Ucraina: Elon Musk, l’Italia, e la pace impossibile
Fa una certa impressione constatare che l’unico 'piano di pace', oltre a quello un po’ naïf di Musk, sia stato partorito dal nostro Ministero degli Esteri
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Putin è in un angolo?
Quanto è debole Vladimir Putin, sia in termini di sforzo per sconfiggere l'Ucraina che di capacità di mantenere il potere a Mosca? Proviamo dare una risposta ragionata
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Kazakistan: il Presidente Tokayev sta continuando il corso strategico di Nursultan Nazarbayev?
Il 20 marzo 2019 il parlamento del Kazakistan ha votato all’unanimità per rinominare la sua capitale, Astana, in Nur-Sultan, in onore del suo ex presidente Nursultan Nazarbayev che si è dimesso il giorno prima. Questa modifica era stata messa ai voti su richiesta dell’allora presidente ad interim del Kazakistan, Kasym-Zhormart Tokayev. “Dobbiamo immortalare il suo […]
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ONU: il sistema di veto è davvero ingiusto?
Vari partiti sono stati frustrati dal potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il P5. Hanno sostenuto che questa barriera strutturale ha ostacolato molte proposte e considerazioni cruciali per il bene superiore del mondo. Rimane facile per le altre potenze individuare la causa e la colpa del potere […]
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La Russia si prepara a colpire le esportazioni di energia norvegesi, vitali per l’Europa?
Nonostante tutti i recenti discorsi sul fatto che il presidente russo Vladimir Putin potrebbe usare armi nucleari per mantenere il territorio ucraino, la Russia potrebbe aver già iniziato una guerra ibrida contro la Norvegia e il nord Europa, in particolare la Germania, per sfruttare il fabbisogno energetico dell’Europa nel prossimo inverno. Questa sembra la spiegazione […]
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Business Future under EU Green Taxonomy
Sustainable finance is one of the main pillars of the European Green Deal, since the European Commission recognises the key role of the private sector in financing the transition to Net Zero. To perform the EU’s 2030 climate and energy targets as well as the objectives of the Green Deal, the Commission is labelling sustainable activities on an environmental point of view. By shaping a Taxonomy, the Commission provides a green gold standard to shift investments toward a low-carbon and climate-resilient economy, meanwhile contributing to help investors to avoid falling into green cover-up traps.
However, EU Taxonomy faces several challenges:
- it has proven to be hard to define what is green without ambiguity and trade-off;
- technologies are evolving rapidly making viable solutions that weren’t so only a couple of years ago;
- it is complex for a company to collect standardised data and analytics to demonstrate its support to sustainable use and protection of water and marine resources.
In light of this, will the green certification act as a turbo-changer for a just and inclusive transition? Will the top-down taxonomy legislation gain general consensus? How to rebalance sustainable targets and benchmarks for the international businesses trading with European markets?
About the event
The event consists in a conference and presentation of the book “Business Future under EU Green Taxonomy”, published by the European Liberal Forum in cooperation with Fondazione Luigi Einaudi. The authors of the book, in front of an audience of experts and interested people on the topic, as well as media to ensure further coverage of the event and publication, will present their contributions contained in the book, contributing to the debate of a baseline regulation on sustainable finance and low-carbon activities, encouraging a reflection on any unintended consequence, raising a more comprehensive awareness among public and private businesses, and outlining recommendations for the implementation of EU Green Taxonomy. All this, with a focus on:
- its investments implications especially in high emitters and polluting activities like energy, steel, cement, construction and manufacturing;
- its capital costs effects;
- its human and social impacts;
- how it reflects on incentives policies (e.g., Just Transition Fund, Recovery and Resilience Fund) and possible distortive effects.
Speakers include:
- Sarka Shoup, Author, Executive Director of the Institute for Politics and Society, and European Liberal Forum Board Member (online)
- Patrizia Feletig, Journalist
- Franco Becchis, Scientific Director of Fondazione per l’Ambiente
- Sofia Santos, Sustainability economist
- Andrea Sbandati, Environmental economist and consultant
- Clara Bocchino, Human geographer, Turin School of Regulation
- Gianni Bessi, Regional Councillor for Emilia-Romagna
- Conference Moderator: Ricardo Silvestre
An event organised by the European Liberal Forum with the support of Fondazione Luigi Einaudi
An event organised by the European Liberal Forum (ELF). Co-funded by the European Parliament. The views expressed herein are those of the speaker(s) alone. These views do not necessarily reflect those of the European Parliament and/or the European Liberal Forum.
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Putin invierà russi mobilitati in Bielorussia per una nuova offensiva di Kiev?
La decisione di Vladimir Putin di ordinare la prima mobilitazione della Russia dalla seconda guerra mondiale sta alimentando i timori nella vicina Bielorussia che il Paese possa tornare a diventare un punto focale per l’invasione in corso dell’Ucraina. Con centinaia di migliaia di russi ora chiamati al servizio militare, crescono le preoccupazioni che Mosca possa […]
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Brexit, il primo innesco dell’agonia economica del Regno Unito
Il governo Truss ha annunciato il ritiro del suo programma di mini-shock fiscale, ma ugualmente, e molto anche grazie a Brexit, stanno aumentando le probabilità di una recessione nei prossimi mesi
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Giustizia: Ercole Incalza, ‘il fatto non sussiste’ per 17 volte
Come canta l’intramontabile Vasco Rossi, “c’è qualcosa che non va / in questo cielo / c’è qualcuno / che non sa /più che ore sono…”. Ercole Incalza e’ un manager di lunga, sperimentata esperienza, tra l’altro alto ex dirigente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; incappato in disavventure giudiziarie, per ben diciassette volte e’ assolto. Ermes Antonucci […]
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"Come la Terra, Urano e Nettuno sono mondi blu. Nettuno, sul cui globo color del mare corrono nubi bianche, a un occhio distratto sembrerebbe perfino uno specchio del nostro pianeta. L’azzurro di questi pianeti però non è quello di un oceano, ma è la tinta delle tracce di metano all’interno di un’atmosfera gelida di idrogeno ed elio. A quasi 3 e 4,5 miliardi di km dal Sole, rispettivamente, le atmosfere di Urano e Nettuno oscillano tra i 220 e 230 gradi sotto zero: i pianeti più freddi del Sistema Solare."
Ritorno ai giganti azzurri
Un racconto dei misteri che ancora custodiscono Urano e Nettuno, due pianeti del nostro Sistema Solare che meriterebbero nuove missioni spaziali.Il Tascabile
Concessioni ai casinò: il ruolo di ADM nella regolamentazione del settore
In Italia e in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, il settore del gioco d’azzardo è regolamentato. In Italia, l’organismo più importante nel settore è l’ADM, ovvero l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che ha inglobato l’AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato). L’ADM svolge un ruolo fondamentale nel mondo del gioco d’azzardo, che comprende […]
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Russia – USA: perché Elon Musk ha ragione
Musk ha ragione sul fatto che se le cose in Ucraina continuano lungo il loro corso attuale, gli Stati Uniti e la Russia sono diretti verso una collisione. L'approccio dell'America a questa tragica guerra in Ucraina richiede un adeguamento urgente, se non creativo
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AFGHANISTAN. Le donne in strada contro i talebani e per l’Iran
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 5 ottobre 2022 –
Donne, studentesse, giovani, hazare.
Le vittime dell’attentato che il 30 settembre in Afghanistan ha ucciso 53 persone sono quasi tutte ragazze tra i 18 e i 24 anni. Nell’istituto scolastico colpito, a Kabul, studiavano all’incirca 400 tra maschi e femmine, accuratamente separati in sezioni con aule e ingressi divisi. L’attentatore è entrato nella sezione femminile, dove si stava svolgendo una simulazione dell’esame di ammissione all’università e lì ha fatto strage.
Da quando sono ritornati al potere lo scorso anno, i Talebani hanno vietato alle ragazze di frequentare la scuola secondaria dopo il sesto anno, hanno obbligato le donne ad utilizzare il velo, interdetto lo svolgimento da parte loro di molti lavori del settore pubblico e fatto divieto di percorrere più di 70 chilometri senza l’accompagnamento di un parente maschio.
Ma le università, seppur divise per sessi, possono ancora essere frequentate dalle donne. E questo era il sogno e la speranza delle giovani studentesse uccise nell’attentato.
Sono seguite proteste in varie città dell’Afghanistan, di donne soprattutto, con qualche uomo al loro fianco.
More and more brave women coming out in Afghanistan as well as Iran t.co/NSGszs9W7o— christinalamb (@christinalamb) October 3, 2022
I Talebani hanno dimostrato di odiare in maniera particolare le manifestazioni guidate e composte per la maggior parte da donne: hanno tentato di impedire la partecipazione ai cortei, sbarrando le uscite delle università (come la Balkh University a Mazar-i-Sharif) e chiudendo i giovani nei propri dormitori. Numerosi video pubblicati sui social riprendono ragazze nel tentativo di abbattere porte o di uscire dalle finestre.
Ma non basta questo a spiegare la limitata partecipazione ai cortei, ben lontani da rappresentare quella immensa fiumana necessaria per operare una pressione che sia percettibile al governo talebano. La cui risposta è stata come sempre molto dura: le autorità giustificano gli spari in aria, le violenze e la repressione con ragioni di ordine pubblico e di sicurezza. Le manifestanti sono regolarmente aggredite e sempre più spesso le forze armate distruggono dispositivi elettronici e smarphone, unica camera e unico microfono in grado di documentare. Nulla, però, in confronto alla repressione in Iran, dove le autorità hanno fatto uso di armi da guerra per disperdere le folle, sono state uccise almeno 154 persone e arrestate a centinaia. Tutto questo ha indebolito le proteste ma non è riuscito a spegnerle: stanno nascendo in questi giorni a Teheran ma non solo nuove forme di protesta, cortei improvvisati di automobili, canzoni di rabbia dalle finestre dei quartieri.
Donne Afghane in protesta il 13 agosto 2022
La posizione ufficiale dei Talebani è che le manifestazioni tenutesi nelle diverse città dell’Afghanistan non sono state correttamente comunicate alle autorità preposte. La realtà è che gli spazi in cui i talebani consentirebbero lo svolgersi di tali manifestazioni sono lontani dai centri delle città, piccoli e isolati. Senza contare che anche le manifestazioni tenutesi con regolare comunicazione sono state attaccate dalle forze di sicurezza governative.
Ciò che sta accadendo in Iran, le proteste successive all’uccisione di Mahsa Amini, ha innescato una importante scintilla, che ha riportato nelle piazze, cosa che era già accaduta nella prima metà di agosto, alcune decine, forse un centinaio di donne, prima ancora dell’attentato terroristico. Lo scorso 29 settembre sono arrivate a manifestare sotto l’ambasciata iraniana a Kabul, in solidarietà con le dimostranti iraniane, prima di essere disperse dai talebani.
Brave women of #Afghanistan continue to protest against the strict Taliban rule on the streets of Kabul pic.twitter.com/D4uzrGqvmH— Oliver Marsden (@OliverGMarsden) August 13, 2022
Le proteste degli ultimi giorni chiedono sicurezza per la comunità Hazara, sciita, obiettivo di attacchi e attentati ad opera dell’Islamic State Khorasan, conosciuto come gruppo ISIS-K, sunnita. Ma domandano anche la riapertura delle scuole femminili chiuse dai talebani e il ripristino dell’accesso ai settori dell’istruzione e a tutti i campi lavorativi.
Purtroppo, però, l’attentato potrebbe in parte aver raggiunto il suo scopo: molte famiglie decideranno, per paura, di impedire alle proprie figlie a sostenere l’esame di accesso universitario, obbligandole così a terminare di colpo il percorso di studi.
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Gas e petrolio: in Africa la caccia al tesoro delle multinazionali
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 5 ottobre 2022 – La speculazione e le turbolenze sui mercati derivanti il conflitto in Ucraina hanno provocato negli ultimi mesi un’impennata dei prezzi dei combustibili fossili scatenando una vera e propria caccia al tesoro anche in alcune regioni del pianeta tradizionalmente poco battute.
Potenze grandi e piccole e compagnie energetiche sono impegnate in una competizione sempre più sfrenata per accaparrarsi soprattutto gas e petrolio ma anche il carbone, il cui utilizzo sembrava esser stato notevolmente ridotto dagli accordi multinazionali sulla salvaguardia del clima.
L’aumento dei prezzi riapre la caccia ai combustibili fossili
In particolare, negli ultimi mesi la competizione per lo sfruttamento delle riserve africane si è fatta molto serrata. Storicamente sono stati soprattutto i paesi del nord Africa a sviluppare l’industria estrattiva, diventando tra i principali fornitori dell’Europa e non solo, mentre le regioni centrali e meridionali del continente erano ritenute poco interessanti. Ma la recente scoperta di nuovi ingenti giacimenti e l’incentivo allo sfruttamento derivato dalle sanzioni europee alla Russia (e dalla conseguente chiusura dei rubinetti del gas da parte di Mosca) oltre che dall’aumento dei prezzi, hanno spinto molti paesi europei e le multinazionali dell’energia a dedicarsi all’Africa centrale e meridionale.
L’aumento dei prezzi – nonché dei profitti – e la necessità per l’Europa di sostituire i flussi che fino a pochi mesi fa giungevano da Mosca, rendono infatti interessanti progetti di estrazione e di trasporto che erano stati temporaneamente o definitivamente abbandonati per i costi eccessivi, l’alto impatto ambientale e sociale o per ragioni dovute all’instabilità delle aree interessate.
Secondo i calcoli di Reuters i giganti energetici stanno attualmente gestendo o pianificando in Africa progetti per complessivi 100 miliardi di dollari.
Già nel 2019, il continente africano ospitava circa il 9% delle riserve globali di gas e ne produceva il 6% di quello consumato nel pianeta. Tre paesi – Algeria, Egitto e Nigeria – da soli coprivano ben l’85% della produzione totale, seguiti da Libia e Mozambico. Ma nel nuovo contesto molti altri paesi stanno iniziando a sfruttare i propri giacimenti.
Gas e petrolio: la sorpresa Africa
Uno studio di Rystad Energy (società di ricerca con sede a Oslo) calcola che entro il 2030 la produzione di gas dei paesi dell’Africa subsahariana raddoppierà, trainata dai progetti di estrazione nelle acque profonde al largo delle coste. Secondo la stima, in pochi anni si dovrebbe passare da 1,3 milioni di barili al giorno del 2021 a 2,7 milioni alla fine di questo decennio. Già nei prossimi anni, l’Africa dovrebbe essere in grado di sostituire circa il 20% del gas esportato fino a qualche mese fa in Europa dalla Russia.
Tra i paesi più interessanti per le major c’è sicuramente il Mozambico; a breve dovrebbero iniziare a funzionare gli impianti di estrazione del grande giacimento di gas naturale offshore di Coral Sul, a lungo ritardato dalle violente scorribande di gruppi jihadisti. Nello sfruttamento delle risorse dell’ex colonia portoghese sono impegnate, tra le altre, l’italiana Eni, la statunitense Anadarko e la francese Total.
La Tanzania è più indietro, invece, nello sfruttamento delle sue riserve di gas naturale, che le stime finora quantificano però in ben 57 miliardi di metri cubi. Il paese ha firmato un accordo sul gas con la società norvegese Equinor e con la britannica Shell.
In Zimbabwe una società australiana, la Invictus Energy Ltd sta conducendo le esplorazioni nel nord del paese. Il colosso canadese ReconAfrica, da parte sua, ha già iniziato le perforazioni in Namibia e Botswana, in particolare nella Kavango Zambezi Transfrontier Conservation Area (Kaza), la più grande area protetta transfrontaliera del mondo, suscitando ovviamente le proteste di diverse associazioni ambientaliste.
Come ricorda Nigrizia, a settembre alcuni ricorsi sono riusciti a bloccare i sondaggi che la Shell stava realizzando nella provincia del Capo orientale in Sudafrica, un’altra zona protetta.
Le compagnie petrolifere sono ottimiste sulle attività di prospezione avviate in Kenya, Etiopia, Somalia e Madagascar, mentre aumenta la produzione in Senegal e in Mauritania.
L’unico paese africano che negli ultimi anni ha subito un consistente calo della produzione di gas e petrolio è l’Angola, che pure possiede riserve di 380 miliardi di metri cubi di gas.
Al contrario, vanno a gonfie vele le esportazioni della Nigeria, che possiede le più consistenti riserve africane e vende già il 14% del GNL che i paesi dell’Unione Europea importano. Ma Lagos ha le potenzialità per raddoppiare le forniture di gas e aumentare quelle di petrolio, di cui è il più grande produttore di tutto il continente. Nel tentativo di sfruttare a pieno le sue potenzialità, la Nigeria tenta di convincere gli investitori stranieri a finanziare la realizzazione di un gasdotto trans-sahariano in grado di portare il suo gas in Algeria e da qui all’Europa. Il progetto del Nigal è stato lanciato nel 2009 ma alcune dispute territoriali – come quella tra il Niger e l’Algeria – la mancanza di sicurezza in alcune aree e gli alti costi hanno finora ritardato la realizzazione della lunghissima pipeline su un tracciato di più di 4100 km.
La crisi attuale ha rilanciato il progetto del Trans Saharan Gas Pipeline, che però deve scontare la concorrenza di un altro tracciato – l’NMGP – che punta ad estendere l’esistente gasdotto dell’Africa Occidentale fino alla Spagna passando per i paesi costieri. Intanto, grazie perlopiù ad alcuni prestiti concessi dalle banche cinesi, il governo nigeriano è riuscito ad avviare la costruzione dell’Ajaokuta–Kaduna–Kano (AKK), un gasdotto lungo 614 km gestito dalla Nigerian National Petroleum Corporation in grado di trasferire il gas naturale dalle regioni meridionali e quelle centrali del paese.
Sul fronte del petrolio, invece, molto contestato è l’EACOP (East African Crude Oil Pipeline), l’oleodotto lungo quasi 1500 km che dall’Uganda dovrebbe arrivare sulle coste della Tanzania.
Addio lotta al cambiamento climatico
È evidente che gli interessi economici e geopolitici in ballo sono enormi e che difficilmente i paesi europei – e le diverse compagnie energetiche – rispetteranno gli impegni a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili per l’accaparramento dei quali si stanno spendendo molte decine di miliardi di euro.
Si tratta di progetti per la realizzazione di infrastrutture che dovrebbero entrare in funzione tra qualche anno e rimanere in attività un certo lasso di tempo affinché si generino i profitti necessari a giustificare i relativi investimenti.
Alla luce delle scelte di questi mesi dei governi europei la prospettiva dell’abbandono dei combustibili fossili – dai quali il nostro continente è ancora fortemente dipendente – a favore delle fonti rinnovabili sembra decisamente allontanarsi.
Se con le linee guida contenute nel piano REPowerEU la Commissione Europea ha identificato nello sviluppo delle fonti rinnovabili e nell’aumento dell’efficienza energetica la strada per sostituire il gas – la cui domanda l’UE dovrebbe teoricamente ridurre nel 2030 del 40% rispetto al 2021 – la Strategia Energetica Internazionale dell’UE sostiene la necessità di concentrare proprio sull’Africa la ricerca di nuove forniture di gas.
Cop27: l’Africa rivendica lo sfruttamento delle proprie risorse
I governi africani stanno ovviamente cercando di non lasciarsi sfuggire l’occasione creata dal nuovo contesto internazionale. Le royalties ottenute dalla vendita delle proprie risorse energetiche potrebbero riempire le casse – spesso vuote – di molti paesi, consentendogli di lanciare ambiziosi e urgenti programmi di modernizzazione e sviluppo economico.
Un’esigenza ancora più impellente se si considera che il boom demografico e il conseguente aumento dei consumi porteranno il continente africano ad aver bisogno almeno, entro il 2040, del 30% in più di energia a fronte di un aumento del 10% del fabbisogno energetico mondiale.
Non stupisce quindi che, secondo il Guardian i 55 paesi riuniti nell’Unione Africana avrebbero deciso di presentarsi con una linea politica comune al prossimo COP27 in Egitto. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista a Sharm el-Sheikh dal 6 all’8 novembre sarà l’occasione, afferma il documento comune, di difendere il diritto del continente africano a poter sfruttare le proprie risorse energetiche. «Nel breve e medio termine, i combustibili fossili, in particolare il gas naturale, dovranno svolgere un ruolo cruciale nell’espansione dell’accesso all’energia moderna, oltre ad accelerare l’adozione delle energie rinnovabili» recita una dei passaggi centrali del testo.
Una richiesta più che legittima, considerando che attualmente 600 milioni di africani non hanno ancora accesso all’elettricità e che il continente africano genera solo il 5% delle emissioni globali di gas serra.
Cambiamento climatico: il doppio standard dell’Ue
Il problema è che l’UE e le istituzioni politiche ed economiche internazionali applicano un doppio standard rispetto alle questioni climatiche. Mentre Bruxelles ha reagito all’emergenza aperta dalla crisi ucraina (in buona parte creata dalla propria scelta di applicare sanzioni a Mosca e di azzerare i flussi di gas e petrolio dalla Russia) decretando una vera e propria caccia ad altri fornitori di combustibili fossili fino a resuscitare lo sfruttamento del carbone, pretenderebbe dall’Africa un rispetto integrale degli impegni contro il surriscaldamento globale.
Così mentre i progetti che permetterebbero l’accesso all’energia elettrica di decine di milioni di africani faticano enormemente a trovare finanziamenti da parte della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale perché inquinanti – ma il sostegno all’implementazione in Africa delle rinnovabili non ha sorte migliore – le potenze occidentali non lesinano risorse quando si tratta di assicurare i propri rifornimenti di gas e petrolio.
Vijaya Ramachandran, direttrice per l’energia e lo sviluppo del centro studi californiano Breakthrough institute, parla apertamente di“colonialismo verde” e spiega che i paesi ricchi sfruttano le risorse di quelli più poveri, negandogli però l’accesso alle stesse risorse in nome del contrasto alla crisi climatica.
Proteste contro la Shell in Sudafrica
Combustibili fossili: opportunità o condanna?
Comunque, la stragrande maggioranza dei combustibili fossili estratti sul suolo e nei mari africani, quindi, prende la via dell’esportazione, e contribuisce in minima parte allo sviluppo dei paesi nei quali essi vengono prodotti.
Inoltre, le popolazioni dei paesi esportatori beneficiano assai poco delle royalties; i proventi vengono spesso dilapidati da meccanismi clientelari e di corruzione incentivati dalle stesse multinazionali straniere.
Per non parlare dell’elevato impatto ambientale e sociale che gli impianti di estrazione e di sfruttamento dei combustibili fossili provocano nei territori interessati. Le catastrofiche conseguenze sull’ecosistema e sulle comunità umane in Mozambicoe in Nigeria, i paesi africani con più lunga tradizione estrattiva, la dicono lunga su quale tipo di “sviluppo” queste attività implementino nel continente africano, il più colpito finora dalle conseguenze del cambiamento climatico. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
LINK E APPROFONDIMENTI:
agi.it/economia/news/2022-04-2…
bloomberg.com/news/features/20…
theguardian.com/world/2022/aug…
nigrizia.it/notizia/energia-ap…
eccoclimate.org/wp-content/upl…
iea.org/news/global-energy-cri…
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La storia di Rayan. «Ucciso dallo spavento quando i soldati sono entrati in casa»
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 30 settembre 2022 – «Quando Yasser, il papà di Rayan, ha aperto la porta di casa e i soldati (israeliani) sono entrati, c’è stato un forte trambusto. Il bambino forse temeva di essere arrestato perché i militari cercavano i ragazzi della scuola che avevano lanciato sassi alle auto israeliane. Rayan ha urlato impaurito poi all’improvviso si è accasciato sul pavimento. L’abbiamo portato all’ospedale ma il suo cuore non batteva più». Questo è il racconto che Mohammed Suleiman ha fatto della morte di suo nipote Rayan Suleiman, 7 anni, «ucciso dallo spavento» ieri a Taqua, il villaggio a qualche chilometro a Betlemme dove i militari hanno fatto irruzione in diverse case alla ricerca dei ragazzi della scuola elementare «Al-Khansa» che poco prima avevano preso di mira con lanci di pietre i coloni israeliani che transitano in macchina da quelle parti. Una morte per infarto – i medici dell’ospedale di Beit Jala hanno fatto il possibile per salvare la vita di Rayan – che ha generato grossa impressione nella Cisgiordania occupata dove la tensione, la rabbia e la frustrazione hanno toccato a livelli mai raggiunti in questi ultimi anni a causa delle incursioni israeliane, quasi quotidiane, in particolare a Jenin e Nablus.
L’esercito israeliano ha confermato che un ufficiale ha interrogato il padre di Rayan, così come molti altri genitori palestinesi sul presunto coinvolgimento dei loro figli nel lancio di sassi. Ma sostiene che non ci sono stati incidenti durante le indagini e che le truppe non hanno impiegato alcuna misura antisommossa, come i gas lacrimogeni, e che non esisterebbe «alcun collegamento tra la morte del bambino e i controlli nell’area». Testimoni palestinesi però insistono che i soldati si sono lanciati all’inseguimento dei ragazzi della scuola di Taqua tanto che all’inizio si era diffusa la voce che Rayan fosse morto cadendo da alcuni metri di altezza mentre cercava di fuggire.
Per i palestinesi il bambino è il 159esimo «martire» dall’inizio dell’anno in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Morti, molti dei quali combattenti armati, che in gran parte si concentrano negli ultimi sei mesi, da quando Israele ha lanciato in Cisgiordania l’operazione militare «Break the wave» in reazione agli attentati della scorsa primavera compiuti da palestinesi giunti da Jenin che hanno causato 18 morti a Tel Aviv e altre città israeliane. L’operazione si è intensificata negli ultimi mesi e alcuni la vedono in qualche modo collegata alla campagna di immagine del premier Yair Lapid per le elezioni legislative del primo novembre, così come quella di inizio agosto a Gaza contro il Jihad islami (49 morti palestinesi, tra cui 17 bambini).
Ad aggravare il clima generale sono anche le condizioni del prigioniero politico Nasser Abu Hamid, del campo di Al-Amari (Ramallah), ammalato di cancro e al quale i medici danno pochi giorni di vita ma che non è stato ancora scarcerato. In prigione resta anche l’avvocato per i diritti umani Salah Hamouri che ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione senza accusa da parte di Israele. Hamouri fu arrestato il 7 marzo a Kufr Aqab e da allora è rimasto in detenzione amministrativa, ossia senza accuse e un processo, che può essere rinnovata a tempo indeterminato. L’avvocato è tra i 30 prigionieri politici palestinesi in carcere senza processo che domenica hanno iniziato un digiuno in segno di protesta.
Intanto la visione di Israele non come Stato ebraico ma come «Stato di tutti i suoi cittadini» è costata la squalifica al partito arabo Balad/Tajammo, escluso ieri dalle votazioni del primo novembre dalla Commissione elettorale centrale. La squalifica era stata richiesta dal Likud dell’ex premier Netanyahu ma è stata sostenuta anche dal ministro della difesa Benny Gantz. Il leader di Balad/Tajammo, Sami Abu Shahadeh, ha annunciato che presenterà ricorso contro la decisione che potrebbe essere ribaltata dalla Corte suprema nei prossimi giorni. Nessun problema invece per le formazioni di estrema destra Sionismo religioso e Otzma Yehudit che pure non pochi israeliani accusano di razzismo.
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GAZA. Boxe contro l’assedio. Il pugilato come occasione di riscatto ed emancipazione
testo e foto di Daniele Napolitano
Pagine Esteri, 30 settembre 2022 – La Striscia di Gaza è lunga 347km quadrati e con i suoi 2 milioni di abitanti, ha la densità abitativa più alta al mondo. Può contare su poche ore di elettricità al giorno, ha enormi problemi ambientali, scarsa acqua potabile. Secondo le Nazioni unite dal 2020 è una “terra invivibile”. Senza dimenticare le conseguenze che hanno causato, oltre a migliaia di morti e feriti, le ampie offensive militari lanciate da Israele dal 2008 allo scorso agosto.
Ed è in questo contesto che un gruppo di ragazze tra i 10 e 16 anni si allena tutti i giorni in una piccola palestra di pugilato allestita con sacchi e corde di fortuna.
Capitanate da Osama Ayoub, giovane tecnico locale, grazie ad un progetto italiano coordinato dalla Ong CISS e dalle palestre romane del Quarticciolo e del Tufello, le ragazze sognano di poter competere con atlete di altri paesi, cosa che non è concessa visto lo stato di occupazione che Gaza subisce.
Boxe contro L’assedio è un progetto di scambio e condivisione sportiva nato nel 2018, che utilizza lo sport come strumento di miglioramento e riscatto personale e sociale, ma anche come modo per arrivare oltre il muro di Gaza, il carcere a cielo aperto più grande al mondo.
Grazie a questo progetto, in 4 anni, abbiamo costruito diverse occasioni di scambio con gli atleti e le atlete romane e palestinesi, consegnato decine di guanti e attrezzatura, aperto una piccola palestra di pugilato e molto altro ancora.
Nonostante lo stop dovuto alla pandemia, In questi lunghi mesi siamo rimasti in contatto con la federazione di pugilato palestinese, ma soprattutto con Coach Osama, che ogni giorno allena un gruppo di ragazze giovanissime all’interno della piccola palestra popolare che abbiamo aperto con lui.
Il pugilato come occasione di riscatto, strumento di condivisione ed emancipazione, che è soprattutto un modo per raccontare una Gaza diversa da quella che la vede soccombere sotto le macerie, una Gaza che vuole rimanere viva, che lotta grazie allo sport, linguaggio universale che da sempre unisce e supera barriere.
Le foto sono realizzate nel periodo tra il 9 e il 15 settembre 2022.
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Ponte sullo Stretto: il mostro è riemerso in campagna elettorale (RETTIFICA)
RETTIFICA ALL’ARTICOLO PUBBLICATO IL 19 SETTEMBRE 2022
Nel prendere atto della missiva del legale del dott. Fortunato Vincenzo, da me citato nell’articolo sul Ponte sullo Stretto pubblicato da Pagine Esteri, esprimo il mio sincero rammarico per quanto contestatomi. Tengo a sottolineare che nell’articolo il dottor Fortunato non è oggetto di alcun commento diffamatorio ma gli viene solo erroneamente attribuito l’incarico di “commissario liquidatore” della Società Stretto di Messina, incarico pubblico-governativo. Mi duole tantissimo di essere incorso in uno spiacevole caso di omonimia ma è del tutto evidente che non esisteva né esiste da parte mia alcun intento di denigrare né la figura del dottor Fortunato, né tanto meno quella del dottor Fortunato commissario liquidatore.
Ho provveduto ad eliminare dall’articolo sopracitato il riferimento agli incarichi del professionista erroneamente citato e ho accolgo richiesta di rettifica.
Ringraziando per l’attenzione
Antonio Mazzeo
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Il tigroso Letta a Congresso
Possibile che a questi geni della sconfitta non sia venuto in mente che l’unico modo per salvare il PD è fare idee, avere idee, discutere di idee, confrontare e confrontarsi sulle idee?!
L'articolo Il tigroso Letta a Congresso proviene da L'Indro.
Fr.#10 / k e y w o r d s
Parole chiave
La scorsa settimana, durante una causa relativa a un’indagine su un caso di violenza sessuale, sono stati diffusi in udienza alcuni documenti che accidentalmente hanno mostrato un nuovo tipo di mandato delle forze dell’ordine: il “keywords warrant”, o “reverse search warrant”.
Il keyword warrant consiste in questo: nell’ambito di un’indagine le forze dell’ordine possono chiedere a Google (o altri motori di ricerca) di fornire dati identificativi di tutti gli utenti che nei giorni precedenti al reato hanno cercato sul motore di ricerca parole chiave come il nome della vittima, il suo indirizzo, il nome dei familiari, e altre parole che possano indicare un qualche tipo di connessione.
Insieme ai dati relativi alle query il motore di ricerca può fornire anche ulteriori informazioni, come gli indirizzi IP delle persone, i loro account Google e perfino i CookieID - quel codice univoco che identifica un utente nel network di advertising di Google.
Ad oggi risultano pubblici solo altri due casi di utilizzo di questo tipo di mandato, uno nel 2020 e un altro nel 2017, rispettivamente per indagini su un incendio doloso e una truffa.
La particolarità del keyword warrant è che ribalta i normali principi di funzionamento della giustizia. Se le forze dell’ordine volessero ottenere dati relativi a una specifica persona sospettata di aver commesso un reato, dovrebbero prima ottenere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Viceversa, con questo tipo di mandato possono ottenere i dati di chiunque abbia fatto un certo tipo di ricerca in un determinato momento - aggirando così le tutele giuridiche delle persone coinvolte.
Oltretutto, il keyword warrant si presta bene per diventare uno strumento di sorveglianza e censura politica di massa, che sotto il cappello della lotta al terrorismo (ampissimo, specie negli Stati Uniti) e agli “estremismi” può trovare terreno molto fertile in questo periodo.
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Un’attività simile al keyword warrant è il geofence warrant. Il geofence warrant segue la stessa logica del keywords warrant, ma ha a che fare con i dati di localizzazione invece che con le parole chiave ricercate. Le autorità possono chiedere a Google di consegnare dati identificativi e di localizzazione di chiunque abbia transitato in una specifica zona in un determinato periodo di tempo, attraverso i dati raccolti con Google Maps.
Al contrario del keyword warrant questa è un’attività molto usata dalle autorità statunitensi. Secondo un recente rapporto di Google il geofence warrant rappresenta circa 1/4 di tutte le richieste ricevute ogni anno dal gigante della Big tech.
I risultati in entrambi i casi sono gli stessi: una grande operazione di pesca a strascico che rischia di intrappolare nella rete delle indagini persone innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato; o che hanno cercato la parola sbagliata la momento sbagliato.
Censura delle ricerche e scienza…
Sempre sulla falsa riga del tema delle ricerche sui motori di ricerca, ieri il noto sito ZeroHedge ha pubblicato una notizia in cui si riportano alcune dichiarazioni di Melissa Fleming, UN’s Under-Secretary-General for Global Communications fatte durante un’intervista, proprio sul tema delle ricerche sui motori come Google.
Trascrivo qui l’intervista:
“We partnered with Google […] for example if you Google “climate change”, at the top fo your search you’ll get all kinds of UN resources. When we started this partnership we were shocked to see that we were getting incredibly distorted information right at the top…so we’re becoming much more proactive…We own the science, and we think that the world should know it, and the platforms themselves also do.”
Le piattaforme sono da tempo chiamate a confermare la narrativa prevalente in materia di tanti temi scientifici (e non), censurando i risultati che in qualche modo deviano dall’opinione prevalente. Il nostro mondo e la nostra percezione non si fonda più su ciò che è oggettivo, ma su ciò che è politicamente conveniente. Abbiamo sostituito la realtà con l’opinione, in balia di un pugno di persone che possono modificare la nostra percezione del mondo in tempo reale.
Un breve recap della Privacy Week 2022
La Privacy Week è giunta alla conclusione, dopo cinque giorni intensi, con centinaia di speaker e dozzine di interventi fantastici e occasioni di networking.
Molti di voi hanno scoperto la Privacy Week quest’anno, grazie al salto di qualità comunicativa e organizzativa che siamo riusciti a fare dopo il primo esperimento dello scorso anno. Spero che il prossimo anno si riesca a migliorare ancora questo evento che vorrebbe davvero diventare il punto di riferimento per parlare di privacy, cybersecurity e nuove tecnologie.
Chi non ha potuto partecipare a Milano o seguire lo streaming in diretta non deve preoccuparsi! Tutti gli eventi sono disponibili on-demand sul sito.
Visto però che sono così tanti, ho pensato di fare una selezione di quelli che mi sono piaciuti di più (ma sono davvero tutti interessanti, sfogliate il catalogo):
- Diritti digitali, self-regulation e moderazione di contenuti online: Q&A con l’Oversight Board di Facebook e Instagram / per capire meglio come funziona l’organo indipendente per la moderazione di Facebook e Instagram
- Julian Assange: la storia del cypherpunk che ha sfidato gli USA / un panel su Julian Assange, insieme a Stefania Maurizi, la giornalista italiana che da anni segue le sue vicende in prima persona
- Privacy e Bitcoin / Giacomo Zucco spiega la relazione tra Bitcoin, Lightning Network e privacy
- Gli attivisti italiani: chi difende i nostri diritti / una panoramica su alcune organizzazioni noprofit italiane attive nel campo della tutela dei diritti
- Viaggio nei ruoli della cybersecurity con due professioniste / quali sono le opportunità di carriera nel mondo della cybersecurity e come entrarci?
- Come il monopolista della pornografia ti profila: problemi, considerazioni, contromisure / l’enorme macchina di profilazione del porno, il vero core business
- Privacy Night - Scammer, hacker e cyberbulli: difendersi da quelli che colpiscono dove fa più male / una serata insieme a Diego Passoni per parlare di un tema che colpisce molte persone, soprattutto le più giovani
- Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre? / questo è il mio intervento, di cui vi ho anche già parlato la scorsa settimana, con una sintesi scritta del discorso
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Meme del giorno
Citazione del giorno
The right to agree with others is not a problem in any society; it is the right to disagree that is crucial- Ayn Rand
Nazionalizzare la produzione dei semiconduttori è un’ambizione scheggiata
Le interruzioni causate dalla pandemia di COVID-19 hanno limitato la fornitura e aumentato il costo dei semiconduttori. Uno degli impatti più evidenti della carenza di chip è stato sul settore automobilistico. Il ripristino di una parvenza di normalità all’interno della catena di approvvigionamento dei semiconduttori, come risultato di questa e di carenze simili, è passato […]
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Ucraina: l’unità europea è essenziale mentre Putin si prepara a fare dell’inverno un’arma
Il Presidente russo Vladimir Putin ha recentemente intensificato la sua invasione dell’Ucraina annettendo ufficialmente quattro regioni ucraine parzialmente occupate. Nel suo discorso di accompagnamento a queste annessioni, Putin ha chiarito che vede la guerra in corso come una lotta esistenziale con l’Occidente collettivo per plasmare il futuro del mondo intero. Per ora sta perdendo. Le […]
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Come posso rinnovare in una recessione economica?
Non è più un segreto per nessuno che stiamo vivendo in tempi economicamente difficili e la maggior parte delle persone si stanno preparando per una recessione economica. Quando i tempi sono stretti, le spese di viaggio e di svago sono di solito le prime ad andare nel bilancio familiare. Questo ha spinto un nuovo tipo di […]
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Continuità
Il nuovo governo è di là da venire. Si è quasi esaurita l’ondata delle analisi e dei commenti sui voti espressi, mentre il gioco del totoministri lascia il tempo che trova. Sarebbe già molto se avessero notizie affidabili i diretti interessati. L’elemento che sembra essere più importante e permanente, però, è la voglia di continuità. Per la composizione dell’esecutivo e il passaggio delle consegne c’è tempo, ma i segnali di continuità si colgono nel merito delle intenzioni. Ed è un fatto positivo, oltre che, malauguratamente, non consueto.
Si può sempre credere che certe parole siano strumentali e che chi le pronuncia sia un bugiardo, ma sarebbe quasi diabolico. Perché ci sono aspetti su cui il futuro capo dell’esecutivo s’era già pronunciata in campagna elettorale, restando poi ferma su quelle posizioni. Prima di tutto la politica estera e la condanna senza tentennamenti dell’invasione russa. Ma anche sul fronte interno sembra prevalere il desiderio di continuità. Ad esempio a proposito del caro bollette.
Se si ragiona di una disponibilità di ulteriori 25 miliardi, che si aggiungerebbero ai 66 già mobilitati, vuol dire che si pensa di utilizzare i 10 miliardi già accantonati dal governo Draghi, più i 10 che derivano dall’aumento del gettito fiscale (uno degli effetti della crescita dei prezzi), con i 5 raccolti tassando gli extraprofitti delle società fornitrici d’energia. Ovvero non solo ci si muove in continuità, ma la si osserva sul punto più rilevante e con maggiori conseguenze positive: niente scostamento di bilancio. Non è una novità, per Fratelli d’Italia, ma è pur sempre l’opposto di quel che reclamava la Lega. Se i rapporti di forza e la saggezza indurranno ad attenersi alla prima e non alla seconda condotta, sarà solo che un bene.
Potrà sembrare strano che tanta continuità sia garantita dalla vittoria degli oppositori del precedente governo, ma è una stranezza più politicista che relativa alle questioni concrete. Il governo Draghi ha totalizzato due anni di forte crescita economica, riuscendo a far scendere debito e deficit. Non avrebbe senso che chi raccoglie il testimone voglia rompere la continuità, perché oltre che al Paese porterebbe problemi e sfortuna a chi si appresta a governare.
A questo si aggiunga un’ulteriore questione, che non riguarda affatto solo l’Italia e neanche solo gli europei (si pensi a quel che successe negli Stati Uniti e sta succedendo in Brasile): vincere le elezioni legittima la maggioranza parlamentare e comporta il diritto-dovere di governare, ma è pericoloso dimenticarsi di non essere maggioranza nel Paese o che gli elettori sono divisi in due. Trump vinse con meno voti popolari di Clinton, averlo ignorato non gli ha giovato.
Biden ha ereditato non solo un Paese spaccato, ma con un accenno di guerra civile al debutto, sarebbe sciocco se non ne tenesse conto. Il primo turno Brasiliano racconta un paese diviso e in cui nessuno degli sfidanti raccoglie più della metà. Il democrazia non si passa il bastone del comando (che proprio non c’è), ma la guida del governo e del legiferare.
Una maggioranza parlamentare ha la possibilità di fare quel che promise, ma anche la responsabilità di non trasformare il proprio essere minoranza nel Paese in un elemento che ne incrudelisca gli scontri, radicalizzandoli. Perché per riuscire a governare il consenso dovrà continuare a costruirlo, provvedimento dopo provvedimento.
Da questo punto di vista la postura della continuità, che fin qui si mantiene, è dimostrazione di saggezza. Anche perché c’è una questione che non è di politica estera e neanche interna, ma le condiziona entrambe: l’essere parte dell’Unione europea. È il punto su cui i vincitori delle elezioni italiane sono più indeboliti da quel che dissero, fecero e votarono. La continuità è un buon approccio per superare tare che nuocerebbero all’Italia, ma anche a chi oggi ha vinto e s’appresta a governarla.
L'articolo Continuità proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Iran: la ‘non rivoluzione’ nella battaglia per il dopo-Khamenei
Già iniziati negoziati ad alto livello e lotte per la successione. Mancano alternative politiche praticabili. L'opposizione è debole, frammentata, irrilevante. Lo scenario più probabile è che l'IRGC, con l'appoggio di Khamenei, schiacci gli oppositori che sono nelle piazze, e poi prepari il terreno per un successore del leader supremo
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Prosegue la nostra rubrica per conoscere meglio le misure dedicate alla #scuola.
Oggi vi parliamo degli investimenti previsti per migliorare l’offerta formativa nella fascia 0-6 anni.
Economia al tempo della guerra in Ucraina: chi guadagna e chi perde
La drammatica guerra scatenata dalla Russia in Ucraina ha generato uno scontro che non si esaurisce sul campo bellico, ma si allarga ad un confronto globale più ampio sul piano geopolitico e su quello degli equilibri finanziari che creano differenti condizioni di vantaggi e svantaggi ai diversi Paesi. Proviamo ad analizzarli. La guerra segue il […]
L'articolo Economia al tempo della guerra in Ucraina: chi guadagna e chi perde proviene da L'Indro.
GUAM 2.0: il libero scambio può far rivivere il blocco regionale dimenticato?
Qualcosa si muove attorno al vecchio blocco, ma è presto per dire se l'area di libero scambio può decollare in tempi brevi. Certo è che una zona di libero scambio non solo aiuterebbe gli Stati membri della GUAM, ma aiuterebbe anche l'organizzazione GUAM a convalidarne l'esistenza
L'articolo GUAM 2.0: il libero scambio può far rivivere il blocco regionale dimenticato? proviene da L'Indro.
Il principe bin Salman e il suo frenetico ‘fare’
Impegnato su più scacchieri diplomatici, religiosi ed economici, con successi variabili, il principe ereditario saudita prova ripulire la sua immagine e insieme costruire il futuro del Paese
L'articolo Il principe bin Salman e il suo frenetico ‘fare’ proviene da L'Indro.
Libano e Israele, la pace del gas
Dopo più di un decennio di colloqui, una proposta degli Stati Uniti per risolvere una controversia sul giacimento di gas Qana ha guadagnato elogi dai leader di Beirut e Tel Aviv
L'articolo Libano e Israele, la pace del gas proviene da L'Indro.
Gli etruschi protagonisti al Salone del turismo archeologico
Ora che è calato il sipario sull’8ª edizione di ‘Tourisma-il Salone dell’Archeologia e del Turismo culturale’ organizzato da Archeologia Viva (Giunti editore) al Palazzo dei Congressi di Firenze dal 30 settembre al 2 ottobre, già si può tracciare un primo bilancio di questa manifestazione, la più importante d’Europa in questo settore, che vedeva grandi protagonisti gli etruschi, […]
L'articolo Gli etruschi protagonisti al Salone del turismo archeologico proviene da L'Indro.