Sarà natale
Lasciamo perdere il colore politico e facciamo finta che se ne parli non solo seriamente, ma anche concretamente. È un gran bene che si voglia incentivare la partecipazione femminile al lavoro, oggi molto bassa, assai sotto la media europea e contribuente a metterci in fondo alla coda in quanto a partecipazione complessiva. Ed è un gran bene volere incentivare la natalità. Ma “incentivare” non significa nulla. Come?
La prima cosa è osservare l’accoppiata e capirne la natura: in un colpo solo lavoriamo meno, abbiamo meno donne occupate e facciamo meno figli. Non solo, quindi, non è il lavoro a distrarre o allontanare dalla filiazione, ma si fanno più figli in Paesi europei dove si lavora di più e più donne sono al lavoro. Quindi buttiamo dalla finestra qualche luogo comune che acceca troppi militanti del partito preso. E guardiamo altre esperienze: la Germania aveva un mercato del lavoro simile al nostro, con scarsezza di donne impegnate e scarsezza complessiva di lavoratori, ed hanno affrontato il problema varando forme contrattuali estremamente elastiche (anche con i “mini-lavori”) e aumentando l’immissione di immigrati. Risultato: dopo anni si ritrovano con più lavoratrici e meno scarsezza (che permane) di manodopera, nonché ad alzare il salario minimo. È chiaro, dalle parti del governo? Non è: o le donne o gli immigrati, ma le donne e gli immigrati. I dati tedeschi sono a disposizione di chi voglia occuparsene senza andare avanti a mosca cieca.
Poi c’è il versante non contrattuale, ma relativo ai servizi. I figli non si deve solo farli nascere (che è facile), ma anche crescerli (che è più lungo e complicato). Asili, scuole, tempo pieno, mense, sport, trasporti. Tutti capitoli del Pnrr. Però gli asili sono già pericolanti, con i comuni in grave difficoltà progettuale e amministrativa. Per incentivare la natalità si devono risolvere quei problemi, non far decollare le cicogne o irrigare i cavoli. Al momento ricordo che: a. per il ministro Fitto è tutto in ordine e in tempo (voglia il cielo); b. per il ministro Zangrillo le proposte di modifica del Pnrr arrivano a fine mese, ma con calma; c. per la Lega si dovrebbero prendere meno soldi; d. intanto il governo ne chiede di più sul lato Repower Eu. Più continua questo frullato, meno si pensa il futuro sia tranquillo e meno ci si dispone a ripopolarlo.
Sul lato opposto dell’arco vitale ci sono gli anziani, che crescono di numero e richiedono servizi e disponibilità sanitarie. Il che, anche in questo caso, rientra nei piani Pnrr, ma chiede anche più immigrati. Chi se ne chieda il perché faccia un salto nelle apposite residenze o guardi la composizione del mondo degli infermieri. Senza quei servizi qualcuno resta di guardia all’anziano, che sarà fonte di reddito grazie alla pensione (che i nipoti non avranno), ma farà preferire una rendita alla produzione. E porta male.
Pare il ministro dell’economia s’appresti a proporre fiscalità per la natalità. Interessante. Leggeremo con attenzione. Osserviamo che: 1. i bonus non risolvono neanche uno dei problemi indicati e partono dal presupposto indimostrato che non si facciano figli per mancanza di soldi.
2. se (come si legge) si dovesse sgravare dalle tasse chi fa figli, supponendo si stia parlando dell’Irpef, questa sarebbe una misura a favore dei “ricchi” (secondo il fisco), perché i poveri, grande maggioranza contabile, già non pagano Irpef. Sarebbe una strana misura.
Il tutto tenendo presente che, salvo colpi di scena, la genitorialità è una libera scelta insindacabile, che si può esercitare grazie al progresso e che ha senso solo con la ricchezza (i poveri veri figliano pure troppo). Escludendo che per far fare figli ci si voglia impoverire, ne discende che l’incentivazione consiste nel liberare dalle costrizioni successive al natale, lasciandone intatta la magia. Non servono predicozzi, ma spinta alla crescita e ragionevole positività guardando il futuro. Il resto è colore. Ma molto sbiadito e noiosamente ripetitivo nella sua inutilità.
L'articolo Sarà natale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
L’importanza del soldato e investimenti Ue. Il punto sulla Difesa all’evento con Serino
A oltre un anno dall’inizio dell’invasione russa di Kiev, è giunto il momento di fare una riflessione accurata delle capacità necessarie alla Difesa per affrontare le sfide del prossimo futuro, e in particolare quelle della componente terrestre, che ha visto un ritorno della centralità strategica sui cambi di battaglia ucraini. È quanto sottolineato dal capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, nel corso dell’evento “Difesa terrestre. Un piano europeo tra investimenti e competitività”, organizzato da Formiche e Airpress a Spazio Europa, promosso da FDA Beretta e con la partnership della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Un momento di riflessione sulla dimensione terrestre che ha visto il generale Serino confrontarsi con Carlo Ferlito, direttore generale di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta; Andrea Margelletti, presidente Centro studi internazionali (Cesi); con le conclusioni di Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario alla Difesa, e la moderazione di Flavia Giacobbe, direttore delle riviste Formiche e Airpress.
Parola d’ordine: equilibrio
“La parola che voglio valorizzare è equilibrio” ha detto ancora il capo di Stato maggiore dell’Esercito. Un equilibrio che deve caratterizzare “lo strumento militare nazionale nella sua interezza, e quello terrestre nello specifico, che deve essere equilibrato e deve considerare tutte le condizioni di impiego, nessuna meno dell’altra”. Secondo il generale, in passato si è data priorità ad alcune caratteristiche a scapito di altre, ma i moderni scenari aperti dalla guerra in Ucraina impongono un ripensamento del trend. Oggi “il focus deve essere su tutto lo spettro di missioni affidate all’Esercito, i cui nuovi compiti non si sono sostituiti ai precedente, si sono aggiunti”. Il generale ha infatti ricordato i numerosi impegni della Forza armata, sia sul territorio nazionale, sia all’estero, dal Nord Africa al Medio Oriente e ai Balcani, dove tra l’altro l’Italia esprime anche ruoli di comando come in Iraq e in Kosovo. Certamente la guerra in Ucraina ha dimostrato la necessità della componente pesante, ha confermato Serino, tuttavia questo deve essere solo uno degli assi di potenziamento della Forza armata, senza abbandonare quanto raggiunto finora e che continua ad essere necessario. Dal punto di vista europeo, “l’Ue deve capire se vuole e crede in una capacità militare comune, e questo richiederà una seconda rinuncia di sovranità, dopo quella monetaria: quella tecnologica”. Se continuerà la competizione tra nazioni, con ciascuna impegnata “a portare avanti il suo piccolo elemento, scopriremo domani che lavorare tutti insieme sarà più difficile”.
Il sistema-soldato
“Quando si parla di sistemi terrestri si pensa al carro armato e all’artiglieria pesante, non si pensa al soldato”, ha detto Carlo Ferlito, ricordando come invece ci sia bisogno di considerare l’uomo come “sistema, inserito in un insieme di sistemi complessi che operano nello scenario multidominio”. In questo campo il nostro Paese è all’avanguardia, grazie “al lavoro svolto con il progetto Soldato futuro, trasformato poi in Forza Nec, che ha creato la visione del soldato come sistema”. In Italia oggi è attivo una configurazione del militare portata avanti dal consorzio per Soldato sicuro, “che si occupa di mettere assieme le capacità dell’industria per fornire tutto l’equipaggiamento del soldato”. All’intero di questo consorzio (gestito al 38% da Beretta e al 68% da Leonardo) è coordinata l’intera filiera italiana che si occupa delle forniture per l’equipaggiamento del soldato, non solo le armi, ma anche “la suite per l’abbigliamento, visori notturni e diurni, munizioni”. Questa eccellenza italiana, tra l’latro, potrebbe essere portata anche a livello europeo, dove l’importante sarà anche poter contare “su una filiera europea sicura”. Per fare ciò, indispensabile per l’industria è poter contare “su programmi di lunga durata, necessari per costruire investimenti e fare innovazione”.
Le lezioni ucraine
Per Andrea Margelletti, “questo conflitto ha posto degli interrogativi, e dobbiamo domandarci se stiamo andando nella giusta direzione alla luce di un mondo completamente diverso”. L’Ucraina ha cambiato lo scenario di sicurezza globale, per il quale sarà necessario affrontare le necessità e potenziare le capacità di agire della Difesa. “Dobbiamo immaginare reparti nuovi per un mondo nuovo, assicurandoci che quello che sappiamo fare sia anche quello che dobbiamo fare”. Fondamentale sarà anche il ruolo dell’Europa, e “di una governance europea”, necessaria “se vogliamo avere un Difesa europea”, e soprattutto di una sincronizzazione delle industrie del Vecchio continente.
Investimenti europei
Il contesto terrestre rappresenta un elemento importante della Difesa, soprattutto nel suo necessario approccio alle operazioni multi-dominio, ha ricordato Matteo Perego di Cremnago nelle sue conclusioni, sottolineando come “non può esistere la Difesa associata ad un singolo elemento/dimensione, soprattutto oggi che le minacce ibride e convenzionali sono multi dominio”. Per questo è necessario “assicurare gli investimenti per dotare le forze armate delle capacità per operare nel futuro contesto interconnesso”. Tutto questo “ebbe ispirare l’elaborazione e l’attuazione di un piano europeo di investimenti”, seguendo in particolare gli indirizzi e le decisioni raccolte dalla Bussola strategica del 2022, dandole piena attuazione. “L’Ue deve prepararsi al meglio alle sfide emergenti – ha continuato Perego – provvedendo a proteggersi dalle minacce ibride, rafforzando la dimensione di sicurezza e difesa, accrescendo la mobilita militare nel Vecchio continente e dando seguito agli investimenti racchiusi nella Bussola”. Questo potrebbe rappresentare anche per l’Italia una grande possibilità, grazie alle sue “risorse intellettive e creative con le sue aziende per la Difesa comprese le Pmi”, affinché sia un processo “vincente e stimolante per il bene non solo della Difesa e sicurezza nazionale ma anche per l’economia del Paese”.
Accollati
A forza di dire che si mette il costo dei consumi odierni e del debito pubblico sulle spalle dei figli non ci si è accorti che i figli siamo noi. La nostra spesa per pagare gli interessi sul debito pubblico non è solo la più alta d’Europa, in rapporto al prodotto interno lordo, ma è più del doppio della media. Significa che, mediamente, ciascun italiano di oggi, non i nostri figli, ha 1012 euro in meno in tasca l’anno, rispetto a un tedesco; 733 in meno rispetto a uno spagnolo; anche se solo 153 meno di un francese (e si spera sia chiaro con chi abbiamo interessi in comune, rispetto alla riscrittura del patto di stabilità).
Che i tassi d’interesse sarebbero saliti era scontato, ma quelli europei sono ancora sotto i praticati in Usa o Uk. Inoltre abbiamo a disposizione la linea di credito europea Ngeu, che costa meno degli attuali valori di mercato, e una quota a fondo perduto. Abbiamo gli strumenti, quindi, per fare la sola cosa sensata: puntare a far crescere la ricchezza nazionale più velocemente del costo del debito, in modo da riassorbirlo gradualmente. Ed è qui che arriva lo stupefacente e si sente sostenere lo sconcertante.
Si sente dire: sapete che c’è? I fondi europei costano sì meno del debito preso sul mercato, ma tocca lavorarci e investirli, perché non ci rinunciamo? Poi tocca anche fare le riforme, ma perché non si fanno gli affari loro? Tanto s’è trovata la formula magica: saranno gli immigrati a pagare tutto. Dopo anni passati a parlare di muri e chiusure, accadono due cose: il governo di destra conferma quel che si trova scritto, da lustri, in tutti i Documenti di economia e finanza, ovvero che i conti pubblici si tengono in equilibrio solo se si mettono molti più immigrati al lavoro (170mila, ogni anno, tutti gli anni); poi arriva il presidente dell’Inps a sostenere che saranno gli immigrati a pagarci le pensioni. Entusiasmo avvincente, ma non ci hanno capito niente.
Tridico, Inps, è il più sincero. Non crede, gli chiedono, che il reddito di cittadinanza, da lei sostenuto, sia fallito? No, risponde, è solo mancato il contorno: gli uffici del lavoro, le politiche di formazione e quelle attive del lavoro. Ha ragione, ha funzionato solo il dare (buttare) quattrini, presi a prestito. Che come fallimento non è neanche normale, ma una bancarotta materiale e morale. E questa è l’Italia che ora dice: facciamo pagare gli immigrati. Non sia mai che le pensioni le facciamo pagare agli evasori fiscali e previdenziali, quelli condoniamoli.
Il prof. Luca Ricolfi, che potete leggere qui a fianco, aveva elaborato un concetto avvincente: la società signorile di massa. Ovvero una società in cui tutti si è signori, scaricando i lavori pesanti o sgradevoli sugli immigrati, pagandoli poco. Ora pure debito e pensioni. Come dire: entrate senza fare rumore, non sporcate, non disturbate e pagate. Temo che si sia al passo successivo, rispetto a quanto descritto da Ricolfi, siamo alla: nobiltà decadente di massa. I soli a viaggiare, conoscere il mondo, spendere molto e non produrre un accidente, vendendo prima le terre e poi il diroccato maniero avito.
Ben triste la nostra sorte se vivessimo per accollarci ad altri. La nostra vocazione deve essere quella che si vede al salone del mobile e nelle esportazioni: innovazione, coraggio, inventiva. Ma per riuscirci serve studio, lavoro, passione e fatica. Fatica. Accollati si diventa subordinati. Se un briciolo d’orgoglio c’è ancora nella politica capiscano tutti, a destra e sinistra, che l’Italia ha bisogno d’essere scossa non consolata, spronata non assistita, alleggerita non gravata. La società della rendita, basata sul debito, rende schiavi. Oggi, non in un futuro indefinito. Pensare di evitarlo schiavizzando altri non è neanche inaccettabile, è proprio da scemi.
L’Italia che pedala non fa distinzioni fra indigeni o immigrati, nei diritti e nei doveri, sa che il lavoratore va rispettato e il mantenuto scaricato. Oltre che civile, quell’Italia, è consapevole del proprio interesse.
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Israele rafforza i legami con l’Azerbaigian in vista di una guerra con l’Iran
di Michele Giorgio
(nella foto di archivio il premier israeliano Benyamin Netanyahu con il presidente azero Ilham Aliyev)
Pagine Esteri, 20 aprile 2023 – A Baku per rafforzare i rapporti già stretti con l’Azerbaigian, quindi ad Ashgabat per inaugurare l’ambasciata israeliana in Turkmenistan ad appena 20 chilometri dal confine con l’Iran. È stato, tra martedì e oggi, un inizio settimana intenso per Eli Cohen con il quale il ministro degli esteri israeliano ha provato a compensare in Asia centrale le battute di arresto subite dagli Accordi di Abramo nelle ultime settimane. L’Arabia saudita, candidata nelle speranze del governo di estrema destra guidato da Benyamin Netanyahu, ad aderire alla normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi e Stato ebraico, si sta riconciliando con l’Iran nemico di Israele e a inizio settimana ha ricevuto a Riyadh i leader del movimento islamico Hamas. Il trattato di pace con il Sudan, precipitato in violenti scontri tra i militari golpisti, appare più lontano rispetto alle tappe che proprio Cohen aveva fissato a Khartoum appena qualche settimana fa.
Cohen ieri ha dichiarato che è sul tavolo una sua visita a Riyadh anche se la data non è stata fissata. A diversi analisti le sue parole sono apparse un modo per parare i colpi e fare pressioni sulla monarchia Saud.
A Baku invece le cose vanno sempre meglio per Israele e i suoi piani strategici militari ed economici. Della delegazione al seguito di Cohen hanno fatto parte anche una trentina di imprenditori. Una presenza che dichiara l’intenzione israeliana di aumentare oltre alla vendita di armi all’Azerbaigian – si devono anche alle forniture di droni killer i successi militari di Baku a danno degli armeni nella regione contesa del Nagorno-Karabakh – anche gli scambi commerciali che si aggirano al momento intorno ai 200 milioni di dollari all’anno. Gli azeri inoltre coprono il 30% del fabbisogno israeliano di petrolio.
Cohen a Baku ha incontrato il presidente Ilham Aliyev e diversi ministri, due settimane dopo l’inaugurazione dell’ambasciata azera a Tel Aviv, la prima in Israele di un paese a maggioranza sciita. I media israeliani hanno dato parecchio spazio al viaggio del ministro degli esteri a Baku descrivendolo come una risposta alla «crescente influenza dell’Iran nella regione». «Israele e Azerbaigian stanno rafforzando la loro alleanza politica e di sicurezza» si legge in un comunicato diffuso da Cohen, «ho incontrato il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e abbiamo parlato delle sfide strategiche che condividiamo, in primo luogo la sicurezza regionale e la lotta al terrorismo». Quindi il ministro israeliano è andato al punto centrale. L’Azerbaigian, ha detto, «gode di una posizione strategica nel Caucaso meridionale».
Più volte si è parlato dell’Azerbaigian, che mantiene rapporti tesi con Teheran, come di una possibile base per un attacco israeliano alle centrali atomiche iraniane. Baku ha smentito, anche di recente, questa opzione. Tuttavia la distanza e la necessaria violazione dello spazio aereo di alcuni paesi, rendono complesso un raid di cacciabombardieri da Israele fino all’Iran. Problemi che si risolverebbero se gli aerei da combattimento dovessero decollare dall’Azerbaigian. In quel caso Aliyev sa che il suo paese subirebbe la rappresaglia dell’Iran. Al momento, e su questo non ci sono dubbi, Israele mantiene una forte presenza di intelligence a Baku e Tehran ha irrigidito ulteriormente la sua linea nei confronti dell’Azerbaigian. I due paesi hanno avuto colloqui di recente per allentare la tensione ma i rapporti restano difficili.
Cohen ieri è andato in Turkmenistan, direttamente dall’Azerbaigian, diventando il primo rappresentante del governo israeliano a visitare lo Stato dell’Asia centrale in quasi 30 anni. L’ultimo ministro israeliano a recarsi ad Ashgabat era stato Shimon Peres nel 1994, tre anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Pagine Esteri
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Le norme Covid usate per la repressione: studentessa condannata per una protesta | L'Indipendente
"La manifestazione si era svolta nell’ambito di una giornata nazionale di proteste a seguito della morte di Lorenzo Parelli, lo studente deceduto nel corso delle attività di alternanza scuola-lavoro, alla quale avevano aderito centinaia di migliaia di studenti. [...] La decisione di punire una sola persona nell’ambito di una manifestazione altamente partecipata spoliticizza il significato della protesta, riducendone la portata alla semplice responsabilità personale di un individuo o due."
Spose bambine. In Sud Asia la metà di quelle del mondo intero
La pandemia di Covid-19 e la crisi economica hanno di gran lunga peggiorato la situazione delle giovani donne nei paesi del Sud Asia.
Le ultime stime rilasciate mercoledì dall’UNICEF hanno rivelato che i matrimoni precoci sono aumentati nella regione, arrivando a raggiungere il 45% del totale mondiale.
Un dato impressionante che ci racconta di 290 milioni di bambine costrette a diventare mogli per povertà e per mancanza di alternative. La chiusura delle scuole a causa del Covid-19 ha peggiorato una situazione già tragica, alla quale si è aggiunta la crisi. Non esiste futuro per le ragazze, che vengono dunque percepite solo come un peso economico per le famiglie che hanno difficoltà a sopravvivere.
In questa situazione il matrimonio combinato è spesso visto come unica soluzione possibile al problema. L’UNICEF ha lanciato l’allarme, chiedendo alle istituzioni di intervenire per mettere un freno alla pratica.
“Il fatto che in Asia meridionale si registri il più alto numero al mondo di matrimoni infantili è a dir poco tragico”, ha dichiarato Noala Skinner, direttrice regionale dell’UNICEF per l’Asia meridionale. “Il matrimonio infantile blocca il percorso di apprendimento delle ragazze, mette a rischio la loro salute e il loro benessere e compromette il loro futuro”.
I matrimoni infantili riguardano sia i maschi che le femmine ma queste ultime, in confronto, sono coinvolte in numero largamente maggiore. In Sud Asia quasi la metà (il 45%) delle ragazze tra i 20 e i 24 anni sono state costrette a sposarsi prima dei 18 anni. Una su cinque prima dei 15 anni.
L’UNICEF ritiene indispensabile una discussione sul fenomeno che permetta di mettere in campo reti di protezione sociale per contrastare la povertà. L’istruzione deve essere garantita e accessibile per tutti i bambini e le bambine. Le norme legali e l’educazione sessuale, inoltre, devono garantire il processo di cambiamento nel sud dell’Asia. Pagine Esteri
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"Questo sarà il primo di tanti altri”: dieci anni dallo sciopero dei portuali di Hong Kong
Solidarietà e resistenza: sono passati dieci anni dallo sciopero che nel 2013 ha visto il coinvolgimento di circa 500 lavoratori portuali del Kwai Chung Containers Terminals di Hong Kong. Un momento rilevante per il movimento sindacale non solo della città, ma del movimento operaio internazionale: i manifestanti hanno resistito 40 giorni, supportati da attivisti e cittadini. Gig-ology è una rubrica sul mondo del lavoro asiatico.
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In Cina e Asia – Proteste dei fogli bianchi: liberate tre manifestanti
Proteste dei fogli bianchi: liberate tre manifestanti
L'Ue chiede rilascio di due attivisti
La Cina ha sviluppato droni supersonici per la sorveglianza
La Russia preoccupata dall'eccesiva dipendenza tecnologica dalla Cina
Onu: l'India sta per superare la Cina come paese più popoloso al mondo
Yoon Suk-yeol: "Taiwan questione globale". E apre agli aiuti militari all'Ucraina
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Proseguono gli incontri con L'Ora di Costituzione! Il tema della terza lezione è sui Rapporti etico-sociali (dall’art.29 all’art. 47).
Seguite qui la diretta streaming dalle ore 10.30 ▶️ youtube.
Ministero dell'Istruzione
Proseguono gli incontri con L'Ora di Costituzione! Il tema della terza lezione è sui Rapporti etico-sociali (dall’art.29 all’art. 47). Seguite qui la diretta streaming dalle ore 10.30 ▶️ https://www.youtube.Telegram
LIBRI. “Poesia araba moderna e contemporanea”: un nuovo studio italiano di Simone Sibilio
di Patrizia Zanelli*
(nella foto i poeti Samih Qasim, Fadwa Tuqan e Mahmoud Darwish)
Pagine Esteri, 20 aprile 2023 – Raccontare la modernità importata dall’Occidente è il fulcro della componente letteraria di un vasto movimento di modernizzazione culturale, definito di solito Nahḍa, “Rinascita” o “Rinascimento”, che emerge nel mondo arabo – a partire dall’area siro-libanese e dall’Egitto – nella seconda metà dell’Ottocento e continua a svilupparsi nel Novecento sostanzialmente fino agli anni ’40, ma come progetto volto alla liberazione dalle tradizioni oscurantiste locali e dalla dipendenza da forze esterne non si esaurisce del tutto, tant’è che rimane un punto di riferimento per le voci progressiste e libertarie arabe dell’attuale era digitale globale.
Ne parla Simone Sibilio in Poesia araba moderna e contemporanea (Ipocan, 2022), mettendo a frutto oltre vent’anni di studi appassionati nella materia indicata nel titolo stesso del libro, il primo del genere pubblicato in Italia. È una novità editoriale interessante sotto più aspetti: è al momento l’unica monografia italiana che tratti in maniera così approfondita un argomento di per sé articolato; ha a che fare con una ricca produzione poetica e le dinamiche culturali della contemporaneità di una regione del mondo variegata, culla e crocevia di civiltà. L’importanza di questa storia millenaria emerge dall’inizio alla fine del libro, che non è un’opera meramente compilativa; è innovativa, analitica e risponde alle esigenze odierne della transculturalità.
Professore di lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia, traduttore e poeta, Sibilio introduce subito un dato fondamentale: “La poesia araba, marca identitaria tradizionalmente percepita come ‘archivio’ storico di un popolo (dīwān al-‘arab), si conferma in epoca moderna non solo come espressione artistica portatrice di nuovi valori e modi espressivi, ma come pratica discorsiva dal profondo impatto sociale e politico”. Nel
Simone Sibilio
volume, l’accademico analizza e scoglie la complessità di fenomeni culturali derivati dall’incontro/scontro con l’Occidente, anzitutto con l’Europa colonialista, avvenuto sin dagli inizi dell’Ottocento nel mondo arabo, fungendo parallelamente da acceleratore delle spinte innovatrici locali preesistenti e da generatore di una continua tensione tra la tradizione autoctona e una modernità importata, sulla scia delle guerre di conquista compiute dalla Francia e dall’Inghilterra. È all’interno di quest’interazione articolata con la cultura occidentale che si delinea la Nahḍa. In quel contesto, ricorda Sibilio, compaiono due tendenze contrapposte e parallele: la rivivificazione del patrimonio letterario arabo oppure l’assimilazione di modelli europei, che però in diversi casi vengono arabizzati, sicché nascono testi culturalmente ibridi e, perciò, originali.
Il volume è suddiviso in due sezioni distinte. Nella prima, Sibilio evidenzia la centralità del ‘discorso sulla modernità’ nella poesia araba del Novecento, presentando e chiarendo i termini dei dibattiti avvenuti al riguardo nel corso dell’intero secolo. Cosa non facile, lo studioso cerca di tracciare una linea di demarcazione tra ‘moderno’ e ‘contemporaneo’, nonché tra Modernismo e Postmodernismo. A cavallo tra il XIX e il XX secolo appaiono le prime manifestazioni pratiche e teoriche dell’esigenza di “rivoluzionare la visione della poesia e il linguaggio poetico, ma non gli schemi compositivi ancorati saldamente alla tradizione”. Sibilio descrive a grandi linee lo sviluppo dei maggiori movimenti affermatisi nella prima metà del Novecento: Neoclassicismo, Romanticismo e Simbolismo. I poemi neoclassici, spiega lo studioso, trasmettono patriottismo, esaltano l’arabicità ed evocano un passato glorioso, “come agente correttivo del presente, in funzione della lotta anticolonialista”, ma, per quanto abbiano aspetti innovativi e siano evocativi di immagini suggestive – per esempio, dell’Egitto, con la valle del Nilo e le maestose antichità faraoniche, e dell’Iraq, con il Tigri e la splendida Bagdad abbaside dell’epoca d’oro -, risultano inadatti a esprimere la nuova sensibilità intellettuale di un periodo di profonde trasformazioni.
Ahmad Shawqi
Un contributo importante per l’innovazione della poesia, ricorda Sibilio, viene dalla letteratura di emigrazione (Adab al-Mahǧar), inaugurata da autori emigrati negli Stati Uniti, come i libanesi Amin al-Rihani (1876-1940) – pioniere ispirato da voci anglofone, e specialmente da Walt Whitman (1819-1892) -, il celebre Gibran Khalil Gibran (1883-1931), la cui opera rinvia a William Blake (1757-1827), a Friedrich Nietzsche (1844-1900), al Sufismo e alla spiritualità orientale, e Mikhail Nu‘ayma (1889-1988), irrequieto poeta intimista noto in Occidente con lo pseudonimo Naimy, che influenzeranno le correnti romantiche egiziane e levantine orientate al ribaltamento dei canoni estetici basati sull’imitazione dei modelli classici. Culla di questo movimento sarà l’Egitto, dove viene recepita soprattutto l’influenza del Romanticismo inglese. Al Cairo, allora capitale della Nahḍa, nasce il Gruppo Apollo, che introduce novità interessanti e riesce a influenzare perfino i principali esponenti del Neoclassicismo egiziano, come gli iconici Ahmad Shawqi (1869-1932) e Hafiz Ibrahim (1971-1932). Sempre negli anni ’30, nota Sibilio, cominciano ad affiorare in Libano e in Siria nuove tendenze tematiche e di ricerca estetica. Nascono due correnti minori di matrice francese: il Simbolismo e il Surrealismo, che talvolta si intreccia con il Sufismo e si svilupperà maggiormente più tardi. In questo periodo, si hanno comunque già casi di commistione di elementi romantici, simbolisti e surrealisti in un’unica opera.
Nazik Malaika
Sibilio si sofferma poi sulla transizione dalla poesia moderna a quella contemporanea. La voce più pionieristica di questa fase è la poetessa irachena Nazik al-Mala’ika (1923-2007), che adotta il verso libero nel poema “Il colera” (1947) – ispirato alla diffusione dell’epidemia in Egitto quell’anno -, nonché in nove componimenti della raccolta “Schegge e cenere” (1949). Convinta della necessità di abbandonare vecchi modelli, per esprimere un nuovo impulso lirico, contribuisce anche come teorica e docente universitaria a diffondere questa novità, già adottata da due dei suoi connazionali: Badr Shakir al-Sayyab (1926-1964), in “Era amore?” (1946), e Buland al-Haydari (1926-1996), in “Battito dell’argilla”, uscito sempre nel ‘46. Sibilio nota che, tuttavia, alcuni critici considerano “Plutoland e altre poesie” (1947) dell’egiziano Louis Awad (1915-1990), come il primo vero esperimento di verso libero, nonché di liberazione da schemi tradizionali e di ricorso audace al dialetto. Il passo successivo di questa fase di transizione è quello della rivoluzione teorico-pratica promossa dal movimento modernista, emerso negli anni ’50 principalmente a Bagdad e a Beirut, che porterà all’ingresso sulla scena letteraria araba della poesia in prosa.
È di fatto all’inizio dell’era post-coloniale che si ha il passaggio alla poetica della contemporaneità. Come spiega Sibilio, gli anni ’50 costituiscono un momento pieno di novità per la poesia. In quel decennio, il mondo arabo è pervaso da un senso di incertezza e delusione, scaturito dalle ripercussioni della II Guerra Mondiale, dal susseguirsi di cambi di governo, senza soluzione di continuità dell’instabilità politica, in paesi appena divenuti indipendenti, “e soprattutto dall’impatto devastante della catastrofe (Nakba) abbattutasi sul popolo palestinese, in seguito alla fondazione di Israele (1948)”, e il conseguente scompiglio degli assetti geopolitici della regione. Quest’ultimo evento catastrofico, sottolinea Sibilio, sarà in effetti un “catalizzatore del cambiamento”, il principale fattore scatenante di una nuova visione della scrittura creativa che dovrà esprimere passo per passo le istanze del tempo e fungere da mezzo efficace di trasformazione socio-politica. In generale viene inoltre indagato e messo in discussione il rapporto tra l’intellettuale e il potere. Per quanto riguarda la poesia, insieme al Modernismo, espresso da Ezra Pound (1885-1972) e da T.S. Eliot (1888-1965), si diffonderanno la letteratura impegnata di matrice sartriana, l’Esistenzialismo, il Realismo sociale o socialista, il misticismo e infine i tratti della poetica postmoderna.
Adonis
Sempre negli anni ‘50, ricorda Sibilio, emerge una delle figure più straordinarie del panorama culturale arabo e destinata a raggiungere la fama internazionale: il poeta modernista siriano Ali Ahmad Said Isbir (n. 1930), noto con lo pseudonimo Adonis, importante tanto per la sua opera quanto per il suo apporto teorico nei dibattiti sul concetto di modernità. La considera come “una costante, un processo in moto che resiste alla staticità, alla fissità dell’ordine temporale”. Sia Adonis che il poeta modernista marocchino Muhammad Bennis (n. 1948) rivedono il concetto di modernità “nella sua valenza storica e lo attribuiscono a diverse esperienze e pratiche testuali di varie epoche”. La cultura araba classica aveva sin dagli albori già visto tentativi di innovazione estetica, rintracciabili nei poemi di poeti considerati moderni, in epoca omayyade, e innovatori, in epoca abbaside. È quest’ultima, secondo Adonis, “da recuperare per la riscoperta di sé”.
Mahmoud Darwish
Altro poeta modernista di fama mondiale a emergere a fine anni ‘50 è Mahmud Darwish (1941-2008), autentico simbolo della Palestina, ambasciatore internazionale delle rivendicazioni politiche del suo popolo, ma soprattutto un grande artista esploratore dell’universo umano. Sibilio evidenzia infatti i limiti e l’obsolescenza di alcune definizioni tuttora impiegate per indicare specifici movimenti o tendenze, collegabili ad auto-attribuzioni o a traiettorie ed esperienze, che talvolta esulano dall’ambito meramente letterario, come, per esempio: ‘poesia della resistenza’, riferita proprio alla vicenda palestinese; il cosiddetto indirizzo ‘mistico-cosmico’ diffuso in Tunisia negli anni ’80; il concetto di ‘avanguardia’, usato in contesti diversi da parte di gruppi che rifiutano canoni e modelli espressivi tradizionali. Importante è dunque considerare la biografia di ogni poeta e il legame che ha con la sua terra d’origine. Di respiro universale, afferma Sibilio, sono le poesie di al-Sayyab, di Adonis, nonché dell’altro celebre siriano Nizar Qabbani (1923-1998), e di Mahmud Darwish, che nei loro versi celebrano rispettivamente l’Iraq, la Siria e la Palestina. Ma ciò vale anche per la palestinese Fadwa Tuqan (1917-2003), per l’egiziano Amal Dunqul (1940-1983) e per lo yemenita Abdel Aziz al-Maqalih (1937-2022), tra i molti altri nomi che si potrebbero citare.
Nella seconda sezione del volume, suddivisa in otto capitoli, in cui le spiegazioni su questioni tematiche e formali sono spesso esemplificate da brani delle opere – in traduzione italiana – che vengono man mano descritte, Sibilio si concentra sulle voci più influenti della contemporaneità e sulle loro poetiche. Lo studioso percorre di fatto un itinerario che attraversa la componente asiatica e quella nordafricana e subsahariana del varieggiato mondo arabo. Presenta ben diciannove realtà geopolitiche diverse, seppure interconnesse, e centinaia di voci, ognuna con uno stile personale.
Fadwa Tuqan
Particolarmente interessante per capire lo sviluppo delle tendenze del secondo Novecento è il quinto capitolo del volume, dedicato al principale campo di ricerca di Sibilio, da lui stesso definito “l’emblematico caso palestinese”. Lo studioso accenna alle esperienze avvenute in Palestina durante il periodo mandatario, “quando alcuni intellettuali, consci delle minacce rappresentate dall’ambigua politica britannica e dai propositi del movimento sionista, utilizzano la poesia […] come forma di protesta per accrescere la consapevolezza popolare sulle oscure manovre in atto, presagendo l’imminente tragedia che avrebbe colpito il proprio popolo”. Il poeta più celebre in tale senso e pioniere della Nahḍa palestinese è Ibrahim Tuqan (1905-1941), autore di versi patriotici, privi però dei toni celebrativi e dei motivi eroici dello stile neoclassico, e che si distingue anche per l’uso allora inedito di una sferzante ironia con cui punzecchia sia Londra sia i dirigenti nazionalisti arabi accusati d’inerzia. Altro esponente di spicco di questa fase è Abd al-Karim al-Karmi (1909-1980), noto come Abu Salma, che nel 1936 pubblica “La fiamma della poesia”, poema dedicato alla Grande Rivolta che durerà fino al 1939.
Sibilio poi analizza la poesia della Nakba o post-1948, incentrata sulle “condizioni psicologiche e materiali di un popolo espulso dalla propria terra e ignorato dalla comunità internazionale”. È un corpus poetico piuttosto variegato di valenza testimoniale; denuncia le difficoltà dei profughi; esprime dolore, nostalgia e collera, ma anche speranza di ritorno e di riscatto. Sibilio presenta due figure importanti emerse negli anni ’50: la già citata Fadwa Tuqan – allieva del fratello Ibrahim –, la quale si allontana dall’intimismo degli esordi romantici e neoclassici, legato all’angosciante vita racchiusa tra le mura domestiche, per rivolgere l’attenzione alla nuova catastrofica realtà collettiva. Adotta allora il verso libero e sfrutta le potenzialità del Simbolismo e del Realismo sociale, per comporre opere cariche di forza espressiva e di intensità emotiva, incentrate sul dramma del suo popolo. Dopo la guerra lanciata da Israele nel ’67, per conquistare il resto della Palestina, la poetessa rimane nella sua citta, Nablus, sotto occupazione militare israeliana, e usa un registro spiccatamente politico nelle sue poesie, diventando la voce più autorevole della causa palestinese.
Tornando agli anni ’50, Sibilio ricorda che in quel decennio Giabra Ibrahim Giabra (1929-1994) – letterato, traduttore e pittore in esilio a Bagdad dal ’48 – traduce in parte The Golden Bough (Il ramo d’oro, 1890) di James George Frazer (1854-1941), da cui lui stesso sarà molto influenzato. Conia il termine tammuzi (riferimento al dio mesopotamico della vegetazione Tammuz) per definire la corrente poetica che ricorre spesso “all’impiego degli archetipi di rinascita e fertilità”, di cui sarà uno dei maggiori esponenti. Nella raccolta “Tammuz in città” (1959), considerata pionieristica del Modernismo arabo, celebra la verdeggiante Palestina, scolpita nella memoria degli esuli, indaga la loro condizione esistenziale, mentre in certi componimenti propone le sue riflessioni personali sulla solitudine dell’individuo nella società contemporanea.
Basandosi, tra le altre cose, su un saggio critico del famoso scrittore Ghassan Kanafani (1946-1972), Sibilio esamina la poesia della resistenza palestinese. Come spiega lo studioso, è un “tipo di espressione che sul piano nazionale è figlia della lotta del suo popolo”; a livello internazionale rientra nel più ampio filone della poesia civica e d’impegno politico del Novecento e si collega alle esperienze anticolonialiste, anti-imperialiste e terzomondiste dall’Africa a Cuba, dal Vietnam al Sudamerica. In Palestina i pionieri di questa categoria letteraria sono Samiḥ al-Qasim (1939-2014) e appunto Mahmud Darwish, ma Sibilio sottolinea che l’opera del grande poeta di fama mondiale “ha ben presto trasceso i confini della causa nazionale per cogliere la quintessenza dell’umano universale come ogni capolavoro artistico destinato all’eternità”. Del resto, spiega lo studioso, entrambi gli autori, come gli altri del movimento, adottano man mano repertori e stili diversi. A differenza di quanto si tende a pensare, la lotta lanciata dai fedayin negli anni ’60 non è al centro della scena nella poesia della resistenza palestinese. “Vista nella sua complessità”, chiarisce Sibilio, “la relazione con la terra perduta/occupata viene esplorata attraverso una molteplicità di dimensioni simboliche che celano il motivo identitario: si guarda all’ambiente naturale florido, celebrando i prodotti offerti dalla terra; si attinge al repertorio mitologico, ma anche a quello folcloristico-popolare; si riesplora la simbologia religiosa, biblica o coranica, laddove l’identificazione con il martirio di Cristo acquisisce un valore elevato e ampiamente condiviso, preludio della resurrezione; si ricorre alla dimensione storica per riaffermare l’appartenenza al territorio, per resistere alla minaccia di cancellazione insita nel discorso sionista e nella prassi politica israeliana”.
Ibrahim Nasrallah
La produzione poetica emersa negli anni ’70 e ‘80 è rappresentata specialmente da Murid al-Barghuthi (1944-2022), Zakariya Muhammad (n. 1950), Ibrahim Nasrallah (n. 1954) e Ghassan Zaqtān (n. 1954), tutti testimoni del declino delle ideologie unificanti, come il Panarabismo, e poi delusi dal processo di pace di Oslo con i suoi strascichi odierni. Vivendo nella diaspora o nella Cisgiordania occupata, dotati di versatilità artistica, spiega Sibilio, passano a nuovi modi espressivi nella ricerca di singolarità; abbinano strutture tradizionali e sperimentalismo, dissolvono la barriera tra verso libero e poesia in prosa, tra cultura scritta e visuale, tra generi letterari e tipi di scrittura; prediligono la dimensione individuale alle ‘grandi’ narrazioni. Lo studioso presenta anche uno dei maggiori poeti della nuova generazione, Najwan Darwish (n.1978), che unisce tradizione e modernità, la nostalgia del passato e il senso dell’urgenza del presente; ricorre all’ironia o addirittura al vituperio politico, con uno stile ora contemplativo ora quasi giornalistico, per denunciare i paradossi della realtà palestinese.
Come già detto, il nuovo libro di Sibilio è uno studio approfondito della produzione poetica moderna e contemporanea del varieggiato mondo arabo; evidenzia che la poesia è l’arte per eccellenza, un elemento identitario al pari dell’arabofonia per le società di una regione particolarmente complessa per ragioni storico-culturali e, quindi, ricca di storie. Il volume è senz’altro uno strumento scientifico importante per chi si occupa di questo argomento, nonché una lettura affascinante per persone non esperte animate dalla curiosità di conoscerlo. Pagine Esteri
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui il romanzo Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).
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Yemen. Decine di morti calpestati in una calca
Della redazione
Pagine Esteri, 20 aprile 2023 – Almeno 78 yemeniti sono rimasti uccisi in una fuga precipitosa di massa nella capitale Sanaa quando centinaia di persone si sono radunate in una scuola per ricevere donazioni previste per gli ultimi giorni del mese sacro del Ramadan.
Diverse persone sono rimaste ferite, tra cui 13 sono in condizioni critiche.
La donazione era di 5000 riyal yemeniti, circa 8 euro, una somma significativa in un paese dilaniato dalla guerra e in cui povertà e malattie sono la condizione per la maggior parte della popolazione.
Il processo di riconciliazione in corso tra Arabia saudita e Iran fa sperare in una soluzione negoziata anche in Yemen dove le fazioni avverse sostenute dai due potenti paesi si combattono senza sosta dal 2015. Tuttavia i segnali iniziali di una composizione pacifica del conflitto tra i ribelli sciiti Houthi appoggiati da Teheran e il governo sostenuto militarmente dalla Coalizione araba a guida saudita, non sono ancora sfociati in risultati concreti. Pagine Esteri
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Partinico, miseramente fallito il tentativo di bloccare l’intitolazione del liceo alle figure di Peppino e Felicia Impastato. Auspichiamo adesso che la prefettura dia seguito alla scelta del Liceo
Partinico 16 aprile 2023 - Il tentativo da parte della destra partinicese di bloccare l’intitolazione del liceo alle figure di Peppino e Felicia Impastato èRifondazione Comunista
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Il lavoro c’è, a mancare sono i lavoratori
Nell’ultimo biennio gli occupati in Italia sono cresciuti di quasi un milione e 800mila unità, di cui i tre quarti nel terziario di mercato. In questo settore, però, c’è una vera e propria emergenza: la carenza di personale, considerando che solo nella filiera turistica e nel commercio quest’anno (rispetto al 2022) servono circa 560mila lavoratori in più, considerando anche l’indotto ma il 40%potrebbero essere di difficile reperimento. Parliamo di 230mila profili che non si trovano sul mercato soprattutto per mancanza delle competenze richieste dalle imprese.
Obiettivo più crescita Sono questi i principali numeri contenuti nell’Osservatorio Terziario e Lavoro dell’Ufficio Studi di Confcommercio, presentato ieri a Roma all’apertura del Forum: «Per creare nuova occupazione – sostiene il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – servono, prima di tutto, più crescita e più produttività. E, naturalmente anche la costruzione di un compiuto sistema di politiche attive, utile per favorire l’incontro tra domanda e offerta». In 27 anni, cioè dal 1995 a oggi, gli occupati sono aumentati di 1,2 milioni di unità: tutti i grandi aggregati produttivi hanno perso, salvo il terziario di mercato che ha generato oltre 2,7 milioni di posti di lavoro. Durante la pandemia i servizi hanno patito di più; poi c’è stato un forte recupero soprattutto del turismo(sottovalutato anche dagli «esperti»), ma l’operazione non è ancora completata come si evince anche dai consumi delle famiglie del 2022 ancora sotto di 20 miliardi rispetto al 2019, di cui 13 persi da alberghi, bar e ristoranti.
La spinta dei contratti stabili Lo scorso anno, escludendo lavoratori domestici, agricoltura e Pa, il terziario di mercato ha contato il 64,5% dell’occupazione totale e il 79,5% di quella indipendente (il settore, quindi, è una “palestra” di autoimprenditorialità). Senza dimenticare che i servizi occupano il 61,7% del totale lavoro dipendente. E ancora: degli 1,77 milioni di nuovi occupati nella fase di recupero post-pandemico, 1,36 milioni appartengono ai servizi, cioè il 76,6%. Il lavoro indipendente non ha completamente recuperato e il deficit si concentra nelle professioni e nei trasporti (la crisi non è stata uguale per tutti). Il divario nella struttura delle tipologie di contratto per grandi aggregati è 70,2% contro 86,3% tra terziario non stagionale (che comunque comprende una quota di attività stagionali, come gli stabilimenti balneari) e industria e attività finanziarie e creditizie. I contratti stagionali si riferiscono ad alloggio e ristorazione (il 30,6% delle forme contrattuali del macro settore). Il 55,2% di tutti i contratti a tempo indeterminato sono siglati nel terziario di mercato.
Tra giugno 2020 e giugno 2022 l’incremento totale del tempo indeterminato è stato di 685mila unità, pari al 39% dell’incremento occupazionale con qualsiasi contratto; di questi 685mila, 468mila appartengono al terziario di mercato (cioè il 69%). Anche per i servizi, quindi, la reazione alla pandemia è stata di puntare sul tempo indeterminato. Economia incerta, fare le riforme Passando allo scenario economico, Confcommercio evidenzia come la questione energetica abbia messo a dura prova il Paese, creando danni a famiglie e imprese. A questo proposito, i pur confortanti segnali di riduzione del costo delle forniture di energia, osservati di recente, non devono far dimenticare che la spesa energetica complessiva delle imprese del terziario di mercato si attesterà, nel 2023, a circa 38 miliardi, ancora molto al di sopra dei 13miliardi del 2021.
Il peggio sembra passato, ma resta una sostanziale incertezza dello scenario internazionale, come resta confermato il rallentamento dell’economia mondiale. E questo vale anche per l’Italia, che, secondo le stime di Confcommercio, avrebbe chiuso il primo trimestre con un Pil sostanzialmente stabile e che presenta una prospettiva di crescita per il 2023 poco sotto l’1%, un risultato che verrebbe leggermente migliorato il prossimo anno. Il Pnrr fa fatica a decollare, i consumi restano deboli (nella media del 2022, sono ancora sotto di quasi venti miliardi di euro rispetto al 2019), e il credito è più caro, con il rialzo dei tassi di interesse. A prezzi costanti, prosegue Confcommercio, neppure alla fine del 2024 avremo recuperato i livelli aggregati di Pil e consumi (dei residenti) del 2007; sulle stime dei valori reali pro capite «aiuta» la crisi demografica: nonostante questo (aspetto disastroso) mancherebbero ancora 145 euro di Pil a testa e 480 euro di consumi. Tuttavia, un segnale positivo è che l’economia italiana arriva a questo rallentamento in ottima salute, avendo mostrato, nel biennio 2021-2022, una capacità di reazione eccezionale e inattesa, con una crescita superiore anche a quella dei nostri principali partner internazionali.
«Dobbiamo lavorare per costruire una nuova e più forte fase di sviluppo, proprio per evitare di ripiombare nell’incubo degli zero virgola – ha chiosato Sangalli –. All’appello manca poi il grande tema delle riforme, a cominciare da quella fiscale. Bisogna poi puntare su politiche attive e formazione. Il Pnrr infine. Inflazione, prezzi ed emergenze energetiche rendono necessario l’adeguamento strutturale del Piano. Bisogna fare presto e bene perché l’occasione non va sprecata».
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Il figlio dello scià di Persia visita Israele
di Redazione
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – Nel momento di massima tensione tra Israele e Iran, le autorità dello Stato ebraico hanno ricevuto Reza Ciro Pahlavi, 62 anni, il principe ereditario e figlio maggiore dell’ultimo scià di Persia. Dal suo esilio negli Stati Uniti Pahlavi sta cercando di ritagliarsi un ruolo di primo piano in vista di un eventuale cambio di regime a Teheran.
Mentre nelle scorse settimane Israele ha continuato a condurre esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti e a bombardare obiettivi in Siria legati all’Iran – lasciando presagire la possibilità di un attacco diretto contro Teheran – a Gerusalemme Pahlavi ha incontrato i vertici dello stato.
«Siamo felici di ospitare il principe ereditario iraniano e di ammirare la sua coraggiosa decisione di visitare Israele per la prima volta. Il principe ereditario simboleggia una leadership diversa da quella del regime degli ayatollah e promuove i valori della pace e della tolleranza, a differenza degli estremisti che regnano in Iran» ha affermato la ministra dell’Intelligence di Israele, Gila Gamliel.
«Siamo felici di essere qui e di lavorare per un futuro prospero e di pace che la gente della nostra regione merita. Dai figli di Ciro, ai figli di Israele, costruiremo questo futuro insieme, in amicizia» ha invece scritto su Twitter Pahlavi dopo il suo arrivo all’aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv.
In un’intervista concessa nei giorni scorsi ad “Agenzia Nova” a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, l’erede al trono aveva affermato che «nessuno vuole la guerra» tra Iran e Israele. Pahlavi aveva poi osservato che un nuovo Iran eliminerebbe «tutte le minacce» della Repubblica islamica, «compresa quella nucleare», e che «la soluzione più rapida» sarebbe la caduta dell’attuale regime.
Ieri Pahlavi si è recato oggi al muro del pianto con la moglie Jasmine e con la ministra dell’Intelligence di Israele. Lunedì sera ha invece partecipato a una cerimonia presso il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme, lo Yad Vashem, insieme al presidente di Israele, Isaac Herzog, e al primo ministro Benjamin Netanyahu. – Pagine Esteri
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Nato e Difesa Ue. La ricetta di Cavo Dragone per vincere la sfida globale
Dobbiamo essere pronti a operare e muoverci e vincere in uno scenario multidominio, una priorità per tutti i Paesi europei che impone di accelerare il passo. Così il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha sottolineato l’urgenza per il Vecchio continente di adeguarsi a uno scenario di sicurezza mutevole e sempre più insicuro. L’occasione arriva dall’intervista che l’ammiraglio italiano ha svolto all’Atlantic Council, uno dei più importanti think tank attivi a Washington, nel corso della quale sono stati affrontati i temi relativi all’attuale scenario geopolitico, reso più fragile dall’invasione russa all’Ucraina, quelli relativi alla postura di difesa dell’Italia alla luce del conflitto e il sistemico cambiamento che sta coinvolgendo l’architettura di Difesa europea.
La responsabilità comune davanti alle minacce
Il capo di Stato maggiore ha iniziato il suo intervento citando il presidente Usa John F. Kennedy, che nel periodo più teso della crisi di Cuba si rivolse all’associazione dei giornali americani parlando delle “comuni responsabilità di fronte a comuni pericoli”. Gli eventi di Cuba, per l’allora presidente erano serviti “a illuminare per qualcuno la sfida, ma le dimensioni della minaccia incombono all’orizzonte da molti anni”. Oggi come allora, ha detto Cavo Dragone, i tempi sono critici, “con uno scenario strategico che evolve a velocità elevatissime, senza precedenti”.
Sfide a 360°
A quattordici mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, infatti, la Cina ha preso posizione sul conflitto, ha ricordato Cavo Dragone, con una proposta di sistemazione dello scenario geopolitico est europeo. Al contempo “la Cina ha portato avanti un negoziato per il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran”, con Riyad che ha anche preso la decisione di entrare come partner della Shanghai Cooperation Organisation, “un’alleanza politica, di sicurezza e commerciale”. Al contempo, mentre l’Algeria versa sull’orlo del collasso, la Tunisia chiede di unirsi ai Paesi Brics, “mentre la domanda di sicurezza aumenta in tutto il Mediterraneo allargato”, specialmente dove agiscono gruppi paramilitari come la Wagner o i proxy iraniani.
Gli occhi di Pechino sul Sud del mondo
Cosa sta succedendo, allora, si è chiesto Cavo Dragone. “Non c’è una risposta facile. Visto dall’alto il pianeta è diventato una scacchiera con tutti i pezzi in movimento”. Non solo allora tutte le risorse devono essere messe in campo per sostenere l’Ucraina, con il fianco est che rappresenta “la priorità militare” dell’Alleanza, con un rafforzamento della sua capacità di deterrenza, ma anche l’offensiva diplomatica cinese verso il Sud globale deve essere contrastata. “Russia e Iran stanno supportando l’azione di Pechino per rompere il proprio isolamento diplomatico”, come dimostrato anche dal voto di molti Paesi della regione che non hanno condannato l’invasione di Mosca.
L’importanza delle alleanze
Cosa fare per affrontare queste sfide? “La parola d’ordine è partnership. Oggi i partner internazionali devono diventare sempre più capaci di interoperare”. Su tutte la Nato e le altre alleanze devono diventare sempre più capaci di affrontare le sfide di oggi. Un impegno che richiederà uno sforzo anche da parte europea. L’invasione russa ha risvegliato l’attenzione europea passando da una “idea teorica verso una reale Difesa europea”. L’Ue si sta “operazionalizzando, per avere una catena di comando militare, che mancava; la crisi Ucraina, purtroppo, ci ha risvegliati”.
Il legame Italia-Usa
L’ammiraglio Cavo Dragone è a Washington per incontrare i vertici militari degli Stati Uniti, seguendo l’incontro avuto con il generale Mark Milley, capo dello Staff congiunto delle Forze armate Usa, a Roma a marzo, con cui l’ufficiale italiano ha una “totale connessione e condivisione di idee”. Per l’ammiraglio, infatti, “il legame transatlantico tra l’Italia e gli Stati Uniti è forte, e gli Usa sono per noi un punto di riferimento all’interno dell’Alleanza”. Un legame che si evidenzia anche dalla presenza dei 30mila militari Usa presenti nel nostro Paese. “Insieme stiamo migliorando la capacità di agire insieme, soprattutto nel Mediterraneo, dove nonostante la presenza di nuovi attori, lanciamo un messaggio forte: che il bacino è parte dello spazio di sicurezza della Nato”.
La povertà è la quarta causa di morte della popolazione negli Stati Uniti | Diogene
"L’analisi ha rilevato che solo le malattie cardiache, il cancro e il fumo erano associati a un numero maggiore di decessi rispetto alla povertà. Obesità, diabete, overdose di droga, suicidi, armi da fuoco e omicidi, tra le altre comuni cause di morte, erano meno letali della povertà."
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ONU. Basta sanzioni contro Kabul, stop alla repressione talebana delle donne
di redazione
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – Con un rapporto pubblicato ieri il Programma di sviluppo dell’Onu (UNDP) descrive in dettaglio la terribile situazione dell’Afghanistan quasi due anni dopo l’imposizione del blocco economico da parte del governo degli Stati Uniti. Il rapporto mostra che prima della presa di Kabul da parte dei Talebani nell’agosto del 2021, il tasso di povertà nel paese era di circa il 47,5% della popolazione (41 milioni). Dopo l’inizio delle sanzioni Usa e internazionali è salito a oltre l’80% con stime che indicano che il 97% della popolazione potrebbe presto precipitare nella miseria.
Il rapporto dell’UNDP sottolinea che la Banca centrale afghana non è stata in grado di fornire liquidità adeguata alle banche a causa della sua impossibilità di stampare moneta e del congelamento di quasi 10 miliardi di dollari di riserve estere, di cui 7 miliardi trattenuti dalla Federal Bank of New York.
La situazione è stata peggiorata dall’improvvisa perdita di aiuti internazionali e l’accesso ai finanziamenti da parte del paese. “L’interruzione dell’assistenza estera, che in precedenza rappresentava quasi il 70% del bilancio afgano, ha provocato una considerevole compressione delle finanze pubbliche”, si afferma del rapporto.
Allo stesso tempo, l’UNDP punta il dito anche contro il deterioramento della situazione del paese causata dai leader Talebani e dalle loro politiche repressive contro le donne. “L’economia non può essere rilanciata se le donne non potranno lavorare, la crescita economica futura sarà limitata se non ci saranno investimenti sufficienti nell’istruzione delle ragazze e delle donne”, ha dichiarato il direttore regionale dell’UNDP per l’Asia e il Pacifico, Kanni Wignaraja. “Solo la piena continuità dell’istruzione delle ragazze e la capacità delle donne di perseguire il lavoro e l’apprendimento possono mantenere viva la speranza di un reale progresso”, ha aggiunto Wignaraja. Pagine Esteri
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: Il giornalismo – 29 maggio 2023
La sterminata produzione giornalistica di Luigi Einaudi, specie sul Corriere della Sera, oltre a trattare temi tipici del giornalismo economico, spazia su profili più ampi e diversi e consente di riflettere sul ruolo attuale del giornalismo, anche nel suo rapporto con gli “altri” poteri, soprattutto quello politico e quello giudiziario.
Relatori
Massimo Nava, Editorialista del Corriere della Sera;
Davide Giacalone, giornalista e Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Cangini, giornalista e Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
clicca qui per il programma completo
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Mad Kime design 2023
La collaborazione ormai consolidata tra In Your Eyes ezine, Incontroluce Serigrafia e Mad Kime propone anche quest’ anno il vostro capo dell’ estate.
Un capo elegante per la vostra estate super VIP.
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Mad Kime design 2023 Tshirt
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Vi piacciono le nostre tshirt?
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università: La politica e le istituzioni– 22 maggio 2023
Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.
Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo
clicca qui per il programma completo
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’economia – 15 maggio 2023
Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte.
Relatori
Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede di Palermo
Fabio Mazzola, Ordinario di Politica economica, Prorettore Università di Palermo
Andrea Mario Lavezzi, Ordinario di Economia Politica
clicca qui per il programma completo
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Marongiu & i Sporcaccioni - Welcome to Bisiacaria
Marongiu & i Sporcaccioni sono i ragazzi del bar che fanno musica nel tempo libero, e che hanno i nostri problemi, ma li sfogano raccontando la vita di provincia attraverso una musica davvero piacevole e che ti rende leggero, nel senso che parla di cose che chi ha vissuto e vive in provincia vede ogni giorno. @Musica Agorà
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università – 8 maggio 2023
L’Università – 8 maggio 2023
Il seminario approfondirà il mondo dell’accademia e le prospettive della ricerca e dell’insegnamento, anche nei rapporti con le imprese e con i progetti di finanziamento europei.
Relatori
Armando Plaia, Ordinario di diritto privato e Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza;
Aldo Schiavello, Ordinario di Filosofia del diritto e Coordinatore del Dottorato in Diritti umani;
Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Diritto processuale penale, Coordinatore del Dottorato in Pluralismi giuridici e Direttore della Scuola per le professioni legali.
clicca qui per il programma completo
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi
Dipartimento di Giurisprudenza – Progetto a cura del Prof. Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale e Coordinatore del Dipartimento Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi
La poliedrica figura di Luigi Einaudi – accademico, economista, politico, esponente delle Istituzioni, giornalista – si presta particolarmente ad essere approfondita seguendo i suoi diversi percorsi professionali ed umani. Già membro dell’Assemblea Costituente, fu poi Vice Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro delle finanze, del tesoro e del bilancio nel IV Governo De Gasperi, e tra il 1945 e il 1948 fu Governatore della Banca d’Italia. Dal 1948 al 1955 fu il secondo Presidente della Repubblica Italiana.
Pertanto, con il presente Progetto ci si propone di costruire una serie di Seminari tematici, ciascuno dei quali capace di far riconoscere agli studenti crediti formativi. Per coloro i quali seguissero tutti i seminari, che nel loro complesso daranno vita ad un corso unitario, del quale è Responsabile Scientifico il Professore Bartolomeo Romano, la Fondazione Einaudi attribuirà un “attestato di conoscitore del pensiero liberale di Luigi Einaudi” nel corso di una manifestazione conclusiva alla presenza del Presidente della Regione Siciliana, del Sindaco di Palermo, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo e del Presidente della Fondazione Einaudi.
I seminari si terranno nell’Aula Chiazzese del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, ogni lunedì pomeriggio, dalle ore 15 alle 17, nel mese di maggio 2023, secondo il seguente programma:
1. L’Università – 8 maggio 2023
Il seminario approfondirà il mondo dell’accademia e le prospettive della ricerca e dell’insegnamento, anche nei rapporti con le imprese e con i progetti di finanziamento europei.
Relatori
Armando Plaia, Ordinario di diritto privato e Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza;
Aldo Schiavello, Ordinario di Filosofia del diritto e Coordinatore del Dottorato in Diritti umani;
Giuseppe Di Chiara, Ordinario di Diritto processuale penale, Coordinatore del Dottorato in Pluralismi giuridici e Direttore della Scuola per le professioni legali.
2. L’economia – 15 maggio 2023
Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte.
Relatori:
Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede di Palermo
Fabio Mazzola, Ordinario di Politica economica, Prorettore Università di Palermo
Andrea Mario Lavezzi, Ordinario di Economia Politica
3. La politica e le istituzioni– 22 maggio 2023
Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.
Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo
4. Il giornalismo – 29 maggio 2023
La sterminata produzione giornalistica di Luigi Einaudi, specie sul Corriere della Sera, oltre a trattare temi tipici del giornalismo economico, spazia su profili più ampi e diversi e consente di riflettere sul ruolo attuale del giornalismo, anche nel suo rapporto con gli “altri” poteri, soprattutto quello politico e quello giudiziario.
Relatori
Massimo Nava, Editorialista del Corriere della Sera;
Davide Giacalone, giornalista e Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Cangini, giornalista e Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
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European Youth Parliament a Ragusa: La Fondazione Einaudi sostiene il Parlamento Europeo Giovani – 12 -14 maggio
La Fondazione Luigi Einaudi parteciperà alla Sessione Regionale del Parlamento Europeo Giovani che si terrà a Ragusa dal 12 al 14 maggio.
L’evento avrà come protagonisti circa 70 studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana e uno staff internazionale composto da giovani provenienti da tutta Europa. L’obiettivo è promuovere la cultura delle istituzioni come luogo delle soluzioni, dell’Europa come casa unitaria dei nostri valori, del confronto e della diversità come uniche stelle polari della crescita sociale. Si tratterà di un evento nel quale giovanissimi studenti avranno l’opportunità di assumere nuove competenze vestendo pienamente il ruolo di Europarlamentari e simulando una sessione dell’Europarlamento, crescendo così nella convinzione del rispetto delle posizioni altrui e confrontandosi con tematiche importanti della legislazione europea attinenti ad un più generale tema, il potere del progresso e dell’innovazione.
Le 8 tematiche che verranno affrontate a Ragusa2023 nelle altrettante commissioni saranno legate al più generale tema del potere del progresso e dell’innovazione. La Fondazione Einaudi, oltre a sostenere interamente l’iniziativa con il suo patrocinio e ad essere dunque partner dell’evento, parteciperà ai lavori della Commissione nella persona dell’Avv. Gian Marco Bovenzi, project manager della stessa.
L’evento è articolato in tre fasi principali: nel corso del Teambuilding i ragazzi imparano a conoscere i propri compagni di commissione mediante una serie di giochi e di attività interattive che mirano a rompere il ghiaccio e a creare un forte spirito di gruppo; durante il Committee Work ci si confronta e si riflette su una tematica specifica insieme ai propri compagni di commissione, analizzando i problemi e le sfide ad essa legate per poi proporre soluzioni in merito e giungere alla stesura di una risoluzione scritta; ogni commissione presenta poi le proprie proposte nella parte conclusiva della sessione, l‘Assemblea Generale. Dopo una fase di dibattito durante la quale i delegati possono sollevare punti dal posto o tenere discorsi al podio, ogni risoluzione viene messa ai voti.
Per scaricare il pdf del programma clicca sul link: Scheda Progetto Ragusa2023
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Concorso Nazionale "La legalità come strumento di realizzazione personale", rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di istruzione.
Ministero dell'Istruzione
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La teologia della liberazione palestinese: dalla reinterpretazione delle Scritture alla decolonizzazione della mente
di Caterina Bandini*
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – «L’occupazione è un peccato contro Dio»: questo il postulato del documento Kairós Palestina: un momento di verità. Una parole di fede, speranza e amore dal cuore delle sofferenze dei palestinesi, pubblicato in arabo l’11 dicembre 2009 dal Consiglio ecumenico delle Chiese di Terra santa[1]. Ispirato al Kairós sudafricano, un documento pubblicato nel 1985 da una maggioranza di preti neri per denunciare il regime di apartheid, Kairós Palestina rappresenta il culmine di un lungo percorso di sensibilizzazione e politicizzazione delle Chiese palestinesi.
I palestinesi cristiani che vivono in Israele-Palestina sono circa 171 000 su una popolazione palestinese totale di più di 7 milioni di persone. La maggior parte si trova all’interno dello Stato d’Israele (120 000), 40 000 vivono nella Cisgiordania occupata, 10 000 a Gerusalemme e meno di un migliaio nella Striscia di Gaza. La minoranza cristiana ha una composizione eterogenea: i fedeli appartengono a ben 13 Chiese diverse, che vengono divise localmente tra «orientali» (Chiesa greco-ortodossa, armena, siriaca, ecc.) e «occidentali» (Chiesa cattolica romana, anglicana, luterana, ecc.). La maggioranza dei cristiani appartiene alla Chiesa greco-ortodossa (detta anche arabo-ortodossa o semplicemente ortodossa), la quale detiene il controllo del maggior numero di Luoghi santi; la seconda comunità più numerosa è quella cattolica di rito latino.
Le Chiese palestinesi sono state o sono tutt’ora al centro di conflitti tra l’alto clero, appoggiato dai poteri stranieri e dalla loro presenza missionaria, ed il laicato palestinese. La Chiesa greco-ortodossa in particolare, che possiede un importante patrimonio immobiliare, ha venduto terreni e immobili dapprima al governo britannico, poi ai coloni sionisti e alle autorità israeliane. Inoltre, la dimensione transnazionale delle Chiese di Terra santa ha contribuito ad alimentare in seno alla società palestinese la diffidenza nei confronti dei cristiani, sospettati di collaborare con l’occidente colonizzatore. Ciò spiega, in parte, la preponderanza di attivisti cristiani tanto nel movimento nazionalista degli anni ‘30 quanto nel movimento di liberazione nazionale che si sviluppa dopo la Nakba. L’importanza di Kairós Palestina è dovuta al fatto che per la prima volta non sono i fedeli ad impegnarsi politicamente contro l’occupazione israeliana, bensì gli alti livelli della gerarchia ecclesiale.
La pubblicazione del documento rappresenta l’apice di un movimento nato in seno alla comunità protestante che coinvolge clero e laicato sin dalla prima Intifada (1987-1993) (Kuruvilla, 2013). Ispirandosi alla teologia contestuale, alla teologia della liberazione sud-americana e alla critica post-coloniale della Bibbia, il reverendo anglicano Naim Stifan Ateek, all’epoca pastore della Cattedrale di San Giorgio a Gerusalemme, pubblica nel 1989 Justice, and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation (Ateek, 1989), considerato il testo fondatore della teologia della liberazione palestinese. Nel libro, Ateek spiega che la lettura dell’Antico Testamento pone delle difficoltà specifiche ai palestinesi cristiani. I concetti di «popolo eletto» e «terra promessa» o ancora il racconto mitologico dell’Esodo assumono un significato politico nel contesto israelo-palestinese, dove l’idea di una continuità perfetta tra il popolo ebraico nella Bibbia e lo Stato d’Israele ha offerto una legittimità storico-religiosa all’impresa sionista. Secondo Ateek, se la Bibbia è stata strumentalizzata fino a diventare un elemento importante nel conflitto, può anche diventare un elemento della soluzione. I palestinesi cristiani devono quindi elaborare una lettura palestinese dell’Antico Testamento. Una comprensione universalista della natura di Dio sul piano teologico non significa che tutte le parti della Bibbia abbiano lo stesso valore per i cristiani: i libri dei Profeti, ad esempio, dove Dio fa prova di compassione nei confronti di altri popoli, rappresentano un’evoluzione rispetto ai libri dell’Esodo e di Giosuè caratterizzati dalla tradizione nazionalista e militarista degli zeloti.
Altri autori hanno partecipato allo sforzo di decolonizzazione dell’Antico Testamento, come il reverendo luterano Mitri Raheb (Raheb, 1995). Questo movimento teologico ed intellettuale è andato di pari passo con un’opera di arabizzazione e palestinizzazione delle Chiese che, fino ad allora, solo la Chiesa melkita aveva compiuto. Nella seconda metà del XX secolo, l’arabo sostituisce le lingue straniere nella liturgia, i membri del clero provengono sempre di più dalla popolazione locale e le istituzioni cristiane cominciano a rivendicare esplicitamente la loro appartenenza alla nazione palestinese. Anche la Chiesa cattolica romana prende parte a questo processo e s’impone come uno degli attori principali del movimento di teologia della liberazione contribuendo alla sua diffusione fuori dagli ambienti protestanti. La nomina, nel 1987, di Michel Sabbah a capo del Patriarcato latino di Gerusalemme rappresenta una tappa importante: primo (e finora unico) patriarca palestinese nella storia dell’istituzione, durante il suo mandato (1987-2008) Sabbah ha saputo coinvolgere la gerarchia cattolica romana nelle questioni politiche locali, prendendo posizione contro l’occupazione e per la pace, e incoraggiando l’impegno politico dei cristiani.
I teologi-attivisti si focalizzano sulla comunità cristiana internazionale. Uno degli obiettivi principali del movimento consiste a contrastare la diffusione del sionismo cristiano, una corrente di pensiero che appoggia l’esistenza dello Stato d’Israele come Stato esclusivamente ebraico sulla base di una lettura letterale dell’Antico Testamento (Nederveen-Pieterse, 1991). Il sionismo cristiano si è progressivamente affermato nelle comunità evangeliche statunitensi e sud-americane ed alcuni esponenti di questa corrente hanno un legame molto stretto col potere politico israeliano, il che contribuisce a marginalizzare il cristianesimo palestinese sulla scena internazionale. Dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, varie organizzazioni palestinesi cristiane della società civile si sono impegnate nella creazione di circuiti di turismo e pellegrinaggio alternativi (come i cosiddetti pellegrinaggi «delle pietre vive») volti a far conoscere la realtà dell’occupazione ai cristiani provenienti da tutto il mondo (Feldman, 2011).
Ed è proprio quest’interesse pronunciato nei confronti della comunità internazionale, a discapito delle comunità cristiane locali, che viene oggi criticato da una nuova generazione di teologi palestinesi. Essi considerano che l’opera dei padri fondatori Naim Ateek et Mitri Raheb e di tutti coloro che si sono ispirati al loro modello presenta una dimensione coloniale inerente alla struttura, la costruzione e gli obiettivi che gli autori si sono posti (Munayer e Munayer, 2022). Volendosi opporre al sionismo cristiano, Ateek e Raheb si sono rivolti ai cristiani occidentali e non ai cristiani palestinesi; hanno preso spunto quasi esclusivamente da teologi maschi, bianchi e occidentali; non hanno adottato un approccio intersezionale, esaminando di fatto un’unica dimensione dell’oppressione palestinese (da parte dell’occidente e dello Stato d’Israele) e tralasciandone altre (sessismo, classismo, islamofobia).
La nuova generazione propone l’elaborazione di una «teologia della liberazione civica» in linea col pensiero di Edward Said, uno dei primi a indicare la necessità di una lettura palestinese della Bibbia (Masalha e Isherwood, 2014). Non si tratta più soltanto di reinterpretare le Scritture, ma di decolonizzare la mente e la pratica religiosa dei palestinesi cristiani. Dall’advocacy sulla scena internazionale all’empowerement delle comunità locali, l’obiettivo principale di questa nuova teologia più contestuale e meno cristiana è il dialogo all’interno della società palestinese, in particolare fra cristiani e musulmani. Teologi e attivisti pubblicano più in arabo che in inglese[2], s’ispirano all’iconografia ortodossa più che a quella protestante o latina e prendono a modello figure cristiane della resistenza palestinese, come la giornalista Shireen Abu Aqleh uccisa nel maggio 2022 dall’esercito israeliano. Prodotto di questa rinascita teologica, una rivista accademica palestinese è stata recentemente fondata con l’obiettivo di creare uno spazio di discussione sul tema del cristianesimo palestinese in arabo e inglese. Il comitato editoriale del Journal of Palestinian Christianity è composto dal reverendo luterano Munther Isaac e due giovani teologi, Yousef AlKhoury e John Munayer, tutti e tre affiliati all’università evangelica palestinese di Betlemme, il Bethlehm Bible College[3]. Pagine Esteri
NOTE
[1] Per la versione italiana del documento: kairospalestine.ps/sites/defau…
[2] Si veda la pagina in arabo del sito Come and See – The Christian Website from Nazareth: comeandsee.com/ar/
[3] La presentazione della rivista è disponibile qui: files.constantcontact.com/6d0f…
Letture consigliate:
Ateek, Naim Stifan (1989) Justice, and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation. Maryknoll, Orbis Books.
Feldman, Jackie (2011) “Abraham the Settler, Jesus the Refugee: Contemporary Conflict and Christianity on the Road to Bethlehem”, History & Memory, 23 (1): 62-95.
Kuruvilla, Samuel Jacob (2013) Radical Christianity in Palestine and Israel: Liberation and Theology in the Middle East. Londra e New York, IB Tauris.
Masalha, Nur, Isherwood, Lisa (a cura di) (2014) Theologies of Liberation in Palestine-Israel. Indigenous, Contextual, and Postcolonial Perspectives. Eugene, Pickwick Publications.
Munayer John S., Munayer, Samuel S. (2022) “Decolonising Palestinian Liberation Theology: New Methods, Sources and Voices”, Studies in World Christianity, 28 (3): 287-310.
Nederveen-Pieterse, Jan (1991) “The History of a Metaphor: Christian Zionism and the Politics of Apocalypse”, Archives de sciences sociales des religions, 75: 75-103.
Raheb, Mitri (1995) I am a Palestinian Christian. Minneapolis, Augsburg Fortress Press.
*Caterina Bandini è sociologa e attualmente ricercatrice presso il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e l’Università di Nantes nell’ambito di un progetto collettivo sulla sinistra “radicale” israeliana. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi con un’etnografia dei movimenti religiosi per la pace e i diritti umani in Israle-Palestina, dove ha condotto numerosi periodi di ricerca sul campo dal 2015 ad oggi. Si occupa principalmente di attivismo e movimenti sociali, relazione fra politica e religione, risoluzione dei conflitti, studi post-coloniali e settler colonial studies. È autrice dell’articolo “ʻLa terre ne nous appartient pas, nous lui appartenonsʼ. Usages militants de la théologie et recompositions identitaires en Israël-Palestine”, Critique Internationale (pubblicazione prevista per fine 2023) e curatrice (con Marion Lecoquierre) del volume tematico “Le colonialisme de peuplement : applications empiriques et approches critiques”, Revue Internationale de Politique Comparée (pubblicazione prevista per fine 2023). Sul tema del cristianesimo palestinese ha pubblicato: “Catholiques français et chrétiens palestiniens : pour une sociologie relationnelle de la solidarité”, Les Cahiers d’EMAM, 32 (2020).
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In Cina e Asia – Von der Leyen: "Non giremo le spalle alla Cina”
Von der Leyen: "Non giremo le spalle alla Cina"
Ucraina: Macron vuole coordinare i negoziati di pace con la Cina
Xi a Kim: "Insieme per affrontare cambiamenti complessi e seri"
Aperta indagine dopo incendio in un ospedale di Pechino
Proteste dei "fogli bianchi": manifestante racconta la propria esperienza
Veicoli elettrici: i marchi cinesi contano per l'80% delle vendite domestiche
Il Bangladesh userà lo yuan per centrale nucleare russa
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Filippine: gli USA rafforzano la tenaglia militare contro la Cina
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 19 aprile 2023 – La competizione economica e geopolitica tra Stati Uniti e Cina sta scivolando sempre più velocemente verso il confronto sul piano militare.
Mentre la tensione si alza soprattutto intorno a Taiwan – la provincia ribelle di cui Pechino pretende la reintegrazione nel territorio nazionale – Washington rafforza le sue posizioni nel quadrante Indo-Pacifico dando vita ad una vera e propria tenaglia che accerchia la Repubblica Popolare dal Giappone fino all’Australia, passando per la Corea del Sud e le Filippine.
Al di fuori del proprio territorio nazionale Washington possiede, caso unico al mondo, circa 700 installazioni militari distribuite in 80 diversi paesi nei cinque continenti. Solo in Corea del Sud gli Stati Uniti possono contare su 56 mila soldati, ai quali occorre aggiungere i 25 mila dispiegati in Giappone.
Nelle ultime settimane, poi, gli Stati Uniti hanno rafforzato in maniera consistente la propria presenza nelle Filippine, suscitando la dura reazione di Pechino.
Per Washington quattro nuove basi militari nelle Filippine
All’inizio di aprile, il governo di Manila ha formalizzato l’ubicazione di altre quattro basi militari sul proprio territorio nelle quali le forze armate statunitensi potranno mantenere una consistente presenza sulla base dell’Accordo di cooperazione militare rafforzata (Enhanced Defence Cooperation Agreement, Edca) siglato con Washington nel 2014 e dell’Accordo sulle forze in visita (Vfa) del 1998.
L’Edca, che i due paesi hanno informato di voler ulteriormente potenziare, consentiva già a un elevato numero di militari statunitensi di utilizzare cinque basi filippine per portare avanti varie attività e per realizzare piste di decollo, magazzini, alloggi ed altre infrastrutture. Washington, tra l’altro, aveva già annunciato lo stanziamento di 82 milioni di dollari per potenziare le infrastrutture nelle cinque basi già utilizzate, che formalmente rimangono sotto il controllo di Manila.
Poi, lo scorso 2 febbraio, i due governi hanno annunciato l’estensione dell’accordo dopo un incontro nella capitale filippina tra il presidente Ferdinando Marcos Jr e il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin.
Tre dei nuovi siti militari – situati a Isabela, Zambales e Cagayan – concessi alle truppe statunitensi si trovano nell’isola settentrionale di Luzon, a soli 400 km da Taiwan, e comprendono la base navale di Santa Ana e l’aeroporto di Lal-lo. La quarta infrastruttura militare invece si trova sull’isola di Balabac, nella provincia di Palawan, la più vicina all’atollo delle Spratly, al centro di un aspro contenzioso territoriale tra la Cina e le Filippine. Pechino infatti adduce rivendicazioni storiche per rivendicare la propria sovranità su quasi tutto il Mar Cinese Meridionale, pur essendo stata sconfessata nel 2016 dalla Corte permanente arbitrale dell’Aja dell’ONU che ha dato ragione alle Filippine.
Nelle scorse settimane la tensione nell’area è tornata ad accendersi. Il 6 febbraio la guardia costiera delle Filippine ha accusato un’imbarcazione militare cinese, impegnata in un’operazione di pattugliamento, di aver puntato una “luce laser” contro l’equipaggio di un naviglio filippino nel Mar Cinese Meridionale, a circa 20 km dalle isole Spratly.
Il dietrofront di Manila
Durante il suo mandato, il discusso presidente Rodrigo Duterte aveva dato vita ad una svolta nelle relazioni internazionali, allontanandosi da Washington e stringendo maggiori relazioni con Pechino. Ma da quando è entrato in carica nel luglio del 2022 il nuovo presidente Ferdinando Marcos Jr (figlio dell’ex dittatore Ferdinando Marcos, deposto nel 1986) ha invertito la rotta ripristinando e sviluppando la tradizionale alleanza politica e militare con gli Stati Uniti.
D’altronde le Filippine sono state formalmente una colonia statunitense dalla fine del XIX secolo – quando furono cedute a Washington dalla Spagna dopo la sconfitta di quest’ultima in un conflitto diretto con Washington – fino al 1946, per rimanere comunque nell’area di influenza della superpotenza. All’inizio degli anni ’90 si assistette a una forte riduzione della presenza militare statunitense nell’arcipelago, con il ritiro della maggior parte dei 15 militari presenti da decenni nelle due grandi basi di Clark Field e Subic Bay.
La situazione è cambiata con la firma dell’Accordo di cooperazione militare tra Manila e Washington del 2014 che ha permesso agli Stati Uniti di stanziare di nuovo un gran numero di truppe nell’arcipelago asiatico.
Washington: “contenere l’espansionismo della Cina”«I nuovi siti rafforzeranno l’interoperabilità degli Stati Uniti e le forze armate filippine e ci consentiranno di rispondere assieme (…) a una serie di sfide condivise nella regione dell’Indo-Pacifico, inclusi i disastri naturali e umanitari”, ha dichiarato la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh, ma è più che ovvio che l’accordo risponde principalmente alla necessità di Washington di rafforzare il proprio dispositivo militare nella regione per contrastare l’influenza cinese.
Il comandante della Difesa delle Filippine, Carlito Galvez, ha messo le mani avanti, affermando che il patto militare che concede agli USA l’usufrutto a tempo indeterminato di quattro nuove basi punta esclusivamente a rafforzare la deterrenza. «La situazione geopolitica sta diventando sempre più precaria. I nostri progetti nell’ambito dell’Edca (…) non sono concepiti per l’aggressione. Non ci stiamo preparando per la guerra. Piuttosto, puntiamo a sviluppare le nostre capacità di difesa contro eventuali minacce alla nostra sicurezza».
Il capo di stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi, Mark Milley, è stato però molto più sincero. La Repubblica Popolare, ha accusato il generale nel corso di un’audizione al Senato federale di Washington, «sta tentando di diventare la potenza regionale egemone (…) Per questo puntiamo ad accedere alle basi e alla supervisione, e siamo impegnati in un riposizionamento nel Pacifico occidentale». «I paesi della regione si stanno armando, e tutti, con rarissime eccezioni, vogliono la presenza degli Stati Uniti nella regione» ha affermato Milley citando l’acquisto di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia e la corsa agli armamenti intrapresa dal Giappone.
A rincarare la dose, nel corso di un’intervista alla Cnn, è stato l’ambasciatore USA a Tokyo, Rahm Emanuel. «Si guardi all’India, alle Filippine, all’Australia, agli Stati Uniti, al Canada o al Giappone. Negli ultimi tre mesi tutti questi Paesi hanno avuto un confronto di qualche tipo con la Cina. A Pechino non possono essere scioccati dal fatto che questi stessi Paesi assumano delle iniziative per proteggersi o per scoraggiare attacchi» ha accusato il diplomatico.
Militari statunitensi e filippini durante le manovre militari congiunte
La reazione di Pechino
Ovviamente, il rafforzamento della presenza militare statunitense nelle Filippine ha suscitato la dura reazione del governo della Repubblica Popolare Cinese. A marzo una delegazione del Ministero degli Esteri di Pechino in visita a Manila ha avvertito che l’estensione dell’Edca «trascinerà il paese negli abissi del conflitto geopolitico e finirà col danneggiarne l’economia». Nel corso di una conferenza stampa, l’ambasciatore cinese a Manila Huang Xilian è stato ancora più esplicito quando ha affermato che le Filippine stanno soffiando sul fuoco delle tensioni regionali: «Ovviamente, gli Usa vogliono approfittare dei nuovi siti militari per interferire nella situazione nello Stretto di Taiwan, per perseguire i propri obiettivi geopolitici e portare avanti la propria agenda anti-cinese a spese della pace e dello sviluppo delle Filippine e della regione».
Esercitazioni congiunte tra USA e Filippine
La scorsa settimana, però, le forze armate delle Filippine e degli Stati Uniti hanno realizzato le più massicce esercitazioni militari congiunte di sempre, mobilitando circa 17500 soldati di entrambi i paesi (di cui più di 12 mila statunitensi) più un centinaio di australiani, il doppio rispetto al 2022. Le imponenti manovre, denominate “Balikatan” (spalla a spalla), hanno simulato operazioni di sbarco anfibio e di combattimento aereo e attività di addestramento a fuoco vivo. Nei giorni precedenti le forze armate cinesi avevano invece simulato, poche centinaia di km più a nord, attacchi missilistici e incursioni aeree contro obiettivi a Taiwan.
Contemporaneamente, alla fine di una riunione interministeriale – che ha coinvolto i titolari degli Esteri e della Difesa – tra Washington e Manila i due paesi hanno diffuso un comunicato congiunto in cui accusano Pechino di compiere alcune “manovre illegali” nel Mar Cinese Meridionale. A tal proposito, il presidente filippino Marcos Jr ha usato toni belligeranti: «Questo Paese non perderà un centimetro del suo territorio. Continueremo a difendere la nostra integrità territoriale e sovranità in conformità con la nostra Costituzione e con il diritto internazionale».
Nel corso della riunione gli Stati Uniti hanno formalizzato un piano volto alla consegna alle Filippine, nei prossimi anni, di radar, droni, aerei da trasporto militare e sistemi di difesa aerea e costiera. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Il tramonto dei diritti in India
Quando il leader del Congresso, Rahul Gandhi, è stato condannato a due anni di carcere per aver “diffamato” Narendra Modi è stato soltanto dell'ultimo passo lungo un processo involutivo che ormai da diversi anni contraddistingue la cosiddetta "democrazia più grande del mondo". Una nostra analisi in partnership con Gariwo Onlus.
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Fr.#27 / La buona e doverosa sorveglianza
Parere positivo per la sorveglianza dei dati sugli abbonamenti al trasporto pubblico
Con un recente comunicato il Garante Privacy ci informa di aver dato parere positivo all’invio telematico dei dati sugli abbonamenti ai mezzi pubblici all’Agenzia delle Entrate. La comunicazione dei dati degli abbonamenti di tutti i cittadini italiani sarebbe propedeutica alla compilazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Le comunicazioni saranno facoltative per soggetti pubblici e privati peri periodi d’imposta 2023 e 2024 e poi obbligatorie a partire dal periodo d’imposta 2025 e riguardano i trasporti locali, interregionali e regionali.
Certo, è strano però che il Garante non abbia sollevato alcuna contestazione a questa comunicazione massiva di dati, considerando che non più di tre anni fa criticava duramente lo schema dell’Agenzia delle Entrate per la fatturazione elettronica, adducendo proprio l’enorme potere informativo e di profilazione derivante dall’accentramento di dati:
prevedono la profilazione di tutti i contribuenti, anche minori d’età, e […] si ritiene invece necessario, attesi i rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati approfondire separatamente l’istruttoria al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione, al fine di individuare idonee garanzie…1
In ogni caso, sono certo che col parere positivo del Garante non ci sarà alcun rischio e potremo dormire sonni tranquilli, consapevoli che è tutto per il bene comune.
Anche Privacy Chronicles ha ricevuto parere positivo dal Garante Privacy. No, non è vero. Ma è un bene o un male?
Per fortuna ci protegge anche da ChatGPT, perché quello sì che è pericoloso.
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A New York arrivano i robot spioni
La polizia di New York si è recentemente dotata di alcuni giocattoli tecnologici che entreranno presto a far parte dell’armamentario dei buoni agenti impegnati a preservare la sicurezza della città2.
Saranno due robot diversi, che fanno cose diverse. Ci sarà “Digidog”, chiamato anche Spot, che aiuterà gli agenti a gestire situazioni pericolose evitando di mettere a repentaglio la loro vita. Spot è un robot-cane di cui si parla da molti anni, sviluppato da Boston Dynamics — azienda molto famosa nel campo della robotica.
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Spot è probabilmente tra i robot più avanzati al mondo e può fare un sacco di cose, come andare in ricognizione con telecamere e sensori vari. Pare che secondo il Sindaco sia cruciale per mantenere la città sicura:
The robotic mobile K-9 device is part of a number of technological rollouts the city said is "crucial" in keeping the city safe.
Viene da chiedersi quali siano state le valutazioni sulle quali hanno deciso che adottare un robot-cane fosse assolutamente fondamentale per la sicurezza della città. Data l’utilità cruciale di Spot, dobbiamo aspettarci che i pastori tedeschi delle unità cinofile saranno presto sostituiti da questo gran bel pezzo di (costosa) tecnologia?
Il secondo pezzo è invece più goffo ma decisamente più spione di Spot. Si chiama K5 Autonomous Security Robot (ASR) ed è letteralmente una cabina mobile di sorveglianza che grazie all’intelligenza artificiale potrà anche riconoscere potenziali minacce alla sicurezza pubblica. Dicono che verrà usato in campus, centri commerciali e altri luoghi strategici che hanno bisogno di più sorveglianza. C’è sempre bisogno di più sorveglianza, no?
Sicuramente servirà un po’ di tempo per abituarsi a queste presenze, ma non ho dubbi che i buoni cittadini di New York ne saranno in grado. D’altronde, i loro cugini cinesi sono già ben abituati da tempo a vedere girare in città robot automatizzati per la sorveglianza di massa. Però hey, è per la nostra sicurezza.
Anche Roma si dà all’espropriazione digitale
Dopo Venezia, Milano e Bologna, anche a Roma arriva il virus dell’espropriazione digitale. Secondo la Presidente del I Municipio di Roma il turismo deve essere limitato; Roma non può essere un dormitorio per turisti. Strano, considerando che fino a qualche tempo fa tutti ci raccontavano di come il turismo fosse l’oro dell’Italia.
In ogni caso, la soluzione espropriativa è molto semplice e sempre la stessa: codici identificativi, piattaforme digitali, limiti agli affitti e all’apertura di B&B, monitoraggio continuativo. Secondo la Bonaccorsi infatti è necessario e assolutamente urgente obbligare i “portali online e i motori di ricerca a pubblicare solo annunci delle strutture dotate di codice identificativo rilasciato dal comune”.
C’è da dire che rispetto al Sindaco di Venezia almeno non ha ancora minacciato gli abitanti di ritrovarsi il picchetto di agenti della guardia di finanza h24 davanti al portone di casa.
Ma non lamentatevi: lo fanno per il vostro bene.
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“The world, viewed philosophically, remains a series of slave camps, where citizens – tax livestock – labor under the chains of illusion in the service of their masters.”
Stefan Molyneux
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2 months ago · 8 likes · 2 comments · Matte Galt
Leo
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