Il FMI deve intensificare gli sforzi per mantenere a galla l’Ucraina nel 2023
Il mondo è giustamente impressionato dalle vittorie inaspettate delle forze armate ucraine contro la Russia, e l’Occidente collettivo ha fornito all’Ucraina armi moderne in abbondanza. Eppure le armi da sole non bastano. Come ha sottolineato l’editorialista Niall Ferguson a settembre: “L’esercito ucraino potrebbe vincere. L’economia ucraina sta perdendo“. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, l’Occidente deve […]
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Iran: i religiosi hanno dichiarato guerra al proprio popolo
Una confraternita ristretta e privilegiata di leader religiosi ha monopolizzato il potere a Teheran dal 1979. Nella loro indifferenza ai cambiamenti nella società iraniana, questa vecchia guardia, nel tentativo di far risorgere i suoi giorni di gloria degli anni '80, ha nuovamente scatenato le odiate pattuglie della moralità su un popolo che non le avrebbe più accettate
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IRIDE, assegnati i contratti per il primo lotto della costellazione italiana
Sabato scorso sono stati assegnati i contratti per la costruzione del lotto iniziale di 22 satelliti multispettrali ad alta risoluzione della costellazione IRIDE. Gli elementi saranno realizzati in Italia in tutta la filiera, o almeno saranno costruiti nei perimetri nazionali i sottosistemi in cui si può assicurare un’autosufficienza e completata, secondo le regole del PNRR, […]
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Giovane ucciso dall’esercito israeliano a Dheisha, 212 i palestinesi morti nel 2022
di Elisa Brunelli
Pagine Esteri, 5 dicembre 2022 – Un nastro rosso con il simbolo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina avvolge la fronte di Omar Mannaa, mentre la bandiera palestinese ne copre il corpo esanime. Solo qualche giorno prima compariva in un video mentre preparava il pane nel piccolo forno in cui lavorava, nel cuore del campo profughi di Dheisha di Betlemme. All’alba di questa mattina, 5 dicembre, è stato ucciso durante un’incursione dell’esercito israeliano, operazione che si è conclusa con altri 6 feriti gravi e quattro arresti, tra cui il fratello di Omar. In tutto il territorio di Betlemme è in corso uno sciopero generale che accompagna il funerale del 22enne.
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Si allunga così la lista dei palestinesi uccisi quest’anno dall’esercito israeliano. Secondo le statistiche del Ministero della Salute palestinese, da inizio del 2022 si contano 212 vittime, 160 nei territori della Cisgiordania e 52 nella striscia di Gaza, in seguito alla guerra dei 3 giorni dello scorso agosto. Una trentina sono invece gli israeliani uccisi nello stesso periodo, in prevalenza in attacchi armati avvenuti la scorsa primavera a Tel Aviv e in altre città.
Frequenti, raccontano dal campo di Dheisha, sono le irruzioni dell’esercito in mezzo alle case che hanno sostituito confusionariamente le prime tende del ‘48. Le testimonianze di quattro generazioni di profughi cominciano dal dramma della Nakba per ricordare i carri armati dell’Intifada fino a raccontare le esistenze e le resistenze di oggi. La strada principale che arriva al campo è disseminata dai resti dell’ultima barricata data alle fiamme. La firma di alcuni giovani residenti per provare ad impedire i raid dentro il campo profughi da parte dei mezzi dell’esercito.
“Non trovo differenza tra la mia generazione e la loro. Non possiamo fare altro che continuare a resistere. Non abbiamo più nulla da perdere”, spiega Mahmoud Ramadan, oggi portavoce del campo. A 15 anni, durante la seconda Intifada, era stato ferito gravemente dai proiettili dell’Occupazione. I blindati israeliani stavano avanzando e, allora come oggi, anche i più giovani tentavano di impedire l’ennesimo attacco al campo. Ai lanci di pietre, i militari avevano risposto con il fuoco dei proiettili. Ramadan si era salvato miracolosamente, a differenza dei suoi compagni, dopo che uno di questi ha raggiunto, recidendola, la vena safena.
L’uccisione di Omar Mannaa si colloca all’interno di una più ampia operazione che ha coinvolto diverse zone dei Territori Occupati. Sono 17 i palestinesi detenuti nelle ultime ore dall’esercito dalle aree sotto controllo dell’Autorità Palestinese, riporta l’agenzia stampa palestinese WAFA.
Nel campo profughi di Jenin è stato arrestato Yhaya Al-Saadi, figlio di Bassaam Al-Saadi, il leader militare in Cisgiordania del gruppo armato del Jihad palestinese. Nella città di Ni’lin, a ovest di Ramallah tre persone sono state arrestate dopo il saccheggio delle loro case. Perquisizioni anche nelle abitazioni di al-Bireh, che si sono concluse con l’arresto di un adolescente. Altre otto persone sono state arrestate nel distretto di Hebron.
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Addameer, l’associazione per il sostegno ai prigionieri palestinesi all’interno delle carceri e nei centri di detenzione israeliani, si contano 4.760 prigionieri politici palestinesi, tra cui 160 minori, 33 donne. 820 quelli sottoposti a “detenzione amministrativa”, senza alcuna accusa né processi a carico. Pagine Esteri
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
🔸 #Scuola, iscrizioni per l’anno scolastico 2023/2024 dal 9 al 30 gennaio 2023
🔸 Varato il decreto ministeriale: 500 milioni agli ITS.
Ministero dell'Istruzione
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La fotografia di Yangkun Shi
La “nuova generazione” cinese ha vissuto un rapido sviluppo e sconvolgimenti politici. Il lavoro fotografico di Yangkun Shi rappresenta visivamente uno scorcio delle ambizioni e delle problematiche dei giovani cinesi. Una fotografia che unisce documentalismo e ricerca personale, concentrandosi su tematiche inerenti la relazione del singolo nei confronti della società.
fotografiaartistica.it/la-foto…
Ritardati
Avevano cominciato durante la campagna elettorale: il Pnrr va cambiato e l’Italia è in ritardo. Il governo Draghi smentiva i ritardi, del resto non rilevati dai controlli della Commissione Ue, mentre avvertiva che quasi tutto era già stato messo a gara, sicché c’era poco di modificabile. Poi sono arrivati al governo e i cambiamenti sono cambiati, accantonando i contenuti e concentrandosi sui valori economici, visto che i prezzi di talune materie prime erano cresciuti. E questo è tanto ragionevole quanto già previsto. Al governo, però, taluni ministri si sono messi a sostenere che i ritardi erano gravi e l’Italia non avrebbe mai e poi mai potuto rispettare tutti gli impegni nei tempi previsti. Taluni (come Fitto) lo sosteneva con aria contrita, talaltro (Salvini) con l’audace profilo di chi ha trovato un motivo per polemizzare con l’Ue. Anche se i ritardi sono italiani. Menti in anticipo sui controlli o attardate in campagna elettorale? Fatto è che ieri ha parlato il ministro dell’Economia, Giorgetti: l’Italia rispetterà tutti gli impegni di fine anno. Converranno con noi che le due versioni sono in vago contrasto.
Il guaio è che dei passi ritardati ci sono eccome. Delle direzioni sbagliate sono state imboccate e il rischio del danno grave, all’Italia, è reale. Il Pnrr non è solo un elenco di spese e realizzazioni, talché taluno si chiede se saremo capaci di spendere una tale montagna di soldi. Evidentemente non cogliendo il lato imbarazzante e grottesco di un simile dubitare. Il Pnrr genererà risultati effettivamente rivoluzionari, disincagliandoci da lustri di crescita asfittica, solo al combinarsi di tre fattori: 1. la capacità di investire, senza ritardi e sprechi, i soldi forniti dall’Unione europea, a fondo perduto e a tassi agevolati; 2. la sollecitazione che quegli investimenti devono esercitare sugli investimenti privati, sommandone e sperabilmente moltiplicandone la forza propulsiva; 3. le riforme che prosciughino il pantano in cui l’Italia era finita, non facendo correre rischi alla locomotiva ripartita.
Sul primo punto si è detto e si vedrà. Vogliamo sperare abbia ragione Giorgetti. Il secondo arriva con l’apertura effettiva dei cantieri, e ci siamo. Il terzo non è solo in ritardo, ma in parte interdetto. E, per la miseria, non sarà stato certo il prezzo del gas a far ritardare o contraddire governo e Parlamento. Il che si conferma prendendo alcuni temi rivelatori. Tutti i raziocinanti sanno che, con questa leva demografica, il sistema delle pensioni non regge, difatti tutti parlano di riforme, in un cantiere sempiterno che somiglia all’ammuina. L’ultima riforma con questo nome fu la Fornero. Da lì in poi si lavora con sospensioni, ritocchi, proroghe, aggiustamenti, ammiccamenti e via andare. E lo si sta facendo anche ora con la legge di bilancio. Ma non sono riforme, sono echi ritardati di campagna elettorale.
La crescita chiede digitalizzazione, ma il solo provvedimento preso va in direzione opposta, concedendo di non usarla per incassare (con un limite a 60 euro che somiglia troppo alla richiesta dei tassisti romani per una corsa fuori dal raccordo). Non casca il mondo, ma casca la maschera. La crescita chiede giustizia funzionante e, come detto dal ministro della giustizia, Nordio, farla funzionare significa anche depenalizzare quel che non ha senso sia reato. Ma il primo atto è stata la pasticciata istituzione di un nuovo reato. Il reddito di cittadinanza divide le fazioni, ma tutti ripetono che va fatta la riforma di uffici del lavoro e formazione, ma si vedono solo gli aggiustamenti del reddito, senza le riforme ripetute come poesiole.
Eppure un governo politico dovrebbe essere più bravo di uno tecnico, nell’avviare le riforme. Un Parlamento con una maggioranza chiara più efficiente. Un’opposizione che poi voglia governare più interessata a disegnare il futuro, senza pensare che proporre e inciuciare siano sinonimi. Tutti terreni ritardati. Senza altra scusa se non l’ossessione della propaganda.
L'articolo Ritardati proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Decretato
Hanno sbagliato. Non è successo niente, non ci sono stati danni, perché era inutile prima, durante e dopo. Ma da quel che è successo va tratto insegnamento.
Che il così detto “decreto rave” fosse sbagliato era evidente. Il ministro della giustizia, che c’entra nulla perché scavalcato, lo ammette candidamente. Il guaio è che il decreto legge è il solo strumento di cui il governo dispone per legiferare autonomamente, salvo ratifica non oltre i 60 giorni. Può farlo solo se necessario e urgente. In questo caso: né l’uno né l’altro. Che lo stesso estensore di quel che è urgente e necessario lo modifichi, è grottesco. Il tutto solo per ottenere della propaganda dozzinale, indirizzata a chi non sa nulla di diritto.
Non è la prima volta che capita e questo non è il primo governo. L’eccesso di decretazione evidenzia un problema legislativo. Decretare male un problema di cultura. Decretare inutilmente il politicantismo. Posto e decretato che questo è stato un errore, lo si usi per non ricascarci.
La Ragione
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Donne e diritto romano d’Oriente nel periodo giustinianeo
Status delle donne e diritto romano orientale La condizione giuridica delle donne nella società romana rivela una situazione asimmetrica e variegata in quanto legata all’estrazione sociale (libera o schiava, patrizia o plebea) e alle caratteristicheContinue reading
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Il 6 dicembre alle ore 15.00, presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Ministro Giuseppe Valditara presenterà il Piano per l’edilizia scolastica.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Il 6 dicembre alle ore 15.00, presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Ministro Giuseppe Valditara presenterà il Piano per l’edilizia scolastica. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
IRAN. Abolita la “polizia morale” ma Teheran non conferma. Tre giorni di nuove mobilitazioni
di Valeria Cagnazzo*
Pagine Esteri, 5 dicembre 2022 – Per tre giorni a partire da oggi uno sciopero generale bloccherà le attività commerciali in Iran. A indirlo sono stati nella giornata di ieri gli attivisti che da oltre undici settimane a questa parte portano avanti le proteste che stanno infiammando il Paese. La rabbia per il decesso di Mahsa Amini, ventiduenne di origine curda morta il 16 settembre in una stazione di polizia dopo l’arresto perché non indossava bene il velo, non si è ancora sedata. I manifestanti intanto non allentano la pressione sul governo. Per i prossimi tre giorni, oltre a invitare i commercianti a tenere abbassate le serrande dei loro negozi, chiedono alla popolazione di boicottare qualsiasi attività economica. L’apice di queste giornate dovrebbe essere raggiunto mercoledì 7 dicembre, con una protesta di massa in occasione della visita del Presidente Ebrahim Raisi all’Università di Teheran per le celebrazioni della “Giornata dello studente”.
Quando a metà settembre gli iraniani si sono lanciati in strada in segno di protesta per la presunta uccisione di Amini, nessuno avrebbe previsto che le manifestazioni si sarebbero protratte per oltre due mesi mettendo il Paese a ferro e fuoco con una delle più grandi insurrezioni popolari dalla rivoluzione khomeinista del 1979.
Mahsa Amini si trovava a Teheran in visita a suo fratello quando la “polizia della moralità”, l’organo del governo che si occupa di vigilare sulla condotta e sull’abbigliamento degli iraniani, l’ha arrestata perché il suo velo copriva la tua testa in maniera blanda, lasciando scoperti i capelli sulla fronte. Due ore dopo, la ragazza, che nella sua famiglia veniva chiamata con il suo nome curdo Jina (pronunciato Zhina), secondo quanto riferito dalle autorità avrebbe avuto un infarto e una crisi epilettica nella stazione di polizia dove era stata condotta. Dopo tre giorni di coma, la studentessa è morta nell’Ospedale Kasra di Teheran, secondo i familiari per le torture subite durante l’arresto.
Nel Paese gli arresti e le violenze della polizia della moralità in nome del rispetto della “sharia” sono all’ordine del giorno, e forse proprio per questo l’uccisione di Mahsa Amini è finita per scatenare un’indignazione inedita. “Chiunque avrebbe potuto essere al suo posto”, hanno commentato gli attivisti sui social. Dal 16 settembre, per le strade le fila dei manifestanti contro il governo di Raisi e contro i suoi bracci armati continuano a ingrossarsi, le donne sfilano accanto agli uomini togliendosi il velo e dandogli fuoco e su Twitter si sono tagliate i capelli “per Mahsa”.
L’esito delle proteste è un fiume di sangue. Secondo l’agenzia HRANA (Human Rights Activist News Agency), da settembre al 3 dicembre almeno 470 manifestanti sarebbero stati uccisi dalla polizia. Tra di loro, ci sarebbero 64 minorenni. I poliziotti uccisi sarebbero al momento 61. Oltre alla mattanza di attivisti, ingenti sono stati anche gli arresti. Sempre secondo HRANA, 18.210 manifestanti sarebbero finiti dietro alle sbarre per aver partecipato alle proteste o per aver espresso critiche online nei confronti del governo.
Un governo che ha smesso di negare l’entità della crisi che l’ha travolto e che sabato scorso ha ammesso, nella persona del Ministro dell’interno, che nelle proteste degli iraniani ci sarebbero state numerose vittime, circa 200 persone secondo le sue stime. Poco più tardi, si sarebbe persino spinto oltre.
E’ di sabato 3 dicembre, infatti, la notizia che la polizia morale iraniana sarebbe stata abolita. A rilanciarla, tra gli altri, Reuters e Al Jazeera, per quanto finora non siano ancora giunte conferme ufficiali da parte del governo di Teheran. Un esito inaspettato e probabilmente insperato anche da parte di gran parte dei manifestanti che da due mesi e mezzo rischiano la vita chiedendo diritti e libertà.
Ad annunciarlo sarebbe stato il Procuratore Generale Mohammad Jafar Montazeri, durante un evento sulla “guerra ibrida nelle recenti rivolte”. Secondo l’agenzia Iranian Labor Agency, intervistato a proposito della polizia morale avrebbe risposto “E’ stata la stessa autorità che l’ha fondata a smantellarla”. Il ministero dell’interno, che è l’organo che effettivamente controlla il corpo dei poliziotti morali, non ha al momento rilasciato né conferme né smentite. Montazeri si sarebbe premurato poi di aggiungere che l’autorità giudiziaria avrebbe continuato a vigilare sulla condotta morale della popolazione.
Sul corpo delle donne iraniane il governo vigila con rigore sin dalla rivoluzione dell’ayatollah Khomeini. E’ contro di lui soprattutto che la folla si scagliava nel giorno del funerale di Mahsa Amini, come principale responsabile della morte della ragazza. Qualsiasi trasgressione da allora può essere punita con l’arresto e con qualunque forma di violenza e di tortura. E’ solo sotto il governo di Mahmoud Ahmadinejad nel 2006, però, che è stato formalmente istituito un corpo di polizia a se stante deputato esclusivamente al controllo del rispetto delle leggi comportamentali della sharia.
La cosiddetta “polizia della moralità”, “Gasht-e-Ershad” in persiano, da allora controlla che le donne indossino adeguatamente il velo, ovvero senza lasciare scoperti i capelli, e che i loro abiti non lascino intuire le forme del loro corpo e le loro maniche coprano le braccia fino ai polsi. Vigila, inoltre, anche sul consumo di alcool, sulle effusioni in pubblico, sugli incontri di uomini e donne che non siano imparentati tra di loro. Ciascuna di queste azioni può comportare una multa o addirittura la detenzione, e sempre più testimonianze negli anni hanno riferito di torture e violenze da parte dei poliziotti morali ai danni delle donne, dentro e fuori le stazioni di polizia.
Diverse proteste e mobilizzazioni social della società civile iraniana hanno provato negli ultimi anni a contestare l’utilizzo di questo strumento di violenza per reprimere i diritti delle donne iraniane e non solo e, in generale, l’imposizione dell’hijab. Nel 2016, era stata creata addirittura una app per android, “Gershad”, per aiutare le donne a evitare la “polizia della moralità”, segnalando i siti di pattugliamento su una mappa virtuale.
Sul sito di Play Store, nelle informazioni della app, i cui programmatori sono rimasti anonimi, si legge “Gershad è una mappa di diverse città dell’Iran, insieme a informazioni aggiornate sugli ultimi luoghi in cui è presente la pattuglia dell’Irshad. Osservando la mappa della città in cui vivi, puoi scegliere percorsi che hanno meno probabilità di essere presidiati. Allo stesso tempo, quando ti imbatti in una visita guidata in una parte della città, puoi facilmente segnare la sua posizione a Gershad in pochi secondi e salvare altri cittadini dall’essere intrappolati”. L’app fu bloccata poco dopo il suo lancio.
Adesso ad essere bloccata sarebbe stata finalmente la “polizia della moralità”, al prezzo di centinaia di morti e migliaia di arresti. Secondo molti attivisti, tuttavia, questa presunta “soppressione” potrebbe equivalere semplicemente a un atto “formale” mirato a distrarre l’opinione pubblica internazionale, che aveva condannato negli scorsi mesi la repressione delle manifestazioni in Iran e l’utilizzo della violenza per imporre il velo. L’organismo potrebbe, di fatto, ricostituirsi con un nuovo nome, o le sue “competenze” essere affidate ad altre forze di polizia.
Nessuno, d’altronde, ha annunciato che le donne iraniane saranno liberate dall’imposizione del velo in pubblico, hanno osservato diversi attivisti in rete. Non è solo contro il velo o la polizia della moralità, d’altronde, che stanno protestando da settembre, hanno osservato in molti, ma per porre fine al regime islamico in Iran. La notizia dell’abolizione del corpo di polizia potrebbe comportare quindi un grave danno all’esito delle loro manifestazioni, piuttosto che avere i risvolti positivi che dall’osservatorio occidentale sembrerebbe avere.
It’s disinformation that Islamic Republic of Iran has abolished it’s morality police. It’s a tactic to stop the uprising.
Protesters are not facing guns and bullets to abolish morality police or forced hijab.They want to end Islamic regime.#MahsaAmini
pic.twitter.com/qRcY0Kaepc pic.twitter.com/6ShBqnSbMn— Masih Alinejad 🏳️ (@AlinejadMasih) December 4, 2022
Lo smantellamento delle pattuglie dell’Ershad potrebbe essere soltanto lo specchietto per le allodole progettato dal governo di Raisi per allontanare gli occhi internazionali dalle strade insanguinate dall’Iran, temono gli attivisti. Un atto pseudo-liberale per convincere delle buone intenzioni del regime. La ratifica della sospensione, transitoria o meno, dei poliziotti della moralità rischierebbe in tal caso di avere come unico effetto quello di spegnere drammaticamente i riflettori sui volti delle donne e degli uomini che in Iran invocano la caduta del governo, condannandoli alla repressione più violenta nel silenzio del mondo. Pagine Esteri
*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993), praticante pubblicista, è un medico in formazione specialistica in Pediatria a Bologna. Come medico volontario è stata in Grecia, Libano ed Etiopia. Ha pubblicato libri di poesie ottenendo numerosi riconoscimenti e premi.
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VIDEO. Bahrain: re Hamad accoglie il presidente israeliano Herzog, la popolazione lo contesta
della redazione
Pagine Esteri, 4 dicembre – Il presidente israeliano Isaac Herzog ha visitato oggi il Bahrain dove ha incontrato il re, Hamad bin Isa Al Khalifa. I colloqui si sono incentrati sull’espansione delle relazioni bilaterali, cominciate in maniera ufficiale dopo la firma degli Accordi di Abramo tra Israele e quattro paesi arabi nel 2020. Herzog ha descritto il suo viaggio come un «momento di grande importanza» per il Medio Oriente. Il presidente israeliano – che viaggia accompagnato da una delegazione di rappresentanti dell’industria e delle imprese – domani sarà ospite del presidente degli Emirati Arabi Uniti (Uae), Mohamed bin Zayed al Nahyan. L’incontro dovrebbe includere colloqui sulla cooperazione nel settore spaziale. Accolto con calore dal re del Bahrain, Herzog invece è stato duramente contestato dalla popolazione bahranita che sostiene i palestinesi e i loro diritti.
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CISGIORDANIA. 5 palestinesi uccisi. Lapid chiede di fermare la Corte Penale Internazionale
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 30 novembre, 2022 – Giunto ai suoi ultimi giorni da primo ministro, Yair Lapid ha inviato una lettera a più di 50 capi di stato e di governo in cui esorta a fermare i palestinesi intenzionati a sollecitare le Nazioni unite ad applicare la risoluzione approvata all’inizio di novembre che chiede il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sull’occupazione militare israeliana, la colonizzazione ebraica e i piani di annessione allo Stato ebraico del territorio palestinese. Secondo Lapid sarebbe in atto «uno sforzo concertato contro Israele, per screditare le legittime preoccupazioni degli israeliani sulla sicurezza e per delegittimare l’esistenza» dello Stato ebraico.
Il premier israeliano uscente, un paio di mesi fa, si era detto a favore della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Ma questa soluzione non potrà mai essere realizzata se prima non avrà termine l’occupazione militare israeliana dei territori di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est cominciata nel 1967. Occupazione presente in ogni momento dell’esistenza degli occupati e che ha colpito anche ieri: quattro palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante incursioni in Cisgiordania alla ricerca, afferma Tel Aviv, di «sospetti terroristi». A Kafr Ein sono stati uccisi due fratelli, Zafer e Jawad Rimawi. A Beit Ummar (Hebron) è stato colpito a morte Mufid Khalil. Il poliziotto dell’Anp Raed al Naasan è stato ucciso durante scontri nel villaggio di Al Mughayer (Ramallah).
I funerali di due dei cinque palestinesi uccisi, foto WAFA
Un quinto palestinese, Rani Fayez, è stato ucciso a Betunia dopo che, stando al bollettino diffuso dal portavoce dell’esercito, aveva investito intenzionalmente con la sua automobile e ferito gravemente una soldatessa israeliana appena uscita da un parcheggio. Inseguito, Fayez è morto sotto i colpi d’arma da fuoco sparati dalla polizia israeliana. Il portavoce militare ha spiegato le uccisioni come atti di «legittima difesa». Diverso il giudizio dei palestinesi della Cisgiordania. Il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Muhammad Shtayyeh ha definito «un crimine atroce» l’uccisione dei due fratelli. «Siamo di fronte a una escalation – ha detto – che porta il presagio di grandi pericoli». «Con la continua dichiarazione di guerra al nostro popolo, chiediamo ai paesi del mondo di intervenire con urgenza per fermare e frenare la macchina per uccidere israeliana».
L’escalation di questi ultimi giorni, segnati anche da un attentato a Gerusalemme Ovest in cui sono morti due israeliani, rischia di aggravarsi nelle prossime settimane quando la palla passerà al nuovo governo di estrema destra che sta formando Benyamin Netanyahu. Preoccupa più di tutto l’incarico di futuro ministro della Pubblica Sicurezza, con poteri speciali, assegnato a Itamar ben Gvir, il leader del partito razzista Otzmah Yehudit. Stando ai media israeliani i comandi militari hanno avvertito Netanyahu che la situazione potrebbe precipitare in una terza Intifada palestinese se ci saranno provocazioni da parte dei suoi ministri ultranazionalisti.
Nella regione intanto cresce il rischio di una nuova guerra. Manovre aeree che simuleranno attacchi contro le centrali nucleari iraniane sono state avviate ieri dalle aviazioni militari di Israele e Stati Uniti. Si tratta di una delle esercitazioni congiunte più ampie ed impegnative degli ultimi anni. Pagine Esteri
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#uncaffèconluigieinaudi – Poiché si vuole la sorveglianza…
Poiché si vuole la sorveglianza, si tratta solo di determinare le modalità della sorveglianza; affidandola ad organi tecnici che riscuoterebbero la fiducia degli enti sorveglianti e garantirebbero pienamente gli interessi pubblici
da Corriere della Sera, 1 giugno 1913
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Ma Schlein, qualche volta, va a comprare il pane?
Un partito che esce a pezzi dalle elezioni, dovrebbe dire dove vuole andare, cosa fare, da che parte vuole stare. Schlein malgrado tutto non lo dice
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PD: nomi nuovi, partito vecchio
Vorticoso lavorio dietro i candidati del 'rinnovamento' del partito democratico. Mentre Meloni sembra possa dormire sonni tranquilli, Berlusconi e Salvini abbaiano ma non mordono, e Calenda può sempre nel caso venire in soccorso
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Puo' un miliardario comprare il "Fediverso"?
Siccome Musk ha comprato Twitter, allora c'e' in questi giorni una massiccia migrazione di utenti verso il Fediverso. Per carita', ne abbiamo gia' viste, e il risultato e' che dopo qualche tempo gli…Tumblr
VIDEO. Bahrain: re Hamad accoglie il presidente israeliano Herzog, la popolazione lo contesta
della redazione
Pagine Esteri, 4 dicembre – Il presidente israeliano Isaac Herzog ha visitato oggi il Bahrain dove ha incontrato il re, Hamad bin Isa Al Khalifa. I colloqui si sono incentrati sull’espansione delle relazioni bilaterali, cominciate in maniera ufficiale dopo la firma degli Accordi di Abramo tra Israele e quattro paesi arabi nel 2020. Herzog ha descritto il suo viaggio come un «momento di grande importanza» per il Medio Oriente. Il presidente israeliano – che viaggia accompagnato da una delegazione di rappresentanti dell’industria e delle imprese – domani sarà ospite del presidente degli Emirati Arabi Uniti (Uae), Mohamed bin Zayed al Nahyan. L’incontro dovrebbe includere colloqui sulla cooperazione nel settore spaziale. Accolto con calore dal re del Bahrain, Herzog invece è stato duramente contestato dalla popolazione bahranita che sostiene i palestinesi e i loro diritti.
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MONDIALI IN QATAR. I tifosi arabi stanno con i palestinesi. I governi con Israele
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 28 novembre 2022 – Tra proteste per le morti sui cantieri degli stadi e lo sfruttamento dei manovali stranieri in Qatar, le polemiche per il mancato sostegno della Fifa ai diritti Lgbt+ e ai diritti umani nel Golfo, senza dimenticare l’inno non cantato e poi cantato dai calciatori della nazionale iraniana e altro ancora, questi Mondiali si stanno rivelando i più politicizzati della storia del calcio. Saranno però ricordati anche come la prova del fallimento di uno degli obiettivi degli Accordi di Abramo del 2020 tra Israele e quattro paesi arabi: integrare la popolazione dello Stato ebraico nella regione e far dimenticare i diritti dei palestinesi sotto occupazione. Invece le intese firmate di due anni fa confermano di aver rappresentato solo una ridefinizione dell’ordine regionale in senso anti-Iran e un accordo strategico tra governi. I cittadini arabi, o almeno i tifosi giunti in Qatar, non sembrano aver cambiato opinione su Israele e i diritti dei palestinesi.
È ancora vivo il ricordo della soddisfazione espressa a giugno, dopo mesi di colloqui con la Fifa, dai leader israeliani sul via libera all’ingresso in Qatar dei tifosi dello Stato ebraico con voli diretti Tel Aviv – Doha. «L’amore per il calcio e lo sport collega persone e Stati e la Coppa del Mondo ci apre una nuova porta per stringere legami», commentò l’allora ministro degli esteri israeliano Yair Lapid. I fatti lo smentiscono. La normalizzazione nelle strade non c’è stata, perché, saranno cambiate tante cose in Medio oriente in questi decenni e negli ultimi anni, ma i cittadini arabi conoscono quello che accade ogni giorno nei Territori palestinesi occupati. E forse, anche per questo, l’Arabia saudita, il peso massimo arabo, esita ad unirsi agli Accordi di Abramo e preferisce tenere dietro le quinte le relazioni che ha allacciato con Israele.
Non sorprende perciò che i giornalisti israeliani in Qatar stiano facendo una fatica enorme per intervistare i tifosi arabi che, con buone e brutte maniere, si allontanano da loro. Sui social circolano video di tifosi arabi che scappano via, spesso inneggiando alla Palestina, non appena si rendono conto di essere stati avvicinati da giornalisti e operatori di tv israeliane. «Speriamo che, dopo la Coppa del Mondo, chiudano la rotta aerea (Tel Aviv – Doha, ndr) – si è augurato Khaled al Omri, un saudita, parlando con la Reuters. «Certo – ha aggiunto – la maggior parte dei paesi del mondo arabo procede verso la normalizzazione ma questo avviene perché la maggior parte di essi non ha governanti che ascoltano la loro gente». Parole ripetute da altri tifosi arabi presenti a Doha, ben lontane da quelle del comunicato diffuso dal Dipartimento di Stato Usa che ha descritto i voli diretti tra Israele e Qatar «promettenti per il rafforzamento dei legami interpersonali e le relazioni economiche».
Espliciti sono stati in modo particolari alcuni tifosi libanesi. Le loro dichiarazioni hanno fatto il giro del web. Avvicinati da un giornalista della rete israeliana Canale 12, che precisa subito di venire da Israele, si allontanano scuotendo la testa, quindi si rivolgono al giornalista: «Israele non esiste – gli dice uno tifosi – si chiama Palestina». Certo il Libano era e resta in stato di guerra con Israele ma anche Asil Sharayah, un giovane giunto dalla Giordania, che invece con Israele ha un trattato di pace dal 1994, ha escluso di poter parlare con israeliani: «Le loro politiche stanno chiudendo la porta a qualsiasi opportunità per maggiori legami tra i paesi». Altri tifosi arabi hanno anche cantato «Con l’anima e il sangue, ci sacrifichiamo per la Palestina». I palestinesi ringraziano. Ai Mondiali la loro nazionale non c’è ma l’appoggio dei tifosi arabi è una boccata d’ossigeno. A Gaza il tifo è tutto per il Qatar, paese che dal 2013 ha donato a questo lembo di terra sotto blocco israeliano oltre un miliardo di dollari. Pagine Esteri
L'articolo MONDIALI IN QATAR. I tifosi arabi stanno con i palestinesi. I governi con Israele proviene da Pagine Esteri.
ILO. Nelle economie capitaliste crollano i salari. In Italia peggio di tutti - Contropiano
"Il rapporto mostra che l’impatto dell’inflazione sul costo della vita è maggiore per i lavoratori a basso reddito. Questo gruppo di lavoratori utilizza la maggior parte del reddito disponibile in beni e servizi essenziali, che in genere subiscono aumenti di prezzo maggiori rispetto ai beni non essenziali."
filobus aka hecatonchiri reshared this.
Promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana
Ecco la seconda traduzione dalla newsletter di #RecuperarLaCiudad (Riprendersi la città)
Qui sotto trovate la traduzione parziale della newsletter del 25 novembre 2022 intitolata:
Come promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana
A partire da uno studio sulle caratteristiche delle infrastrutture ciclabili olandesi, danesi e tedesche, l’articolo presenta alcune delle misure di pianificazione urbana necessarie a garantire un uso comodo e sicuro della #bicicletta in città.
Il testo completo dell’articolo si può scaricare da qui:
nilocram.eu/edu/Riprendersi-la…
Buona lettura e... pedalate piano 😀
Come promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana
"Se lo costruisci, allora verranno", dice una voce nel film "Field of Dreams" (1989) a Kevin Costner. Questa regola si applica spesso al settore della mobilità: quando si costruisce un'infrastruttura, compaiono i suoi utenti. Questo fenomeno è noto come domanda indotta (l'offerta di un bene ne aumenta il consumo).
La domanda indotta spiega, tra l'altro, come l'aumento delle infrastrutture automobilistiche sia una misura inutile per ridurre la congestione, che anzi aumenta. La domanda indotta può essere utilizzata per promuovere la mobilità sostenibile? Per rispondere a questa domanda, nel 2008 John Pucher e Ralph Buehler hanno condotto un’ analisi bibliografica presso la Rutgers University, esaminando le caratteristiche delle infrastrutture ciclabili olandesi, danesi e tedesche.
Spoiler: può funzionare e funziona benissimo.
Uso massiccio della bicicletta
I tre Paesi presi in esame erano, al momento dello studio, i tre Paesi europei con i più alti livelli di mobilità ciclistica. Gli spostamenti giornalieri in bicicletta (con distanze medie massime di 2,5 km nei Paesi Bassi, 1,6 km in Danimarca e 0,9 km in Germania), queti paesi sono anche quelli con la più alta percentuale di spostamenti effettuati pedalando (27% nei Paesi Bassi, 18% in Danimarca e 10% in Germania).
Tuttavia, non è sempre stato così. Tra il 1950 e il 1975 il numero di spostamenti in bicicletta in tutti e tre i Paesi è diminuito dal 50-85% degli spostamenti a solo il 14-35%, un periodo che coincide con la promozione dell'uso dell'automobile da parte di tutti e tre gli Stati, aumentando la capacità delle strade e aumentando l'offerta di parcheggi. Se le costruisci, allora verranno. I governi si sono resi conto dell'errore e hanno cercato di correggere le tendenze.
A metà degli anni '70 le politiche di mobilità sono cambiate, concentrandosi sui pedoni, la bicicletta e il trasporto pubblico. La maggior parte delle città ha migliorato le infrastrutture ciclabili, ha introdotto restrizioni all'uso dell'auto e ne ha reso più costoso l'utilizzo. Tra il 1975 e il 1995, l'uso della bicicletta ha raggiunto il 20-43% di tutti gli spostamenti in tutti e tre i Paesi. Il caso di Berlino è particolarmente impressionante, con un aumento del 275% degli spostamenti in bicicletta tra il 1975 e il 2001. [...]
Qui il testo completo dell’articolo:
nilocram.eu/edu/Riprendersi-la…
@Informa Pirata @Marcos Martínez @Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋
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Etiopia, le Forze del Tigray si ritirano, gli Eritrei continuano con Crimini e Violenze
L’OMS venerdì 2 dicembre ha dichiarato che non ha ancora pieno accesso a tutte le aree in Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etiopia.
Mike Ryan, il direttore delle emergenze dell’OMS in conferenza stampa ha dichiarato:
“Quel processo di pace non ha ancora portato al tipo di pieno accesso, accesso illimitato e alla massiccia assistenza medica e sanitaria di cui la gente del Tigray ha bisogno”
Si aggiungono le dichiarazioni anche del Dr. Kibrom, direttore esecutivo dell’ Ayder Hospital di Mekelle:
“Anche noi dell’ Ayder Hospital stiamo ancora aspettando. Ringraziamo ICRC Ethiopia (un partner vero e affidabile) per aver trasportato i nostri materiali per la dialisi e l’insulina da Addis a #Mekelle.”
Mike Ryan ha aggiunto che ci sono stati problemi nell’ovest del Tigray nelle aree sotto il controllo delle milizie e in altre aree controllate dalle truppe eritree:
“Ci sono ancora parti significative del paese che sono occupate dalle forze eritree, per le quali non c’è accesso, e rapporti molto inquietanti emergono intorno alle esperienze delle persone lì”
Approfondimento: Etiopia, continuano violenze e abusi dell’Eritrea in Tigray nonostante l’accordo di Pretoria
Un mese fa esatto, 2 novembre, è stato firmato l’accordo di tregua a Pretoria, Sud Africa, tra governo etiope e rappresentanti del Tigray.
Le truppe dell’Eritrea, a nord, e le forze della vicina regione etiope di Amhara, a sud, hanno combattuto a fianco dell’esercito etiope nel Tigray, ma non hanno aderito al cessate il fuoco e non sono nemmeno state incluse nei tavoli di negoziato.
Nell’accordo i punti espliciti:
- immediato accesso umanitario alla regione;
- ritiro delle “forze straniere” dalla regione: eritrei, forze speciali e milizie amhara, Fano, non nominate esplicitamente nell’accordo;
In aggiunta come punti focali il disarmo delle forze del Tigray e la presa di controllo delle aree da parte dell’ENDF, Ethiopian National Defence Forces, l’esercito federale.
Il giorno 1 dicembre l’ufficio comunicazione del Gov. etiope condivide un comunicato indicando che si è riunito nella città di Shire il Comitato misto di pianificazione tecnica che dovrebbe delineare il piano dettagliato per il disarmo dei combattenti del Tigray.
Il ritiro delle forze partigiane del Tigray lo hanno dichiarato con comunicati ufficiali sempre lo stesso giorno:
Sulla pagina facebook la dichiarazione del TPLF – Tigray People’s Liberation Front, qui uno stralcio:
“L’esercito del Tigray ha iniziato a lasciare i fronti di guerra…A seguito dell’accordo di pace raggiunto tra il Tigray e i governi etiope a Pretoria, Sudafrica, Nairobi, Kenya, nella città di Nairobi, secondo il documento di attuazione firmato tra il Tigray ed il governo etiope, l’esercito del Tigray comandanti supremi, a Nairobi.
Stanno iniziando a partire [le forze del Tigray] dal fronte, ovvero dal sud, Mai Kinetal, Zalambessa, Nebelet, Chercher, Kukufto, Higumbirda, Beriteulay e Abergele.”
Tigray TV pubblica un video condividendo la notizia del ritiro delle forze del Tigray.
- “ስምምዕነት ተፃብኦ ደው ምባል ንምትግባር ሰራዊት ትግራይ ካብ ዝተፈላለዩ ከባቢታት መስመር ውግእ ምልቃቕ ጀሚሩ፡፡”
- “L’esercito del Tigray ha iniziato a ritirarsi da varie aree della linea di battaglia per attuare l’accordo di cessate il fuoco.”
youtube.com/embed/bbCz-A_HRTQ?…
Il 3 dicembre secondo Bacha Devele, ambasciatore etiope in Kenya, le forze di difesa tigrine guidate dal partito TPLF consegneranno le armi pesanti all’esercito federale: evento dopo 2 anni di guerra genocida e 1 mese dopo la firma dell’accordo.
L’ago della bilancia ancora le “forze straniere”, in prima linea l’esercito eritreo.
L’accordo per il raggiungimento della pace è una strada di compromessi tra le parti ed uno scambio di fiducia passo passo fino al raggiungimento dell’obiettivo. Ci sono propositi e segnali positivi, ma siamo appena sulla soglia, c’è tutto da fare.
Riguardo alle garanzie della ritirata delle forze eritree non ci sono ancora segnali reali dal campo: tale variabile potrebbe decretare la buona riuscita o meno dei buoni propositi di messa in opera dei negoziati. Il governo etiope dovrebbe farsi carico di tale responsabilità sotto la mediazione e supervisione dell’ Unione Africana.
Approfondimento di Reuters: Etiopia, Saccheggi, allontanamenti forzati affliggono il Tigray nonostante la tregua – testimoni
In tutto questo contesto sarebbero più di 13 milioni di persone bisognose e dipendenti dal supporto umanitario in tutto il nord Etiopia, Tigray Amhara e Afar, martoriato dalla guerra.
Il popolo del Tigray è allo stremo.
Etiopia, saccheggi, allontanamenti forzati affliggono il Tigray nonostante la tregua – testimoni
Gli alleati dell’Etiopia stanno saccheggiando le città, arrestando e uccidendo civili e trasferendo migliaia di persone da una parte contesa del Tigray nonostante una tregua tra il governo e le forze locali, affermano testimoni e operatori umanitari nella regione settentrionale.
La violenza solleva nuove preoccupazioni sul fatto che il cessate il fuoco firmato il 2 novembre dal governo federale etiope e dal Tigray People’s Liberation Front (TPLF) – il partito che domina l’irrequieta provincia – metterà fine a due anni di combattimenti che hanno ucciso decine di migliaia di persone e sfollati milioni.
Le truppe dell’Eritrea, a nord, e le forze della vicina regione etiope di Amhara, a sud, hanno combattuto a fianco dell’esercito etiope nel Tigray ma non hanno aderito al cessate il fuoco.
Tuttavia, l’accordo richiede il ritiro delle truppe straniere e non etiopi della Forza di difesa nazionale (non l’ENDF) dal Tigray.
L’Eritrea ha combattuto una guerra di confine contro l’Etiopia nel 1998-2000, quando il TPLF dominava il governo centrale, e rimane il nemico giurato del gruppo.
Le truppe eritree hanno sequestrato cibo, veicoli, oro e persino porte e finestre dalle case in almeno una dozzina di città nel Tigray settentrionale e nordoccidentale dal cessate il fuoco, secondo quattro operatori umanitari e un residente, che come altre persone intervistate da Reuters hanno chiesto da non identificare per timore di rappresaglie.
Le truppe hanno anche effettuato uccisioni extragiudiziali e arresti di massa nel territorio che controllano nel nord del Tigray, hanno detto due residenti e cinque operatori umanitari.
Il ministro dell’Informazione eritreo Yemane Gebremeskel non ha affrontato direttamente le accuse di saccheggio e uccisioni in un messaggio di testo a Reuters, ma ha accusato le forze tigrine di “bugie senza fine”.
Dall’inizio del conflitto nel novembre 2020, le violazioni dei diritti umani da parte di tutte le parti, comprese uccisioni extragiudiziali, stupri e saccheggi, sono state documentate dagli organismi delle Nazioni Unite, dalla commissione per i diritti umani nominata dallo stato dell’Etiopia, da gruppi di aiuto indipendenti e dai media, tra cui Reuters . Tutte le parti hanno negato le accuse.
Nel Tigray occidentale, i combattenti Amhara hanno condotto arresti di massa e caricato migliaia di civili di etnia tigraya su camion prima di inviarli a est del fiume Tekeze, secondo due residenti e due rapporti interni preparati da gruppi di aiuto visti da Reuters.
I leader Amhara considerano il fiume una linea di confine tra il Tigray e il territorio che dicono storicamente apparteneva loro a ovest. I funzionari del Tigray affermano che l’area, che ha terre fertili, è stata a lungo la dimora di entrambi i gruppi etnici e dovrebbe rimanere nella loro regione.
Durante il conflitto, forze e miliziani di Amhara sono stati accusati di aver trasferito altrove i tigrini per modificare la composizione etnica dell’area contesa.
Gizachew Muluneh, portavoce dell’amministrazione regionale di Amhara, non ha risposto alle richieste di commento. L’amministrazione ha precedentemente respinto le affermazioni secondo cui i tigrini erano stati minacciati o costretti a lasciare le loro case.
William Davison, analista senior per l’Etiopia presso il think tank dell’International Crisis Group, ha affermato che le segnalazioni di abusi da parte delle forze amhara ed eritree potrebbero ritardare i piani per il disarmo del TPLF.
“Qualsiasi grave fallimento nell’attuazione degli accordi aumenta il rischio di un disastroso ritorno alla guerra su larga scala”, ha aggiunto.
Un portavoce dell’Unione africana, responsabile dell’applicazione del cessate il fuoco, non ha risposto a una richiesta di commento. Nemmeno il consigliere per la sicurezza nazionale dell’Etiopia Redwan Hussien, il portavoce militare colonnello Getnet Adane, il portavoce del governo Legesse Tulu, né il portavoce del TPLF Getachew Reda.
Domenica, Reda ha twittato che le forze eritree stavano distruggendo e saccheggiando proprietà, oltre a uccidere donne e bambini.
“I nostri partner per la pace ad Addis faranno la loro parte nell’accordo per proteggere i civili e fare tutto il necessario per convincere le ‘forze esterne e non ENDF’ a lasciare il Tigray?”
Né l’Eritrea né l’Amhara hanno detto se si ritireranno dal Tigray. In passato hanno negato le accuse di violazione dei diritti nella regione.
Non è ancora chiaro come l’Etiopia tratterà con l’Eritrea e l’Amhara se le loro forze non si ritireranno dal Tigray, hanno detto tre diplomatici vicini ai colloqui di pace.
Gli Stati Uniti hanno dichiarato che useranno sanzioni per garantire il rispetto della tregua e che chiederanno conto dei responsabili delle violazioni dei diritti umani.
Deportazioni Forzate
Il governo regionale di Amhara ha accolto con favore il cessate il fuoco ma non ha detto nulla sul futuro del territorio che ha sequestrato nel Tigray occidentale, che i funzionari di Amhara in precedenza avevano dichiarato che avrebbero cercato di annettere formalmente.
Un rapporto del 16 novembre preparato da un gruppo di aiuto per sei agenzie umanitarie – tra cui il Programma Alimentare Mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale della Croce Rossa – afferma che il 10 novembre più di 2.800 uomini, donne e bambini sono stati detenuti per più di un anno in cinque centri di detenzione nel Tigray occidentale sono stati portati su camion da una milizia Amhara nota come Fano.
Sono stati rilasciati in una cittadina chiamata Adi Aser, prima di dirigersi a piedi verso Sheraro, fuori dall’area che Amhara sostiene, secondo la nota, recensita da Reuters.
Fano non ha una struttura di leadership formale quindi non è stato possibile per Reuters chiedere commenti.
Un operatore umanitario, che ha chiesto di non essere identificato, ha affermato che migliaia di residenti sfollati dal Tigray occidentale sono arrivati nella città settentrionale di Shire nei giorni scorsi, tra cui donne e bambini di appena tre anni.
La maggior parte degli uomini aveva arti rotti, ha detto il lavoratore, aggiungendo che alcuni degli uomini hanno detto di essere stati picchiati mentre erano detenuti dalle forze di Amhara e Fano.
Reuters non è stato in grado di confermare in modo indipendente.
FONTE: reuters.com/world/africa/looti…
Neurotecnologie, transumanesimo e privacy mentale
Elon Musk torna a parlare di Neuralink, azienda di ricerca impegnata nello sviluppo di soluzioni ingegneristiche in grado di interfacciarsi con il cervello e aiutare persone invalide a riacquistare funzioni motorie e audio-visive. Dice che nell’arco di sei mesi inizieranno finalmente le sperimentazioni umane.
La tecnologia sviluppata da Neuralink (Link) in gergo viene chiamata brain-computer interface (interfaccia cervello-computer) e promette letteralmente miracoli, come si può leggere dal sito web:
We are designing the Link to connect to thousands of neurons in the brain, so that it may one day be able to record the activity of these neurons, process these signals in real time, and translate intended movements directly into the control of an external device. […] As users think about moving their arms or hands, we would decode those intentions, which would be sent over Bluetooth to the user’s computer.
Per ora si vola bassi, per modo di dire. Il chip di Neuralink potrebbe infatti consentire a persone quadriplegiche di utilizzare un computer e relativi dispositivi con il pensiero, senza bisogno di apparecchiature esterne. Ammetto che se potessi scrivere col pensiero, aiuterebbe molto anche me.
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Non è però Elon Musk l’unico impegnato nella ricerca nel campo delle neurotecnologie. In tutto il mondo stanno nascendo start-up che hanno come obiettivo quello di sviluppare e commercializzare prodotti consumer (quindi non dispositivi medici) pronti a interfacciarsi con il cervello umano.
Lo ammetto — da appassionato di sci-fi e cyberpunk (da non confondere con cypherpunk) non posso che cedere di fronte al fascino delle neurotecnologie e all’idea di poter assaporare un mondo transumano, in cui la tecnologia si unisce all’essere umano per superare limiti naturali biologici e migliorare le nostre capacità fisiche e cognitive — come in Deus Ex o Ghost in the Shell.
Mi rendo conto però che un mondo del genere sarebbe probabilmente più distopico che utopico: ci sono infiniti modi in cui tecnologie del genere potrebbero essere usate contro le persone e non per le persone.
Ad esempio, i chip potrebbero avere vulnerabilità o back-door accessibili da attori malevoli, come criminali o governi. Il risultato potrebbe essere dei peggiori, come il controllo da remoto della mente e del corpo delle persone, con tutte le conseguenze socio-politiche del caso —come racconta questo bel cortometraggio:
Guerra Ucraina – Russia: GPS, Putin (non) lo ha dimenticato
Fin dai primi passi, nell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio, ha avuto un ruolo importante lo spazio. L’operazione è stata accompagnata da due azioni: un attacco cyber al segmento di terra di Viasat, provider statunitense di comunicazioni satellitari, e una vasta operazione di disturbo dei segnali di posizionamento, tempo e navigazione. Nel primo caso, si […]
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San Francisco autorizza i robot di polizia a uccidere i sospetti | L'Indipendente
"In altre parole, se la polizia avrà l’impressione di non riuscire a gestire la situazione potrà inviare contro al sospetto di turno un robot kamikaze che si farà detonare ai suoi piedi."
USA – UE: i sussidi della discordia
Le misure che il Congresso degli Stati Uniti ha adottato negli scorsi mesi su impulso dall’amministrazione Biden a tutela dell’industria americana hanno destato (e continuano a destare), in Europa, più di una preoccupazione. Fra l’altro, il sistema di sussidi previsto dall’Inflation Reduction Act (IRA) – un pacchetto di aiuti del valore complessivo di quasi 370 […]
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Cina – India sull’Himalaya: la quotidianità armata permanente
Sulla Line of Actual Control vantaggio infrastrutturale e militare della Cina e Nuova Delhi sulla difensiva. La situazione è congelata, «stabile ma imprevedibile», dicono i militari indiani. Questa instabilità è destinata a diventare permanente, insieme al rischio di un'escalation militare accidentale
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Etiopia & Tigray, Chiedi all’Unione Africana di Aiutare a Ricollegare Internet – Access Now
In questi giorni ad Addis Abeba si svolge l’ IGF2022 – Internet Governance Forum.
Evento dedicato alla rete, all’Internet e al mondo connesso. Un ossimoro se pensiamo alla situazione catastrofica del Tigray, stato regionale settentrionale etiope. Territorio in cui il 4 novembre 2020, più di due anni fa , è scoppiata una guerra genocida, sconfinata nel giugno 2021 anche nelle regioni di Amhara e Afar. Fin dall’inizio, da 2 anni, il popolo del Tigray ha vissuto e subìto abusi, massacri e violenze da parte di una guerra non sua. Una repressione su base etnica come dimostrato da diversi report. Il 90% dei più di 6 milioni di residenti tigrini oggi dipende dal supporto umanitario che per diversi mesi e tutt’oggi, dopo la firma dell’accordo di Pretoria, accordo di tregua e cessazione ostilità, aspetta cibo e cure mediche.
Telefoni e internet chiusi e bloccati da 2 anni per volontà politiche. Per 2 anni milioni di persone sotto i bombardamenti e le violenze delle forze eritree, etiopi e milizie amhara, senza possibilità di far uscire da quel territorio il grido di aiuto verso il resto del mondo. Senza la possibilità di far uscire testimonianze, la voce per documentare quei crimini, quella disumanità perpetrata e che ha fatto tante vittime tra adulti, bambini, uomini e donne. Le stime parlano di più di 500.000 morti diretti della guerra o per mancanza di cibo e cure mediche per volontà politiche.
Tutto nel silenzio del resto del mondo che guarda dall’altra parte perché tutto il Tigray a tutt’oggi è ancora isolato telefonicamente e via internet.
Per questo è un ossimoro l’IGF – Internet Governance Forum, evento delle Nazioni Unite, che si svolge ad Addis Abeba, capitale etiope, a poco meno di un migliaio di km dal Tigray.
Ne ho scritto un approfondimento su Focus On Africa:
Etiopia, IGF – Internet Governance Forum e violenze eritree nel blackout del Tigray
Di seguito l’appello di AccessNow via Twitter:
#InternetShutdowns violano i diritti umani fondamentali e le autorità etiopi devono ripristinare l’accesso a Internet nel Tigray. Abbiamo ripetutamente chiesto la fine immediata di questa chiusura, che è in corso da 2 anni, durante la nostra partecipazione a #IGF2022.Le piattaforme tecnologiche e di social media devono affrontare preoccupazioni legittime come la disinformazione e i contenuti che incitano all’odio, per adempiere al loro obbligo di rispettare i diritti umani, proteggere le persone quando tornano online e impedire alle autorità di tentare di giustificare qualsiasi tipo di interruzione.
Oltre 6 milioni di persone in Tigray sono state tagliate fuori da Internet dal novembre 2020, rendendo difficile per giornalisti e difensori dei diritti umani documentare le violazioni, portando all’impunità per quanto riguarda i crimini commessi nella regione. #ReconnectTigray
Nel contesto di uno dei conflitti più mortali del mondo, la chiusura nel Tigray ha interrotto l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, ha decimato i mezzi di sussistenza e ha reso impossibile a milioni di persone semplicemente comunicare con le proprie famiglie e far loro sapere come stanno.
A #IGF , abbiamo parlato con funzionari del governo etiope, dell’Unione Africana e del sistema delle Nazioni Unite, nonché con diplomatici di tutto il mondo, parti interessate del settore privato e partner della società civile, chiarendo che le interruzioni nel Tigray devono giungere al termine.
Unisciti a quasi 100 organizzazioni della società civile del Tigray, dell’Etiopia, di tutta l’Africa e del mondo, nonché a individui di 102 paesi, chiedendo all’African Union di condannare la chiusura nel Tigray e di agire per porvi fine. Firma la petizione https://accessnow.org/tigray-ethiopia-internet-shutdown-keepiton #KeepItOn
Mentre le autorità etiopi e tigrine si incontrano nella città tigrina di Shire per ulteriori colloqui di pace, Ethiotelecom ha annunciato che i suoi servizi saranno disponibili nella città “tra pochi giorni”. Le parole non bastano. Non cederemo fino a quando Internet non sarà completamente ripristinato nel Tigray.
Luis Rejas reshared this.
La Bielorussia e l’ addio al suo massimo diplomatico, Vladimir Makei
Mentre centinaia di persone in lutto si sono messe in coda per rendere gli ultimi omaggi al ministro degli Esteri bielorusso di lunga data Vladimir Makei, crescono le speculazioni sulla morte improvvisa del massimo diplomatico del presidente Alexander Lukashenko. Makei è morto alla vigilia di un incontro con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, in […]
L'articolo La Bielorussia e l’ addio al suo massimo diplomatico, Vladimir Makei proviene da L'Indro.
Investitore azionista: massaggio al corpo (economia) e all’ anima (sociale)
Come mettere insieme l’ economico ed il sociale per ‘salvare’ il mondo? Ogni giorno si i leggono e si ascoltano opinioni e ricette. Se non fosse un nominalismo quasi irriverente, si potrebbe pensare alla Borsa Italiana come una SPA (Salus Per Aquam) che offre l’opportunità di massaggiare il corpo (economico) e l’anima (sociale) dell’investitore (istituzionale […]
L'articolo Investitore azionista: massaggio al corpo (economia) e all’ anima (sociale) proviene da L'Indro.
(S)profondo Sud: il Mezzogiorno e la notte nera
Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) I dati e numeri del 49° Rapporto Svimez 2022 che è stato presentato alla Camera stimano che l’incrocio letale tra la crisi indotta dal caro-energia per il taglio di rifornimenti dalla Russia a cui ci eravamo legati troppo negli anni scorsi, […]
L'articolo (S)profondo Sud: il Mezzogiorno e la notte nera proviene da L'Indro.
«No al nazionalismo, cooperare è decisivo. L’Italia traini un nuovo progetto europeo» – corriere.it
Kyuchyuk, copresidente dei liberali a Bruxelles: i partiti si uniscano per la riforma
Bruxelles «Il nazionalismo non è mai la risposta, lo è invece la cooperazione e il lavorare insieme per un progetto europeo, perché tutti ne beneficiamo». Ilhan Kyuchyuk, bulgaro, è il copresidente dell’Alde, l’Alleanza dei liberali europei, che rappresenta circa l’80% del gruppo Renew Europe al Parlamento Ue.
Perché è a Roma?
«Partecipo a un panel su dove vuole andare l’Europa, ma innanzitutto sono qui per rendere omaggio a quello che il presidente Giuseppe Benedetto e la Fondazione Einaudi (festeggia i 60 anni, ndr) stanno facendo in Italia. La Fondazione fa parte dello European Liberal Forum, che è la fondazione del nostro partito. C’è stata una grande cooperazione negli ultimi dieci anni: più c’è cooperazione tra i partiti politici e le fondazioni liberali più senso avranno le idee realizzabili».
Quali sono le sfide e le priorità dell’Ue?
«Siamo di fronte a una crisi multipla: energia, inflazione, per la prima volta nella nostra storia recente, l’Europa si trova ad affrontare una guerra sul proprio territorio. Dobbiamo reagire come società e mostrare che l’Ue è unita e sta con gli ucraini, perché possano scegliere il loro destino. Sfrutto ogni momento per dare il mio messaggio di unità».
Quale ruolo vede per l’Italia? Con chi pensa che il governo italiano si alleerà in Ue?
L’immigrazione
Il regolamento di Dublino non sta funzionando. Sull’immigrazione bisogna trovare una soluzione
che possa andare bene per tutti
«Sono state prese importanti decisioni con l’appoggio del governo italiano. Credo che gli italiani siano stanchi di un sistema politico che va a destra o a sinistra. Penso che si debba dare una possibilità a quei partiti politici disposti a lavorare per gli interessi dei cittadini. Mi aspetto che l’Italia, come membro fondatore dell’Unione europea, sia tra le forze trainanti del dibattito e porti soluzioni al progetto europeo per rinnovarlo e non certo per creare problemi».
Energia e migrazione: l’Ue sta facendo le scelte giuste?
«La presidenza francese ha fatto passi avanti sul pacchetto migrazione, è una questione complicata per il mondo e la sfida è lì. Dobbiamo trovare una soluzione europea che possa funzionare per tutti. Il regolamento di Dublino non sta funzionando e questo spaventa, dobbiamo trovare il modo di affrontare queste preoccupazioni ma anche pensare agli esseri umani: le persone che vengono in Europa sono alla ricerca di un’opportunità migliore o stanno scappando da una guerra e hanno bisogno di un approccio umano. E questo dovrebbe andare di pari passo con le misure di sicurezza Ue. Dobbiamo considerare il tutto come un unico pacchetto. Sull’energia, ci sono sul tavolo molte proposte. Non sottovalutiamo l’Ue, diventeremo più forti dopo questa guerra».
La scorsa settimana Renew Europe ha sostenuto una risoluzione dell’Ecr insieme al Ppe per definire la Russia uno Stato sponsor del terrorismo. È una nuova maggioranza possibile in vista del 2024?
«La risoluzione è stata sostenuta da tutte le forze democratiche del Parlamento Ue. La Russia si sta comportando come un’organizzazione terroristica: vediamo persone lasciare le loro case distrutte, le loro famiglie sono state distrutte, molte cercano rifugio. Molte speranze sono state distrutte. Non vedo una maggioranza particolare dietro alla risoluzione, vedo una forza unita nel Parlamento Ue basata su valori democratici».
Di cosa ha bisogno l’Ue?
«Noi vogliamo riformare l’Ue, renderla più efficiente per i suoi cittadini. È la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa. Si deve partire dall’abolizione dell’unanimità. Per rendere l’Ue adatta al XXI secolo dobbiamo riunirci con i partiti che la pensano allo stesso modo e far sì che ciò avvenga».
L'articolo «No al nazionalismo, cooperare è decisivo. L’Italia traini un nuovo progetto europeo» – corriere.it proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Pnrr, la trasparenza che manca
Trattandosi di una questione strategica da cui dipende letteralmente il futuro dell’Italia, suggeriamo sommessamente all’esecutivo Meloni di recepire due appelli di queste ore. Il commento di Andrea Cangini
Com’era prevedibile, per il governo Meloni i problemi non vengono dal fronte ucraino. La proroga al 31 dicembre 2023 delle forniture militari non ha infatti provocato scossoni nella maggioranza ed è stata accolta con sollievo negli ambienti Nato. Il problema, invece, riguarda i rapporti con la Commissione europea e si chiama Pnrr. Dal ministro per la Transizione ecologica a quello per la Salute, si lamenta una grave scarsità di risorse, mentre lo scalpitante vicepremier Matteo Salvini continua a chiedere modifiche sostanziali per “aggiornare il Pnrr alla vita reale”. La vita reale, però, non lo asseconda. Bruxelles ha già fatto sapere al ministro dell’Economia Giorgetti che gli impegni presi per l’anno in corso non potranno essere modificati. Sul 2023 si può discutere.
L’anno in corso, però, non promette bene. Dei 55 target che vanno raggiunti entro il 2022, il governo Draghi ne ha centrati 21, sui rimanenti 34 aleggia l’incertezza.
Trattandosi di una questione strategica da cui dipende letteralmente il futuro dell’Italia, suggeriamo sommessamente all’esecutivo Meloni si recepire due appelli di queste ore. Il primo, lanciato oggi dalle colonne del Sole 24Ore, è firmato da un pool di economisti del “Pnrr Lab di Sda Bocconi”, che dallo scorso luglio monitorizza l’andamento del Piano. Preso atto dell’incapacità delle amministrazioni di spendere buona parte dei fondi dedicati, “sembra opportuna – scrivono – la costituzione di una Cabina di regia tecnica a livello nazionale che dovrà essere responsabile del monitoraggio dei tempi dei procedimenti, identificando con cadenza periodica criticità che potranno essere risolte grazie agli strumenti già attivati dal Pnrr (task force di esperti, semplificazioni, uso di poteri sostitutivi)”.
Il secondo appello non ha a che fare col merito ma con la trasparenza del processo. Lo ha levato in questi giorni Openpolis, che assieme ad altre associazioni ha lanciato la campagna “Italia domani dati oggi”. Quattro le richieste: la pubblicazione completa, tempestiva e in formato aperto dei dati relativi a tutti i progetti; la creazione di un’unica banca dati per le schede progetto e tutti i dati e informazioni utili a comprendere come il Pnrr impatterà sui singoli territori; che sia garantito un aggiornamento costante, quantomeno trimestrale, dei dati; che siano resi noti gli indicatori su cui si intende monitorare l’impatto dei progetti sulle tre priorità trasversali. Morale democratica: i cittadini devono poter controllare l’attività del governo.
Richieste analoghe furono rivolge al governo Draghi. Invano. Poiché, allora, dai ranghi dell’opposizione Fratelli d’Italia fu in prima fila nel denunciare l’opacità dell’allora esecutivo sulla gestione di fondi che valgono l’11% del Pil e che se mal spesi potrebbero dissestare definitivamente i conti pubblici, ci si aspetta, come suol dirsi, un ravvedimento operoso.
L'articolo Pnrr, la trasparenza che manca proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Ludovica Jona (Il Fatto Quotidiano)nilocram likes this.