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Romeo e Manetta


Alfredo Romeo, imprenditore, fu arrestato nel marzo del 2017, per una faccenda di gare e corruzione. Fu tenuto agli arresti cinque mesi, di cui tre in carcere. Poi la giustizia stabilì, dopo cinque mesi, che non esistevano ragioni di custodia cautelare. N

Alfredo Romeo, imprenditore, fu arrestato nel marzo del 2017, per una faccenda di gare e corruzione. Fu tenuto agli arresti cinque mesi, di cui tre in carcere. Poi la giustizia stabilì, dopo cinque mesi, che non esistevano ragioni di custodia cautelare. Nel frattempo era ogni giorno su tutti i giornali e centinaia di volte al giorno in tele e radiogiornali. Adesso, ancora una volta, è stato assolto. Perché il fatto non sussiste.
Vi propongo l’elenco dei colpevoli:
1. l’informazione che strilla l’accusa e nasconde l’assoluzione, facendo del colpevolismo lo spettacolo per vendere e avanzare;
2. la giustizia in cui fa carriera anche chi fa arrestare innocenti e perde i processi;
3. i cittadini che dicono: ci sono le prove, la prossima volta ci pensi prima. Mentre passa per complice chi dice: se ci sono le prove lo portino a processo, in carcere si va dopo la condanna.
Per non perdere il vizio: Eva Kaili sia processata, ma la carcerazione lontana dalla bambina di 22 mesi è una barbarie inaccettabile.

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FABBRI E’ INFLUENZATO, RINVIATA LA LECTIO MAGISTRALIS IN PROGRAMMA DOMANI PER LA SCUOLA DI LIBERALISMO DELLA FONDAZIONE LUIGI EINAUDI


Tra i tre milioni e mezzo di italiani colpiti, in queste settimane, dall’influenza australiana, c’è anche Dario Fabbri, l’esperto di geopolitica atteso domani a Teramo, per la lectio magistralis prevista nel programma della scuola di Liberalismo della Fon

Tra i tre milioni e mezzo di italiani colpiti, in queste settimane, dall’influenza australiana, c’è anche Dario Fabbri, l’esperto di geopolitica atteso domani a Teramo, per la lectio magistralis prevista nel programma della scuola di Liberalismo della Fondazione Luigi Einaudi. Fabbri ha informato questa sera il responsabile della sede abruzzese della Fondazione, Alfredo Grotta, comunicandogli, con vivo dispiacere, l’impossibilità di partecipare all’incontro previsto per le 17 alla Sala Polifiunzionale. Inevitabile dunque il rinvio della Lectio magistralis sul tema “DOMINO: quale nuovo ordine mondiale?” alla prossima data possibile.

certastampa.it

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Perù: la repressione fa 47 morti. Governo indagato per genocidio


In un mese la repressione delle proteste popolari contro la destituzione dell'ex presidente di sinistra Pedro Castillo ha provocato 47 morti. La Procura Nazionale indaga la presidente Boluarte e il governo per genocidio. Dal carcere Castillo accusa gli Us

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 12 gennaio 2023 – La repressione delle manifestazioni scatenate dall’arresto di Pedro Castillo dopo il fallimento dell’autogolpe tentato dall’ex presidente il 7 dicembre ha provocato un bagno di sangue.
Nell’ultimo mese sono state almeno 47 le vittime della violenza; l’ultima strage, la più sanguinosa, è stata compiuta dalle forze di sicurezza a Juliaca, nel dipartimento di Puno. Il bilancio provvisorio è di 18 vittime, ma potrebbe aumentare visto l’alto numero di feriti gravi.
Gli agenti e i militari incaricati di “ripristinare l’ordine” hanno sparato ad altezza d’uomo, riferiscono i testimoni, contro i manifestanti scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Dina Boluarte – la numero due di Castillo designata presidente dopo l’arresto di quest’ultimo – lo scioglimento del parlamento e l’indizione di elezioni anticipate.
Inizialmente, la prima presidente donna del Perù aveva promesso di indire nuove elezioni a dicembre del 2023, ma il Congresso ha respinto la proposta posticipando il voto, forse, al 2024.
Da quel momento le proteste sono riprese con forza – tutti i sondaggi indicano che la stragrande maggioranza della popolazione vuole tornare alle urne il prima possibile – e la repressione sembra farsi sempre più dura. D’altronde, per il governo di Lima, le manifestazioni costituiscono la prosecuzione del «colpo di stato» maldestramente tentato dal leader della sinistra per evitare la destituzione.

La parabola dell’ex maestro di sinistra
Il 7 dicembre Castillo ordinò lo scioglimento del Congresso e la formazione di un “governo di emergenza”, con l’idea di chiamare il paese a elezioni anticipate e di forzare una riforma radicale del potere giudiziario. Quest’ultimo, controllato dagli ambienti conservatori e reazionari, ha sistematicamente boicottato la presidenza provocando non pochi problemi ad una compagine comunque raffazzonata. Anche il tentativo di Castillo di sottrarsi all’ennesimo tentativo di destituzione da parte dell’opposizione parlamentare è apparso improvvisato e privo dei necessari sostegni. Dopo la rinuncia e la condanna dei suoi stessi ministri, Castillo si è diretto all’ambasciata messicana a Lima per chiedere asilo, ma è stato arrestato dalla sua stessa scorta.
La vittoria del maestro rurale di origini indigene a capo di una coalizione di sinistra nel 2021 aveva bloccato l’elezione di Keiko Fujimori – figlia dell’ex dittatore di origini giapponesi Alberto Fujimori, tuttora in carcere per crimini contro l’umanità – e aveva destato grandi aspettative tra i movimenti indigeni e popolari da sempre ai margini della vita politica del paese. La sua promessa di una riforma radicale del sistema politico ed economico del Perù gli aveva garantito la vittoria, per quanto di misura, sui candidati della destra, ma il suo mandato si è rivelato un fallimento, sia per le contraddizioni e le divisioni interne alla sua compagine sia per l’impossibilità di governare un paese dominato da una élite allergica ad ogni cambiamento. Non solo i media (per lo più di proprietà del gruppo privato El Comercio) e i massimi organi giudiziari hanno mosso contro Castillo un’implacabile guerra, ma pezzi consistenti della sua stessa maggioranza parlamentare hanno portato avanti un sistematico ostruzionismo – compreso il suo partito, “Perù Libre”, che lo ha addirittura espulso – impedendo alla presidenza di varare almeno alcune delle riforme sociali ed economiche promesse. L’incompetenza e la discutibilità morale del personale politico scelto da Castillo per governare il paese e le trappole disseminate dalla destra hanno fatto il resto, provocando una crisi di governo permanente e le dimissioni di decine tra premier e ministri nel giro di poco più di un anno.

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La piazza vuole l’Assemblea Costituente
Appare indicativo il fatto che a guidare la svolta reazionaria e la repressione sia ora, dopo l’arresto di Castillo, la sua ex vice, Dina Boluarte, un’avvocatessa sessantenne con scarsa esperienza politica ed eletta nelle fila del partito di sinistra “Perù Libre”, ma che ora sembra offrirsi all’oligarchia peruviana come il baluardo della restaurazione politica.
Ma, dopo la relativa pausa in occasione delle feste di fine anno, le proteste popolari sono riprese con vigore il 4 gennaio, con l’indizione di uno sciopero generale ad oltranza che sta paralizzando soprattutto il sud del paese dove più forte è la presenza delle popolazioni aymara e dove più massiccio era stato il voto per Castillo. Blocchi stradali, occupazioni e scontri sono segnalati in diversi dipartimenti, soprattutto a Puno, Arequipa e Tacna. Particolarmente forti sono stati gli scontri registrati ieri tra indigeni che tentavano di occupare l’aeroporto di Cuzco e la polizia. Se non basterà, avvisano i manifestanti, verrà organizzata una grande marcia su Lima per assediare il governo e le sedi istituzionali.
Le organizzazioni popolari e parte delle sinistre continuano a chiedere la rinuncia di Boluarte e l’elezione di un’Assemblea Costituente che riscriva una Magna Charta che blinda il neoliberismo. Una richiesta fatta propria dal governatore del dipartimento di Puno, Richard Hancco, che dopo la strage di lunedì ha indetto tre giorni di lutto. Da parte sua il primo ministro Alberto Otárola ha imposto nel dipartimento andino tre giorni di coprifuoco notturno.

La strage di Juliaca
Nel frattempo però la conta dei morti e dei feriti aumenta, mentre ogni giorno si contano centinaia di arresti. La vittima più giovane è un’adolescente di soli 17 anni, Yamileth Aroquipa, studentessa di psicologia e volontaria in un rifugio per animali abbandonati. È stata uccisa a Juliaca, città nel sudest alla frontiera con la Bolivia. Tra le vittime ci sono Marco Antonio Samillan, un neurochirurgo colpito alla testa mentre tentava di soccorrere un ferito; Gabriel Omar López, 35 anni, venditore ambulante di gelati; Roger Cayo, 22 anni, studente di meccanica.
Contro i circa 9000 manifestanti disarmati che lunedì sera assediavano il locale aeroporto, raccontano i media locali, la Polizia Nazionale ha usato addirittura dei proiettili esplosivi. Il dottor Enrique Sotomayor, responsabile della terapia intensiva dell’ospedale Carlos Monge Medrano di Juliaca, ha riferito ai media locali che quasi tutti i cadaveri e i feriti arrivati nel nosocomio erano stati colpiti da proiettili di armi da fuoco abbastanza potenti da danneggiare gravemente gli organi interni.
Inferociti dalla caccia all’uomo seguita alla strage, alcuni manifestanti hanno incendiato una volante della polizia, causando la morte di un agente.

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Presidente e governo indagati per strage
Dopo le proteste e le denunce contro la brutalità della polizia e dell’esercito, mobilitato grazie allo stato d’emergenza proclamato dalle autorità, la Procura Generale di Lima ha aperto un’indagine per “genocidio” (strage), omicidio e lesioni gravi contro la presidente, il premier Otárola – che ha appena ottenuto la fiducia con 73 voti a favore e 43 contro – e i ministri degli Interni Victor Rojas e della Difesa Jorge Chavez. L’indagine coinvolge anche il primo premier incaricato da Boluarte, Pedro Angulo e l’ex ministro dell’Interno, Cesar Cervantes, e alcuni alti funzionari di polizia, fra cui il capo della regione di Ayacucho, Antero Mejia Escajadillo ed il comandante della seconda brigata di fanteria militare di Ayacucho, Jesus Vera Ipenza.
Gli indagati si difendono accusando Castillo, condannato a 18 mesi di carcere preventivo per cospirazione e ribellione, di manipolare i manifestanti, additati come terroristi e delinquenti. Boluarte, in particolare, ha denunciato la “sinistra radicale” come istigatrice alla sovversione violenta dell’ordine costituzionale. La stampa di destra e alcuni esponenti del governo hanno anche puntato il dito contro il narcotraffico e contro l’ex presidente socialista boliviano Evo Morales, al quale lunedì scorso Lima ha vietato l’ingresso nel paese e che ora viene accusato di essere tra gli organizzatori occulti delle proteste.

Castillo accusa Washington
Dal carcere l’ex presidente Castillo accusa il governo di «massacrare la popolazione indifesa», attribuendo la repressione agli Stati Uniti, interessati a riconquistare il controllo delle risorse minerarie del paese. Scrive l’ex maestro in una lettera scritta a mano: «La visita dell’ambasciatrice degli Stati Uniti (Lisa Kenna) al Palazzo non è gratis, e neanche a favore del Paese. È stata compiuta per dare l’ordine di portare l’esercito nelle strade e massacrare il mio popolo indifeso». Poco dopo la pubblicazione del messaggio dell’ex presidente, l’Ambasciata di Washington a Lima ha pubblicato una breve nota nella quale ribadiva il «rispetto» della Casa Bianca per le «istituzioni democratiche del Perù» rilanciando «un appello alla pace e all’unità».

Sulla situazione in Perù è intervenuto anche il primo presidente di sinistra della Colombia. «Ciò che sta avvenendo in Perù è un massacro contro la popolazione. Una soluzione politica e pacifica è essenziale. Fermare la morte e sedersi a parlare. Il sistema interamericano dei diritti umani deve agire con urgenza» ha scritto Gustavo Petro in un tweet.

Intanto, la concessione dell’asilo politico da parte del Messico a Lilia Paredes, moglie di Castillo, e i suoi due figli Arnold e Alondra, ha reso tesi i rapporti tra Lima e Città del Messico. Il governo peruviano ha dichiarato persona non grata l’ambasciatore messicano Pablo Monroy a causa delle «continue ingerenze della missione diplomatica negli affari interni del paese». – Pagine Esteri

4782361* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Cadde infatti la Francia monarchica…


Cadde infatti la Francia monarchica, che tutta si incentrava a Versailles, come prima era caduto l’impero romano che tutto si incentrava in Cesare, come rovineranno in futuro tutte le società che si diano interamente ad un uomo o ad un idolo. da Liberal
Cadde infatti la Francia monarchica, che tutta si incentrava a Versailles, come prima era caduto l’impero romano che tutto si incentrava in Cesare, come rovineranno in futuro tutte le società che si diano interamente ad un uomo o ad un idolo.


da Liberalismo, “L’Italia e il secondo Risorgimento”, 29 luglio 1944

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fondazioneluigieinaudi.it/unca…



Quando la Storia divide anziché unire


Colpisce, a proposito di certi avvenimenti intorno alla fine dell’anno l’abisso culturale in cui accadono, ma specialmente la distanza siderale dalla realtà che rivelano nel loro ‘avvenire’. Mi riferisco ad un episodio in particolare: la richiesta del Governo egiziano a quello inglese di restituzione della ‘Stele di Rosetta’. Si tratta, come tutti ben sanno, di […]

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AFGHANISTAN. Ancora un attentato kamikaze a Kabul: 5 morti e decine di feriti


Oltre 40 ricoverati nell’ospedale di Emergency, che allestisce anche cucine e sala mensa per accoglierli. L’esplosione non è stata ancora rivendicata da nessuna organizzazione. L'articolo AFGHANISTAN. Ancora un attentato kamikaze a Kabul: 5 morti e decin

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 11 gennaio 2022 – E’ di almeno 5 morti e decine di feriti il bilancio dell’attentato kamikaze che nel pomeriggio dell’11 gennaio, alle ore 16.00 afghane, ha colpito Kabul, a pochi passi dal Ministero degli Esteri. Secondo l’agenzia di notizie Reuters, Ustad Fareedun, un funzionario del ministero della comunicazione del governo dei talebani, avrebbe parlato addirittura di 20 morti, numero rilanciato pochi minuti dopo anche da Al Jazeera. Il funzionario avrebbe, inoltre, dichiarato che l’obiettivo iniziale dell’attentatore suicida sarebbe stato quello di introdursi direttamente nella sede del Ministero.

Il centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency, l’ONG fondata nel 1994 da Gino Strada e Teresa Sarti e attiva da oltre 20 anni nel Paese, ha ricevuto finora 40 feriti. “Fino ad ora abbiamo ricevuto oltre 40 pazienti in ospedale, difficile stilare un bilancio, le attività sono ancora in corso – ha dichiarato Stefano Sozza nel comunicato diffuso sui canali ufficiali dell’organizzazione – Si tratta della prima mass casualty del 2023, ma di certo da inizio 2022 una di quelle con più pazienti. Tanto che abbiamo dovuto predisporre letti anche nelle cucine e nella sala mensa”. Nel 2022, le mass casualties gestite nell’ospedale erano state 29, per un totale di 380 pazienti.

🔴 #Kabul #Esplosione vicino al Ministero degli Affari Esteri, oltre 40 feriti ricevuti finora nel nostro ospedale. “Bilancio delle vittime ancora in divenire, predisposti letti anche nelle cucine e nella sala mensa” Leggi ⬇️ t.co/Vu9UqXqw57

— EMERGENCY (@emergency_ong) January 11, 2023


Nonostante la propaganda talebana rivendichi una maggiore sicurezza nel Paese e una riduzione del numero degli attentati dall’agosto 2021 ovvero dalla partenza delle truppe alleate, gli atti terroristici continuano a mietere vittime in Afghanistan. Decine di attacchi armati sono stati rivendicati dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

Nel mese di dicembre, cinque uomini d’affari cinesi erano stati feriti in un agguato di uomini armati in un rinomato hotel di Kabul. Nello stesso mese, un attentato aveva colpito l’ambasciata del Pakistan, un episodio che le autorità pakistane avevano denunciato come un “tentato omicidio” del loro ambasciatore. Si tratta solo degli ultimi attentati rivendicati dall’Isil. Anche il Ministero degli interni di Kabul e l’ambasciata russa erano stati colpiti nei mesi precedenti.

Secondo il rapporto sulla protezione dei civili nei conflitti armati pubblicato nel luglio 2022 da UNAMA, la Missione di Soccorso delle Nazioni Unite in Afghanistan, in dieci mesi, tra la metà di agosto 2021 e la metà di giugno 2022, le vittime civili di attacchi terroristici nel Paese sarebbero state 2106, delle quali 700 morti. La maggior parte degli attentati, anche secondo UNAMA, sarebbero attribuibili all’Isil e molto frequentemente rivolti contro stranieri o contro minoranze etniche.

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VIDEO. Scarcerato dopo 40 anni Karim Younis. Ministro chiede revoca cittadinanza israeliana


Era il detenuto palestinese da più tempo in prigione. Aveva ucciso nel 1980 un soldato. Il ministro dell'interno Arie Deri vuole revocargli la cittadinanza, provvedimento che potrebbe poi portare all'espulsione. Intanto ieri a Balata ucciso un altro adole

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 5 gennaio 2022 – Accolto da decine di parenti e conoscenti, Karim Younis questa mattina poco dopo le 5 è stato scarcerato e, dopo 40 anni, è tornato a casa ad Arara in Galilea e si è poi recato a far visita alla tomba della madre scomparsa nei mesi passati.

Cittadino israeliano, Younis assieme a due parenti – Maher e Sami Younis – nel 1980 uccise un soldato israeliano, Avraham Bromberg. Condannato a morte, pena poi commutata in 40 anni di carcere, Karim Younis è stato spesso negli elenchi di detenuti politici palestinesi da liberare sulla base di accordi con Israele per lo scambio di prigionieri. Le autorità israeliane hanno sempre respinto la possibilità di una sua scarcerazione anticipata. Considerato un simbolo da tanti palestinesi per la sua lunga prigionia, Younis potrebbe vedersi revocata la sua cittadinanza israeliana se sarà accolta dai giudici la richiesta in quella direzione formulata dal neo-ministro dell’interno Arie Deri.

Intanto la scorsa notte è salito a quattro il bilancio dall’inizio dell’anno di palestinesi uccisi durante incursioni dell’esercito israeliano nei centri abitati cisgiordani. Nel campo profughi di Balata (Nablus) un ragazzo di 16 anni, Amer Abu Zaitun, è stato colpito alla testa da un proiettile sparato, denunciano i palestinesi, da soldati israeliani. Secondo la versione dell’esercito invece l’adolescente sarebbe stato ucciso da un colpo vagante nel fuoco incrociato tra forze israeliane e combattenti palestinesi “durante l’arresto di un ricercato”.

youtube.com/embed/HwnlpS5WWRM

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Si è concluso oggi il viaggio istituzionale del Ministero dell’Istruzione e del Merito a Cracovia, in Polonia, in vista della Giornata della Memoria. Hanno partecipato anche le studentesse e gli studenti dell’Istituto “Giovanni Bertacchi” di Lecco.


@Friendica Support Good evening everyone! I just noticed an anomaly that I haven't been able to fix. In fact, I noticed that friendica's posts are displayed on mastodon with a different visibility depending on whether they are written with the title/subject or if they are written as simple messages.
In the first case, Mastodon (which can only display the title/subject and the link to the original message) decodes them as "Unlisted"; in the second case, Mastodon (besides reading them completely) classifies them as "Public"!
Is there a way to force display "Public" for all messages?

PS: obviously in the "Security and Privacy Settings" settings in "/settings" the Make public posts unlisted box (Your public posts will not appear on the community pages or in search results, nor be sent to relay servers. However they can still appear on public feeds on remote servers) is not selected

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Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Signor Amministratore ⁂
@Michael Vogel Can you tell me why Lemmy posts (which have a title/subject) appear as "Public" and not as "Unlisted"

Friendica Support reshared this.

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Signor Amministratore ⁂

@Michael Vogel Sorry for the delay in answering you, but I did a series of tests and these tests didn't give me the results I expected. Thus, by dint of doing other tests, I finally understood what was the problem that determined "untitled" visibility in my Friendica posts with title/subject.

Clue

Almost all of the posts with title/subject that I produce are intended for publication on Lemmy and upon closer inspection, I found that ONLY the posts intended for Lemmy have this visibility problem...

Discovery

Well, I understand that the problem lies in the mention of the Lemmy community! As I should have expected based on Friendica conventions (which in the meantime I had completely forgotten) the mention of a group/forum is considered "Public" if done with the @ at sign, while it is considered "Unlisted" if done with the exclamation mark !

Since the mention of the Lemmy communities usually takes place with the exclamation point, this is the reason why the posts did not result in "public" mode but only in "unlisted" mode.

Solution

Actually, it is also possible to mention Lemmy communities with the @ sign, and in this way the produced posts are displayed as "public"

Example:

1) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica

2) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica (with mention on Lemmy)

3) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica (with mention @ on Lemmy)

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@:fedora: filippodb :BLM: :gnu: 🔗 mastodon.uno/users/filippodb/s…


Esattamente 10 anni fa, l'11 gernnaio 2013 Aaron Swartz si toglieva la vita.

In sua memoria fu creato il FIlm documentario "Il figlio di internet: Storia di #AaronSwartz" (The Internet's Own Boy).
Un'opera che dovrebbe essere vista in tutte le scuole e condivisa da tutti (è rilasciata su licenza libera #creativecommons):

:peertube: peertube.uno/w/t4Uft32TfUGk6bm…

Qua il suo manifesto di Guerilla Open Access nel sito dei @Devol :fediverso::

:opensource: devol.it/it/guerrilla-open-acc…

da condividere il più possibile.


Esattamente 10 anni fa, l'11 gernnaio 2013 Aaron Swartz si toglieva la vita.

In sua memoria fu creato il FIlm documentario "Il figlio di internet: Storia di #AaronSwartz" (The Internet's Own Boy).
Un'opera che dovrebbe essere vista in tutte le scuole e condivisa da tutti (è rilasciata su licenza libera #creativecommons):

:peertube: peertube.uno/w/t4Uft32TfUGk6bm…

Qua il suo manifesto di Guerilla Open Access nel sito dei @devol:

:opensource: devol.it/it/guerrilla-open-acc…

da condividere ❤️




A Soledar si combatte strada per strada: è la battaglia più sanguinosa dall’inizio del conflitto. Zelensky: “Ecco come appare la follia”. L’esercito russo è vicino, ma non ha ancora preso il controllo della città di Soledar, nell’Ucraina orientale.


Grand TourIeri Thierry Breton era a Madrid per presentare al Primo ministro spagnolo Pedro Sánchez la sua nuova proposta: il Clean Tech Act.


L’influenza occidentale in Africa si sta indebolendo e si sta costruendo un “nuovo mondo” // Ambasciatore eritreo in Russia


L’influenza dei paesi occidentali, compresa la Francia, in Africa si sta indebolendo, ha affermato l’ambasciatore eritreo in Russia. In un’intervista all’agenzia di stampa statale Sputnik,…

L’influenza dei paesi occidentali, compresa la Francia, in Africa si sta indebolendo, ha affermato l’ambasciatore eritreo in Russia.

In un’intervista all’agenzia di stampa statale Sputnik, l’ambasciatore Tsegay ha avvertito che la guerra nel Tigray potrebbe riaccendersi a causa della politica statunitense.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno imposto sanzioni a funzionari e istituzioni del governo eritreo per il coinvolgimento delle forze eritree nel conflitto civile in Etiopia.

L’ambasciatore ha detto che le forze eritree si ritireranno dal Tigray solo se il governo etiope lo richiedesse, ha detto l’agenzia di stampa russa.

Gli Stati Uniti pro-TPLF e i loro alleati occidentali hanno chiesto all’Eritrea di ritirare le sue truppe dal Tigray.

La scorsa settimana il presidente eritreo Isaiah Afewerki ha lanciato un messaggio fortemente critico all’Occidente in occasione del Capodanno

“Nel nostro quartiere, in modo simile, contrariamente alle loro agende più grandi, la loro cospirazione per destabilizzare la crisi è aumentata. L’isteria della loro ostilità contro l’Eritrea sta crescendo”, ha affermato.

L’ambasciatore Petros Tsegay ha dichiarato all’agenzia di stampa russa che l’indebolimento dell’influenza occidentale ha creato un “nuovo mondo” nel continente e gli africani hanno l’opportunità di “respirare liberamente”.

La cooperazione militare della Russia con alcuni paesi sulla scia dell’instabilità nell’Africa centrale e occidentale ha sollevato preoccupazioni in Occidente.

I crescenti rapporti economici e diplomatici della Cina con l’Africa negli ultimi due decenni hanno preoccupato gli Stati Uniti e l’Europa.

Questi paesi grandi e potenti stanno ospitando le proprie conferenze e invitando i leader africani a dimostrare la loro influenza sul continente.

Il mese scorso, gli Stati Uniti non hanno invitato l’Eritrea a un vertice dei leader africani, esacerbando le relazioni tese tra i due paesi.

Tutti i paesi africani sono stati invitati al vertice russo del luglio 2023 a San Pietroburgo. L’ambasciatore ha anche confermato che l’Eritrea parteciperà.

Ha anche lasciato intendere che potrebbe partecipare il presidente eritreo, che non partecipa a tali conferenze da molto tempo.

“Il leader eritreo Isayas Afewerki potrebbe partecipare alla [conferenza] se la situazione al confine con il Tigray si stabilizza”, ha detto l’agenzia di stampa citando l’ambasciatore Petros.


FONTE: bbc.com/tigrinya/articles/c9e4…


tommasin.org/blog/2023-01-11/l…



Le sanzioni contro la Russia funzioneranno, ma lentamente


In risposta all’invasione russa dell’Ucraina, il G7 e circa altri 50 paesi hanno imposto sanzioni economiche alla Russia. Si suddividono in due grandi categorie: reali e finanziarie. Le vere sanzioni includono restrizioni al commercio con la Russia e la revoca del suo status di nazione più favorita. Quelli finanziari comportano il congelamento dei beni russi […]

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Gli armeni cancellati dalla guerra che nessuno vuole vedere


La scrittrice: «Nel Nagorno-Karabakh un popolo invaso viene torturato nel silenzio» Le bugie hanno le gambe corte. Ma a volte, come nel caso della lettera del prof. Daniel Pommier Vincelli a La Stampa del 22 dicembre, pubblicata col titolo L’Azerbaigian r

La scrittrice: «Nel Nagorno-Karabakh un popolo invaso viene torturato nel silenzio»


Le bugie hanno le gambe corte. Ma a volte, come nel caso della lettera del prof. Daniel Pommier Vincelli a La Stampa del 22 dicembre, pubblicata col titolo L’Azerbaigian rivendica i propri confini legittimi. Sono le interferenze russe a peggiorare la situazione, non le hanno affatto. Vorrei segnalare le affermazioni e omissioni più eclatanti di questa lettera. In risposta all’affermazione che «l’espulsione della popolazione civile» azera dal Nagorno-Karabakh negli Anni 90 è «stata tecnicamente la più grande pulizia etnica del XX secolo», vorremmo sommessamente ricordare al prof. Vincelli che nel XX secolo ci sono stati numerosi – e ben noti – genocidi e pulizie etniche, riguardanti – in primis – armeni ed ebrei e poi l’Holodomor ucraino (su cui, nel 2019, è uscito il bel film Mr. Jones), il Ruanda, la Cambogia, i Balcani…

Quanto alla “pulizia etnica” dell’Azerbaijan, ricordiamo che di profughi armeni ce ne furono circa 400.000. Secondo l’European Commission against Racism and Intolerance, gli armeni erano «il gruppo più vulnerabile in Azerbaijan nel campo del razzismo e della discriminazione razziale» (2006). All’affermazione che «l’Armenia … [ha strappato] all’Azerbaigian non solo la regione del Karabakh» e alla descrizione della prima guerra del Nagorno-Karabakh come «l’invasione armena dei territori azerbaigiani», faremmo notare che solitamente non si definiscono come “invasori” le popolazioni autoctone o indigene. Gli “invasori” vengono dal di fuori. Gli armeni, invece, vengono dal di dentro: sono autoctoni di quelle terre. Tanto è vero che la lingua ufficiale della regione autonoma (oblast) del Nagorno-Karabakh, dotata anche di un Soviet autonomo, era l’armeno. Infine: bene il richiamo al l’Onu del Vincelli: «Diritto all’autodifesa come da articolo 51 dellacarta delle Nazioni Unite». Male invece non aver citato l’altro fondamentale diritto riconosciuto dall’Onu: il diritto all’autodeterminazione dei popoli (Risoluzione 1514 (XV), 14 dicembre 1960).

E arriviamo alle omissioni. Ciò che è più incredibile della lettera di Vincelli è il voler «spazzare sotto il tappeto», come si dice in inglese, il pericolo corso dal popolo autoctono armeno del Nagorno Karabakh (tenuto a bada dall’Unione Sovietica, finché è durata). Come ricorda Sohrab Ahmari nel suo magistrale articolo sui fatti dell’Artsakh (del 22 dicembre scorso), finché c’era il Soviet gli armeni del Karabakh riuscirono a coesistere coi non armeni. Ma con il suo indebolimento, essi rividero lo spettro dei pogrom del XX secolo. Per loro combattere divenne una questione di sopravvivenza.

Vergognoso poi è il silenzio sulle decapitazioni da parte azera di abitanti dell’Artsakh, sulle torture su civili armeni e sui prigionieri di guerra, sui video (da loro diffusi sui social) di donnearmene mutilate, sul vergognoso Parco della Vittoria creato da Aliyev a Baku alla fine della guerra; per non parlare dell’assassinio dell’ufficiale armeno Gurgen Markaryan durante il sonno, colpito 16 volte con un’ascia dall”ufficiale azero Ramil Safarov a Budapest, durante le esercitazioni Nato del gennaio 2004. Condannato all’ergastolo, Safarov venne rimpatriato dopo una trattativa segreta col governo ungherese, e festeggiato in patria come un eroe nazionale. Tutte questo cose sono state ampiamente documentate e riportate dai giornali.

E che dire del “caso Akram Aylisli”? Questo scrittore ottantacinquenne, uno dei più noti e celebrati autori azeri, ha scritto un breve romanzo, Sogni di pietra (2013), pubblicato anche in Italia da Guerini, con la prefazione di Gian Antonio Stella. Una piccola storia incantevole di fratellanza e di pace ambientata a Baku, in cui un vecchio attore azero finisce in ospedale per aver difeso un armeno da un linciaggio, e nel delirio ricorda la pacifica convivenza nel villaggio natio. Aylisli è diventato un reietto: è stato dichiarato apostata, espulso dall’Unione degli scrittori azeri, privato della pensione, gli è stato impedito di uscire dal Paese. E infine, perché parlare di «una premessa storica, che assume un valore etico-politico»? Vogliamo proprio parlare di etica, prof. Vincelli? Perché non cominciamo con il parlare di verità? Come ricorda Kant, le bugie sono in sé cosa non etica: mendacium est falsiloquium in praeiudicium alterius.

Proprio in questi giorni ecco l’ultimo episodio di questa spietata guerra sotterranea, chiaramente intesa a far sloggiare i restanti 120.000 abitanti armeni del Karabakh: il blocco del corridoio di Lachin, l’ultima strada – rimasta operativa sotto il controllo di militari russi – che collega al mondo questa enclave abitata da millenni dal popolo armeno. È una mossa che fa seguito ai bombardamenti del luglio scorso,
in cui furono attaccati diversi villaggi di confine e anche la celebre stazione termale di Jermuk, nel territorio stesso dell’Armenia, con parecchi morti e feriti. Una perversa partita del gatto col topo, il cui scopo è di accrescere l’ansia e l’angoscia di questi poveri e ostinati montanari, attaccati come ostriche allo scoglio alla loro terra natia, dove sono ritornati dopo la guerra dell’autunno 2020, vinta dall’Azerbaigian col supporto dei droni turchi e delle milizie dei jihadisti siriani. Farli diventare miserandi profughi, insomma, come gli sventurati sopravvissuti al genocidio del 1915-1922, che non a caso in Turchia vennero chiamati “i resti della spada”. L’attuale blocco totale del corridoio di Lachin, attuato da sedicenti “ambientalisti” azeri da 18 giorni, sta strangolando gli armeni del Karabakh. Ogni attività si sta fermando.

Nel severo inverno caucasico, manca il petrolio. Mancano o scarseggiano frutta, verdura, zucchero e molte altre cose di quotidiana utilità, che di solito arrivano dall’Armenia. I 612 studenti del complesso educativo italo-armeno(Hamalir Antonia Arslan), istituito dalla Cinf, fondazione italo-americana attiva da qualche anno, che vanno dai 4 ai 27 anni, sono costretti a casa, al freddo. Così hanno passato il Natale e il Capodanno. E il mondo occidentale tace, non guarda fischiettando dall’altra parte.

Ha collaborato SiobhanNash-Marshall.
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La Stampa

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Nigeria: elezioni 2023, democrazia alla prova


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