Gli europei dei Paesi NATO abbracciano la difesa degli Stati Uniti
L’opinione pubblica nella maggior parte dei Paesi membri della NATO prevede un forte calo dell’influenza esercitata dagli Stati Uniti negli affari globali nei prossimi cinque anni e ha poco o nessun interesse per il confronto con la Cina su Taiwan. Lo afferma il Transatlantic Trends 2022, un rapporto dettagliato su un nuovo sondaggio pubblicato venerdì […]
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Elezioni politiche 2022: vincitori e vinti
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) I contorni numerici del voto alle politiche del 2022 sono chiari ma il modo di presentarli e soprattutto […]
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Durante #eprivacy, l'avvocato @marcociurcina spiega perché #MonitoraPA... è MonitoraPA
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A 60 anni dalla crisi dei missili di Cuba, sei lezioni per il controllo del nucleare
Sessant'anni dopo, la crisi dei missili cubani rimane un momento cruciale nel controllo degli armamenti nucleari. Oggi sostenere quel successo richiederà un'altra esplosione di immaginazione strategica e uno sforzo incessante nei decenni a venire
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PODCAST. Brasile. Lula è avanti ma Bolsonaro e la destra sono in gioco
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 3 ottobre 2022 – Il ballottaggio a fine mese deciderà chi sarà il presidente del Brasile.
Il progressista Lula che vuole riportare il paese sulla strada della democrazia o il contestato Bolsonaro autore di politiche considerate da molti un attacco alla legalità ma sostenuto ancora dalla classe media, dalla piccola imprenditoria e dalla influente comunità cristiana evangelica.
A spiegarci l’esito del voto d 2 ottobre è Pasquale Pugliese, un operatore economico italiano da diversi anni residente in Brasile e un osservatore della realtà politica e sociale del paese.
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YEMEN. Tregua non prolungata, il paese scivola verso la guerra
di Michele Giorgio –
Pagine esteri, 3 ottobre 2022 – Scaduta ieri la tregua e rifiutata la proposta aggiornata dell’Onu presentata alle parti belligeranti per una sua proroga, lo Yemen rischia di precipitare di nuovo in un conflitto aperto tra i ribelli sciiti Houthi (Ansrallah), sostenuti dall’Iran, e le forze governative o meglio la Coalizione a guida saudita intervenuta in Yemen nel 2015 e responsabile di pesanti bombardamenti aerei che hanno causato migliaia di vittime. L’esecutivo dei ribelli che controllano la capitale Sanaa, ha giustificato la mancata estensione del cessate il fuoco con il “vicolo cieco” in cui erano entrate le trattative provocato, afferma, dalla riluttanza di Riyadh e dei suoi alleati a revocare il blocco sul paese e alleviare la grave crisi umanitaria. “Durante i sei mesi della tregua, non abbiamo visto alcuna serietà nell’affrontare il fascicolo umanitario come una priorità urgente” aveva avvertito il 1° ottobre un rappresentante del team negoziale degli Houthi lasciando presagire la fine dell’intesa che nei mesi scorsi aveva permesso, almeno in parte, di affrontare la crisi umanitaria che colpisce milioni di yemeniti. Secondo i ribelli nelle 24 ore precedenti la scadenza della tregua, la Coalizione ha commesso 122 violazioni dell’accordo con attacchi aerei su Marib, Al-Jawf, Hajjah, Saada e altre aree.
A nulla è servito l’appello lanciato il 30 settembre dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Hans Grundberg per il prolungamento della tregua affinché il paese eviti di “scivolare di nuovo in guerra”. Grundberg si è detto rammaricato per il mancato accordo tra le parti e ha esortato il governo riconosciuto a livello internazionale e le milizie Houthi a “mantenere la calma” e ad astenersi da azioni provocatorie che potrebbero innescare un’escalation. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dalle altre agenzie dell’Onu e internazionali che operano nel paese per alleviare una crisi umanitaria di proporzioni eccezionali. Nei mesi scorsi l’Onu aveva chiesto per lo Yemen donazioni internazionali paragonabili per entità solo quelle necessarie per assistere la popolazione afghana.
Tutto lascia immaginare una ripresa piena del conflitto che ha fatto molte decine di migliaia di morti e gettato nella fame e nelle malattie milioni di yemeniti. I ribelli in questi ultimi mesi hanno più volte denunciato quello che definiscono il “furto” delle risorse petrolifere nazionali da parte dell’Arabia saudita che, aggiungono, ammontano a circa un miliardo di dollari. Riyadh e i suoi alleati invece affermano di aiutare il governo yemenita riconosciuto ad esportare il greggio e ad impedire che a farlo siano i ribelli. Il capo del Consiglio politico supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, ha lanciato un monito alle compagnie petrolifere internazionali operanti nel paese, invitandole a “smetterla di saccheggiare la ricchezza sovrana dello Yemen”. O, ha minacciato, “dovranno assumersi la piena responsabilità delle loro decisioni”. Si tratta del secondo avvertimento nel giro di poche ore. Il 1° ottobre il leader Houthi, Abdel Malik al Houthi, aveva sollecitato la revoca immediata del blocco dello Yemen attuato dall’Arabia saudita (e gli Usa). E qualche ora fa il portavoce militare degli Houthi, Yahya Sarea, ha rincarato la dose affermando che “fino a quando i Paesi aggressori, Usa e Arabia saudita, non si impegneranno in una tregua che dia al popolo yemenita il diritto di sfruttare la propria ricchezza petrolifera” le forze di Ansrallah “saranno in grado di privare sauditi ed emiratini delle loro risorse”. Un riferimento palese a prossimi attacchi di droni e al lancio di missili verso il territorio saudita e quello degli Emirati. Pagine Esteri
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Ucraina: Cina e India neutrali anche dopo le annessioni della Russia
Alcuni in USA avevano ritenuto che Nuova Delhi e Pechino si stessero stufando di Putin, non sembra essere così
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.
🔸 #PNRR, firmato decreto per la valorizzazione del personale docente
🔸 Scuola, il Ministro Bianchi incontra i Presidenti delle Consulte provin…
Regno Unito – Cina: l’ideologia di Truss vince sul pragmatismo e l’interesse nazionale
La politica cinese del Regno Unito si è allontanata dall'approccio tipicamente pragmatico e sfumato adottato dalla fine degli anni '90. Spostamento accelerato del baricentro del discorso politico britannico sulla Cina verso quello degli Stati Uniti e dell'Australia
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Annessioni russe in Ucraina: la vittoria di Potemkin di Vladimir Putin
La campagna ucraina ha offerto a Putin un successo immediato. Ma ottenuto a costo di insuccessi duraturi. I suoi successi tattici e le sua sconfitte strategiche sono essenziali per comprendere il nuovo corso della politica russa per il prossimo decennio e i rischi che ciò comporta per l'Unione europea
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Le tute spaziali di Valentina Sumini presentati al Maxxi di Roma
A che servono le cattedrali? Non a soddisfare le funzioni primarie dell’umanità. Ma dal passato abbiamo imparato che senza quelle testimonianze di esaltazione, la storia non sarebbe stata raccontata. Ed è questo il sentimento che si prova varcando le porte del museo nazionale delle arti Maxxi a Roma e visitando Technoscape, la grande mostra che […]
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Antonio Massarutto – Privati dell’acqua
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YEMEN. Tregua non prolungata, il paese scivola verso la guerra
di Michele Giorgio –
Pagine esteri, 3 ottobre 2022 – Scaduta ieri la tregua e rifiutata la proposta aggiornata dell’Onu presentata alle parti belligeranti per una sua proroga, lo Yemen rischia di precipitare di nuovo in un conflitto aperto tra i ribelli sciiti Houthi (Ansrallah), sostenuti dall’Iran, e le forze governative o meglio la Coalizione a guida saudita intervenuta in Yemen nel 2015 e responsabile di pesanti bombardamenti aerei che hanno causato migliaia di vittime. L’esecutivo dei ribelli che controllano la capitale Sanaa, ha giustificato la mancata estensione del cessate il fuoco con il “vicolo cieco” in cui erano entrate le trattative provocato, afferma, dalla riluttanza di Riyadh e dei suoi alleati a revocare il blocco sul paese e alleviare la grave crisi umanitaria. “Durante i sei mesi della tregua, non abbiamo visto alcuna serietà nell’affrontare il fascicolo umanitario come una priorità urgente” aveva avvertito il 1° ottobre un rappresentante del team negoziale degli Houthi lasciando presagire la fine dell’intesa che nei mesi scorsi aveva permesso, almeno in parte, di affrontare la crisi umanitaria che colpisce milioni di yemeniti. Secondo i ribelli nelle 24 ore precedenti la scadenza della tregua, la Coalizione ha commesso 122 violazioni dell’accordo con attacchi aerei su Marib, Al-Jawf, Hajjah, Saada e altre aree.
A nulla è servito l’appello lanciato il 30 settembre dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Hans Grundberg per il prolungamento della tregua affinché il paese eviti di “scivolare di nuovo in guerra”. Grundberg si è detto rammaricato per il mancato accordo tra le parti e ha esortato il governo riconosciuto a livello internazionale e le milizie Houthi a “mantenere la calma” e ad astenersi da azioni provocatorie che potrebbero innescare un’escalation. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dalle altre agenzie dell’Onu e internazionali che operano nel paese per alleviare una crisi umanitaria di proporzioni eccezionali. Nei mesi scorsi l’Onu aveva chiesto per lo Yemen donazioni internazionali paragonabili per entità solo quelle necessarie per assistere la popolazione afghana.
Tutto lascia immaginare una ripresa piena del conflitto che ha fatto molte decine di migliaia di morti e gettato nella fame e nelle malattie milioni di yemeniti. I ribelli in questi ultimi mesi hanno più volte denunciato quello che definiscono il “furto” delle risorse petrolifere nazionali da parte dell’Arabia saudita che, aggiungono, ammontano a circa un miliardo di dollari. Riyadh e i suoi alleati invece affermano di aiutare il governo yemenita riconosciuto ad esportare il greggio e ad impedire che a farlo siano i ribelli. Il capo del Consiglio politico supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, ha lanciato un monito alle compagnie petrolifere internazionali operanti nel paese, invitandole a “smetterla di saccheggiare la ricchezza sovrana dello Yemen”. O, ha minacciato, “dovranno assumersi la piena responsabilità delle loro decisioni”. Si tratta del secondo avvertimento nel giro di poche ore. Il 1° ottobre il leader Houthi, Abdel Malik al Houthi, aveva sollecitato la revoca immediata del blocco dello Yemen attuato dall’Arabia saudita (e gli Usa). E qualche ora fa il portavoce militare degli Houthi, Yahya Sarea, ha rincarato la dose affermando che “fino a quando i Paesi aggressori, Usa e Arabia saudita, non si impegneranno in una tregua che dia al popolo yemenita il diritto di sfruttare la propria ricchezza petrolifera” le forze di Ansrallah “saranno in grado di privare sauditi ed emiratini delle loro risorse”. Un riferimento palese a prossimi attacchi di droni e al lancio di missili verso il territorio saudita e quello degli Emirati. Pagine Esteri
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ARCHEOLOGIA. Gerusalemme. Al Santo Sepolcro riemerge storia millenaria
di Nello del Gatto*
Pagine Esteri, 28 settembre, 2022 – Inaugurati lo scorso 14 marzo alla presenza delle comunità religiose cristiane, responsabili dello Status Quo del Santo Sepolcro, procedono i lavori di restauro del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Rappresentano la continuazione di quelli realizzati all’edicola della Tomba di Cristo circa sei anni fa a guida del Patriarcato Greco-Ortodosso in nome delle altre confessioni cristiane. Quegli attuali, sono gestiti dalla Custodia di Terra Santa, la speciale provincia francescana che rappresenta la chiesa latina, coordinata nel progetto dall’architetto palestinese Osama Hamdan e dall’archeologa dell’Associazione ProTerra Sancta Carla Benelli. La Custodia si sta avvalendo della cooperazione di un gruppo di esperti dell’Università La Sapienza di Roma. “Abbiamo iniziato dalla Rotonda – ha spiegato il direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Giorgio Piras – la parte più importante della Basilica, dove si trova l’edicola che secondo la tradizione è costruita sul luogo esatto della sepoltura di Cristo. Sono già emerse tracce di fasi molto antiche: sono stati rinvenuti resti delle fondazioni e dei muri della Basilica costantiniana, e abbiamo scoperto che chi l’ha edificata nel IV secolo ha prima livellato il terreno con pietre di risulta. Sono emersi frammenti di ceramica e di decorazioni risalenti presumibilmente alla stessa epoca. In seguito, dateremo i reperti pezzo per pezzo, perché i romani utilizzavano spesso materiale di risulta per costruire e questo potrebbe riservare qualche sorpresa”.
Il progetto, che prevede opere di restauro o sostituzione delle piastrelle danneggiate del pavimento nella parte nord della rotonda e scavi della sua area sotterranea, sotto i sette archi e davanti alla Sacra Edicola, dovrebbe essere completato, secondo il programma, entro ventisei mesi ed è finanziato da sponsor e anche da singoli donatori.
La superficie è stata suddivisa in dodici parti e il cantiere procede a blocchi di 100 metri quadrati per volta per non ostacolare le funzioni religiose delle tre comunità e le visite dei pellegrini “La cooperazione tra le tre comunità è la cosa più importante di questo progetto – ha affermato padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa – mostra al mondo intero che è possibile tra cristiani di diverse Chiese e comunità avere un rapporto fraterno e collaborare”.
Il team della Sapienza ha scoperto strati rocciosi della cava di pietra utilizzata per la costruzione originaria della Chiesa. Questi strati, secondo Francesca Romana Stasolla, direttrice dei lavori del sito “hanno differenze di altezza causate da tagli profondi e irregolari, che scendono anche molto in profondità, come si vede in altre aree della basilica. L’operato del cantiere costantiniano – ha aggiunto la Stasolla – aveva come esigenza primaria quella di colmare tali dislivelli per creare un piano unitario ed omogeneo per la realizzazione delle strutture della chiesa e dei suoi annessi. È stato fatto con riempimenti progressivi, utilizzando strati di terreno per drenare l’acqua e livellare le zone più profonde”. Nella rotonda, gli archeologi hanno poi anche portato alla luce un tunnel che era stato in parte già scavato in precedenti ricerche, che si ritiene sia fondamentale per capire e spiegare l’intero sistema di deflusso dell’acqua dell’edificio.
Da maggio gli archeologi stanno scavando 24 ore su 24 nel sito. “Il lavoro si svolge a ciclo continuo, giorno e notte, e la lavorazione dei materiali prodotti avviene in tempo reale tra Gerusalemme e Roma, dove lavora il resto del team”, ha concluso la Satolla. I primi mesi di lavoro sono stati tra l’altro caratterizzati da una importante scoperta archeologica. I ricercatori, scavando nella chiesa del Santo Sepolcro, hanno infatti riscoperto la sezione principale dell’altare maggiore medievale che si trovava all’apice della chiesa dell’era crociata. Si tratta di una lastra di pietra di 2,5 x 1,5 metri. Poche settimane fa, durante un sopralluogo volto appunto a verificare l’andamento e lo svolgimento dei lavori, gli esperti hanno spiegato nel dettaglio i loro metodi di lavoro; in particolare sono state mostrati campioni di lastre vecchie e lastre nuove, che saranno installate in sostituzione delle lastre danneggiate, evidenziando come la sostituzione tiene conto dello spessore delle lastre, del loro colore etc. Sono state anche spiegate le modalità di assemblaggio.
“Gerusalemme e la stessa Basilica del Santo Sepolcro – ha dichiarato ancora Piras – sono nodi di complesse tensioni politico-religiose. È una situazione che può generare stress, specie nei più giovani: dottorandi, assegnisti e studenti poco più che ventenni con cui condividiamo questa esperienza straordinaria. Ecco perché nel team ci sono persino alcuni psicologi. Il grosso del team in realtà è però composto da archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, affiancati da tecnici di geologia e ingegneri statici. Il restauro delle pietre del pavimento, invece, sarà realizzato dalla Venaria Reale di Torino con criteri rigorosamente conservativi: le pietre non più utilizzabili saranno sostituite con materiale locale”. Pagine Esteri
*Nello del Gatto è corrispondente estero, autore e conduttore per Radio 3 Rai. Dopo aver lavorato come giornalista di nera e giudiziaria si è dedicato agli esteri, occupandosi di diritti civili. Ha trascorsi sei anni in India come corrispondente dell’ANSA e successivamente a Shanghai con lo stesso ruolo. Dal 2019 è a Gerusalemme.
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Vittoria
C’è chi gode delle sconfitte. Nella mia famiglia storica e culturale, con le sue radici nel Risorgimento e i suoi rampicanti liberali, democratici e laici, ne abbiamo non pochi cui le vittorie destano un certo imbarazzo. Di voti se ne prese sempre pochini, talché taluno pensò di leggere in questa lesina dei consensi la prova dell’avere ragione. Perché a vincere sarebbero sempre i peggiori. Eppure, oh, a guardarsi attorno qualche bella vittoria la si piazzò.
Quando i diritti civili e il pregiudizio confessionale si sfidarono, si vinse. La destra era guidata da un capo, Giorgio Almirante, che conviveva con una donna sposata, ma si batté contro il divorzio. Il partito cristiano mise a tacere quelli che poi si sarebbero chiamati “cattolici adulti”, ovvero devoti non asserviti, e fece campagna per abrogare la legge. Si vinse noi. Ma è roba vecchia, non è questo il punto, è che da quel momento i contrari ci presero gusto e moltiplicarono le loro famiglie. La vittoria fu nelle urne, ma traslocò nelle teste e nei cuori.
Che poi ciascuno fa quello che gli pare, nella propria vita privata. Epperò è un bel segno del costume che cambia se a guidare la destra che reclama a sé la cristianità c’è chi vive la genitorialità senza avvertire il bisogno del vincolo matrimoniale. Affari suoi (loro, per la precisione), ma a vincere è la mia povera squadra di perdenti, non quella dei loro vincenti. Oggi si fa un gran baccano attorno alla legge che regola l’aborto, ma i presunti suoi avversari dicono: non la vogliamo modificare. E vai, segna un’altra tacca.
C’è stato un tempo in cui bastavano dei cetrioli (storia esilarante) per reclamare l’uscita dall’Unione europea. Il vittimismo gonfiato di prosopopea faceva dell’Italia la perdente di tutte le partite europee, cui sarebbe stato bene sottrarsi. Nella peggiore tempesta speculativa si voleva uscire dall’euro.
I più generosi, verso l’Ue e la Banca centrale europea, si esprimevano con un ipocrita: “si, ma…”. A noi, amanti della sconfitta, non parve vero poterci gettare nella lussuria degli insulti da prendere, che nel frattempo s’erano fatti digitali, sicché gridammo: siete matti, uscire è un suicidio, contestare i vincoli è come contestare la forza di gravità. Beccammo la nostra parte e, puntuale, la vittoria elettorale arrise al fronte opposto. Eppure oggi hanno cambiato idea. Non si esce più, si collabora. Siamo ancorati, dicono, in Occidente e in Europa. Ed ho come l’impressione si sia vinto noi.
Certo sono rimaste cose comiche, perché quel che s’incrosta non è che lo elimini con un lavaggio. Manca il gas: ci vuole l’Europa. C’è bisogno di soldi: serve l’Europa. Dobbiamo difenderci: difesa europea. Servono i vaccini: provveda l’Europa (operazione eccellentemente riuscita). Ci sarebbero quelli che devono controllare progetti e conti: l’Europa si faccia gli affari suoi. E vabbe’, so’ regazzi e se non studiano in fretta faranno solo la figura dei somari.
Tutto questo per dire che in una democrazia i voti contano, ma conta e pesa anche la cultura. Le maggioranze governano, ma le minoranze, se intelligenti, modificano le idee, anche delle maggioranze. E cambiano il costume. Per dire: Ugo La Malfa (che di voti ne prendeva pochini) spiegò l’economia e il mercato ai comunisti (che ne prendevano tanti), finché un giorno si alzò Luciano Lama e disse: il salario non è una variabile indipendente. Vale a dire: non si fissa a capocchia, ma dipende dal resto. Ed ecco un’altra vittoria.
C’è un punto, però, in cui mi pare si siano accumulate solo sconfitte. Che non fanno godere per niente. Non si è riusciti a far capire e interiorizzare che la ricchezza va prima prodotta e poi utilizzata per scopi sociali, che una buona intenzione non fa una buona azione, che i soldi dello Stato non esistono e sono dei cittadini contribuenti, che sprecarli per farsi votare significa fotterli tutti per ammaliarne una parte. Niente, quella droga lì, la spesa pubblica corrente, è più forte. Ma non disperiamo, siamo perdenti di successo.
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EuroVaghi
Da una parte, a sinistra, fanno la faccia terrorizzata per quel che la destra potrebbe ordire contro l’Europa (sempre senza chiamarla con il suo nome: Unione europea), dall’altra non perdono occasione per parlare di Europa a pezzi, che non è una bella premessa per gioirne.
Da una parte, a destra, invocano l’unità europea per far fronte a problemi che nessuno è minimamente in grado di affrontare da solo, dall’altra vorrebbero stabilire che la Nazione viene prima dell’Unione. Non si tratta solo di eurosvagati per diletto, ma proprio per difetto di analisi e comprensione di quel che succede. Compresa l’iniziativa tedesca.
La maggiore difficoltà che l’Italia trova, nel far valere le proprie proposte, la palpabile diffidenza che suscita fra i vertici europei, è dovuta alla vittoria della destra? No. Almeno non ancora. Chi ha cervello aspetta i fatti, che sono ancora di là da venire. Difficoltà e diffidenza ce li siamo conquistati facendo cadere il governo Draghi.
Il tandem franco-tedesco era diventato un triciclo, per giunta con noi al manubrio. E in Italia s’è fatto fuori Draghi. Anche quanti, e non sono pochi, fra i vertici europei sono grati per questa trovata, comunque considerano deficienti quelli che l’hanno prodotta.
Veniamo al gas: perché si fa fatica ad arrivare al tetto al prezzo e perché i tedeschi mettono 200 miliardi sul piatto? Al tetto spero e penso si arrivi, ma si fa fatica perché qui ciascuno fa il furbo: c’è chi ha contratti a lunga scadenza con prezzi inferiori a quelli oggi di mercato e chi (come noi) può trarre vantaggio strategico dalla crisi attuale, diventando hub mediterraneo, come la Germania è stato hub continentale.
I 200 miliardi tedeschi, che sono soldi loro, non come quelli del Pnrr, che non sono nostri, sono il più forte indizio su chi ha minato il gasdotto North Stream, perché i tedeschi si sono convinti che Putin è pronto non solo e non più a strangolare con il prezzo, ma ad asfissiare chiudendo. Ora, non fra due anni. E la Germania si trova in guai grossi, più dolorosi dei nostri.
Ora torniamo all’Ue e alle convenienze, collettive e nazionali. Il successo collettivo più importante, in questa faccenda, è avere mantenuto l’unità e la fermezza. Orban è un reietto che conta un accidente.
Se Putin non vuole crepare sotto le macerie da lui stesso provocate deve assolutamente e in fretta minare quell’unità. Questa è la principale ragione per cui la gestione del tema gas non può che essere europea, mica le bollette. Putin punta all’escalation delle minacce, noi rispondiamo con quella delle sanzioni. Il tubo del gas si strozza e lo bucano. E qui c’è il rischio tedesco.
Avendo molte più disponibilità (bravi), potendo fare debiti a un prezzo inferiore a quello di altri e nostro in particolare (per merito loro e colpa nostra), usare quella potenza per rendere asimmetrico il dolore di questo scontro rischia di disarticolare l’unità. Che è preziosa.
Ma come noi facciamo bene a farlo osservare, loro fanno bene a dirci: i quattrini vostri ce li mettiamo noi, voi avete il Mediterraneo e noi no, per giunta ogni tre per due c’è qualcuno che se la prende con noi e invoca la vostra privata sovranità, sicché andate … ad arrangiarvi. Da qui la dichiarazione di Sholz: l’Italia non è una bomba. Tradotto: non sbombateci. L’asse con la Francia di Macron serve a riequilibrare, ma vi ricordo ancora un dettaglio: sanno tutti che fra qualche giorno noi non saremo più l’Italia di Draghi.
Benissimo tutelare i “nostri interessi”, ma devi sapere quali sono. E il principale, in questa partita, è conservare l’unità sul tema del gas, il che comporta negoziare senza piagnucolare o far tragedie se non passa tutto subito.
Aiuterebbe non poco, nel frattempo, dire in maniera chiara che metteremo i ragionieri a fare i conti del Pnrr, per sapere cosa aggiornare, ma gli impegni sulle riforme si confermano e mantengono tutti, come anche gli impegni presi circa gli strumenti di garanzia, Mes compreso. L’interesse dell’Italia è stare al sicuro in Ue, non mettere al sicuro le legioni elettorali, di ritorno dai trionfi.
L'articolo EuroVaghi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
5 motivi per cui pochissime piattaforme di casinò online accettano le criptovalute
Nonostante il recente crollo dei prezzi delle criptovalute più popolari, sono ancora molti i giocatori che preferiscono utilizzarle come metodo di pagamento principale sui siti di gioco d’azzardo. Tuttavia, sta diventando piuttosto difficile trovare un casinò online che accetti Bitcoin, Ethereum, Litecoin e altre criptovalute. Nell’articolo esploreremo l’argomento e discuteremo i motivi principali per cui […]
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Semplicità e chiarezza
La semplificazione dell’intero sistema legislativo porterebbe all’Italia tutta vantaggi chiari e restituirebbe voglia di fare a molti talenti ed aziende italiane che oggi vedono la fuga all’estero come l’unica possibilità.
Come molti, amo la trasparenza e la semplicità. Ho avuto la fortuna di vivere e lavorare, per circa dieci anni, in diversi paesi esteri, tra cui Regno Unito, Olanda, USA, Belgio, Germania e Lussemburgo, ed ho avuto modo di apprezzare come in altri sistemi economici, semplicemente tramite regole e norme più semplici e chiare, si riesca a garantire ai propri cittadini una vita serena e molte opportunità.
Non voglio parlare qui di economie più o meno liberiste. Parlo solo di “semplicità” e di “chiarezza”:
1. Quanto sono chiare le norme e le leggi italiane? Con quale facilità possono essere comprese dai cittadini?
2. Quale è il numero di adempimenti amministrativi, burocratici o fiscali che ogni anno cittadini ed imprese italiane sono obbligati a fare, pena sanzioni a volte ben oltre il tasso di usura?
Osservo come alcuni sistemi normativi abbiano l’obiettivo di semplificare la vita di cittadini ed imprese, dicendo loro chiaramente cosa sia possibile e non possibile fare, mentre in Italia sembra invece prevalere un altro approccio: complicare per complicare.
Solo un paio di esempi:
- Anni fa (2013), durante una discussione su una legge in votazione, Pietro Ichino si levò in Senato tuonando: «Questo è un testo letteralmente illeggibile. Non è solo incomprensibile per i milioni e milioni di cittadini chiamati ad applicarlo, ma illeggibile anche per gli addetti ai lavori, per gli esperti di diritto del lavoro e di diritto amministrativo. È illeggibile per noi stessi legislatori che lo stiamo discutendo (…) Credo che in Aula, in questo momento, non ci sia una sola persona in grado di dirci cosa voglia dire!» (qui tutti i dettagli al riguardo).
- Qualche mese fa anche Sabino Cassese, in un suo articolo sul Corriere della Sera titolato “Lo Stato, l’incuria e l’italiano oscuro delle leggi”, ha delicatamente deriso un decreto legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 2022, che aveva la peculiarità di condensare nei soli sette articoli del decreto ben dieci rinvii ad altri articoli di ben sette altri decreti o leggi e contenere frasi estremamente verbose.
Per quale ragione in Lussemburgo un commercialista ha bisogno in media di 18 ore l’anno per redigere il bilancio annuale di una società, mentre in Italia di ore ce ne vogliono 168? Come può un imprenditore italiano focalizzarsi sulle opportunità di business se passa buona parte del proprio tempo a controllare le innumerevoli scadenze fiscali? A parità di aliquota media e di gettito, chi trae vantaggio da tutti questi lacci e lacciuoli?
È davvero una utopia sperare in un’Italia liberata da tutte le complicate regole, la burocrazia inutile ed i costi che troppo la penalizzano, rendendo il facile difficile ed il semplice complicato attraverso l’inutile, ed impediscono così al nostro Paese, ed agli italiani, di valorizzare le proprie enormi potenzialità inespresse, senza la necessità di fuggire all’estero?
Provo solo a fornire qualche dato:
- In Italia è estremamente difficile far partire e gestire una attività economica. La Banca Mondiale ogni anno, nella sua pubblicazione “Doing Business”, misura la facilità di far partire e gestire una attività imprenditoriale in tutti i paesi del mondo. Se prendiamo l’ultima edizione (2020) ed analizziamo i principali paesi europei, più simili a noi per cultura e tradizione, troviamo tutti i paesi scandinavi tra il 4° posto (Danimarca) ed il 20° posto (Finlandia), il Regno Unito all’8° posto, la Germania al 22° posto, la Spagna al 30° e la Francia al 32° posto. E L’Italia? Al 58° posto!
- L’Italia ha il sistema fiscale più complicato e meno competitivo al mondo. Secondo l’International Tax Competitiveness Index 2021, pubblicato pochi mesi fa, il sistema fiscale italiano si pone al 37° posto per competitività su 37 paesi analizzati nel mondo. Che cosa vi può essere di peggio? La complessità del sistema stesso, dove l’Italia è ancora una volta il fanalino assoluto di coda, 37 su 37 paesi.
- In Italia un processo civile dura oltre 8 anni, in tutti i paesi del Consiglio d’Europa dura in media meno di due anni. La European Commission for the Efficiency of Justice pubblica annualmente un rapporto sull’efficienza e la qualità dei sistemi giudiziari europei. Per darvi un solo dato (2018), la durata media di un processo civile considerando tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa a poco meno di due anni (715 giorni). In Italia? 2.949 giorni, poco più di 8 anni, praticamente il quadruplo.
- L’Italia ha un cuneo fiscale tra i più alti al mondo. Il cuneo fiscale è la differenza tra il costo complessivo di un lavoratore per le aziende e l’importo netto percepito dal lavoratore in busta paga. Secondo l’OCSE, che nella sua pubblicazione annuale Taxing Wages misura il cuneo fiscale nei 34 paesi OCSE, l’Italia è sempre tra i paesi con il cuneo fiscale più alto, di solito il quart’ultimo nella graduatoria. Circa il 50% del costo del lavoro finisce tra tasse e contributi previdenziali.
Per chi sia convinto che l’ingarbugliata situazione italiana attuale sia soltanto una casualità, magari dovuta ai troppi governi di colore diverso che si sono susseguiti negli anni, trascrivo qui di seguito qualche riga dal libro “Democrazia in America”, scritto da Alexis de Tocqueville nel lontano 1835 (Volume II, sezione 4, capitolo 6):
“Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo […] vedo al di sopra dei cittadini un potere immenso e tutelare, che ha l’obiettivo di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. […] Lavora volentieri al benessere dei cittadini, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità. […]
Così ogni giorno tale potere rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, e restringe l’azione della volontà […]
L’eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche a considerarle come un beneficio.
Cosi, dopo avere preso nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo, il potere supremo estende il suo braccio sull’intera società. Ne copre la superficie con una rete di piccole complicate regole, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non riescono a penetrare, per sollevarsi sopra la massa.
La volontà dell’uomo non è spezzata, ma infiacchita, piegata ed indirizzata. L’uomo è raramente costretto ad agire, ma è continuamente scoraggiato dall’azione. Questo potere non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. […]
Vi suona familiare? Non fa impressione pensare che queste parole siano state scritte quasi 200 anni fa?
Quando ascoltiamo o leggiamo notizie di brillanti manager ed imprenditori italiani che hanno avuto successo all’estero, oltre all’orgoglio di essere italiani non ci viene anche il dubbio: “Ma in Italia ce l’avrebbero mai fatta?”
Davvero siamo onesti quando ci domandiamo il perché della fuga dei cervelli? Non è che forse fuggono proprio perché hanno un cervello?
Ed attenzione che anche le aziende fuggono all’estero, e quando non possono, fanno fuggire i profitti! Secondo un articolo di Milano Finanza oltre 23 miliardi di profitti di società italiane sono fuggiti all’estero in un solo anno.
Una proposta concreta per cambiare le cose? Cominciamo dalla semplificazione delle nuove leggi.
Per ogni nuova proposta di legge, sia resa necessaria la predisposizione di un piccolo test da somministrare a deputati e senatori per verificare che tutte le norme contenute nella proposta siano chiare e comprensibili almeno a questa élite culturale. Se il test non sarà superato con successo da almeno il 90% dei parlamentari, il testo dovrà essere re-inviato a chi ha redatto la proposta affinché si sforzi per una maggior chiarezza.
Sono certo che in questo modo avremo forse meno leggi nuove, ma probabilmente un po’ più chiare delle attuali.
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Al Terzo Polo serve un progetto politico
Renzi e Calenda hanno ottenuto quanto prevedibile. Ora il congresso. Ma per crescere servono idee chiare e coerenti.
Caro direttore,
la lista formata da Italia Viva e Azione ha ottenuto un risultato lusinghiero. Era il risultato largamente atteso. Per la prima volta mettere assieme due forze politiche in un simbolo “bicicletta” non hanno portato ad una sottrazione di voti. Né ad un aumento per la verità, ma anche questo era scontato. Cercherò di motivare il perché.
C’era finalmente il campo di gioco, è mancato il gioco di squadra. E’ mancato il messaggio chiaro e forte di un progetto politico innovativo.
La confusione della forza politica, “liberale, popolare e riformista”, ripetuta come un mantra dai rappresentanti del Terzo Polo (che brutto nome!) è stata una delle cause certe dell’allontanamento di una parte dell’elettorato.
Se devo essere definito “popolare” voto direttamente Forza Italia, il partito che da trent’anni si definisce “popolare” e sta con i Popolari Europei. È stato questo il ragionamento di molti elettori. E così è stato. La lista del Terzo Polo ha gentilmente lasciato 4 punti ad un partito che era valutato a non più del 5%.
Invece di un messaggio chiaro, autenticamente liberale, si è cercato di accontentare tutti. Finendo per scontentare proprio coloro che bisognava raggiungere e che avrebbero rappresentato il vero valore aggiunto.
Insomma la doppia cifra era a portata di mano, ma l’elettore che aveva digerito un ex segretario e un ex parlamentare europeo del PD, non ha trovato una proposta autenticamente e visivamente liberale. Oggi si parla di avviare un congresso per dar vita a un nuovo soggetto politico unitario.
È un percorso indispensabile, da iniziare al più presto, senza l’ansia della scadenza elettorale, ma con solide radici culturali. Anche ideologiche (consentitemi il termine caduto in disuso). L’adesione alla famiglia liberale europea di ALDE e di Renew deve essere fuori discussione.
Possono e devono esserci sensibilità diverse in un partito democratico e scalabile, con una vivace dialettica interna. Insomma, il contrario del “partito del leader”. Ma occorre un equilibrio che, per la verità Calenda in una prima fase aveva declamato in pubblico e in privato, ma più non ha perseguito.
Può ben esserci l’ordoliberismo calendiano, il riformismo renziano, anche la corrente cattolico-liberale sturziana, tutte nobili tradizioni integrabili con il mondo liberal-democratico. Ma non può non essere rappresentato il liberalismo classico. Almeno così è apparso all’esterno. Altrimenti il mix, auspicabile e opportuno, si trasforma nel vino senza uva.
Di libertà economiche fondamentali in una società sempre più stato-centrica, di una giustizia europea e non sudamericana, di diritti di cittadinanza veri, si è discusso poco nel Terzo Polo.
Tra gli astenuti dal voto ci sono molti rappresentanti del mondo liberale classico, con le sensibilità spiccate verso le tematiche sopra indicate. Tocca a noi riportarli a casa, in una casa comune, che ognuno deve sentire come propria. È questa la vera sfida di Renew Italia.
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Meloni e moderazione; PD e dilaniamento
Giorgia Meloni gioca la carta della moderazione, consapevole che Washington, Bruxelles, Quirinale e mercati sono in cauta attesa, consapevole che l'economia nel 2023 la metterà alla prova. Il PD alla prova del rinnovamento tra false 'giustificazioni' per i fallimenti tattici e strategici del gruppo dirigente e rievocazione del Partito Radicale di Massa
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Solidarietà alle Donne del popolo Iraniano - Dedicato a Mahsa Amini
Condizione delle donne e femminismo borghese
Condizione delle donne e femminismo borghese - Contropiano
Bastano pochi secondi, un confronto di piazza nato per caso, e la fragilità mostruosa degli argomenti usati dal Palazzo esce fuori in modo clamoroso.Redazione Contropiano (Contropiano)
G7 e G20 sul piatto della bilancia