Lo sformato
Cosa fare ora
Le coalizioni stanno prendendo forma. A destra hanno usato lo stampo del 1994, il tradizionale della casa, con la sua storia di divisioni e con il suo presente di frontali contrapposizioni. Il suo significato è uno solo: prima si vince e poi si vede.
A sinistra anche hanno uno stampo di famiglia, intitolato a unioni o frantoi, ma ogni volta che lo usano il risultato è tutto tranne che una forma compatta e convincente, ogni volta che scodellano il risultato poi gli si sfascia in mano, senza contare che il solo servirsene significa avere subito l’egemonia culturale e politica del berlusconismo.
Quindi giurano sempre che non lo tireranno mai più fuori, ma, non avendo altro, si rassegnano allo sformato di carne, pesce e verdure. Il suo significato è uno solo: prima si impedisce che vincano, poi si vede.
Non c’è alcuna ragione per supporre che, a questo giro, le cose vadano diversamente da come sono fin qui andate, dal 1994 in poi. Chi, come Azione e l’ardita sortita di Carlo Calenda, aveva detto e ribadito di credere nella necessità di abbandonare gli stampi, alla fine non ci ha creduto abbastanza.
A correre in solitaria resta Italia Viva, ma con un Matteo Renzi che, funambolico artista della politica, condivide solo metà della sorte della Sora Camilla: quella “tutti la vogliono e nessuno se la piglia”, qui non è detto sia fondata la prima parte.
A decidere vittorie, sconfitte, pareggi e squalifiche saranno gli elettori. Da qui al giorno delle elezioni avremo modo di tornarci. Quel che vedo, da subito, è una nuova legislatura che nasce già vecchia, l’ennesimo girone di ritorno di un campionato sempre meno interessante, con giocatori che passano da una parte all’altra e pubblico che rimane a casa e spegne la televisione.
Siccome, però, il futuro corre comunque, le cose accadono e cambiare è necessario, proviamo a immaginare cosa sarebbe utile fare, cosa è ancora possibile fare in questa partita giocata al passato.
La parte sconfitta capirà di avere sbagliato a mettere in scena una falsa coalizione. Lo capirà non tanto perché avrà appena perso le elezioni, ma perché quell’errore le impedirà di fare politica nell’immediato futuro. Si assisterà ancora alla nascita di “nuovi”, che già solo per questo sono vecchi rattrappiti.
La parte vincitrice si accorgerà che avere la maggioranza non significa avere in consenso, né interno alla coalizione né nel Paese, per governare convincentemente e durevolmente. Il peggio delle false coalizioni, insomma, non lo vediamo da qui al 25 settembre, ma da quel giorno in poi.
Posto ciò, se è rimasto un briciolo si senso di responsabilità e delle istituzioni, considerata la straordinaria propensione al compromesso e all’accomodamento, varrebbe la pena di stendere un accordo comune, fin da subito.
Chiunque vinca e perda l’attuale sistema elettorale è una schifezza (e la si finisca con la pagliacciata delle firme, per lo più false, cui si costringono le nuove formazione per presentare delle liste, si usi il sistema inglese: depositi una somma o firmi una garanzia, se totalizzi più dell’1%, anche se sconfitto, ti riprendi i soldi, altrimenti sei un disturbatore e li perdi).
Il sistema elettorale può essere di diversa natura, ma funziona solo se in armonia con l’architettura costituzionale. Le riforme costituzionali fatte gli uni contro gli altri o abortiscono e scodellano aborti, come quella del Titolo quinto (2001) e del numero dei parlamentari (2019).
Non essendo possibile fare accordi sul merito delle modifiche, li si faccia sul metodo: serve una apposita assemblea elettiva, con un anno di vita e senza privilegi o vitalizi. Infine: gli impegni presi per il Pnrr, chiunque vinca o perda, essendo stati presi largamente assieme, dovranno essere rispettati.
Non è poco. È moltissimo. E, a occhio, è più di quello di cui questo mondo politico è capace. Ma è il minimo necessario. Siccome il solo punto su cui gli incapaci convergono è il desiderio di sopravvivere, quelle sono le condizioni. Conviene a tutti. A chi vincerà e a chi perderà. E si può fare subito, non costando altro che la fatica di usare la testa.
L'articolo Lo sformato proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Elezioni 2022, come sopravvivere alla grande fiera delle illusioni | La Fionda
"In altre parole, mentre ci affanniamo a selezionare l’autista da mettere al volante del paese, non ci accorgiamo che la nostra macchina è stata sostituita con un’auto giocattolo, senza ruote e senza motore. Uno Stato di plastica, un guscio vuoto che nemmeno il conducente più formidabile potrebbe mettere in moto.
Da tempo, infatti, le leve della politica economica sono state sottratte alla politica nazionale e spostate a Bruxelles e Francoforte. Significativo in questo senso il disinteresse di Mario Draghi per le vicende elettorali del 2013, quando da Presidente della BCE ci informò che quand’anche fossero giunti al potere i populisti le riforme sarebbero proseguite «come se fosse inserito il pilota automatico»."
Etiopia, il conflitto che alimenta la violenza sessuale in Tigray
MEKELLE, Tigray – “Abbiamo cercato di fuggire sul retro di un camion, ma ci hanno beccato. Mi hanno portato via, violentata e lasciata nella boscaglia”. Mahlet* aveva solo 17 anni quando è fuggita di casa nel novembre 2021 per sfuggire al conflitto in corso nella regione del Tigray settentrionale, in Etiopia.
Non ha ripreso conoscenza fino al giorno successivo. Sola, terrorizzata e sofferente, ha detto:
“Non c’era nessuno in giro ad aiutarmi”.
Il conflitto stridente e l’insicurezza in Etiopia hanno decimato il sistema sanitario, con la maggior parte degli ospedali e dei centri medici saccheggiati o distrutti durante i combattimenti. Senza accesso all’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, o altro, quando ha scelto di parlare con l’UNFPA, Mahlet era incinta di sette mesi dal suo stupratore.
“L’ho tenuto segreto perché se uno dei leader della comunità lo avesse scoperto, sarebbe rimasto scioccato e io sarei stata discriminata”, ha detto.
Il reato di violenza sessuale è ampiamente sottostimato su scala globale, ma nei conflitti gli ostacoli alla ricerca e all’accoglienza possono diventare insormontabili. Pochi sopravvissuti parlano mai del loro calvario, per paura di essere stigmatizzati dalle loro famiglie e comunità – e nella pungente consapevolezza che la giustizia comunque probabilmente sfuggirà loro. Costretti da una cultura del silenzio, non osano chiedere l’assistenza umanitaria per cui dovrebbero avere la priorità, poiché molti hanno paura di essere scoperti se cercano di chiedere aiuto.
Una crisi nascosta in bella vista
Mahlet ha trovato da sola la strada per il campo Sabacre 4 a Mekelle per sfollati interni, dopo aver perso la sua famiglia nel caos delle ostilità. Malnutrita, esausta e consumata dall’ansia per il futuro che ora le attende, ha detto di essere sollevata di poter raccontare la sua storia a un consulente in uno spazio amichevole per donne e ragazze supportato dall’UNFPA.
Gli spazi amichevoli sono centri in cui i sopravvissuti possono accedere a supporto psicosociale, kit di dignità contenenti articoli sanitari e sanitari e rinvii a rifugi sicuri. I centri offrono cibo, cure mediche, consulenza legale, supporto psicosociale e formazione professionale, oltre a uno spazio in cui i sopravvissuti possono guarire e iniziare il lungo processo di ricostruzione delle loro vite.
Mahlet è solo una di un numero imprecisato di ragazze che cercano disperatamente di affrontare una situazione che non hanno contribuito a creare, costrette a mettere in pericolo la propria vita per sopravvivere. “Questo isolamento è comune tra i sopravvissuti alla violenza sessuale”, ha affermato il Senait Geber, che gestisce i casi di violenza di genere in uno degli spazi amichevoli. “Diventano invisibili nel campo e ricorrono al sesso commerciale e ad altre attività solo per sopravvivere”.
Quasi 4 milioni di persone nel Tigray e circa 10 milioni nella regione di Amhara hanno bisogno di servizi sanitari salvavita, compreso il supporto sessuale e riproduttivo: oltre l’80% delle restanti strutture sanitarie nel Tigray non ha capacità di salute materna, mentre nel Nella regione di Afar solo 1 struttura su 5 è attualmente funzionante. L’ufficio di coordinamento umanitario delle Nazioni Unite riferisce che la protezione dalla violenza di genere è quasi inesistente, con le vittime di stupro che hanno poco o nessun accesso alla gestione clinica dello stupro o ad altri servizi fondamentali.
Fornire un rifugio sicuro per il recupero e la guarigione
La violenza sessuale può portare a una vita di angoscia per la salute fisica e mentale. Chi rimane incinta e partorisce spesso deve affrontare l’esclusione sociale, l’abbandono e la povertà. “Molti sopravvissuti affermano che preferirebbero morire piuttosto che sopportare un simile trauma”, ha detto un’infermiera in un centro unico sostenuto dall’UNFPA, un altro tipo di struttura che riunisce varie forme di salute riproduttiva, assistenza medica e di altro tipo.
Circa il 70% delle donne in contesti umanitari dichiara di aver subito violenze sessuali, rispetto a circa il 30% a livello globale. In quanto adolescente sfollata e non accompagnata, Mahlet è tra le più vulnerabili in questa crisi pericolosa e devastante.
In tutto il nord dell’Etiopia, l’UNFPA sostiene 11 spazi amichevoli, che hanno assistito più di 15.000 donne e ragazze finora quest’anno, e 20 centri unici. Nelle regioni del Tigray e dell’Amhara, l’UNFPA lavora anche con tre centri di accoglienza per consentire ai sopravvissuti di riprendersi attraverso un’intensa consulenza e supporto. Ad oggi, quasi 25.000 persone nelle aree colpite dal conflitto dell’Etiopia settentrionale sono state raggiunte attraverso programmi di consulenza psicosociale sostenuti dall’UNFPA.
Ci sono circa 130 bambini che vivono nel campo di Sabacre 4 senza famiglia: la maggior parte sono adolescenti come Mahlet. Come ha indicato la signora Senait, alcuni ricorrono al sesso transazionale in cambio di cibo o di una magra somma di denaro. “Come posso andare avanti con questo bambino quando devo mendicare solo per vestiti e cibo?” disse Mahlet. “Non riesco nemmeno a soddisfare i miei bisogni quotidiani.”
Dei 26 milioni di persone in Etiopia che necessitano di assistenza umanitaria urgente, quasi tre quarti sono donne e ragazze. L’ Appello 2022 dell’UNFPA per la risposta umanitaria chiede quasi 30 milioni di dollari per rispondere alle urgenti esigenze di protezione e salute di donne e ragazze in otto regioni colpite dalla crisi in Etiopia.
*Nome cambiato per motivi di protezione.
FONTE: unfpa.org/news/conflict-fuelli…
Ecuador: Il 25 luglio viene dichiarato giorno nazionale della Donna Afro. Evento storico.
Mishell Mantuano* –
(Traduzione Davide Matrone)
Pagine Esteri, 3 agosto 2022 – Le donne afroecuadoriane, in data 21 luglio, hanno raggiunto un risultato storico in Ecuador: il riconoscimento del giorno nazionale della donna afroecuadoriana, nera e afrodiscendente. Questo obiettivo segna un precedente storico nelle rivendicazioni dei diritti delle donne afro e dà continuità alla lotta e alla resistenza contro il razzismo strutturale che esiste nel paese e in tutto il continente.
Sin dalla mattina del 21 luglio, circa 150 donne afroecuadoriane provenienti da tutto il paese si sono riunite all’esterno dell’Assemblea Nazionale dell’Ecuador per esigere tale riconoscimento come un passo in più per la costruzione di una società giusta. All’esterno del perimentro dell’Assemblea Legislativa si sono realizzate una serie di cerimonie ancestrali con l’uso della croce della Lalibela, o meglio conosciuta come Etiope, che rappresenta le persone della diaspora africana. Per circa un’ora le donne hanno messo in atto un suggestivo e impressionante rituale danzante a ritmo di tamburi utilizzato tradizionalmente per difendere e preservare l’essenza dei quattro elementi naturali del Pianeta: il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra. Elementi che i popoli afrodiscendenti dell’Ecuador cercano di salvaguardare ogni giorno per il benessere di tutti gli ecuadoriani afro del paese. In Ecuador, secondo l’ultimo censimento del 2020 il 7.2% della popolazione totale è afrodiscendente e conta con quasi 1 milione e centomila abitanti in tutte le 24 regioni del paese ma con una presenza importante in 9 di esse: Esmeraldas, Imbabura, Carchi, Loja, Guayas, Pichincha, El Oro, Los Rios e Manabí.
Fonte: afros.wordpress.com/quienes-so…
Le Organizzazioni Afro Donne dell’Ecuador per anni hanno lottato per questo riconoscimento richiamando l’attenzione delle Istituzioni sul fatto che dal 25 luglio del 1992 si celebra il giorno internazionale della Donna AfroLatina, dei Caraibi e della Diaspora, ma non esiste ancora alcun riconoscimento istituzionale a livello nazionale.
Questo atto celebrativo e di resistenza nasce all’indomani dell’incontro di 400 donne afrodiscendenti realizzatosi nella Repubblica Domenicana che, in occasione dei 500 anni di conquista spagnola dell’America Latina, si riunirono per esporre e denunciare le problematiche delle donne afrodiscendenti: la discriminazione razziale, il sessimo, lo sfruttamento lavorativo, la povertà, l’esclusione nel sistema educativo, la disuguaglianza economica, l’emarginazione e la violenza di genere.
Così, dopo le cerimonie e i rituali, le donne afroecuadoriane hanno ricevuto l’autorizzazione per accedere nella parte alta della sala Nela Martínez dell’Assemblea Nazionale dell’Ecuador per assistere al dibattito parlamentare in programma per le ore 12.30. Il Presidente dell’Assemblea, Virgilio Saquisela, ha dovuto modificare il calendario delle attività parlamentari vista la pressione e determinazione delle organizzazioni afro all’esterno del Parlamento. L’ordine del giorno per tale riconoscimento era previsto per il pomeriggio dopo le ore 15. Le 150 donne afroecuadoriane hanno seguito con molta attenzione gli interventi dei parlamentari in un’Assemblea mezza vuota. Durante il dibattito c’era la preoccupazione che non si raggiungesse il quorum al momento del voto finale e tutto sarebbe sfumato nel nulla.
Foto di Michelle Mantuano
Il dibattito si è aperto con le parole di Ines Morales Lastra, donna storica del movimento femminile afro dell’Ecuador in nome della Confederazione Comarca del Nord di Esmeraldas che dato risalto alla lotta delle donne e degli uomini neri del paese per la salvaguardia e la difesa dei boschi tropicali e delle mangrovie di questa regione del paese riconosciuti patrimonio ambientale e intangibile della nazione. La difesa dell’ambiente è fondamentale per la difesa della vita di ognuno di noi. “Da oltre 30 anni continuamo la nostra lotta come donne afrodiscendenti dell’Ecuador per la costruzione di un paese giusto ed uguale. E ispirandomi alle parole della Neo Vicepresidente della Colombia Francia Márquez, dobbiamo continuare per vivere in modo equilibrato la nostra esistenza collettiva”. In seguito, le parole di Irma Bautista, Coordinatrice delle Donne Negre dell’Ecuador che ha posto l’accento sul contributo degli afroecuadoriani e delle afroecuadoriane nella lotta d’indipendenza e nella costruzione della nazione ecuadoriana nei secoli trascorsi. Inoltre, ha dichiarato che questo riconoscimento è assolutamente necessario per combattere dalle Istituzioni il razzismo strutturale presente in tutti gli spazi della società.
A presentare la mozione parlamentare per il riconoscimento simbolico e legale del giorno della donna Afro è stata la assembleista afrodiscendente della regione di Esmeraldas, Paola Cabezas del partito UNES (Unione della Speranza) che ha raccolto le istanze territoriali delle organizzazioni delle donne afrodiscendenti dell’Ecuador. Alle ultime elezioni politiche del 2021, sono state elette solo due parlamentari donne afro su 137 in totale.
Una volta terminato il dibattito durato all’incira un’ora, si è giunti alla votazione con la presenza di 120 parlamentari su 137 (87.6%) che hanno votato all’unanimità la mozione e quindi il riconoscimento legale e simbolico richiesto dalla parlamentare Paola Cabezas in rappresentanza delle organizzazioni afrodiscendenti: Confederazione Comarca, CONAMUNE, Movimento delle Donne Nere del Nord di Esmeraldas, Fondazione Doña Ela, Fondazione Ecuadoriana AZUCAR ed Andina Red, tra le altre.
Dopo la vittoria di Francia Márquez in Colombia, si apre una fase di riscatto e di speranza per gli afro e per le afrodiscendenti del continente latinoamericano che sono – secondo gli ultimi dati emanati dalla CEPAL/UNFPA nell’anno 2020 – 134 milioni e rappresentano il 21% della popolazione continentale ma sono la parte maggiormente esclusa di tutta la regione.
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Ucciso da droni Usa il capo di Al Qaeda Ayman al Zawahiri
della redazione
(Ayman al Zawahiri e Osama bin Laden nella foto di Wikimedia Commons)
Pagine Esteri, 2 agosto 2022 – Il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, è stato ucciso durante un raid aereo condotto dalla Cia con alcuni droni a Kabul, in Afghanistan, domenica 31 luglio. La notizia data inizialmente dai media Usa è stata confermata dal portavoce dei Talebani al potere in Afghanistan, Zabiullah Mujahid. Il raid è avvenuto nel quartiere di Sherpur, nel centro della capitale afghana e ha avuto come bersaglio una abitazione residenziale. Zawahiri, egiziano, medico e uno dei capi del Jihad nel suo paese durante gli anni ’80, aveva preso la guida di Al Qaeda in seguito all’assassinio di Osama bin Laden il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, sempre da parte degli Usa. Con ogni probabilità sarà sostituito da Saif al-Adel, uno dei leader di Al Qaeda sin dai suoi primi giorni.
L’attacco di droni è il primo condotto dagli Usa in Afghanistan dopo quello di un anno fa durante il ritiro americano dal Paese in cui furono uccisi 10 civili a Kabul. I Talebani hanno condannato il raid affermando che è una violazione delle intese di Doha firmate con gli Stati Uniti che prevedevano il ritiro di tutte le forze americane dall’Afghanistan. Le intese comprendevano anche l’impegno degli islamisti di impedire ad Al Qaeda di utilizzare di nuovo il suolo afghano per pianificare attacchi ma non l’espulsione di Al Qaeda.
Nel 2001, Zawahiri, come Osama bin Laden, era fuggito dalle forze statunitensi di occupazione dell’Afghanistan e dove si trovasse è rimasto un mistero. Braccio destro di bin Laden ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il medico egiziano in tutti questi anni ha continuato nell’ombra a guidare l’organizzazione. Figura meno carismatica di bin Laden, considerato il “teorico” di Al Qaeda, Zawahiri ha dovuto fare i conti non solo con la caccia che gli Usa gli hanno dato per oltre venti anni ma anche con la scissione interna che ha dato vita all’Isis, lo Stato islamico, in sfida diretta alla sua autorità.
Sulla sua uccisione è intervenuto qualche ora fa Joe Biden. “Ora giustizia è fatta – ha detto il presidente americano – e il mondo non dovrà più temere questo pericoloso terrorista: ancora una volta, abbiamo dimostrato di essere capaci e determinati a difendere i nostri cittadini da chi vuole farci del male”. Biden ha spiegato che la Cia aveva localizzato Zawahiri quest’anno, dopo che si era spostato a Kabul, in Afghanistan, per riunirsi con i suoi familiari. “Dopo attente valutazioni e verifiche, ho autorizzato la sua eliminazione: l’operazione è stata un successo, senza vittime tra i suoi familiari o altri civili”, ha detto Biden, aggiungendo che gli Stati uniti continueranno “a vigilare, e a fare tutto il necessario per proteggere i nostri cittadini in patria e in tutto il mondo”. Pagine Esteri
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“Poteva costruire un terzo polo liberale Invece ha preferito qualche seggio” intervista di Giuseppe Benedetto su Il Giornale
Il presidente della Fondazione Luigi Einaudi: “Non mi ero mai illuso su Calenda. Dubito che adesso gli elettori di centrodestra lo votino”
La prevedibile ammucchiata a sinistra, con spartizione di seggi, ha lasciato con un palmo di naso chi puntava su Calenda per un terzo polo di ispirazione lib-dem (liberaldemocratica). All’inizio di luglio la Fondazione Luigi Einaudi, proprio con Calenda, aveva presentato il «Comitato di garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei». Ma il presidente della Fondazione, Giuseppe Benedetto, non è deluso più di tanto dall’ex manager Ferrari, per un motivo semplice. «Non mi ero mai illuso su Calenda».
Insomma si aspettava che tra i liberali e i seggi col Pd, avrebbe scelto i secondi.
«È chiaro che con una operazione al centro, costi quel che costi, ci avrebbe rimesso tutti i collegi uninominali».
Meglio allearsi con Fratoianni, Di Maio, Orfini, Speranza, noti liberali.
«Immaginavamo un percorso di iniziative culturali per mettere assieme tutta l’area liberal-democratica in questo paese. Però pensavamo ancora che le elezioni fossero lontane».
Invece si vota tra neanche due mesi. Il liberalismo può attendere, ci sono altre priorità per Calenda e soci.
«In coerenza con quanto ho detto per tutta la mia vita di liberal non vado certo a fare alleanze con il Pd. Le alleanze pre-elettorali sono una peculiarità italiana. In tutta Europa ci si presenta alle elezioni con la propria identità, e poi il giorno dopo si ragiona su maggioranze e governi. Invece da noi si fanno alleanze contro qualcuno, ma così è il Paese che ci rimette».
Un’alleanza per non far vincere il centrodestra.
«Invece quello che serviva era un terzo polo che si richiamasse alla famiglia liberal europea. Siccome Azione e +Europa e anche Italia Viva fanno parte del gruppo Renew Europe, che si richiama appunto a quei valori, come Fondazione Luigi Einaudi abbiamo pensato di poter collaborare per dare una rappresentanza anche nel Parlamento italiano a questa area politica. Ma con una alleanza con il Pd mi pare difficile».
Secondo lei Calenda ci guadagna o ci perde con questo mossa?
«Ci perde senza dubbio. Poteva essere una occasione unica per avere una percentuale a doppia cifra. Tutti gli indicatori che avevamo dicevano che questo rassemblement, con Azione e Renzi, avrebbe raccolto un numero di voti importante. Pescando anche ovviamente dagli elettori moderati di centrodestra. Così invece dubito che un elettore del centrodestra possa votare un partito alleato con il Pd e la sinistra massimalista».
C’è sempre Renzi, che è rimasto da solo.
«Renzi se farà veramente una battaglia da solo recupererà una parte dell’elettorato di Calenda. Si sono aperte delle praterie, che gli possono permettere di superare la soglia di sbarramento. Ah, guardi mi ha appena risposto Calenda su Twitter».
E che le dice?
«Mi scrive che nel programma con Letta ha sempre il no alle tasse il si ai rigassificatori, l’atlantismo, e che non vuole regalare collegi alla destra putinista per purezza ideologica»
E lei cosa gli risponde?
«Che per me il problema non sono i collegi. Il nostro progetto era quello di riavere in Italia dopo 30 anni un movimento autenticamente liberale, non quello di ottenere 5 o 10 seggi in più in Parlamento».
Intervista di Paolo Bracalini su Il Giornale
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TSO politico
Prima il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo la crescita dell’Italia (unico fra i Paesi sviluppati) per l’anno in corso, fissandola al 3%. Poi sono arrivati i dati Istat, che parlando di una crescita acquisita al 3.4%.
Ieri la stessa fonte ha fatto sapere che è al lavoro il 60.1% delle popolazione attiva (ovvero di quanti possono lavorare), con una crescita di 400mila occupati rispetto all’anno scorso (in cui siano cresciuti molto, ma con un effetto di rimbalzo rispetto al pessimo 2020), 116mila nell’ultimo mese. È sempre significativamente meno della media europea, ma il nostro massimo dal 1977.
Non significa che tutto vada bene, anche perché non è mai possibile. Ma è falso che tutto vada male. Se, nella condizione data, delle occasioni si sono colte e a dei guai s’è provato a porre rimedio, lo si deve a un equilibrio politico e alle scelte fatte. Siccome si attendono le urne, guardiamo alla politica. Che fa venire in mente un acronimo: TSO.
Scorrete interviste e slogan e vi accorgerete che la politica ha in mente un’Italia povera, affamata e in ginocchio. Ancora regge lo stellone, ma non si sa per quanto. Quel che si propongono per il futuro è reggere, ristorare, sussidiare. Chiunque obietti viene coperto d’improperi, accusato di avere le terga protette, d’essere un privilegiato e di vivere in un altro mondo.
Che, detto da taluni, dimostra la persistenza del senso dell’umorismo. Ma l’Italia che produce e porta a casa successi non c’è, in quella visione plumbea. Evidentemente sono convinti che chi sappia cosa fare mai li voterebbe, mentre il mercato del consenso fiorisce ove si conta di ricevere.
La grande differenza fra destra e sinistra consiste nel fatto che a destra sanno chi sono i coalizzati, ma ieri hanno avviato la discussione sul programma, come a dire che trattasi non del collante, ma, semmai, del solvente che potrebbe scioglierli, mentre a sinistra non sanno ancora chi sono, pur sapendo chi non ci sta, avendo in programma di battere la destra e provando a emularne la capacità di mettere assieme non solo i diversi, ma anche gli opposti. Per il resto è una gara al TSO: Tasse, Spese e Omissioni.
Non ce né uno che non voglia sgravare qualche cosa. C’è chi lo dice in inglese (senza curarsi della traduzione), chi in sindacalese, nessuno avendo la grazia di indicare come saranno coperte le mancanze di gettito, o come saranno compensate da diminuzione della spesa.
Sicché sappiamo, ed il guaio è che lo sanno anche i mercati, che tali promesse si tradurranno in maggiore deficit (e, difatti, condividono lo scostamento di bilancio) e maggiore debito. Una parola d’umana pietà per i giovani, che saranno assai meno numerosi e assai più indebitati dei loro cari, nel senso di costosi, genitori.
Sul lato Spese, del resto, è una multicolore fontana: c’è chi ti offre il dentista (e l’ortopedico?), chi vuole aumentare le pensioni e chi i pensionati (che come rappresentanza dell’Italia che lavora la dice lunga), chi già vede il ponte sullo Stretto (senza campate, innovativo perché immaginario) e chi, sapendo che ci sarà da aspettare, pianta alberi per accomodarsi all’ombra, ma c’è anche chi vuol dare la “dote” ai diciottenni (criticato da chi inventò il bonus diciottenni, una gara a chi premia prima e di più chi è eroicamente riuscito a non crepare prima).
Che ci sia una sanità pubblica diseguale, una leva demografica di cui tenere conto e un sistema formativo che nega adeguata preparazione prima della maggiore età, son questioni volentieri demandate al “tavolo” programmatico. E non vorrei essere nei panni del tavolo, che ancora cerca di capire perché talora lo vogliano “aprire” e talaltra pretendono che s’apparecchi da solo.
Andiamo fortissimi in quanto a Omissioni: chi, come, in che tempi e con che soldi? E perché per riuscirci s’è cominciato demolendo la condizione che ha portato i risultati di cui alle prime righe? Chi spera di avere risposte è da TSO. Ma l’altro.
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Elezioni 2022: Calenda – Letta 2 a 0 … e ora palla all”ape Maio’
Tanto di cappello a Calenda, che ha subito capito che Letta era spiazzato, ha dettato le regole del gioco, e alla fine ha stravinto. Ora tocca a Giggino
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Elezioni politiche 2022: intrighi elettorali, tra i draghi, ‘le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) Elezioni, elezioni! Ridiamo il potere al popolo. Sì, una volta, prima che partiti e segreterie decidessero quasi tutto. Con, elemento centrale, una legge elettorale di un tale “rosatellum” che nessuno ha voluto/potuto cambiare in una delle legislature più indecenti, e ce [...]
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Il Kazakistan prova a sfuggire all’abbraccio dell’orso russo
Otto anni fa, i kazaki si sono scrollati di dosso le minacce del Presidente russo Vladimir Putin che aveva avvertito che avrebbe potuto replicare l’operazione Ucraina in Kazakistan. Lo hanno fatto di nuovo a gennaio, quando Putin ha ribadito la sua negazione della nazione e dello Stato kazako mentre le truppe russe si ammassavano [...]
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NATO: la difesa baltica dopo Madrid
Confluenza di fattori che ne hanno aumentato il significato, le aspettative erano alte per il vertice della NATO del 2022 a Madrid, tenutosi dal 28 al 30 giugno. Un nuovo concetto strategico doveva essere adottato. L’assalto della Russia all’Ucraina ha trasformato la situazione geopolitica; persino il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva annunciato uno Zeitenwende, un’importante [...]
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Oro sudanese per Putin. La Russia saccheggia il Sudan
Almeno 16 voli russi si sa essere partiti dal Sudan carichi di oro per un totale di svariati milioni di dollari di refurtiva. In cambio, la Russia ha prestato un potente sostegno politico e militare alla leadership militare del Paese
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Indicazioni operative per le iscrizioni ai percorsi di istruzione per adulti per l'anno scolastico 2022/2023.
Info ▶️ miur.gov.
Un nuovo ordine mondiale seguirà la guerra in Ucraina
Durante gli ultimi mesi dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, la percezione della maggior parte dei Paesi del mondo sulla guerra in Ucraina si è formata non secondo il quadro occidentale; e ora vedono la continuazione del conflitto come un gioco geopolitico in cui l’Occidente, invece di risolvere la crisi ucraina, sta cercando di [...]
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Cambi di gioco nella guerra russo-ucraina
Il 20 luglio, Sergey Lavrov, Ministro degli affari esteri della Federazione Russa, ha dichiarato che Mosca ha nuovi obiettivi in Ucraina, poiché ora vuole espandere le sue conquiste oltre i confini delle cosiddette ‘repubbliche popolari’ di Donetsk e Luhansk prendendo le regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia. Lavrov ha sottolineato il trasferimento di equipaggiamento militare [...]
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L’accordo sul grano prolungherà la guerra in Ucraina
Il cibo che mangiamo è intriso di sangue ucraino e deve essere fermato. Poiché l’Occidente accetta un accordo con la Russia per la garanzia immediata della sicurezza alimentare, stiamo prolungando la guerra e mettendo in pericolo l’approvvigionamento a lungo termine rafforzando il governo tirannico. Le esportazioni alimentari ucraine arriveranno nel mondo dopo che un accordo [...]
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Ricordo di Celina Seghi, la ‘regina delle nevi’
L’hanno definita in vari modi, ‘La regina o la Signora delle nevi’, ‘La tigre di Aspen’, ‘Il topolino dell’Abetone’, immagine affettuosa che forse più le si attaglia, dato il suo fisico minuto. Parliamo di Celina Seghi, la pioniera dello sci italiano che ci ha lasciato fisicamente la notte del 27 luglio scorso, alla straordinaria età [...]
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Le nostre dieci anomalie
Le peculiarità con le quali saremo costretti a convivere a cominciare dalla crisi: il governo Draghi continuerà a gestire il Paese almeno fino a ottobre, che fretta c’era visto che la legislatura sarebbe finita a marzo?
Che cosa ci riservano le prossime elezioni? Provo a immaginare quali possano essere svolgimenti ed esiti di questa crisi, partendo da modalità e cause della caduta del governo Draghi.
Primo: il governo Draghi gestirà il Paese fino almeno ad ottobre, se non fino a dicembre, e dovrà occuparsi di affari correnti in un senso molto ampio (ad esempio, come potrebbe non rispettare i termini e vincoli europei e costituzionali relativi alla procedura di bilancio e quelli legislativi per l’approvazione dei decreti delegati?).
C’ era bisogno della crisi, visto che la fine della legislatura era fissata per marzo prossimo? Il motivo della discontinuità stava nel bisogno della destra di dare prova di unione. Altrimenti, sarebbe arrivata a ridosso delle elezioni, a marzo 2023, con una coalizione separata, un vero ossimoro, con due forze al governo e una all’opposizione. La campagna elettorale sarebbe stata più difficile, in queste condizioni.
Secondo: chi ha fatto precipitare la crisi ha impedito una eventuale riforma della formula elettorale (cioè del metodo con cui i voti si traducono in seggi). Quindi, si andrà a votare con la legge Rosato, approvata da Pd, FI e Lega nel 2017 e sperimentata nel 2018, con la modifica del numero dei parlamentari (ridotti di un terzo) votata nel 2020 e l’allineamento dei requisiti di età per votare, approvato nel 2021. L’esperienza fatta nell’ultimo quinquennio con questa legge è stata negativa, perché abbiamo avuto un Parlamento con tre maggioranze, tre indirizzi politici diversi, tre governi di durata poco più lunga di un anno. Peggio della cosiddetta Prima Repubblica, quando i governi erano altrettanto brevi, ma la costante presenza della DC assicurava almeno coerenza dell’indirizzo politico.
Terzo: la circostanza che vi sia concorrenza non solo tra le coalizioni, ma anche nelle coalizioni lascia presagire che queste possano servire a vincere elezioni, non a governare il Paese. Ci si mette insieme per andare al governo, non per governare. Anche la campagna elettorale sarà strabica, perché le forze politiche, frammentate e all’interno divise, debbono correre in squadra per il 37 per cento dei seggi, separate per il 61 per cento dei seggi (ma, a causa della frammentazione, la chiave per vincere sarà nei collegi uninominali/maggioritari, nonostante che ad essi sia assegnata una percentuale minore di seggi).
Quarto: il fatto che a sinistra si sia discusso di un «accordo tecnico» e si sia ora alla ricerca di ciò che possa unire; e che la destra si sia messa al lavoro sul programma a meno di due mesi dalle elezioni, è la prova del vuoto di politiche. I programmi saranno frutto di improvvisazione preelettorale, non di una collaborazione tra forze politiche con ideali comuni, maturati con l’esperienza e il tempo. Possiamo immaginare che vi saranno elencati i temi meno divisivi, come nel «contratto di governo» tra Lega e M5S del 2018, scritto e rapidamente dimenticato. Nelle piazze o in televisione, ogni evento quotidiano offrirà lo spunto per battibecchi che finiranno nel dimenticatoio con la stessa rapidità dell’evento che li avrà provocati. Abbiamo quindi politici senza politiche.
Quinto: la scelta dei candidati e la formazione delle liste sarà l’operazione più verticistica immaginabile, nelle mani delle singole persone-segretari dei partiti: questi debbono spartirsi, mediante accordi, i collegi uninominali e formare da soli le liste per la parte proporzionale.
Sesto: tutto lascia pensare che saranno i nuovi votanti e gli astenuti a decidere. Circa il 6 per cento degli aventi diritto al voto sarà costituito da giovani che partecipano per la prima volta a una elezione politica nazionale. Quanto agli astenuti, si può temere che possano essere più del 27 per cento registrato alle elezioni politiche nazionali del 2018. Quale affidamento può, infatti, fare l’elettorato su una classe politica così incostante, nella quale, nel corso di una legislatura, un terzo dei parlamentari ha cambiato schieramento?
Settimo: per differenziarsi dinanzi all’elettorato, vengono evocati il pericolo fascista e quello russo. Ma coloro che nutrono questi timori hanno ben poca fiducia negli anticorpi della nostra democrazia (il pluralismo, la varietà di voci con cui può parlare il popolo, l’esistenza di poteri contrapposti) e nella maturità della nostra opinione pubblica.
Ottavo: c’è il serio timore che gli italiani rimarranno in attesa di avere risposte sui problemi di fondo del Paese. La pandemia ha posto in luce le debolezze della sanità territoriale. Gli indicatori segnalano il basso tasso di scolarizzazione del Paese: La scuola bloccata è il titolo della bella sintesi fatta da Andrea Gavosto in un densissimo libro pubblicato ad aprile scorso da Laterza. Da anni viene lamentata la bassa produttività italiana e la prospettiva che la nostra diventi, anche per gli andamenti demografici, una società, più che di lavoratori, di pensionati. É stata avviata, è vero, una robusta ripresa, finanziata dall’Unione europea, ma occorre realizzarne gli obiettivi in quattro anni. Le forze politiche dovrebbero indicare le loro idee e proposte su questi temi, e, quando propongono minori tasse (che vuol dire minori entrate), dovrebbero dire quali spese vogliono tagliare.
Nono: con un Parlamento di 600 membri, invece di 945, le defezioni (definite anche riposizionamenti o cambi di casacca) avranno un peso molto maggiore. Quindi, coalizioni poco omogenee e coese come quelle che si preparano (a destra, tra tre forze politiche di cui due fino a ieri al governo e una all’opposizione; a sinistra, tra sei o sette forze politiche) non lasciano presagire governi stabili.
Decimo: le incertezze dei risultati attesi non dipendono solo dalla formula elettorale, ma anche, e principalmente, da due fattori, tra di loro connessi: la scarsa capacità aggregativa delle forze politiche e la fluidità dell’elettorato. La prima dipende dalla quasi inesistente democrazia interna dei partiti, dalla debolezza della loro offerta politica, dalla loro propensione ad interessarsi all’aggregazione solo nei periodi preelettorali. La seconda si è accentuata negli ultimi anni, con flussi di opinione pubblica ed elettorali che hanno in breve tempo premiato o sanzionato le forze politiche (si pensi all’andamento, in sondaggi ed elezioni, del M5S, di FdI, e della Lega, sul più lungo periodo anche del PD, passato dal 40 al 20 per cento).
Con queste dieci peculiarità e anomalie (che si aggiungono a quelle elencate da Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 30 luglio scorso) saremo destinati a convivere nei prossimi tempi.
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Elezioni politiche 2022: Propaganda elettorale su ‘L’Indro’
In conformità con quanto disposto dalla Legge 22 febbraio 2000, n. 28, ‘L’Indro‘, quotidiano digitale indipendente di geopolitica, rende noto che è disponibile a pubblicare messaggi/spazi di pubblicità/propaganda elettorale a pagamento in occasione delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Il principio guida è offrire pari condizioni a tutti i partiti, tutte le liste, tutti [...]
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Elezioni 2022: Calenda, Renzi, PD costretti al matrimonio per interesse
La sinistra o si unisce, ingoiando qualche rospo e mugugnando un po’, o non esiste
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Ucciso da droni Usa il capo di Al Qaeda Ayman al Zawahiri
della redazione
(Ayman al Zawahiri e Osama bin Laden nella foto di Wikimedia Commons)
Pagine Esteri, 2 agosto 2022 – Il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, è stato ucciso durante un raid aereo condotto dalla Cia con alcuni droni a Kabul, in Afghanistan, domenica 31 luglio. La notizia data inizialmente dai media Usa è stata confermata dal portavoce dei Talebani al potere in Afghanistan, Zabiullah Mujahid. Il raid è avvenuto nel quartiere di Sherpur, nel centro della capitale afghana e ha avuto come bersaglio una abitazione residenziale. Zawahiri, egiziano, medico e uno dei capi del Jihad nel suo paese durante gli anni ’80, aveva preso la guida di Al Qaeda in seguito all’assassinio di Osama bin Laden il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, sempre da parte degli Usa. Con ogni probabilità sarà sostituito da Saif al-Adel, uno dei leader di Al Qaeda sin dai suoi primi giorni.
L’attacco di droni è il primo condotto dagli Usa in Afghanistan dopo quello di un anno fa durante il ritiro americano dal Paese in cui furono uccisi 10 civili a Kabul. I Talebani hanno condannato il raid affermando che è una violazione delle intese di Doha firmate con gli Stati Uniti che prevedevano il ritiro di tutte le forze americane dall’Afghanistan. Le intese comprendevano anche l’impegno degli islamisti di impedire ad Al Qaeda di utilizzare di nuovo il suolo afghano per pianificare attacchi ma non l’espulsione di Al Qaeda.
Nel 2001, Zawahiri, come Osama bin Laden, era fuggito dalle forze statunitensi di occupazione dell’Afghanistan e dove si trovasse è rimasto un mistero. Braccio destro di bin Laden ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il medico egiziano in tutti questi anni ha continuato nell’ombra a guidare l’organizzazione. Figura meno carismatica di bin Laden, considerato il “teorico” di Al Qaeda, Zawahiri ha dovuto fare i conti non solo con la caccia che gli Usa gli hanno dato per oltre venti anni ma anche con la scissione interna che ha dato vita all’Isis, lo Stato islamico, in sfida diretta alla sua autorità.
Sulla sua uccisione è intervenuto qualche ora fa Joe Biden. “Ora giustizia è fatta – ha detto il presidente americano – e il mondo non dovrà più temere questo pericoloso terrorista: ancora una volta, abbiamo dimostrato di essere capaci e determinati a difendere i nostri cittadini da chi vuole farci del male”. Biden ha spiegato che la Cia aveva localizzato Zawahiri quest’anno, dopo che si era spostato a Kabul, in Afghanistan, per riunirsi con i suoi familiari. “Dopo attente valutazioni e verifiche, ho autorizzato la sua eliminazione: l’operazione è stata un successo, senza vittime tra i suoi familiari o altri civili”, ha detto Biden, aggiungendo che gli Stati uniti continueranno “a vigilare, e a fare tutto il necessario per proteggere i nostri cittadini in patria e in tutto il mondo”. Pagine Esteri
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ECOLOGIA. Taranto, la “CONVOCATORIA” per discutere di ambiente e giustizia sociale
Idella redazione
Pagine Esteri, 25 luglio 2022 – Si terrà dal 26 al 29 agosto a Taranto la CONVOCATORIA ECOLOGISTA, campeggio organizzato da una rete di realtà del Sud Italia (Raggia Tarantina, Cooperativa Sociale Robert Owen, Movimento No Muos, Laboratorio Politico Iskra, con la partecipazione di Ecologia Politica Network). Quest’anno alla sua prima edizione, l’iniziativa prende le mosse da una visione dell’ecologia improntata alle lotte per la giustizia sociale. A partire da una riflessione sulle cause storico-politiche della marginalizzazione del Sud come imprescindibili per guardare alla crisi ecologica, la CONVOCATORIA estenderà il dibattito al tema della solidarietà internazionale e della costruzione di strategie comuni, accogliendo attiviste e attivisti dal Mediterraneo.
Parteciperanno gruppi dalla Palestina, dal Kurdistan, dall’Egitto, al fine di aprire un fronte di progettualità condivisa. Questo percorso intende affrontare molti degli aspetti socio-politici che si interconnettono nella questione ecologica: la condizione del margine come territorio di resistenza, l’Occupazione [materiale e ontologica], l’appropriazione coloniale di pratiche e saperi, le lotte transfemministe, le autonomie. Uno dei punti di riferimento nella costruzione del campeggio è stata l’esperienza della COP26 di Glasgow, dove una mobilitazione dalla portata impressionante ha reso manifesta l’esistenza di un movimento ecologista mondiale guidato dal Sud Globale.
La CONVOCATORIA intende guardare a questo movimento promuovendone le premesse e le pratiche, condividendo tutte quelle forme di collettività basate sulla resistenza anti-coloniale e anti-capitalista. Le realtà coinvolte sono attive nelle lotte per la sovranità, come il Mesopotamian Ecology Movement, nella solidarietà internazionale, come la Boycott, Divestment and Sanctions, nella decolonizzazione dei sistemi architettonici, come DAAR – Decolonizing Architecture Art Research.
Taranto è uno dei contesti simbolo della violenza sociale ed ecologica che ha dominato il Sud Italia attraverso i processi di industrializzazione, militarizzazione, espropriazione delle comunità. In questo senso la CONVOCATORIA pone l’identità tarantina come anello di congiunzione tra territori in cui colonizzazione interna, ecocidio, disgregazione sociale appartengono a uno stesso spettro di oppressione in cui rivendicare forme di emancipazione attraverso un percorso collettivo.ù
Diversi eventi preparatori stanno accompagnando l’organizzazione del campeggio. Il 9 luglio scorso il Movimento No Muos ha presentato il dossier ‘”Università e Guerra”, esito di un’inchiesta sulle affiliazioni delle università italiane con l’industria bellica internazionale e con centri di ricerca a loro volta implicati – con un focus su Israele, Turchia e Stati Uniti. Il 30 luglio prossimo Federica De Rosa presenterà il volume “Laboratorio Favela” – testi e discorsi di Marielle Franco – che ripercorre il pensiero dell’attivista e politica brasiliana assassinata nel 2018 (presso il collettivo transfemminista Le Mele di Artemisia). Il 6 agosto si terrà un’assemblea pubblica di lancio che aprirà un dialogo tra le realtà promotrici e il territorio.
Le tre giornate dell’incontro alterneranno presentazioni, laboratori e momenti plenari presso la Cooperativa Sociale Robert Owen, sede della CONVOCATORIA, concludendosi con una marcia popolare il 28 agosto. Questo ritiro di dibattito e progettualità tra movimenti e soggetti territoriali avrà quindi come linea direttrice l’idea che il superamento del modello estrattivista non può essere immaginato se non a partire da un processo che unisca le diverse lotte sociali, e metta al centro l’interdipendenza di località e globalità. Un processo che si faccia portavoce dell’urgenza di “inventare, ri-articolare e contaminarci attraverso le plurime pratiche ed azioni dirette che ci permettono di resistere alla fine del mese e alla fine del mondo.”
convocatoria-ecologista-tarant…
facebook.com/events/s/convocat…
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Ayman al-Zawahiri: ucciso dagli Stati Uniti
Ex braccio destro di Osama Bin Laden, divenuto leader di al-Qaeda nel 2011, considerato il 'numero uno' del terrorismo internazionale, abbattuto da un drone della Cia nel suo rifugio di Kabul
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Polonia, la più recente superpotenza militare d’Europa?
L’invasione russa dell’Ucraina ha provocato un vento di cambiamento in Europa. Un continente in cui molti stati hanno gradualmente ridotto le proprie spese militari dopo la Guerra Fredda, i governi stanno ora cercando di rimilitarsi, rendendosi conto che la minaccia di espansione russa rimarrà per il prossimo futuro. Una di queste nazioni europee è la [...]
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Stefano Borroni Barale
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