Salta al contenuto principale



L’Iran tra Russia e Turchia


L'Iran si sta muovendo in tutte le direzioni per rafforzare le collaborazioni economicamente strategiche e politicamente lungimiranti. Turchia e Russia in testa

L'articolo L’Iran tra Russia e Turchia proviene da L'Indro.



Ucraina – Russia: il cibo come arma


Quando la scorsa settimana la Russia ha bombardato il porto di Odessa, non è stato un inizio di buon auspicio per il nuovo accordo sulle esportazioni di grano. Se qualcuno credeva che questo accordo tra Mosca e Kiev avrebbe avuto qualche effetto positivo di ricaduta sulla guerra che si estendeva altrove in Ucraina, l’esercito russo [...]

L'articolo Ucraina – Russia: il cibo come arma proviene da L'Indro.



Iraq sull’orlo della violenza politica estesa


I sostenitori di Muqtada al-Sadr pronti a incendiare il Paese se in Parlamento non dovessero trovare ascolto. Alla base lo scontro tra sciiti affiliati all'Iran e quelli di al-Sadr

L'articolo Iraq sull’orlo della violenza politica estesa proviene da L'Indro.




Poesis - Vietri sul Mare 2022, VIII edizione del concorso internazionale di poesia per le studentesse e gli studenti degli Istituti di secondo grado. Gli elaborati devono essere inviati entro il 31 luglio.

Info ▶️ miur.gov.



Russia – Corea del Nord: tra sanzionati ci si aiuta


Probabile l'approfondimento dei legami diplomatici, economici e forse anche militari tra la Corea del Nord e la Russia

L'articolo Russia – Corea del Nord: tra sanzionati ci si aiuta proviene da L'Indro.



Pubblicare online un nuovo sito Internet: le fasi fondamentali


Come si mette in rete un nuovo sito Internet? Oggi la pubblicazione online di un sito web è decisamente meno complessa rispetto al passato, anche chi non ha competenze in fatto di programmazione può realizzare quest’obiettivo, andiamo dunque a scoprire cosa è necessario. L’acquisto di dominio e hosting Partiamo dagli elementi imprescindibili per la realizzazione [...]

L'articolo Pubblicare online un nuovo sito Internet: le fasi fondamentali proviene da L'Indro.



Afghanistan: il ghiaccio sta cominciando a sciogliersi tra USA e talebani?


Questa settimana si sono verificati due incontri per affrontare le relazioni dei talebani con il mondo. Il primo è avvenuto a Tashkent, in Uzbekistan, tra inviati internazionali (compresi gli Stati Uniti) in Afghanistan e vari funzionari talebani. Il secondo è stato un incontro tra una delegazione guidata da un importante studioso islamico del Pakistan e [...]

L'articolo Afghanistan: il ghiaccio sta cominciando a sciogliersi tra USA e talebani? proviene da L'Indro.



L’eccellenza tecnologica dell’Ucraina è fondamentale nella guerra contro la Russia


L’invasione russa dell’Ucraina è giunta al suo sesto mese e non si vede la fine di quello che è già il più grande conflitto europeo dalla seconda guerra mondiale. Nei mesi successivi allo scoppio delle ostilità il 24 febbraio, il coraggio della nazione ucraina si è guadagnato l’ammirazione in tutto il mondo. Molti osservatori internazionali [...]

L'articolo L’eccellenza tecnologica dell’Ucraina è fondamentale nella guerra contro la Russia proviene da L'Indro.



LARES2, un satellite romano per mettere alla prova le leggi di Einstein


A guardarlo in laboratorio prima della partenza, appariva solo una palla di nichel assai lucida, di meno di mezzo metro di diametro. Ma con tantissima tecnologia italiana, volata nello spazio con il lancio inaugurale di Vega C. È LARES2, il secondo satellite realizzato per la misura di precisione dell’effetto di trascinamento dei sistemi inerziali (frame-dragging), [...]

L'articolo LARES2, un satellite romano per mettere alla prova le leggi di Einstein proviene da L'Indro.



Grande partecipazione delle scuole del primo ciclo di tutta Italia al concorso di idee “La scuola per la Mascotte di Milano Cortina 2026”, promosso dal Ministero dell’Istruzione con la Fondazione Milano Cortina 2026.


#Scuola, disponibili sul sito del Ministero i dati relativi agli esiti degli scrutini delle scuole secondarie di primo e di secondo grado. In crescita i promossi della scuola del primo grado.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.



Ritratto in piedi di Gianna Manzini


Questo libro, vincitore del premio Campiello nel ’71, è in pratica l’ultima opera di Gianna Manzini, scrittrice italiana “scoperta” da Eugenio Montale. Il romanzo, dedicato alla memoria del padre, riconduce il lettore ai conflitti sociali del primo Novecento in Toscana.

iyezine.com/ritratto-in-piedi-…



Avversari non nemici


Giorgia Meloni e il fascismo 11 giugno 1984. Passò a miglior vita Enrico Berlinguer. Due giorni più tardi ai funerali parteciparono un milione di cittadini. Al feretro del segretario del Pci, tra lo stupore dei presenti, giunse anche Giorgio Almirante. Il

Giorgia Meloni e il fascismo


11 giugno 1984. Passò a miglior vita Enrico Berlinguer. Due giorni più tardi ai funerali parteciparono un milione di cittadini. Al feretro del segretario del Pci, tra lo stupore dei presenti, giunse anche Giorgio Almirante.

Il 22 maggio 1988. Fu la volta del leader del Msi. Alle esequie gli resero onore Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta. Sono trascorsi più di trent’anni. Un’altra epoca, altri uomini, un’altra politica. Ma soprattutto, un’altra dignità della politica. Fatta di riconoscimento reciproco, di avversarie non di nemici.

Qualche sera fa, dopo un tweet della Fondazione Einaudi, mi è tornato alla mente questo episodio, alto, della storia politica italiana. Al solo affermare che Giorgia Meloni non possa essere chiamata fascista, attacchi sistematici – e a tratti violenti– si sono abbattuti sul profilo social della Fondazione che ho l’onore di presiedere.

Non scrivo per trovar conforto. Ho spalle sufficientemente larghe e conosco bene le perversioni della propaganda pre-elettorale e il fenomeno dei troll. Vorrei semmai riflettere sulla degenerazione che ci avvolge e di cui anch’io mi sento parte. Da liberale, condivido poco o nulla del programma di FdI.

Mi separano la visione del mercato, l’idea di Europa, la prospettiva del rapporto individuo-autorità. Credo nella concorrenza, come motore di progresso e benessere. Giorgia Meloni difende i balneari e i tassisti. Credo nel processo di integrazione europea e in istituzioni sovranazionali con più poteri. Fratelli d’Italia chiede maggiore sovranità nazionale. Mi riconosco in Alde, gruppo liberale al Parlamento europeo. Il leader di FdI è il presidente dei Conservatori.

La divisione non potrebbe essere più netta. Le differenze radicali che vi sono tra noi, tuttavia, non mi impediscono di riconoscere dignità alla sua proposta politica e anche ai progressi che ha fatto in questi anni. Durante l’ultimo trentennio, straziati dalla fictio cdx-csx, ci siamo buttati addosso fango e ingiurie. Comunisti! Fascisti! Le pseudo-coalizioni si sono rette sulla paura dell’altro.

Forse è giunto il momento di dire basta. Basta alla semplificazione e alla demonizzazione dell’avversario politico. Torniamo al pluralismo delle idee e al rispetto reciproco. Giorgia Meloni è una fascista? Sicuramente no. E tuttavia, a quel 24% di cittadini italiani che credono nella destra italiana, evidentemente delusi dalle scelte effettuate nelle ultime legislature, vorrei dire che i dazi doganali metterebbero in ginocchio il nostro settore produttivo, conducendo a licenziamenti e povertà.

Vorrei spiegar loro che meno Europa significa meno diritti, meno pace, meno progresso, meno ricchezza per tutti. Se in molti Paesi occidentali avanza una destra statalista e sovranista, il liberalismo ha il dovere di essere critico con sé stesso e riflettere sulle sue esternalità negative.

Spieghiamo ai cittadini perché credere nelle proposte liberali. Molto semplicemente, è il gioco della democrazia. E comunque, Giorgia Meloni non è fascista. Fatevene una ragione.

La Ragione

L'articolo Avversari non nemici proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



F-35 italiani alle esercitazioni israeliane “Lightning Shield”


Dieci giorni fa una delegazione militare israeliana è stata ricevuta a Roma dove si è incontrata con il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano L'articolo F-35 italiani alle esercitazioni israeli

di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 28 luglio 2021 – Quattro cacciabombardieri F-35 dell’Aeronautica militare italiana sono in Israele per partecipare a una complessa esercitazione aerea nel deserto del Negev con i velivoli “cugini” delle forze armate israeliane utilizzati nei bombardamenti in Siria.

Il comando dell’Israeli Air Force ha reso noto che martedì 23 luglio ha preso il via nel sud di Israele l’esercitazione bi-nazionale Lightning Shield (letteralmente Scudo di Fulmine). Le attività addestrative avranno la durata di una settimana e vedono la partecipazione di un imprecisato numero di cacciabombardieri F-35I “Adir” del 118th Lions dello Squadrone Sud e del 140th Golden Eagle Squadron dell’Aeronautica israeliana e quattro caccia F-35 del 13° Gruppo Volo del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di stanza nello scalo aeroportuale di Amendola (Foggia). Tutti i velivoli sono stati trasferiti nella base aerea di Nevatim (denominata in codice Air Force Base 28), localizzata nei pressi della città di Be’er Sheva nel deserto del Negev.

All’esercitazione partecipa anche il 122nd Nachshon Squadron israeliano, reparto d’eccellenza delle più moderne guerre elettroniche, che opera con gli aerei “Gulfstream G-500” nelle tre varianti Eitam (CAEW) Shavit (intelligence) e Oron (l’ultima acquisita dall’Israeli Air Force che ha enormemente potenziato le capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento). Come sottolinea il sito specializzato The Avionist, gli italiani “hanno una grande familiarità con questi aerei dato che l’Aeronautica militare utilizza la variante CAEW”. Tra l’altro proprio un Gulfstream G-500 del 14° Stormo di Pratica di Mare, con una sofisticata apparecchiatura elettronica a bordo di produzione israeliana, viene impiegato quasi con frequenza quotidiana per operazioni top secret nel Mar Nero e in Est Europa dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.

“L’esercitazione Lightning Shield rappresenta una pietra miliare nella continua collaborazione tra le nostre forze armate, mentre rafforza il legame unico tra le nostre nazioni”, riporta in un tweet l’Aeronautica israeliana. “Essa contribuirà inoltre a migliorare le competenze dell’F-35 “Adir” e a espandere le sue capacità a possibili scenari operativi”. L’Israeli Air Force non fornisce altri particolari sulle finalità addestrative di Scudo di fulmine, ma come rileva ancora The Avionist è prevedibile che l’esercitazione sia stata pianificata in vista dell’impiego dei cacciabombardieri in “un’ampia varietà di teatri operativi”, dato che l’F-35 è considerato “un aereo multiruolo contro differenti minacce aeree e terrestri avanzate”.

La versione “Adir”, nota anche come The Mighty One (Il Potente) è unica nel suo genere tra i cacciabombardieri F-35 di quinta generazione adottati da nove paesi e che sono in grado di svolgere gli strike con armi nucleari. Israele ha sottoscritto un accordo con Lockheed-Martin, l’holding statunitense che ha prodotto i velivoli da guerra, per ottenere modifiche specifiche all’architettura del caccia, ai sistemi di comunicazione e intelligence e alle suite per la guerra elettronica, con l’aggiunta di pod per il lancio di missili aria-aria.

“Fino ad oggi Israele rimane l’unica nazione che ha utilizzato l’F-35 Lightning II in operazioni di combattimento”, scrive l’analista Maya Carlin del Center for Security Policy di Washington. “Nel 2018 I’Aeronautica militare israeliana ha impiegato la sua flotta di F-35I Adir per portare a termine una serie di attacchi aerei in Siria. Il generale Amikam Norkin ha inoltre dichiarato che l’Israeli Air Force sta volando con gli F-35 in tutto il Medio oriente e ha anche attaccato un paio di volte in due differenti fronti, senza però aggiungere altri dettagli”.

Sempre secondo l’analista Maya Carlin, anche se Israele non ammette che Lightning Shield è diretta contro le minacce che potrebbero giungere dall’Iran, è “però certo che l’Aeronautica vuole perfezionare le capacità necessarie a potenziali situazioni di guerra con il principale paese nemico”. Carlin aggiunge che lo scorso mese di maggio Israele ha svolto un’esercitazione lunga un mese in cui sono stati simulati attacchi contro l’Iran con l’impiego di armi nucleari. “L’attività addestrativa congiunta israelo-italiana Lightning Shield svilupperà ulteriormente e perfezionerà le qualità dei caccia dell’Israeli Air Force”, conclude l’analista del Center for Security Policy.

Nel giugno 2021 sei cacciabombardieri F-35 israeliani hanno partecipato all’esercitazione aeronavale Falcon Strike nei cieli dell’Italia meridionale, congiuntamente ai velivoli di guerra delle aeronautiche di Italia, Stati Uniti d’America e Regno Unito. I velivoli dell’Israeli Air Force furono trasferiti ad Amendola insieme ad alcuni cacciabombardieri F-16 A/B del 116th Squadron e a un G550 del 122th Squadron. Falcon Strike ha avuto come obiettivo centrale “l’integrazione degli aerei da guerra di quarta e quinta generazione così come lo sviluppo della cooperazione tra le forze aeree partner per sviluppare l’interoperabilità durante le operazioni”, come ha riferito lo Stato maggiore dell’Aeronautica italiana.

Lightning Shield prende il via nel Negev dieci giorni dopo la visita in Italia di una delegazione del ministero della difesa israeliano guidata dal generale Amir Eshel, direttore generale del ministero della difesa, già comandante in capo dell’Aeronautica militare dal 2012 al 2017. A Roma gli israeliani si sono incontrati in particolare con il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano. “Gli incontri si sono svolti in un clima di reciproca stima e collaborazione e hanno permesso di consolidare ulteriormente le già eccellenti relazioni in atto tra Italia e Israele, con particolare riferimento al rafforzamento della cooperazione industriale, attraverso la condivisione di nuove aree di collaborazione da sviluppare con il pieno coinvolgimento delle rispettive Forze Armate”, scrive l’ufficio stampa della Difesa. “Il costante dialogo strategico tra le parti ha inoltre permesso di confrontarsi in modo schietto, sincero e proficuo sul tema delle sfide imposte dagli attuali scenari di crisi internazionale e sul contesto in cui le parti intendono cooperare”. Pagine Esteri

L'articolo F-35 italiani alle esercitazioni israeliane “Lightning Shield” proviene da Pagine Esteri.


pagineesteri.it/2022/07/28/med…



IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento


Sono per la maggior parte sostenitori del leader sciita al-Sadr e protestano contro la nomina a PM del capo dello schieramento rivale L'articolo IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2022/07/27/in-

Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Un gruppo di manifestanti è entrato, qualche ora fa, nella zona protetta del parlamento iracheno a Baghdad, dove risiedono anche le missioni diplomatiche estere.

I manifestanti, sostenitori del leader sciita Muqtada al-Sadr, protestano contro la nomina a primo ministro del leader del blocco avversario, Mohammed Shia al-Sudani, filo-iraniano.

Nonostante sia stata la coalizione di Muqtada al-Sadr ad aggiudicarsi il maggior numero di seggi in parlamento (73 su un totale di 329), il leader sciita non è riuscito a trovare i numeri necessari alla formazione di un nuovo governo. Lo stallo prosegue ormai da 10 mesi.

Il Primo Ministro, Mustafa al-Kadhimi si è rivolto ai manifestanti, intimandogli di lasciare immediatamente il perimetro del parlamento, una zona normalmente inaccessibile. Il primo Ministro ha anche dichiarato che le forze speciali non esiteranno ad utilizzare i mezzi necessari per sgomberare l’area, qualora il suo appello dovesse cadere nel vuoto.

I manifestanti sono centinaia e molti di loro portano tra le mani fotografie del leader sciita Muqtada al-Sadr, che qualche settimana fa è uscito dal Parlamento, assieme ai suoi deputati, in segno di protesta.

La spaccatura tra forze sciite pro Iran e quelle vicine a Al Sadr rischia di portare il paese alla guerra civile

L'articolo IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento proviene da Pagine Esteri.

whysofurious reshared this.



ANALISI. Russia-Ucraina. La guerra potrebbe durare anni tra obiettivi russi, muro ucraino e interessi Usa mi


Compromesso lontano. Arduo stabilire se l’obiettivo strategico di Putin sia solo il Donbass o il ricongiungimento verso la Transnistria con la nascita della “Novorussia”. Dell’Ucraina occorre capire cosa sia disposta a cedere qualcosa. Mentre Biden lavora

di Danilo Della Valle

Pagine Esteri, 18 luglio 2022 – Sono ormai trascorsi più di 4 mesi dal 24 Febbraio 2022, data di inizio della guerra “russo-ucraina” e, di pari passo, del confronto sul campo tra Mosca e l’Occidente. Dopo un primo periodo di smarrimento delle opinioni pubbliche mondiali e degli analisti sulle mire della Russia, pian piano il quadro si fa più chiaro. Nel frattempo a Mosca e Kiev le rispettive propagande fanno il proprio lavoro, “egregiamente”, da un lato raccontando l’imminente avanzata russa, senza alcun tipo di difficoltà, per difendere il “russkii mir” (il mondo russo), dalla parte di Kiev si racconta di un quasi collasso russo, a corto di provviste e armi, di una quasi pronta controffensiva ucraina per riprendersi tutti i territori conquistati dalla Russia, Crimea compresa, e varie altre storie più o meno “fantasiose”, riprese anche dalla stampa occidentale.

A proposito della stampa occidentale, dall’inizio del conflitto gran parte dei media hanno scelto più che di raccontare la guerra di propagandare le veline di Kiev, di fatto comportandosi come informazione di Paese in guerra. Eppure se nelle prime fasi della guerra, a prescindere dalle posizioni politiche, la narrazione era tutta concentrata su assunti di dubbia provenienza, tipo quelli secondo cui la Russia avesse scorte per soli tre giorni o che l’Ucraina sarebbe potuta arrivare fino in Russia infliggendo sconfitte su sconfitte a Mosca, oggi, pian piano, si sta scoprendo che al contrario la guerra di logoramento russa, fatta per lo più di artiglieria, una delle più potenti al mondo, rosicchia giornalmente pezzetti di territorio ucraino, soprattutto nella parte del sud est e nel Donbass, obiettivo minimo, secondo molti, dichiarato da Putin.

Per capire meglio il conflitto in atto sono almeno due gli scenari da analizzare: Il primo è sicuramente quello geopolitico.

Questo è un punto da cui si deve partire per capire bene quel che accade oggi. Alla caduta dell’Unione Sovietica e con la fine del bipolarismo si aprì inevitabilmente una nuova fase sia per la Federazione Russa che per il mondo intero. Dal punto di vista della politica interna la Russia, e tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico, si trovarono a transitare verso una economia di mercato (con tutti i pro, per pochi, e contro, per tanti) e una transizione molto più veloce del solito al sistema “democratico”, senza alcun passaggio intermedio. Fu una fase difficilissima per la Russia anche dal punto di vista geopolitico che di fatto perse il suo ruolo storico di “potenza”. Mentre in un primo momento diversi analisti statunitensi si chiedevano se fosse necessario pensare a favorire uno sfaldamento della Federazione Russa in tante repubbliche, facendo leva sulle spinte separatiste di alcune regioni del Caucaso e di alcune minoranze etniche(tesi ripresa a Varsavia nel Maggio 2022 durante il forum delle libere nazioni di Russia), alla fine si optò per cercare di integrare la Russia nel mondo Occidentale con un ruolo molto più marginale. Tuttavia la Russia non fu mai integrata a pieno regime nell’Occidente liberale e fu relegata sempre ad un ruolo secondario, trattata con una visibile diffidenza. Eppure con la vicina Europa la Federazione russa ha cercato, tra alti e bassi, punti di incontro politico ed economico, con l’Accordo per la partnership e la cooperazione (PCA), entrato in vigore già nel 1997, che prevedeva due vertici all’anno e un Comitato per la cooperazione. Dal 2003 poi anche con un Consiglio permanente per la partnership, di carattere prevalentemente politico.

Con la Russia degli anni novanta e inizio duemila relegata senza troppe possibilità di reagire ad un ruolo secondario nello scacchiere internazionale, l’espansione della Nato è stato sicuramente un fattore importante, non l’unico, nel mantenere alta la tensione nella zona. Già nel 1993 l’allora Presidente russo Boris Eltsin, grande amico degli Stati Uniti, aveva ammonito il suo omologo statunitense, Bill Clinton, di come dalle parti del Cremlino si stessero preoccupando per le intenzioni di Polonia e Repubblica Ceca di aderire alla Nato. Proprio a proposito della Nato Il 20 Giugno 1997 l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, all’epoca senatore, dichiarava

[1]“Se mai esistesse qualcosa in grado di stravolgere i rapporti fra NATO e Russia, provocando una reazione vigorosa e ostile, non intendo per forza militare, questo sarebbe l’ammissione dei Paesi Baltici nella NATO”. Dalla dichiarazione dell’attuale Presidente all’effettività della stessa passò poco tempo. Il 24 Febbraio 2022 il quotidiano tedesco Der Spiegel in un articolo “ha ragione Putin?” [2] poneva l’accento sul fatto che vi fossero accordi tra Usa e Urss affinché la Nato non avesse cercato l’espansione ad est. A tal proposito, come riporta Sergio Romano nel suo “atlante delle crisi mondiali”, è utile la testimonianza dell’ex ambasciatore Usa in Urss Jack Matloch, che in un’intervista rilasciata nel 2007 al Corriere della Sera si espresse così sulle famose “promesse” mai trascritte dell’Occidente all’allora Unione Sovietica: “Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola. Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro, e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte dell’Alleanza”.

[3]La situazione poi è pian piano cambiata negli anni 2000. Il primo Putin aveva sempre puntato ad una Russia “parte della famiglia europea”, ispirandosi pur tra tante difficoltà interne al tipo di sviluppo classico del capitalismo liberista, con tutti i pro, per pochi, e contro per tanti, e cercando di prendere un “posto al sole” per la Russia nello scacchiere internazionale occidentale. Significava quindi accettare il nuovo ordine venuto fuori dalla fine della Guerra Fredda. Tutto cambiò repentinamente nel 2008 dopo che per diverso tempo le richieste russe furono quasi del tutto ignorante.

L’avvertimento finale all’Occidente il presidente russo Putin lo lanciò nel febbraio 2008, alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, ammonendo la visione del mondo “unipolare” e l’allargamento della Nato e criticando l’approccio “unilaterale” degli Usa sulle maggiori questioni dell’agenda mondiale. Putin di fatto avvertì che la Russia aveva delle linee rosse (Ucraina, Bielorussia e Georgia). Ecco, da Monaco in poi la Russia ha ripreso attivamente ad avere una politica estera volta a prendersi un posto da superpotenza nel mondo multipolare che si andava costituendo, di tanto in tanto intervenendo anche nei conflitti regionali come in Africa, Siria e/o nelle sue zone di influenza più vicine come Georgia e Donbass, probabilmente tornando a sognare “un ritorno al grande Impero o alla superpotenza di un tempo”. Inoltre dopo un certo periodo di avvicinamento della Russia all’Europa, con la guerra in atto, il Cremlino sta via via dirottando tutte le sue partnership a Oriente e verso i Brics, che nonostante non abbiano obiettivi politici e strategici totalmente comuni, se non quello della de-dollarizzazione dei mercati finanziari, continuano ad essere attrattivi per altri Paesi che chiedono di entrare a far parte del gruppo, come ultimamente hanno fatto Argentina e Iran.

1945544

Tuttavia la Russia oggi non può essere considerato il nemico principale della Nato dal punto di vista geopolitico, nonostante sia ancora dichiarata tale nell’ultimo Strategic Concept della Nato. La vera sfida della Nato è, come dichiarato nell’ultimo documento appunto, la Cina, con la quale probabilmente si aprirà una “partita” dopo aver risolto la questione Russia, che non vuol dire per forza aspettare la Pace o la fine della guerra, ma probabilmente andrebbe bene anche uno scenario di sirianizzazione del conflitto russo-ucraino con allontanamento, già avvenuto, della Federazione Russa dall’Europa.

Il secondo punto che va analizzato e confrontato con quello geopolitico è sicuramente quello della situazione interna Ucraina. Con l’entrata in scena della Russia la guerra è passata da una guerra civile ad un conflitto tra Paesi, con l’intervento almeno a livello di intelligence e di armi di diverse potenze occidentali. La guerra “strategica”, su larga scala quindi, vede l’Ucraina terreno di scontro tra Russia e Stati Uniti. La Russia vede il confronto come una possibilità di riconquistare l’influenza passata e rivitalizzare nell’opinione pubblica interna il patriottismo o nazionalismo imperiale (sentimenti entrambi esistenti in buon numero nella società russa), gli Stati Uniti invece pensano a due possibili opzioni; stancare la Russia e renderla più debole sul piano politico militare, rafforzando magari la presenza Nato nella zona, e allontanarla dall’Europa soprattutto in un’ottica futura di apertura del “fronte cinese” che toglierà diverse energie e risorse agli Usa. Che la guerra nella “terra di confine” possa essere una guerra tra Russia, sul campo da febbraio, e Usa, per procura, non significa che gli Ucraini siano semplici “oggetti” degli avvenimenti e non “soggetti”.

Dall’inizio del golpe di Maidan del 2014 la divisione della società ucraina tra est e ovest si è fatta via via più importante fino a sfociare nell’inizio della guerra civile che ha poi visto progressivamente la formazione delle forze separatiste da una parte, quella orientale, finanziate dai russi, ma non del tutto appiattite agli interessi russi e pronte a chiedere l’indipendenza del Donbass, e le forze lealiste dall’altra parte, quella occidentale, formate dall’esercito, che nel 2014 chiamò la guerra in Donbass “Operazione Speciale antiterrorismo”, e da una serie di milizie di ispirazione nazionaliste e/o naziste (Aidar, Azov, Donbass etc etcetera) molto spesso alle dipendenze di oligarchi locali. Tuttavia la situazione politica Ucraina, che fino al 2014 aveva affrontato diverse crisi, era stata sempre in grado di rientrare nei ranghi. Certo la divisione tra i due “mondi” è sempre stata abbastanz evidente, dal punto di vista elettorale: basti guardare il grafico delle ultime elezioni prima del Maidan, quindi 2010, e si può notare come il fiume Dnepr oltre a dividere in due il Paese geograficamente lo dividesse anche elettoralmente. Dopo il 2014 ovviamente la situazione di un Paese che stava affrontando, come tutti i Paesi del blocco post sovietico, il passaggio alla democrazia di stampo liberale, almeno sulla carta, è precipitata.

Oggi con la guerra in corso le divisioni della guerra civili, nonostante ufficialmente le si nasconda, sono più frequenti di quel che si pensa. L’8 giugno un servizio sul campo di Sky tg24 poneva l’accento sulla questione dei collaborazionisti filorussi presenti in tutta l’Ucraina (nel servizio in particolare si parlava anche di Bucha), in cui si diceva come fosse molto frequente il fenomeno, di ucraini che segnalavano ai russi gli obiettivi militari da colpire. Nelle interviste fatte a diversi militari ucraini si segnalava anche la durezza con la quale i militari intervenissero per punire i collaborazionisti (che comunque ci sono anche sul versante opposto) [4].

Quando il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio parla di guerra tra una democrazia, quella ucraina, e una dittatura sbaglia di grosso, basterebbe leggere un report Ocse, HRW o di Amnesty International[5][6][7] [8]. Non si può parlare di Ucraina come una democrazia compiuta, tuttalpiù si può dire, come per gli altri Paesi della zona, di una democrazia giovane con sfumature più o meno autoritaria, per molti di essi pericolosamente autoritarie. Basti pensare che nell’Ucraina post Maidan diverse sono le denunce di organismi internazionali riguardo le torture verso le migliaia prigionieri politici[9], decine sono state le uccisioni di giornalisti e politici[10]non in linea con il pensiero del governo[11]. E lo stesso per quanto riguarda la libertà di espressione e l’agire politico nel Paese. Se subito dopo il Maidan fu messo fuori legge il Partito Comunista Ucraino e smantellato il Partito delle Regioni (partito dell’ex Presidente Yanukovich che alle elezioni parlamentari raggiungeva la soglia del 30%), con lo scoppio della guerra sono stati messi al bando altri 11 partiti di opposizione.[12] Lo stesso discorso vale per i media, gli assalti ai media definiti “pro russi” dal 2014 sono stati centinaia e il governo ha chiuso diversi canali televisivi regionali e nazionali, accusati di essere filorussi, tra cui i 3 tra i maggiori canali televisivi nel febbraio 2021.[13] Questo significa che in un Paese così polarizzato è difficile parlare di democrazia. Ciò non vuole negare il diritto degli Ucraini a difendersi dall’invasione russa, ma è a volte utile non usare doppi standard di valutazione, soprattutto se non si è, almeno sulla carta, cobelligeranti.

1945546

Intanto la catastrofe umanitaria giornalmente diventa sempre più imponente. Oltre alle migliaia di morti militari sono migliaia i morti civili sotto i bombardamenti: Negli ultimi giorni i bombardamenti russi hanno raggiunto Vynnitsia, nell’ucraina centrale, e Nikolaev, causando la morte di più di 30 civili, mentre bombardamenti ucraini hanno raggiunto nelle ultime settimane edifici civili e la stazione degli autobus a Donetsk, Stakhanov e Izum causando diversi morti. Al di là degli obiettivi tattici, che possono cambiare a seconda delle battaglie sul campo, e che per ora vedono un’avanzata russa nella parte sud est del Paese, con gran parte del Donbass preso, e una ripresa di altri territori sia nelle vicinanze di Kherson che nel centro nord del Paese da parte ucraina, prevedere come e quando finirà questa guerra è difficile perché gli scenari cambiano costantemente e non è facile stabilire se l’obiettivo strategico di Putin sia solo il Donbass, il ricongiungimento verso la Transinistria con la nascita della “Novorussia” o addirittura tutta l’Ucraina. Secondo il bollettino dell’intelligence britannica del 15 luglio, le forze russe continuano attacchi di artiglieria e, in qualche caso, assalti di piccole compagnie (delle forse speciali cecene soprattutto) senza però avanzare significativamente su obiettivi importanti e che dopo la conquista da parte russa di Lysychansk l’offensiva si sia ridotta. Sempre secondo bollettini britannici però la prospettiva per più ampi colloqui finalizzati alla conclusione delle ostilità rimane bassa. Questa possibilità è difficile da stabilire soprattutto perché si deve capire quali sono gli obiettivi russi, cosa è disposto a cedere l’Ucraina e cosa hanno intenzione di fare Usa e Ue. Qualche settimana fa il capo dell’intelligence Usa, Avril Haynes ha affermato che Putin “abbia gli stessi obiettivi politici che avevamo noi, ossia la conquista della maggior parte dell’Ucraina”[14]. Ecco, se così fosse la guerra potrebbe durare anni e/o allargarsi ulteriormente. Potrebbe durare anni perché innanzitutto l’esercito ucraino è molto numeroso, se consideriamo i riservisti e la legge marziale che vige ora, ben armato e ben addestrato visto che negli ultimi otto anni hanno avuto addestratori occidentali e hanno combattuto sul campo in Donbass. Inoltre se questo dovesse essere l’obiettivo finale, anche se ufficialmente la Russia ha sempre negato di voler occupare e restare in Ucraina, ciò significherebbe un dispendio di energie, risorse e vite umane non indifferenti da ambo le parti.

Per quanto riguarda invece l’Ucraina, bisogna capire cosa sia disposta a cedere e se lo è. Ad oggi il presidente ucraino dice di preparare una controffensiva che permetterà a Kiev di riprendersi il Donbass e anche la Crimea. È chiaro che tornare indietro alla condizione pre 24 febbraio risulta quasi impossibile. L’Ucraina ha “perso” l’ultima possibilità di avere la sovranità su tutto il territorio quando il 19 Febbraio il Presidente Zelensky rifiutò la proposta del cancelliere Scholz di rinunciare alla Nato, dichiarare la neutralità e lavorare per il rispetto degli accordi di Minsk II che prevedevano tra l’altro l’autonomia del Donbass all’interno dello Stato ucraino. Anche in questo caso ci sarebbe poi da mettere in conto la situazione interna. Se Zelensky avesse accettato le condizioni pre 24 febbraio probabilmente avrebbe avuto comunque grossi problemi interni con i battaglioni ultranazionalisti e nello stesso Donbass non si può sapere quanto sarebbero stati disposti ad accontentarsi di un’autonomia e non di una indipendenza. Inoltre poi c’è la Russia che difficilmente sarebbe disposta a tornare al punto di partenza dopo la perdita di decine di migliaia di uomini, mezzi e risorse. Anzi probabilmente più si va avanti e più cambieranno le pretese in fase di trattativa, se mai vi dovesse essere.

In ultimo bisogna capire le mosse degli Usa e dell’Ue. Se gli Usa alternano dichiarazioni di grande sostegno all’Ucraina, fino alla vittoria, a rassicurazioni alla Russia sul non volere un regime change ma di volere una tregua, l’Europa sembra esser uscita fuori dalle trattative. Intanto il vecchio Continente paga, paradossalmente, le sanzioni che ha fatto alla Russia (la quale per il momento le soffre relativamente poco ma che potrebbero avere un impatto molto più forte sulla vita quotidiana delle persone tra qualche mese). L’Europa è intrappolata praticamente in un circolo vizioso. L’aumento dei prezzi dell’energia danneggia l’economia interna, spingendo l’euro al ribasso ai minimi storici. A sua volta, l’euro più debole rende le importazioni di energia più costose. Proprio per le conseguenze dello shock energetico , secondo gli analisti di Bloomberg[15], i Paesi europei hanno rallentato l’assistenza economica all’Ucraina corrispondendo solo 1 miliardo di euro a fronte dei 9 promessi. Inoltre per un’Europa in questo momento politicamente debole con diverse crisi governative interne (Germania, Italia, Estonia, Francia e, fuori dalla Ue, la UK), con un autunno caldo dal punto di vista delle proteste e una situazione economica non certo rosea, c’è da capire quanta sia la voglia continuare sulla strada dello scontro diretto, molto pericoloso, con Mosca rischiando anche un allargamento del conflitto, pericolosamente verso Paesi Nato. E intanto Usa e Mosca si accusano, a giorni alterni, di quanto si stia oltrepassando il limite e si possa arrivare ad una escalation nucleare… Pagine Esteri

[1]Il discorso di Biden al Consiglio atlantico del 1997: “L’espansione Nato agli Stati Baltici provocherebbe una risposta ostile di Mosca” – Il Fatto Quotidiano

[2]https://www.spiegel.de/international/world/nato-s-eastward-expansion-is-vladimir-putin-right-a-

bf318d2c-7aeb-4b59-8d5f-1d8c94e1964d

[3]Sergio Romano, Atlante delle crisi mondiali, pag.248, Rizzoli Editori

[4] tg24.sky.it/mondo/2022/06/06/g…

[5]https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/UA/31stReportUkraine-en.pdf

[6]Ukraine_14th_HRMMU_Report.pdf

[7]https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/ukraine/report-ukraine/

[8]https://www.hrw.org/world-report/2015/country-chapters/ukraine

[9] peacelink.it/conflitti/a/49082…

[10] Kiev allows torture and runs secret jails, says UN | World | The Times

[11] Istantanee dalle prigioni dell’Ucraina “democratica” – Contropiano

[12]https://www.aljazeera.com/opinions/2022/3/21/why-did-ukraine-suspend-11-pro-russia-parties

[13] aljazeera.com/news/2021/2/5/uk…

support

[14]https://www.reuters.com/world/europe/putin-still-wants-most-ukraine-war-outlook-grim-us-

intelligence-chief-2022-06-29/

[15] bloomberg.com/news/newsletters…

economic-pain

L'articolo ANALISI. Russia-Ucraina. La guerra potrebbe durare anni tra obiettivi russi, muro ucraino e interessi Usa mi proviene da Pagine Esteri.



Elezioni 2022: in attesa del programma ‘innovativo’ della destra


Ieri i tre della «destra scalcagnata e illiberale» hanno trovato l'accordo di spartizione dei collegi e premiership. Facciamo un passo indietro sulla crisi

L'articolo Elezioni 2022: in attesa del programma ‘innovativo’ della destra proviene da L'Indro.



Il Nintendo DS. Basta, non serve dire altro; in fondo, tra nintenditori, ci si intende. Una console che, 15 anni fa, ha saputo innovare il mercato con...


IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento


Sono per la maggior parte sostenitori del leader sciita al-Sadr e protestano contro la nomina a PM del capo dello schieramento rivale L'articolo IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2022/07/27/med

Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Un gruppo di manifestanti è entrato, qualche ora fa, nella zona protetta del parlamento iracheno a Baghdad, dove risiedono anche le missioni diplomatiche estere.

I manifestanti, sostenitori del leader sciita Muqtada al-Sadr, protestano contro la nomina a primo ministro del leader del blocco avversario, Mohammed Shia al-Sudani.

Nonostante sia stata la coalizione di Muqtada al-Sadr ad aggiudicarsi il maggior numero di seggi in parlamento (73 su un totale di 329), il leader sciita non è riuscito a trovare i numeri necessari alla formazione di un nuovo governo. Lo stallo prosegue ormai da 10 mesi.

Il Primo Ministro, Mustafa al-Kadhimi si è rivolto ai manifestanti, intimandogli di lasciare immediatamente il perimetro del parlamento, una zona normalmente inaccessibile. Il primo Ministro ha anche dichiarato che le forze speciali non esiteranno ad utilizzare i mezzi necessari per sgomberare l’area, qualora il suo appello dovesse cadere nel vuoto.

I manifestanti sono centinaia e molti di loro portano tra le mani fotografie del leader sciita Muqtada al-Sadr, che qualche settimana fa è uscito dal Parlamento, assieme ai suoi deputati, in segno di protesta.

La spaccatura tra forze sciite pro Iran e quelle vicine a Al Sadr rischia di portare il paese alla guerra civile

L'articolo IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento proviene da Pagine Esteri.



Perdono


Se si chiede perdono si deve anche ammettere le colpe, senza remore, sinceramente, fino in fondo. Bergoglio ha fatto bene a chiederlo per il modo in cui la chiesa che ora lui guida si è comportata con i nativi. Se, però, le questioni di fede e quel che la

Se si chiede perdono si deve anche ammettere le colpe, senza remore, sinceramente, fino in fondo. Bergoglio ha fatto bene a chiederlo per il modo in cui la chiesa che ora lui guida si è comportata con i nativi. Se, però, le questioni di fede e quel che la fede detta non sono materia qui discutibile, diverso è per le questioni storiche e per le ricostruzioni ispirate a pregiudizi non condivisibili.
Tra il 1863 e il 1966 le organizzazioni cattoliche canadesi hanno sottratto ai nativi all’incirca 150mila bambini, per educarli secondo i dettami della fede ecclesiastica. Annesso a una di queste scuole è stato anche rinvenuto un cimitero, segreto, dove i piccoli morti venivano seppelliti. Gli abusi sono stati molti e vergognosi. Non fu, però, un trattamento riservato ai nativi d’America. I gesuiti lo praticavano anche in Italia, rapendo i bambini ebrei. Il piccolo Mortara, in quel di Bologna, fu sottratto con la forza alla famiglia e mai più restituito, semmai educato in seminario e ordinato sacerdote. L’uso della violenza per diffondere la fede intride ancora le mura di non poche sedi vaticane. A Roma, facendo pochi passi, ci si può spostare dal palazzo dove fu processato Galileo a quello in cui si amministrava la propaganda della fede, per giungere alla piazza dove fu arso vivo Giordano Bruno. Di tanto in tanto arrivano richieste di perdono (Wojtyla lo chiese per Galileo), ma nessuno dei richiedenti odierni ha alcuna responsabilità. Ovviamente. Lo chiedono a nome di una istituzione che agisce in continuità, universale e immutabile.
Se è così, però, Bergoglio ha provato a subordinare l’azione della chiesa, e dei gesuiti in particolare, alla volontà dei governi colonialisti. Perdonateci, per essere stati dalla loro parte. Ma la chiesa non era dalla parte del colonialismo, ne era semmai parte. E il colonialismo non è il male incarnato, che scontri per il dominio e schiavitù esistevano anche prima e perdurarono anche distante. L’avere scoperto nuovi continenti non è una colpa. Semmai un merito. Non vorrei che una eventuale associazione colonialisti debba chiedere scusa per non essere riuscita a fermare quanti approfittavano di scoperte e conquiste per convertire a suon di roghi, torture e rapimenti. È un inganno logico: non erano due mondi, ma il medesimo (già travagliato da guerre religiose interne, tanto che si convertiva con la violenza anche per evitare che a farlo fossero, magari civilmente, i protestanti pellegrini, già rinnegati e perseguitati).
Il mondo prima dell’arrivo dei coloni non era una specie di Tahiti à la Gauguin. Semmai è il mondo post Seconda Guerra Mondiale che ha generato filoni anti occidentali che pretendono l’Occidente sia la causa di tutti i mali, pretendendo “migliori” anche costumi e tradizioni che evocando un mondo perso. Senza che tutto il perduto debba essere rimpianto.
In ogni caso, Bergoglio e i suoi predecessori hanno un indiscutibile merito: presentatemi un pope ortodosso che chiede scusa per i domini russi o un monaco cinese che lo faccia per le pulizie etniche dell’impero. Che questo nostro mondaccio non sia poi malaccio lo dimostrano anche le richieste di perdono. Accettabili o meno.

La Ragione

L'articolo Perdono proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Punti di suturaUn rialzo di 75 punti base dei tassi di interesse. Questo è l’annuncio che ci si attende stasera dalla Federal Reserve.


Trattato di Non Proliferazione nucleare: fine corsa non ammesso


Dal 1° al 26 agosto si terrà la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione. L'attuale momento è talmente critico che proprio nella criticità è insita l'opportunità che il vertice porti risultati

L'articolo Trattato di Non Proliferazione nucleare: fine corsa non ammesso proviene da L'Indro.




Manzanar in Palestina: eredità dell’internamento e della pulizia etnica


La Nakba dei palestinesi, la schiavitù e il genocidio dei nativi americani, alla radice della formazione di due Stati: Stati Uniti d'America e Israele

L'articolo Manzanar in Palestina: eredità dell’internamento e della pulizia etnica proviene da L'Indro.



C’è attesa per la ripresa delle esportazioni di grano dopo la firma dell’accordo di Istanbul. Ma Mosca avvisa l’Occidente: “Rimuovere sanzioni a cibo e fertilizzanti russi”.



Ucraina: gli USA, Biden e il nesso tra politica estera e crisi economica


L’agenda dell’amministrazione Biden è in crisi. I problemi del tavolo della cucina, come i prezzi elevati di cibo e gas, nonché un rallentamento economico, stanno minacciando la sua agenda interna. Con prospettive incerte per le elezioni di medio termine, gli sforzi legislativi legati al cambiamento climatico e molte altre questioni sono in pericolo esistenziale. La [...]

L'articolo Ucraina: gli USA, Biden e il nesso tra politica estera e crisi economica proviene da L'Indro.



Argentina: la guerra dei Fernández


Gli scontri tra il Presidente Alberto Fernández e il suo vicepresidente, l'ex Presidente Cristina Fernández de Kirchner, alla luce della crisi economica e del voto 2023

L'articolo Argentina: la guerra dei Fernández proviene da L'Indro.



Russia-Ucraina Vs Vietnam-Cambogia


La Cambogia nel 1975 era una dittatura controllata dagli USA bombardata. ‘Fratello numero uno’, Pol Pot era un nazionalista demente, devoto della rivoluzione culturale di Mao, che riuscì a duplicare per colpa. Vale a dire, milioni di morti, fame di massa e una Kampuchea uber alles megalomane, che sradica non solo i “camminatori capitalisti” ma [...]

L'articolo Russia-Ucraina Vs Vietnam-Cambogia proviene da L'Indro.



Ucraina: e se venisse allargata la rete delle sanzioni ai russi?


Le sanzioni settoriali imposte per l’invasione dell’Ucraina stanno chiaramente danneggiando l’economia russa. Tuttavia, è altrettanto evidente che tali misure sono di natura a lungo termine e non ci si può aspettare che mettano fine all’invasione dall’oggi al domani. Per avere un impatto più immediato, è giunto il momento di considerare di ampliare drasticamente l’applicazione delle [...]

L'articolo Ucraina: e se venisse allargata la rete delle sanzioni ai russi? proviene da L'Indro.



Giustizia: manca la volontà politica per attuare le riforme


È, più di sempre, l’estate dei suicidi in carcere: ufficialmente si è già raggiunto quota quaranta. Gli esperti e gli studiosi concordano, e gli operatori confermano, per l’esperienza quotidiana che vivono giorno dopo giorno: l’estate più di altre stagioni, e la pandemia che non accenna a diminuire accentuano le situazioni di disagio mentale, apprensione ed [...]

L'articolo Giustizia: manca la volontà politica per attuare le riforme proviene da L'Indro.



Il Ministro Patrizio Bianchi ha firmato il decreto di riparto dei tre milioni di euro stanziati con l’obiettivo di ampliare l’offerta formativa dei Licei musicali con corsi extracurriculari a indirizzo jazzistico e nei nuovi linguaggi musicali.


«La democrazia non è a rischio, quello che manca al Paese sono politici davvero capaci» intervista a Sabino Cassese su Il Messaggero


L’ex giudice della Consulta: i cittadini devono valutare i programmi, invece di pensare all’allarme destra Professor Sabino Cassese, le preoccupazioni per la possibilità che Giorgia Meloni vada a Palazzo Chigi le sembrano giustificate? «Se si è schierati

L’ex giudice della Consulta: i cittadini devono valutare i programmi, invece di pensare all’allarme destra

Professor Sabino Cassese, le preoccupazioni per la possibilità che Giorgia Meloni vada a Palazzo Chigi le sembrano giustificate?


«Se si è schierati da una parte opposta sì, perché si teme di essere perdenti; se la preoccupazione invece riguarda la tenuta del sistema politico costituzionale introdotto 74 anni fa, le preoccupazioni non sono giustificate. Ritengo che libertà e democrazia, ai diversi livelli del potere politico (cioè Unione europea, Stato, regioni, comuni) siano sufficientemente radicati per non temere che una forza politica, di destra o di sinistra, possano metterli in dubbio. Diversi i timori che possono sorgere da esperienze recenti di altri Paesi, come l’Ungheria. Ma ritengo che un certo grado di verticalizzazione del potere possa essere realizzato senza violare lo Stato di diritto e le libertà, perché l’Italia ha anticorpi sufficienti per mettere in guardia e correggere derive o illiberali, o non democratiche. Se questi non bastassero, ci sono i vincoli esterni di degasperiana memoria, sui quale tanto insistette Guido Carli».

Perché anche i suoi alleati di centrodestra sembrano così ostili a questa ipotesi? Sono solo calcoli politici? Meloni capo del governo sancirebbe la fine di una lunga stagione della politica italiana, in cui il polo conservatore si è identificato in Berlusconi e nella Lega.


«La fluidità e la frammentazione dell’elettorato italiano, che si riflettono nelle forze politiche, nonché le ulteriori suddivisioni tra le forze politiche (non dimentichiamo i guelfi e i ghibellini), fanno sì che alla concorrenza tra le coalizioni si accompagni la concorrenza nelle coalizioni».

C’è anche una motivazione sessista?


«Mi auguro proprio di no: sono 74 anni che vige la Costituzione; essa dispone che tutti i cittadini sono eguali, indipendentemente dal sesso. Il fatto che la leader di Fratelli d’Italia sia donna dovrebbe, al contrario, giocare a suo favore, visto che finora alla Presidenza del Consiglio dei ministri sono andati uomini e che dei circa 5mila membri del governo solo meno del 7 per cento è stato di sesso femminile».

A Fratelli d’Italia viene rimproverata la sua origine di partito di destra radicale e nostalgica.


«Più che storie pregresse credo che sia importante il giudizio degli italiani sui programmi. Mi aspetto che cittadini maturi valutino le forze politiche in base alle risposte che esse danno a domande del tipo seguente: vi preoccupa il calo demografico del nostro Paese e quale rimedi pensate di poter introdurre per evitarlo? Come vorreste porre rimedio alle debolezze del servizio sanitario nazionale, che conoscevamo e che sono state messe in luce dalla pandemia? Quali provvedimenti proponete di adottare per contrastare il declino della scuola, migliorare il tasso di scolarizzazione del nostro Paese, aumentare gli anni della scuola dell’obbligo, evitare gli abbandoni, motivare gli insegnanti? Questi ed altri problemi simili debbono essere il metro di paragone per giudicare le forze politiche, quando si presentano all’elettorato».

L’altra critica che si rivolge a Fratelli d’Italia riguarda la carenza di una classe dirigente adeguata: le sembra un partito in grado di esprimere figure politiche e amministrative di livello, adeguate a guidare il Paese in un momento così difficile?


«Non conosco a sufficienza i quadri dirigenti di Fratelli d’Italia. So che nella nostra tradizione buoni politici sono venuti o dall’esperienza delle amministrazioni locali, oppure dalle professioni, oppure dalla classe insegnante. Se potessi dare un consiglio alle forze politiche, suggerirei di portare in Parlamento anche qualche persona che si è formata nell’alta amministrazione, perché la politica separata dall’amministrazione corre il rischio della irrealtà. Penso che le forze politiche dovrebbero riservare qualche posto tra i candidati a tecnici capaci, per ripetere l’esperienza fatta da altri politici in passato (penso a Craxi che volle Giugni in Parlamento perché sapeva che i problemi del lavoro sarebbero stati centrali in quegli anni). Insomma, una classe dirigente si forma nella società civile, nelle sue strutture. Questo perché le strutture di partito sono divenute, ormai da numerosi anni, esangui. I partiti, che dovrebbero essere lo strumento principale della democrazia del Paese, sono essi stessi non democratici».

Intervista di Pietro Piovani su Il Messaggero

L'articolo «La democrazia non è a rischio, quello che manca al Paese sono politici davvero capaci» intervista a Sabino Cassese su Il Messaggero proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



TUNISIA. Saied festeggia la sua nuova costituzione


Solo un quarto degli aventi diritto si è recato alle urne per il referendum che depotenzia il parlamento e mette un uomo solo a combattere la corruzione L'articolo TUNISIA. Saied festeggia la sua nuova costituzione proviene da Pagine Esteri. https://pag

di Eliana Riva

Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Dopo proteste, manifestazioni, accuse, colpi di mano e denunce di tentativi di golpe, il 27,5% dei tunisini accorsi alle urne approva la nuova costituzione proposta dal presidente Kais Saied.

Una costituzione controversa perché rende più forte la figura del presidente, che concentra nelle sue mani maggiori poteri. Un particolare, questo, che rappresenta per le opposizioni una pericolosa retromarcia verso la recentemente superata storia autoritaria della Tunisia. Era solo il 2011, infatti, quando il presidente Ben Ali, in carica da 23 anni, è stato rovesciato dalle proteste popolari che proprio a partire dalla Tunisia hanno dato vita alle cosiddette “Primavere arabe”.

Ma il vento di cambiamento non ha portato troppo lontano: la Tunisia vive una terribile crisi economica e le giovani generazioni (giovani esattamente come quelle che nel 2011 avevano dato vita alle proteste) rimangono senza lavoro e senza futuro. Il maggiore dei partiti emersi fin dalle prime votazioni dopo il rovesciamento di Ben Ali, Ennahdha, così come altri schieramenti, è stato lungamente diviso e divisivo, la corruzione ha dilagato per anni e l’allontanarsi della politica dalle condizioni materiali della popolazione ha lasciato campo libero all’islamismo fondamentalista che ha trovato terreno fertile (l’ISIS recluta un numero crescente di giovani).

Kais Saied, un populista, ex professore universitario, indipendente e fuori dai giochi partitici, è stato eletto nel 2019 con il “mandato” di affrontare la corruzione endemica e il senso di impunità dei vertici politici. Dopo circa 2 anni dall’inizio del suo mandato non molto era cambiato e la popolazione, costretta a vivere in condizioni ancora più difficili a causa della pandemia da Covid-19, ha organizzato una serie di manifestazioni di protesta. Il 22 settembre del 2021 uno di questi cortei è giunto fin sotto il parlamento per chiedere le dimissioni del governo. Saied, dopo aver sciolto il parlamento, ha annunciato misure eccezionali e nominato personalmente la commissione che avrebbe dovuto redigere la nuova costituzione con modifiche sostanziali in senso presidenziale. Saied non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni politiche in tal senso: l’accentramento dei poteri consentirebbe, a suo dire, maggiore spazio di manovra per le riforme necessarie a combattere la corruzione. Ha candidamente affermato di non credere nei partiti e di preferire un sistema politico alternativo, basato su un potere presidenziale centralizzato e non più equamente diviso con il parlamento.

Insieme alle manifestazioni di supporto si sono tenuti cortei di protesta contro le mosse del presidente.

Le misure eccezionali stabilite da Saied gli permettono di governare con decreti presidenziali, come accadeva con il governo di Ben Ali. Le opposizioni hanno parlato di tentato golpe e hanno chiesto il sostegno degli organismi internazionali. Questi ultimi, però, a parte esprimere “preoccupazione” per ciò che stava avvenendo, hanno nei fatti sostenuto le manovre del presidente.

Nonostante la nomina di una apposita commissione e gli inviti generici di Saied agli altri rappresentanti politici per lavorare insieme alla nuova costituzione, è stato il presidente stesso a scrivere e pubblicare la sua proposta, quella che è stata oggetto del referendum dei giorni scorsi.

Le opposizioni hanno chiesto di boicottare il voto, dichiarando che la nuova costituzione riporterebbe la Tunisia ad essere governata da un solo uomo con poteri forti e hanno chiamato manifestazioni di protesta.

Dopo gli exit poll, i sostenitori di Saied hanno celebrato la vittoria del referendum, per il quale ha votato meno del 30% della popolazione, circa un quarto degli iscritti nelle liste elettorali. Di questi più del 90% ha votato sì.

Saied ha raggiunto il luogo dei festeggiamenti e, anche se i risultati non sono ancora ufficiali, ha parlato di “un momento storico” per la Tunisia e il suo popolo.

Saied continuerà a governare per decreto fino a dicembre, quando dovrebbero tenersi nuove elezioni. Da quel momento, con la nuova costituzione in vigore, avrà autorità suprema sugli atti parlamentari.

L'articolo TUNISIA. Saied festeggia la sua nuova costituzione proviene da Pagine Esteri.



La “NATO del Pacifico” in allerta per l’accordo tra Cina e Isole Salomone


Allarmati dall'accordo di sicurezza firmato con la Cina, Stati Uniti e Australia minacciano le Isole Salomone e temono la penetrazione militare di Pechino nel Pacifico Meridionale L'articolo La “NATO del Pacifico” in allerta per l’accordo tra Cina e Isol

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Non c’è solo la vicenda di Taiwan ad accendere la competizione geopolitica e militare tra Pechino e Washington. In un clima già reso incandescente dall’invasione russa dell’Ucraina, un nuovo braccio di ferro oppone ora gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare nell’Oceano Pacifico. Nelle scorse settimane, infatti, Pechino ha sottoscritto un accordo di cooperazione sulla sicurezza con il governo delle Isole Salomone, uno stato insulare di neanche 800 mila abitanti che però si trova in una posizione strategica nel Pacifico Meridionale, 1800 km ad est dell’Australia.

A confermare l’accordo con l’ex colonia britannica resasi indipendente nel 1978 – segnale evidente dell’aumento dell’influenza cinese nell’area – è stato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino Wang Wenbin. Secondo il funzionario l’accordo prevede una cooperazione tra le due parti «nel mantenimento dell’ordine sociale, nella protezione della vita e dei beni delle persone, nell’assistenza umanitaria e in reazione ad eventuali disastri naturali». Inoltre, ha aggiunto il dirigente della diplomazia cinese, l’accordo «non si rivolge contro terze parti» e punta alla «stabilità sociale e a lungo termine» nello stato insulare.

“No a una base militare cinese”

L’ennesimo avvicinamento nei confronti della Cina da parte delle Salomone ha generato una dura reazione degli Stati Uniti e dell’Australia, oltre che di alcuni paesi dell’area. Il timore di Washington e Canberra è che l’accordo di sicurezza rappresenti la premessa per l’apertura di una base navale cinese nell’arcipelago. Si tratterebbe della seconda base militare cinese all’estero, dopo quella aperta nel 2017 a Gibuti, nel Corno d’Africa, in un’area dove l’influenza cinese negli ultimi anni è cresciuta considerevolmente.

Dopo le veementi critiche ricevute, il primo ministro delle Salomone Monasseh Sogavare ha negato che l’accordo con Pechino preveda l’installazione di una base dell’Esercito Popolare di Liberazione sul suolo del suo paese. Comunque, in base all’accordo – il cui contenuto esatto rimane riservato – su richiesta del governo di Honiara la Cina potrà inviare nell’arcipelago forze militari e di polizia, e far attraccare le sue navi militari nei porti dello stato insulare.

1933573
Il colpaccio cinese nel cortile di casa di Washington e Canberra

L’avvicinamento alla Cina delle Salomone, tradizionalmente inserite nella sfera d’influenza di Washington, è stato repentino quanto rapido. Subito dopo la sua elezione nel 2019, Sogavare ha infatti allacciato per la prima volta relazioni diplomatiche con Pechino dopo aver disconosciuto l’indipendenza di Taiwan e 36 anni di rapporti con la “provincia ribelle” cinese. Nel 2021, poi, le Salomone hanno siglato un accordo con la Cina grazie al quale hanno potuto vaccinare parte della propria popolazione contro il Covid19 mentre gli investimenti di imprese cinesi nello stato insulare si sono moltiplicati in cambio della concessione ad alcune aziende di Pechino del diritto di rimettere in funzione la miniera d’oro di Gold Ridge. Tra le infrastrutture finanziate dal governo cinese ci sono nuove strade e la costruzione di un grande stadio che potrebbe consentire a Honiara di ospitare i Giochi del Pacifico del 2023. Imprese cinesi stanno cercando di affittare o acquistare grandi appezzamenti di terreno o intere isole.

L’orientamento di Sogavare verso Pechino è stato però uno dei fattori scatenanti, insieme alle conseguenze della crisi economica, alle critiche contro la corruzione del governo (accusato di svendere il paese agli stranieri) e alla storica rivalità tra le isole di Malaita e Guadalcanal, delle proteste che hanno infiammato le Salomone nel novembre scorso. I manifestanti si sono ripetutamenti scontrati con le forze dell’ordine e si sono resi protagonisti di saccheggi e incendi soprattutto ai danni delle attività commerciali di cittadini cinesi, tentando di fare irruzione all’interno del parlamento e di assaltare la residenza del primo ministro. Tre persone avevano perso la vita a causa di un incendio doloso appiccato ad un edificio nella Chinatown di Honiara. Durante la sommossa sono state incendiate anche una caserma della polizia e una scuola superiore.
Per placare la ribellione e riportare l’ordine erano dovute intervenire anche militari e poliziotti provenienti dall’Australia e dalla Papua Nuova Guinea. È in seguito a questi fatti che alcune indiscrezioni hanno annunciato la firma di un accordo di sicurezza con Pechino, poi confermata dalla pubblicazione di una bozza dell’intesa, mentre alcuni addestratori della polizia cinese arrivavano a Honiara per coadiuvare le locali forze dell’ordine.

Contro l’accordo si sono schierati il governo dell’isola di Malaita – che ha deciso di mantenere rapporti economici e politici con Taiwan – e l’opposizione parlamentare. Per il leader della minoranza, Matthew Wale, l’intesa, definita troppo generica, avrebbe più a che fare con la «sopravvivenza politica del primo ministro (…) che con la sicurezza nazionale delle Salomone».

1933575
Salomone, cartello di protesta contro gli accordi con Pechino

Le minacce di Washington

Nonostante le rassicurazioni del premier Sogavare, Washington è rapidamente passata dalle proteste alle minacce. «Crediamo che la firma di un tale accordo potrebbe aumentare la destabilizzazione nelle Isole Salomone e costituirebbe un precedente preoccupante per tutta la regione delle isole del Pacifico» ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price.
«Rispettiamo la sovranità delle Salomone, ma se venissero presi provvedimenti per stabilire una presenza militare cinese permanente de facto, allora avremmo significative preoccupazioni e risponderemo a queste preoccupazioni» ha affermato Daniel Kritenbrink, l’incaricato Usa per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, che nei giorni scorsi ha visitato Honiara insieme a Kurt Campbell, delegato di Biden per i rapporti con l’Indo-Pacifico. Durante la visita, la delegazione statunitense ha anche annunciato la riapertura dell’ambasciata di Washington nelle Salomone, chiusa ormai nel 1993. Per cercare di contrastare le mosse cinesi e di convincere Sogavare a desistere, non solo Washington ma anche Canberra ha spedito una delegazione alle Salomone, per poi far tappa alle Isole Figi e in Papa Nuova Guinea. Anche Tonga, la Micronesia, la Nuova Zelanda e il Giappone hanno ufficialmente espresso la propria preoccupazione per il memorandum siglato da Honiara e Pechino.

L’Australia sempre più interna alla “Nato del Pacifico”

Aspre critiche sono state espresse anche dal governo australiano, che nel 2017 aveva firmato un accordo di sicurezza con il precedente governo delle Salomone e che ha fornito ingenti aiuti economici all’arcipelago. Dal 2003 al 2019, inoltre, proprio l’Australia ha guidato una Missione di Assistenza Regionale (Ramsi) composta da forze di vari paesi incaricate di stabilizzare il paese dopo anni di disordini e caos economico.
Il primo ministro australiano Scott Morrison ha avvisato Sogavare che il suo paese considera l’eventuale presenza militare cinese alle Salomone come “una linea rossa” invalicabile. Il titolare australiano della Difesa, Peter Dutton, ha addirittura affermato che il suo paese dovrebbe prepararsi ad un’eventuale guerra, mentre alcuni opinionisti e funzionari hanno incitato il governo a invadere l’arcipelago per impedire la penetrazione militare di Pechino nel Pacifico Meridionale.

Nei mesi scorsi Canberra ha abbandonato la tradizionale politica estera, che ricercava buone relazioni con Pechino, per entrare esplicitamente nell’alleanza ordita da Washington nel Pacifico in funzione esplicitamente anti-cinese.
Nel settembre del 2021 gli Stati Uniti, l’Australia e la Gran Bretagna hanno annunciato la formazione un accordo militare e di sicurezza basato nella regione indo-pacifica, denominato Aukus. Canberra è stata premiata da Washington con la vendita di alcuni sottomarini nucleari – che inizialmente dovevano essere acquistati dalla Francia – che verranno posizionati in una nuova base navale di cui l’Australia ha annunciato la realizzazione sulla costa orientale del paese.
Inoltre l’Australia è entrata anche nel Quad (Dialogo quadrilaterale di sicurezza), un’alleanza strategica per ora informale guidata da Washington che comprende anche Giappone e India.

Pechino tesse la sua tela nel Pacifico

Di fronte a quella che la Cina ha ribattezzato una «Nato del Pacifico», denunciando la «mentalità da guerra fredda» degli Stati Uniti, Pechino ha annunciato che adotterà contromisure, una delle quali potrebbe essere proprio l’estensione della sua presenza all’interno di quello che Canberra e Washington considerano il proprio “cortile di casa”. Negli ultimi anni, poi, Pechino ha fornito assistenza medica e di protezione civile ad alcuni paesi del Pacifico Meridionale alle prese con disastri naturali o con le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia. Inoltre la Repubblica Popolare ha stretto velocemente le relazioni con le Isole Figi, dove vivono ormai più di diecimila cinesi e il cui premier, Frank Bainimarama (un ex militare giunto al potere tramite un colpo di stato) appare molto sensibile alle esigenze di Pechino. Anche l’arcipelago delle Kiribati, su pressioni cinesi, ha deciso di interrompere le relazioni con Taiwan e di rafforzare quelle con la Cina. – Pagine Esteri

1933577* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.

LINK E APPROFONDIMENTI:

theguardian.com/world/2022/apr…

nytimes.com/2022/03/24/world/a…

nytimes.com/2021/11/27/world/a…

limesonline.com/rubrica/cina-i…

formiche.net/2022/04/usa-cina-…

L'articolo La “NATO del Pacifico” in allerta per l’accordo tra Cina e Isole Salomone proviene da Pagine Esteri.



Biden all’expo delle armi di Israele. Oggi la firma del patto anti-Iran


Giunto ieri a Tel Aviv, prima tappa del suo tour mediorientale, il presidente Usa è andato alla scoperta dei sistema antiaerei che saranno un pilastro del «Mead» (Middle East Air Defense), l'alleanza tra Israele e i paesi arabi alleati. Oggi la firma dell

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 14 luglio 2022 – Si chiama «Mead» (Middle East Air Defense) e ha lo scopo di collegare i sistemi antiaerei di Israele e dei paesi arabi suoi alleati per impedire all’Iran di usare droni e missili. In particolare – ma non si dice – se Israele lancerà un attacco contro le centrali atomiche iraniane innescando l’inevitabile risposta di Teheran contro Tel Aviv e alcune capitali arabe del Golfo. Per il «Mead» e altri programmi di rafforzamento militare di Israele, Joe Biden è giunto ieri in Medio oriente. Un viaggio fino al 16 luglio che lo porterà anche a riconciliarsi con l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman (Mbs). Un paio di anni fa Biden e non pochi Democratici lo descrivevano come il mandante dell’assassino del giornalista Jamal Khashoggi. Ora il principe sarà riabilitato nel nome dell’alleanza con i Saud che dura da 80 anni e degli interessi supremi degli Stati uniti.

Dopo l’arrivo all’aeroporto di Tel Aviv, dove è stato accolto dal premier ad interim Yair Lapid, il presidente americano ha ribadito che le relazioni tra i due paesi alleati sono «più forti e più profonde di quanto non siano mai state» e ricordato che questa è la sua decima visita in Israele. «Ogni volta è una benedizione – ha detto – perché la connessione tra i nostri due popoli è viscerale». Poi è passato alla sostanza, affermando che gli Stati uniti ribadiranno «il ferreo impegno verso la sicurezza d’Israele» e continueranno a potenziare l’integrazione dello Stato ebraico nella regione.

1933476

Che Biden si sia precipitato, poco dopo l’atterraggio dell’Air Force One, ad osservare e a farsi spiegare le capacità delle ultime armi prodotte dalla tecnologia militare israeliana, è una indicazione precisa delle finalità della sua visita. Il «briefing» tenuto dal ministro della difesa Gantz si è svolto in uno degli spazi dell’aeroporto di Tel Aviv. A Biden sono stati mostrati i sistemi Arrow, David’s Sling, Iron Dome e l’intercettore laser in fase di sviluppo Iron Beam che quasi certamente otterrà un finanziamento da parte dell’Amministrazione. Armamenti e sistemi di difesa antiaerea che Biden ritiene alcuni dei pilastri dell’alleanza militare, con a capo Israele, che intende costruire nella regione.

«Con il presidente Biden discuteremo di questioni di sicurezza nazionale e della costruzione di una nuova architettura di sicurezza ed economia con le nazioni del Medio Oriente, in seguito agli Accordi di Abramo e ai risultati del Vertice del Negev…e della necessità di rinnovare una forte coalizione globale che fermi il programma nucleare iraniano», ha confermato da parte sua il premier Lapid. «Una volta – ha aggiunto rivolgendosi a Biden – ti sei definito un sionista. Hai detto che non bisogna essere ebrei per essere sionisti. Sei un grande sionista e uno dei migliori amici che Israele abbia mai conosciuto».

Biden che ha fatto visita allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme, e incontrato due sopravvissute all’Olocausto, nei suoi discorsi ha anche detto di essere un sostenitore della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Ma quando domani a Betlemme incontrerà il presidente dell’Anp Abu Mazen, non andrà oltre la promessa di un po’ di aiuti economici ai palestinesi. A Betlemme Biden non vedrà la famiglia della giornalista palestinese (con passaporto Usa) Shireen Abu Akleh, uccisa l’11 maggio a Jenin. Gli avevano chiesto un colloquio per discutere della dichiarazione di Washington secondo cui le forze israeliane non hanno ucciso intenzionalmente la giornalista anche se probabilmente ne erano responsabili. Il segretario di stato Blinken ha invitato gli Abu Akleh a Washington per un incontro con «funzionari», ma non con Biden.

L'articolo Biden all’expo delle armi di Israele. Oggi la firma del patto anti-Iran proviene da Pagine Esteri.



The Queen Is Dead Volume 66 - Motorpsycho / My Sleeping Karma


Tornano i Motorpsycho con un disco che ancora una volta guarda al futuro partendo da un passato ancora non scritto. " Atma " dei My Sleeping Karma è il secondo ed ultimo disco di questa puntata, un disco oscuro ed ipnotico, ad altissimi livelli.

iyezine.com/motorpsycho-my-sle…

Massiargo reshared this.



Senza capo né coda


A destra sostengono d’essere tre alleati, l’uno diverso dall’altro, ma chi sarà il leader, chi guiderà l’alleanza e, quindi, chi andrà a Palazzo Chigi lo decideranno gli elettori. Nel senso che lo sarà e ci andrà chi dei tre prenderà più voti. Sembra una

A destra sostengono d’essere tre alleati, l’uno diverso dall’altro, ma chi sarà il leader, chi guiderà l’alleanza e, quindi, chi andrà a Palazzo Chigi lo decideranno gli elettori. Nel senso che lo sarà e ci andrà chi dei tre prenderà più voti. Sembra una teoria democratica, in realtà è una vigliaccata. Gli elettori decidono da chi farsi rappresentare nelle Assemblee legislative, forse (ma questo è negato da tempo) decidono chi vince, ma non possono decidere chi guiderà un gruppo politico, perché la democrazia funziona all’opposto: le forze politiche stabiliscono quale è la loro linea politica e chi la incarna, salvo gli elettori premiarla o meno. Se si capovolge il ragionamento non si ottiene più democrazia, ma più tasformismo, per giunta ipocritamente ispirato a un falso senso democratico: mi piego alla volontà degli elettori.

Un elettore di destra vota Fratelli d’Italia perché apprezza la linea nettamente filo atlantica, però prende più voti la Lega e deve sorbirsi un governo guidato da chi inneggiava a Putin. Non ha senso. È un imbroglio. Oppure vota per il centro popolare europeo ed europeista, rappresentato da Forza Italia, e poi si becca un governo guidato dall’estrema destra eurorepellente o da un sovranista antieuropeo. Non ha senso. È un imbroglio.

Oltre a essere un imbroglio è una dichiarazione preventiva di inaffidabilità, un annuncio d’incoerenza, una manifestazione di guide che si mettono al seguito: siamo i rappresentati di un’idea, ma se per andare al governo ci tocca sostenere l’opposto lo facciamo di buon grado, perché lo hanno deciso gli elettori. Non ha senso. La democrazia è altra cosa: sostengo una tesi e con quella governerò, se avrò i voti, altrimenti farò l’oppositore. In fondo “una tesi vale l’altra” è anche peggio di “uno vale uno”

Solitamente ricorre un’obiezione: già governiamo assieme in regioni e comuni, sicché funzionerà anche al governo nazionale. A parte il fatto che non è vero, perché già ripetutamente non ha funzionato, forse sfugge alla destra che questa era la tesi sostenuta dai comunisti, nel secolo scorso: governiamo con i socialisti negli enti locali, perché non dovremmo farlo al governo nazionale? Perché sono cose diverse, difatti i voti non li ebbero mai.

A proposito di sinistra: encomiabile l’entusiasmo ripetitivo con cui annunciano di avere irreversibilmente rotto con il mondo pentastellato, ma l’affidabilità di tale stabilità fa a cazzotti con il fatto che ancora una decina di giorni addietro sostenevano l’opposto. Con altrettanto ripetitivo entusiasmo. Quel che era strategico ieri è divenuto inaccettabile oggi. Il che depone maluccio sulle capacità di visione strategica.

E c’è di più: il contenuto più convincente della sinistra è l’intenzione di opporsi alla destra, il che dimostra una povertà di contenuti che non è manco lontanamente verdeggiata dai riferimenti ambientali, una povertà spiazzata da una destra che fa decidere agli altri quale sarà la liea politica e il capo. Così si viaggia verso le urne senza né capo né coda.

Il migliore riassunto lo si legge in forze politiche che hanno governato assieme e assieme hanno scelto (giustamente) di proteggere la sicurezza energetica dell’Italia con nuovi interlocutori e approvvigionamenti, compreso il gas liquido, salvo poi, a Piombino, fare a gara a chi capeggia la protesta contro il rigassificatore. Senza che i vertici nazionali intervengano a correggere le rappresentanze locali. Partiti senza linea univoca, senza capo e con code che si dimenano come quelle perse dalle lucertole.

Brutto debutto di campagna elettorale. Elenchi di buone cose senza cenno alcuno a strumenti e tempi. Sgravi e aumenti promessi senza cenno alcuno alle coperture. Ecologismo non smaltibile. Il tutto sperando che a renderlo un friccico attraente provvedano le contrapposizioni personali, solo che, viste le persone, l’effetto è opposto.

Intanto alla maturità passa il 99.9% e nessuno pensa di dovere dire o fare qualcosa. Stipendifico ed esamificio. La scuola che sembra piacere.

La Ragione

L'articolo Senza capo né coda proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



“Noi liberali puri non staremo con chi fa alleanze pre-elettorali” intervista a Giuseppe Benedetto su Il Giornale


Nella grande corsa al centro, c’è un aggettivo oggi particolarmente in voga: liberale, «solo che in troppi ne abusano e qualche volta lo confondono con liberal, che in America sta per liberaleggiante e progressista, un concetto tipicamente di sinistra». A

Nella grande corsa al centro, c’è un aggettivo oggi particolarmente in voga: liberale, «solo che in troppi ne abusano e qualche volta lo confondono con liberal, che in America sta per liberaleggiante e progressista, un concetto tipicamente di sinistra». A mettere i puntini sulle «i» è Giuseppe Benedetto, presidente di Fondazione Einaudi, centro di ricerca costituito nel 1962 da Giovanni Malagodi che promuove la conoscenza e la diffusione del pensiero liberale.

Lei presiede il neonato comitato di garanzia dei liberali, democratici, repubblicani europei. Lo avete presentato il 7 luglio assieme Carlo Calenda e Benedetto della Vedova, segretario di +Europa. Ora però quei liberali sembrano pronti ad allearsi con il Pd di Enrico Letta. Deluso?


«Ho sempre sostenuto che le alleanze pre-elettorali sono una bufala tipica soltanto della politica italiana. Sono quelle che non si basano su una identità culturale e politica ma sono solo strumentali ad acchiappare voti contro qualcuno e poi, inesorabilmente, determinano l’ingovernabilità».

Quindi è deluso o no?


«Purtroppo rispetto al 7 luglio, i tempi sono precipitati e ci troviamo incredibilmente alla vigilia del voto. Personalmente preferisco attenermi alle dichiarazioni programmatiche fornite da Azione, +Europa, e Italia Viva che si riconoscono nel gruppo dei liberali europei Renew Europe. E che quindi devono correre da soli perchè un partito di vera ispirazione liberale non può che far parte di un polo terzo».

Però intanto i movimenti al centro sembrano proprio orientati a rimpinguare i voti del polo di centrosinistra.


«Se saranno coerenti correranno da soli, ma se dovessero fare alleanze pre-elettorali, noi non ci saremo; il nostro compito è solo quello di fornire il patrimonio di idee del pensiero liberale e repubblicano, confrontandoci con l’European Liberal Forum che comprende una 50ina di fondazioni come la nostra. Ma non sarà un caso se da 25 anni non vado a votare…».

In quanto liberali sostenevate il governo Draghi. Che cosa pensa dei transfughi di Forza Italia?


«Guardi, il vero errore è stato non sostenere l’elezione di Draghi al Colle, che avrebbe dato all’Italia un settennato di garanzie. Quanto ai transfughi, a fine legislatura non mi scandalizzano. Non come i 300 che hanno cambiato casacca a legislatura in corso. Ripeto, 300. Pensi in 50 anni di prima Repubblica lo hanno fatto in 17…».

L’intervista di Mimmo Di Marzio su Il Giornale

L'articolo “Noi liberali puri non staremo con chi fa alleanze pre-elettorali” intervista a Giuseppe Benedetto su Il Giornale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.