Il Battaglione Azov in visita in Israele «si purifica» a Masada
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 22 dicembre 2022 – Accusati di antisemitismo e di essere neonazisti, eppure accolti con calore in Israele. Militari del famigerato Battaglione Azov, oggi chiamato Reggimento Azov, sono giunti la scorsa settimana, assieme a una delegazione ucraina, a Gerusalemme dove hanno incontrato tra gli altri ufficiali riservisti delle forze armate israeliane. Scopo del viaggio, di cui si è appreso solo due giorni fa da articoli apparsi su alcuni giornali locali, è stato quello di discutere con gli interlocutori israeliani dell’andamento della guerra con la Russia e di smentire quanto si dice a proposito dei sentimenti razzisti dei combattenti dell’Azov.
Sabato la delegazione ucraina è andata nell’area del Mar Morto dove ha visitato il sito archeologico di Masada, la cittadella dove l’esercito romano nel 73, al termine della prima guerra giudaica, mise sotto assedio un gruppo di ribelli zeloti arroccati in una fortezza. Alla fine, i Romani riuscirono ad espugnarla trovandovi i cadaveri di quasi tutti gli assediati che si erano suicidati in massa. Un luogo che, stando a ciò che riferiscono i media israeliani, ha ispirato la guida della delegazione, Ilya Samoilenko, uno degli ufficiali dell’Azov che si sono barricati mesi fa nelle acciaierie dell’Azovstal, al punto da spingerlo a paragonare la difesa di Mariupol dall’attacco russo a quella di Masada contro i Romani. «Quando oggi in Israele si parla della difesa di Mariupol, gli israeliani, comprendendo prima di tutto le differenze militari tra la guerra di 2000 anni fa e oggi, ripetono costantemente: Mariupol è la tua Masada», ha proclamato, attraverso un portavoce, Samoilenko, accompagnato in Israele da Yuliya Fedosyuk, dell’Associazione delle famiglie dei difensori dell’Azovstal. In Israele Samoilenko ha lungamente parlato dei soldati ucraini che hanno combattuto al suo fianco e che sono detenuti in Russia.
Il Reggimento Azov oggi afferma di essere diverso dal Battaglione Azov e di aver congedato i neonazisti che ne facevano parte. Proprio Samoilenko, durante l’assedio dell’Azovstal, descrisse in un’intervista le accuse secondo cui il reggimento è neonazista parte della «propaganda russa». L’Azov, disse, «è cambiato. Ha epurato il suo oscuro passato. L’unico radicalismo che abbracciamo è la nostra volontà di difendere l’Ucraina». A sostegno delle sue affermazioni la stampa israeliana, evidentemente imbarazzata da una visita tanto ingombrante, ha pubblicato un fiume di dichiarazioni di analisti ed esperti, locali e internazionali, che si affannano a confermare il «cambiamento radicale» avvenuto nell’Azov nel passaggio da Battaglione a Reggimento. I lupi in sostanza sarebbero diventati agnelli, semplici patrioti che combattono agli ordini della Guardia Nazionale dell’Ucraina e bravi padri di famiglia. I dubbi invece restano forti ed è ancora vivo il ricordo di crimini compiuti nel 2013-14 dal Battaglione Azov durante le violenze e spargimenti di sangue che aprirono la strada al colpo di stato contro il presidente filorusso Viktor Yanukovich.
Il suprematista ucraino Andriy Biletsky a colloquio con due miliziani dell’Azov
In rete circolano articoli e notizie, di cui non è possibile verificare il fondamento, di vendite avvenute negli anni passati di fucili Tavor israeliani agli uomini dell’Azov ritenuti dall’Onu e dai centri per i diritti umani responsabili di crimini di guerra nel Donbass tra cui torture, violenze sessuali e attacchi contro abitazioni civili. Uno dei fondatori dell’Azov, è stato un deputato nel parlamento ucraino. Sostiene la necessità di «ripristinare l’onore della razza bianca» e ha proposto leggi che vietano il «mescolamento razziale». Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto
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La Francia ritira i soldati dalla Repubblica Centrafricana. Cresce in Africa l’influenza degli Usa
della redazione
Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Con l’intento di spostare gradualmente il suo focus in Benin, Ghana e Costa d’Avorio e, più di ogni altra parte, in Niger, paese centrale per le forniture di uranio che alimentano i suoi reattori atomici, la Francia ha ritirato gli ultimi soldati stanziati in Repubblica Centrafricana dove erano stati inviati, ufficialmente, per combattere i gruppi armati che destabilizzavano il Paese. A giugno si è anche concluso il ridispiegamento volto a dimezzare entro il 2023 da 5mila a circa 2.500 i soldati francesi stanziati in Mali (missioni Barkhane e Takuba). Il 13 dicembre il campo di M’Poko – ospitante le forze francesi – è stato consegnato alle autorità centrafricane in coordinamento con la missione dell’Onu (Minusca) e con quella dell’Unione europea.
La missione Mislognella Repubblica Centrafricana “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, ha spiegato il ministero della difesa francese annunciando in rientro in patria di 47 soldati (inizialmente era 130 uomini) rendendo definitiva la separazione fra Parigi e Bangui annunciata lo scorso anno. Una scelta che, dissero gli analisti francesi, era la conseguenza dell’arrivo nel Paese africano del gruppo paramilitare russo Wagner come già avvenuto in precedenza in Mali. “Nel 2021, quando la presenza della compagnia militare privata Wagner era sempre più invadente nel Paese, la Francia ha constatato l’assenza delle condizioni per continuare a lavorare a beneficio delle forze armate centrafricane”, ha dichiarato il generale Francois-Xavier Mabin, comandante della Mislog.
In realtà il ritiro di Parigi, ex potenza coloniale in Africa – accusata di svolgere, seppur con modalità diverse, ancora quel ruolo – da Bangui deve leggersi all’interno del contesto regionale. La Francia, e il presidente Macron ne è ben consapevole, risulta sempre più perdente nella competizione con Russia e Cina che allargano e conquistano terreno, in termini economici e di influenza, nel continente africano ricco di risorse. Un ulteriore segnale del suo declino è stato anche il raffreddamento delle relazioni con il Burkina Faso, frutto di un crescente sentimento antifrancese.
L’invio in Africa di contingenti militari francesi come di altri Paesi occidentali per “combattere il terrorismo” si scontra sempre di più con l’idea che spetti agli Stati africani di decidere e attuare in piena autonomia le strategie più idonee per affrontare le formazioni jihadiste – Isis e al Qaeda – che infoltiscono i loro ranghi e rafforzano le loro posizioni. Diverse organizzazioni regionali negli ultimi mesi hanno programmato l’invio di forze militari in situazioni di crisi. Come nel caso della Comunità dell’Africa orientale (Eac) nella Repubblica democratica del Congo, della Comunità dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) in Mozambico e della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao) che formerà una forza armata regionale incaricata di intervenire in questioni di terrorismo e sicurezza.
Se la Francia, cosciente delle difficoltà cheincontra a svolgere il ruolo che si era assegnata, di fatto, unilateralmente in Africa, ritira parte delle sue forze e le ridispiega in apparenza in forma più contenuta solo in alcune regioni africane, gli Stati Uniti al contrario continuano a penetrare nel continente allo scopo fin troppo evidente di limitare la crescente influenza di Mosca e Pechino, al momento molto marcata nell’Africa orientale. La strategia americana al momento è soprattutto economica ed “umanitaria”. Stati uniti e Unione africana, nei giorni scorsi, al summit dei leader Usa-Africa a Washington, hanno affermato il loro impegno a “rafforzare la sicurezza alimentare” nel continente, avviando una “partnership strategica” volta a guidare e accelerare il più possibile il sostegno ai Paesi africani. La collaborazione, non è certo una sorpresa, punta a rafforzare il settore privato in modo che faccia fronte, al posto dello Stato, alle carenze di cibo. Al vertice di Washington, il presidente Joe Biden ha annunciato che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha approvato un pacchetto di aiuti umanitari da due miliardi di dollari per le popolazioni africane colpite dalla crisi legata alla pandemia, ai conflitti regionali, alla siccità e agli eventi meteorologici estremi. Aiuti che aprono la strada a una presenza statunitense che in futuro potrebbe essere anche militare nell’Africa sub-sahariana. Pagine Esteri
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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – O lo Stato si limita a fare quell’opera che i privati non sono capaci di fare
O lo Stato si limita a fare quell’opera che i privati non sono capaci di fare […]; ovvero […] saccheggia la roba altrui, e l’unico risultato è di eccitare le ingordigie dei poltroni
da Corriere della Sera, 16 giugno 1922
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Ucraina: Zelensky va da Biden per non far finire la guerra
Fateci caso: è diventato un ‘topos’, una frase fatta, una sorta di clausola implicita in ogni discorso sulla guerra. ‘Putin è in difficoltà’, ‘si circonda di spie’, ‘i soldati lo odiano’, ‘i generali si ribellano’: lui, però, intanto là sta e là resta. Certo, Zelenski va a Washington a parlare alle Camere riunite statunitensi: propaganda pura, […]
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strano bug in Firefox - post lungo
Nei miei pc uso #firefox installato via #Flatpak, per un paio di motivi: mi piace avere sempre l'ultima versione del browser, mi piace poter controllare (tramite #flatseal) quanto FF possa interagire col resto del mio sistema, e infine per me è stato il modo più semplice e indolore per avviare FF in modalità #wayland senza strani script (sempre grazie a Flatseal).
Tuttavia sto avendo esperienza di uno strano bug. Quando, in Gnome, apro firefox dall'icona, ho esperienza di continui crash, riproducibili. Di solito, basta aprire il browser e andare nelle impostazioni, o aprire due o tre bookmark, e il programma crasha e si chiude. Non viene proposto il tool per esaminare l'errore o inviarlo a FF e a volte riparte in safe mode, con tutte le estensioni disabilitate.
A questo punto ho lanciato il programma da terminale, usandoflatpak run org.mozilla.firefox
per vedere se almeno, al momento del crash, fosse prodotto qualche output indicativo. Ma lanciandolo da terminale il crash non avviene.
Così apro Alacarte e scopro che il launcher grafico di FF è un po' più complesso di quello che avevo digitato in terminale:/usr/bin/flatpak run --branch=stable --arch=x86_64 --command=firefox --file-forwarding org.mozilla.firefox @@u %u @@
copio-incollo la stringa in terminale (senza la parte finale, da @ in poi) per capire se il problema fosse in una delle opzioni passate dal launcher; ma, anche in questo caso, firefox lanciato da terminale è il solito vecchio firefox, solido come una roccia, zero crash, anche con tutte le estensioni attive.
Ho provato anche a fare il contrario, cioè a togliere dal launcher grafico le opzioni aggiuntive, ma aprendo FF da icona continuo a ottenere questi crash dopo le prime interazioni.
Ho cercato su DDG e financo su GGL, ma non sono riuscito a trovare segnalazioni simili.
La situazione si ripresenta in modo identico su entrambi i laptop su cui io abbia questa configurazione (Gnome, Firefox da Flatpak).
Le mie capacità di indagine si fermano qui. Se ci fossero suggerimenti, sarebbero molto graditi!
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Sospensione assicurazione auto: come funziona
Che si tratti di rinnovo o stipula di nuovo contratto, tutti gli automobilisti sanno che arriva quel momento dell’anno in cui bisogna provvedere a mettersi in regola con l’assicurazione Auto. L’RC Auto, infatti, oltre ad essere obbligatoria per legge è anche una tutela per tutti gli automobilisti e, in generale, la polizza assicurativa corredata delle […]
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Autonomia differenziata il mostro a due teste di Lega e Pd - Kulturjam
"Un meccanismo di colonialismo interno al paese, che produrrà al Nord altre privatizzazioni dei servizi pubblici, al Sud altra disoccupazione e miseria, ovunque ulteriore ingiustizia sociale.
Questo progetto di frantumazione territoriale è liberismo allo stato puro, cui non a caso il governo vuol aggiungere il presidenzialismo. Un potere centrale autoritario che promuove ovunque la legge del massimo profitto, è l’ideologia reazionaria di Von Hayek che cancella e riscrive la Costituzione.
E come sempre nella politica italiana la destra porta a termine il lavoro sporco iniziato dalla finta sinistra."
Armiamoci
Abbiamo importanti industrie della difesa e per la nostra, di difesa, spendiamo 25 miliardi l’anno (dato 2021). Però di queste cose non si può parlare, se ne deve avere pudore, abbassare la voce e chiudere la porta, manco si dovesse andare in bagno. Il solo modo frequentato, per parlare di armi, è reclamarne la scomparsa, ovviamente riducendone la spesa, mentre per il lato in cui si guadagna si suggerisce di vergognarsene. Un approccio ideologico, che ben si concilia con quello mistico, che invoca la fratellanza. Ma le cose stanno all’opposto: se vuoi conservare la pace sarà bene che i guerrafondai valutino l’annientamento cui vanno incontro se provano ad aggredirti. Se Putin avesse immaginato su quali forniture militari e su quale organizzazione avrebbe potuto contare l’Ucraina, ci saremmo risparmiati una carneficina e la Russia si sarebbe risparmiata l’essere uno Stato canaglia, candidato a divenire Stato terrorista.
Se si considera possibile una pace anche a costo di perdere libertà e ricchezza, allora il disarmo è una buona opportunità. Se si considerano la libertà e la prosperità dei valori da difendere, essere pronti a farlo con le armi è cosa buona e giusta. Non avere la franchezza di parlarne finisce con il far sfuggire passi avanti importanti.
A forza di ripetere che l’Unione europea non ha una politica estera comune ed è divisa, si è finito con il non accorgersi del fatto che è unita ed ha una netta politica estera. Perché quella non è una materia che sia stata delegata, sicché è bislacco pretendere che sia nazionale e piagnucolare che non è europea, ma, a parte questo, sulla cosa di gran lunga più importante, da febbraio l’Ue ha una sola posizione, che unisce tutti e rende irrilevanti gli ostacoli ungheresi. Ovvio che esistono ancora differenze, per esempio sulla Libia, ma non sul fronte decisivo e vitale. Qui la condanna della Russia è unanime e si estende dal campo militare (con un comune e corale sforzo di forniture a chi difende la sovranità e la libertà) a quello economico (perché il valore politico del tetto al prezzo del gas supera il pur importante valore di mercato).
Non abbiamo una difesa comune, perché gli Stati nazionali l’hanno rifiutata. Ma non ci sono solo 27 forze armate, con innumerevoli fornitori e tecnologie diverse, c’è anche dell’altro. Dall’invasione dell’Ucraina, quando il tema della difesa è uscito dall’ombra, ripetiamo che difesa europea comune è, prima di tutto, comune investimento e industria. Noi europei spendiamo un po’ meno degli americani, in difesa, ma spendiamo assai peggio, perché sono spese divise e frammentate. Già con quel che spendiamo il risultato sarebbe diverso e migliore, se messo a fattor comune. Il che porta agli interessi industriali.
La novità è che per un piccolo, primo lotto di ricerca e produzione per la difesa, finanziato dall’Ue per 8 miliardi, sono state presentate 142 proposte, con 629 candidature alla collaborazione produttiva. 61 progetti sono stati selezionati, per divenire operativi, e in questi vi sono 156 partecipazioni italiane. Siamo secondi solo alla Francia, che ne totalizza 178. La Spagna 147 e la Germania 113. E via a scendere per gli altri. Il lotto è piccolo, ma il risultato è indicativo. Del resto siamo gli ottavi esportatori al mondo di armi, avendo raggiunto picchi di quasi 15 miliardi l’anno. Ed esportare armi non è esportare guerra, ripetiamolo. In quello è imbattibile la concorrenza degli Stati canaglia: dall’Iran alla Russia alla Corea del Nord.
Uno dei nodi da affrontare è sul lato aviazione, perché si acquistano aerei statunitensi, poi c’è il programma Tempest, che ci coinvolge con il Regno Unito, e quello Futur Air Combat System, animato da Francia, Germania e Spagna. Epperò imprese controllate s’intrecciano. Il nodo da affrontarsi non è militare, ma industriale, quindi politico, intanto imponendo l’interoperabilità, in modo, almeno, da potere combattere assieme. E da queste cose che passa la difesa comune.
Armiamoci, proprio per non partire.
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Turchia: condanna di Ekrem Imamoglu, da escamotage a boomerang per Erdogan?
Pochi giorni fa, il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è stato condannato a due anni, sette mesi e 15 giorni di carcere per oltraggio a pubblico ufficiale (per cui rischiava quattro anni), in particolare per aver insultato – definendoli ‘folli’, espressione già usata dal Ministro dell’Interno Suleyman Soylu contro di lui – i membri del Consiglio elettoraleche nel […]
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La Malesia rimane intrappolata sotto l’orbita della Cina
La Malesia è classificata come la decima più influenzata dalla Cina dal China Index, un database rilanciato l’8 dicembre da DoubleThink Labs. Questo studio che misura l’influenza globale in espansione di Pechino ha menzionato i legami e la dipendenza della Malesia da Pechino, in termini di politica estera e interna, tecnologia ed economia che la […]
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Etiopia, incontro delle alte cariche militari federali e del Tigray a Nairobi per definire monitoraggio degli oneri dell’accordo di Pretoria
Addis Abeba – I rappresentanti del governo federale etiope e gli alti comandanti del Tigray si stanno incontrando a Nairobi presso il Moran Training Center di Karen, Nairobi, in Kenya, per un incontro consultivo sull’attuazione dell’accordo di cessazione permanente delle ostilità (CoHA) dell’Etiopia che è stato firmato a Pretoria, Sud Africa il 02 novembre, secondo la documentazione visionata da Addis Standard.
La riunione consultiva era originariamente prevista tra il 20 e il 23 dicembre, ma Addis Standard ha appreso che inizierà mercoledì 21 dicembre.
Durante la riunione consultiva di tre giorni, le due parti dovrebbero discutere il documento finale sull’attuazione del processo di disarmo, la finalizzazione e l’adozione dei termini di riferimento (ToR) per il meccanismo di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA e le prossime fasi l’attuazione del CoHA permanente, secondo il calendario del programma.
I rappresentanti di Uhuru Kenyatta, ex presidente del Kenya e membro dell’High Level Panel dell’UA, IGAD, e del governo degli Stati Uniti parteciperanno all’incontro, che si svolge tra crescenti richieste per il dispiegamento urgente del team di monitoraggio e verifica dell’UA, la cui istituzione è prevista ai sensi dell’articolo 11 del CoHA permanente di Pretoria a seguito di scambi di adempimenti tra il governo federale e lo stato regionale del Tigray.
Sabato 17 dicembre, il governo federale ha rilasciato una dichiarazione minacciando di adottare “misure necessarie” per proteggere i civili tigrini sottoposti a quelli che ha definito “crimini organizzati” e “rapina” in aree di cui le sue forze non hanno il controllo, inclusa la capitale Mekelle . “Il governo dell’Etiopia vuole sottolineare che questi criminali saranno ritenuti responsabili”, afferma la dichiarazione, aggiungendo che il governo adotterà “tutte le misure necessarie per salvaguardare la sicurezza delle persone in quelle aree e adempiere alle proprie responsabilità”.
FONTE: twitter.com/FdreService/status…
Da parte sua, il leader del Tigray Debretsion Gebremichael (PhD), ha dichiarato domenica 18 dicembre che sebbene la sua parte abbia attuato i patti di pace di Pretoria e Nairobi sin dalla firma, il governo federale è rimasto indietro nell’attuazione. Debretsion ha incolpato il governo federale che, sebbene ci sarebbe dovuto essere un flusso illimitato di aiuti umanitari al Tigray, ci sono ostacoli nonostante alcuni miglioramenti.
“Le persone che risiedono nelle aree occupate dalle forze eritree e amhara non ricevono gli aiuti in modo adeguato, anche nelle aree in cui il governo federale ha distribuito gli aiuti, solo le persone nelle città ricevono gli aiuti, ma molte persone nelle campagne non ne ricevono aiuto» ha dichiarato.
Diversi rapporti mostrano anche che sia le forze eritree che quelle amhara stanno commettendo crimini atroci contro i civili tigrini nelle aree che hanno occupato.
Alla voce “Disarmo dei combattenti armati del Tigray”, sulla Dichiarazione sulle modalità per l’attuazione dell’accordo di Pretoria, firmata a Nairobi il 12 novembre, l’articolo 2.1/D, affermava che “il disarmo delle armi pesanti sarà effettuato in concomitanza con il ritiro delle forze straniere e non ENDF dalla regione”.
Il 5 dicembre, il più alto comandante militare del Tigray, il generale Tadesse Worede, ha affermato che quasi il 65% dei combattenti armati del Tigray era stato disimpegnato dalle linee del fronte, ma l’annuncio non è stato confermato in modo indipendente a causa dell’assenza della squadra di monitoraggio e verifica dell’UA sul campo, che rende l’incontro odierno a Nairobi e il suo esito fondamentali per il processo di pace.
FONTE: addisstandard.com/news-alert-f…
Il divario generazionale al centro delle proteste in Cina
Per un regime che ostenta costantemente il suo “tasso di approvazione superiore al 90 per cento”, l’improvviso scoppio di proteste in tutta la Cina è sia imbarazzante che sconcertante. Tre anni di severe restrizioni COVID hanno causato frustrazione e rabbia nei confronti del governo che trascendono la classe e la geografia, una situazione mai vista […]
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PD alla ricerca del tempo buttato
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Il titolo di questa riflessione ‘triste solitaria y final’ del Pd era facile. Anche se la più raffinata ‘Recherche’ di […]
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La polizia morale e l’equilibrio autoritario dell’Iran
Non sorprende che un recente annuncio del procuratore generale iraniano secondo cui il governo stava abolindo la sua ‘polizia morale’ abbia suscitato una diffusa confusione. Infatti, mentre alcuni funzionari hanno indicato che erano in discussione modifiche al ruolo della polizia morale, altri hanno affermato che non c’erano piani per abolire la forza. Così, la vittoria […]
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Alfredo Cospito e la ‘tortura democratica’ del 41-bis
Nel presentare le dieci tavole a fumetti che affrontano la questione di Alfredo Cospito, Zerocalcare come sua abitudine, va dritto al cuore della questione senza troppe perifrasi: Cospito, spiega, è un detenuto anarchico in sciopero della fame contro il regime di 41 bis; attualmente è in attesa di una sentenza che “pare costruita apposta per […]
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Un razzo italiano con una sonda italiana: un vanto della scienza nazionale
Si è svolto il primo seminario della Commissione Esplorazione dello Spazio dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, su un tema molto significativo perché nelle intenzioni degli organizzatori si è puntato ad un inquadramento razionale della tecnologia nazionale e delle sue applicazioni in campo aerospaziale. Quest’estate -lo ricordiamo- è stato effettuato il lancio di qualifica del razzo […]
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Il globalismo ha trasformato lo Stato in un reietto della storia - Kulturjam
"Dello Stato ci si ricorda solo per denigrarlo appena qualcosa non va; e i più feroci sono sempre coloro che quotidianamente operano per distruggerlo con privatizzazioni e deregolamentazione."
Che pace tra i campi di Ucraina?
Dopo oltre dieci mesi anche la guerra russo-ucraina inizia a perdere il gusto della novità, entrando nella piatta routine del quotidiano. Il fascino dell’epica resistenziale, della mobilitazione dei Liberi contro il Tiranno, delle catene umane e delle bandiere perde forza svelando la guerra di Putin per quel che è: un conflitto vero, duro, incerto e […]
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L’Iran in rivolta: il fattore (para)militare e i rischi per il Golfo
Non possiamo sapere se le rivolte in Iran daranno vita, nel loro esito, a una rivoluzione. Se cambieranno, cioè, quel sistema di potere -già parecchio mutato- che domina il paese dal 1979.
#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Una amministrazione pubblica che possa spendere senza controllo…
Una amministrazione pubblica, che possa spendere senza controllo, è un assurdo
da Corriere della Sera, 30 maggio 1922
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Per la Serbia, la situazione intorno al Kosovo “si sta avvicinando ad un punto di non ritorno” - Marx21
«O l’accettazione dello status quo relativo al “Kosovo indipendente” o scenari di una nuova guerra, non certo voluta dalla parte serba.
I burattinai sono i soliti: NATO e potenze occidentali, le motivazioni sono molteplici, ma il nodo centrale porta anche in questo caso alla crisi ucraina. Da un lato si vuole far cedere la Serbia sulla questione delle sanzioni alla Russia (è l’unico paese veuropeo a non averle adottate), dall’altro c’è la questione dell’entrata del paese nella NATO, finora respinta dal governo serbo. Senza dimenticare la ricerca di una rottura della fraternità identitaria storica slava, che spianerebbe la strada per inglobare completamente i Balcani nell’alveo avvelenato degli interessi occidentali e atlantisti.»
Lotta alla corruzione: no al ‘bastone’, sì al buon senso
Accanto e intorno, anzi, purtroppo, perfino sotto la vomitevole vicenda dei parlamentari europei più o meno comprati per spingere il Qatar, ma specialmente per esprimere giudizi di una bassezza e di una falsità perfino sorprendenti, i commenti e le reazioni lasciano senza fiato. O forse no, trattandosi, almeno a livello politico, di ‘persone’ di statura, […]
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Natale amaro tra stagnazione economica e questione morale
Stagnazione che bussa alla porta, economia (quella italiana) che procede al rallentatore, quasi ferma. L’edilizia e il mondo delle costruzioni che non sono più il traino, industria in calo; quelli che ancora reggono il passo, sono i “servizi”. Un Natale amaro e a tinte fosche quello che viene descritto dal Centro Studi di Confindustria. C’è […]
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Incarogniti
Ragionare è impegnativo, sicché rende di più piagnucolare o detestare. Che è anche il modo più semplice per cavarsela senza dire un accidente. Latrare anziché mordere. Tipo: <<siamo la parte lesa>>, laddove a essere gravemente lesionata è la capacità di vedere non quel che è nascosto, ma quel che è evidente. I denari li misero nelle valige, ma è la politica ad averle fatte e ad essere dipartita, lasciando un nugolo di partitanti disorientati. Per questo provano a mostrarsi incarogniti, coprendo l’essere rincretiniti. Si osservi il lato corrotti e il lato canaglie, per apprezzarne le preziose informazioni.
Sul lato corrotti, omettiamo la nostra consueta litania. Consapevoli che giustizia e presunzione d’innocenza non sono beni disponibili nel mercato del vociare demagogico. Gli indagati non hanno ancora profferito verbo, in compenso i medesimi che non si erano accorti di nulla hanno già detto tutto su di loro. Tutti marziani in gita premio nel mondo politico.
I soldi sono sempre soldi, come il sesso è sempre sesso, ma una cosa è la passione altra lo stupro. Quello cui assistiamo oggi non ha nulla a che vedere con la corruzione “tradizionale”. Qui, quali che siano i fatti reali, da accertare e dimostrare, chi metteva a disposizione il denaro non puntava ad un appalto, ma a indirizzare una linea politica. Ciò significa che è semplicemente impossibile che le forze politiche non se ne accorgessero, se solo avessero ancora fatto politica. Oppure se ne sono accorte, ma consideravano legittime quelle tesi, il che può benissimo essere, ma va detto con chiarezza: eravamo favorevoli a una apertura nei confronti del Qatar (che abbiamo tanti utili interessi da coltivare), lo ribadiamo, ma deprechiamo che qualcuno ne abbia tratto illecito profitto. Da ciò discende che dirsi oggi scandalizzati, perché nei confronti del Qatar occorreva avere una linea di condanna, a parte il ridicolo di dirlo mentre tutto il mondo calcistico guardava gli eventi trasmessi dal Qatar, è da ipocriti. È come dire di non essere capaci di fare politica, di valutare il senso delle parole. Ovvero ammettere una deficienza assai più grave della corruzione.
E, del resto, appartiene proprio al novero delle scelte politiche stabilire con chi fare affari e in che modalità. Noi democrazie occidentali non siamo mica incaricati di bonificare il mondo dai dispotismi e dalle ingiustizie. Ove di questo volessimo fare un principio assoluto potremmo scegliere fra lo stare permanentemente in guerra e il chiudersi in un’autarchia che di suo è già la conseguenza di una guerra persa.
Le canaglie non sono tutte uguali e sì, c’è una grande differenza fra una canaglia che dichiara guerra al diritto internazionale e alle democrazie e una canaglia che punta “solo” a far soldi ed espandere la propria influenza. Perché anche noi, che canaglie non siamo, puntiamo a fare soldi ed espandere la nostra influenza. La regola generale è materiale, non morale: in un mondo di canaglie non devi mai dipendere troppo da una sola, perché potrebbe approfittarne. Il gas russo serva da lezione.
Ma anche quello qatarino, perché anziché strillazzare inorriditi e tremuli per la promessa di eventuali rappresaglie a non si sa cosa, sicché sono solo parole, quel che dobbiamo fare e chiederci se saremmo nelle condizioni di rinunciare ad un ulteriore (dopo la Russia) fornitore di gas. E la risposta è Sì, se si saranno preparati i rigassificatori, mentre la risposta è No se continueremo a parlarne senza farli. Quindi la scelta è di politica interna, di saggezza pragmatica, non di moralismo assetato nel deserto delle idee.
Nel nostro mondo la “trasparenza”, dei procedimenti e degli interessi, è un mezzo, un metodo per amministrare le cose collettive, non un fine, non un contenuto. Combattiamo le corruttele per far funzionare il mercato, non per assicurare la beatitudine una volta morti.
La peggiore colpa della politica, Benedetto Croce docet, non è lo sporcarsi le mani, ma il non chiarirsi le idee.
L'articolo Incarogniti proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Come la criminalità organizzata gioca un ruolo chiave nella guerra in Ucraina
Il 1° novembre, il vicedirettore dell’Ufficio investigativo nazionale finlandese ha minimizzato le osservazioni fatte il 30 ottobre da un funzionario dell’agenzia, che ha avvertito del contrabbando di armi occidentali dirette in Ucraina in Finlandia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi. Tuttavia, la vicenda ha suscitato notevole attenzione e rifletteva le precedenti preoccupazioni espresse dalle autorità europee sulla […]
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Libia: il caos delle elezioni continuerà?
Le elezioni legislative libiche del 2022 sono arrivate dopo il fallimento delle elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere il 24 dicembre 2021. Da allora sono emerse molte iniziative e si sono svolti dialoghi tra le parti libiche in Marocco, Turchia ed Egitto, ma senza specificare una data per queste elezioni, che i libici attendono […]
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Russia: perché la Lettonia ha bandito Dozhd?
Il 1° dicembre, Aleksey Korostelyov, conduttore del canale televisivo dell’opposizione russa Dozhd (TV Rain), che trasmette dalla capitale lettone Riga, ha invitato i suoi telespettatori a condividere testimonianze sul processo di mobilitazione della Russia e sui problemi dell’esercito russo. Allo stesso tempo ha espresso la speranza che “abbiamo anche aiutato molti militari, in particolare assistendo con attrezzature […]
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Come la narco-geopolitica ostacola la cooperazione antidroga USA-Cina
La potente e mortale droga sintetica fentanyl è stata al primo posto in un allarmante picco di morti per overdose negli Stati Uniti nel 2021. Nonostante il ruolo centrale dell’industria nella letale catena di approvvigionamento del fentanyl, il Partito Comunista è stato selettivamente disposto a cooperare con gli Stati Uniti per affrontare questo problema. Dato […]
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Stephen King – Notte buia, niente stelle
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Yemen: gli Stati Uniti cambiano tattica
Dopo anni di sostegno a un disastroso intervento militare guidato dai sauditi nello Yemen, gli Stati Uniti stanno cambiando approccio alla guerra, sostenendo una tregua mediata dalle Nazioni Unite che ha portato alla più significativa riduzione della violenza dall’inizio della guerra. Facendo i conti con la realtà che il movimento di opposizione Houthi ora controlla […]
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La Cina punta i piedi nel Golfo, mettendo l’Iran sulla difensiva
Il Presidente cinese Xi ha recentemente concluso una visita di tre giorni in Arabia Saudita, dove ha incontrato funzionari sauditi, tra cui il Principe ereditario Mohmmad Bin Salman, sovrano de facto del regno. Durante il viaggio, i due Paesi hanno firmato un “accordo di partenariato strategico globale” che segnala l’approfondimento dei legami tra Riyadh e […]
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Natale di lotta degli operai dell’ex GKN per la riconversione industriale
Non c’è manifestazione sindacale o di protesta sociale, o d’impegno civile e di lotta per la pace e la conversione ambientale nella quale non appaia uno striscione con lo slogan: ‘Insorgiamo!’ è quello che da 17 mesi gli ex operai della GKN di Campi Bisenzio, specializzata un tempo nelle componentistica per auto, stanno inalberando a […]
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Emanuele Raco, libero di scegliere che voce portare – ecodellalocride.it
Il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica è uno dei più importanti e strategici in questa delicata fase politica, forse è per questo che il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha deciso di affidarsi a un esperto di comunicazione politica e istituzionale di grande esperienza come Emanuele Raco.
Una vita dedicata alla politica e alle Istituzioni quella del cinquantenne giornalista nato a Reggio Calabria, appassionato di storia, laureato in Scienze Politiche all’Università di Messina con una tesi di laurea su Indro Montanelli, il re dei giornalisti italiani ma anche lo scrittore che ha fatto conoscere e amare la storia a milioni di italiani.
«Ho il privilegio di essere stato un amico di Indro Montanelli. Nel corso delle nostre lunghe conversazioni mi ha insegnato a pensare e agire sempre controcorrente, a non cercare mai il favore o il consenso del potere – racconta Raco a Giornalisti Italia – perché l’auto censura è la peggiore delle censure. Per questo quando ho deciso di lasciare l’Università e l’insegnamento della Storia per dedicarmi soltanto alla comunicazione ho fatto la scelta di occuparmi solo di comunicazione Istituzionale».
«Si tratta – sottolinea Raco – di un modo diverso di intendere la comunicazione. L’ho spesso detto a Carlo Nordio, al fianco del quale ho iniziato questa Legislatura: servirebbe la separazione delle carriere dei giornalisti tanto quanto quella dei magistrati. Questa è una delle principali battaglie che ho condotto in Fondazione Einaudi, per la quale sono stato capo ufficio stampa per cinque anni».
«La Fondazione Einaudi – spiega Emanuele Raco – è la casa dei liberali italiani, il punto di riferimento in Italia dei liberali europei. Un’avventura unica che mi ha consentito di battermi per le più straordinarie campagne di libertà che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni, insieme al presidente Giuseppe Benedetto e a compagni di strada del calibro di Carlo Nordio, Davide Giacalone, Lorenzo Infantino, Giulio Terzi di Sant’Agata, Sabino Cassese».
E a Giornalisti Italia Emanuele Raco sottolinea con una punta d’orgoglio: «Ho avuto la fortuna di scegliere sempre che “voce portare”, per chi lavorare. Non sono mai stato uomo di parte e infatti prima di accettare la proposta di essere il portavoce di Pichetto Fratin e il capo della comunicazione del Ministero dell’Ambiente, ero portavoce di Irene Tinagli, presidente della Commissione ECON del Parlamento Europeo.
Irene Tinagli è una delle migliori risorse del nostro Paese. La conosco e collaboro con lei dai tempi di Italia Futura, il Think Tank fondato da Luca di Montezemolo. La mia gioia più grande è quella di aver sospeso la nostra collaborazione, dopo anni di lavoro insieme, proprio la settimana in cui Irene è stata indicata come Parlamentare italiano più influente del Parlamento Europeo».
In passato Emanuele Raco è stato varie volte portavoce di ministri e capo ufficio stampa di gruppi parlamentari e partiti politici.
«Sicuramente – ci racconta mentre si imbarca per Bruxelles per l’ennesimo delicato Consiglio Europeo sull’Energia – quella con Mario Monti è stata una delle esperienze professionali più importanti della mia vita».
Prima di quale, gli chiediamo?
«Prima della prossima», risponde sorridendo, parafrasando Enzo Ferrari. «Di sicuro prima di questa, al fianco di un politico di razza e di un gentiluomo come Gilberto Pichetto Fratin. In fondo – aggiunge – era davvero il tempo che il Paese girasse pagina e che tornasse un governo politico. Ho lavorato bene sia con i tecnici che con i politici, ma i politici devono assumersi la responsabilità delle scelte che ritengono migliori per le famiglie e le imprese, per il bene del Paese».
Spazio per la vita privata?
«Davvero poco, aggiunge con una punta di rammarico. Non posso più neppure occuparmi, per incompatibilità, del giornale che ho fondato durante il lockdown: ilcaffeonline. Il caffè come il giornale degli illuministi italiani, fondato da Pietro Verri e come Montanelli avrebbe voluto chiamare il settimanale che aveva in animo di fondare gli ultimi anni della sua vita».
Una cosa alla quale non intendi rinunciare?
«Alla mia libertà e all’olio di oliva, che la mia famiglia produce dal 1852. Non dico il nome per non fare pubblicità, ma ormai in Italia lo conoscono tutti. In fondo, anche questa è comunicazione».
Ad Emanuele Raco le più viVe congratulazioni e il più sincero in bocca al lupo dal Direttore e dalla Redazione di Giornalisti Italia per questo nuovo, meritatissimo, incarico che premia la sua passione e il suo lavoro al servizio delle istituzioni, senza mai rinunciare all’etica della professione giornalistica e alla sua libertà e all’amore per la terra, la sua terra (che lo ha visto muovere i primi passi con il periodico “laltrareggio” di Franco Arcidiaco) e il suo “ferlitano”.
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Rapporto ecomafie: i reati ambientali in Italia sono una vera emergenza - L'Indipendente
"Le mafie possiedono lo scettro indiscusso dei reati contro l'ambiente, in una triangolazione che vede intrecciarsi in maniera sempre più profonda criminalità organizzata, ambientale ed economia. Lo testimoniano i dati emersi dal nuovo report Ecomafia 2022, stilato da Legambiente con il supporto di Novamont."
Leonardo
in reply to J. Alfred Prufrock • • •J. Alfred Prufrock
in reply to Leonardo • •Ciao Leonardo, grazie per il suggerimento
Purtroppo non ho questo file
J. Alfred Prufrock
in reply to J. Alfred Prufrock • •A questo punto mi viene da sospettare di tutta quell'abbondanza di @ e di u nel launcher. Non dovrebbe essere solo un %u?
A meno che non sia una sintassi particolare per passare argomenti a un flatpak
Edit: a quanto sembra è proprio così
docs.flatpak.org/en/latest/fla…
Flatpak Command Reference — Flatpak documentation
docs.flatpak.orgJ. Alfred Prufrock
in reply to J. Alfred Prufrock • •AGGIORNAMENTO
Probabilmente non sarà utile a nessuno e sarò il solo ad averne avuto esperienza (su ben due pc!), ma credo di essere riuscito a risolvere il problema in un modo tanto anti-scientifico da vergognarmene quasi.
In pratica ho riaperto il fido Alacarte, copiato la stringa del launcher creato dal flatpak e fatto un nuovo launcher con la stessa identica stringa.
Se lancio #Firefox da questo nuovo launcher, il programma non crasha.
Se uso il launcher originale invece sì.
Lascio qui la "soluzione", magari torna utile a qualcuno.
Non senza disappunto per non aver capito il mistero dietro tutto questo