Crescere
La recessione, più che essere uno spettro da cui fuggire, sembra essere una condizione gradita alle propagande politiche, più a loro agio con la sovvenzione che con la produzione. Per tanta parte della cultura politica italiana equidistribuire la miseria è ideale considerato più nobile rispetto al promuovere la ricchezza. I dati resi pubblici dal Fondo monetario internazionale dovrebbero essere una buona base per ragionare, non per piagnucolare.
L’Italia è il solo Paese sviluppato per cui le previsioni sono state riviste al rialzo, per l’anno in corso. Segno che, nella prima parte dell’anno, non sono stati commessi errori. Hanno festeggiato facendo cadere il governo.
Per il 2023 la previsione di crescita non solo si riduce, ma diventa la più bassa in Europa: 0.7%. La Germania dovrebbe arrivare a 0.8, che non è una grande differenza, ma neanche una consolazione (piuttosto, il Regno Unito è posizionato allo 0.5, alla faccia dell’affare Brexit). Crescere dello 0.7 non è recedere, ma è poco, è meno di quel che serve, come è anche la conseguenza del rialzo dei tassi d’interesse in un Paese troppo indebitato (i titoli tedeschi sono ridiscesi sotto l’1%, il che non porta bene ai nostri). Sarà il caso di ricordare che quel debito è un ostacolo alla crescita e un attentato alla sovranità. Sarebbe interessante che nei programmi elettorali si trovasse almeno un cenno al taglio della spesa pubblica improduttiva, se non altro per rendere meno prive di fondamento le promesse di sgravi fiscali e maggiori spese sociali.
Da quegli stessi dati, però, riemerge quel che sappiamo da molto tempo: il mondo, nel suo complesso, continua a crescere: 3.2% quest’anno e 2.9 il prossimo. In recessione ci va la Russia, con -6% ora e -3.5 nel 2023. Prendano nota i devoti alla potenza russa e gli spiantati delle sanzioni che non funzionano. Se il Mondo cresce l’ambiente è positivo per i Paesi esportatori. E noi lo siamo.
Tutto sta a essere capaci non solo di usare i fondi europei, ma di farlo con il massimo profitto e la massima efficienza, superando pezzi indecenti di arretratezza interna. L’effetto moltiplicatore di ricchezza non è legato tanto alla loro spesa, ma al farlo puntando ad aumentare la produttività. Che sia un’occasione irripetibile sembra una frase fatta, ma a sentire tanta politica sembra ci si rassegni alla disfatta. Crescere si può eccome, mettendosi al passo e al vento del Mondo che chiede i nostri prodotti. Il che comporta investire nella formazione, gettando alle ortiche la ridicolaggine di esami di Stato passati dal 99.9% dei candidati. Comporta aiutare chi ne è fuori ad entrare nel mondo del lavoro, non a restarne fuori. Puntare a che le aziende abbiano margini per investire in innovazione, non solo per la contrattazione salariale. Ricordarsi che la sovranità è data dalla credibilità, non dalla sempre insufficiente prodigalità. Se cominciamo a dire che a 35° percepiti (da chi? come?) si smette di lavorare, anziché approntare pause e rinfresco, si perpetua l’idea che il lavoro sia una disgrazia e non una conquista (inoltre facendo finta di non sapere che in quei lavori all’aperto il tasso di irregolarità è alto, senza cassa integrazione e non seriamente contrastato).
Il cantiere nel Pnrr non è solo la capacità di redigere progetti e dare loro attuazione nei tempi e nei modi stabiliti. Onestamente. È già molto, ma è solo una parte, perché il resto consiste nell’accompagnare quegli investimenti con i cambiamenti, con le necessarie riforme. Alcune realizzate, altre impostate, altre ancora da farsi. Accarezzare rendite e star dalla parte di chi vuol proteggere il proprio mercato impedendone la crescita è la ricetta sicura per il declino.
La maledizione dei riformisti è di doversela vedere da soli contro corporazioni e rendite, nel mentre i massimalisti son lì a lamentare che non è mai abbastanza. Questa trappola ci inchioda da trenta anni. Invece crescere si può, si deve ed è la sola cosa socialmente sana che possa farsi.
La Ragione
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Elezioni 2022: Letta, il front-runner che non avresti mai voluto
Verboso, involuto, 'scenicamente' inesistente, soprattutto senza idee. La situazione difficile della sinistra che con gli 'occhi di tigre' e un front-runner di tal calibro rischia di andare a sbattere
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La Russia e i metodi di tortura nelle carceri
“Sagalakov [capo del Servizio penitenziario federale]ci ha dato il via libera per tutto tranne che per i cadaveri”, racconta Denis Golikov, uno degli ex kapos. Questo termine è usato ufficialmente nei moderni campi di prigionia in Russia e designa la polizia interna al campo, o “sviluppatori”. Sono reclutati dai vertici e sono dotati di funzioni [...]
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L’Iran tra Russia e Turchia
L'Iran si sta muovendo in tutte le direzioni per rafforzare le collaborazioni economicamente strategiche e politicamente lungimiranti. Turchia e Russia in testa
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Ucraina – Russia: il cibo come arma
Quando la scorsa settimana la Russia ha bombardato il porto di Odessa, non è stato un inizio di buon auspicio per il nuovo accordo sulle esportazioni di grano. Se qualcuno credeva che questo accordo tra Mosca e Kiev avrebbe avuto qualche effetto positivo di ricaduta sulla guerra che si estendeva altrove in Ucraina, l’esercito russo [...]
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Iraq sull’orlo della violenza politica estesa
I sostenitori di Muqtada al-Sadr pronti a incendiare il Paese se in Parlamento non dovessero trovare ascolto. Alla base lo scontro tra sciiti affiliati all'Iran e quelli di al-Sadr
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Poesis - Vietri sul Mare 2022, VIII edizione del concorso internazionale di poesia per le studentesse e gli studenti degli Istituti di secondo grado. Gli elaborati devono essere inviati entro il 31 luglio.
Info ▶️ miur.gov.
Russia – Corea del Nord: tra sanzionati ci si aiuta
Probabile l'approfondimento dei legami diplomatici, economici e forse anche militari tra la Corea del Nord e la Russia
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Pubblicare online un nuovo sito Internet: le fasi fondamentali
Come si mette in rete un nuovo sito Internet? Oggi la pubblicazione online di un sito web è decisamente meno complessa rispetto al passato, anche chi non ha competenze in fatto di programmazione può realizzare quest’obiettivo, andiamo dunque a scoprire cosa è necessario. L’acquisto di dominio e hosting Partiamo dagli elementi imprescindibili per la realizzazione [...]
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Afghanistan: il ghiaccio sta cominciando a sciogliersi tra USA e talebani?
Questa settimana si sono verificati due incontri per affrontare le relazioni dei talebani con il mondo. Il primo è avvenuto a Tashkent, in Uzbekistan, tra inviati internazionali (compresi gli Stati Uniti) in Afghanistan e vari funzionari talebani. Il secondo è stato un incontro tra una delegazione guidata da un importante studioso islamico del Pakistan e [...]
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L’eccellenza tecnologica dell’Ucraina è fondamentale nella guerra contro la Russia
L’invasione russa dell’Ucraina è giunta al suo sesto mese e non si vede la fine di quello che è già il più grande conflitto europeo dalla seconda guerra mondiale. Nei mesi successivi allo scoppio delle ostilità il 24 febbraio, il coraggio della nazione ucraina si è guadagnato l’ammirazione in tutto il mondo. Molti osservatori internazionali [...]
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LARES2, un satellite romano per mettere alla prova le leggi di Einstein
A guardarlo in laboratorio prima della partenza, appariva solo una palla di nichel assai lucida, di meno di mezzo metro di diametro. Ma con tantissima tecnologia italiana, volata nello spazio con il lancio inaugurale di Vega C. È LARES2, il secondo satellite realizzato per la misura di precisione dell’effetto di trascinamento dei sistemi inerziali (frame-dragging), [...]
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Ritratto in piedi di Gianna Manzini
Questo libro, vincitore del premio Campiello nel ’71, è in pratica l’ultima opera di Gianna Manzini, scrittrice italiana “scoperta” da Eugenio Montale. Il romanzo, dedicato alla memoria del padre, riconduce il lettore ai conflitti sociali del primo Novecento in Toscana.
iyezine.com/ritratto-in-piedi-…
Ritratto in piedi di Gianna Manzini
Questo libro, vincitore del premio Campiello nel '71, è in pratica l’ultima opera di Gianna Manzini, scrittrice italiana “scoperta” da Eugenio Montale.In Your Eyes ezine
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Avversari non nemici
Giorgia Meloni e il fascismo
11 giugno 1984. Passò a miglior vita Enrico Berlinguer. Due giorni più tardi ai funerali parteciparono un milione di cittadini. Al feretro del segretario del Pci, tra lo stupore dei presenti, giunse anche Giorgio Almirante.
Il 22 maggio 1988. Fu la volta del leader del Msi. Alle esequie gli resero onore Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta. Sono trascorsi più di trent’anni. Un’altra epoca, altri uomini, un’altra politica. Ma soprattutto, un’altra dignità della politica. Fatta di riconoscimento reciproco, di avversarie non di nemici.
Qualche sera fa, dopo un tweet della Fondazione Einaudi, mi è tornato alla mente questo episodio, alto, della storia politica italiana. Al solo affermare che Giorgia Meloni non possa essere chiamata fascista, attacchi sistematici – e a tratti violenti– si sono abbattuti sul profilo social della Fondazione che ho l’onore di presiedere.
Non scrivo per trovar conforto. Ho spalle sufficientemente larghe e conosco bene le perversioni della propaganda pre-elettorale e il fenomeno dei troll. Vorrei semmai riflettere sulla degenerazione che ci avvolge e di cui anch’io mi sento parte. Da liberale, condivido poco o nulla del programma di FdI.
Mi separano la visione del mercato, l’idea di Europa, la prospettiva del rapporto individuo-autorità. Credo nella concorrenza, come motore di progresso e benessere. Giorgia Meloni difende i balneari e i tassisti. Credo nel processo di integrazione europea e in istituzioni sovranazionali con più poteri. Fratelli d’Italia chiede maggiore sovranità nazionale. Mi riconosco in Alde, gruppo liberale al Parlamento europeo. Il leader di FdI è il presidente dei Conservatori.
La divisione non potrebbe essere più netta. Le differenze radicali che vi sono tra noi, tuttavia, non mi impediscono di riconoscere dignità alla sua proposta politica e anche ai progressi che ha fatto in questi anni. Durante l’ultimo trentennio, straziati dalla fictio cdx-csx, ci siamo buttati addosso fango e ingiurie. Comunisti! Fascisti! Le pseudo-coalizioni si sono rette sulla paura dell’altro.
Forse è giunto il momento di dire basta. Basta alla semplificazione e alla demonizzazione dell’avversario politico. Torniamo al pluralismo delle idee e al rispetto reciproco. Giorgia Meloni è una fascista? Sicuramente no. E tuttavia, a quel 24% di cittadini italiani che credono nella destra italiana, evidentemente delusi dalle scelte effettuate nelle ultime legislature, vorrei dire che i dazi doganali metterebbero in ginocchio il nostro settore produttivo, conducendo a licenziamenti e povertà.
Vorrei spiegar loro che meno Europa significa meno diritti, meno pace, meno progresso, meno ricchezza per tutti. Se in molti Paesi occidentali avanza una destra statalista e sovranista, il liberalismo ha il dovere di essere critico con sé stesso e riflettere sulle sue esternalità negative.
Spieghiamo ai cittadini perché credere nelle proposte liberali. Molto semplicemente, è il gioco della democrazia. E comunque, Giorgia Meloni non è fascista. Fatevene una ragione.
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F-35 italiani alle esercitazioni israeliane “Lightning Shield”
di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri, 28 luglio 2021 – Quattro cacciabombardieri F-35 dell’Aeronautica militare italiana sono in Israele per partecipare a una complessa esercitazione aerea nel deserto del Negev con i velivoli “cugini” delle forze armate israeliane utilizzati nei bombardamenti in Siria.
Il comando dell’Israeli Air Force ha reso noto che martedì 23 luglio ha preso il via nel sud di Israele l’esercitazione bi-nazionale Lightning Shield (letteralmente Scudo di Fulmine). Le attività addestrative avranno la durata di una settimana e vedono la partecipazione di un imprecisato numero di cacciabombardieri F-35I “Adir” del 118th Lions dello Squadrone Sud e del 140th Golden Eagle Squadron dell’Aeronautica israeliana e quattro caccia F-35 del 13° Gruppo Volo del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di stanza nello scalo aeroportuale di Amendola (Foggia). Tutti i velivoli sono stati trasferiti nella base aerea di Nevatim (denominata in codice Air Force Base 28), localizzata nei pressi della città di Be’er Sheva nel deserto del Negev.
All’esercitazione partecipa anche il 122nd Nachshon Squadron israeliano, reparto d’eccellenza delle più moderne guerre elettroniche, che opera con gli aerei “Gulfstream G-500” nelle tre varianti Eitam (CAEW) Shavit (intelligence) e Oron (l’ultima acquisita dall’Israeli Air Force che ha enormemente potenziato le capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento). Come sottolinea il sito specializzato The Avionist, gli italiani “hanno una grande familiarità con questi aerei dato che l’Aeronautica militare utilizza la variante CAEW”. Tra l’altro proprio un Gulfstream G-500 del 14° Stormo di Pratica di Mare, con una sofisticata apparecchiatura elettronica a bordo di produzione israeliana, viene impiegato quasi con frequenza quotidiana per operazioni top secret nel Mar Nero e in Est Europa dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.
“L’esercitazione Lightning Shield rappresenta una pietra miliare nella continua collaborazione tra le nostre forze armate, mentre rafforza il legame unico tra le nostre nazioni”, riporta in un tweet l’Aeronautica israeliana. “Essa contribuirà inoltre a migliorare le competenze dell’F-35 “Adir” e a espandere le sue capacità a possibili scenari operativi”. L’Israeli Air Force non fornisce altri particolari sulle finalità addestrative di Scudo di fulmine, ma come rileva ancora The Avionist è prevedibile che l’esercitazione sia stata pianificata in vista dell’impiego dei cacciabombardieri in “un’ampia varietà di teatri operativi”, dato che l’F-35 è considerato “un aereo multiruolo contro differenti minacce aeree e terrestri avanzate”.
La versione “Adir”, nota anche come The Mighty One (Il Potente) è unica nel suo genere tra i cacciabombardieri F-35 di quinta generazione adottati da nove paesi e che sono in grado di svolgere gli strike con armi nucleari. Israele ha sottoscritto un accordo con Lockheed-Martin, l’holding statunitense che ha prodotto i velivoli da guerra, per ottenere modifiche specifiche all’architettura del caccia, ai sistemi di comunicazione e intelligence e alle suite per la guerra elettronica, con l’aggiunta di pod per il lancio di missili aria-aria.
“Fino ad oggi Israele rimane l’unica nazione che ha utilizzato l’F-35 Lightning II in operazioni di combattimento”, scrive l’analista Maya Carlin del Center for Security Policy di Washington. “Nel 2018 I’Aeronautica militare israeliana ha impiegato la sua flotta di F-35I Adir per portare a termine una serie di attacchi aerei in Siria. Il generale Amikam Norkin ha inoltre dichiarato che l’Israeli Air Force sta volando con gli F-35 in tutto il Medio oriente e ha anche attaccato un paio di volte in due differenti fronti, senza però aggiungere altri dettagli”.
Sempre secondo l’analista Maya Carlin, anche se Israele non ammette che Lightning Shield è diretta contro le minacce che potrebbero giungere dall’Iran, è “però certo che l’Aeronautica vuole perfezionare le capacità necessarie a potenziali situazioni di guerra con il principale paese nemico”. Carlin aggiunge che lo scorso mese di maggio Israele ha svolto un’esercitazione lunga un mese in cui sono stati simulati attacchi contro l’Iran con l’impiego di armi nucleari. “L’attività addestrativa congiunta israelo-italiana Lightning Shield svilupperà ulteriormente e perfezionerà le qualità dei caccia dell’Israeli Air Force”, conclude l’analista del Center for Security Policy.
Nel giugno 2021 sei cacciabombardieri F-35 israeliani hanno partecipato all’esercitazione aeronavale Falcon Strike nei cieli dell’Italia meridionale, congiuntamente ai velivoli di guerra delle aeronautiche di Italia, Stati Uniti d’America e Regno Unito. I velivoli dell’Israeli Air Force furono trasferiti ad Amendola insieme ad alcuni cacciabombardieri F-16 A/B del 116th Squadron e a un G550 del 122th Squadron. Falcon Strike ha avuto come obiettivo centrale “l’integrazione degli aerei da guerra di quarta e quinta generazione così come lo sviluppo della cooperazione tra le forze aeree partner per sviluppare l’interoperabilità durante le operazioni”, come ha riferito lo Stato maggiore dell’Aeronautica italiana.
Lightning Shield prende il via nel Negev dieci giorni dopo la visita in Italia di una delegazione del ministero della difesa israeliano guidata dal generale Amir Eshel, direttore generale del ministero della difesa, già comandante in capo dell’Aeronautica militare dal 2012 al 2017. A Roma gli israeliani si sono incontrati in particolare con il segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano. “Gli incontri si sono svolti in un clima di reciproca stima e collaborazione e hanno permesso di consolidare ulteriormente le già eccellenti relazioni in atto tra Italia e Israele, con particolare riferimento al rafforzamento della cooperazione industriale, attraverso la condivisione di nuove aree di collaborazione da sviluppare con il pieno coinvolgimento delle rispettive Forze Armate”, scrive l’ufficio stampa della Difesa. “Il costante dialogo strategico tra le parti ha inoltre permesso di confrontarsi in modo schietto, sincero e proficuo sul tema delle sfide imposte dagli attuali scenari di crisi internazionale e sul contesto in cui le parti intendono cooperare”. Pagine Esteri
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IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento
Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Un gruppo di manifestanti è entrato, qualche ora fa, nella zona protetta del parlamento iracheno a Baghdad, dove risiedono anche le missioni diplomatiche estere.
I manifestanti, sostenitori del leader sciita Muqtada al-Sadr, protestano contro la nomina a primo ministro del leader del blocco avversario, Mohammed Shia al-Sudani, filo-iraniano.
Nonostante sia stata la coalizione di Muqtada al-Sadr ad aggiudicarsi il maggior numero di seggi in parlamento (73 su un totale di 329), il leader sciita non è riuscito a trovare i numeri necessari alla formazione di un nuovo governo. Lo stallo prosegue ormai da 10 mesi.
Il Primo Ministro, Mustafa al-Kadhimi si è rivolto ai manifestanti, intimandogli di lasciare immediatamente il perimetro del parlamento, una zona normalmente inaccessibile. Il primo Ministro ha anche dichiarato che le forze speciali non esiteranno ad utilizzare i mezzi necessari per sgomberare l’area, qualora il suo appello dovesse cadere nel vuoto.
I manifestanti sono centinaia e molti di loro portano tra le mani fotografie del leader sciita Muqtada al-Sadr, che qualche settimana fa è uscito dal Parlamento, assieme ai suoi deputati, in segno di protesta.
La spaccatura tra forze sciite pro Iran e quelle vicine a Al Sadr rischia di portare il paese alla guerra civile
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ANALISI. Russia-Ucraina. La guerra potrebbe durare anni tra obiettivi russi, muro ucraino e interessi Usa mi
di Danilo Della Valle
Pagine Esteri, 18 luglio 2022 – Sono ormai trascorsi più di 4 mesi dal 24 Febbraio 2022, data di inizio della guerra “russo-ucraina” e, di pari passo, del confronto sul campo tra Mosca e l’Occidente. Dopo un primo periodo di smarrimento delle opinioni pubbliche mondiali e degli analisti sulle mire della Russia, pian piano il quadro si fa più chiaro. Nel frattempo a Mosca e Kiev le rispettive propagande fanno il proprio lavoro, “egregiamente”, da un lato raccontando l’imminente avanzata russa, senza alcun tipo di difficoltà, per difendere il “russkii mir” (il mondo russo), dalla parte di Kiev si racconta di un quasi collasso russo, a corto di provviste e armi, di una quasi pronta controffensiva ucraina per riprendersi tutti i territori conquistati dalla Russia, Crimea compresa, e varie altre storie più o meno “fantasiose”, riprese anche dalla stampa occidentale.
A proposito della stampa occidentale, dall’inizio del conflitto gran parte dei media hanno scelto più che di raccontare la guerra di propagandare le veline di Kiev, di fatto comportandosi come informazione di Paese in guerra. Eppure se nelle prime fasi della guerra, a prescindere dalle posizioni politiche, la narrazione era tutta concentrata su assunti di dubbia provenienza, tipo quelli secondo cui la Russia avesse scorte per soli tre giorni o che l’Ucraina sarebbe potuta arrivare fino in Russia infliggendo sconfitte su sconfitte a Mosca, oggi, pian piano, si sta scoprendo che al contrario la guerra di logoramento russa, fatta per lo più di artiglieria, una delle più potenti al mondo, rosicchia giornalmente pezzetti di territorio ucraino, soprattutto nella parte del sud est e nel Donbass, obiettivo minimo, secondo molti, dichiarato da Putin.
Per capire meglio il conflitto in atto sono almeno due gli scenari da analizzare: Il primo è sicuramente quello geopolitico.
Questo è un punto da cui si deve partire per capire bene quel che accade oggi. Alla caduta dell’Unione Sovietica e con la fine del bipolarismo si aprì inevitabilmente una nuova fase sia per la Federazione Russa che per il mondo intero. Dal punto di vista della politica interna la Russia, e tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico, si trovarono a transitare verso una economia di mercato (con tutti i pro, per pochi, e contro, per tanti) e una transizione molto più veloce del solito al sistema “democratico”, senza alcun passaggio intermedio. Fu una fase difficilissima per la Russia anche dal punto di vista geopolitico che di fatto perse il suo ruolo storico di “potenza”. Mentre in un primo momento diversi analisti statunitensi si chiedevano se fosse necessario pensare a favorire uno sfaldamento della Federazione Russa in tante repubbliche, facendo leva sulle spinte separatiste di alcune regioni del Caucaso e di alcune minoranze etniche(tesi ripresa a Varsavia nel Maggio 2022 durante il forum delle libere nazioni di Russia), alla fine si optò per cercare di integrare la Russia nel mondo Occidentale con un ruolo molto più marginale. Tuttavia la Russia non fu mai integrata a pieno regime nell’Occidente liberale e fu relegata sempre ad un ruolo secondario, trattata con una visibile diffidenza. Eppure con la vicina Europa la Federazione russa ha cercato, tra alti e bassi, punti di incontro politico ed economico, con l’Accordo per la partnership e la cooperazione (PCA), entrato in vigore già nel 1997, che prevedeva due vertici all’anno e un Comitato per la cooperazione. Dal 2003 poi anche con un Consiglio permanente per la partnership, di carattere prevalentemente politico.
Con la Russia degli anni novanta e inizio duemila relegata senza troppe possibilità di reagire ad un ruolo secondario nello scacchiere internazionale, l’espansione della Nato è stato sicuramente un fattore importante, non l’unico, nel mantenere alta la tensione nella zona. Già nel 1993 l’allora Presidente russo Boris Eltsin, grande amico degli Stati Uniti, aveva ammonito il suo omologo statunitense, Bill Clinton, di come dalle parti del Cremlino si stessero preoccupando per le intenzioni di Polonia e Repubblica Ceca di aderire alla Nato. Proprio a proposito della Nato Il 20 Giugno 1997 l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, all’epoca senatore, dichiarava
[1]“Se mai esistesse qualcosa in grado di stravolgere i rapporti fra NATO e Russia, provocando una reazione vigorosa e ostile, non intendo per forza militare, questo sarebbe l’ammissione dei Paesi Baltici nella NATO”. Dalla dichiarazione dell’attuale Presidente all’effettività della stessa passò poco tempo. Il 24 Febbraio 2022 il quotidiano tedesco Der Spiegel in un articolo “ha ragione Putin?” [2] poneva l’accento sul fatto che vi fossero accordi tra Usa e Urss affinché la Nato non avesse cercato l’espansione ad est. A tal proposito, come riporta Sergio Romano nel suo “atlante delle crisi mondiali”, è utile la testimonianza dell’ex ambasciatore Usa in Urss Jack Matloch, che in un’intervista rilasciata nel 2007 al Corriere della Sera si espresse così sulle famose “promesse” mai trascritte dell’Occidente all’allora Unione Sovietica: “Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola. Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro, e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte dell’Alleanza”.
[3]La situazione poi è pian piano cambiata negli anni 2000. Il primo Putin aveva sempre puntato ad una Russia “parte della famiglia europea”, ispirandosi pur tra tante difficoltà interne al tipo di sviluppo classico del capitalismo liberista, con tutti i pro, per pochi, e contro per tanti, e cercando di prendere un “posto al sole” per la Russia nello scacchiere internazionale occidentale. Significava quindi accettare il nuovo ordine venuto fuori dalla fine della Guerra Fredda. Tutto cambiò repentinamente nel 2008 dopo che per diverso tempo le richieste russe furono quasi del tutto ignorante.
L’avvertimento finale all’Occidente il presidente russo Putin lo lanciò nel febbraio 2008, alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, ammonendo la visione del mondo “unipolare” e l’allargamento della Nato e criticando l’approccio “unilaterale” degli Usa sulle maggiori questioni dell’agenda mondiale. Putin di fatto avvertì che la Russia aveva delle linee rosse (Ucraina, Bielorussia e Georgia). Ecco, da Monaco in poi la Russia ha ripreso attivamente ad avere una politica estera volta a prendersi un posto da superpotenza nel mondo multipolare che si andava costituendo, di tanto in tanto intervenendo anche nei conflitti regionali come in Africa, Siria e/o nelle sue zone di influenza più vicine come Georgia e Donbass, probabilmente tornando a sognare “un ritorno al grande Impero o alla superpotenza di un tempo”. Inoltre dopo un certo periodo di avvicinamento della Russia all’Europa, con la guerra in atto, il Cremlino sta via via dirottando tutte le sue partnership a Oriente e verso i Brics, che nonostante non abbiano obiettivi politici e strategici totalmente comuni, se non quello della de-dollarizzazione dei mercati finanziari, continuano ad essere attrattivi per altri Paesi che chiedono di entrare a far parte del gruppo, come ultimamente hanno fatto Argentina e Iran.
Tuttavia la Russia oggi non può essere considerato il nemico principale della Nato dal punto di vista geopolitico, nonostante sia ancora dichiarata tale nell’ultimo Strategic Concept della Nato. La vera sfida della Nato è, come dichiarato nell’ultimo documento appunto, la Cina, con la quale probabilmente si aprirà una “partita” dopo aver risolto la questione Russia, che non vuol dire per forza aspettare la Pace o la fine della guerra, ma probabilmente andrebbe bene anche uno scenario di sirianizzazione del conflitto russo-ucraino con allontanamento, già avvenuto, della Federazione Russa dall’Europa.
Il secondo punto che va analizzato e confrontato con quello geopolitico è sicuramente quello della situazione interna Ucraina. Con l’entrata in scena della Russia la guerra è passata da una guerra civile ad un conflitto tra Paesi, con l’intervento almeno a livello di intelligence e di armi di diverse potenze occidentali. La guerra “strategica”, su larga scala quindi, vede l’Ucraina terreno di scontro tra Russia e Stati Uniti. La Russia vede il confronto come una possibilità di riconquistare l’influenza passata e rivitalizzare nell’opinione pubblica interna il patriottismo o nazionalismo imperiale (sentimenti entrambi esistenti in buon numero nella società russa), gli Stati Uniti invece pensano a due possibili opzioni; stancare la Russia e renderla più debole sul piano politico militare, rafforzando magari la presenza Nato nella zona, e allontanarla dall’Europa soprattutto in un’ottica futura di apertura del “fronte cinese” che toglierà diverse energie e risorse agli Usa. Che la guerra nella “terra di confine” possa essere una guerra tra Russia, sul campo da febbraio, e Usa, per procura, non significa che gli Ucraini siano semplici “oggetti” degli avvenimenti e non “soggetti”.
Dall’inizio del golpe di Maidan del 2014 la divisione della società ucraina tra est e ovest si è fatta via via più importante fino a sfociare nell’inizio della guerra civile che ha poi visto progressivamente la formazione delle forze separatiste da una parte, quella orientale, finanziate dai russi, ma non del tutto appiattite agli interessi russi e pronte a chiedere l’indipendenza del Donbass, e le forze lealiste dall’altra parte, quella occidentale, formate dall’esercito, che nel 2014 chiamò la guerra in Donbass “Operazione Speciale antiterrorismo”, e da una serie di milizie di ispirazione nazionaliste e/o naziste (Aidar, Azov, Donbass etc etcetera) molto spesso alle dipendenze di oligarchi locali. Tuttavia la situazione politica Ucraina, che fino al 2014 aveva affrontato diverse crisi, era stata sempre in grado di rientrare nei ranghi. Certo la divisione tra i due “mondi” è sempre stata abbastanz evidente, dal punto di vista elettorale: basti guardare il grafico delle ultime elezioni prima del Maidan, quindi 2010, e si può notare come il fiume Dnepr oltre a dividere in due il Paese geograficamente lo dividesse anche elettoralmente. Dopo il 2014 ovviamente la situazione di un Paese che stava affrontando, come tutti i Paesi del blocco post sovietico, il passaggio alla democrazia di stampo liberale, almeno sulla carta, è precipitata.
Oggi con la guerra in corso le divisioni della guerra civili, nonostante ufficialmente le si nasconda, sono più frequenti di quel che si pensa. L’8 giugno un servizio sul campo di Sky tg24 poneva l’accento sulla questione dei collaborazionisti filorussi presenti in tutta l’Ucraina (nel servizio in particolare si parlava anche di Bucha), in cui si diceva come fosse molto frequente il fenomeno, di ucraini che segnalavano ai russi gli obiettivi militari da colpire. Nelle interviste fatte a diversi militari ucraini si segnalava anche la durezza con la quale i militari intervenissero per punire i collaborazionisti (che comunque ci sono anche sul versante opposto) [4].
Quando il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio parla di guerra tra una democrazia, quella ucraina, e una dittatura sbaglia di grosso, basterebbe leggere un report Ocse, HRW o di Amnesty International[5][6][7] [8]. Non si può parlare di Ucraina come una democrazia compiuta, tuttalpiù si può dire, come per gli altri Paesi della zona, di una democrazia giovane con sfumature più o meno autoritaria, per molti di essi pericolosamente autoritarie. Basti pensare che nell’Ucraina post Maidan diverse sono le denunce di organismi internazionali riguardo le torture verso le migliaia prigionieri politici[9], decine sono state le uccisioni di giornalisti e politici[10]non in linea con il pensiero del governo[11]. E lo stesso per quanto riguarda la libertà di espressione e l’agire politico nel Paese. Se subito dopo il Maidan fu messo fuori legge il Partito Comunista Ucraino e smantellato il Partito delle Regioni (partito dell’ex Presidente Yanukovich che alle elezioni parlamentari raggiungeva la soglia del 30%), con lo scoppio della guerra sono stati messi al bando altri 11 partiti di opposizione.[12] Lo stesso discorso vale per i media, gli assalti ai media definiti “pro russi” dal 2014 sono stati centinaia e il governo ha chiuso diversi canali televisivi regionali e nazionali, accusati di essere filorussi, tra cui i 3 tra i maggiori canali televisivi nel febbraio 2021.[13] Questo significa che in un Paese così polarizzato è difficile parlare di democrazia. Ciò non vuole negare il diritto degli Ucraini a difendersi dall’invasione russa, ma è a volte utile non usare doppi standard di valutazione, soprattutto se non si è, almeno sulla carta, cobelligeranti.
Intanto la catastrofe umanitaria giornalmente diventa sempre più imponente. Oltre alle migliaia di morti militari sono migliaia i morti civili sotto i bombardamenti: Negli ultimi giorni i bombardamenti russi hanno raggiunto Vynnitsia, nell’ucraina centrale, e Nikolaev, causando la morte di più di 30 civili, mentre bombardamenti ucraini hanno raggiunto nelle ultime settimane edifici civili e la stazione degli autobus a Donetsk, Stakhanov e Izum causando diversi morti. Al di là degli obiettivi tattici, che possono cambiare a seconda delle battaglie sul campo, e che per ora vedono un’avanzata russa nella parte sud est del Paese, con gran parte del Donbass preso, e una ripresa di altri territori sia nelle vicinanze di Kherson che nel centro nord del Paese da parte ucraina, prevedere come e quando finirà questa guerra è difficile perché gli scenari cambiano costantemente e non è facile stabilire se l’obiettivo strategico di Putin sia solo il Donbass, il ricongiungimento verso la Transinistria con la nascita della “Novorussia” o addirittura tutta l’Ucraina. Secondo il bollettino dell’intelligence britannica del 15 luglio, le forze russe continuano attacchi di artiglieria e, in qualche caso, assalti di piccole compagnie (delle forse speciali cecene soprattutto) senza però avanzare significativamente su obiettivi importanti e che dopo la conquista da parte russa di Lysychansk l’offensiva si sia ridotta. Sempre secondo bollettini britannici però la prospettiva per più ampi colloqui finalizzati alla conclusione delle ostilità rimane bassa. Questa possibilità è difficile da stabilire soprattutto perché si deve capire quali sono gli obiettivi russi, cosa è disposto a cedere l’Ucraina e cosa hanno intenzione di fare Usa e Ue. Qualche settimana fa il capo dell’intelligence Usa, Avril Haynes ha affermato che Putin “abbia gli stessi obiettivi politici che avevamo noi, ossia la conquista della maggior parte dell’Ucraina”[14]. Ecco, se così fosse la guerra potrebbe durare anni e/o allargarsi ulteriormente. Potrebbe durare anni perché innanzitutto l’esercito ucraino è molto numeroso, se consideriamo i riservisti e la legge marziale che vige ora, ben armato e ben addestrato visto che negli ultimi otto anni hanno avuto addestratori occidentali e hanno combattuto sul campo in Donbass. Inoltre se questo dovesse essere l’obiettivo finale, anche se ufficialmente la Russia ha sempre negato di voler occupare e restare in Ucraina, ciò significherebbe un dispendio di energie, risorse e vite umane non indifferenti da ambo le parti.
Per quanto riguarda invece l’Ucraina, bisogna capire cosa sia disposta a cedere e se lo è. Ad oggi il presidente ucraino dice di preparare una controffensiva che permetterà a Kiev di riprendersi il Donbass e anche la Crimea. È chiaro che tornare indietro alla condizione pre 24 febbraio risulta quasi impossibile. L’Ucraina ha “perso” l’ultima possibilità di avere la sovranità su tutto il territorio quando il 19 Febbraio il Presidente Zelensky rifiutò la proposta del cancelliere Scholz di rinunciare alla Nato, dichiarare la neutralità e lavorare per il rispetto degli accordi di Minsk II che prevedevano tra l’altro l’autonomia del Donbass all’interno dello Stato ucraino. Anche in questo caso ci sarebbe poi da mettere in conto la situazione interna. Se Zelensky avesse accettato le condizioni pre 24 febbraio probabilmente avrebbe avuto comunque grossi problemi interni con i battaglioni ultranazionalisti e nello stesso Donbass non si può sapere quanto sarebbero stati disposti ad accontentarsi di un’autonomia e non di una indipendenza. Inoltre poi c’è la Russia che difficilmente sarebbe disposta a tornare al punto di partenza dopo la perdita di decine di migliaia di uomini, mezzi e risorse. Anzi probabilmente più si va avanti e più cambieranno le pretese in fase di trattativa, se mai vi dovesse essere.
In ultimo bisogna capire le mosse degli Usa e dell’Ue. Se gli Usa alternano dichiarazioni di grande sostegno all’Ucraina, fino alla vittoria, a rassicurazioni alla Russia sul non volere un regime change ma di volere una tregua, l’Europa sembra esser uscita fuori dalle trattative. Intanto il vecchio Continente paga, paradossalmente, le sanzioni che ha fatto alla Russia (la quale per il momento le soffre relativamente poco ma che potrebbero avere un impatto molto più forte sulla vita quotidiana delle persone tra qualche mese). L’Europa è intrappolata praticamente in un circolo vizioso. L’aumento dei prezzi dell’energia danneggia l’economia interna, spingendo l’euro al ribasso ai minimi storici. A sua volta, l’euro più debole rende le importazioni di energia più costose. Proprio per le conseguenze dello shock energetico , secondo gli analisti di Bloomberg[15], i Paesi europei hanno rallentato l’assistenza economica all’Ucraina corrispondendo solo 1 miliardo di euro a fronte dei 9 promessi. Inoltre per un’Europa in questo momento politicamente debole con diverse crisi governative interne (Germania, Italia, Estonia, Francia e, fuori dalla Ue, la UK), con un autunno caldo dal punto di vista delle proteste e una situazione economica non certo rosea, c’è da capire quanta sia la voglia continuare sulla strada dello scontro diretto, molto pericoloso, con Mosca rischiando anche un allargamento del conflitto, pericolosamente verso Paesi Nato. E intanto Usa e Mosca si accusano, a giorni alterni, di quanto si stia oltrepassando il limite e si possa arrivare ad una escalation nucleare… Pagine Esteri
[1]Il discorso di Biden al Consiglio atlantico del 1997: “L’espansione Nato agli Stati Baltici provocherebbe una risposta ostile di Mosca” – Il Fatto Quotidiano
[2]https://www.spiegel.de/international/world/nato-s-eastward-expansion-is-vladimir-putin-right-a-
bf318d2c-7aeb-4b59-8d5f-1d8c94e1964d
[3]Sergio Romano, Atlante delle crisi mondiali, pag.248, Rizzoli Editori
[4] tg24.sky.it/mondo/2022/06/06/g…
[5]https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/UA/31stReportUkraine-en.pdf
[6]Ukraine_14th_HRMMU_Report.pdf
[7]https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/ukraine/report-ukraine/
[8]https://www.hrw.org/world-report/2015/country-chapters/ukraine
[9] peacelink.it/conflitti/a/49082…
[10] Kiev allows torture and runs secret jails, says UN | World | The Times
[11] Istantanee dalle prigioni dell’Ucraina “democratica” – Contropiano
[12]https://www.aljazeera.com/opinions/2022/3/21/why-did-ukraine-suspend-11-pro-russia-parties
[13] aljazeera.com/news/2021/2/5/uk…
support
[14]https://www.reuters.com/world/europe/putin-still-wants-most-ukraine-war-outlook-grim-us-
intelligence-chief-2022-06-29/
[15] bloomberg.com/news/newsletters…
economic-pain
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Elezioni 2022: in attesa del programma ‘innovativo’ della destra
Ieri i tre della «destra scalcagnata e illiberale» hanno trovato l'accordo di spartizione dei collegi e premiership. Facciamo un passo indietro sulla crisi
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IRAQ. Manifestanti assaltano il parlamento
Pagine Esteri, 27 luglio 2022 – Un gruppo di manifestanti è entrato, qualche ora fa, nella zona protetta del parlamento iracheno a Baghdad, dove risiedono anche le missioni diplomatiche estere.
I manifestanti, sostenitori del leader sciita Muqtada al-Sadr, protestano contro la nomina a primo ministro del leader del blocco avversario, Mohammed Shia al-Sudani.
Nonostante sia stata la coalizione di Muqtada al-Sadr ad aggiudicarsi il maggior numero di seggi in parlamento (73 su un totale di 329), il leader sciita non è riuscito a trovare i numeri necessari alla formazione di un nuovo governo. Lo stallo prosegue ormai da 10 mesi.
Il Primo Ministro, Mustafa al-Kadhimi si è rivolto ai manifestanti, intimandogli di lasciare immediatamente il perimetro del parlamento, una zona normalmente inaccessibile. Il primo Ministro ha anche dichiarato che le forze speciali non esiteranno ad utilizzare i mezzi necessari per sgomberare l’area, qualora il suo appello dovesse cadere nel vuoto.
I manifestanti sono centinaia e molti di loro portano tra le mani fotografie del leader sciita Muqtada al-Sadr, che qualche settimana fa è uscito dal Parlamento, assieme ai suoi deputati, in segno di protesta.
La spaccatura tra forze sciite pro Iran e quelle vicine a Al Sadr rischia di portare il paese alla guerra civile
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Perdono
Se si chiede perdono si deve anche ammettere le colpe, senza remore, sinceramente, fino in fondo. Bergoglio ha fatto bene a chiederlo per il modo in cui la chiesa che ora lui guida si è comportata con i nativi. Se, però, le questioni di fede e quel che la fede detta non sono materia qui discutibile, diverso è per le questioni storiche e per le ricostruzioni ispirate a pregiudizi non condivisibili.
Tra il 1863 e il 1966 le organizzazioni cattoliche canadesi hanno sottratto ai nativi all’incirca 150mila bambini, per educarli secondo i dettami della fede ecclesiastica. Annesso a una di queste scuole è stato anche rinvenuto un cimitero, segreto, dove i piccoli morti venivano seppelliti. Gli abusi sono stati molti e vergognosi. Non fu, però, un trattamento riservato ai nativi d’America. I gesuiti lo praticavano anche in Italia, rapendo i bambini ebrei. Il piccolo Mortara, in quel di Bologna, fu sottratto con la forza alla famiglia e mai più restituito, semmai educato in seminario e ordinato sacerdote. L’uso della violenza per diffondere la fede intride ancora le mura di non poche sedi vaticane. A Roma, facendo pochi passi, ci si può spostare dal palazzo dove fu processato Galileo a quello in cui si amministrava la propaganda della fede, per giungere alla piazza dove fu arso vivo Giordano Bruno. Di tanto in tanto arrivano richieste di perdono (Wojtyla lo chiese per Galileo), ma nessuno dei richiedenti odierni ha alcuna responsabilità. Ovviamente. Lo chiedono a nome di una istituzione che agisce in continuità, universale e immutabile.
Se è così, però, Bergoglio ha provato a subordinare l’azione della chiesa, e dei gesuiti in particolare, alla volontà dei governi colonialisti. Perdonateci, per essere stati dalla loro parte. Ma la chiesa non era dalla parte del colonialismo, ne era semmai parte. E il colonialismo non è il male incarnato, che scontri per il dominio e schiavitù esistevano anche prima e perdurarono anche distante. L’avere scoperto nuovi continenti non è una colpa. Semmai un merito. Non vorrei che una eventuale associazione colonialisti debba chiedere scusa per non essere riuscita a fermare quanti approfittavano di scoperte e conquiste per convertire a suon di roghi, torture e rapimenti. È un inganno logico: non erano due mondi, ma il medesimo (già travagliato da guerre religiose interne, tanto che si convertiva con la violenza anche per evitare che a farlo fossero, magari civilmente, i protestanti pellegrini, già rinnegati e perseguitati).
Il mondo prima dell’arrivo dei coloni non era una specie di Tahiti à la Gauguin. Semmai è il mondo post Seconda Guerra Mondiale che ha generato filoni anti occidentali che pretendono l’Occidente sia la causa di tutti i mali, pretendendo “migliori” anche costumi e tradizioni che evocando un mondo perso. Senza che tutto il perduto debba essere rimpianto.
In ogni caso, Bergoglio e i suoi predecessori hanno un indiscutibile merito: presentatemi un pope ortodosso che chiede scusa per i domini russi o un monaco cinese che lo faccia per le pulizie etniche dell’impero. Che questo nostro mondaccio non sia poi malaccio lo dimostrano anche le richieste di perdono. Accettabili o meno.
La Ragione
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Trattato di Non Proliferazione nucleare: fine corsa non ammesso
Dal 1° al 26 agosto si terrà la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione. L'attuale momento è talmente critico che proprio nella criticità è insita l'opportunità che il vertice porti risultati
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India, convertibilità della rupia: la de-dollarizzazione avanza
Con la convertibilità della rupia la de-dollarizzazione avanza
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Manzanar in Palestina: eredità dell’internamento e della pulizia etnica
La Nakba dei palestinesi, la schiavitù e il genocidio dei nativi americani, alla radice della formazione di due Stati: Stati Uniti d'America e Israele
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Scuola, il Mef autorizza l'assunzione di 94.130 posti e 361 dirigenti scolastici per l'a.s. 2022/23.
Ucraina: gli USA, Biden e il nesso tra politica estera e crisi economica
L’agenda dell’amministrazione Biden è in crisi. I problemi del tavolo della cucina, come i prezzi elevati di cibo e gas, nonché un rallentamento economico, stanno minacciando la sua agenda interna. Con prospettive incerte per le elezioni di medio termine, gli sforzi legislativi legati al cambiamento climatico e molte altre questioni sono in pericolo esistenziale. La [...]
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Argentina: la guerra dei Fernández
Gli scontri tra il Presidente Alberto Fernández e il suo vicepresidente, l'ex Presidente Cristina Fernández de Kirchner, alla luce della crisi economica e del voto 2023
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Russia-Ucraina Vs Vietnam-Cambogia
La Cambogia nel 1975 era una dittatura controllata dagli USA bombardata. ‘Fratello numero uno’, Pol Pot era un nazionalista demente, devoto della rivoluzione culturale di Mao, che riuscì a duplicare per colpa. Vale a dire, milioni di morti, fame di massa e una Kampuchea uber alles megalomane, che sradica non solo i “camminatori capitalisti” ma [...]
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Ucraina: e se venisse allargata la rete delle sanzioni ai russi?
Le sanzioni settoriali imposte per l’invasione dell’Ucraina stanno chiaramente danneggiando l’economia russa. Tuttavia, è altrettanto evidente che tali misure sono di natura a lungo termine e non ci si può aspettare che mettano fine all’invasione dall’oggi al domani. Per avere un impatto più immediato, è giunto il momento di considerare di ampliare drasticamente l’applicazione delle [...]
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Giustizia: manca la volontà politica per attuare le riforme
È, più di sempre, l’estate dei suicidi in carcere: ufficialmente si è già raggiunto quota quaranta. Gli esperti e gli studiosi concordano, e gli operatori confermano, per l’esperienza quotidiana che vivono giorno dopo giorno: l’estate più di altre stagioni, e la pandemia che non accenna a diminuire accentuano le situazioni di disagio mentale, apprensione ed [...]
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«La democrazia non è a rischio, quello che manca al Paese sono politici davvero capaci» intervista a Sabino Cassese su Il Messaggero
L’ex giudice della Consulta: i cittadini devono valutare i programmi, invece di pensare all’allarme destra
Professor Sabino Cassese, le preoccupazioni per la possibilità che Giorgia Meloni vada a Palazzo Chigi le sembrano giustificate?
«Se si è schierati da una parte opposta sì, perché si teme di essere perdenti; se la preoccupazione invece riguarda la tenuta del sistema politico costituzionale introdotto 74 anni fa, le preoccupazioni non sono giustificate. Ritengo che libertà e democrazia, ai diversi livelli del potere politico (cioè Unione europea, Stato, regioni, comuni) siano sufficientemente radicati per non temere che una forza politica, di destra o di sinistra, possano metterli in dubbio. Diversi i timori che possono sorgere da esperienze recenti di altri Paesi, come l’Ungheria. Ma ritengo che un certo grado di verticalizzazione del potere possa essere realizzato senza violare lo Stato di diritto e le libertà, perché l’Italia ha anticorpi sufficienti per mettere in guardia e correggere derive o illiberali, o non democratiche. Se questi non bastassero, ci sono i vincoli esterni di degasperiana memoria, sui quale tanto insistette Guido Carli».
Perché anche i suoi alleati di centrodestra sembrano così ostili a questa ipotesi? Sono solo calcoli politici? Meloni capo del governo sancirebbe la fine di una lunga stagione della politica italiana, in cui il polo conservatore si è identificato in Berlusconi e nella Lega.
«La fluidità e la frammentazione dell’elettorato italiano, che si riflettono nelle forze politiche, nonché le ulteriori suddivisioni tra le forze politiche (non dimentichiamo i guelfi e i ghibellini), fanno sì che alla concorrenza tra le coalizioni si accompagni la concorrenza nelle coalizioni».
C’è anche una motivazione sessista?
«Mi auguro proprio di no: sono 74 anni che vige la Costituzione; essa dispone che tutti i cittadini sono eguali, indipendentemente dal sesso. Il fatto che la leader di Fratelli d’Italia sia donna dovrebbe, al contrario, giocare a suo favore, visto che finora alla Presidenza del Consiglio dei ministri sono andati uomini e che dei circa 5mila membri del governo solo meno del 7 per cento è stato di sesso femminile».
A Fratelli d’Italia viene rimproverata la sua origine di partito di destra radicale e nostalgica.
«Più che storie pregresse credo che sia importante il giudizio degli italiani sui programmi. Mi aspetto che cittadini maturi valutino le forze politiche in base alle risposte che esse danno a domande del tipo seguente: vi preoccupa il calo demografico del nostro Paese e quale rimedi pensate di poter introdurre per evitarlo? Come vorreste porre rimedio alle debolezze del servizio sanitario nazionale, che conoscevamo e che sono state messe in luce dalla pandemia? Quali provvedimenti proponete di adottare per contrastare il declino della scuola, migliorare il tasso di scolarizzazione del nostro Paese, aumentare gli anni della scuola dell’obbligo, evitare gli abbandoni, motivare gli insegnanti? Questi ed altri problemi simili debbono essere il metro di paragone per giudicare le forze politiche, quando si presentano all’elettorato».
L’altra critica che si rivolge a Fratelli d’Italia riguarda la carenza di una classe dirigente adeguata: le sembra un partito in grado di esprimere figure politiche e amministrative di livello, adeguate a guidare il Paese in un momento così difficile?
«Non conosco a sufficienza i quadri dirigenti di Fratelli d’Italia. So che nella nostra tradizione buoni politici sono venuti o dall’esperienza delle amministrazioni locali, oppure dalle professioni, oppure dalla classe insegnante. Se potessi dare un consiglio alle forze politiche, suggerirei di portare in Parlamento anche qualche persona che si è formata nell’alta amministrazione, perché la politica separata dall’amministrazione corre il rischio della irrealtà. Penso che le forze politiche dovrebbero riservare qualche posto tra i candidati a tecnici capaci, per ripetere l’esperienza fatta da altri politici in passato (penso a Craxi che volle Giugni in Parlamento perché sapeva che i problemi del lavoro sarebbero stati centrali in quegli anni). Insomma, una classe dirigente si forma nella società civile, nelle sue strutture. Questo perché le strutture di partito sono divenute, ormai da numerosi anni, esangui. I partiti, che dovrebbero essere lo strumento principale della democrazia del Paese, sono essi stessi non democratici».
Intervista di Pietro Piovani su Il Messaggero
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