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Etiopia, le Forze del Tigray si ritirano, gli Eritrei continuano con Crimini e Violenze


L’OMS venerdì 2 dicembre ha dichiarato che non ha ancora pieno accesso a tutte le aree in Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etiopia. Mike Ryan, il…

L’OMS venerdì 2 dicembre ha dichiarato che non ha ancora pieno accesso a tutte le aree in Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etiopia.

Mike Ryan, il direttore delle emergenze dell’OMS in conferenza stampa ha dichiarato:

“Quel processo di pace non ha ancora portato al tipo di pieno accesso, accesso illimitato e alla massiccia assistenza medica e sanitaria di cui la gente del Tigray ha bisogno”


Si aggiungono le dichiarazioni anche del Dr. Kibrom, direttore esecutivo dell’ Ayder Hospital di Mekelle:

“Anche noi dell’ Ayder Hospital stiamo ancora aspettando. Ringraziamo ICRC Ethiopia (un partner vero e affidabile) per aver trasportato i nostri materiali per la dialisi e l’insulina da Addis a #Mekelle.”


Mike Ryan ha aggiunto che ci sono stati problemi nell’ovest del Tigray nelle aree sotto il controllo delle milizie e in altre aree controllate dalle truppe eritree:

“Ci sono ancora parti significative del paese che sono occupate dalle forze eritree, per le quali non c’è accesso, e rapporti molto inquietanti emergono intorno alle esperienze delle persone lì”


Approfondimento: Etiopia, continuano violenze e abusi dell’Eritrea in Tigray nonostante l’accordo di Pretoria


Un mese fa esatto, 2 novembre, è stato firmato l’accordo di tregua a Pretoria, Sud Africa, tra governo etiope e rappresentanti del Tigray.

Le truppe dell’Eritrea, a nord, e le forze della vicina regione etiope di Amhara, a sud, hanno combattuto a fianco dell’esercito etiope nel Tigray, ma non hanno aderito al cessate il fuoco e non sono nemmeno state incluse nei tavoli di negoziato.

Nell’accordo i punti espliciti:

  • immediato accesso umanitario alla regione;
  • ritiro delle “forze straniere” dalla regione: eritrei, forze speciali e milizie amhara, Fano, non nominate esplicitamente nell’accordo;

In aggiunta come punti focali il disarmo delle forze del Tigray e la presa di controllo delle aree da parte dell’ENDF, Ethiopian National Defence Forces, l’esercito federale.

Il giorno 1 dicembre l’ufficio comunicazione del Gov. etiope condivide un comunicato indicando che si è riunito nella città di Shire il Comitato misto di pianificazione tecnica che dovrebbe delineare il piano dettagliato per il disarmo dei combattenti del Tigray.

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Il ritiro delle forze partigiane del Tigray lo hanno dichiarato con comunicati ufficiali sempre lo stesso giorno:

Sulla pagina facebook la dichiarazione del TPLF – Tigray People’s Liberation Front, qui uno stralcio:

“L’esercito del Tigray ha iniziato a lasciare i fronti di guerra…

A seguito dell’accordo di pace raggiunto tra il Tigray e i governi etiope a Pretoria, Sudafrica, Nairobi, Kenya, nella città di Nairobi, secondo il documento di attuazione firmato tra il Tigray ed il governo etiope, l’esercito del Tigray comandanti supremi, a Nairobi.

Stanno iniziando a partire [le forze del Tigray] dal fronte, ovvero dal sud, Mai Kinetal, Zalambessa, Nebelet, Chercher, Kukufto, Higumbirda, Beriteulay e Abergele.”


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Tigray TV pubblica un video condividendo la notizia del ritiro delle forze del Tigray.

  • “ስምምዕነት ተፃብኦ ደው ምባል ንምትግባር ሰራዊት ትግራይ ካብ ዝተፈላለዩ ከባቢታት መስመር ውግእ ምልቃቕ ጀሚሩ፡፡”
  • “L’esercito del Tigray ha iniziato a ritirarsi da varie aree della linea di battaglia per attuare l’accordo di cessate il fuoco.”

youtube.com/embed/bbCz-A_HRTQ?…

Il 3 dicembre secondo Bacha Devele, ambasciatore etiope in Kenya, le forze di difesa tigrine guidate dal partito TPLF consegneranno le armi pesanti all’esercito federale: evento dopo 2 anni di guerra genocida e 1 mese dopo la firma dell’accordo.

L’ago della bilancia ancora le “forze straniere”, in prima linea l’esercito eritreo.

L’accordo per il raggiungimento della pace è una strada di compromessi tra le parti ed uno scambio di fiducia passo passo fino al raggiungimento dell’obiettivo. Ci sono propositi e segnali positivi, ma siamo appena sulla soglia, c’è tutto da fare.

Riguardo alle garanzie della ritirata delle forze eritree non ci sono ancora segnali reali dal campo: tale variabile potrebbe decretare la buona riuscita o meno dei buoni propositi di messa in opera dei negoziati. Il governo etiope dovrebbe farsi carico di tale responsabilità sotto la mediazione e supervisione dell’ Unione Africana.


Approfondimento di Reuters: Etiopia, Saccheggi, allontanamenti forzati affliggono il Tigray nonostante la tregua – testimoni


In tutto questo contesto sarebbero più di 13 milioni di persone bisognose e dipendenti dal supporto umanitario in tutto il nord Etiopia, Tigray Amhara e Afar, martoriato dalla guerra.

Il popolo del Tigray è allo stremo.


tommasin.org/blog/2022-12-03/e…



Etiopia, saccheggi, allontanamenti forzati affliggono il Tigray nonostante la tregua – testimoni


Gli alleati dell’Etiopia stanno saccheggiando le città, arrestando e uccidendo civili e trasferendo migliaia di persone da una parte contesa del Tigray nonostante una tregua…

Gli alleati dell’Etiopia stanno saccheggiando le città, arrestando e uccidendo civili e trasferendo migliaia di persone da una parte contesa del Tigray nonostante una tregua tra il governo e le forze locali, affermano testimoni e operatori umanitari nella regione settentrionale.

La violenza solleva nuove preoccupazioni sul fatto che il cessate il fuoco firmato il 2 novembre dal governo federale etiope e dal Tigray People’s Liberation Front (TPLF) – il partito che domina l’irrequieta provincia – metterà fine a due anni di combattimenti che hanno ucciso decine di migliaia di persone e sfollati milioni.

Le truppe dell’Eritrea, a nord, e le forze della vicina regione etiope di Amhara, a sud, hanno combattuto a fianco dell’esercito etiope nel Tigray ma non hanno aderito al cessate il fuoco.

Tuttavia, l’accordo richiede il ritiro delle truppe straniere e non etiopi della Forza di difesa nazionale (non l’ENDF) dal Tigray.

L’Eritrea ha combattuto una guerra di confine contro l’Etiopia nel 1998-2000, quando il TPLF dominava il governo centrale, e rimane il nemico giurato del gruppo.

Le truppe eritree hanno sequestrato cibo, veicoli, oro e persino porte e finestre dalle case in almeno una dozzina di città nel Tigray settentrionale e nordoccidentale dal cessate il fuoco, secondo quattro operatori umanitari e un residente, che come altre persone intervistate da Reuters hanno chiesto da non identificare per timore di rappresaglie.

Le truppe hanno anche effettuato uccisioni extragiudiziali e arresti di massa nel territorio che controllano nel nord del Tigray, hanno detto due residenti e cinque operatori umanitari.

Il ministro dell’Informazione eritreo Yemane Gebremeskel non ha affrontato direttamente le accuse di saccheggio e uccisioni in un messaggio di testo a Reuters, ma ha accusato le forze tigrine di “bugie senza fine”.

Dall’inizio del conflitto nel novembre 2020, le violazioni dei diritti umani da parte di tutte le parti, comprese uccisioni extragiudiziali, stupri e saccheggi, sono state documentate dagli organismi delle Nazioni Unite, dalla commissione per i diritti umani nominata dallo stato dell’Etiopia, da gruppi di aiuto indipendenti e dai media, tra cui Reuters . Tutte le parti hanno negato le accuse.

Nel Tigray occidentale, i combattenti Amhara hanno condotto arresti di massa e caricato migliaia di civili di etnia tigraya su camion prima di inviarli a est del fiume Tekeze, secondo due residenti e due rapporti interni preparati da gruppi di aiuto visti da Reuters.

I leader Amhara considerano il fiume una linea di confine tra il Tigray e il territorio che dicono storicamente apparteneva loro a ovest. I funzionari del Tigray affermano che l’area, che ha terre fertili, è stata a lungo la dimora di entrambi i gruppi etnici e dovrebbe rimanere nella loro regione.

Durante il conflitto, forze e miliziani di Amhara sono stati accusati di aver trasferito altrove i tigrini per modificare la composizione etnica dell’area contesa.

Gizachew Muluneh, portavoce dell’amministrazione regionale di Amhara, non ha risposto alle richieste di commento. L’amministrazione ha precedentemente respinto le affermazioni secondo cui i tigrini erano stati minacciati o costretti a lasciare le loro case.

William Davison, analista senior per l’Etiopia presso il think tank dell’International Crisis Group, ha affermato che le segnalazioni di abusi da parte delle forze amhara ed eritree potrebbero ritardare i piani per il disarmo del TPLF.

“Qualsiasi grave fallimento nell’attuazione degli accordi aumenta il rischio di un disastroso ritorno alla guerra su larga scala”, ha aggiunto.


Un portavoce dell’Unione africana, responsabile dell’applicazione del cessate il fuoco, non ha risposto a una richiesta di commento. Nemmeno il consigliere per la sicurezza nazionale dell’Etiopia Redwan Hussien, il portavoce militare colonnello Getnet Adane, il portavoce del governo Legesse Tulu, né il portavoce del TPLF Getachew Reda.

Domenica, Reda ha twittato che le forze eritree stavano distruggendo e saccheggiando proprietà, oltre a uccidere donne e bambini.

“I nostri partner per la pace ad Addis faranno la loro parte nell’accordo per proteggere i civili e fare tutto il necessario per convincere le ‘forze esterne e non ENDF’ a lasciare il Tigray?”


Né l’Eritrea né l’Amhara hanno detto se si ritireranno dal Tigray. In passato hanno negato le accuse di violazione dei diritti nella regione.

Non è ancora chiaro come l’Etiopia tratterà con l’Eritrea e l’Amhara se le loro forze non si ritireranno dal Tigray, hanno detto tre diplomatici vicini ai colloqui di pace.

Gli Stati Uniti hanno dichiarato che useranno sanzioni per garantire il rispetto della tregua e che chiederanno conto dei responsabili delle violazioni dei diritti umani.

Deportazioni Forzate


Il governo regionale di Amhara ha accolto con favore il cessate il fuoco ma non ha detto nulla sul futuro del territorio che ha sequestrato nel Tigray occidentale, che i funzionari di Amhara in precedenza avevano dichiarato che avrebbero cercato di annettere formalmente.

Un rapporto del 16 novembre preparato da un gruppo di aiuto per sei agenzie umanitarie – tra cui il Programma Alimentare Mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale della Croce Rossa – afferma che il 10 novembre più di 2.800 uomini, donne e bambini sono stati detenuti per più di un anno in cinque centri di detenzione nel Tigray occidentale sono stati portati su camion da una milizia Amhara nota come Fano.

Sono stati rilasciati in una cittadina chiamata Adi Aser, prima di dirigersi a piedi verso Sheraro, fuori dall’area che Amhara sostiene, secondo la nota, recensita da Reuters.

Fano non ha una struttura di leadership formale quindi non è stato possibile per Reuters chiedere commenti.

Un operatore umanitario, che ha chiesto di non essere identificato, ha affermato che migliaia di residenti sfollati dal Tigray occidentale sono arrivati ​​nella città settentrionale di Shire nei giorni scorsi, tra cui donne e bambini di appena tre anni.

La maggior parte degli uomini aveva arti rotti, ha detto il lavoratore, aggiungendo che alcuni degli uomini hanno detto di essere stati picchiati mentre erano detenuti dalle forze di Amhara e Fano.

Reuters non è stato in grado di confermare in modo indipendente.


FONTE: reuters.com/world/africa/looti…


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Neurotecnologie, transumanesimo e privacy mentale


Musk torna a parlare di Neuralink: iniziano le sperimentazioni umane. Ma non è l'unico. La ricerca nelle neurotecnologie promette una rivoluzione transumana. Utopia o distopia?

Elon Musk torna a parlare di Neuralink, azienda di ricerca impegnata nello sviluppo di soluzioni ingegneristiche in grado di interfacciarsi con il cervello e aiutare persone invalide a riacquistare funzioni motorie e audio-visive. Dice che nell’arco di sei mesi inizieranno finalmente le sperimentazioni umane.

La tecnologia sviluppata da Neuralink (Link) in gergo viene chiamata brain-computer interface (interfaccia cervello-computer) e promette letteralmente miracoli, come si può leggere dal sito web:

We are designing the Link to connect to thousands of neurons in the brain, so that it may one day be able to record the activity of these neurons, process these signals in real time, and translate intended movements directly into the control of an external device. […] As users think about moving their arms or hands, we would decode those intentions, which would be sent over Bluetooth to the user’s computer.


Per ora si vola bassi, per modo di dire. Il chip di Neuralink potrebbe infatti consentire a persone quadriplegiche di utilizzare un computer e relativi dispositivi con il pensiero, senza bisogno di apparecchiature esterne. Ammetto che se potessi scrivere col pensiero, aiuterebbe molto anche me.

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Non è però Elon Musk l’unico impegnato nella ricerca nel campo delle neurotecnologie. In tutto il mondo stanno nascendo start-up che hanno come obiettivo quello di sviluppare e commercializzare prodotti consumer (quindi non dispositivi medici) pronti a interfacciarsi con il cervello umano.

Lo ammetto — da appassionato di sci-fi e cyberpunk (da non confondere con cypherpunk) non posso che cedere di fronte al fascino delle neurotecnologie e all’idea di poter assaporare un mondo transumano, in cui la tecnologia si unisce all’essere umano per superare limiti naturali biologici e migliorare le nostre capacità fisiche e cognitive — come in Deus Ex o Ghost in the Shell.

Mi rendo conto però che un mondo del genere sarebbe probabilmente più distopico che utopico: ci sono infiniti modi in cui tecnologie del genere potrebbero essere usate contro le persone e non per le persone.

Ad esempio, i chip potrebbero avere vulnerabilità o back-door accessibili da attori malevoli, come criminali o governi. Il risultato potrebbe essere dei peggiori, come il controllo da remoto della mente e del corpo delle persone, con tutte le conseguenze socio-politiche del caso —come racconta questo bel cortometraggio:

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Guerra Ucraina – Russia: GPS, Putin (non) lo ha dimenticato


Fin dai primi passi, nell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio, ha avuto un ruolo importante lo spazio. L’operazione è stata accompagnata da due azioni: un attacco cyber al segmento di terra di Viasat, provider statunitense di comunicazioni satellitari, e una vasta operazione di disturbo dei segnali di posizionamento, tempo e navigazione. Nel primo caso, si […]

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San Francisco autorizza i robot di polizia a uccidere i sospetti | L'Indipendente

"In altre parole, se la polizia avrà l’impressione di non riuscire a gestire la situazione potrà inviare contro al sospetto di turno un robot kamikaze che si farà detonare ai suoi piedi."

lindipendente.online/2022/12/0…



USA – UE: i sussidi della discordia


Le misure che il Congresso degli Stati Uniti ha adottato negli scorsi mesi su impulso dall’amministrazione Biden a tutela dell’industria americana hanno destato (e continuano a destare), in Europa, più di una preoccupazione. Fra l’altro, il sistema di sussidi previsto dall’Inflation Reduction Act (IRA) – un pacchetto di aiuti del valore complessivo di quasi 370 […]

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Cina – India sull’Himalaya: la quotidianità armata permanente


Sulla Line of Actual Control vantaggio infrastrutturale e militare della Cina e Nuova Delhi sulla difensiva. La situazione è congelata, «stabile ma imprevedibile», dicono i militari indiani. Questa instabilità è destinata a diventare permanente, insieme al rischio di un'escalation militare accidentale

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Etiopia & Tigray, Chiedi all’Unione Africana di Aiutare a Ricollegare Internet – Access Now


In questi giorni ad Addis Abeba si svolge l’ IGF2022 – Internet Governance Forum. Evento dedicato alla rete, all’Internet e al mondo connesso. Un ossimoro…

In questi giorni ad Addis Abeba si svolge l’ IGF2022 – Internet Governance Forum.

Evento dedicato alla rete, all’Internet e al mondo connesso. Un ossimoro se pensiamo alla situazione catastrofica del Tigray, stato regionale settentrionale etiope. Territorio in cui il 4 novembre 2020, più di due anni fa , è scoppiata una guerra genocida, sconfinata nel giugno 2021 anche nelle regioni di Amhara e Afar. Fin dall’inizio, da 2 anni, il popolo del Tigray ha vissuto e subìto abusi, massacri e violenze da parte di una guerra non sua. Una repressione su base etnica come dimostrato da diversi report. Il 90% dei più di 6 milioni di residenti tigrini oggi dipende dal supporto umanitario che per diversi mesi e tutt’oggi, dopo la firma dell’accordo di Pretoria, accordo di tregua e cessazione ostilità, aspetta cibo e cure mediche.

Telefoni e internet chiusi e bloccati da 2 anni per volontà politiche. Per 2 anni milioni di persone sotto i bombardamenti e le violenze delle forze eritree, etiopi e milizie amhara, senza possibilità di far uscire da quel territorio il grido di aiuto verso il resto del mondo. Senza la possibilità di far uscire testimonianze, la voce per documentare quei crimini, quella disumanità perpetrata e che ha fatto tante vittime tra adulti, bambini, uomini e donne. Le stime parlano di più di 500.000 morti diretti della guerra o per mancanza di cibo e cure mediche per volontà politiche.

Tutto nel silenzio del resto del mondo che guarda dall’altra parte perché tutto il Tigray a tutt’oggi è ancora isolato telefonicamente e via internet.

Per questo è un ossimoro l’IGF – Internet Governance Forum, evento delle Nazioni Unite, che si svolge ad Addis Abeba, capitale etiope, a poco meno di un migliaio di km dal Tigray.


Ne ho scritto un approfondimento su Focus On Africa:

Etiopia, IGF – Internet Governance Forum e violenze eritree nel blackout del Tigray


Di seguito l’appello di AccessNow via Twitter:

#InternetShutdowns violano i diritti umani fondamentali e le autorità etiopi devono ripristinare l’accesso a Internet nel Tigray. Abbiamo ripetutamente chiesto la fine immediata di questa chiusura, che è in corso da 2 anni, durante la nostra partecipazione a #IGF2022.

Le piattaforme tecnologiche e di social media devono affrontare preoccupazioni legittime come la disinformazione e i contenuti che incitano all’odio, per adempiere al loro obbligo di rispettare i diritti umani, proteggere le persone quando tornano online e impedire alle autorità di tentare di giustificare qualsiasi tipo di interruzione.

Oltre 6 milioni di persone in Tigray sono state tagliate fuori da Internet dal novembre 2020, rendendo difficile per giornalisti e difensori dei diritti umani documentare le violazioni, portando all’impunità per quanto riguarda i crimini commessi nella regione. #ReconnectTigray

Nel contesto di uno dei conflitti più mortali del mondo, la chiusura nel Tigray ha interrotto l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, ha decimato i mezzi di sussistenza e ha reso impossibile a milioni di persone semplicemente comunicare con le proprie famiglie e far loro sapere come stanno.

A #IGF , abbiamo parlato con funzionari del governo etiope, dell’Unione Africana e del sistema delle Nazioni Unite, nonché con diplomatici di tutto il mondo, parti interessate del settore privato e partner della società civile, chiarendo che le interruzioni nel Tigray devono giungere al termine.

Unisciti a quasi 100 organizzazioni della società civile del Tigray, dell’Etiopia, di tutta l’Africa e del mondo, nonché a individui di 102 paesi, chiedendo all’African Union di condannare la chiusura nel Tigray e di agire per porvi fine. Firma la petizione https://accessnow.org/tigray-ethiopia-internet-shutdown-keepiton #KeepItOn

Mentre le autorità etiopi e tigrine si incontrano nella città tigrina di Shire per ulteriori colloqui di pace, Ethiotelecom ha annunciato che i suoi servizi saranno disponibili nella città “tra pochi giorni”. Le parole non bastano. Non cederemo fino a quando Internet non sarà completamente ripristinato nel Tigray.


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Luis Rejas reshared this.



La Bielorussia e l’ addio al suo massimo diplomatico, Vladimir Makei


Mentre centinaia di persone in lutto si sono messe in coda per rendere gli ultimi omaggi al ministro degli Esteri bielorusso di lunga data Vladimir Makei, crescono le speculazioni sulla morte improvvisa del massimo diplomatico del presidente Alexander Lukashenko. Makei è morto alla vigilia di un incontro con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, in […]

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Investitore azionista: massaggio al corpo (economia) e all’ anima (sociale)


Come mettere insieme l’ economico ed il sociale per ‘salvare’ il mondo? Ogni giorno si i leggono e si ascoltano opinioni e ricette. Se non fosse un nominalismo quasi irriverente, si potrebbe pensare alla Borsa Italiana come una SPA (Salus Per Aquam) che offre l’opportunità di massaggiare il corpo (economico) e l’anima (sociale) dell’investitore (istituzionale […]

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(S)profondo Sud: il Mezzogiorno e la notte nera


Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) I dati e numeri del 49° Rapporto Svimez 2022 che è stato presentato alla Camera stimano che l’incrocio letale tra la crisi indotta dal caro-energia per il taglio di rifornimenti dalla Russia a cui ci eravamo legati troppo negli anni scorsi, […]

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«No al nazionalismo, cooperare è decisivo. L’Italia traini un nuovo progetto europeo» – corriere.it


Kyuchyuk, copresidente dei liberali a Bruxelles: i partiti si uniscano per la riforma Bruxelles «Il nazionalismo non è mai la risposta, lo è invece la cooperazione e il lavorare insieme per un progetto europeo, perché tutti ne beneficiamo». Ilhan Kyuchyuk

Kyuchyuk, copresidente dei liberali a Bruxelles: i partiti si uniscano per la riforma


Bruxelles «Il nazionalismo non è mai la risposta, lo è invece la cooperazione e il lavorare insieme per un progetto europeo, perché tutti ne beneficiamo». Ilhan Kyuchyuk, bulgaro, è il copresidente dell’Alde, l’Alleanza dei liberali europei, che rappresenta circa l’80% del gruppo Renew Europe al Parlamento Ue.

Perché è a Roma?

«Partecipo a un panel su dove vuole andare l’Europa, ma innanzitutto sono qui per rendere omaggio a quello che il presidente Giuseppe Benedetto e la Fondazione Einaudi (festeggia i 60 anni, ndr) stanno facendo in Italia. La Fondazione fa parte dello European Liberal Forum, che è la fondazione del nostro partito. C’è stata una grande cooperazione negli ultimi dieci anni: più c’è cooperazione tra i partiti politici e le fondazioni liberali più senso avranno le idee realizzabili».

Quali sono le sfide e le priorità dell’Ue?

«Siamo di fronte a una crisi multipla: energia, inflazione, per la prima volta nella nostra storia recente, l’Europa si trova ad affrontare una guerra sul proprio territorio. Dobbiamo reagire come società e mostrare che l’Ue è unita e sta con gli ucraini, perché possano scegliere il loro destino. Sfrutto ogni momento per dare il mio messaggio di unità».

Quale ruolo vede per l’Italia? Con chi pensa che il governo italiano si alleerà in Ue?

L’immigrazione

Il regolamento di Dublino non sta funzionando. Sull’immigrazione bisogna trovare una soluzione

che possa andare bene per tutti

«Sono state prese importanti decisioni con l’appoggio del governo italiano. Credo che gli italiani siano stanchi di un sistema politico che va a destra o a sinistra. Penso che si debba dare una possibilità a quei partiti politici disposti a lavorare per gli interessi dei cittadini. Mi aspetto che l’Italia, come membro fondatore dell’Unione europea, sia tra le forze trainanti del dibattito e porti soluzioni al progetto europeo per rinnovarlo e non certo per creare problemi».

Energia e migrazione: l’Ue sta facendo le scelte giuste?

«La presidenza francese ha fatto passi avanti sul pacchetto migrazione, è una questione complicata per il mondo e la sfida è lì. Dobbiamo trovare una soluzione europea che possa funzionare per tutti. Il regolamento di Dublino non sta funzionando e questo spaventa, dobbiamo trovare il modo di affrontare queste preoccupazioni ma anche pensare agli esseri umani: le persone che vengono in Europa sono alla ricerca di un’opportunità migliore o stanno scappando da una guerra e hanno bisogno di un approccio umano. E questo dovrebbe andare di pari passo con le misure di sicurezza Ue. Dobbiamo considerare il tutto come un unico pacchetto. Sull’energia, ci sono sul tavolo molte proposte. Non sottovalutiamo l’Ue, diventeremo più forti dopo questa guerra».

La scorsa settimana Renew Europe ha sostenuto una risoluzione dell’Ecr insieme al Ppe per definire la Russia uno Stato sponsor del terrorismo. È una nuova maggioranza possibile in vista del 2024?

«La risoluzione è stata sostenuta da tutte le forze democratiche del Parlamento Ue. La Russia si sta comportando come un’organizzazione terroristica: vediamo persone lasciare le loro case distrutte, le loro famiglie sono state distrutte, molte cercano rifugio. Molte speranze sono state distrutte. Non vedo una maggioranza particolare dietro alla risoluzione, vedo una forza unita nel Parlamento Ue basata su valori democratici».

Di cosa ha bisogno l’Ue?

«Noi vogliamo riformare l’Ue, renderla più efficiente per i suoi cittadini. È la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa. Si deve partire dall’abolizione dell’unanimità. Per rendere l’Ue adatta al XXI secolo dobbiamo riunirci con i partiti che la pensano allo stesso modo e far sì che ciò avvenga».

Il Corriere della Sera

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Pnrr, la trasparenza che manca


Trattandosi di una questione strategica da cui dipende letteralmente il futuro dell’Italia, suggeriamo sommessamente all’esecutivo Meloni di recepire due appelli di queste ore. Il commento di Andrea Cangini Com’era prevedibile, per il governo Meloni i p

Trattandosi di una questione strategica da cui dipende letteralmente il futuro dell’Italia, suggeriamo sommessamente all’esecutivo Meloni di recepire due appelli di queste ore. Il commento di Andrea Cangini

Com’era prevedibile, per il governo Meloni i problemi non vengono dal fronte ucraino. La proroga al 31 dicembre 2023 delle forniture militari non ha infatti provocato scossoni nella maggioranza ed è stata accolta con sollievo negli ambienti Nato. Il problema, invece, riguarda i rapporti con la Commissione europea e si chiama Pnrr. Dal ministro per la Transizione ecologica a quello per la Salute, si lamenta una grave scarsità di risorse, mentre lo scalpitante vicepremier Matteo Salvini continua a chiedere modifiche sostanziali per “aggiornare il Pnrr alla vita reale”. La vita reale, però, non lo asseconda. Bruxelles ha già fatto sapere al ministro dell’Economia Giorgetti che gli impegni presi per l’anno in corso non potranno essere modificati. Sul 2023 si può discutere.

L’anno in corso, però, non promette bene. Dei 55 target che vanno raggiunti entro il 2022, il governo Draghi ne ha centrati 21, sui rimanenti 34 aleggia l’incertezza.

Trattandosi di una questione strategica da cui dipende letteralmente il futuro dell’Italia, suggeriamo sommessamente all’esecutivo Meloni si recepire due appelli di queste ore. Il primo, lanciato oggi dalle colonne del Sole 24Ore, è firmato da un pool di economisti del “Pnrr Lab di Sda Bocconi”, che dallo scorso luglio monitorizza l’andamento del Piano. Preso atto dell’incapacità delle amministrazioni di spendere buona parte dei fondi dedicati, “sembra opportuna – scrivono – la costituzione di una Cabina di regia tecnica a livello nazionale che dovrà essere responsabile del monitoraggio dei tempi dei procedimenti, identificando con cadenza periodica criticità che potranno essere risolte grazie agli strumenti già attivati dal Pnrr (task force di esperti, semplificazioni, uso di poteri sostitutivi)”.

Il secondo appello non ha a che fare col merito ma con la trasparenza del processo. Lo ha levato in questi giorni Openpolis, che assieme ad altre associazioni ha lanciato la campagna “Italia domani dati oggi”. Quattro le richieste: la pubblicazione completa, tempestiva e in formato aperto dei dati relativi a tutti i progetti; la creazione di un’unica banca dati per le schede progetto e tutti i dati e informazioni utili a comprendere come il Pnrr impatterà sui singoli territori; che sia garantito un aggiornamento costante, quantomeno trimestrale, dei dati; che siano resi noti gli indicatori su cui si intende monitorare l’impatto dei progetti sulle tre priorità trasversali. Morale democratica: i cittadini devono poter controllare l’attività del governo.

Richieste analoghe furono rivolge al governo Draghi. Invano. Poiché, allora, dai ranghi dell’opposizione Fratelli d’Italia fu in prima fila nel denunciare l’opacità dell’allora esecutivo sulla gestione di fondi che valgono l’11% del Pil e che se mal spesi potrebbero dissestare definitivamente i conti pubblici, ci si aspetta, come suol dirsi, un ravvedimento operoso.

Formiche

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Aumentano gli incendi domestici in Italia: abitudini virtuose e manutenzione degli impianti rappresentano la ricetta vincente per una casa sicura


La casa è considerata un porto sicuro dove rifugiarsi, eppure proprio tra le 4 mura domestiche si verificano incidenti che in alcuni casi risultano addirittura fatali. Tra gli incidenti rientrano anche gli incendi che, negli ultimi anni, stanno aumentando in maniera preoccupante. Ogni anno si contano migliaia di persone in Italia che perdono la vita a […]

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Arma a doppio taglio


Roma. Una volta c’era lo stato tuttofare, dalle automobili ai panettoni. Poi dal 1994 quando comincia l’epoca delle privatizzazioni, la mano pubblica passa a un tocco più leggero attraverso la goldenshare, cioè una quota azionaria anche piccola, ma tale d

Roma. Una volta c’era lo stato tuttofare, dalle automobili ai panettoni. Poi dal 1994 quando comincia l’epoca delle privatizzazioni, la mano pubblica passa a un tocco più leggero attraverso la goldenshare, cioè una quota azionaria anche piccola, ma tale da determinare le scelte dell’impresa. Così fan tutti, si diceva, basti pensare al colbertismo francese o all’impermeabile Modell Deutschland.

Nel 2012 lo stato indossa un guanto di velluto e viene introdotto il golden power: lo stato si riserva il potere di intervenire per proteggere aziende in settori strategici oggetto di interessi ostili o predatori. La norma si applica anche nei paesi della Ue e lascia un ruolo importante al potere giudiziario. In Francia e Germania il giudice può entrare persino nel merito industriale, in Italia no. Negli Stati Uniti la scelta è politica e insindacabile, il paradiso del capitalismo è disposto a non rispettare il mercato quando è in ballo la sicurezza nazionale.

L’onda sovranista e neo statalista, più le minacce agli equilibri internazionali da parte della Russia e della Cina, hanno spinto l’Italia ad avviarsi su una strada sdrucciolevole che può diventare pericolosa. Qualche cifra ci aiuta a capire. Le notifiche di operazioni soggette al golden power sono un crescendo rossiniano: si è passati da 8 nel 2014 a 18 nel 2015, 14 nel 2016, 30 nel 2017, 46 nel 2018, 83 nel2019, 342 nel 2020, 496 nel 2021, per un totale di 1.037 notifiche nell’arco di 8 anni. Quest’ anno, in dieci mesi le notifiche hanno già superato quota 450, per cui il saldo finale del 2022 potrebbe attestarsi a oltre 500. Dal 13 febbraio 2021 (data di insediamento del governo Draghi) al 19 ottobre2022, sono state effettuate 934 notifiche, quasi il 60 per cento del totale dal 2014 a oggi.

Ha fatto i conti Roberto Garofoli in un paper che rielabora la relazione presentata alla Luiss il 25 novembre scorso in occasione del progetto di ricerca Restore, ed è rimasto colpito egli stesso; eppure come sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha introdotto alcune innovazioni come il potere del cosiddetto “Gruppo di coordinamento” di definire il procedimento senza passaggio in Consiglio dei ministri per semplificare e razionalizzare gli interventi. Nel corso degli anni sono aumentati anche i settori nei quali si può esercitare il golden power, pochi ormai sono fuori da un catalogo destinato ad allungarsi.

Non che a ogni richiesta sia seguito un intervento, anzi nei provvedimenti avviati dalle 934 notifiche mentre Draghi era a Palazzo Chigi, i poteri speciali non sono stati esercitati in 228 casi (il 24 per cento), spiega Garofoli oggi presidente di sezione del Consiglio di stato. Il golden power è scattato 42 volte (poco più del 4 percento dei casi): 36 volte con prescrizioni, 6 con il veto. Nel 2021 si sono registrati 3 casi di veto sempre nei confronti di aziende cinesi che intendevano acquisire il controllo o rami aziendali di operatori italiani operanti nei settori alimentare, dei semiconduttori, dell’avionica con potenziali applicazioni militari. Altri quattro nel 2022 verso due aziende cinesi e un’azienda russa che intendevano acquisire imprese italiane operanti nei settori della salute, dell’energia e della robotica.

Se andiamo indietro nel tempo, dal 2014 al 2020 i poteri speciali sono stati esercitati 34volte, con un veto, mentre dal 2020 al 2022 sono stati esercitati 79 volte, con sei veti. Dunque, non si può dire che lo stato abbia agito con il pugno di ferro e non c’è dubbio che il quadro internazionale si sia deteriorato proprio negli ultimi anni. Tuttavia, il golden power mette nelle mani del governo uno strumento che apre la strada a un eccesso di potere con il rischio di veri e propri abusi fino a distorcere la governance e i meccanismi di mercato.

Che cosa accade quando viene bloccata la vendita di un’impresa che il proprietario non vuol tenere? La si nazionalizza per non chiuderla, anche se non fa parte di nessun piano industriale pubblico? Torna “lo stato barelliere” degli anni Settanta?, creiamo una nuova Efim? Garofoli mette in guardia da un uso improprio del golden power: “Non è e non deve essere uno strumento di politica industriale, deve conservare un connotato di eccezionalità. Ciò non toglie che l’oggettivo aumento delle vicende che si concludono con l’esercizio del più grave potere di veto ponga l’opportunità di valutare un coordinamento tra la concreta applicazione della disciplina del golden power e le politiche industriali del paese”.

La sorte della raffineria Isab di Priolo è un caso di scuola, ma possiamo evocare l’Ilva, mentre il potere speciale viene esercitato anche verso soggetti della Ue (si pensi alle polemiche sulle ambizioni delle banche francesi). Esistono controlli europei e giudiziari, eppure un’arma difensiva può diventare un boomerang che danneggia gli interessi di fondo dell’Italia.

Il Foglio

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Borsa: canapa, chiusura positiva per USA e Canada


Entrambe le principali piazze borsistiche a livello mondiale nel settore della Canapa, cioè Canada e USA, chiudono in chiave positiva questa prima settimana di dicembre. Soprattutto nel caso della Borsa canadese. Si tratta di valori piccoli, magari anche effimeri, data la instabilità ormai cronica e la volatilità delle piazze internazionali per i noti motivi più […]

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Ritirandosi in Ucraina, Putin perde anche il Kazakistan


I talk show politici russi accuratamente coreografati sono noti per le loro invettive anti-ucraine, ma alla fine di novembre l’obiettivo era il Kazakistan. “Dobbiamo prestare attenzione al fatto che il Kazakistan è il prossimo problema, perché lì possono iniziare gli stessi processi nazisti come in Ucraina”, ha commentato un esperto durante lo spettacolo in prima […]

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Leggi Leggibili


“Una legge che non si capisce è già una legge ingiusta, è già una legge illegittima.” L'articolo Leggi Leggibili proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/leggi-leggibili/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed

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“Una legge che non si capisce è già una legge ingiusta, è già una legge illegittima.”

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Macron – Biden: incontro più duro di quanto sembri


Mentre il leader francese è festeggiato e lusingato, le divergenze sull'Ucraina e sulla crisi economica europea peseranno sulla relazione tra i due alleati e tra UE e USA

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Questa mattina si è svolto l’incontro tra il Ministro Giuseppe Valditara e il Forum delle associazioni studentesche (FAST) per confrontarsi su diverse tematiche come la dispersione scolastica, il classismo e il bullismo.

Qui alcuni scatti! 📸



Qual è lo spazio di Macron negli Stati Uniti?


Non è in discussione un bilaterale tra Francia e Stati Uniti che Emmanuel Macron porterà a casa a fine della sua visita a Washington. Più di tutto sta andando inesorabilmente in crisi l’essenza stessa dell’unità di un continente che -avrebbe detto Oscar Wilde- è diviso dalla stessa moneta. È così che ci è apparso […]

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#laFLEalMassimo – Episodio 78 – Europa: Fragilità Economica e Debolezza Politica


Nuovo Episodio della FLE al Massimo, mentre continua l’odioso conflitto in Ucraina causato dall’Invasione della Russia diversi nodi della fragilità economia e debolezza politica dei paesi Europei vengono al pettine. Molte imprese europee e in particolare

Nuovo Episodio della FLE al Massimo, mentre continua l’odioso conflitto in Ucraina causato dall’Invasione della Russia diversi nodi della fragilità economia e debolezza politica dei paesi Europei vengono al pettine.

Molte imprese europee e in particolare tedesche hanno fatto affidamento sulle forniture di gas e prodotti energetici da parte della russia e sulla Cina come mercato di sbocco e partner commerciale. Un ribilanciamento degli equilibri geopolitici che comporta un distacco da queste due nazioni costituisce un problema rilevante per il tessuto industriale interessato.

A questo problema si aggiunge il rinnovato spirito nazionalistico e protezionistico con il quale gli Stati Uniti stanno sussidiando la produzione sul proprio territorio di fatto attirando anche potenziamente molte imprese europee

Da ultimo in sede Nato gli accordi internazionali sono messi alla prova dalla cronica incapacità delle nazioni europee di effettuare investimenti adeguati sul piano militare.

L’eruoap rischia di vedere ridimensionata la propria posizione a livello internazionale perché la strategia politica ed economica attuata fino ad oggi si rivela tragicamente inadeguata a fronteggiare le sfide correnti.

Possiamo solo adeguarci che così come l’impegno in Ucraina è riuscito a riunire il fronte dei paesi europei sul piano politico, le sfide derivante dal nuovo contesto avverso possano portare ad una reazione unitaria e coerente da parte dei paesi europei per difendere la propria posizione.

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Dalla Svezia un tema su cui riflettere: il rapporto tra media e cannabis


Attraverso gli esiti di uno studio del Karolinska Institutet si giunge ad un importante argomento di riflessione: lo stato delle cose relative alla applicazione della cannabis soprattutto nel contesto terapeutico e la rappresentazione di tutto questo fa l’apparato dei media. I ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche del Karolinska Institutet hanno analizzato 20 studi clinici […]

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Terzo Polo: Renzi, ‘a prossime europee lista Renew sarà primo partito’ – lasicilia.it


Roma, 1 dic. “I socialisti europei e il Ppe sono in crisi perchè il loro pensiero è più legato al XX secolo che al XXI. Liberal democratici, liberali europei e Renew saranno la casa del futuro. Noi alle prossime europee avremo, non so se già un partito ma

Roma, 1 dic. “I socialisti europei e il Ppe sono in crisi perchè il loro pensiero è più legato al XX secolo che al XXI. Liberal democratici, liberali europei e Renew saranno la casa del futuro. Noi alle prossime europee avremo, non so se già un partito ma sicuramente una lista a ispirata ai concetti di Renew, che punta ad essere il primo partito perchè il sovranismo di governo fallirà e perchè la risposta della sinistra è bloccata tra M5s e un Pd che non ha capito che fare da grande”. Così Matteo Renzi all’iniziativa ’60 anni di diffusione del pensiero liberale’ organizzata dalla Fondazione Einaudi alla sala Zuccari di palazzo Giustiniani.

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Terzo Polo: Renzi, ‘a prossime europee lista Renew sarà primo partito’ – laragione.eu


“I socialisti europei e il Ppe sono in crisi perchè il loro pensiero è più legato al XX secolo che al XXI. Liberal democratici, liberali europei e Renew saranno la casa del futuro. Noi alle prossime europee avremo, non so se già un partito ma sicuramente

“I socialisti europei e il Ppe sono in crisi perchè il loro pensiero è più legato al XX secolo che al XXI. Liberal democratici, liberali europei e Renew saranno la casa del futuro. Noi alle prossime europee avremo, non so se già un partito ma sicuramente una lista a ispirata ai concetti di Renew, che punta ad essere il primo partito perchè il sovranismo di governo fallirà e perchè la risposta della sinistra è bloccata tra M5s e un Pd che non ha capito che fare da grande”. Così Matteo Renzi all’iniziativa ’60 anni di diffusione del pensiero liberale’ organizzata dalla Fondazione Einaudi alla sala Zuccari di palazzo Giustiniani.

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Chi c’era alla presentazione del libro di Giuseppe Benedetto – formiche.net


Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, ha appena pubblicato per Rubbettino un volume, con la prefazione di Carlo Nordio, dal titolo “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”. Il libro è stato presentato ieri sera al Vicus Capra

Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, ha appena pubblicato per Rubbettino un volume, con la prefazione di Carlo Nordio, dal titolo “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”.

Il libro è stato presentato ieri sera al Vicus Caprarius, la Città dell’Acqua a Roma alla presenza dell’autore e con relatori i giuristi Sabino Cassese e Beniamino Migliucci, il ministro Carlo Nordio e Andrea Cangini, segretario generale della Fondazione Einaudi, coordinatore dell’evento.

formiche.net

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Carlo Nordio, il messaggio al governo: “Quello che non tradirò mai” – liberoquotidiano.it


Carlo Nordio lancia un messaggio al governo Meloni: “La complessità della politica richiede compromessi ma non al punto di tradire la mia idea liberale che sarà mantenuta fermissima”. Il ministro della Giustizia, a margine della presentazione del libro No

Carlo Nordio lancia un messaggio al governo Meloni: “La complessità della politica richiede compromessi ma non al punto di tradire la mia idea liberale che sarà mantenuta fermissima”. Il ministro della Giustizia, a margine della presentazione del libro Non diamoci del tu. La separazione delle carriere di Giuseppe Benedetto, di cui ha firmato la prefazione, spiega: “Questo non significa che le mie idee liberali esposte nei miei scritti, siano annacquate o cambiate. Le idee di Carlo Nordio rimangono anche se il governo è un organismo collegiale”.

Dopodiché Nordio parla del sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. “Prima di tutto una forte solidarietà all’Ucraina e al suo popolo che sta resistendo valorosamente”. Il Guardasigilli sottolinea la posizione dell’Italia, in linea con l’Unione europea, per un “potenziamento della Corte penale internazionale penale” e la possibilità “di utilizzare tutte le nostre esperienze investigative, che nei temi di criminalità organizzata”, spiega a margine, rispondendo alle domande della stampa, “sono molto avanzate”. A chi gli chiedeva notizie sul Codice dei crimini di guerra, il ministro Nordio risponde: “Stiamo lavorando alacremente al ministero, siamo in dirittura d’arrivo”.

Infine, sul Pnrr, Nordio chiosa, “il governo è impegnato a dare piena attuazione al Pnrr, le riforme entreranno in vigore rispettando le scadenze”

liberoquotidiano.it

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Giustizia, Nordio: “Prima riforme economia e revisione abuso di ufficio” – l’occidentale.it


Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenendo alla presentazione del libro “Non diamoci del tu” di Giuseppe Benedetto, presidente della fondazione Einaudi, ha fatto il punto sull’agenda del governo Meloni in tema di riforme. “Le prime – ha spiega

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenendo alla presentazione del libro “Non diamoci del tu” di Giuseppe Benedetto, presidente della fondazione Einaudi, ha fatto il punto sull’agenda del governo Meloni in tema di riforme.

“Le prime – ha spiegato il Guardasigilli – saranno quelle che avranno un impatto sull’economia. In questo momento è l’emergenza principale. Questo riguarda sia la spending review sia la revisione di quei reati che hanno un impatto economico perché rallentano la pubblica amministrazione. Quelle di più ampio respiro verranno illustrati tra cinque giorni alle Camere nel mio discorso programmatico”.

Nordio ha inoltre ricordato ”gli interventi per la digitalizzazione e la semplificazione ma anche la profonda revisione di reati che paralizzano la pubblica amministrazione, per quella che viene definita ‘paura della firma’, ma che io chiamo ‘burocrazia difensiva”’. Il riferimento è alle modifiche al reato di abuso d”ufficio. Questo ”avrà un impatto economico eliminando criticità che ci costano fino al 2% del Pil”.

loccidentale.it

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Presentazione del libro di Giuseppe Benedetto “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” (Rubettino) – radioradicale.it


Registrazione video del dibattito dal titolo “Presentazione del libro di Giuseppe Benedetto “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” (Rubettino)”, registrato a Roma mercoledì 30 novembre 2022 alle 17:30. Dibattito organizzato da Fondazione Luig

Registrazione video del dibattito dal titolo “Presentazione del libro di Giuseppe Benedetto “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” (Rubettino)”, registrato a Roma mercoledì 30 novembre 2022 alle 17:30.

Dibattito organizzato da Fondazione Luigi Einaudi Onlus per Studi di Politica Economia e Storia.

Sono intervenuti: Andrea Cangini (segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi Onlus per Studi di Politica Economia e Storia), Sabino Cassese (giudice emerito della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana), Giuseppe Benedetto (presidente della Fondazione Luigi Einaudi Onlus per Studi di Politica Economia e Storia), Carlo Nordio (ministro della Giustizia, Fratelli d’Italia), Beniamino Migliucci (avvocato).

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Anm, Avvocatura, Azione Penale, Costituzione, Custodia Cautelare, Diritto, Giustizia, Legge, Libro, Magistratura, Ministeri, Penale, Politica, Procedura, Riforme, Rocco, Separazione Delle Carriere, Severino, Storia, Vassalli.

radioradicale.it

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Russia e Occidente possono e devono essere partner, non Russia e Cina


Xi Jinping può essere amico di Putin, ma non è amico della Russia. Piuttosto, Xi ha usato la Russia per fare gran parte del suo sporco lavoro anti-occidentale -a spese della Russia-, e l'Occidente ha inavvertitamente aiutato Xi indebolendo la Russia a vantaggio della Cina

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Separare le carriere? «Aspettate e vedrete», dice il Guardasigilli – ildubbio.news


Dibattito con Migliucci, che da presidente dei penalisti ha raccolto le firme per la legge sui magistrati e che ricorda: «È ora di attuare davvero il processo accusatorio» Giudice terzo, giusto processo e nuove frontiere della giustizia sono stati i temi

Dibattito con Migliucci, che da presidente dei penalisti ha raccolto le firme per la legge sui magistrati e che ricorda: «È ora di attuare davvero il processo accusatorio»


Giudice terzo, giusto processo e nuove frontiere della giustizia sono stati i temi al centro del dibattito che si è tenuto ieri a Roma tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio, Sabino Cassese e l’ex presidente delle Camere penali Beniamino Migliucci, in occasione della presentazione del libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”, di Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, ed edito da Rubbettino. Il dibattito è stato coordinato dal neosegretario della Fondazione Andrea Cangini. Sotto Beniamino Migliucci, l’Unione Camere penali ha raccolto le oltre 70mila firme per la proposta di legge di iniziativa popolare per la separazione delle carriere depositata poi in Parlamento.

«È una riforma ineludibile», ha detto il penalista, «la riforma di tutte le riforme soprattutto se si immagina di mantenere un codice a tendenza accusatoria, liberale, che pone al centro del processo il contraddittorio, la parità delle parti». Nordio ha firmato la prefazione del volume di Benedetto: «Tutto il libro dovrebbe essere attentamente studiato alla Scuola della magistratura, perché smentisce definitivamente le apocalittiche obiezioni che l’Anm ci propina in occasione anche delle più moderate proposte riformatrici, come l’ultima della ministra Cartabia». Adesso la pensa allo stesso modo? «Quando ho scritto la prefazione – ha detto esordendo – non avrei mai immaginato di diventare parlamentare né ministro della Giustizia. Far parte del governo può limitare le aspettative e le volontà di Nordio come scrittore e modesto giurista, ma ciò non vuol dire che le mie idee liberali siano cambiate o si siano annacquate».

Il guardasigilli sente quasi il bisogno di giustificarsi, dopo aver ricevuto nelle ultime settimane anche delle critiche da parte di chi lo accusa di aver invertito la rotta rispetto ai suoi principi. «Le decisioni vengono prese collegialmente all’interno del governo, la complessità della politica richiede compromessi ma non al punto da tradire l’idea liberale che sarà mantenuta fermissima». Lo ha ribadito più volte, questo concetto: «Senza voler anticipare l’illustrazione delle linee programmatiche alle Camere prevista per il prossimo 6 dicembre, posso dire che le mie idee verranno riaffermate. La fattibilità politica poi verrà scansionata in base alle modalità tecniche: per riformare l’abuso di ufficio può bastare un mese, per avere una norma che preveda un organo collegiale che decida sulla custodia cautelare ci possono volere tre mesi, per fare una riforma costituzionale occorre più tempo».

Non fa mai esplicito riferimento alla “separazione delle carriere”, ma il nesso è chiaro dato il tema del libro e le altre cose dette, tra cui: «A questo mondo nulla è eterno. Stamattina ( ieri, ndr) ho avuto modo di incontrare per molto tempo il cardinale Ravasi ed è emerso che soltanto la verità del Signore rimane in eterno, il resto si può cambiare. Quindi non c’è nessun reato di lesa maestà se si propone una riforma costituzionale».

Poi è entrato un po’ più nel dettaglio sulle ragioni: «Quando è avvenuto il miracolo politico e giuridico della Costituzione, l’unità delle carriere, l’obbligatorietà dell’azione penale, la figura del pubblico ministero modellata su quella del giudice erano perfettamente coerenti tra loro. Ma i padri costituenti non potevano immaginare che 40 anni dopo Vassalli avrebbe varato un codice ispirato al processo anglosassone». Quindi «occorre necessariamente superare il paradosso di un codice “fascista”, firmato da Benito Mussolini e dal re, che gode di ottima salute e di un codice di procedura penale saccheggiato e demolito perché ritenuto incompatibile con la Costituzione. O torniamo al codice Rocco, pienamente conforme alla Costituzione, oppure cambiamo la Costituzione. Attualmente abbiamo i tre pilastri: Costituzione, codice penale e codice procedura penale, incompatibili tra di loro».

Il guardasigilli si è poi riferito alla spending review della legge di Bilancio che ha toccato anche via Arenula e il Dap. «Ho letto molte critiche sui tagli anche al nostro ministero: il taglio lineare che è stato fatto non era trattabile, come è giusto che sia. L’emergenza economica impone di devolvere queste riforme a chi non riesce ad arrivare alla fine del mese».

Nordio ha spiegato di condividere le misure, ma ha aggiunto: «Spero di uscire presto dall’emergenza, e che ci siano altre risorse il prossimo anno. C’è il Pnrr, non ci si può muovere con grande elasticità ma proveremo a farlo, anche col bilancio interno del ministero. Cercheremo di rimodulare per evitare le criticità che derivano dai tagli lineari». Ha poi sottolineato nuovamente come «l’obiettivo delle riforme iniziali è avere un impatto positivo sull’economia del Paese. Anche per questo incontrerò i rappresentanti Anci per discutere di una profonda revisione dei reati che paralizzano l’amministrazione, della “paura della firma” o come preferisco dire io della “amministrazione difensiva”».

Il Dubbio

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Mano visibile


Per Ita Airwais è stato interrotto il negoziato a due, finalizzato all’ingresso di un socio. Si riparte dalla caselle precedente, trattando con le due cordate iniziali. Intanto il solo socio imprenditoriale italiano si è dileguato. Il disegno iniziale era

Per Ita Airwais è stato interrotto il negoziato a due, finalizzato all’ingresso di un socio. Si riparte dalla caselle precedente, trattando con le due cordate iniziali. Intanto il solo socio imprenditoriale italiano si è dileguato. Il disegno iniziale era far ripartire la compagnia aerea con capitale pubblico e poi metterla sul mercato, adesso andrà già bene se lo Stato non resterà il solo azionista. Per Tim si sa solo che si vuole una “rete unica” (che già definirla non è facile: si nazionalizzano gli impianti degli altri?) e che sarà a capitale pubblico. Non si sa come e in che tempi, posto che lo Stato è già azionista di due reti diverse. Di sicuro si dovrà pagare o la rete che si trova in Tim, o gli azionisti che detengono Tim, in entrambi i casi ricomprando quel che i soldi pubblici costruirono, malamente vendettero e ora riprendono quando necessita di investimenti. Per Ilva, che fu la pubblica Italsider e ora ribattezzata Acciaierie d’Italia, il clamore fa credere che il processo si sia concluso, mentre invece siamo al primo grado: inchiesta cominciata nel 2012 e dieci anni dopo siamo tenuti a considerare gli imputati presunti innocenti. Nel frattempo l’acciaieria è stata scassata, il capitale privato entrato non è stato costretto a mantenere fede ai patti e nel 2024 tornerà tutto pubblico. Ma c’è una forte pressione a rinazionalizzare immediatamente. Così, giusto per citare tre casi.

Lo Stato fa male il proprio dovere, ovvero regolare, controllare ed eventualmente giudicare, ma è sempre pronto a fare il mestiere degli altri, dell’impresa. Non c’è economia di mercato di questo mondo in cui non ci sia la presenza di capitali pubblici, sicché i puristi del privato hanno sbagliato mondo. Ma fare investimenti pubblici per far marciare settori in cui il ritorno economico è a lunga scadenza (si pensi alla ricerca scientifica o all’esplorazione spaziale) e usare i capitali pubblici per prendere quel che è fallito, sono cose diverse. E, quando si usano capitali pubblici, una cosa è gestirli in una logica privatistica, puntando al profitto e alla separazione con gli obiettivi politici, come fu nell’impostazione di Beneduce e Mattioli, nel secolo scorso, altra l’impiegarli in nome di una “socialità” che genera asociale accumulazione di debiti.

Adam Smith riteneva che l’egoistico desiderio di ricchezza conducesse con sé, guidato da una <<mano invisibile>>, un bene pubblico. La carne che mangi non la devi alla generosità, ma all’egoismo del macellaio. È passato del tempo, ma la logica è quella. Se lo Stato mobilita soldi pubblici, ovvero dei contribuenti, lo fa agendo da mano visibile, non può che dichiarare le proprie intenzioni. Quale è l’intenzione? Salvare l’impresa, salvare i posti di lavoro? Se l’egoismo porta con sé benefici, un tale (peloso) altruismo porta con sé malefici. Se quei soldi vanno persi, se la produzione, il volo, il servizio telefonico non sono competitivi, il risultato sarà la dilapidazione, l’indebitamento, comunque un maggiore prelievo fiscale. E non c’è nulla di più asociale che prendere i miei soldi per indurmi a consumare prodotti e servizi che non vorrei consumare, che non consumo, sicché li pago altrove e in più pago anche il conto dei fallimenti.

Eppure, se si parla di soldi privati viene in mente l’egoismo, mentre se si parla dei pubblici ricorrono i concetti di socialità e salvataggio. Trovare, in ciò, le differenze fra Meloni e Landini è da rubrica di enigmistica: ci sono, ma ci vuole occhio per vederle. Lo statalismo è ambidestro, non di destra o di sinistra.

La mano visibile fa la mano morta nella mia tasca. E non è piacevole. Quindi: il capitale pubblico può ben essere usato nel mercato, ma si dica prima con che strumento, finalità e in quali tempi, controllando poi che le cose non vadano diversamente e chiudendo per tempo quel che è fallimentare. Un po’ come capita con i fondi europei, che il cielo salvi i controllori e i vincoli. Si sarà più ricchi e più occupati a far quel che serve e/o piace.

La Ragione

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Colombia: un mostro energetico minaccia comunità e ambiente


La diga e la centrale idroelettrica di Hidroituango, in Colombia, promettevano sviluppo e benessere ma finora hanno provocato la morte del fiume Cauca, inondazioni e il trasferimento forzato degli indigeni e delle popolazioni locali L'articolo Colombia:

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 2 dicembre 2022 – Recentemente i media colombiani si sono concentrati sull’enorme serpente – un boa constrictor di oltre due metri – ritrovato nella sala turbine della centrale idroelettrica di Hidroituango. Ma è per altri motivi che centinaia di migliaia di persone tengono gli occhi puntati sull’enorme installazione, pronti a cogliere i segnali di una possibile catastrofe per mettersi in salvo.
Nelle ultime settimane, infatti, i lavori di completamento della diga e della centrale hanno subito una netta accelerazione per tentare di rispettare l’obiettivo di far entrare in funzione entro la fine di novembre almeno due delle otto turbineche, ad opera completata, dovranno trasformare la forza dell’acqua in elettricità. Nel caso in cui l’obiettivo non fosse stato raggiunto, l’impresa avrebbe dovuto pagare ingenti multe.

Un mostro idroelettrico
In costruzione ormai da molti anni tra ritardi, incidenti e promesse di sviluppo, la grande opera ha già provocato inondazioni, inquinamento e la distruzione dell’ecosistema dell’area della Colombia dove sorge, rappresentando una tetra minaccia per un vasto territorio.
Imbrigliare in un enorme bacino il Cauca – il secondo fiume più importante della Colombia dopo il Magdalena – ha condotto alla sparizione dei modi di vita tradizionali delle comunità che vivevano sulle sue sponde, e che si dedicavano alla pesca, all’agricoltura e all’estrazione artigianale dell’oro dalla sabbia. Neanche la valutazione di impatto ambientale, che ha messo in evidenza gli alti rischi connessi con le caratteristiche idrogeologiche di una zona altamente sismica e soggetta a smottamenti, ha impedito che l’EPM (la società pubblica Empresas Públicas de Medellín) continuasse la costruzione del gigante idroelettrico nel dipartimento di Antioquia, a circa 135 km da Medellín, nel nordest della Colombia.
Quando verrà ultimata, quella di Ituango sarà la diga più grande di tutto il paese e la quarta per importanza di tutta l’America Latina. Un progetto faraonico che ha bloccato il Cauca con un muro alto 225 metri – come un grattacielo di 80 piani – e lungo 560 in grado di contenere 20 milioni di metri cubi di acqua per produrre 14 mila gigawattora di energia all’anno. A regime – da previsioni, nel 2026 – la centrale dovrebbe produrre il 17% dell’energia totale del paese, permettendo di ridurre in modo consistente l’utilizzo di combustibili fossili e di abbassare il prezzo dell’elettricità.
Finora, però, i costi di realizzazione sono lievitati a dismisura, passando da 2 a 3,7 miliardi di euro. I lavori, iniziati nel 2009 e che inizialmente dovevano concludersi nel 2018, sono andati più a rilento del previsto a causa di una lunga sequela di errori ed incidenti.

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Un villaggio sommerso dalle acque del Cauca nel 2018

Nel 2018 si sfiorò la catastrofe
Nella primavera del 2018 si verificò l’incidente più grave e si sfiorò la tragedia: a causa dei detriti trasportati dal fiume dopo forti piogge e di alcune frane, i tunnel nei quali era convogliato il Cauca si ostruirono, e l’acqua cominciò a salire di livello nella diga e ad esercitare una forte pressione sul muro di contenimento non ancora ultimato. Per evitare il crollo della diga, la direzione dell’EPM decise di permettere lo sfogo dell’acqua attraverso la sala delle turbine, causandone la totale distruzione con un danno economico incalcolabile.
Pochi giorni dopo, però – era il 12 maggio – la pressione causò comunque la disostruzione di uno dei tunnel e l’acqua, irrompendo nel letto del fiume, inondò vasti territori a valle della diga spazzando via tutto ciò che incontrava. Numerosi comuni della zona dovettero essere evacuati; solo da tre municipi – Valdivia, Tarazá e Cáceres – furono sfollati circa 15 mila abitanti. Se la diga avesse ceduto circa 130 mila persone sarebbero state seriamente minacciate, ha ammesso recentemente Robinson Miranda, il direttore del settore sociale e ambientale delle Imprese Pubbliche di Medellín, durante una conversazione con alcuni giornalisti colombiani e stranieri. Una minaccia, ovviamente, che continua ad aleggiare sui territori a valle della centrale.
Delle famiglie evacuate nel 2018, circa 2500 ci hanno messo più di un anno a tornare alle proprie case, e comunque la forza dell’acqua ha distrutto decine di abitazioni, strade ed edifici pubblici soprattutto a Puerto Valdivia dove la scuola, l’ambulatorio e un ponte sono stati spazzati via e tuttora non sono ancora stati ricostruiti. A dar retta all’EPM tutti gli sfollati sono rientrati alle loro case, ma le testimonianze degli attivisti locali e dei giornalisti arrivati a Puerto Valdivia nelle ultime settimane raccontano di strade fantasma costellate di edifici in rovina che solo da qualche settimana hanno visto iniziare i lavori di ricostruzione.

Il rischio di una nuova catastrofe
Molte famiglie hanno abbandonato le loro case lungo il Cauca – dove tornano ogni tanto per controllare che i loro pochi averi non siano stati rubati – ed hanno dovuto prendere in affitto altre abitazioni sulle colline; troppa la paurache si ripeta ciò che è successo nel 2018 o che si verifichi un incidente ancora più devastante.
Una preoccupazione condivisa dal primo presidente di sinistra del paese; «Prima di accendere le turbine di Hidroituango si devono evacuare gli abitanti a rischio come misura di precauzione» ha scritto Gustavo Petro sulle reti sociali, raccogliendo gli appelli delle comunità e delle associazioni locali. Il pronunciamento della massima carica dello stato ha convinto le autorità locali a procedere all’evacuazione delle famiglie che vivono nella zona più vicina alla centrale nei giorni della messa in funzione delle prime due turbine. Nei giorni scorsi era stata la stessa la ministra delle Miniere e dell’Energia, Irene Velez, a citare il rischio di un cedimento della montagna al momento dell’entrata in funzione delle turbine, eventualità smentita dal governatore di Antioquia Anibal Gaviria.

Comunità sfollate ed ecosistemi danneggiati
“Incidenti” a parte, la realizzazione del colossale impianto ha provocato pesanti conseguenze ambientali sui territori circostanti e un irreversibile sconvolgimento degli ecosistemi.
Gli abitanti assicurano che dopo la realizzazione della diga il clima della regione è cambiato con un aumento dell’umidità che rende meno redditizia la coltivazione della yucca e del mais, le colture tradizionali della zona.
Inoltre negli ultimi anni la superficie del lago artificiale è stata ricoperta di giacinti d’acqua, una pianta galleggiante fortemente infestante che impedisce allo specchio d’acqua di ossigenarsi e fa da schermo alla luce del sole, danneggiando la flora e la fauna. La diffusione del giacinto d’acqua ha a sua volta provocato un ambiente adatto alla proliferazione delle zanzare che attraverso le loro punture trasmettono agli abitanti della zona il virus della leishmaniosi che causa ulcere, febbre, vomito e diarrea.

Negli ultimi anni, poi, la centrale ha più volte chiuso le paratie della diga prosciugando quasi completamente il fiume e provocando così la morte di decine di migliaia di pesci, con danni incalcolabili per l’intero ecosistema e per i pescatori che ancora riuscivano a sopravvivere sfruttando le acque del Cauca. L’opera artificiale, infine, ha distrutto i territori ancestrali degli indigeni Nutabe che, esclusi dai risarcimenti accordati alle comunità locali, si sono spesso ridotti a vivere ai margini dei centri abitati della zona, in una condizione di marginalità e sradicamento.

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Pesci morti nel Cauca in secca

Gli oppositori perseguitati
Contro la diga, sin dall’inizio dei lavori, si è sviluppata nella regione una forte opposizione, coordinata dal movimento “Rio Vivos” – fiumi vivi – che ha tentato negli anni di sviluppare iniziative di denuncia e sensibilizzazione, scontrandosi però con minacce e persecuzioni (spesso da parte di bande paramilitari evidentemente al servizio degli interessi economici che sostengono Hidroituango) che hanno obbligato molti attivisti e attiviste a fuggire dal dipartimento di Antioquia per rifugiarsi in altre regioni della Colombia quando non all’estero. È il caso ad esempio di Milena Florez, che ha dovuto cercare scampo a Barcellona insieme alla sua famiglia.
In alcuni casi le intimidazioni si sono limitate a minacce di morte telefoniche, ma spesso hanno preso la forma di minacce fisiche dirette nei confronti degli attivisti e dei loro familiari. Numerosi sono i leader della protesta che sono stati assassinatio che sono semplicemente spariti, allungando la triste lista dei desaparecidos.
I grandi sponsor del gigante idroelettrico – in particolare l’ex presidente Alvaro Uribe e l’ex governatore di Antioquia Sergio Fajardo – hanno sempre presentato la realizzazione della diga come un qualcosa di inevitabile e prioritario.
Dopo anni di lavori, quando le prime due turbine sono state testate, appare chiaro che l’unico risultato visibile del mostro energetico per ora è la distruzione di migliaia di ettari di foresta tropicale, il trasferimento forzato delle comunità locali, l’assassinio dei suoi leader politici e sociali, la distruzione dell’economia dei territori interessati e lo sconvolgimento di interi ecosistemi. Ammesso che non si verifichino altri incidenti gravi, ne sarà valsa la pena? – Pagine Esteri

4000479* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora anche con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Morti di lavoro, superate le mille vittime nel 2022. Va introdotto il reato di omicidio sul lavoro - Contropiano

"Dopo undici mesi i morti di lavoro in Italia hanno superato quota mille: al 30 novembre 2022 sono 1003, di cui 709 sul luogo di lavoro, 289 in itinere e 5 per Covid. La strage di lavoratrici e lavoratori va avanti così nel silenzio, rotto da qualche sussulto retorico della politica e del sindacalismo di maniera in occasione dei fatti più clamorosi."

contropiano.org/news/lavoro-co…

in reply to Giuseppe Pecoraro

Lavoro in edilizia e sulla sicurezza ci fanno un mazzo così. Un'ampia maggioranza dei morti è causata dal morto stesso che sceglie di non rispettare le norme di sicurezza oppure per distrazione. E posso confermarlo: io stesso sono stato testimone (e in un caso ahimè protagonista😱) di molti quasi infortuni che non hanno portato a nulla ma potenzialmente mortali
@Songase975


La Siria accusa: gli Usa ci rubano il petrolio


Mezza economia siriana in ginocchio per mancanza di carburante mentre, sostiene il governo di Damasco, Stati uniti e Sdf curde esportano illegalmente il petrolio siriano. Mistero intorno all'uccisione del leader dell'Isis Abu al Hasan al Quraishi. L'arti

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 2 dicembre 2022 – Sarebbe avvenuta a metà ottobre l’uccisione del leader dello Stato islamico, Abu al Hasan al Quraishi, durante un raid nella provincia siriana meridionale di Daraa compiuto dal cosiddetto Esercito siriano libero (Esl), la milizia anti Bashar Assad sostenuta da Turchia e Stati uniti. Ad affermarlo è il colonello Joe Buccino, portavoce del Centcom, il comando centrale Usa in Medio oriente, che ha descritto la morte di Abu al Hasan al Quraishi come «un altro colpo» allo Stato islamico. La versione di Buccino non convince. Da tempo l’Esl è quasi scomparso dalla provincia di Daraa tornata in buona parte sotto il controllo di Damasco. Pertanto, un suo raid in quella parte del paese all’unico scopo di eliminare il capo dell’Isis è quanto meno improbabile. Così come appare strana la presenza di Al Quraishi nel sud della Siria, lontano dal territorio desertico dell’est del paese dove l’Isis continua i suoi attacchi mordi e fuggi contro soldati siriani e combattenti curdi. Da parte sua lo Stato islamico conferma la morte del suo leader avvenuta, ha comunicato, durante non meglio precisati «combattimenti», senza indicare né il luogo né l’ora della sua morte. E ha già annunciato il nome del suo nuovo capo: Abu al Hussein al Husseini al Quraishi. Il leader ucciso aveva assunto la guida dell’organizzazione jihadista dopo che l’ex numero uno dell’Isis, Abu Ibrahim al Qurashi, era stato colpito a morte da un commando statunitense in Siria, lo scorso 3 febbraio.

La notizia della morte di Al Quraishi ha avuto un impatto ridotto rispetto a quello delle uccisioni dei suoi predecessori, in particolare l’emiro Abu Bakr al Baghdadi nel 2019, a conferma che per i media locali e internazionali l’Isis ha perduto gran parte della sua rilevanza. Ma lo Stato islamico non è scomparso. Non controlla più territori ma l’ampia zona desertica della Siria orientale è teatro quasi quotidiano dei suoi sanguinosi raid contro le forze governative. Quest’area è importante anche per i suoi contesi giacimenti di petrolio. Dopo il 2014 lo Stato islamico li sfruttò vendendo un po’ a tutti e basso costo il greggio siriano. Oggi Damasco, alle prese con la carenza di carburante – nonostante le assicurazioni di Teheran, l’ultima petroliera iraniana è giunta ai porti siriani un mese fa e mezza economia siriana è in ginocchio -, punta il dito contro gli Stati uniti. Una compagnia petrolifera statunitense, affermano le autorità siriane, ha firmato un accordo con l’autoproclamata autonomia curda che controlla i giacimenti petroliferi del nord-est della Siria, allo scopo di «rubare» il greggio. «Questo accordo è nullo e privo di fondamento legale» protesta Damasco che denuncia «la violazione della sovranità siriana».

La Siria produceva 380.000 barili di petrolio prima che scoppiasse la guerra interna nel 2011. Damasco da anni non controlla più la maggior parte dei giacimenti petroliferi in un’area da est del fiume Eufrate fino a Deir al-Zor. Inoltre, le sanzioni occidentali hanno colpito anche l’industria energetica. Washington mantiene circa 900 soldati in territorio siriano, divisi tra la base di Al Tanf e le zone con i pozzi di petrolio. Il Pentagono alla fine dell’anno scorso ha precisato che i proventi dell’estrazione del greggio vanno alle unità di combattimento (Sdf) curdo-arabe, alleate degli Stati uniti.

Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana, il 25 settembre le forze americane hanno contrabbandato 79 autocisterne cariche di petrolio dalla regione di Jazira all’Iraq attraverso il valico di frontiera non ufficiale di Al-Mahmoudiya nel Kurdistan iracheno dove sono presenti anche forze statunitensi. In precedenza, altre 60 autocisterne avevano raggiunto il nord dell’Iraq. Il ministero siriano del petrolio e delle risorse minerarie riferisce che gli Stati uniti hanno trasferito fuori dalla Siria una media di 66.000 barili di petrolio ogni giorno nella prima metà del 2022, ovvero oltre l’83% della produzione giornaliera del paese. Nello stesso periodo le raffinerie di petrolio nazionali hanno ricevuto solo 14.200 barili al giorno. Tra perdite dirette e indirette, Damasco calcola in 107 miliardi di dollari le risorse sottratte alla Siria dall’Isis e da Washington e i suoi alleati dal 2011. Pagine Esteri

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#uncaffèconluigieinaudi – Il ritmo del progresso può temporaneamente rallentarsi…


Il ritmo del progresso può temporaneamente rallentarsi, per una fatalità di eventi; ma […] non può interrompersi da Corriere della Sera, 27 giugno 1911 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi – Il ritmo del progresso può temporaneamente rallentarsi… proviene
Il ritmo del progresso può temporaneamente rallentarsi, per una fatalità di eventi; ma […] non può interrompersi


da Corriere della Sera, 27 giugno 1911

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