Perché Walter Lippmann voleva demolire le idee alla base della Guerra Fredda
Walter Lippmann (1889 -1974) è stato forse il giornalista americano più influente del XX secolo. Era anche tra i suoi più saggi strateghi. Tra le molte cose che la guerra in Ucraina ha messo in luce c’è la cospicua mancanza di voci mediatiche come quella di Lippmann, così come la scarsità di pensiero strategico ai […]
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Equità per l’Ucraina
Equità è la parola d’ordine dichiarata dell’amministrazione Biden su questioni di giustizia sociale e parificazione dei risultati. Tuttavia, questo principio deve ancora essere pienamente applicato nel caso dell’Ucraina. L’equità fa parte delle leggi di guerra. Tutti i paesi hanno il diritto a ritorsioni proporzionate. Senza questo diritto, il diritto internazionale sarebbe impotente. È giunto il […]
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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII
CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII
Si è chiuso un anno. Nel peggiore dei modi? Probabilmente, ma non per i motivi che si potrebbe essere portati a pensare. Non sono e non possono essere gli imbarazzanti elementi che rappresentano le tre forze di governo a condizionare il nostro umore. Ci sono cose ben più gravi a cui pensare, ad esempio, restando in tema, consideriamo molto peggio l’assenza di un’alternativa a trio di cui sopra. Che sono, è bene ricordarlo, non la causa del male ma i suoi sintomi, la manifestazione conseguente. Il nostro ragionamento deve quindi, per forza di cose, andare oltre, alzarsi da un punto di vista concettuale.
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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII - 2023
È l'uomo, come sempre, la più grande delusione dell'anno. Lo diciamo da talmente tanto tempo che forse stiamo diventando stucchevoli nel nostro ripeterci.Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
Angelo Panebianco e Massimo Teodori – La parabola della Repubblica
VIAGGI E STORIA. L’Europa che nasce da Sarajevo, l’Europa che a Sarajevo muore
di Paolo Pantaleoni* –
Pagine Esteri, 4 gennaio 2022 – (Seconda parte – leggi qui la prima parte) Seguendo il corso della Sava fino alla confluenza sua nel Danubio si arriva in una Belgrado più affascinante che bella, una città che prosegue la sua torsione da città cosmopolita e laica, capitale per oltre cinquant’anni di un paese multietnico, a capitale di un’anima conservatrice ed ortodossa emersa nell’ultimo ventennio anche per negazione altrui.
Pochissimi i turisti stranieri che si incontrano in città.
La Serbia vive in gran parte di turismo interno, di serbi e cittadini delle repubbliche ex jugoslave, e di turismo russo.
Le bandiere russe sono ovunque, in sostegno all’invasione dell’Ucraina in nome della comune appartenenza all’ortodossia cattolica slava, e mentre alla comunità LGBTQ viene impedito di sfilare al Gay Pride, con un provvedimento di urgenza del governo, con facilità si incontrano sui muri del centro scritte inneggianti a Ratko Mladic.
I servizi segreti di mezzo mondo sapevano dove fosse il criminale latitante teoricamente pluriricercato, lo avevano anche filmato mentre andava al mare in Montenegro con la famiglia, protetto dal governo serbo è stato consegnato dalle autorità quando la Serbia aveva necessità di normalizzare il proprio rapporto con l’Unione Europea.
Non è un caso che sia stato protetto da governo e servizi più di quanto non siano stati protetti Milosevic e Karadzic.
Il sogno autarchico di Izbegovic dopo 30 anni si è avverato.
Sarajevo è oggi una sorte di colonia turca dove si muore di fame con 450 euro mensili di stipendio medio, con cui non si arriva a fine mese.
Il paese ferito ha smarrito da tempo la sua anima gentile e si è, poco alla volta, svuotato delle giovani generazioni man mano che venivano portati a termine i percorsi di studio accademico.
La migliore gioventù bosniaca emigra da anni in cerca di futuro.
Memoriale di Srebrenica – © Foto di Paolo Pantaleoni
Gli accordi di Dayton hanno, in sintesi estrema, ratificato l’esistente, la separazione della società bosniaca su base etnica, dalla politica all’istruzione il settarianesimo istituzionalizzato è un pilastro della Bosnia di oggi.
Non stupisce la notizia secondo cui almeno 300 bosniaci sono andati a cercare fortuna gloria e danaro in Siria tra le file dell’Isis, ed almeno 70 sono morti.
La predicazione degli imam wahabiti arrivati dall’Arabia Saudita ha pescato con facilità nella povertà diffusa.
Per comprendere il neo ottomanesimo di Erdogan è stato utile recarmi a Sarajevo 3 volte nell’arco di un decennio.
I danni della ricostruzione sono prossimi a quelli della guerra.
In un paese in cui molti profughi non sono mai rientrati, dove i soldi degli aiuti internazionali vengono spartiti su base etnica, nella quotidianità bosniaca è assente la speranza.
Dopo Dayton in Bosnia si è privatizzato tutto il privatizzabile e sono arrivati i soldi delle petrolmonarchie del golfo, della Turchia e dell’Iran.
Una società laica da secoli si è lentamente islamizzata, le ragazze hanno ripreso ad indossare il velo, cosa estranea alla cultura bosniaca del secondo ‘900.
Il turismo di massa turco e saudita ha fatto il resto.
Mi tornano spesso in mente le parole di Ghassan Andoni, lucidissima mente libera Palestinese, quando rispetto ai fiumi di petroldollari sunniti che invadono la Palestina mi disse “sono Palestinese e voglio vivere in Palestina, non in un’area tribale dell’Afghanistan”.
Nel sonno della ragione il restauro della grande biblioteca di Sarajevo è stato completato, ora è un museo fatto sulle ceneri di 2milioni di libri perduti per sempre, mentre il centro storico di Sarajevo somiglia sempre più a quello di Istanbul.
Nel frattempo, eccezion fatta per la comunità dei serbi di Bosnia i consensi dei partiti nazionalisti sono in crisi.
Vent’anni di promesse disattese, di assenza di una ricostruzione capace di redistribuire ricchezza hanno portato nelle ultime elezioni ad un risultato sorprendente sia dentro la comunità croata che dentro quella bosniaca.
I partiti nazionalisti sono crollati nei consensi.
I nazionalisti mantengono una maggioranza ancora ampia solo nella comunità serba.
Per questo motivo, a intervalli regolari, il presidente della Repubblica Serba di Bosnia Milorad Dodik avvia la narrazione di un referendum sull’indipendenza della Repubblica Serba che, con ogni probabilità, non avverrà mai, accolto con freddezza anche dal governo serbo come si fa con un argomento inflazionato.
La fuga dalla Bosnia delle giovani generazioni scolarizzate ha impoverito enormemente il paese, sia sul piano culturale che sotto il profilo dello sviluppo economico.
A rendere ancor più grotteschi i panegirici nazionalisti di Dodik vi è la mancanza sul campo di persone con cui praticare una rottura non solo istituzionale.
Ricordo esattamente dov’ero e cosa stessi facendo l’11 Settembre del 2001 quando venni raggiunto dalla notizia degli attentati alle torri gemelle.
Ognuno di noi ricorda esattamente dove fosse e cosa stesse facendo quel giorno quando arrivarono le prima notizie dagli Stati Uniti seguite dalle immagini trasmesse in mondo visione.
Per quanto mi sforzi non riesco invece a ricordare dove fossi e cosa stessi facendo nelle giornate terribili tra il 9 ed il 25 Luglio 1995.
E pensare che in quei giorni, a poco più di un’ora di volo dall’Italia, morirono più del triplo delle vittime dell’11 Settembre 2001.
Oltre 8000 persone uccise nel cuore dell’Europa perché musulmane.
La più grande strage di civili del dopoguerra fu un genocidio di musulmani che si erano rifugiati nell’area protetta delle Nazioni Unite tra Tuzla e Srebrenica sotto la protezione dei caschi blu olandesi alloggiati presso l’ex fabbrica di trattori a Potocari.
Memoriale di Srebrenica – © Foto di Paolo Pantaleoni
Dopo lo sfondamento da parte serba delle difese dell’enclave di Srebrenica, la popolazione della zona cercò rifugio presso la base dei caschi blu immaginando che le Nazioni Unite avrebbero offerto protezione ai civili.
Per l’esercito Serbo Bosniaco, e per i paramilitari serbi, greci (su Srebrenica sventolò la bandiera greca issata dai volontari della Guardia di Volontariato Greco, oggi Alba Dorata) e russi, i Caschi Blu Olandesi del colonnello Kerremans furono complici e non un ostacolo.
Per la corte Suprema Olandese, il Governo Olandese fu responsabile del 10% delle vittime del massacro di Srebrenica perché furono circa 5000 i bosniaci entrati fisicamente nell’ex fabbrica di trattori di Potocari in cui alloggiavano i militari dei Paesi Bassi.
Quando i serbi terminarono di portare via le persone ammassate all’esterno, dividendo gli uomini dalle donne, le persone che pensavano di essere al sicuro dentro la base olandese vennero fatte uscire e subirono la stessa sorte tragica delle altre.
Al memoriale del genocidio, lungo la strada che da Bratunac porta a Srebrenica, ci si torce dal dolore nel leggere un elenco di nomi che sembra non finire mai.
Il processo di identificazione delle vittime e di ricerca delle fosse comuni non è ancora terminato.
La vittima più giovane fu una neonata di nome Fatima, la madre l’aveva partorita dentro la base, venne uccisa dai miliziani serbi perché piangeva.
Il tribunale dell’AIA, lo stesso che ha assolto il criminale croato Ante Gotovina (ex legionario ed ex intimidatore di sindacalisti in sciopero negli anni in cui viveva in Francia) non si è mai sognato di processare i militari olandesi corresponsabili di un genocidio.
La comunità internazionale di sdegnò per la distruzione dello Stari Most di Mostar (come si sdegnò per la distruzione dei Buddha di Bamiyan in Afghanistan, o dell’area archeologica di Palmira in Siria) ma non per le responsabilità delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea che riconobbero come interlocutori istituzionali personaggi impresentabili come Karadzic e Izetbegovic, o che riconobbero l’indipendenza di Croazia e Slovenia senza interrogarsi sulle conseguenze di quel riconoscimento.
Alexander Langer scriveva che l’Europa nasceva o moriva a Sarajevo.
Basta andare a Sarajevo oggi per assistere alla seconda tragedia bosniaca fatta di precarietà, povertà, settarismo e corruzione, per guardare anche a noi stessi, alle nostre comunità e capire quale Europa sia nata da Sarajevo e quale sia morta assieme alle 10mila vittime dell’assedio.
A Srebrenica oggi un giovane di nome Irvin (che ha perso il padre ed uno zio nel genocidio), ex profugo che trovò rifugio in Italia, ha deciso di porre fine al suo esilio per fare rientro in patria e realizzare dal nulla, in un terreno poco fuori Srebrenica, un eco villaggio autocostruito, in bi- edilizia, utilizzando le tecniche di costruzione tradizionali, recuperando le tegole dei tetti in ardesia dai villaggi distrutti nei dintorni.
Ponte di Visegrad, sul fiume Drina – © Foto di Paolo Pantaleoni
Per qualche giorno quel villaggio è stato un luogo dell’anima nato per affrancare un’area meravigliosa, attraversata dalla maestosità della Drina e del suo canyon, dal ricordo tragico della guerra.
Irvin, grazie anche all’aiuto del Gruppo Italiano Amici della Natura, e col suo lavoro fatto in parti uguali di fatica ed umanità, organizza escursioni sostenibili, anche di più giorni, nelle foreste e nei monti al confine tra Serbia e Bosnia, ed ha coinvolto le persone dei villaggi attorno a Srebrenica, per promuovere il patrimonio culturale e le tradizioni della Bosnia rurale, contribuendo a tenere in vita quello che Salvatore Quasimodo chiamava il grande umanesimo contadino.
Come scriveva Winston Churchill, “i Balcani producono più storia di quella che possono digerire”.
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*Paolo Pantaleoni, nato e cresciuto a Rimini. Di formazione umanistica, ha studiato presso l’Università di Bologna, abbandonando con successo gli studi in Scienze Politiche a favore di quelli in Storia. Militante sociale, per un decennio si è occupato di cooperazione decentrata in Palestina. Appassionato di cucina, per lavoro si occupa di sicurezza nei luoghi di lavoro ed igiene degli alimenti in una società di ristorazione. Nel tempo libero si divide tra il guardare il mondo con curiosità e lentezza e praticare le proprie passioni. Viaggiatore, camminatore, escursionista ed apicoltore ha una venerazione per la pesca con la mosca artificiale.
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VIDEO. Raid esercito israeliano a Dheisheh. Ucciso un 14enne, arrestata ed espulsa una italiana
della redazione
Pagine Esteri, 16 gennaio 2023 – Un palestinese di 14 anni, Omar Al Khamour, è deceduto poco dopo essere stato ferito gravemente questa mattina da colpi sparati dell’esercito israeliano durante un raid nel campo profughi di Dheisheh (Betlemme). ll Ministero della Salute palestinese ha riferito che il ragazzo è stato colpito alla testa. I suoi funerali si sono già svolti. Al Khamour è stato avvolto oltre che nella bandiera bandiera anche in quella del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra marxista). Il 3 gennaio, sempre a Dheisheh, era stato ucciso in un’altra incursione di soldati israeliani, un 15enne, Adam Ayyad.
Sabato scorso tre palestinesi erano stati uccisi in seguito a scontri con forze israeliane in Cisgiordania. Due, il 24enne Izz Eddin Basem Hamamreh e il 23enne Amjad Adnan Khalilieh erano membri del Jihad islamico. Il terzo, Yazan Al Jaabari, 20 anni, è morto per le ferite riportate il 2 gennaio quando fu colpito da fuoco israeliano. Ieri inoltre è stato ucciso un palestinese che, secondo la versione fornita dalle autorità israeliane, aveva tentato di accoltellare dei militari.
Nel raid di questa mattina a Dheisheh i soldati israeliani hanno anche arrestato una italiana, Stefania Costantini, che si trovava nel campo per attività di volontariato e solidarietà. La donna, 52 anni di Pisa, si trovava a casa di amici della famiglia Abu Aker e, come mostra un video, è stata portata via a spalla dai militari. Ha avuto il tempo solo di prendere il passaporto e il telefono. I soldati non le hanno permesso di prendere il bagaglio e gli occhiali, di cui ha bisogno per una forte miopia. Nel pomeriggio è stata espulsa dalle autorità israeliane ed imbarcata su di un volo ITA da Tel Aviv per Roma. Pagine Esteri
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione di Giuseppe Buttà sul tema “La ribellione delle masse”
Settimo appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articola in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.
La settima lezione si svolgerà lunedì 16 gennaio, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dal prof. Giuseppe Buttà (già Ordinario di Storia delle Dottrine politiche, Direttore dell’Istituto di Storia e Preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “La ribellione delle masse” di José Ortega y Gasset, saggio che affronta il tema dell’avvento delle società di massa: una condizione storica, quest’ultima, in cui avviene una profonda rivoluzione e che vede la nascita dell’ “uomo massa”, categoria che prescinde e supera ogni distinzione sociale.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.
Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina
Visita la pagina della Scuola di Liberalismo 2022 – Messina
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Scuola di Liberalismo lezione del prof. Buttà – Gazzetta del Sud
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Gina Lollobrigida, la ‘bersagliera’ esce di scena dopo una vita vissuta intensamente
Per tutti era detta confidenzialmente ‘La Lollo’. Per tanti è stata semplicemente ‘la bersagliera’ come apparve nei film più popolari divertenti e spensierati girati insieme a Vittorio De Sica, il maresciallo, ma da quell’immagine degli anni 50, Luigia Lollobrigida, chiamata Gina, si era distaccata da tempo, diventando una figura leggendaria, una delle più importanti attrici mondiali, il simbolo […]
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Scoprite tutti i passaggi con il video tutorial ▶️ youtube.com/watch?v=13XDnllsh8…
Ministero dell'Istruzione
Cosa succede dopo l’invio della domanda delle #IscrizioniOnline? Scoprite tutti i passaggi con il video tutorial ▶️ https://www.youtube.com/watch?v=13XDnllsh8wTelegram
Matteo Messina Denaro, la cattura dell’ultimo degli stragisti
Gli occhiali a goccia, quelli di sempre. Stempiato, un po’ appesantito, vaghissima somiglianza con il Matteo Messina Denaro giovane immortalato in una delle rarissime fotografie disponibili. Anche per Totò Riina e Bernardo Provenzano è stato così. L’ultimo dei cosiddetti ‘stragisti’ ancora libero. Di quel feroce gruppo di ‘corleonesi’ che a colpi di kalashnikov e bombe ha sterminato […]
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Per non dimenticare che la guerra è morte e lascia sempre povertà e devastazione: How to Defeat an Army di Brad Wolf
HOW TO DEFEAT AN ARMY DI BRAD WOLF
@Politica interna, europea e internazionale
...Il rapporto* afferma: “Gli Stati Uniti e il Giappone perdono dozzine di navi, centinaia di aerei e migliaia di militari. Tali perdite danneggerebbero la posizione globale degli Stati Uniti per molti anni. Sebbene l'esercito di Taiwan sia intatto, è gravemente degradato e lasciato a difendere un'economia danneggiata su un'isola senza elettricità e servizi di base. Anche la Cina soffre pesantemente. La sua marina è allo sfascio, il nucleo delle sue forze anfibie è spezzato e decine di migliaia di soldati sono prigionieri di guerra”.
Degradato. Un'economia danneggiata. Perdite. Il rapporto si riferisce a un numero enorme di uomini, donne e bambini massacrati da bombe e proiettili, di economie e mezzi di sussistenza catastroficamente distrutti, di paesi devastati da anni. Non affronta nemmeno la probabilità di uno scambio nucleare. Le sue parole sono prive di realtà, senza vita, senz'anima. Questi tecnocrati-zombi non fanno la guerra solo alle persone, ma anche alla ragione, alle emozioni umane.
Ci vuole un poeta per dire la verità. La poesia non riconosce l'ideale ma il reale. Taglia fino all'osso. Non sussulta. Non distoglie lo sguardo.
They died and were buried in mud but their hands protruded.
So their friends used the hands to hang helmets on.
And the fields? Aren’t the fields changed by what happened?
The dead aren’t like us.
How can the fields continue as simple fields?
* si tratta del rapporto pubblicato dal Center for Strategic & International Studies (CSIS) intitolato "The First Battle of the Next War: Wargaming a Chinese Invasion of Taiwan". Questo "Think Tank" ha condotto 24 iterazioni di giochi di guerra in cui la Cina invade Taiwan
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Ben(e)detto – 17 gennaio 2023
Dalla Bielorussia al Sudafrica. Perché preoccuparsi delle esercitazioni russe
Le forze armate russe e bielorusse si addestreranno insieme in una serie di esercitazioni aeree sul territorio di Minsk fino a febbraio. Manovre che preoccupano Kiev, che teme possano fornire la copertura per una nuova offensiva da nord. Intanto, navi russe si eserciteranno insieme a unità cinesi a largo delle coste del Sud Africa
@Notizie dall'Italia e dal mondo
formiche.net/2023/01/mosca-min…
Dalla Bielorussia al Sudafrica. Perché preoccuparsi delle esercitazioni russe
Le forze armate russe e bielorusse si addestreranno insieme in una serie di esercitazioni aeree fino a febbraio. Manovre che preoccupano KievMarco Battaglia (Formiche.net)
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Giappone-India: esercitazione aerea congiunta in corso a nord di Tokyo
I legami di difesa tra India e Giappone sono pronti a entrare in una nuova fase grazie alle prime esercitazioni congiunte che vedono l’impiego di aerei da combattimento. Notizia che arriva in un momento complesso e delicato per la regione indo-pacifica a causa della crescente assertività cinese, che spinge sempre più Tokyo a rafforzare le sue collaborazioni di Difesa con diversi Paesi.
@Notizie dall'Italia e dal mondo
formiche.net/2023/01/sinergia-…
Sinergia militare tra Giappone e India. I caccia volano insieme
I legami di difesa tra India e Giappone sono pronti a entrare in una nuova fase con le prime esercitazioni congiunte con jet da combattimentoGaia Ravazzolo (Formiche.net)
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#uncaffèconluigieinaudi☕ – I liberali vogliono che
I liberali vogliono che la spada della legge scenda, inesorabile, su coloro i quali hanno costruito attorno alla propria impresa una trincea, per impedire l’accesso altrui a quel campo chiuso.
da Il nuovo liberalismo, “La città libera”, 15 febbraio 1945
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Nel mondo, poche idee, ma ben confuse
Parlavo l’altro giorno dello stato confusionale del nostro Governo, sempre più evidentemente fatto di dilettanti rancorosi allo sbaraglio, che si odiano e stanno insieme solo per convenienza nell’illusione che noi non ci accorgiamo di tutto ciò e ciò che accade ogni giorno, mi conferma nell’idea. Certamente, è addirittura evidente alla virile Presidente Giorgia Meloni, che […]
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Quanti rifugiati ucraini torneranno a casa?
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 ha creato la più grande crisi di rifugiati in Europa dalla seconda guerra mondiale. Mentre da allora milioni di rifugiati ucraini sono tornati a casa, quasi 2,9 milioni si sono trasferiti in Russia, secondo i dati dell’ottobre 2022, e circa 7,9 milioni sono stati registrati in […]
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Ben(e)detto – 14 gennaio 2023
Una casa per i liberali
Sabato a Milano la prima della costituente liberale. Calenda e Renzi ci sono
Era il 1945. Il Fascismo era stato sconfitto militarmente, ma non culturalmente, il comunismo avanzava sotto le spoglie apparentemente bonarie del Pci e il Partito d’azione aveva già esibito, con rispetto parlando, tutto il proprio snobbismo. Luigi Einaudi prese carta e penna e scrisse righe importanti inneggiando al “secondo risorgimento” italiano esplicitamente rivolto agli intellettuali e ai giornalisti di cultura liberale. Si legge: “Non è più il tempo dei chiostri del primo medioevo… oggi è il tempo dei missionari. Ma la maggioranza di noi continua a parlare come ieri. E scende nella lotta politica – che è il proselitismo – con lo stesso linguaggio che userebbe a una riunione di iniziati: un linguaggio che per il pubblico è un rumore affaticante, incomprensibile, che lo annoia, che lo scoraggia, che lo allontana”. L’esortazione è chiara. I liberali debbono mettersi in gioco, affermare i propri valori e difendere i propri principi preoccupandosi di renderli, nei limiti del possibile, popolari. Le democrazie, funzionano così. Senza la capacità di fare “proseliti” anche le migliori tra le idee ristagnano e prima o poi avvizziscono.
Nel corso della Prima repubblica, il Partito liberale italiano e il Partito repubblicano inastarono le bandiere del liberalismo, ma lo fecero da posizioni a dir poco minoritarie. Parteciparono ai governi con la Democrazia cristiana, ma di sicuro non riuscirono a condizionarne radicalmente l’approccio ai problemi dello Stato e a quelli dei cittadini. Con la cosiddetta Seconda repubblica si cambiò strategia. Si provò a fare quel che il fondatore della Fondazione Luigi Einaudi, l’allora segretario del Pli Giovanni Malagodi, riteneva inopportuno, per non dire impossibile. Si provò a condizionare da dentro culture politiche oggettivamente illiberali. Pattuglie di intellettuali più o meno conclamatamente liberali permearono, di conseguenza, Forza Italia, sperando di condizionare anche Alleanza nazionale. La stessa cosa, pur se in forma minore, avvenne a sinistra con il Pds, con i Ds e infine col Pd. Non si può dire sia stato un successo.
Se il metodo liberale consiste in un approccio realista e competente ai problemi, e se l’obiettivo dei liberali è quello di dare a ciascun cittadino le stesse possibilità di partenze per realizzarsi materialmente e spiritualmente riducendo al minimo i privilegi, le consorterie e i monopoli, per onestà intellettuale va detto che l’obiettivo è stato fallito.
Nasce su questi presupposti la costituente liberale che si è tenuta sabato a Milano. Ospiti i leader del Terzo polo Calenda e Renzi, le molte anime della diaspora liberale sembrano aver deciso di superare antichi rancori, pregiudizi e personalismi per dare corpo ad un’unità politica considerata necessaria al futuro dell’Italia. Il tentativo è ambizioso, gli esiti incerti, il metodo e le scelte strategiche, come tutti i metodi e come tutte le scelte strategiche, discutibili. Ma se non altro qualcosa si muove sul campo oggi arido delle idee e delle identità politiche.
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Emirati Arabi Uniti: mercato immobiliare senza rivali?
Se il settore immobiliare è qualcosa su cui basarsi, Dubai sta lottando per difendere il suo status di centro del Medio Oriente contro gli sforzi sauditi per sostituirlo. L’insistenza dell’Arabia Saudita affinché le società che svolgono attività legate al governo nel Paese, molte delle quali hanno la loro base regionale a Dubai, trasferiscano i loro […]
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VIDEO. Raid esercito israeliano a Dheisheh. Ucciso un 14enne, arrestata ed espulsa una italiana
della redazione
Pagine Esteri, 16 gennaio 2023 – Un palestinese di 14 anni, Omar Al Khamour, è deceduto poco dopo essere stato ferito gravemente questa mattina da colpi sparati dell’esercito israeliano durante un raid nel campo profughi di Dheisheh (Betlemme). ll Ministero della Salute palestinese ha riferito che il ragazzo è stato colpito alla testa. I suie funerali si sono già svolti. Il 3 gennaio, sempre a Dheisheh, era stato ucciso in un’altra incursione di soldati israeliani, un 15enne, Adam Ayyad.
Sabato scorso tre palestinesi erano stati uccisi in seguito a scontri con forze israeliane in Cisgiordania. Due, il 24enne Izz Eddin Basem Hamamreh e il 23enne Amjad Adnan Khalilieh erano membri del Jihad islamico. Il terzo, Yazan Al-Jaabari, 20 anni, è morto per le ferite riportate il 2 gennaio quando fu colpito da fuoco israeliano. Ieri inoltre è stato ucciso un palestinese che, secondo la versione fornita dalle autorità israeliane, aveva tentato di accoltellare dei militari.
Nel raid di questa mattina a Dheisheh i soldati israeliani hanno anche arrestato una italiana, Stefania Costantini, che si trovava nel campo per attività di volontariato e solidarietà. La donna si trovava a casa di amici, come mostra una foto diffusa da palestinesi in rete, è stata portata via a spalla dai militari. Ha avuto il tempo solo di prendere il passaporto e il telefono. Nel pomeriggio è stata espulsa dalle autorità israeliane ed imbarcata su di un volo da Tel Aviv per Roma. Pagine Esteri
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iyezine_com
in reply to iyezine_com • •Poliverso & Poliversity
in reply to iyezine_com • • •ah, ok... 😁 😄 🤣
Per quanto mi riguarda, io l'avrei pubblicato comunque in "musica", ma capisco le tue perplessità, perché in effetti il pezzo ha un perimetro più ampio