del giorno si prevede di affrontare anche la sicurezza alimentare internazionale e la cooperazione sui temi della ricostruzione e dell’assistenza, nonché nei settori dell’energia e della connettività sempre più strategici sul piano internazionale.

Strumento europeo per la pace

L’European peace facility, istituito a marzo 2021, è un fondo fuori bilancio atto a consolidare la capacità europea di prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare così la sicurezza internazionale sostituendo e ampliando gli strumenti precedenti quali Athena. Nel periodo 2021-2027 il massimale finanziario di cui può disporre il fondo ammonta a circa 5,7 miliardi di euro, con un massimale annuo che è passato da 420 milioni di euro nel 2021 a oltre un miliardo nel 2027, determinato anche da un criterio di ripartizione fondato sul reddito nazionale lordo di ogni Paese. L’Epf, atto a rafforzare le capacità militari europee, si basa su due pilastri: operazioni, con cui vengono finanziati i costi delle missioni nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc); e assistenza, per finanziare l’azione Ue in favore di Paesi terzi e organizzazioni.


formiche.net/2023/02/pacchetti…



Il sabotaggio di Émile Pouget, edito da Massari


Questo volumetto edito nel 1913, è opera di Émile Pouget (1860–1931), uno dei militanti anarchici più rappresentativi del movimento operaio francese, colui che per primo ha definito il concetto di sabotaggio. Sin dal 1897 la Confédération Générale du Travail, durante il congresso di Tolosa, grazie soprattutto a Pouget, definisce “ufficialmente” il sabotaggio un metodo di lotta sindacale. @L’angolo del lettore

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#libro #libri #rileggere

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Cooperazione, difesa e jet. Si consolida il dialogo Italia-Giappone


Un’occasione per consolidare la partnership tra Italia e Giappone e dare continuità al dialogo nel settore della Difesa. È stato questo il cuore dell’incontro tra Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, e Atsuo Suzuki, vice ministro della Difesa g

Un’occasione per consolidare la partnership tra Italia e Giappone e dare continuità al dialogo nel settore della Difesa. È stato questo il cuore dell’incontro tra Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, e Atsuo Suzuki, vice ministro della Difesa giapponese. L’obiettivo era potenziare ulteriormente il dialogo già esistente tra Roma e Tokyo e la collaborazione bilaterale tra Forze armate. Capitolo importante, naturalmente, è quello della collaborazione italo-giapponese, insieme al Regno Unito, sul caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap).

DIREZIONE TOKYO

L’incontro, inoltre, ha preceduto il programmato viaggio del ministro italiano in Giappone. Come raccontato in precedenza su Formiche.net, potrebbe essere parte di un più ampio viaggio asiatico con tappa anche in Indonesia per incontrare l’omologo Prabowo Subianto, dal quale era giunto, in occasione del bilaterale di dicembre a Roma, “l’apprezzamento per l’impegno dell’Italia nell’attuale quadro geostrategico e per le sue eccellenze tecnologiche”.

IL RUOLO DI ROMA

L’incontro odierno conferma da una parte il crescente attivismo di Tokyo sul piano internazionale, e dall’altra riconosce al nostro Paese un ruolo centrale nella relazione sempre più stretta tra il Giappone e l’Occidente. Del resto, durante il suo tour euro-americano di inizio anno, Fumio Kishida, primo ministro giapponese, ha incontrato a Roma Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Un vertice che era servito a elevare le relazioni italo-nipponiche a “partenariato strategico”, prevedendo anche un meccanismo di consultazioni bilaterali Esteri-Difesa che dovrebbe riunirsi per la prima volta nel corso di quest’anno, come riportato su Formiche.net in precedenza.

IL JET DI SESTA GENERAZIONE

Il programma Gcap “può rappresentare un volàno importante per i rapporti commerciali ed economici tra Roma e Tokyo”, ha spiegato il ministro Crosetto in una recente intervista a Formiche.net. “Avrà importanti ricadute sui settori produttivi, anche in ambito civile, e sui settori di ricerca e sviluppo”. Il progetto prevede lo sviluppo di un sistema di sistemi integrato per il combattimento aereo, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso e provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione alla penetrazione in profondità, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Gcap di essere multidominio fin dalla sua concezione, progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.

IL RUOLO DELLE INDUSTRIE ITALIANE

Di recente, inoltre, il team italiano di aziende che partecipa al programma internazionale, composto da Leonardo, in qualità di partner strategico, Elettronica, Avio Aero e Mbda Italia, ha siglato un accordo per il supporto all’azione del ministero della Difesa e per l’avvio della seconda fase di sviluppo del sistema, quella di concept & assessment, e nelle attività di dimostrazione del programma. A livello internazionale, quindi, le realtà industriali potranno collaborare alla pari allo sviluppo delle tecnologie insieme ai rispettivi campioni del Giappone, come Mitsubishi Heavy Industries, IHI Corporation e Mitsubishi Electric, e del Regno Unito, Bae Systems, Rolls-Royce, e le divisioni Uk di Leonardo e Mbda.


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Ordine mondiale nel XXI Secolo: un mosaico da costruire


Cosa hanno in comune la vendita di armi marocchine all’Ucraina, un corridoio transnazionale di transito russo-iraniano e l’assistenza degli Stati Uniti nello sviluppo di una strategia nazionale saudita? Insieme all’accordo di messaggistica finanziaria russo-iraniano di questa settimana e alla visita di dicembre del presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita, sono frammenti sempre più piccoli […]

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in reply to Andrea Russo

ordine mondiale = perpetuare una catastrofe globale investendo tutti i propri averi in auto distruzione perchè talmente miopi da rendersi conto di non aver capito la famosa strategia vincente che è da sempre non avere niente da difendere, l'ordine mondiale sarebbe la loro condanna a diventare uguali agli altri 😀


UE – Cina: disintegrazione con il pilota automatico


All’inizio di dicembre 2022, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel si è recato a Pechino per il suo primo incontro faccia a faccia con il Presidente cinese Xi Jinping. La visita è arrivata dopo due eventi che incarnano lo stato delle relazioni UE-Cina. La parte cinese ha rifiutato di eseguire un discorso preregistrato in […]

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in reply to Andrea Russo

"Mentre l'ambiente politico continua a deteriorarsi, i legami economici procedono senza che nessuna parte abbia una visione chiara o realistica di dove vogliono che vadano le relazioni o di come arrivarci" e la #cannabis è illegale siamo in incubo di Manu Chao



Scuola di Liberalismo 2022 – Messina: lezione di Eugenio Guccione sul tema “Battaglie per la libertà”


Undicesimo appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta pr

Undicesimo appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articola in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.

La undicesima lezione si svolgerà giovedì 2 febbraio, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dal prof. Eugenio Guccione (già Ordinario di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Palermo), che relazionerà sull’opera “Battaglie per la libertà” di Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano nel 1919 e, in generale, una delle figure più influenti e lungimiranti del panorama politico, culturale e sociale del Novecento italiano.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.

Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina

Visita la pagina della Scuola di Liberalismo 2022 – Messina

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Il caso Donzelli e il rimpianto del Parlamento di Luigi Einaudi


Ci sono gli epifenomeni: la grossolanità dell’accusa, la delegittimazione dell’avversario, la diffusione di informazioni riservate, la ricerca di un diversivo mediatico, la mancata comprensione del senso profondo di quel “sindacato ispettivo” che compete

Ci sono gli epifenomeni: la grossolanità dell’accusa, la delegittimazione dell’avversario, la diffusione di informazioni riservate, la ricerca di un diversivo mediatico, la mancata comprensione del senso profondo di quel “sindacato ispettivo” che compete al parlamentare… Gli epifenomeni ci sono tutti, sono piuttosto clamorosi e giornalisticamente gustosi. Non sorprende, dunque, che su questi verta il dibattito pubblico e politico. Dispiace, però, che del fenomeno ci si occupi poco o nulla. Il fenomeno cui va ascritta la vicenda Donzelli è presto detto e riguarda tutti. Potremo definirlo così: la perdita di senso del Parlamento. Cioè delle istituzioni, cioè della democrazia, cioè della politica. La politica intesa come arte della mediazione.

Facciamo un balzo all’indietro nella storia per capire di cosa stiamo parlando. Il 12 maggio 1948, dopo aver giurato come presidente della Repubblica, Einaudi prese la parola davanti al parlamento riunito in seduta comune. Un discorso asciutto, denso, pragmatico come nel temperamento dell’oratore. Tra le altre cose, Luigi Einaudi disse: “Nelle vostre discussioni, signori del parlamento, è la vita vera, la vita medesima delle istituzioni che noi ci siamo liberamente date; e se v’è una ragione di rimpianto nel separarmi, per vostra volontà, da voi è questa: di non poter partecipare più ai dibattiti, dai quali soltanto nasce la volontà comune; e di non poter più sentire la gioia, una delle più pure che cuore umano possa provare, la gioia di essere costretti a poco a poco dalle argomentazioni altrui a confessare a se stessi di avere, in tutto o in parte, torto e ad accedere, facendola propria, all’opinione di uomini più saggi di noi”.

Il parlamento come luogo del dibattito. Il parlamento come il luogo in cui, appunto, ci si parla. E naturalmente ci si ascolta. Ci si parla per trasferire agli altri conoscenze, sensibilità e punti di vista nella speranza di convincere chi ascolta della bontà delle proprie posizioni.

Ebbene, quel parlamento non esiste più. O meglio: esiste, ma ha perso di senso. E non solo perché, da decenni e in forma crescente, i governi ne hanno usurpato le prerogative costituzionali abusando della decretazione d’urgenza e dalla questione di fiducia. Il parlamento ha perso di senso perché, nell’era dei social, delle affermazioni icastiche e del narcisismo esasperato, nessuno è più disposto ad ascoltare. I leader entrano in aula nel momento in cui devono intervenire, parlano solo per poter poi postare sui social i loro interventi, si rivolgono idealmente non ai parlamentari ma alle rispettive tifoserie, e non appena finiscono di parlare se ne vanno. Lo fanno i leader, e sempre più spesso lo fanno anche i gregari. Lo ha fatto anche il meloniano Giovanni Donzelli quando, nell’aula di Montecitorio, ha accusato alcuni parlamentari del Pd di collusione con mafiosi e terroristi. Ma a dare scandalo, nonché, possibilmente, a offrire motivo di riflessione, non dovrebbero essere solo le sue infelici parole.

Huffington Post

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Ucraina: la guerra di Putin mette a nudo l’identità imperiale della Russia


Vladimir Putin insiste che russi e ucraini sono ‘un solo popolo’, ma la sua brutale invasione dell’Ucraina ha rivelato una notevole mancanza di empatia ‘fraterna’ russa per gli ucraini. Mentre molte persone in altre ex repubbliche sovietiche si sono identificate con le sofferenze dell’Ucraina, relativamente pochi cittadini russi hanno mostrato qualche segno di compassione o […]

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#NotiziePerLaScuola

PNRR, pubblicate le graduatorie definitive relative all’avviso per la realizzazione di mense scolastiche.

Info ▶️ pnrr.istruzione.it/avviso/mens…

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Ucraina – Taiwan: no causa-effetto


“Se gli uomini definiscono reali le situazioni, sono reali nelle loro conseguenze”, ha scritto il sociologo WI Thomas. Il teorema di Thomas giustamente chiamato , formulato all’inizio del XX secolo, riflette uno dei pericoli costanti dell’arte di governo ed è profondamente saliente per i dibattiti in corso sulla strategia di Washington per l’Ucraina mentre la […]

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Addio al Boeing 747, la ‘regina dei cieli’


Boeing ha chiuso definitivamente la linea produttiva degli aeromobili 747 con la versione cargo -8F Queen of the Skies fornita alla Atlas Air, una compagnia specializzata in trasporti merci interamente controllata di Atlas Air Worldwide Holdings. La cerimonia si è svolta nello stabilimento di Everett, città capoluogo della Contea di Snohomish, nello Stato di Washington. La […]

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Addio, Enzo, uomo perbene


È stato un eccellente giornalista e un politico perbene, la cui immagine pubblica risultò indelebilmente macchiata dalla gogna mediatica cui fu sottoposto, in manette, ai tempi della furia giustizialista di Mani Pulite. Non si lasciò abbattere. Mantenne i

È stato un eccellente giornalista e un politico perbene, la cui immagine pubblica risultò indelebilmente macchiata dalla gogna mediatica cui fu sottoposto, in manette, ai tempi della furia giustizialista di Mani Pulite. Non si lasciò abbattere. Mantenne il buon umore e la curiosità allora, così come li mantenne negli ultimi mesi di convivenza con la malattia. Enzo Carra era un amico personale di molti di noi ed era un amico della Fondazione Luigi Einaudi. Ai suoi familiari le nostre più sentite condoglianze.

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REPORTAGE. Tra le macerie di Gerusalemme est, 31 case palestinesi demolite in un mese


Il governo israeliano annuncia una campagna di demolizioni contro «l’abusivismo palestinese». Con permessi edilizi fantasma, si costruisce comunque. Fino ai bulldozer. Viaggio a Jabal al Mukaber L'articolo REPORTAGE. Tra le macerie di Gerusalemme est, 31

di Michele Giorgio*

(le foto sono di Michele Giorgio)

Pagine Esteri, 2 febbraio 2023 – Stretta nella sua tutina bordeaux, con il cappuccio alzato sulla testa per ripararsi dalla pioggia che cade copiosa su Jabal al Mukaber, Malak Matar, 7 anni, ci racconta per filo e per segno cosa è accaduto all’alba del 29 gennaio quando ha sentito un gran frastuono fuori casa. «Mi sono svegliata per il rumore, poi ho sentito dei forti colpi alla porta di casa» dice sotto lo sguardo attento del padre Rateb «all’inizio ho pensato che papà stesse riparando qualcosa. Poi la mamma mi ha chiamato e mi ha detto di scendere giù subito». Al piano di sotto, continua Malak, «ho trovato dei poliziotti e degli uomini che avevano in mano dei fogli. Papà gridava, ripeteva che non potevano distruggere la nostra casa. Poi è arrivato il nonno, anche lui gridava. I poliziotti ci hanno ordinato di uscire al più presto. Mamma piangeva, mi ha detto di raccogliere in fretta un po’ di abiti e di andare a casa dei vicini». Meno di due ore dopo una ruspa ha ridotto in macerie l’abitazione dei Matar «sanando» quello che il municipio israeliano di Gerusalemme ha semplicemente descritto come un «abuso edilizio». Eppure, c’è poco di più politico della demolizione di una casa palestinese a Gerusalemme.

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Rateb Matar e la sua famiglia per un po’ saranno ospitati da parenti. Il cielo grigio che grava su questo sobborgo a sud-est della zona araba occupata di Gerusalemme rende più drammatica la previsione che il palestinese fa della sua vita, di quella di sua moglie e dei suoi figli. «Già sappiamo che saremo costretti a lasciare Jabal al Mukaber – ci dice Matar confortato da un paio di amici – e con gli affitti così alti (a Gerusalemme) dovremo cercare un appartamento fuori dalla città». Non esita quando gli chiediamo il perché di quella costruzione senza licenza. «Non ho avuto scelta – ci dice perentorio – la mia famiglia vive da sempre qui a Jabal al Mukaber e volevo lo stesso per me e i miei figli. I permessi edilizi costano una fortuna e comunque per ottenerne uno potrebbero volerci anche dieci anni. Chi può aspettare tanto per avere un tetto sulla testa? E l’affitto non posso permettermelo». Si avvicina un altro abitante, Firas. «Noi palestinesi non abbiamo le risorse degli israeliani – ci spiega – qui a Jabal al Mukaber a stento riusciamo a sopravvivere. Questo porta a costruzioni massicce senza i permessi». Firas, con un bimbo aggrappato alle gambe, aggiunge che le autorità comunali «qui si vedono solo per riscuotere l’arnona (l’Imu, ndr) e consegnare gli ordini di demolizione alle famiglie, mai per garantirci servizi e infrastrutture». Difficile smentirlo di fronte a strade strette e asfaltate poco e male, ai cumuli di rifiuti e detriti, al degrado generale. Un quadro ben diverso dalle strade ampie, pulite e alberate, con spazi per il gioco dei bambini che, sopra Jabal al Mukaber, circondano i palazzi della israeliana Armon HaNatsiv, formalmente una colonia perché costruita a Gerusalemme Est ma che adesso anche parecchi media italiani definiscono un «rione».

Pare che siano circa 800 le abitazioni senza permesso costruite dai palestinesi a Jabal al Mukaber. A Gerusalemme Est, secondo i dati dell’ong Ir Amim, dall’inizio dell’anno sono stati già stati demoliti 31 edifici. Perciò la nomina a ministro della Sicurezza nazionale di Itamar Ben Gvir, uno dei leader dell’estrema destra israeliana, ha messo in forte allarme centinaia di famiglie. L’«abusivismo palestinese» infatti è visto dalla destra come una minaccia all’esistenza stessa di Israele e all’inizio della settimana Ben Gvir ha annunciato una «campagna di demolizione di case» in risposta all’attacco armato palestinese a Neve Yaacov in cui sono stati uccisi sette israeliani. «Ci sono dozzine di case che è possibile abbattere. Spero che non incontreremo difficoltà. La demolizione di case illegali a Gerusalemme deve continuare», ha ordinato.

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Parole che hanno suscitato timori e rabbia a Jabal al Mukaber, la zona più a rischio. La demolizione della casa della famiglia Matar e, il giorno successivo, di un edificio commerciale hanno lanciato un segnale inequivocabile. Due giorni fa, dopo la proclamazione di uno sciopero commerciale e la chiusura delle scuole, decine di giovani palestinesi hanno bloccato le strade di accesso al sobborgo, dato fuoco a pneumatici e cassonetti dei rifiuti e hanno minacciato una Intifada se Ben Gvir darà seguito concreto ai suoi propositi. Per ore sono andati avanti gli scontri tra la polizia e i dimostranti che lanciavano sassi. Da due giorni ogni estraneo che entra a Jabal al Mukaber è sospettato di essere un funzionario del Comune o un agente in borghese della polizia. «Siamo pronti a resistere, non riusciranno a cacciarci da Jabal al Mukaber», assicura Tareq, un commerciante. Pagine Esteri

*Questo reportage è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

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In Cina e Asia – Hong Kong regala 500mila biglietti aerei per rilanciare l’economia


In Cina e Asia – Hong Kong regala 500mila biglietti aerei per rilanciare l’economia hong kong
L'economia di Hong Kong è diminuita del 3,5% nel 2022
Chiuso (per ora) il quartiere di Sanlitun
Usa e India lanciano una iniziativa congiunta su high tech e difesa
La giunta birmana proroga lo stato di emergenza in Myanmar

Filippine: gli Usa ottengo l'accesso ad altre basi militari

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Repubblica Democratica del Congo: oltre 100mila civili in fuga in un solo giorno nel Nord Kivu


Sempre più violenti gli attacchi alla popolazione. 65mila bambini, denuncia Save the children sono stati costretti a fuggire dalle loro case a causa di violenti scontri tra il gruppo armato M23 e le forze governative, mentre Papa Francesco visita il Paese

(foto di Frederic Bonamy EU/ECHO)

Pagine Esteri, 2 febbraio 2023Più di 122 mila persone sarebbero fuggite dalle loro case nell’arco di un giorno dopo l’ennesima escalation del conflitto nella provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), lasciando migliaia di bambine e bambini vulnerabili agli abusi. Questo l’allarme lanciato dall’organizzazione internazionale Save the Children.

Gli scontri armati tra il gruppo armato M23 e le FARDC (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo) nelle aree intorno a Kitshanga, a circa 60 km a ovest di Goma, tra il 24 e il 25 febbraio hanno portato a sfollamenti di massa, il cui numero è destinato ad aumentare con il protrarsi del conflitto. Si stima che oltre la metà degli sfollati in fuga da Kitshanga siano bambini.

L’ultima escalation di violenza si è verificata mentre Papa Francesco è nella Repubblica Democratica del Congo.

Mentre l’intensificarsi del conflitto sta causando sfollamenti di massa, in altre aree della Repubblica Democratica del Congo orientale le persone vengono uccise e sradicate dalle loro case in un’allarmante ondata di attacchi contro i civili. Secondo le Nazioni Unite, più di 200 civili sono stati uccisi dai gruppi armati nell’Ituri nelle ultime 6 settimane, 2 mila case sono state distrutte e 80 scuole sono state chiuse o abbattute. Le strutture sanitarie sono state saccheggiate, rendendo sempre più difficile l’accesso all’assistenza sanitaria.

I violenti attacchi contro i civili spesso coinvolgono anche i bambini. La sera del 18 gennaio e la mattina seguente, gruppi armati hanno attaccato un insediamento di sfollati in un villaggio dell’Ituri, uccidendo 5 bambini e 2 adulti. L’8 gennaio un gruppo armato ha attaccato quattro villaggi dell’Ituri uccidendo 25 persone, tra cui 5 bambini. Il gruppo ha anche saccheggiato un centro sanitario locale. Nella sola provincia di Ituri, questi attacchi hanno costretto circa 52 mila persone a fuggire dalle loro case.

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“I violenti scontri e gli attacchi ai civili, compresi i bambini, devono cessare”, ha dichiarato Amavi Akpamagbo, Direttore nazionale di Save the Children nella Repubblica Democratica del Congo. “Stiamo assistendo a una notevole escalation del conflitto tra il gruppo armato M23 e le FARDC, che continua a causare massicci spostamenti di popolazione. Assistiamo anche ad attacchi feroci da parte di altri gruppi armati, che uccidono e mutilano i civili, compresi i bambini, in modo estremamente violento. Questi attacchi contro i civili devono essere indagati e i responsabili devono essere chiamati a rispondere delle violenze e delle uccisioni di bambini e altri civili”, ha aggiunto Akpamagbo.

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nella Repubblica Democratica del Congo vivono circa 5,5 milioni di sfollati, in un Paese che conta circa 95 milioni di abitanti. Alcuni dormono all’aperto mentre altri si trovano in campi e insediamenti, spesso in condizioni di sovraffollamento e senza servizi igienici di base, il che porta a epidemie di malattie trasmesse dall’acqua come il colera.

Il mese scorso Save the Children ha riferito che i casi di colera sono in rapido aumento a Nyirangongo, la regione che ospita il maggior numero di sfollati a causa della recente escalation del conflitto, con i bambini che rappresentano quasi quattro casi su cinque.

“La situazione umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo è terribile”, ha aggiunto Akpamagbo. “La maggior parte degli sfollati si trova in condizioni precarie. Vivono in scuole e stadi e altri sono ospitati da famiglie dove non hanno né acqua potabile né cibo. I bambini sfollati sono vulnerabili. I minori non accompagnati o abbandonati, senza familiari, corrono un rischio maggiore di abusi”.

Save the Children lavora nella Repubblica Democratica del Congo dal 1994 per rispondere ai bisogni umanitari legati al massiccio sfollamento delle popolazioni a causa del conflitto armato nelle province orientali, in particolare nel Nord Kivu, nel Sud Kivu e nell’Ituri e nel Kasai-Orientale e Lomami nel centro del Paese. Save the Children sta sviluppando attività nei settori della salute e della nutrizione, dell’istruzione e della protezione, in modo da non lasciare indietro nessuna comunità, compresi i bambini più vulnerabili. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2023/02/02/afr…



Contro la Cina ora anche una Commissione speciale della Camera dei Rappresentanti Usa


Composta da 13 deputati è guidata da Mike Gallagher, giovane falco anti-Pechino. Lo scontro tra i due giganti si intensifica e domenica arriverà in Cina il segretario di stato Blinken. L'articolo Contro la Cina ora anche una Commissione speciale della Ca

di Michelangelo Cocco*

(nella foto da wikimedia, il nuovo speaker della Camera dei rappresentanti Usa, Kevin McCarthy)

Pagine Esteri, 1 febbraio 2023 – «Una delle grandi preoccupazioni per il futuro è quella che noi possiamo restare indietro rispetto alla Cina comunista». Ha esordito così il nuovo speaker della Camera dei rappresentanti, Kevin McCarthy, nel discorso con il quale ha inaugurato la Commissione speciale sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese. A favore dell’istituzione della Commissione, il 10 gennaio scorso, hanno votato 219 repubblicani e 146 democratici (65 i “no” democratici, e quattro schede bianche).

L’organismo è composto da 13 deputati repubblicani selezionati dallo stesso portavoce della Camera bassa, ai quali dovrebbero aggiungersene fino a sette del partito democratico. È presieduto dal deputato Mike Gallagher, giovane falco anti-Pechino, formatosi come funzionario militare: due dispiegamenti nell’intelligence dei marine in Iraq, più un’esperienza nella commissione Forze armate e un’altra in quella dell’Intelligence della Camera. Gallagher ritiene – così ha dichiarato a Politico – che gli Stati Uniti debbano «vincere questa nuova Guerra fredda contro la Cina». Dopo aver studiato la lingua araba a Princeton, Gallagher ha prestato servizio nella provincia di Anbar, una delle zone dell’Iraq nelle quali la guerriglia ha inflitto più danni e vittime all’esercito Usa. Gallagher ha un master in relazioni internazionali alla Georgetown University ed è un sostenitore della “pax economica” tra israeliani e palestinesi.

Secondo il trentottenne eletto nel Wisconsin, «Il Partito comunista cinese è il nemico della libertà nel mondo» e «la salute del nostro sistema educativo è legata al nostro successo, così come il numero di missili Harpoon che abbiamo a Taiwan». Gli Harpoon sono razzi anti-nave venduti da McDonnell Douglas (di proprietà di Boeing dal 1997) a circa 1,5 milioni di dollari la batteria. E a Taiwan intende recarsi in primavera McCarthy, replicando il viaggio (la “provocazione”, secondo Pechino) del 2 agosto scorso della sua predecessora, Nancy Pelosi, che indusse l’Esercito popolare di liberazione a inscenare un blocco navale e le più grandi esercitazioni militari mai condotte intorno all’Isola. Secondo i media Usa, il Pentagono si sta già preparando ad affrontare le ripercussioni della gita del nuovo speaker della Camera.

Con diversi componenti legati al settore della difesa (un’altra parte si occuperà invece di difendere le compagnie agricole Usa da acquisizioni cinesi), la Commissione appare come l’ennesima emanazione di quel «complesso militare-industriale e politico», che il presidente Dwight Eisenhower, nel suo discorso di commiato trasmesso in tv il 17 gennaio 1961, descrisse come la «congiunzione tra un immenso corpo di istituzioni militari e un’enorme industria di armamenti» che, per il 2023, ha varato un budget per la difesa di 816,7 miliardi di dollari.

Presentando la Commissione speciale sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese, McCarthy ha dato fondo alla più vieta retorica anti-comunista, lanciando allarmi per «una minaccia troppo grande per litigare tra noi», un non meglio specificato «genocidio comunista», la «minaccia del partito comunista cinese» e così via. Tanto che i media governativi cinesi hanno accostato Kevin a Joseph McCarthy, il senatore che negli anni Cinquanta fu protagonista della caccia alle streghe anti-comunista negli Stati Uniti (con il quale lo speaker della Camera non è imparentato). Il 25 ottobre 2018 Kevin McCarthy pubblicò un tweet dal tono evidentemente antisemita, con un ritratto di George Soros in bianco e nero e la scritta “Soros” in giallo, che invitava gli elettori a «uscire di casa e votare i repubblicani il 6 novembre», perché «non possiamo permettere a Soros, Steyer e Bloomberg di comprarsi queste elezioni». Ciò non gli ha impedito di atteggiarsi a ultrà filo-israeliano. Ad, esempio, in questi giorni guida la crociata per far espellere dalla commissione affari esteri della camera Ilhan Omar, deputata democratica critica dell’occupazione militare israeliana in Palestina e del sostegno militare statunitense a Tel Aviv. In difesa della libertà di espressione di Omar si sono mobilitate anche otto organizzazioni ebraiche statunitensi, ma McCarthy vuole mandarla via, nonostante la contrarietà dei democratici e dopo aver spaccato sulla questione il suo stesso partito. Per cacciare Omar servirebbe una maggioranza che non c’è e McCarty è destinato a rimediare una figuraccia. Come quella della sua elezione come speaker della Camera alla quindicesima votazione (non accadeva dal 1859).

McCarthy ha sottolineato che negli Stati Uniti «c’è un consenso bipartisan sul fatto che è finita l’era della fiducia nei confronti della Cina comunista». Il racconto ufficiale che parte da Washington e si diffonde nei paesi alleati è semplice come una favola per bambini: gli Stati Uniti e l’Occidente (i buoni) hanno sperato che i cattivi (la Cina comunista) diventassero buoni, ma questi ultimi, con Xi Jinping, sono diventati sempre più cattivi!

Eppure, da quando – all’inizio degli anni Novanta – le corporations a stelle e strisce hanno iniziato a investire più massicciamente in Cina, il suo sistema politico è rimasto incentrato sul Partito comunista cinese e non ha dato segnali di voler intraprendere un percorso di riforme democratiche liberali (separazione dei poteri, libertà d’espressione, suffragio universale, etc). Possiamo forse credere alla storia secondo la quale gli Stati Uniti e l’Occidente si erano illusi che la democrazia sarebbe sbocciata in Cina, col fiorire dell’economia di mercato all’interno del suo sistema misto?

In realtà, nascosta dalla narrazione transcontinentale e bipartisan della lotta tra la democrazia e l’autoritarismo, Washington ha avviato una separazione non consensuale (Pechino avrebbe preferito continuare a guadagnare tempo in vista dello scontro con gli Usa) da quello che per le grandi multinazionali è stato un partner economico fondamentale negli ultimi 30 anni. È infatti l’integrazione della Cina all’interno della globalizzazione neoliberista – ancor più con l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione mondiale per il commercio, nel 2001 – che ha permesso ad Apple, Nike &Co. di beneficiare dei vantaggi (bassi salari, incentivi fiscali e libertà d’inquinare) offerti dalla produzione in outsourcing in quella che è diventata la “fabbrica del mondo”.

Ma nella Repubblica popolare cinese i salari sono in costante crescita dall’inizio degli anni Novanta, oggi a essere favorite sono le compagnie locali, la tutela dell’ambiente è diventata una priorità, mentre l’economia e la tecnologia made in China inseguono quelle statunitensi. E non soltanto il Partito comunista non è disposto ad aprire i settori strategici (finanza, telecomunicazioni, energia, tra gli altri) alla concorrenza straniera, ma ha bisogno di sostenere le imprese private cinesi nel mercato interno, mentre su quelli esteri aziende di stato ristrutturate e rese più efficienti sottraggono fette di mercato – ad esempio, in quello delle infrastrutture ad energetico – alle major occidentali, dall’America latina all’Africa, passando per l’Asia e il Medio Oriente.

Ecco spiegata – per quanto schematicamente – la nuova Guerra fredda che Gallagher vuole vincere e la retorica anticomunista del nuovo McCarthy. Pagine Esteri

5162378*Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.

L'articolo Contro la Cina ora anche una Commissione speciale della Camera dei Rappresentanti Usa proviene da Pagine Esteri.



I tank a Kiev non accorceranno la guerra


Washington è riuscita a convincere Berlino a cedere i carri armati Leopard a Kiev, ma difficilmente questi cambieranno il corso del conflitto. Nel frattempo le esportazioni di armi americane vanno a gonfie vele L'articolo I tank a Kiev non accorceranno l

di Marco Santopadre*

Le foto sono tratte dal seguente link

Pagine Esteri, 30 gennaio 2023 – Nelle settimane scorse ha tenuto banco lo scontro interno ai paesi della Nato sulla fornitura all’esercito di Kiev dei carri armati di fabbricazione tedesca Leopard 2. Dopo un lungo braccio di ferro tra Washington e Berlino, alla fine il governo Scholz ha accettato di inviarne alcuni in Ucraina e di permettere agli altri paesi europei che li hanno in dotazione di fare altrettanto. Al tempo stesso anche Washington ha deciso l’invio a Kiev di alcune decine di tank Abrams.
L’Alleanza Atlantica e Volodymyr Zelenskyi si sono detti entusiasti del nuovo passo che coinvolge ulteriormente l’Europa in un’escalation che sembra avvitarsi sempre più su se stessa. Dal punto di vista militare, però, la decisione non dovrebbe avere ripercussioni tali da “accorciare la guerra”, come qualcuno ha sostenuto, o in grado di cambiare le sorti del conflitto in corso. Anche dei lanciarazzi Himars, concessi dalla Casa Bianca a Kiev alcuni mesi fa, si diceva che avrebbero segnato una svolta nella guerra, ma per quanto abbiano dato una mano non indifferente all’esercito ucraino non si sono rivelati certo risolutivi. Lo stesso presidente ucraino, d’altronde, dei carri armati “in arrivo” afferma che soprattutto sosterranno lo spirito del proprio esercito.

I tank a Kiev non cambieranno le sorti della guerraI 31 Abrams M1 statunitensi non giungeranno in Ucraina prima dell’autunno. Washington infatti non invierà parte di quelli già in dotazione alle proprie forze armate, ma dovrà aspettare che gli esemplari da spedire vengano fabbricati.
Anche i Leopard 2 tedeschi, comunque, non potranno essere inviati in Ucraina prima della fine di marzo, non è chiaro se in tempo per contrastare la grande offensiva che il generale russo Gerasimov starebbe preparando in coincidenza con l’anniversario dell’invasione.
Indubbiamente, sia i tank statunitensi sia quelli tedeschi forniranno a Kiev una potenza di fuoco e una precisione di tiro maggiori rispetto a quelle che sono in grado di garantire i carri armati di fabbricazione sovietica utilizzati dalle forze armate ucraine, peraltro decimati nel corso degli ormai 11 mesi di guerra. I carri di ultima generazione ceduti a Kiev sono anche superiori anche ai modernissimi T 90-M russi.

Ma i circa 300 mezzi corazzati che dovrebbero rimpolpare gli arsenali ucraini – di cui però Leopard e Abrams dovrebbero rappresentare appena un terzo del totale – non saranno sufficienti a tenere testa alle migliaia di carri in dotazione alle truppe russe.

Inoltre, per addestrare il personale militare ucraino ad utilizzare i mezzi tedeschi e statunitensi occorreranno diversi mesi. L’esercito di Kiev si troverà ad utilizzare diversi modelli di carro armato, compresi i Challenger promessi da Londra, creando rilevanti difficoltà logistiche alle truppe ucraine: gli uomini addestrati per gestirne un tipo non necessariamente saranno in grado di fare lo stesso con gli altri modelli. I reparti di carristi non saranno intercambiabili.
Ad essere formati dovranno poi essere anche diverse centinaia di tecnici, per non parlare del fatto che per mantenere efficiente la flotta di tank all’avanguardia servirà un’ingente e continua disponibilità di pezzi di ricambio.

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Il problema delle munizioni
Infine, c’è la non secondaria questione delle munizioni. Quelle utilizzate dai mezzi corazzati spediti a Kiev dai paesi della Nato sono di un calibro diverso rispetto a quelle sparate dai tank sovietici in uso finora alle truppe ucraine. E anche quelle, quindi, dovranno arrivare copiosamente da occidente. Ma non è affatto scontato che le forze armate ucraine possano contare sulla necessaria disponibilità di munizioni.

Così come sono restii a cedere a Kiev un numero consistente di carri armati tra i più moderni, gli eserciti della Nato difficilmente trasferiranno in Ucraina i propri stock di munizioni, anche tenendo conto che negli ultimi decenni tanto i paesi europei quanto gli Stati Uniti hanno smantellato buona parte della propria capacità produttiva. Se dopo la Seconda Guerra Mondiale Washington poteva contare su più di 80 fabbriche di munizioni, oggi ne possiede sono sei. Per invertire la tendenza, fa notare Gianandrea Gaiani in un’intervista all’AGI, all’apparato militare-industriale della Nato servirebbero investimenti miliardari e alcuni anni.
Per questo la Nato si sta rivolgendo ad altri paesi che possono contare su un assetto militare-industriale più convenzionale. Ma Washington e i suoi alleati stanno ricevendo anche dei ‘no’.

Il ‘no’ del Brasile
L’ultimo – il più significativo, finora – lo ha pronunciato il brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. L’esponente socialdemocratico eletto presidente il 30 ottobre ha posto il veto ad un’ingente fornitura di munizioni per i Leopard destinati a Kiev chiesta dal governo tedesco. Trattandosi di munizioni da 105mm, adatti ai Leopard 1 in dotazione alle forze armate brasiliane (mentre il più moderno Leopard 2 utilizza colpi da 120mm) evidentemente Scholz intendeva trasferire a Kiev alcune decine di esemplari del vecchio modello, ipotesi accantonata nei giorni seguenti.
Secondo il quotidiano “Folha de Sao Paulo”, a proporre la vendita delle munizioni era stato, il 20 gennaio scorso, l’allora comandante dell’Esercito, generale Julio Cesar de Arruda (in seguito rimosso dal suo incarico per altre vicende) dopo aver avuto contatti con Berlino. D’altronde il Brasile, pur avendo condannato all’Onu l’invasione del 24 febbraio, mantiene una posizione neutrale per motivi economici e geopolitici rifiutandosi, ad esempio, di imporre sanzioni alla Russia.

Anche il Portogallo, che su pressioni americane nei giorni scorsi aveva promesso a Kiev alcuni dei suoi 37 Leopard, ha fatto poi sapere che l’invio è messo fortemente in dubbio «dal pessimo stato di conservazione» dei carri da combattimento in dotazione al suo piccolo esercito.

L’industria bellica USA va a gonfie vele
Le pressioni di Washington su Berlino evidenziano in modo chiaro che gli Stati Uniti stanno approfittando della crisi ucraina, oltre che per rinsaldare il proprio primato militare in Europa, anche per sostenere la produzione e l’esportazione delle proprie armi.
La scelta, ad esempio, di inviare a Kiev degli Abrams ancora da fabbricare invece di quelli già a disposizione (causando un ritardo nella consegna di molti mesi), rivela che la mossa mira a sostenere l’industria nazionale degli armamenti. Gli USA potrebbero anche approfittare del fatto che i loro alleati europei dovranno disfarsi di una parte del proprio stock di Leopard per cercare di piazzare gli Abrams, tentando di scalzare il tradizionale monopolio delle forniture tedesche nel continente.

Del resto, la crisi ucraina ha già provocato un’impennata delle vendite di armi statunitensi nel mondo negli ultimi 12 mesi. Nel 2022 le aziende belliche statunitensi ne hanno vendute per 153,7 miliardi di dollari, rispetto ai 103,4 del 2021. Il boom è del 49%.

L’acquirente principale delle armi a stelle e strisce è sempre la Germania (8,4 miliardi), che a luglio ha ordinato 35 caccia F-35. In graduatoria Berlino è seguita dalla Polonia, che ha speso 6 miliardi, il grosso dei quali per l’acquisto di 250 carri Abrams. Dietro Varsavia ci sono il Regno Unito, la Spagna e la Bulgaria; ad aprile Sofia ha ordinato otto caccia F16 per un valore di 1,7 miliardi. Nella zona dell’Indo-Pacifico, poi, spicca l’Indonesia, che ha comprato tredici F15 per un valore di 14 miliardi.

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Mosca non mostra segnali di crisi
Com’era ampiamente prevedibile, la polarizzazione dello scontro internazionale sta favorendo nettamente gli Stati Uniti, almeno nel fronte occidentale e nell’Indo-Pacifico.
Sul campo, nel frattempo, i russi hanno ripreso l’iniziativa militare anche sul terreno dopo la disordinata ritirata da Kharkiv e Kherson. «Stanno avanzando lentamente, ma progressivamente, nel Donbass, stanno scardinando le difese ucraine sull’asse Siversk a Bakhmut e stanno avanzado a Zaporizhzhia. (…) Hanno accorciato il fronte e ridotto il peso della loro inferiorità numerica facendo affluire volontari e riservisti, che stanno addestrando anche per future operazioni» dice Gaiani.

Anche Eugene Rumer, direttore del programma “Russia ed Eurasia” del think tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace (ex membro del National Intelligence Council durante l’amministrazione Obama), in un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo elDiario, afferma di non vedere alcun segno di arretramento o di cedimento da parte di Mosca. «La determinazione di Putin a continuare questa guerra non è diminuita. A fine dicembre ha avvisato i russi che devono prepararsi ad una lunga guerra, non solo ad una limitata operazione militare» afferma Rumer, secondo il quale l’invio dei tank a Kiev non causerà alcuna svolta sostanziale nello scontro militare.
Il popolo russo, aggiunge, non mostra particolari segni di sofferenza o di scontento: «L’economia russa è in calo, ma solo del 3%, a differenza di quella ucraina che subisce terribili perdite». Inoltre, spiega Rumer, la guerra in Ucraina sta distraendo gli Stati Uniti dalla regione Asia-Pacifico, consumando ingenti risorse statunitensi, il che non può che far piacere alla Cinache nel frattempo, pur non sostenendo direttamente Mosca nello sforzo bellico, ha comunque guadagnato influenza sulla Russia. Per questo Pechino non avrebbe alcuna seria intenzione di convincere Vladimir Putin a fermare le operazioni militari contro Kiev, anche se effettivamente l’accelerazione militare della competizione globale danneggia la Repubblica Popolare. – Pagine Esteri

5162324* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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GERUSALEMME. Sette israeliani uccisi in attacco armato. Morto ragazzo palestinese ferito dalla polizia


L'attentato, nell'insediamento di Neve Yaacov, è stato compiuto da un giovane di Gerusalemme Est in apparente reazione al raid dell'esercito israeliano di giovedì a Jenin in cui sono stati uccisi 10 palestinesi. L'articolo GERUSALEMME. Sette israeliani u

AGGIORNAMENTO ORE 10
Un palestinese di 13 anni ha ferito a colpi d’arma da fuoco due israeliani nei pressi della cosiddetta Città di Davide a Silwan, ai piedi della città vecchia di Gerusalemme, dove ieri è morto un ragazzo palestinese che giovedì era stato ferito dalla polizia.

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della redazione

Pagine Esteri, 28 gennaio 2023 – Sette israeliani sono stati uccisi e numerosi altri feriti ieri sera da raffiche sparate da un palestinese a Neve Yaakov, un insediamento ebraico alla periferia nord di Gerusalemme Est, la parte della città occupata nel 1967. Tre dei feriti sono in condizioni critiche. L’attentatore, Alkam Khairi di Gerusalemme e, pare, senza alcuna affiliazione politica, è stato ucciso a sua volta, mentre tentava la fuga in direzione del vicino quartiere palestinese di Beit Hanina. Secondo le testimonianze, ha esploso colpi con un’arma automatica per circa venti minuti: prima contro alcuni passanti, poi contro le persone che uscivano da una sinagoga e infine qualche decina di metri più avanti contro altri passanti.

Secondo il tg di Canale 12, Khairi ha prima sparato a una donna anziana, poi ha incontrato un motociclista e gli ha sparato, quindi ha raggiunto la sinagoga. Per la polizia invece, l’attentatore è arrivato in macchina intorno alle 20:15 davanti la sinagoga e ha aperto il fuoco. Poi è fuggito verso Beit Hanina, a diverse centinaia di metri di distanza, dove ha incontrato agenti di polizia. Avrebbe aperto ancora il fuoco ed è stato colpito a morte.

Mentre erano in corso le operazioni di soccorso, gruppi di abitanti di Neve Yaakov hanno urlato slogan contro il governo e la polizia che sarebbe giunta in ritardo sul posto. Lo stesso ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, uno dei leader dell’estrema destra, è stato accolto da espressioni di collera al suo ingresso di Neve Yaakov. «Morte agli arabi» hanno scandito i dimostranti in direzione di Ben Gvir. «Ora la responsabilità ricade su di te» hanno aggiunto.

Gli Usa hanno subito condannato l’«orribile attacco terroristico a Gerusalemme» per bocca del portavoce del Dipartimento di stato americano Vedant Patel, precisando che per il momento non sono previsti cambiamenti nel viaggio del Segretario di stato Antony Blinken atteso la prossima settimana in Israele.

Subito dopo la sparatoria un portavoce del movimento islamico ha descritto le uccisioni dei cinque come una «rappresaglia per il raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin di giovedì» in cui nove palestinesi sono stati uccisi e altri 20 feriti. «È stata una operazione eroica, dimostra che si è saldato un fronte unico che include Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza», ha aggiunto da parte sua il Jihad islami.

La giornata era cominciata con Jenin al secondo giorno di lutto per l’incursione dell’esercito israeliano, la più sanguinosa negli ultimi mesi. In centinaia si sono recati a portare le condoglianze alle famiglie dei morti. Lunga la fila davanti all’abitazione di Magda Obeid, la 61enne colpita e uccisa da un proiettile mentre era in casa. Gran parte dei 30 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno erano di Jenin, in buona parte militanti armati ma anche civili, spesso molto giovani. Tra i palestinesi aumentano coloro che dicono di “non avere più nulla da perdere” di fronte all’occupazione militare israeliana. Ieri sera doveva riunirsi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu convocato sul blitz compiuto in Cisgiordania su richiesta degli Emirati, il principale alleato arabo di Israele nel Golfo. Ma a Jenin e nel resto dei Territori occupati nessuno crede più all’intervento della comunità internazionale o alla soluzione a Due Stati. E non genera timori particolari che al potere in Israele ci sia un governo di estrema destra antipalestinese. «Sono tutti uguali quando guardano a noi palestinesi» ripetono un po’ tutti. L’analista Nour Odeh, intervistato da The Media Line, ha spiegato che per i palestinesi «la soluzione a Due Stati (Israele e Palestina, ndr) è una proposta vuota che sta diventando ridicola e farsesca. L’agenda del governo israeliano non solo rifiuta lo Stato palestinese ma nega la stessa esistenza del popolo palestinese».

La tensione sale ovunque in Cisgiordania e non soltanto per la strage di Jenin. Nelle strade di Ram, a nord di Gerusalemme, ieri gruppi di giovani hanno affrontato a più riprese la guardia di frontiera israeliana per protestare contro l’uccisione di un 22enne. Ieri è spirato in ospedale Wadih Abu Ramoz, un adolescente palestinese ferito mercoledì nel quartiere di Silwan a Gerusalemme Est. Ieri al diffondersi della notizia della sua morte gli abitanti di Silwan hanno manifestato contro la polizia. Gli scontri sono andati avanti fino a notte fonda.

Non ha avuto sviluppi l’escalation di giovedì notte lungo le linee tra Gaza e Israele. Sia i razzi lanciati dai palestinesi dopo la strage a Jenin che i bombardamenti dell’aviazione israeliana contro presunti siti di Hamas sono stati intenzionalmente limitati in modo da evitare un conflitto più ampio.

L'articolo GERUSALEMME. Sette israeliani uccisi in attacco armato. Morto ragazzo palestinese ferito dalla polizia proviene da Pagine Esteri.



Il boom di viaggi in Cina e il mercato delle OTA


Il boom di viaggi in Cina e il mercato delle OTA viaggi
In questa puntata parliamo del boom di viaggi sia locali che a lunga distanza e transfrontalieri che si è registrato in Cina durante il Capodanno lunare, come dimostrano i dati messi a disposizione dai portali di viaggi. Ma quali sono le Online Travel Agencies (OTA) più utilizzate dai cittadini della Repubblica popolare?

L'articolo Il boom di viaggi in Cina e il mercato delle OTA proviene da China Files.



Zelensky al Festival di Sanremo: il conformismo di Stato è garantito


Che poi – sì lo so non si comincia così un articolo, anzi non si comincia nulla così, ma, come ricordavo l’altro giorno ‘non mi applico’ -, in margine ad alcune cose di cui ho scritto, ci sarebbero da aggiungere alcune riflessioni, magari un po’ amare, ma destinate a riflettere, su cose di notevole importanza […]

L'articolo Zelensky al Festival di Sanremo: il conformismo di Stato è garantito proviene da L'Indro.



Test 2 from Friendica to Lemmy (simple message) (let's try to stretch the text further, so that it reaches well beyond the limits foreseen for the Lemmy "title" field. This way we make those ugly symbols disappear)
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Test from Friendica to Lemmy (simple message)
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Performance difference between friendica forums and gup groups


@Friendica Support Good evening everyone. To help the mastodon users of my new instance poliversity.it (a spin off for researchers and journalists, born from my instance friendica poliverso.org) I started promoting the use of the Friendica forums, as a way to make up for the lack of topics all inside of mastodon.

I then discovered that a fediverse project already exists, managed by the "immers-space" cooperative, which aims to create real groups (a.gup.pe/) and the mechanism on which it is based it is the same as the Friendica forums (re-share messages addressed to the group address which will be [groupname] + @ a.gup.pe ) .

I confess that I don't like that immers-space centrally manages a service for the entire fediverse, while the possibility that any friendly user can autonomously manage a group/forum seems to me more adherent to the spirit of the fediverse.

However, I have found that gup groups have extremely good performance compared to Friendica, reposting received messages in real time (and on any instance!), while Friendica groups have a much higher latency.

What can be the reason? This is a question related to the higher performance of gup servers compared to those of poliverso.org, or it depends on the design of friendica compared to that of gup (here the github link github.com/immers-space/guppe )


(sorry for my english)

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in reply to Signor Amministratore ⁂

@Signor Amministratore My experience has been somewhat different. The reliability of #guppe does not seem constant to me. Sometimes it dropped out or a post was only shared hours later.
With a #Friendica #forum, on the other hand, I have observed a relatively constant latency of a few seconds to 1-2 minutes.
Perhaps @Μαθθίας/ξ ✔ can contribute something more competent.

In addition, a forum also offers a relatively well-structured presentation, while guppe is just a pure distribution list.

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in reply to caos

@caos

In addition, a forum also offers a relatively well-structured presentation, while guppe is just a pure distribution list.

Yep. A group is basically just another account, so you can set a different theme, a separate interface (color scheme), a background etc.

@Μαθθίας/ξ ✔ @Signor Amministratore

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Casona in Canada


Ricordate il Ceta, l’imminente rovina per l’Italia, il selvaggio attacco alle nostre eccellenze? Se lo avete dimenticato condividete la colpa di chi non ricorda le cretinate e consente che si continui con le cretinerie. Se lo ricordate, godetevi il risult

Ricordate il Ceta, l’imminente rovina per l’Italia, il selvaggio attacco alle nostre eccellenze? Se lo avete dimenticato condividete la colpa di chi non ricorda le cretinate e consente che si continui con le cretinerie. Se lo ricordate, godetevi il risultato: dal 2017, data della firma dell’accordo fra Canada e Unione europea, le esportazioni italiane verso il Canada sono aumentate complessivamente del 36.3%, quelle dell’ortofrutta trasformata dell’80%, del 35% per il lattiero caseario e del 24% per vino e bevande. Alla grande. Il tutto con quell’accordo solo provvisoriamente (dal 2017) in vigore, visto che non lo abbiamo ancora ratificato, timorosi che qualcuno riscateni la buriana ottusa e dannosa per gli interessi nazionali. Sia detto chiaramente: i favorevoli al Ceta e agli scambi internazionali facilitati difendono gli interessi italiani, i contrari li offendono, considerandoli inferiori e perdenti. I risultati parlano da soli, a dispetto delle propagande distruttive e antieuropee.

La Ragione

L'articolo Casona in Canada proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Senza pace


C’è un solo modo per fermare la guerra: chiarire ai russi che non potranno mai vincerla. Anche la comparsata sanremese aiuta, non perché serva a convincere qualche italiano, ma perché dimostrerà ai russi che qui non si molla. Anche per ragioni di convenie

C’è un solo modo per fermare la guerra: chiarire ai russi che non potranno mai vincerla. Anche la comparsata sanremese aiuta, non perché serva a convincere qualche italiano, ma perché dimostrerà ai russi che qui non si molla. Anche per ragioni di convenienza, di cui si deve parlare senza reticenze. Quindi partiamo da noi, dai sondaggi, dagli svarioni con cui raffiguriamo noi stessi. Adesso ci raccontiamo che molti, forse la maggioranza degli italiani sono contrari all’invio di armi all’Ucraina. In Germania poco più della metà favorevoli all’invio dei carri
armati. Ma noi abbiamo votato da poche settimane, a guerra già aperta da mesi, e la grande maggioranza dei voti è stata raccolta da partiti che non solo non nascondevano, ma menavano (giustamente) vanto degli aiuti agli ucraini, anche fornendo armi. Il governo Draghi poté contare sull’aiuto dell’opposizione, come oggi capita al governo Meloni.

Significa che si verifica una preziosa convergenza, in nome degli interessi nazionali. Come è possibile che gli stessi che votarono in questo modo, poi sarebbero orientati in senso opposto? La prima spiegazione è che i sondaggi non sono affatto obiettivi e il modo in cui si seleziona il campione e pongono le domande è decisivo. Se mi chiedono: sei per la pace? Ovvio che rispondo affermativamente. Far tacere le armi? Certamente. Ma non ho detto niente e non mi hai fatto domande sensate. Chiedimi se penso di darla vinta a un invasore come Putin. A parte i sondaggi, che indirizzano più che sondare, c’è la realtà. Si vede a occhio nudo la stanchezza per la guerra. Si colgono subito le controindicazioni della sovraesposizione di Zelensky. E credo che a questa ampia fetta di opinione pubblica vada data un’indicazione chiara: noi vogliamo il negoziato e il cessate il fuoco, vogliamo al più presto tornare alla normalità commerciale ed è proprio per questo, coerentemente con questo che abbiamo inviato, inviamo e invieremo armi agli ucraini.

Le armi sono essenziali per avere la pace, giacché non ci sarà mai pace fin quando Putin non prenderà atto di avere perso. Ma non si può dargli qualche cosa, un pezzo di terra, una provincia, e farla finita? Chiedono i pacifisti non in pace con la storia e la coscienza. No, non si può. Non è che non voglia Zelensky, non lo vogliono gli ucraini e non conviene a noi. Cedere ci farebbe perdere sicurezza, porterebbe la minaccia alle porte di casa e siccome non sarebbe mai accettato da chi è già stato torturato, violentato e massacrato, che lo vivrebbe come un
tradimento, significherebbe pure garantirsi qualche decennio di terrorismo. No, questa è un’alternativa che non ha nulla di pacifico. Putin ha lungamente lavorato aiutando e foraggiando i nazionalisti europei, ribattezzati “sovranisti”. Ora li ha persi, la sua unica sponda in Occidente sono gli antioccidentali travestiti da pacifisti, per questo vanno affrontati a viso aperto, perché fin quando penserà di potere spaccare l’Occidente proverà a resistere sterminando.

La sua sconfitta è già certificata dalla fine del neutralismo, dalla corsa verso la Nato di Paesi prima estranei. Putin ha lui provocato quel che diceva di volere combattere. Ma continuerà fin quando penserà di potere strappare qualche cosa. Chi vuole la pace, quindi, lavori perché gli sia chiaro che non ha alcuna possibilità di vincere il conflitto. Zelensky a Sanremo è una bazzecola di cui fa specie dover parlare, ma indigna
che tanti non si rendano conto della posta: mica deve convincere qualche italiano, fra una canzone e l’altra, anche perché gli italiani hanno votato in massa chi vuole aiutare l’Ucraina, deve far vedere ai russi che non resta loro neutrale manco più il palcoscenico di Sanremo.

Il che porrà a noi il problema, poi, di salvare la Russia dal destino di vassallaggio cinese cui Putin l’ha destinata. Prima si deve conquistare la pace nel solo modo possibile: mostrandogli che ha perso la guerra. I pacifisti del “Zelensky ha stancato” aiutano la guerra a durare più a lungo.

La Ragione

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Il ‘nuovo’ Gruppo Wagner: minacce e risposte


Chi, cosa e dov’è il Gruppo Wagner oggi? Un tempo risorsa del Cremlino utilizzata esclusivamente in Africa e in Siria, il gruppo mercenario ha ridistribuito la maggior parte delle sue forze per l’invasione russa dell’Ucraina. Il Gruppo Wagner è cambiato irrevocabilmente dall’inizio del conflitto, passando da 5.000 veterani esperti a una forza di 50.000 soldati, l’80% […]

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Due anni dopo il colpo di stato la giunta militare reprime ogni dissenso, col sostegno di paesi terzi e all’ombra di interessi economici occulti.


Turchia: sotterfugi in vista delle elezioni


L’apertura delle urne prevista in Turchia per il 18 giugno 2023 combineranno l’elezione di 600 membri della Grande Assemblea Nazionale con l’elezione del Presidente – la sua rielezione, se sarà Recep Tayyip Erdogan, l’attuale presidente della Turchia. Eppure è ben consapevole che la sua posizione all’interno della nazione è tutt’altro che sicura, e lui e […]

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Cina: la debole domanda interna ora minaccia il potenziale di crescita


Le previsioni per la crescita economica della Cina nel 2023 divergono ampiamente. Mentre le organizzazioni internazionali e gli osservatori della Cina all’estero prevedono una crescita del 4% come ragionevole, la maggior parte degli economisti cinesi ritiene che una crescita del 5-6% sia più probabile. Il dibattito ha molto a che fare con le ipotesi sul […]

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Cosa può imparare il Golfo dalla guerra in Ucraina


La guerra in Ucraina ha costretto gli europei a prendere più sul serio la sicurezza e la difesa. Ora sono in atto politiche che sarebbero state impensabili un anno fa. Ad esempio, questa volta l’anno scorso l’acceso dibattito all’interno della NATO era sull’opportunità di inviare all’Ucraina semplici missili anticarro. Ora Germania, Spagna, Polonia, Regno Unito […]

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L’economia italiana cresce più del previsto: una lezione ai catastrofisti


Perché i dati sorprendenti sull’economia italiana (ma va?) ci ricordano che l’ottimista non è altro che un pessimista bene informato Ha detto ieri il Fondo monetario che la crescita italiana, nel 2023, sarà superiore alle ultime previsioni, passando da

Perché i dati sorprendenti sull’economia italiana (ma va?) ci ricordano che l’ottimista non è altro che un pessimista bene informato

Ha detto ieri il Fondo monetario che la crescita italiana, nel 2023, sarà superiore alle ultime previsioni, passando da una stima, di ottobre, pari a meno 0,2 per cento a una stima di oggi pari a più di 0,6 per cento. Ha detto quattro giorni fa Bankitalia che negli ultimi due anni l’Italia ha creato qualcosa come un milione di nuovi posti di lavoro. Ha detto pochi giorni fa l’Istat che il tasso di occupazione in Italia, pari al 60,5 per cento, non è mai stato così elevato, che la crescita delle retribuzioni contrattuali nel 2022 è stata pari a un più 1,1 per cento, che l’aumento dell’export dell’Italia verso i paesi extra Ue, nonostante la guerra, ha registrato una crescita del 20,2 per cento, che la diseguaglianza in Italia, misurata attraverso l’indice Gini, è passata dal 30,4 per cento al 29,6 per cento e che il rischio di povertà è passato dal 18,6 per cento al 16,8 per cento.

Le notizie sorprendentemente positive che da qualche tempo arrivano sulla nostra economia dovrebbero spingere i catastrofisti di professione a porsi alcune domande delicate sulla natura del pessimismo italiano. Lo psicologo canadese Laurence Peter, conosciuto per aver formulato il famoso “principio di incompetenza”‘, sosteneva che l’economista moderno è “un esperto che domani sarà in grado di spiegare perché le cose che ha predetto ieri non sono accadute oggi”. E probabilmente Laurence Peter oggi non si troverebbe a disagio nel passare in rassegna i molti profeti di sventura che negli ultimi sette mesi, prevedendo recessioni inevitabili, razionamenti ineluttabili, scontri sociali inesorabili, disoccupazioni fulminanti, hanno sottovalutato la capacità dell’Italia di prendersi cura di se stessa anche nei momenti di difficoltà. Su questo giornale sono mesi che invitiamo i lettori a non lasciarsi coinvolgere dalla narrazione catastrofista e a dedicare all’Italia reale, quella che vive nei numeri e non nelle previsioni, un’attenzione non inferiore a quella che di solito viene dedicata alla decodificazione di un’Italia percepita.

Le buone notizie, lo sappiamo, faticano a trovare spesso spazio sui grandi giornali perché molti quotidiani considerano un fatto “notiziabile” solo quando esso risponde alle cattive aspettative alimentate. E d’altronde non potrebbe che essere così: se si dedica tanta energia a costruire una domanda così forte di notizie drammatiche, offrire notizie che vanno in una direzione diversa rischia di disorientare i lettori e di mettere a rischio un’industria, come quella del catastrofismo, che da anni ormai, tra pubblicazioni, sceneggiati e casi editoriali, produce un fatturato comunque degno di nota. Quello che spesso però non viene compreso è che un giornalista che asseconda, senza farsi domande, un racconto aprioristicamente negativo dell’Italia non è un giornalista che compie in modo impeccabile il suo “scomodo” mestiere di watchdog, ma è viceversa un giornalista che sceglie di alimentare in modo scientifico e acritico una retorica che ha a sua volta delle conseguenze. anche dal punto di vista economico.

A metà gennaio, tanto per dirne una, l’Istat ha registrato un dato significativo e apparentemente contraddittorio. Da un lato, una diminuzione del clima di fiducia dei consumatori (da 102,5 a 100,9). Dall’altro un aumento del clima di fiducia delle imprese (da 107,9 a 109,1). L’Istat ha spiegato che il ripiegamento della fiducia dei consumatori non è dovuto solo al caro prezzi – anch’esso, benzina a parte, in via di miglioramento – ma è dovuto a un’evoluzione negativa delle opinioni relative alla propria situazione e a quella del paese. La valorizzazione dell’Italia percepita su quella reale ha un suo impatto questo sì recessivo e oggi forse persino Oscar Wilde avrebbe buone ragioni per correggere la sua definizione di pessimista. Wilde sosteneva che il pessimista non è nient’altro che un ottimista ben informato. I fatti di questi mesi ci dicono in modo inequivocabile che l’ottimista non è altro che un pessimista bene informato. Viva l’ottimismo.

Il Foglio

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La guerra cyber della Russia contro l’Ucraina offre lezioni preziose per l’Occidente


L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin si sta rapidamente avvicinando al traguardo di un anno, ma in realtà l’attacco iniziò più di un mese prima che colonne di carri armati russi si riversassero attraverso il confine il 24 febbraio 2022. A metà gennaio, la Russia lanciò un massiccio attacco informatico che […]

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