Regno Unito: il popolo britannico è resiliente… deve esserlo
Le dimissioni di Liz Truss dopo soli 44 giorni in carica significano che entro la prossima settimana il Regno Unito avrà avuto tre primi ministri in due mesi, quattro ministri delle finanze in quattro mesi e per la maggior parte del 2022 un governo che lavora sul pilota automatico grazie solo alla sua dura -servizio […]
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Il fiasco di Liz Truss: un eroico primo ministro in anticipo sui tempi
Dopo la più breve premiership nella storia britannica, non c’è dubbio che l’agenda socialista sia diventata una corrente principale assoluta nella politica mondiale. L’agenda socialista sta diventando il fulcro di tutte le élite politiche influenti, sia quelle che cercano e detengono il mandato di potere, in tutti i paesi sviluppati. Ciò significa che dobbiamo essere […]
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Requiem in memoria di Yuri Kerpatenko
Non che la dittatura despotica e imperialista di Putin non si fosse già distinta per ferocia nella repressione degli oppositori politici. Basta richiamare alla memoria il caso Politkovskaja per far cadere ogni barriera ideologica in difesa della Grande Russia.
Ma l’uccisione del direttore d’orchestra Yuri Kerparenko si fa più sapida perché richiama alla memoria l’esecuzione di Khaled al-Asaad, l’anziano archeologo fatto fuori, decapitato ed esposto alla pubblica gogna a Palmira nel 2015 per mano di quei buontemponi dell’ISIS.
Sul tema della tutela dei beni culturali in tempo di guerra si è discusso lungamente e si continua a discutere.
L’UNESCO è nata, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, con precisi scopi a tutela della vita e della civiltà democratica. Tutti i suoi atti dal 1945 in avanti contengono, a uno stadio germinale o in forme pienamente compiute, chiari indirizzi agli stati membri sulla tutela dei beni monumentali e delle opere d’arte in caso di conflitto armato (L’Aia 1954).
La tenuta delle Carte che da quel primo atto sono derivate al patrimonio mondiale è stata sempre precaria, in virtù dell’ipocrita adesione da parte di molti stati a vocazione guerrafondaia: quelli cattivi che la guerra la fanno e quelli buoni che la guerra la procacciano agli altri. Ad ogni buon conto, esse riguardavano le sole cose mobili e immobili, più di recente il patrimonio intangibile (Parigi 2003), ma mai le persone fisiche.
La morte di Khaled al-Asaad ha spostato l’asse semantico del meccanismo di tutela internazionale, significando soprattutto questo: la presa di una nuova coscienza internazionale, volta a considerare gli eroi che si immolano in difesa dei beni culturali e ambientali come nuovi oggetti di tutela.
La persona-memoria, la persona-memento, la persona-monumento.
Come in Fahrenheit 451 di Broadbury-Truffaut, l’eroe Kalhed al-Asaad, l’eroe Yuri Kerpatenko sono destinati a tramandare un sapere di valore inestimabile, il più alto dei saperi che corrisponde con i principi di giustizia e libertà che ispirano la fondazione dell’UNESCO.
Vladimir Putin carnefice, Benito Mussolini carnefice, Iosif Stalin carnefice, Adolf Hitler carnefice, Augusto Pinochet carnefice, Pol Pot carnefice, le Giunte militari sud americane carnefici, Francisco Franco carnefice, l’ISIS carnefice, tutti i dittatori, i despoti e i fanatici tra XX e XXI secolo saranno destinati alla fine ingloriosa che si riserva ai vinti solo se inizieremo a considerare gli eroi della salvaguardia di beni culturali come “monumenti” e la loro morte violenta per mano dei carnefici un crimine contro l’umanità.
Da tali presupposti, gente come Putin non solo non dovrebbe più avere legittimazione alcuna sul piano dei rapporti internazionali, ma andrebbe perseguito per legge e giudicato da un tribunale apposito.
Stabilito a priori questo ineludibile principio di legalità, sul Parnaso Apollo e Mnemosine torneranno a darci sempre nuove muse; siederanno ai loro piedi le figure allegoriche della Giustizia, della Fama e della Libertà; e tutti additando i martiri come Yuri Kerparenko a esempio per il futuro.
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Non si sceglie quale libertà ci piace
I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa
L’amicizia con Putin ribadita da Berlusconi e le sue parole ostili nei confronti di Zelensky ci ricordano che in Italia (non solo in Italia ma da noi in modo particolarmente esibito ed evidente) è dominante una concezione della libertà che la equipara a un salame: può essere tagliata a fette e ciascuno si prende la fetta che preferisce.
C’è chi apprezza e difende la libertà di impresa, la libertà economica, ma è tiepido, quando non del tutto indifferente, riguardo a certe libertà civili e politiche. Salvo dolersi, e rivendicare quelle libertà, se personalmente danneggiato dall’azione di qualche magistrato. E c’è, per contro, chi apprezza le libertà civili e politiche mentre, contemporaneamente, è ostile alla libertà economica. Ricordo una trasmissione televisiva di molti anni fa a cui partecipai insieme a Berlusconi. Putin aveva appena preso una decisione che smantellava un istituto importante della neonata democrazia russa: aveva ricentralizzato il potere sottraendo agli elettori il diritto di eleggere i governatori. La loro nomina tornava nelle mani del Cremlino. Osservai che si trattava di una mossa inquietante che sembrava annunciare una più generale svolta autoritaria. La replica di Berlusconi fu di tipo, possiamo dire, «efficientistico-manageriale»: disse che Putin gli aveva fatto vedere i curricula dei governatori nominati e che si trattava di persone preparate. Il conclamato liberalismo di Berlusconi non gli impediva di rimanere indifferente di fronte a un così palese indebolimento della sfera delle libertà politiche in Russia.
Quando Berlusconi entrò (fragorosamente) in politica e vinse le elezioni del 1994, non si limitò a fare nascere il centro-destra e a sconfiggere la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Sfidò anche le culture politiche che avevano dominato la Repubblica per oltre un quarantennio. Il messaggio politico era centrato sulla necessità di liberare mercato e imprese dai lacci e lacciuoli imposti dallo Stato. Era un messaggio ispirato al liberalismo economico (ciò che i suoi detrattori chiamano liberismo). Veniva infranto un tabù. Le culture politiche fino ad allora dominanti, animate da una parte ampia del mondo democristiano e dai comunisti erano sempre state diffidenti, quando non apertamente ostili, nei confronti delle imprese. Per quelle culture, mercato e imprese erano solo mali necessari. E comunque da tenere a bada, da controllare e da dominare. La rottura del tabù attirò, allora, intorno a Berlusconi, diverse personalità liberali (Giuliano Urbani, Antonio Martino, Lucio Colletti e molti altri). Persino Marco Pannella fece , nel ’94, un accordo elettorale con lui. Chi ritiene che gli odii che si guadagnò subito Berlusconi non abbiano nulla a che fare con il violento schiaffo che egli diede allora alla tradizione politico-culturale dominante in Italia, nega l’evidenza.
In seguito, nei successivi governi Berlusconi, restò la retorica della libertà di impresa e gli inni alle virtù del mercato, ma, nelle concrete politiche, il liberalismo economico delle origini si perse per strada.
Ritorniamo a ciò che Berlusconi ha detto di Zelensky. Si può esaltare la libertà (economica) e contemporaneamente manifestare ostilità per il leader di un popolo invaso che lotta per la propria libertà? Ebbene sì, si può, ma solo se si pensa che l’una libertà e l’altra siano cose totalmente distinte e, soprattutto, separabili.
Esistono ormai solide e abbondanti prove storiche che dimostrano che ciò non è vero. I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa. Anche se, in certe fasi storiche, il regime dispotico può scegliere di favorire la libertà economica (come in Cina dalle riforme Deng in poi) , si tratta solo di una parentesi destinata prima o poi a chiudersi. Come dimostra proprio il caso della Cina: il consolidamento del potere di Xi Jinping sta andando di pari passo con una nuova statalizzazione dell’economia cinese. Quando non è nutrita, alimentata e sostenuta dalla libertà politica e dalle altre libertà civili, l’esistenza della libertà di impresa resta in uno stato di precarietà, la sua sopravvivenza dipende dal capriccio del «principe». Dura fin quando il principe non cambia idea. Prima o poi è destinata a d eclissarsi.
C’è una contraddizione vistosa nel liberalismo monco di chi tiene separata la libertà economica (che apprezza) e le altre libertà verso cui è indifferente o, nella migliore delle ipotesi, più tiepido: o difendi tutto il «pacchetto» oppure, prima o poi, ti giocherai anche mercato e libertà di impresa.
Ma ciò che vale per Berlusconi vale anche, qui da noi, a parti rovesciate, per una parte ampia della sinistra: in questo caso, grandi inchini nei confronti delle libertà politiche e civili (salvo tacere di fronte a certe invasioni di campo di questo o quel magistrato), indifferenza, quando non aperta ostilità, nei confronti della libertà di impresa. Sul tema della concorrenza, ad esempio, non è vero che parti ampie della sinistra non condividano certe ostilità di principio di Lega e Fratelli d’Italia. Il fatto che il Pd non sia mai riuscito a diventare un autentico partito riformista dipende dal fatto che nel suo seno sono tuttora presenti e forti le correnti che diffidano del mercato e che accettano le imprese ma solo se tenute saldamente al guinzaglio. Sono le correnti che, almeno su un punto, non hanno mai davvero rotto con la tradizione comunista. Per la quale, come disse una volta Enrico Berlinguer, la proprietà privata (senza la quale non ci sono né libera impresa né mercato) è come il peccato originale per i cattolici. Plausibilmente, la più che probabile convergenza fra Pd e 5 Stelle rafforzerà quelle tendenze.
Ma vale anche in questo caso una regola: se resti indifferente agli ostacoli che incontra la libertà economica e se, magari, sei anche pronto ad aggiungerne altri, prima o poi, l’eccesso di invadenza dello Stato nella vita economica e sociale finirà per indebolire anche la sfera delle libertà civili e politiche.
Come scrisse Luigi Einaudi all’epoca della sua polemica con Benedetto Croce, la libertà è indivisibile: non puoi avere la libertà civile e politica se non hai anche la libertà economica. E viceversa. Non puoi avere la democrazia liberale se non hai anche il libero mercato. Ci sono troppi riscontri che ci obbligano a non avere dubbi:la libertà non è equiparabile a un salame.
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20º Congresso del Partito Comunista Cinese: la retorica di Xi su Taiwan deve preoccupare il mondo
Il Presidente Xi Jinping ha dato il via al Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), che traccia la sua traiettoria politica per i prossimi cinque anni e finalizza la sua futura leadership, con un discorso ai fedeli del Partito per quasi 1 ora e 45 minuti. Quest’anno, il conclave della leadership del PCC si trova […]
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Israele, Iran e la guerra metastatizzante in Ucraina
La notizia che l'Iran sia ora profondamente coinvolto nello sforzo bellico della Russia è rimbalzata in profondità nel Medio Oriente, sollevando difficili interrogativi per uno Stato in particolare: Israele. Gerusalemme sta chiaramente compiendo un passo cauto verso un maggiore coinvolgimento nel conflitto
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Gran Bretagna: quell’instabilità che preoccupa gli alleati
Le dimissioni di Liz Truss dopo poco più di quaranta giorni di governo chiudono la parentesi del più breve e – forse – del più travagliato fra i gabinetti britannici. Scelta dal Partito conservatore come successore di Boris Johnson, Truss, che di Johnson era stata ministro degli Esteri, con a sua fama di ‘falco della Brexit’, […]
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Alla partenza
Giorgia Meloni si appresta ricevere l’incarico per formare il governo. Il percorso dell’esecutivo, però, si annuncia piuttosto accidentato…
Fra qualche ora l’Onorevole Giorgia Meloni riceverà l’incarico per formare il governo e, credo, a stretto giro porterà al Presidente della Repubblica una proposta per i nomi che costituiranno il prossimo esecutivo. Gli ultimi tentativi di indebolirla o addirittura di fermarla, in realtà, non si devono alle diverse opposizioni, ma ad esponenti della sua maggioranza, ossia della coalizione con la quale ha vinto le elezioni.
Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni sono i trionfatori delle elezioni dello scorso 25 settembre, ma senza la coalizione di centrodestra non ha i voti parlamentari per governare da sola. E il centrodestra, nel suo insieme, i voti non li ha guadagnati, li ha persi.
In particolare, poi, la straordinaria vittoria di Fratelli d’Italia ha ridotto gli altri due partner, che, sommati assieme, non raggiungono neanche alla lontana il risultato di Fratelli d’Italia. Queste sono le ragioni della tensione.
Non credo affatto che in questi giorni abbiamo assistito ad un Silvio Berlusconi che avesse, in qualche modo, perso il controllo della favella. Non ci credo per niente. Lo ha fatto scientemente, per indebolire la Meloni e per far capire che, almeno per quello che lo riguarda, il percorso del governo non sarà un percorso sereno e tranquillo, ma alquanto accidentato.
L’effetto che ha ottenuto nell’immediato credo che sia più o meno opposto a quello che pensava. Perché sul tema della politica estera e sul tema dell’appartenenza all’Unione Europea – a questa Unione Europea, con queste regole – la storia di Fratelli d’Italia e anche quella personale di Giorgia Meloni non sono delle più rassicuranti.
La questione relativa all’Ucraina ha chiuso molte piaghe, perché loro sono stati lealissimi nei confronti della posizione del Governo e dell’Occidente. Però ci poteva stare la pretesa di Forza Italia e di Silvio Berlusconi di dire: “Facciamo noi i garanti della posizione europeista e atlantista del governo Meloni”.
Ecco, è riuscito ad ottenere l’esatto contrario. Forse toccherà a Meloni fare da garante per la posizione europeista di Berlusconi. È inutile che Berlusconi dica che la sua storia personale parla per lui. C’è una guerra ai confini dell’Europa. Ricordiamo che la guerra è al confine con la Polonia, quindi al confine con l’Unione Europea. Lui sul continente europeo, con determinate esternazioni, rappresenta le ragioni del nemico. Quindi la posizione di Berlusconi è semplicemente inqualificabile e inascoltabile.
Pertanto, toccherà alla Meloni fare da garante. Detto ciò, il governo partirà. Vedremo la squadra come sarà composta. Mai avere preconcetti, ma attendere i fatti e commentare quelli.
Ad ogni modo, non c’è solamente la politica estera, sebbene rilevantissima. Esistono anche le questioni economiche: gli ultimi due trimestri di quest’anno sono in recessione tecnica. Dobbiamo ancora vedere come si concluderà l’ultimo trimestre, ma, insomma, questa è l’aria, anche se non è niente di drammatico.
Per l’anno prossimo è comunque prevista una crescita minima, tra lo 0,3 e lo 0,6, a seconda delle diverse previsioni. Il rallentamento è evidente. Al tempo stesso, però, c’è la grande disponibilità dei fondi europei legati al PNRR, che sono per il governo un’opportunità.
Su quella roba lì il governo dovrà navigare e dimostrare di tenere ferma la barra nell’esecuzione delle cose che l’Italia si è impegnata a fare: ossia investimenti e riforme. Sulle riforme non dimentichiamoci che il lavoro del Parlamento è importante. E su quello dovrà raccogliere i voti per andare avanti. Quello che abbiamo visto nelle ore precedenti, lascia intendere che quest’ultimo aspetto non è il caso di darlo per scontato.
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Cina: il problema dell’economia si chiama Xi
Il rapporto di Xi Jinping con il settore privato, la sua filosofia in riferimento all'economia generata dai privati è alla base della crisi che sta colpendo l''economia cinese
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Regno Unito: dopo dimissioni Truss, solo elezioni!
Quindi è finita, allora. A soli 44 giorni dal suo insediamento, e con undici di quei giorni dedicati agli ormai quasi dimenticati riti funebri per la regina Elisabetta II, Liz Truss si è dimessa da Primo Ministro, dopo aver fatto crollare l’economia e svelato, inavvertitamente, come il Partito Conservatore del 2022 è in agonia, soccombendo […]
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14 milioni di anziani e la sfida dello ‘svecchiamento’
Una ricerca semantica sul ‘come sono chiamate o denominate le persone sopra i 65 anni’ ci porta ad una varietà di nomi: anziani, silver, senior, silent generation, greatest generation, terza età, older person e ‘chi più ne ha più ne metta’. Tutte hanno la caratteristica di voler affrancarsi dallo stigma della vecchiaia. Tralascio il dibattito sul […]
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Russia: potenza aerea svanita o sopravvalutata?
Le forze aerospaziali russe (VKS) non sono state in grado di dimostrare la loro potenza. Le cause principali sono i problemi strutturali e le sfide che il VKS ha affrontato per anni
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Borsa: canapa, chiusura negativa per Canada e positiva per gli USA
Le due principali piazze borsistiche mondiali nel settore della produzione, trattamento e commercializzazione della canapa, ovvero Canada e USA, questa settimana chiudono con valori esattamente opposti rispetto alla chiusura della settimana precedente, infatti, la Borsa canadese chiude in rosso mentre quella americana chiude in positivo, proprio con valori inter-scambiati, rispetto alla settimana scorsa. Tutto ciò […]
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Liz Truss la lattuga, e chi verrà
Dopo le dimissioni della premier, la leadership dei conservatori è in un vicolo cieco: per stabilizzare la situazione finanziaria si dovrebbe far largo a un centrista. Ma emarginare i membri più duri del partito potrebbe provocare un contraccolpo che paralizza i conservatori
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Australia: parte la sperimentazione sulla cannabis medica per i bambini
Uno studio pilota sull’uso della cannabis terapeutica in bambini e adolescenti sottoposti a cure palliative per patologie non cancerose prenderà il via quest’anno in Australia.Lo studio coinvolge 10 partecipanti di età compresa tra i sei mesi e i 21 anni che ricevono cure nell’ambito del Victorian Paediatric Palliative Care Program e che presentano sintomi che […]
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#PNRRIstruzione, quanto ne sai?
Oggi nella rubrica del venerdì, approfondiamo insieme la linea d’investimento del #PNRR per il potenziamento degli spazi per le mense.
Qui tutte le informazioni ▶️ pnrr.istruzione.it/infrastrutt…
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Investitura
S’approssima l’investitura
S’approssima l’investitura. Una volta ricevuto il mandato presidenziale i tempi si faranno veloci. Vedremo presto la composizione del nuovo governo, sapremo quale via l’onorevole Meloni avrà deciso d’imboccare. Una cosa la sappiamo già: Silvio Berlusconi andò per indebolire ed è stato demolito.
L’ha anche favorita: la destra non ha una buona tradizione europeista e anche nell’atlantismo vedeva l’opposto del nazionalismo, sicché poteva anche starci che taluno si proponesse di fare da garante della nostra collocazione internazionale, ma – a parte che l’aggressione russa all’Ucraina, complice la netta posizione polacca, aveva indotto la destra a plaudire l’europeismo atlantista del governo Draghi – le sparate di Berlusconi hanno reso possibili queste parole di Meloni: «L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica».
Semmai è Meloni che potrà garantire per Berlusconi, che le ha fatto un gran favore. Molti sono sinceramente convinti che Meloni abbia ricevuto dagli elettori il mandato a governare e che sia stata premiata per la sua coerenza. Le cose stanno in modo diverso, il che è rilevante per provare a intravedere il futuro, non per rimestare il passato. La coalizione di destra ha incassato la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta degli eletti.
Secondo le cose che essi stessi dissero (chi prenderà più vo-ti sarà il capo), il mandato a governare lo ha ricevuto una coalizione nella quale Meloni ha avuto il mandato a guidarla. Purtroppo, però, la coalizione era falsa, era un cartello elettorale e questo crea e creerà problemi. La coerenza è certificata dall’essere stata costantemente all’opposizione, per tutta la scorsa legislatura, mentre in passato non solo è stata in partiti che si candidarono in coalizioni (altrettanto false) che poi provvidero a distruggere, ma fu anche ministro.
E se anche restiamo alla sola scorsa legislatura, non è confutabile che sia stata costantemente alleata con chi si trovava al governo: prima alleata della Lega, stando all’opposizione con Forza Italia, poi alleata di Lega e Forza Italia, stando all’opposizione degli altri due. Variopinta, come coerenza. Le alleanze, si dice, sono solo il frutto di questo (anche del precedente e di quello prima ancora, tutte furbate mal riuscite) sistema elettorale.
Vero, ma allora coerenza vorrebbe che lo si cambiasse. In fretta, che non si sa mai e visto che già esponenti di Fratelli d’Italia hanno evocato possibili elezioni anticipate. La storia d’Italia e le origini della destra, in era repubblicana, inducono a chiedere di fare i conti con il passato fascista. Son conti seri, ma anche in questo caso le parole di Meloni sono state nette il 16 ottobre, ricorrenza del rastrellamento degli ebrei romani (1943).
Una volta al governo i conti andranno fatti con il passato assai più recente, con l’antieuropeismo mascherato da comunitarismo di nazionalismi, con la demonizzazione dei mercati, con il dileggio dei vincoli di bilancio e degli impegni sottoscritti dall’Italia. Meloni ha già iniziato questo cammino, ma le parole attendono i fatti. E non sarà facile.
Questa, comunque, è la sfida che farà la differenza fra una fiammata (in tutti i sensi) demagogica – con il solito premio a chi critica e si oppone – e una diversa pagina della nostra storia democratica. Pagina che sarà aperta ove Meloni si dimostri in grado di interpretare il ruolo della destra di governo in un Paese che ovviamente resta democratico, ma non meno fermamente nell’Unione europea (si chiama così) e nella comunità atlantica.
Per riuscirci dovrà scegliere se prediligere l’essere federatrice delle destre, come fece Berlusconi, o iniziatrice di una nuova stagione, che dismesse le dighe ideologiche non ha timori nell’affrontare le diversità programmatiche e ideali. Prosaicamente si tratta di vedere se cercherà i voti di maggioranza nell’ombra parlamentare o proverà a rivolgersi alla maggioranza degli italiani in piena luce. La scalata è compiuta, inizia la salita.
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Venezuela: il crepuscolo della massima pressione
Gli oppositori del Presidente Nicolas Maduro hanno ridimensionato le proprie tattiche di confronto. Gli USA hanno rallentato le fallite tattiche economiche e politiche di 'massima pressione' e stanno lavorando con il governo di Maduro e con l'opposizione riunita nel cartello Piattaforma Unitaria
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La peggior guerra del mondo che non stai guardando è in Etiopia
Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla guerra in Ucraina e sul fatto che Vladimir Putin sia abbastanza folle da usare armi nucleari, un’altra guerra imperversa per lo più invisibile a circa 3.000 miglia di distanza in Etiopia.
La guerra è incentrata nella regione settentrionale del Tigray, dove un conflitto politico di lunga data tra il governo etiope e il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) è diventato violento nel 2020. La regione è stata per la maggior parte del tempo sotto un blocco quasi totale da allora, tagliato fuori dagli aiuti umanitari, dall’elettricità, dalle telecomunicazioni e dalle banche, lasciando 5,3 milioni di civili in gravi difficoltà. La rinnovata offensiva del governo etiope ha ulteriormente intensificato la crisi.
È difficile stimare con precisione i morti mentre la guerra continua, ma le migliori stime disponibili suggeriscono che almeno mezzo milione di persone sono morte finora per violenza diretta, fame e mancanza di accesso all’assistenza sanitaria. La fame sembra essere una caratteristica piuttosto che un bug nel piano di battaglia del governo. Stime più recenti suggeriscono che questo numero sia morto solo in combattimento , portando forse le morti complessive più vicino a un milione.
Per dirla in prospettiva, le Nazioni Unite stimano che finora in Ucraina siano stati uccisi circa 6.000 civili e le stime indicano decine di migliaia di morti militari. Anche se queste stime sono basse, i migliori numeri disponibili suggeriscono che la scala dei decessi in Etiopia supera di molte volte quella in Ucraina. Eppure l’Etiopia ha ricevuto una piccola parte dell’attenzione, sia dai politici che dai media.
Gli Stati Uniti e altri devono adottare un approccio più diretto prima che si realizzino le peggiori paure del popolo tigrino.
Questi timori includono un genocidio del popolo del Tigray. In risposta all’ultima offensiva, le Nazioni Unite, l’Unione Africana, gli Stati Uniti e altri paesi hanno chiesto a tutte le parti di cessare le ostilità. Ma gli appelli generici affinché tutti smettano di combattere e il silenzio diplomatico dietro le quinte che è stato l’approccio preferito finora sono una risposta tristemente inadeguata .
Le autorità del Tigrino hanno indicato che avrebbero rispettato un cessate il fuoco, ma i funzionari del governo etiope hanno invece raddoppiato le proprie forze per criticare i “mali” del suo nemico. Nel frattempo, secondo quanto riferito, il governo etiope ha lanciato volantini in Tigray affermando che chiunque fosse rimasto indietro sarebbe considerato un combattente, sollevando chiare preoccupazioni sul fatto che tutti i tigriani, un gruppo etnico distinto, sarebbero stati presi di mira in un assalto.
Fonti dell’area affermano che le forze etiopi ed eritree (i loro alleati) sono state incaricate di uccidere tre tigriani ciascuna, inclusi anziani e bambini, e che gli arti e i teschi delle vittime sono in mostra.
Queste storie non sono verificate data la mancanza di accesso umanitario e mediatico alla regione. Ma dato il linguaggio e le azioni dell’Etiopia finora, insieme al bilancio delle vittime e alle atrocità già commesse, ci sono poche ragioni per non prenderle sul serio.
Il ruolo dell’Eritrea ha complicato anche gli sforzi per raggiungere una pace, poiché pochi paesi hanno una leva per influenzare le sue azioni e il TPLF è il suo nemico giurato. Non vi è alcuna garanzia che l’Eritrea smetterà di combattere anche se il governo etiope si presenta al tavolo.
Sebbene sia vero che tutte le parti hanno commesso abusi, la portata è difficilmente paragonabile, con l’Etiopia e l’Eritrea che hanno commesso la parte del leone della violenza sfrenata e del danno contro i civili durante il conflitto. Quando una parte ha questo livello di responsabilità per il conflitto e la sofferenza continui, coloro che esercitano un’influenza devono parlare chiaramente e direttamente contro di essa.
In questa fase, la pace sembra un tiro lungo, ma ciò non giustifica gli sforzi inadeguati finora compiuti.
Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite sono spesso restii a invitare alla critica chiamando in causa direttamente i governi in gioco per atti violenti contro il proprio popolo quando quegli stessi governi sono amici e partner, come lo è l’Etiopia.
Probabilmente non porrà fine alla guerra, ma questa è una scusa debole per non sforzarsi di più. Il popolo innocente del Tigray merita riconoscimento e c’è la possibilità che tale pressione internazionale, in combinazione con scelte politiche che riducono il sostegno dell’Etiopia, attraverso istituzioni internazionali e singoli paesi allo stesso modo, possa influenzare il percorso scelto dal primo ministro Abiy Ahmed.
Chiamare le atrocità per quello che sono farebbe almeno allarmare l’Etiopia e l’Eritrea che il mondo sta guardando, e alla fine il lungo braccio della giustizia internazionale potrebbe prevalere. Dopotutto, i criminali in Ruanda, nell’ex Jugoslavia e in Sierra Leone, solo per citarne alcuni, hanno dovuto affrontare la giustizia.
Dopotutto, i criminali in Ruanda, nell’ex Jugoslavia e in Sierra Leone, solo per citarne alcuni, hanno dovuto affrontare la giustizia.
Dobbiamo smettere di rifuggire da conversazioni scomode quando sono in gioco così tante vite. Se la leva USA è inadeguata, dovremmo esercitare pressioni sui paesi che armano e sostengono l’Etiopia e l’Eritrea, e le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale che tengono a galla il paese mentre la sua economia vacilla.
Il tempo della diplomazia tranquilla è finito. Il tempo dell’allarme è passato da tempo. Facendo eco a ciò che abbiamo sentito ripetutamente sulla difficile situazione dell’Ucraina: se l’Etiopia smette di combattere, la guerra finisce, ma se il Tigray smette di combattere, in assenza di un controllo internazionale e di un processo di pace inclusivo, il popolo impoverito del Tigray potrebbe invece finire.
se l’Etiopia smette di combattere, la guerra finisce, ma se il Tigray smette di combattere, in assenza di un controllo internazionale e di un processo di pace inclusivo, il popolo impoverito del Tigray potrebbe invece finire.
Autore: Elizabeth Shackelford è una ricercatrice senior sulla politica estera degli Stati Uniti presso il Chicago Council on Global Affairs. In precedenza era una diplomatica statunitense ed è l’autrice di “The Dissent Channel: American Diplomacy in a Dihonest Age”.
FONTE: chicagotribune.com/opinion/com…
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LibSpace con Oscar Giannino
L’ultima cosa di cui Haiti ha bisogno è un intervento militare straniero
L’amministrazione Biden sta dando il suo sostegno dietro una spinta fuorviante per un intervento internazionale ad Haiti. Gli Stati Uniti hanno redatto una proposta di risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede l’invio di una forza multinazionale armata nel paese caraibico sull’espressa opposizione della maggior parte degli haitiani e della maggior parte […]
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Conquistare la pace attraverso il progresso democratico nell’Ucraina del dopoguerra
L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, punteggiata di recente da avanzamenti ucraini e attacchi di droni russi contro civili e infrastrutture civili ben oltre la linea del fronte, non è solo un assalto criminale contro un Paese sovrano, ma contro la democrazia ovunque. L’Ucraina purtroppo non è estranea all’aggressione e all’occupazione russa, […]
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NOBEL 2022: Annie Ernaux, i Palestinesi, l’Egitto
Della Redazione
(foto da wikipedia.commons)
Pagine Esteri, 21 ottobre 2022 – In un mondo dominato dall’ideologia del libero mercato, che negli ultimi trent’anni ha ammaliato anche parte della sinistra e ha rafforzato le destre, l’esercizio del diritto alla libertà d’espressione per contrastare ogni forma di oppressione è sempre più difficoltoso, perfino nelle “democrazie” occidentali.
Il problema è emerso anche il 6 ottobre 2022, quando è stato annunciato che il Premio Nobel per la Letteratura era stato assegnato ad Annie Ernaux “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Così recita la motivazione comunicata dall’Accademia di Svezia nell’annunciare la premiazione conferita alla scrittrice francese, nata nel 1940 in un villaggio della Normandia e che sin dal romanzo d’esordio, “Gli armadi vuoti”, del 1974, ha voluto abbinare la scrittura autobiografica alla sociologia, creando una auto-socio-biografia come lei stessa l’ha definita.
Ernaux, femminista di sinistra, è una sostenitrice del movimento Bds che chiede il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele perché nega i diritti del popolo palestinese. Appena si è saputo che Ernaux aveva vinto il Nobel non pochi media, non solo in Israele, hanno reagito cercando di dare una immagine negativa della scrittrice francese. In particolare, è stata attaccata per avere firmato insieme a circa 100 personalità del mondo della cultura due documenti: nel 2018, una petizione che invitava a boicottare la stagione culturale franco-israeliana, descritta nel testo come un mezzo per “ripulire” l’immagine di Israele; e, nel 2019, una lettera che chiedeva a France Télévisions di non trasmettere l’Eurovision Song Contest in programma a Tel Aviv. Il motivo di questa richiesta, spiegavano i firmatari della lettera, stava nel fatto che era stato organizzato in un quartiere di Tel Aviv sorto sulle macerie di Sheikh Muwannis, uno dei numerosi villaggi arabi che nel 1948 furono distrutti dalle forze militare del nascente Stato di Israele durante le fasi che portarono all’espulsione o alla fuga dalla loro terra di centinaia di migliaia di palestinesi. A ricordarlo peraltro era stata proprio una associazione pacifista israeliana Zochrot (Ricordarsi/Memorie), nata per diffondere la conoscenza della Nakba (Catastrofe) tra gli ebrei d’Israele e difendere i diritti umani dei palestinesi, incluso il diritto al ritorno dei profughi del 1948. È una posizione politica espressa sempre più ovunque nel mondo da persone di origine ebraica il cui coraggioso pacifismo è sempre più spesso oscurato dai media mainstream internazionali.
Annie Ernaux
Commenti entusiasti alla premiazione di Ernaux sono invece comparsi nel sito di Association France Palestine Solidarité e in svariati media arabi. Il 7 ottobre 2022, il quotidiano panarabo al-Quds al-‘Arabī, basato a Londra, ha ricordato le due suddette petizioni firmate dalla scrittrice francese a favore del popolo della Palestina. Nello stesso articolo sono poi state indicate le tappe principali della carriera di Ernaux. In seguito, questo modello è stato replicato e ampliato da altri media arabi. Il Nobel conferito a Ernaux è stato commentato soprattutto negli ambienti letterari egiziani, per più motivi che legano il passato al presente. In Egitto, fu realizzata e pubblicata, nel 1994, la prima traduzione araba di un testo della scrittrice francese. Due figure prestigiose del mondo accademico egiziano scomparse non da molto, Amina Rachid (1938-2021) e Sayyid al-Bahrawi (1953-2018), tradussero allora il quarto romanzo dell’autrice, Il posto (1983) per la casa editrice Dār Sharqiyyāt del Cairo. Questo intreccio di ricordi è solo una delle ragioni per cui, il 9 ottobre 2022, il settimanale Akhbār al-Adab (Le notizie della letteratura) ha pubblicato un numero speciale per celebrare subito il Nobel conferito a Ernaux. Gli articoli inclusi nel dossier spiegano l’originalità della produzione letteraria della scrittrice francese, creatrice di un autobiografismo in grado di veicolare un messaggio universale.
Tutto ciò ricorda inevitabilmente quanto avvenne nell’ottobre 1988, quando il Nobel per la Letteratura fu assegnato a Nagib Mahfuz (1911-2006), con questa motivazione: “perché attraverso opere ricche di sfumature – ora chiaramente realistiche, ora ambiguamente evocative – ha creato un’arte narrativa araba che può applicarsi a tutta l’umanità”. Il primo novembre dello stesso anno, il mensile cairota al-Hilāl (La mezzaluna) pubblicò un numero speciale dedicato allo scrittore egiziano. Il dossier uscì con il titolo “Congratulazioni” seguito dal sottotitolo: “Nagib Mahfuz, primo arabo a vincere il Premio Nobel per la Letteratura”. E va aggiunto che è ancora l’unico autore arabo ad avere ottenuto il più prestigioso riconoscimento letterario internazionale che, però, sembra un monopolio dell’Occidente.
Mahfuz stesso si definì come “l’uomo venuto dal Terzo Mondo” nel suo discorso per la cerimonia di conferimento del Nobel. Nel 1988, alle donne e agli uomini presenti all’Accademia di Svezia, il letterato egiziano lanciò questo appello: “Salvate le persone ridotte in schiavitù in Sudafrica! Salvate gli affamati in Africa! Salvate i palestinesi dai proiettili e dalle torture! O meglio, salvate gli israeliani dal profanare la loro grande eredità spirituale! Salvate chi ha debiti dalle rigide leggi dell’economia! Attirate l’attenzione dei leader responsabili sul fatto che la loro responsabilità verso l’Umanità deve precedere il loro impegno nel seguire le leggi di una scienza che il Tempo ha forse superato”.
In un articolo incluso nel summenzionato dossier 2022 di Akhbār al-adab, Walid El Khachab ricorda che Annie Ernaux e Amina Rachid si conoscevano personalmente. Erano diventate amiche in Francia negli anni ’70, poiché entrambe credevano nelle idee della sinistra e lottavano per portarle avanti, “difendendo sia le classi popolari sia i diritti del popolo palestinese”. Rachid si interessò del quarto romanzo di Ernaux, “Il posto”, forse perché è il primo in cui l’autrice, figlia di operai divenuti piccoli commercianti, “esprime chiaramente la propria coscienza di classe”, rivelando il suo senso di colpa per avere abbandonato l’ambiente in cui era nata e cresciuta, dacché si era abituata a una tipica vita borghese. Rachid stessa certamente apprezzò le qualità estetiche della letteratura di sinistra, rivoluzionaria ma non missionaria, e della scrittura femminile e autobiografica, presenti nel testo, quindi decise di tradurlo in arabo circa un decennio dopo la sua pubblicazione in francese.
El Khachab incontrò Ernaux al Cairo proprio negli anni ‘90, quando in Egitto comparve sulla scena letteraria una nuova generazione avanguardistica, predominata da scrittrici in termini sia numerici sia qualitativi. Una delle più celebri è Mayy Telmissany (n. 1965), che ha raccontato il sé in molte opere di successo, come il romanzo Dunyazad, del 1997 (Ev Casa Editrice, 2010). Non a caso, nel suo articolo per Akhbār al-adab, la stessa scrittrice e accademica egiziana definisce il Nobel vinto da Annie Ernaux come “il trionfo dell’autobiografismo”. La premiazione dell’arte narrativa dell’autrice francese è l’emancipazione della scrittura autobiografica dalla posizione marginale in cui tradizionalmente i critici la collocano all’interno del campo letterario canonico. Una marginalizzazione paradossale, se si considera il prestigio di cui gode Proust per “La ricerca del tempo perduto”, un vero monumento dell’autobiografismo. Secondo Telmissany, le tecniche narrative usate in questo capolavoro sono simili a quelle impiegate da Ernaux per raccontare una storia d’amore con un amante russo, in Passione semplice, del 1992, un testo privo di giudizi morali e pieno di ironia. Della scrittrice francese sono state finora tradotte in arabo sette romanzi, tra cui L’evento (2000), incentrato sul problema dell’aborto clandestino e il cui adattamento, “La scelta di Anne-L’Événement”, ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021.
Ernaux si ispira al sé, alle proprie esperienze e a quelle della sua famiglia, per dire la verità anche quando è scomoda, racconta storie di vita in cui numerose persone possono riconoscersi, usa parole semplici creando testi caratterizzati dall’assenza di riferimenti ideologici espliciti. Queste caratteristiche si trovano anche in molte opere della narrativa emersa in Egitto negli anni ’90, una scrittura nata dal rifiuto delle “grandi” narrazioni della “nazione” e dalla volontà di concentrarsi sull’individuo, sulla psicologia e sul corpo, per sovvertire i valori etici e politici oppressivi predominanti nella società egiziana e non solo, e di proiettarsi nel mondo globalizzato secondo una visione transculturale.
D’altra parte, Telmissany ricorda che Ernaux è erede della letteratura della resistenza e della letteratura impegnata teorizzata da Sartre. Sin dagli anni ’70, la scrittrice ha portato avanti il proprio impegno tanto nell’arte verbale, sperimentando varie forme di scrittura autobiografica, come il diario, quanto nella vita, “assumendo posizioni politiche coraggiose, come la difesa della causa palestinese”. Ernaux si chiede sempre “chi sono io?”, per approfondire la conoscenza di se stessa e del suo rapporto con la società. È importante, sottolinea Telmissany, chiedersi “chi sono io nel mondo?”, è indizio dell’onestà necessaria per immergersi nella “ricerca di una risposta a questa domanda, che è di sinistra nella sua essenza, perché riguarda i diritti umani e le libertà”. Pagine Esteri
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AFRICA. Gambia, sciroppo uccide 69 bambini. Sotto accusa una azienda indiana
Di Alessandra Mincone*
La notizia che nelle ultime settimane ha scosso il Gambia riguarda il decesso di 69 bambini inferiori a cinque anni, tutti morti tra luglio e settembre, ognuno dopo aver ingerito uno sciroppo per la tosse presumibilmente nocivo. Il 5 ottobre, l’Organizzazione mondiale della sanità emetteva un allarme a carattere mondiale riguardo quattro tipi di soluzioni orali prodotti da una azienda indiana, la Maiden Pharmaceuticals Limited, obbligando il ritiro dal mercato dei prodotti Promethazine oral solution, Kofexmalin baby cough syrup, Makoff baby cough syrup e Magrip n’ cold syrup.
Più che comprensibile è il senso di sconforto di alcuni genitori che tramite i microfoni della BBC chiedono “giustizia”, e denunciano da un lato l’inefficienza del servizio sanitario nazionale del Gambia, che non ha saputo diagnosticare in tempo le lesioni renali acute che hanno portato i bambini ad aggravarsi rapidamente fino alla morte, dall’altro la negligenza delle autorità, responsabili del controllo delle licenze per le importazioni. Gli stessi medicinali in India non sono mai stati distribuiti, in assenza delle autorizzazioni necessarie da parte delle autorità statali per la commercializzazione.
Secondo il rapporto dell’Oms di fine settembre, i quattro prodotti della Maiden Pharma presentano delle tracce sopra elevate di due sostanze chimiche, il glicole dietilenico e il glicole etilenico. Quest’ultimo viene trasformata in sostanza anti gelo ed è utilizzata nel settore automobilistico per proteggere i motori delle vetture, o per lo sghiacciamento delle piste di atterraggio e per rimuovere i residui di ghiaccio sugli aerei in volo. Il glicole etilenico ha un aspetto sciropposo mentre quello dietilenico racchiude un sapore dolciastro, essi si collegano alla struttura chimica del glicole propilenico, ossia la sostanza principale che funge da veicolo per la produzione degli sciroppi di paracetamolo pediatrici. Se le prime due sostanze non sono correttamente bilanciate in un prodotto farmaceutico, il glicole etilenico può sprigionare i suoi principi tossici subito dopo esser stato ingerito, causando disidratazione, ipersalivazione, tachipnea, ulcera orale, vomito, diarrea, dolori addominali, danni renali e impossibilità di urinare, fino a destabilizzare le capacità mentali o scatenare convulsioni. Tutti questi sintomi possono rapidamente provocare un coma da avvelenamento difficile da diagnosticare.
foto di Lovelyn Obiako
Subhash Mandal, dell’Associazione farmaceutica indiana, ha dichiarato alla stampa che non è prudente, per ora, muovere delle accuse così esplicite ad una azienda che giura di utilizzare materie prime comprate da multinazionali affidabili e rinomate, considerando che ci sono delle indagini in corso, e che anche le istituzioni globali dovranno effettuare dei test su campione per comprovare le incidenze di mortalità con la contaminazione degli sciroppi ingeriti dai bambini gambiani. Ma in una nota indirizzata alla stampa indiana, si legge affermare lo stesso rappresentante dell’Associazione che non ci sarebbero abbastanza ispettori qualificati al controllo a fronte di una industria così vasta come quella farmaceutica in India, né si conta un numero adeguato di laboratori dove effettuare i test per la sicurezza e la somministrazione dei medicinali.
Nel frattempo, le autorità governative centrali indiane hanno sospeso le attività dell’azienda farmaceutica che esportava, esclusivamente in Gambia, i quattro medicinali. In una dichiarazione del ministro dell’Interno dell’Haryana, Stato federale dove ha sede la Maiden Pharma, si scopre che l’azienda è stata ispezionata quattro volte nell’ultimo mese, e aveva violato almeno 12 protocolli di sicurezza emanati dal governo. Neanche dopo le attenzioni dell’Oms, la Maiden Pharma ha colto l’occasione di fornire garanzie che non siano state di carattere prettamente burocratico per la commercializzazione dei medicinali.
Tra le cause che indeboliscono le strutture a cui fanno capo gli addetti alla responsabilità, vi sarebbe l’accesso strumentale delle aziende ai cosiddetti standard flessibili, ossia standard di qualità dei prodotti farmaceutici “al ribasso” in alcuni Stati a dispetto di altri, dove le aziende sono maggiormente favorite a investire, poiché non devono rispondere a un dettato morale nel campo del diritto alla salute, ma si limitano a presentarsi come aziende regolari agli occhi delle istituzioni e ai loro competitor e agli uffici del ministero della salute centrale.
Per ricostruire la logica secondo cui agiva la Maiden Pharma, tra l’altro già declassata nel 2011 come una delle aziende produttrici di farmaci scadenti a detta persino dell’autorità suprema indiana, bisogna necessariamente passare al vaglio dei profitti dell’industria farmaceutica indiana.
foto di Fidelis Manyange
Come rivela un articolo di Alessandra De Poli pubblicato su AsiaNews, l’India produce da sola un terzo dei farmaci che vengono distribuiti sul mercato mondiale. Attraverso una normativa emanata dal governo negli anni ’70, la Patents Act, le aziende farmaceutiche indiane hanno avuto l’opportunità di fabbricare prodotti equivalenti di altri farmaci già in uso e brevettati ma senza pagare i proprietari dei brevetti originari. Grazie alla manovra, negli anni ’90 l’India si posizionava fra le nazioni più promettenti del mondo nella crescita delle esportazioni di materiali farmaceutici e vaccini. Basti pensare che nel 2021 il mercato dei medicinali indiani registrava un aumento dei profitti superiore al 17%, grazie all’esportazione di più di 200 milioni di dosi di vaccino anti-covid in almeno un centinaio di paesi.
Il terreno commerciale preferito dall’industria fra le più redditizie dell’India sembra essere il continente africano. Non solo vaccini ma soprattutto farmaci antiretrovirali per prevenire l’Hiv, arrivano in Africa grazie all’industria farmaceutica indiana, e con un abbattimento dei costi pari al 99% del prezzo totale. Non si può non evidenziare che è proprio il basso costo dei prodotti a convincere i paesi tra i più poveri al mondo a rivolgere quasi il 50% della spesa complessiva per le importazioni di cure mediche alle incontrollabili case farmaceutiche dell’India, come riporta anche Pharmexcil, l’agenzia ufficiale per le esportazioni dei farmaci indiani.
Le parole di una madre in lutto, al contrario dei commercianti chiamato in causa non attendono alcuna sentenza della magistratura: “consumare il cibo, l’acqua, e persino i medicinali in Gambia ormai ci sembra una missione suicida, ci stanno lentamente uccidendo”. Ad oggi sembra che gli unici a pagare un prezzo altissimo per i medicinali siano stati i 69 bambini a cui nessuna autorità, né indiana né gambiana, ha saputo garantire il diritto alla salute e alle cure mediche. Pagine Esteri
*Giornalista e fotografa freelance
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Al via l’aggiornamento del Piano Nazionale Scuola Digitale. Ieri l'annuncio in occasione dell'inaugurazione di Fiera Didacta in Sicilia.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
L’autorità francese per la protezione dei dati, la Commission nationale de l’informatique et des libertés, ha deciso una sanzione di 20milioni di euro a Clearview AI rilevando violazioni del regolamento generale dell’UE sulla protezione dei dati. La CNIL ha avviato un’indagine su un reclamo riguardante il database di riconoscimento facciale di Clearview e le pratiche di elaborazione dei dati nel maggio 2021. L’autorità di regolamentazione ha emesso un avviso formale per porre rimedio a presunte violazioni nel novembre 2021 cui Clearview non ha risposto. Con la sanzione, la #CNIL ha anche ordinato a #Clearview di interrompere le attività di trattamento e di cancellare i dati precedentemente raccolti associati a violazioni del #GDPR.
cnil.fr/en/facial-recognition-…
(segnalato nella newsletter di Guido #Scorza)
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