Guerra tutt’altro che finita: lezioni che fanno riflettere dall’Ucraina
Pochi esperti avevano previsto che la guerra della Russia contro l’Ucraina sarebbe stata lunga. Una volta che è diventato chiaro che gli ucraini avevano un’incredibile, e imprevista, capacità e volontà di resistere, le previsioni si sono spostate sull’impatto degli errori di calcolo della Russia. Nei primi mesi dell’invasione, i media occidentali erano pieni di proiezioni […]
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Lo sguardo italiano su Kyiv. L’analisi del generale Arpino
Febbraio. Siamo a un anno dall’inizio della “operazione speciale” di Vladimir Putin verso l’Ucraina. Per i russi si tratta di un mese altamente simbolico, all’inizio del quale nel 1943 ottennero la resa dell’armata del generale tedesco Von Paulus, che era stato molto vicino al successo. Rileggendo la storia di quella campagna, è possibile trovare alcune analogie.
L’area dei combattimenti, innanzitutto, altro non è se non parte di quella stessa Ucraina, dove, dal 2014, è ripreso a scorrere il sangue. Sulla nostra stampa, forse perché la toponomastica locale è in parte cambiata, oggi pochi ricordano che negli stessi luoghi contro l’Unione Sovietica (Urss) allora combattevano anche migliaia di soldati italiani. La seconda analogia vede l’esercito sovietico risaltare non tanto per la qualità dei mezzi ma per una preponderanza numerica che, gettata nella mischia a ondate di coscritti poco armati e peggio addestrati, allora finì per prevalere. La terza analogia riguarda, invece, la scarsa fiducia di Stalin nei propri capi militari, il che già allora si era tradotto in un’incredibile girandola di generali. Fino ad arrivare all’individuazione di chi, con spietatezza e perdite enormi, era stato in grado di portare alla vittoria truppe armate di grande coraggio, seppur attraverso un sacrificio estremo. Si potrebbe continuare con le analogie ma è bene fermarsi qui, per evitare premature estrapolazioni sull’esito dell’attuale conflitto.
Inoltre, va tenuto in considerazione il fatto che gli occidentali, italiani compresi, da allora sono cambiati molto più del popolo russo: noi siamo diventati in buona misura globalisti, loro rimangono tuttora patriottici. Questo finalmente ci porta ad alcune “lezioni apprese” di carattere generale, ma valide anche per l’Italia. La prima, a mio avviso, è che bisognerebbe ri-studiare la storia. Per evitare così valutazioni che rispondano soltanto ai criteri logici che oggi ci sembrano validi, e tengano invece in considerazione anche le lezioni del passato. Ciò che appare ovvio a noi, può non apparire tale a chi appartiene a un differente background culturale, professa una diversa religione o vive in altre parti del mondo.
Parlare di territorio ci porta a mettere in campo vecchie teorie geopolitiche, svalutate dopo i disastri del pangermanesimo del tedesco Karl Haushofer, che non si differenzia molto dal panslavismo ancora latente. Se è vero che la cultura dei popoli, e quindi il loro atteggiamento, è diretta funzione della geografia dei territori abitati, allora non limitiamoci a Haushofer, ma ricordiamoci anche del britannico Halford John Mackinder, dell’americano Nicholas John Spykman e dell’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan (Indo-Pacifico). È tutto correlato. Ecco, quindi, la seconda lezione appresa: dopo la storia è bene ri-studiare anche la geopolitica che, come strumento di previsione, potrebbe essere utile al nostro Paese.
Considerato quanto detto in precedenza, si potrebbe concludere che l’Italia abbia appreso almeno quattro lezioni. La prima: finalmente ci rendiamo conto di aver troppo a lungo abboccato all’amo di argomentazioni eco-ideologiche di assertività similtalebana. Ciò ci ha in parte impedito, e ancora ci vorrebbe impedire, di estrarre e utilizzare le nostre risorse energetiche che, sia pure non in abbondanza, esistono e sono ben localizzate. La seconda: solo ora ci accorgiamo di non aver diversificato le fonti di approvvigionamento esterne, ma finalmente stiamo provvedendo. La terza lezione: siamo stati espropriati delle nostre tradizionali relazioni in Nord Africa, grazie a una continua erosione da parte dei cugini d’oltralpe e di un nuovo sultano, da considerarsi alleato ma non amico. Ma, anche qui, il governo si è attivato e stiamo recuperando. La quarta è di carattere industriale e militare: le “scorte intangibili” vanno rinnovate con materiali allo stato dell’arte. Sembra cosa ovvia ma, sinora, solo i ministri Guerini e Crosetto se ne sono davvero occupati.
C’è poi un’ultima convinzione da sfatare: “Putin non userà mai l’atomica perché tutto il mondo è contrario”. Ciò potrebbe essere non del tutto vero. In tal caso verrebbe distrutta (con replica verso la Russia) qualche città occidentale, magari le capitali, in Europa e negli Usa. Ma Africa, Cina, India, Sudamerica, Paesi islamici e numerosi territori dell’Indo-Pacifico resterebbero indenni. Insieme, le popolazioni che vivono in queste aree rappresentano i tre quarti, o più, della popolazione mondiale. Siamo così certi che, pur avendo in buona parte votato contro la “operazione speciale” di Putin all’Assemblea delle Nazioni Unite, tutti questi Paesi guardino verso occidente con stima, affetto e riconoscenza? Su questo, ci sono seri dubbi.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
L’Europa riparta da budget Difesa e Patto di stabilità. Parola di Nones
La guerra in Ucraina è servita, tuttavia, da brusco risveglio per i Paesi democratici e, in particolare per i membri dell’Unione europea, dalla fine dell’illusione che non avremmo più visto guerre tradizionali sul Vecchio continente. Tutti si sono subito resi conto che aver mantenuto per trent’anni al minimo la nostra spesa militare (e, di conseguenza, le nostre capacità militari e industriali) ha lasciato la difesa europea in una condizione di tale debolezza al punto che per sostenere l’Ucraina si deve fare una specie di questua europea, raccogliendo anche i contributi militari più limitati (al di là, ovviamente, del messaggio politico che, comunque, viene dato alle ambizioni imperiali della Federazione russa). Finora i passi avanti nel processo di integrazione europea nel campo della difesa si sono mossi su una scala temporale decennale, mentre è ormai chiaro che dovrebbe essere triennale se non biennale o, forse, annuale.
Quanto al livello delle spese militari, troppi Paesi europei non si sono veramente impegnati nell’ultimo decennio nel rispettare l’impegno a investirci il 2% del Pil entro dieci anni, come concordato nel vertice Nato di Cardiff nel 2014 (proprio dopo l’annessione della Crimea da parte russa) e poi ribadito costantemente anche in sede europea. Fra questi anche l’Italia, che lo scorso anno ha deciso in modo unilaterale che la scadenza era per noi posticipata al 2028. Questo indicatore non esprime compiutamente l’effettivo impegno nel campo della difesa e ne andrebbero considerati anche altri: la quota degli investimenti e di quelle di funzionamento, le capacità operative, l’addestramento, l’organizzazione delle forze, la partecipazione alle missioni internazionali, eccetera. Ma senza un adeguato finanziamento alla fine tutto questo non basta, anche perché non è sostenibile nel tempo.
Dopo il 24 febbraio molti Paesi europei hanno deciso di cominciare a recuperare il ritardo ma, come un corpo denutrito non può tornare in poco tempo al peso ideale (rischia, anzi, di andare incontro a seri problemi), così ingenti stanziamenti per la difesa senza una meditata pianificazione e senza un coordinamento europeo non possono bastare. C’è il serio rischio che alla fine di questo decennio l’Unione europea abbia un ventaglio di equipaggiamenti ancora più ampio di quello odierno (compresi molti di provenienza extra-europea, che riducono ancora più la sovranità tecnologica del Vecchio continente), con tutte le conseguenze sull’effettiva integrazione militare e sulla sua difesa. Per mitigare questi rischi è importante che gli Stati membri si coordinino meglio. In particolare, quelli maggiori che di fatto esprimono tre quarti delle capacità militari europee.
Il punto di partenza è che ciascuno possa mettere in campo adeguate e omogenee disponibilità finanziarie nel campo della difesa. Una partenza in ordine sparso e una diversa velocità renderebbe impossibile ogni tentativo di trovare soluzioni congiunte nel campo delle acquisizioni e anche in quello di nuovi programmi di sviluppo. Tuttavia per Paesi troppo indebitati e alle prese con la crisi economica pre e post-pandemica questo percorso è difficile perché impatterebbe sul rispetto del Patto di stabilità. Di qui la proposta, già avanzata in passato ma oggi tornata di assoluta attualità, di escludere dai parametri del Patto una parte delle spese per la difesa. Se la Difesa europea è un superiore interesse comune dovrebbero essere esclusi, per principio, tutti gli investimenti che mirano a sanare le carenze militari europee individuate nel costante monitoraggio svolto dall’Eda, dal Comitato militare (Eumc) e dallo Stato maggiore dell’Unione europea (Eums). Fra questi dovrebbero esserci tutti quelli intergovernativi e quelli che deriveranno dai programmi di ricerca e sviluppo cofinanziati dall’Ue.
Tenendo conto della drammatica urgenza del rafforzamento militare europeo, all’inizio potrebbero essere compresi anche quelli nazionali, con alcune condizioni volte a evitare derive protezionistiche e superare le preoccupazioni di alcuni partner (in particolare i cosiddetti Paesi frugali): primo, la quota escludibile potrebbe essere limitata al 50%; secondo, la misura potrebbe essere limitata a pochi anni; terzo, il programma interessato dovrebbe comunque corrispondere a un’esigenza riconosciuta a livello europeo; in ultimo, dovrebbe esserci un coinvolgimento industriale europeo. Prima che sia troppo tardi, la difesa europea dovrebbe adottare e mettere concretamente in atto il motto tutti per uno, uno per tutti, assicurando che insieme si possa partecipare alla costruzione di una vera Europa della Difesa.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
Russia-Ucraina anno uno: la pace sempre a zero!
Si stanno celebrando quasi come un festoso compleanno i primi 12 mesi della “guerra lampo” cheVladimir Putin aveva sperato di scatenare contro l’Ucraina. Frutto -nostra opinione- di come stampa e opinione pubblica ingurgitino con una discinta leggerezza le informazioni su una sciagura perpetrata ad appena un paio di migliaia di chilometri dai nostri confini. […]
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Navi e jet, Indo-Pacifico ed Europa sono connessi. Parla il ministro Hamada
A inizio gennaio, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Fumio Kishida, primo ministro giapponese, hanno annunciato, in occasione di un incontro a Palazzo Chigi, l’innalzamento delle relazioni bilaterali al rango di partenariato strategico. Appena un mese prima, i due leader e l’omologo britannico Rishi Sunak avevano sottoscritto un’intesa per la realizzazione di un aereo da combattimento di sesta generazione: il Global combat air programme, per l’integrazione tra l’anglo-italiano Tempest e il giapponese F-X. E pochi giorni fa, in occasione del Pontignano Forum a Roma, Ben Wallace, ministro della Difesa britannico, ha annunciato che a marzo si recherà a Tokyo assieme all’omologo italiano Guido Crosetto per incontrare il collega giapponese Yasukazu Hamada. Che, in questa intervista esclusiva a Formiche.net, auspica che il Gcap possa contribuire “alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa”.
Che cosa significa per il settore difesa il nuovo partenariato strategico tra Italia e Giappone?
Il Giappone e l’Italia sono entrambi membri del G7, condividono valori fondamentali e hanno la responsabilità di guidare la comunità internazionale. Assieme i Paesi hanno concordato di elevare le relazioni a “partneriato strategico” in occasione del recente incontro al vertice del 10 gennaio. Ci auguriamo di lavorare insieme per la cooperazione bilaterale e per la cooperazione sulle sfide internazionali. Nel campo della difesa, il Giappone e l’Italia rafforzeranno la cooperazione, anche attraverso i colloqui politico-militari che abbiamo deciso di tenere in occasione del recente incontro al vertice e lo sviluppo congiunto del futuro aereo da combattimento con il Regno Unito annunciato lo scorso dicembre.
Quali sono le prospettive per le relazioni bilaterali?
Il Giappone e l’Italia hanno sviluppato una cooperazione a livello operativo, come quella per lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione e l’esercitazione congiunta contro la pirateria tra la Marina italiana e la Forza di autodifesa marittima del Giappone. Inoltre, hanno avuto scambi di difesa a vari livelli, compresi dialoghi ad alto livello, come la riunione ministeriale Giappone-Italia nell’aprile 2022, la visita in Giappone del capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare Italiana con circa 100 cadetti dell’Accademia aeronautica, lo scambio di difesa tra le due squadriglie di rifornimento aereo e una teleconferenza con il ministro della Difesa italiano Crosetto. Continueremo la cooperazione e gli scambi bilaterali in materia di difesa.
Si aspetta una presenza navale italiana nell’Indo-Pacifico? A breve nave Morosini si addestrerà insieme agli alleati e alle marine amiche nell’Indo-Pacifico, ha annunciato a Formiche.net l’ammiraglio Enrico Credendino, capo di stato maggiore della Marina italiana.
La sicurezza in Europa e nell’Indo-Pacifico sono strettamente correlate e il Giappone accoglie con favore il crescente interesse dei Paesi europei per la regione Indo-Pacifica. Il Giappone è molto favorevole all’invio di navi e aerei nella regione indo-pacifica da parte dell’Italia e di altri Paesi europei, in quanto ciò contribuisce alla pace e alla stabilità della regione indo-pacifica. Speriamo di cogliere questa opportunità per ampliare le possibilità di ulteriori addestramenti congiunti tra unità militari di vari Paesi e le Forze di autodifesa.
Che cosa ha spinto il Giappone ad aderire al Gcap con l’Italia e il Regno Unito?
Quando ci siamo occupati dello sviluppo congiunto, era importante che ogni Paese avesse la stessa data di entrata in servizio prevista e il proprio programma di sviluppo in vista della cooperazione internazionale. A questo proposito, il Giappone, il Regno Unito e l’Italia avevano un proprio programma di sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione entro il 2035. Inoltre, questo sviluppo congiunto da parte di Giappone, Regno Unito e Italia consentirà di condividere i vantaggi tecnologici, le competenze e i costi di sviluppo per sviluppare congiuntamente un caccia avanzato che garantirà la superiorità aerea in futuro; di mantenere e rafforzare le basi industriali della difesa aumentando il numero di velivoli prodotti e creando la prossima generazione di ingegneri riconosciuti a livello internazionale; gettare le basi per una più ampia collaborazione tra Giappone, Regno Unito e Italia, che condividono valori fondamentali e sono alleati degli Stati Uniti, e che contribuiscono in modo determinante alla stabilità delle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa in un contesto di sicurezza sempre più complesso. Tali elementi sono stati presi in considerazione al momento di decidere questo sviluppo congiunto trilaterale.
Quali sono gli orizzonti per la cooperazione tra i tre Paesi?
Lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione mira a sviluppare un aereo da combattimento che abbia la superiorità aerea nei prossimi decenni, integrando le tecnologie di Giappone, Italia e Regno Unito e condividendone i costi, per esempio. Lo scorso dicembre, i leader di Giappone, Italia e Regno Unito hanno annunciato nella dichiarazione congiunta dei leader che il Gcap accelererà le nostre capacità militari avanzate e il nostro potenziale tecnologico, approfondendo la cooperazione nel campo della difesa, la collaborazione scientifica e tecnologica, le catene di fornitura integrate e rafforzando ulteriormente la nostra base industriale della difesa. Il ministero della Difesa e le Forze di autodifesa del Giappone prevedono che questa cooperazione del Gcap promuoverà l’innovazione nell’economia giapponese nel suo complesso, contribuirà alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa e promuoverà ulteriormente la cooperazione e gli scambi nel settore della difesa insieme all’Italia e al Regno Unito, al fine di mantenere e rafforzare l’“Indo-Pacifico libero e aperto” e la sicurezza nella regione.
Che cosa si aspetta dal prossimo incontro tra i suoi omologhi italiano e britannico, Crosetto e Wallace?
Per quanto riguarda l’incontro tra i ministri della Difesa di Giappone, Italia e Regno Unito, al momento non sono stati decisi i dettagli. Come detto, ci si aspetta che la cooperazione Gcap promuova l’innovazione nell’economia giapponese nel suo complesso e contribuisca alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa. È significativo che i ministri del Giappone, dell’Italia e del Regno Unito confermino questi punti e procedano verso un’ulteriore cooperazione.
Quali sono le priorità di difesa del Giappone per quanto riguarda l’Europa?
Il Giappone ha formulato la “Strategia nazionale di sicurezza”, la “Strategia nazionale di difesa” e il “Programma di potenziamento della difesa” nel dicembre 2022. In questi documenti si specifica che il Giappone manterrà e rafforzerà l’ordine internazionale libero e aperto attraverso l’ulteriore miglioramento delle sue capacità di deterrenza e di risposta con i Paesi affini e il rafforzamento delle proprie capacità di difesa. Sulla base di questi concetti, la “Strategia nazionale di difesa” stabilisce la politica di cooperazione che con partner come l’Italia, il Regno Unito, la Francia e la Germania, il Giappone rafforzerà reciprocamente il coinvolgimento nelle questioni di sicurezza globale e nelle sfide in Europa e nell’Indo-Pacifico. Di conseguenza, il Giappone costruirà una stretta cooperazione con i Paesi europei attraverso consultazioni come il “2+2”, addestramenti ed esercitazioni bilaterali/multilaterali, attrezzature di difesa e cooperazione tecnologica, compreso lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione, e l’invio reciproco di navi e aerei. Per quanto riguarda la politica con la Nato e l’Unione europea, la “Strategia nazionale di difesa” stabilisce che, sulla base delle relazioni bilaterali con i suddetti Paesi europei, il Giappone rafforzerà la collaborazione per quanto riguarda la definizione delle regole internazionali e il coinvolgimento nella sicurezza della regione indo-pacifica. Inoltre, il Giappone rafforzerà la collaborazione con gli Stati nordico-baltici, che stanno affrontando cambiamenti unilaterali dello status quo con la forza e tentativi di questo tipo, tra cui l’aggressione della Russia all’Ucraina, e stanno lavorando su una serie di importanti sfide come l’information warfare, la cybersecurity, la comunicazione strategica e la guerra ibrida. Il Giappone rafforzerà, inoltre, la collaborazione con i Paesi dell’Europa centrale e orientale, tra cui la Repubblica Ceca e la Polonia, Paesi che mostrano interesse a rafforzare le loro relazioni con il Giappone.
La guerra in Ucraina ha fornito lezioni utili per la difesa di Taiwan?
Il ministero della Difesa si astiene dal dare una risposta definitiva sull’influenza dell’aggressione russa all’Ucraina. Partendo da questo presupposto, Taiwan ha annunciato che, alla luce dell’aggressione contro l’Ucraina, ha rafforzato l’addestramento militare per i riservisti e che ha condotto l’addestramento con l’anticarro Javelin e l’addestramento alla difesa aerea a cui ogni cittadino ha partecipato durante l’esercitazione regolare su larga scala. Inoltre, è stato sottolineato che la Cina è diventata cauta nell’usare la forza contro Taiwan perché la Russia ha affrontato la forte resistenza dell’Ucraina e le forti sanzioni attuate dalla comunità internazionale unita. Ad ogni modo, il ministero della Difesa continua a monitorare attentamente le tendenze in atto.
A inizio gennaio, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Fumio Kishida, primo ministro giapponese, hanno annunciato, in occasione di un incontro a Palazzo Chigi, l’innalzamento delle relazioni bilaterali al rango di partenariato strategico.
Voti sinistri
In omaggio ad un’americanata senza regole, a sinistra s’è ribaltata la logica: eleggono il conducator, ma non votano la meta; si ripetono che sono necessarie le alleanze, ma evitano di sceglierle. Così passano dal “campo largo” al “campo dei miracoli”, dal volere essere egemoni in una galassia indefinita al divenire speranzosi che le monete offerte ai coalizzandi Gatto & Volpe possano fruttar altro che fregature.
In un procedere logico le cose vanno all’opposto: il gruppo dirigente, selezionato negli anni, sceglie una linea politica, individua chi possa interpretarla e si presenta al giudizio dei militanti, per poi affrontare quello degli elettori. Prima la linea, poi le persone, infine il proselitismo. Invece s’è cancellata la linea (troppo politicismo, dicono, come se di mestiere non facessero i politici), gli iscritti hanno scelto il segretario, ovvero Bonaccini, ma domenica si chiede che ne pensano i passanti. Un grande sforzo di militanza, dicono quelli del Partito democratico. Somiglia tanto, però, a una gara d’irrilevanza. Qui c’è un equivoco grande come una casa del popolo: contano le idee, non il modo per vincere le elezioni senza averle fatte conoscere. Ed è quello il problema grosso: le idee non ci sono e si pensa di sostituirle con le suggestioni.
Ecco perché ci sono cose che sanno di vecchio prima ancora d’essere nate. Quando Bonaccini sarà segretario il Pd avrà alla guida un anti-anticomunista, come la destra è guidata da Meloni, che è anti-antifascista. Peccato i democratici siano anti-totalitari, quindi anti-fascisti e anti-comunisti. Se per evitare che gli ex ragazzi rossi e neri si decidano a crescere noi si debba continuare ad assistere ai resistenziali della domenica e agli internazionalisti del nazionalismo, possiamo solo sperare che i sempre più numerosi ragazzi che si pesteranno trovino in fretta di meglio da fare. Nell’insieme: è una pagliacciata.
L’orgoglio comunista delle cooperative rosse emiliane e l’esperienza umana delle periferie nere metropolitane possono generare identità personali e storie di gruppo, ma non idee che abbiano a che vedere con il governo di un Paese non più, da tempo, agropastorale. In quel loro passato non c’è un briciolo di futuro. Le idee prendono il posto della rappresentanza degli interessi quando, nel riflettere e nel proporre, il futuro prende il posto del presente. Ma qui si stanno disputando il passato. Manca solo che recitino in costume.
Prima che ricomincino l’eterno ed ozioso gioco del piccolo costituente (che già chiamano “premier” Meloni, dimostrando che non hanno letto manco le istruzioni) provino a guardarsi nelle palle degli occhi: una è alleata con due forze politiche che provano a impallinarla qualsiasi cosa faccia, non escludendo lo sputtanamento internazionale; gli altri si pensano alleati con quelli che farebbero apparire l’inglese Corbin come un pragmatico affidabile. Siccome questa roba è un falso, a destra come a sinistra, e il falso genera falsi, si guardino negli occhi e si chiedano se si vuole andare verso un maggioritario con ballottaggio (quello per cui a Roma la destra arriva prima e il sindaco lo fa uno di sinistra), oppure verso un proporzionale che non indebolisce il governo (come in Germania). L’idea che la soluzione migliore sia cambiare gli elettori è già venuta ad altri e non vale copiare.
Nel falso maggioritario italiano è già capitato, a destra come a sinistra, di dovere governare essendo minoranza. Non è vero che è capitato solo alla sinistra. Il risultato, però, è che poi governano gli altri e nessun governante ha mai vinto le politiche successive.
Ci sono idee, in merito? Keir Starmer, in Inghilterra, non ha cambiato gli occhiali, ma il modo di vedere le cose. Come fece Blair. Parlarono e parlano di sicurezza, ordine, mercato. Buona domenica, badate a che i sinistri di lunedì non siano né gli infausti né gli accidentati. Se cercate idee senza bandiere qui ce ne sono. Sinistramente gratis.
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PODCAST. Nablus, la rappresaglia dei coloni: case e auto bruciate, un palestinese ucciso
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 27 febbraio 2023 – Ieri, mentre ad Aqaba, in Giordania, israeliani e palestinesi discutevano, con la mediazione americana, di de-escalation in Cisgiordania, i coloni israeliani si lanciavano in una rappresaglia di massa contro alcuni villaggi palestinesi per vendicare due fratelli uccisi in un agguato nei pressi di Nablus. Durante il raid di eccezionale violenza sono state incendiate oltre 30 case, decine di automobili palestinesi ed è stato ucciso un 37enne di Zaatara che cercava di portare soccorso ad alcuni feriti. Mercoledì scorso l’esercito israeliano aveva ucciso a Nablus 11 palestinesi e ferito 102 in una incursione tra le più letali di questi ultimi mesi.
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MEDITERRANEO. Ancora una strage di migranti ma il governo Meloni non cambia politica
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 26 febbraio 2021 – Una nuova strage nel Mediterraneo si è verificata oggi poco prima dell’alba al largo della costa calabrese. Sul fare del giorno, i primi cadaveri sono stati rinvenuti sulla spiaggia turistica di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Tra questi, anche un lattante di sei mesi. Nelle ore successive, altri cadaveri sono stati restituiti dalle onde di un mare in tempesta, alcuni ritrovati persino sulle rive del catanzarese. Per il momento, il bilancio è di 59 morti (tra cui 14 bambini) e circa 80 sopravvissuti, subito soccorsi e ricoverati in ospedale o portati nei centri di raccolta per migranti.
Sono almeno un centinaio i dispersi che i soccorritori della guardia costiera, dei vigili del fuoco, della polizia e della Croce Rossa Italiana stanno cercando in queste ore.
Secondo le prime ricostruzioni, una piccola imbarcazione, partita dalla Turchia carica di circa 250 migranti provenienti da Afghanistan, Iran e Pakistan, si sarebbe incagliata contro gli scogli della costa di Cutro e ribaltata, probabilmente a causa del mare molto mosso. “E’ qualcosa che nessuno vorrebbe mai vedere”, ha dichiarato il sindaco di Cutro, “Il mare continua a restituire corpi, tra le vittime ci sono donne e bambini”.
Immediate le reazioni da parte del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni che, tuttavia, ha soltanto saputo attaccare i trafficanti, definendo “criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse”, senza mettere in discussione le politiche ostruzionistiche che il suo esecutivo attua verso le navi delle Ong impegnate nei salvataggi.
Le Organizzazioni Non Governative impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo hanno, però, reagito all’ennesima strage di migranti in mare attaccando proprio il governo meloniano. Solo pochi giorni fa, infatti, Il decreto sui flussi migratori, il cosiddetto decreto ONG, era diventato legge, dopo l’approvazione definitiva del Senato con 84 voti favorevoli e 61 contrari. Una legge che limita i soccorsi in mare, secondo le ONG, provocando potenzialmente centinaia e migliaia di vittime delle migrazioni nel Mediterraneo.
Secondo la legge, infatti, le navi impegnate nelle operazioni di soccorso in mare non possono effettuare più di un salvataggio alla volta. Dopo aver soccorso i migranti, sono obbligate a richiedere immediatamente l’assegnazione di un porto di sbarco e a raggiungerlo nel più breve tempo possibile. Secondo le ONG, impedire di effettuare più salvataggi sulla stessa rotta riduce in maniera criminale la possibilità di salvare vite umane pur avendone la possibilità. I porti assegnati, inoltre, come dimostrato negli ultimi mesi con l’applicazione del decreto, si trovano spesso nel Centro e nel Nord Italia: ciò determina un inutile dispendio di tempo (oltre che di carburante) prezioso alle navi per tornare in mare e soccorrere altre persone.
In caso di violazione della legge, è prevista una sanzione amministrativa per il comandante della nave che va dai 10.000 ai 50.000 euro e il fermo amministrativo del mezzo per due mesi. In caso di reiterazione della violazione, si applica la confisca della nave. Previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave anche se “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
La legge per questo, secondo le opposizioni e i soccorritori, attacca direttamente le ONG e la possibilità di svolgere salvataggi nel Mediterraneo. Nel 2022, oltre 100.000 rifugiati sono arrivati in Italia via mare, un numero in aumento negli ultimi anni. La strage del 26 febbraio infiamma di nuovo lo scontro con il governo, che, con le parole di Meloni, non sembra indietreggiare sul fronte migratorio.
“Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione dagli Stati di partenza e di provenienza. Si commenta da sé l’azione di chi oggi specula su questi morti, dopo aver esaltato l’illusione di una immigrazione senza regole”, ha aggiunto, infatti, la Premier sui social. Difficile immaginare come potrà garantire il rispetto dei diritti umani mediando con il governo iraniano o con quello dei talebani affinché i migranti non decidano più di lasciare quei Paesi. Intanto vengono vantati nuovi accordi con Tunisia e Libia, che probabilmente foraggeranno ulteriormente i crimini nei centri di detenzione per i migranti o quelli compiuti dalla guardia costiera nazionale.
Ferma la condanna di Mediterranea Saving Humans:
⚫️ Cresce di ora in ora il numero delle vittime e dei dispersi del naufragio al largo di #Crotone.Chi, al governo, chiude le frontiere e non apre canali legali e sicuri d'ingresso in #Europa, dovrebbe solo tacere.
Per rispetto. pic.twitter.com/P363tkhpYR
— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) February 26, 2023
E di Medici Senza Frontiere (MSF):
⚫️ While we are stuck in port, avoidable tragedies continue to unfold before our eyes. How many people will have to be sacrificed until #Italy and the #EU guarantee search and rescue operations and support the life-saving work of #NGOs?#TheyWillPay t.co/WVSPC5PHXp— MSF Sea (@MSF_Sea) February 26, 2023
Il primo fermo amministrativo della legge sui flussi migratori con multa ai danni di una ONG era stato notificato il 23 febbraio scorso proprio ai danni di Medici Senza Frontiere, ONG francese premio Nobel per la Pace. «La Capitaneria di Porto di Ancona ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona di 48 naufraghi», aveva comunicato l’ONG. Per questo motivo, la Geo Barents, la nave di soccorso in mare di MSF, “è stata raggiunta da un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa da 10 mila euro”. L’ONG aveva prontamente dichiarato che i suoi legali stavano valutando le azioni per contestare la sanzione.
Proseguono, intanto, le ricerche dei dispersi. Secondo il progetto Missing Migrants dell’International Organization of Migrants, dal 2014 a oggi, sono oltre 50.000 i migranti dispersi nel mondo. Di questi, almeno il 60% resta non identificato: di oltre 30.000 persone, cioè, non si riesce a risalire né all’identità né almeno alla nazionalità d’origine.
Tra le rotte delle migrazioni, sempre secondo Missing Migrants, quella che conduce verso l’Europa è la più “mortale”, con più di 29.000 dei 50.000 morti dal 2014 registrati lungo rotte all’interno o verso i confini europei. Le rotte europee sono anche quelle dove si registra il maggior numero di migranti non recuperati, con almeno 16.032 persone disperse o di cui si suppone il decesso in mare. Ciò significa che un migrante su due disperso lungo il viaggio verso l’Europa non viene ritrovato né identificato.
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Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music
🎧 #RECENSIONE:
👉 Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music iyezine.com/stain-kindergarten…
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente. iyezine.com/stain-kindergarten…
Stain - Kindergarten Part II - 2023
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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Confronto sulla Separazione delle Carriere con Matteo Salvini
Nel quadro del confronto con tutte le forze politiche interessate e prendendo spunto dal libro del nostro Presidente “Non diamoci del tu”, il giorno 1 marzo 2023 alle ore 17:30 presso la nostra sede, in via della Conciliazione 10, Matteo Salvini si confronterà con il Presidente Giuseppe Benedetto sul tema della Separazione delle Carriere.
Sarà presente il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Andrea Ostellari.
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In Cina e Asia – Ucraina: incontro tra rappresentanti di Cina e Nato
I titoli di oggi:
Ucraina: incontro tra rappresentanti di Cina e Nato a Bruxelles
G20, la Cina sostiene la Russia nel bloccare il comunicato congiunto
Chip war, i "fab 4" al lavoro per una supply chain resiliente
Satelliti, il piano di Pechino contro Starlink
La Cina espande i test per la coltivazione di mais e soia OGM
India e Germania, Scholz promette un accordo di libero scambio
Corea del Nord, Kim apre un incontro sulla situazione agricola
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#uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – In regime di concorrenza…
In regime di concorrenza, il prezzo tende al costo, a rimunerare il merito, ad essere uguale alla produttività marginale dei singoli partecipanti alla produzione. Il monopolista non si occupa dii vendere molto poco, ma di guadagnare un massimo di profitto netto.
da Di alcuni problemi di politica sociale, Lezioni di politica sociale, Torino, 1949
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La posizione cinese sull’Ucraina e la Global Security Initiative
Il punto sulla postura di Pechino dopo la pubblicazione del position paper sulla guerra e il documento sulla Global Security Initiative
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Elly Schlein all’opposizione, Giorgia Meloni al governo: due donne a confronto
Che grande pasticcio! Elly Schlein vince con nettezza le primarie del Partito Democratico. Stefano Bonaccini le perde, riconosce la sconfitta, assicura, dopo gli auguri di prammatica, che sarà leale e non farà mancare il suo sostegno. Fin qui, nulla di male e anzi, tutto di bene. Poi però le cose si complicano. Le primarie, il […]
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PD: che segreteria Schlein sia!
«Con Schlein tutti quelli che non hanno mai vinto»: firmato Stefano Bonaccini. Affermazione resa ad altissima voce come ‘viatico’ per le votazioni per il Segretario del PD. Vi ricordate quando, nell’unico vero dibattito tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, in TV, fatto con regole ferree per impedire colpi di mano e colpi bassi, approfittando di […]
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MEDITERRANEO. Ancora una strage di migranti ma il governo Meloni non cambia politica
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 26 febbraio 2021 – Una nuova strage nel Mediterraneo si è verificata oggi poco prima dell’alba al largo della costa calabrese. Sul fare del giorno, i primi cadaveri sono stati rinvenuti sulla spiaggia turistica di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Tra questi, anche un lattante di sei mesi. Nelle ore successive, altri cadaveri sono stati restituiti dalle onde di un mare in tempesta, alcuni ritrovati persino sulle rive del catanzarese. Per il momento, il bilancio è di 45 morti e circa 80 sopravvissuti, subito soccorsi e ricoverati in ospedale o portati nei centri di raccolta per migranti.
Sono almeno un centinaio i dispersi che i soccorritori della guardia costiera, dei vigili del fuoco, della polizia e della Croce Rossa Italiana stanno cercando in queste ore.
Secondo le prime ricostruzioni, una piccola imbarcazione, partita dalla Turchia carica di circa 250 migranti provenienti da Afghanistan, Iran e Pakistan, si sarebbe incagliata contro gli scogli della costa di Cutro e ribaltata, probabilmente a causa del mare molto mosso. “E’ qualcosa che nessuno vorrebbe mai vedere”, ha dichiarato il sindaco di Cutro, “Il mare continua a restituire corpi, tra le vittime ci sono donne e bambini”.
Immediate le reazioni da parte del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni che, tuttavia, ha soltanto saputo attaccare i trafficanti, definendo “criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse”, senza mettere in discussione le politiche ostruzionistiche che il suo esecutivo attua verso le navi delle Ong impegnate nei salvataggi.
Le Organizzazioni Non Governative impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo hanno, però, reagito all’ennesima strage di migranti in mare attaccando proprio il governo meloniano. Solo pochi giorni fa, infatti, Il decreto sui flussi migratori, il cosiddetto decreto ONG, era diventato legge, dopo l’approvazione definitiva del Senato con 84 voti favorevoli e 61 contrari. Una legge che limita i soccorsi in mare, secondo le ONG, provocando potenzialmente centinaia e migliaia di vittime delle migrazioni nel Mediterraneo.
Secondo la legge, infatti, le navi impegnate nelle operazioni di soccorso in mare non possono effettuare più di un salvataggio alla volta. Dopo aver soccorso i migranti, sono obbligate a richiedere immediatamente l’assegnazione di un porto di sbarco e a raggiungerlo nel più breve tempo possibile. Secondo le ONG, impedire di effettuare più salvataggi sulla stessa rotta riduce in maniera criminale la possibilità di salvare vite umane pur avendone la possibilità. I porti assegnati, inoltre, come dimostrato negli ultimi mesi con l’applicazione del decreto, si trovano spesso nel Centro e nel Nord Italia: ciò determina un inutile dispendio di tempo (oltre che di carburante) prezioso alle navi per tornare in mare e soccorrere altre persone.
In caso di violazione della legge, è prevista una sanzione amministrativa per il comandante della nave che va dai 10.000 ai 50.000 euro e il fermo amministrativo del mezzo per due mesi. In caso di reiterazione della violazione, si applica la confisca della nave. Previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave anche se “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
La legge per questo, secondo le opposizioni e i soccorritori, attacca direttamente le ONG e la possibilità di svolgere salvataggi nel Mediterraneo. Nel 2022, oltre 100.000 rifugiati sono arrivati in Italia via mare, un numero in aumento negli ultimi anni. La strage del 26 febbraio infiamma di nuovo lo scontro con il governo, che, con le parole di Meloni, non sembra indietreggiare sul fronte migratorio.
“Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione dagli Stati di partenza e di provenienza. Si commenta da sé l’azione di chi oggi specula su questi morti, dopo aver esaltato l’illusione di una immigrazione senza regole”, ha aggiunto, infatti, la Premier sui social. Difficile immaginare come potrà garantire il rispetto dei diritti umani mediando con il governo iraniano o con quello dei talebani affinché i migranti non decidano più di lasciare quei Paesi. Intanto vengono vantati nuovi accordi con Tunisia e Libia, che probabilmente foraggeranno ulteriormente i crimini nei centri di detenzione per i migranti o quelli compiuti dalla guardia costiera nazionale.
Ferma la condanna di Mediterranea Saving Humans:
⚫️ Cresce di ora in ora il numero delle vittime e dei dispersi del naufragio al largo di #Crotone.Chi, al governo, chiude le frontiere e non apre canali legali e sicuri d'ingresso in #Europa, dovrebbe solo tacere.
Per rispetto. pic.twitter.com/P363tkhpYR
— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) February 26, 2023
E di Medici Senza Frontiere (MSF):
⚫️ While we are stuck in port, avoidable tragedies continue to unfold before our eyes. How many people will have to be sacrificed until #Italy and the #EU guarantee search and rescue operations and support the life-saving work of #NGOs?#TheyWillPay t.co/WVSPC5PHXp— MSF Sea (@MSF_Sea) February 26, 2023
Il primo fermo amministrativo della legge sui flussi migratori con multa ai danni di una ONG era stato notificato il 23 febbraio scorso proprio ai danni di Medici Senza Frontiere, ONG francese premio Nobel per la Pace. «La Capitaneria di Porto di Ancona ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona di 48 naufraghi», aveva comunicato l’ONG. Per questo motivo, la Geo Barents, la nave di soccorso in mare di MSF, “è stata raggiunta da un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa da 10 mila euro”. L’ONG aveva prontamente dichiarato che i suoi legali stavano valutando le azioni per contestare la sanzione.
Proseguono, intanto, le ricerche dei dispersi. Secondo il progetto Missing Migrants dell’International Organization of Migrants, dal 2014 a oggi, sono oltre 50.000 i migranti dispersi nel mondo. Di questi, almeno il 60% resta non identificato: di oltre 30.000 persone, cioè, non si riesce a risalire né all’identità né almeno alla nazionalità d’origine.
Tra le rotte delle migrazioni, sempre secondo Missing Migrants, quella che conduce verso l’Europa è la più “mortale”, con più di 29.000 dei 50.000 morti dal 2014 registrati lungo rotte all’interno o verso i confini europei. Le rotte europee sono anche quelle dove si registra il maggior numero di migranti non recuperati, con almeno 16.032 persone disperse o di cui si suppone il decesso in mare. Ciò significa che un migrante su due disperso lungo il viaggio verso l’Europa non viene ritrovato né identificato.
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Restringere le protezioni 230 porterà incertezza giuridica nel lavoro di sviluppatori software, startup e piattaforme che forniscono loro gli strumenti per realizzare la loro visione e repository software
Gli sviluppatori si affidano a 230 per collaborare su piattaforme come GitHub e per costruire e gestire nuove piattaforme che ripensano i social media. Restringere le protezioni 230 potrebbe avere implicazioni di vasta portata, introducendo incertezza giuridica nell'importante lavoro di sviluppatori di software, startup e piattaforme che forniscono loro gli strumenti per realizzare la loro visione. Mentre i responsabili politici valutano come affrontare le nuove frontiere della responsabilità degli intermediari, è essenziale centrare gli sviluppatori nelle decisioni che daranno forma al futuro di Internet.
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Come la guerra potrebbe (non) finire. Gli scenari del prof. Bozzo
Dopo il primo mese di guerra era evidente che l’offensiva russa non avesse raggiunto i suoi obiettivi, nonostante le molte di perdite umane e materiali. Fallito il tentativo di regime change a Kiev – con le conseguenze politiche e militari attese dal Cremlino – la mancata acquiescenza delle popolazioni russofone e, anzi, l’efficacia della resistenza ucraina, avevano vanificato l’Anschluss immaginato da Putin. Iniziò così la seconda fase del conflitto, il “back to the future” della strategia russa: l’attacco a rullo compressore grazie alla potenza di fuoco e all’impiego senza risparmio di uomini e mezzi.
Fu un autentico ritorno alla tradizione militare sovietica, se non zarista, che consentì le costose, lente ma progressive conquiste in primavera-estate. Tra fine agosto e inizio settembre, esauritasi l’offensiva senza provocare il crollo ucraino, iniziò la controffensiva e la riconquista di parte dei territori perduti. Tale alternarsi di offensive e controffensive è tipico di ogni guerra che si prolunghi senza esito decisivo. Se l’uno o l’altro dei contendenti non riesce a conseguire i propri obiettivi prima di giungere al punto di massimo esercizio dello sforzo, allora, una volta superato quel punto, l’azione si esaurisce e l’iniziativa passa all’avversario. Spentasi con l’arrivo dell’inverno la controffensiva ucraina, è infatti iniziata la nuova offensiva russa, ancora in atto, quarta e per adesso ultima fase del conflitto.
Stavolta, più che nei mesi passati, con le feroci battaglie urbane a Mariupol o Kherson, l’offensiva centrata su Bakhmut rivela che, da entrambe le parti, si combatte a costi spropositati per obiettivi dal valore simbolico più che strategico. La caduta o la tenuta di una o l’altra città ucraina non determinerebbe una svolta decisiva per la prosecuzione della guerra. Bakhmut è più Verdun che Stalingrado: per Mosca, come per Kiev, ha valore a fini politici interni e d’immagine più che operativi. In Ucraina è in atto una guerra d’attrito e, come insegna la Prima guerra mondiale, questo tipo di guerre terminano per esaurimento delle risorse umane e materiali o per collasso interno di una delle parti. Se ciò è vero, possiamo trarne delle conclusioni, ragionando nei termini propri del triangolo strategico: mezzi, fini, modi. Stando a tutti gli indici più attendibili, il tasso delle perdite umane e materiali sui due lati del fronte è estremamente elevato. Kiev resiste in virtù delle forniture militari dei Paesi, innanzitutto della Nato, che la sostengono; la Russia conta sulla superiorità demografica, l’arsenale e il suo complesso militare-industriale.
Nonostante l’effetto delle sanzioni su quest’ultimo, il conflitto vede da un lato la difficoltà dei Paesi alleati nel mantenere la quantità di forniture militari necessarie a Kiev e dall’altro, la possibilità che Mosca ottenga sostegno esterno, come avvenuto con Iran e Corea del Nord, e potrebbe avvenire su più ampia scala. D’altro canto, la solidità politica della leadership russa non appare in discussione. Gli oppositori interni sono stati eliminati, tacitati o hanno lasciato il Paese già dopo lo scorso autunno, mentre l’opinione pubblica russa si è compattata, sensibile al richiamo nazionalista. Il collasso politico di Mosca era poco probabile già nella prima fase della guerra e lo è altrettanto oggi. Più delicata la situazione in occidente, dove al passare dei mesi la “war fatigue” minaccia di provocare tensioni e fratture nella coalizione pro-Kiev.
L’escalation, che ha avuto luogo nel confronto armato in ragione del suo prolungarsi senza esito decisivo, ha aumentato il valore della posta in gioco, il fine politico della guerra, per ognuno degli attori coinvolti. Né Putin né Zelensky possono accettare un esito del conflitto che non giustifichi gli enormi costi sopportati. La Nato, dal canto suo, non può accettare il crollo dell’Ucraina, per le ripercussioni che avrebbe sull’Alleanza. L’analisi dell’evoluzione della guerra convenzionale in corso non deve far dimenticare, infine, il coté nucleare del confronto. Le operazioni sul campo sono state infatti precedute e accompagnate dalla continua evocazione della minaccia nucleare, nel quadro di una strategia russa di “manipolazione del rischio estremo” a fini dissuasivi e coercitivi. Mosca ha costantemente messo in atto una simile strategia: dal riconoscimento all’antivigilia dell’aggressione dell’indipendenza degli oblast del Donbass, alla messa in stato di prima allerta delle forze di deterrenza nucleare poco dopo l’attacco, fino all’annessione delle quattro regioni ucraine almeno in parte occupate; oltre ai riferimenti ai casi in cui la dottrina russa prevede l’impiego del nucleare. La minaccia nucleare, peraltro, ha sin qui determinato una limitazione del confronto, impedendo a Kiev di colpire in profondità il territorio nemico, come a Mosca di tagliare fonti e linee di alimentazione dello sforzo avversario.
Quali scenari possono seguirne? La guerra continuerà. La disponibilità delle parti a un cessate il fuoco è infatti legata alla situazione sul campo, in sostanza statica, e gli avversari possono ancora disporre del sostegno politico interno e delle risorse sufficienti per proseguire nello sforzo. Ciò implica anche che non si esaurirà la naturale tendenza all’escalation propria delle lunghe guerre di attrito, che può tradursi in senso “verticale”, con l’impiego di armi a più alto potenziale distruttivo fino a quelle di distruzione di massa, o “orizzontale”, con il coinvolgimento diretto nel confronto bellico di attori esterni.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
Addio a Maurizio Costanzo, una vita tra giornalismo e ‘show’
L’addio a solenni onoranze per Maurizio Costanzo, prima in Campidoglio per l’omaggio della sua città, poi i funerali nella Chiesa Dall’incidfente Artisti in piazza del Popolo a Roma, per l’ultimo saluto. Il celebre giornalista, conduttore televisivo, sceneggiatore, autore di testi se n’era andato all’età di 84 anni, la mattina del 25 febbraio scorso, suscitando un cordoglio […]
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Storia del pacifismo italiano
Storia del pacifismo italiano
Com’è cambiato il movimento pacifista in questi ultimi decenni, dalla marcia Perugia-Assisi del 1961 alle manifestazioni contro la guerra in Ucraina. LeggiGiuliano Battiston (Internazionale)
Si prepara l’offensiva di primavera. Le previsioni di Camporini
Una domanda ricorrente in merito al conflitto scatenato dall’aggressione russa all’Ucraina riguarda che cosa sta accadendo nel teatro operativo e che cosa ci si può aspettare per la primavera e l’estate. Nel passato, di fronte a quesiti del genere, ci si poteva affidare solo alla fantasia e a ipotesi più o meno fondate. Oggi la disponibilità di mezzi informativi tecnologicamente avanzati mette a disposizione dati molto più attendibili sulla situazione del momento, in tempo quasi reale, il che rende più facile formulare scenari verosimili. Si trovano in rete mappe molto interessanti con le traiettorie giornaliere di satelliti da osservazione che operano in tutto lo spettro elettromagnetico, e i cui risultati sono indipendenti dalla luce diurna e dalle condizioni meteorologiche. Altre mappe riportano invece le tracce di tutti i velivoli da ricognizione dei Paesi che sostengono Kiev, che raccolgono le informazioni sulle comunicazioni, sui movimenti e sulle attività in corso, stando bene al di fuori dello spazio aereo ucraino: ben poco può sfuggire e quel poco è scarsamente determinante.
Si osserva oggi qualcosa che fa riflettere: lungo tutta la linea di contatto che dalla Crimea arriva a Logachevka, ai confini con l’oblast’ russo di Belgorod, da molte settimane le forze di Mosca stanno costruendo imponenti linee difensive, come se si attendessero di dover respingere pericolose puntate offensive ucraine, come cioè se l’esercito russo avesse accantonato l’ipotesi di riprendere l’iniziativa dopo essere stato costretto ad abbandonare Charkiv e Kherson.
D’altra parte sono di pubblico dominio le direttive di Putin che avrebbe ordinato alle sue truppe di avanzare fino a occupare tutto il Donbass entro il mese di marzo, il che appare scarsamente fattibile, almeno in questi termini temporali, stante la situazione climatica e meteorologica, con la pratica impossibilità per le forze blindate e corazzate di muoversi al di fuori dei tracciati stradali. Si susseguono in ogni caso le informazioni circa la possibilità per Mosca di lanciare in battaglia altri trecentomila militari, peraltro costituiti in gran parte da riservisti e da giovani reclute, cui bisogna garantire non solo i necessari equipaggiamenti e armamenti, ma anche, se non soprattutto, un adeguato addestramento. Si prospettano dunque almeno due scenari. Il primo vede il consolidamento degli attuali schieramenti, con l’esercito ucraino che non riesce a superare le rinforzate linee difensive russe, mentre queste a loro volta, utilizzando le forze fresche, potranno premere su particolari settori come stanno da tempo facendo nel Donetsk a Bachmut e Soledar; in questo senso i progressi sono stati finora minimi e si misurano in pochi chilometri, ma potrebbero migliorare con un’ulteriore spinta nella buona stagione.
Il secondo scenario vede un radicale cambiamento nella gravitazione delle forze e ipotizza che le nuove unità, alcune delle quali già presenti in Bielorussa nel quadro delle esercitazioni in atto da qualche settimana, vengano utilizzate per aprire un nuovo fronte da nord, che costringerebbe Kiev a dirottare le proprie unità migliori, oggi impegnate a sud, per fare fronte alla nuova minaccia. Un’offensiva del genere da parte russa potrebbe anche essere supportata da unità bielorusse, anche se un’ipotesi simile appare assai improbabile, stante la non solidissima posizione di Lukashenko e le note tiepide simpatie della popolazione verso la Russia di Putin. L’inverno non ha certo favorito lo sviluppo di operazioni particolarmente ficcanti, al contrario sta permettendo a entrambi gli eserciti di riorganizzarsi: Mosca ne ha approfittato per riempire i vuoti generati dalle gravi perdite umane subite, mentre l’Ucraina sta cercando di ottenere dai Paesi occidentali i moderni sistemi d’arma che le possono consentire di compensare l’inferiorità numerica.
Si tratta di una corsa contro il tempo, perché nuovi mezzi comportano maggiori esigenze addestrative e maggior complessità delle catene logistiche. Finora la palese superiorità dei sistemi occidentali ha consentito a Kiev di resistere e poi contrattaccare con successo: potrà continuare a farlo solo se i flussi di rifornimenti non subiranno cali o rallentamenti. In tal caso potrebbe verificarsi un terzo scenario, quello di una nuova rottura delle linee difensive russe, il che oltre a non impossibili conseguenze politiche, metterebbe a rischio il controllo russo della fascia costiera del mar d’Azov che oggi rimane l’unica vera conquista fin qui ottenuta dall’esercito di Mosca.
Molto, se non tutto, dipenderà quindi dalla capacità e dalla volontà dei Paesi occidentali di continuare a supportare Kiev in quantità e qualità dei mezzi, riavviando anche i processi industriali per far fronte ai consumi che solo un anno fa nessuno si sarebbe immaginato così ingenti. Continuerà altresì lo sforzo della propaganda di Mosca per erodere l’altro elemento, quello della volontà, che nei Paesi democratici non può essere imposta dall’alto. Tutto ciò sul terreno. Su un altro piano, invece, da un lato saranno possibili evoluzioni anche radicali degli assetti politici interni, dall’altro ci si può attendere che vengano stabiliti, in modo assolutamente riservato, contatti per trovare un compromesso che possa essere alla base di un serio negoziato.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
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È tornato lo scontro di civiltà. Come si muoverà l’Italia secondo Craxi
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Dalle lezioni apprese dall’Europa, alla postura italiana in questi ultimi 12 mesi di conflitto, fino al nuovo dibattito riacceso intorno alla necessità nazionale di raggiungere il 2% del Pil da destinare alla Difesa. Questi i temi al centro della conversazione con la presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato, Stefania Craxi, e il direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe.
Presidente Craxi, dopo un anno di guerra, quale scenario geopolitico ci attende?
Innanzitutto, sgombriamo il campo da ogni equivoco, e le risponderò con le parole del Segretario generale della Nato: “la guerra è una guerra illegale, che ha provocato distruzione, morte, dolore per il popolo ucraino, ha distrutto la pace in Europa, ha provocato danni alle popolazioni con le sue conseguenze sul piano energetico e alimentare”. In questo contesto, il governo italiano è rimasto coeso e continuerà a difendere e a sostenere la resistenza del popolo ucraino. Dopotutto, noi abbiamo il dovere di mantenere la pace, ma abbiamo anche il diritto di difendere i popoli, le nazioni e la loro libertà.
Non c’è dubbio che questo conflitto sia un game changer. Non ci troveremo più a vivere in un sistema geopolitico come quello che ha caratterizzato il nostro mondo fino ad adesso. La storia non è finita, anzi ha continuato a correre; presto in Europa ci troveremo in una situazione in cui non si potrà più pensare di approvvigionarsi di energia russa, di commerciare con la Cina e di farci difendere dagli Stati Uniti. Ci troveremo di fronte a un grande conflitto globale, un grande scontro tra superpotenze: da una parte l’Occidente composto da Europa e Stati Uniti d’America – le due gambe del mondo libero, per quanto imperfetto – e dall’altra le grandi autocrazie, tra cui la Cina, che si stanno alleando tra di loro. Dunque, sì, ci troviamo di fronte a uno scontro di civiltà.
Quali sono le consapevolezze e lezioni che l’Europa ha appreso?
Non c’è dubbio che l’Europa si è trovata di fronte a questo conflitto totalmente impreparata dal punto di vista psicologico, prima ancora che militare ed economico. Io mi auguro che l’Europa riesca a trarre delle lezioni perché si tratta di capire quale ruolo deve svolgere sullo scenario internazionale. Certamente, ci riuscirà solo se parlerà con una sua voce in ambito di politica estera.
Abbiamo visto nei giorni scorsi le immagini del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in visita a Kiev. Che giudizio complessivo dà alla postura italiana dall’inizio del conflitto? Come si è comportato il nostro Paese?
L’Italia si è comportata come un Paese serio e affidabile. È stata in grado di calibrare le sue azioni con i suoi alleati storici, ovvero sia gli alleati europei sia l’alleato transatlantico. La visita del presidente Meloni ha messo in rilievo il fatto che, contrariamente a quanto si ritiene a volte, il nostro non è un Paese irrilevante o bistrattato. Invece, ha mostrato la postura di un alleato affidabile, senza tentennamenti e senza subalternità.
Con il sopraggiungere del conflitto abbiamo sicuramente assistito a una rinnovata centralità della Nato, irrobustita nell’ultimo anno. Allo stesso tempo, si sono rafforzate le difese nazionali di molti Paesi europei, come la Germania. L’elemento debole è rimasto la Difesa comune. Se il Vecchio continente perdesse questa occasione, ridimensionerebbe le ambizioni del suo progetto?
Questo era il sogno di uno dei padri della nostra patria, Alcide De Gasperi, che morì con il rammarico che non si fosse realizzata una Difesa comune. Forse adesso è arrivato il momento. Naturalmente, parlare di difesa comune europea significa innanzitutto parlare di politica estera comune europea, perché se non formiamo un interesse europeo è difficile capire anche cosa una Difesa comune dovrebbe difendere. Segue poi il grande tema dell’Alleanza Atlantica e qui è necessario, secondo me, pronunciare parole di chiarezza. Non si può pensare a una difesa comune europea in contrapposizione o in separazione dall’alleanza Nato. Credo invece che una Difesa comune debba essere complementare alla Nato e dovremmo, dunque, alla luce di quanto è accaduto, ragionare su come coordinare gli interventi delle nostre industrie e su come mettere a fattor comune i processi di innovazione. Sicuramente, questo è un primo passo da fare per costituire una difesa comune, anche se si tratta senz’ombra di dubbio di un processo alquanto complicato – ad esempio, prevede di affrontare il tema dei brevetti, una questione tanto interessante tanto complicata.
Le difficoltà che potrà incontrare la Difesa comune saranno anche conseguenza della volontà degli Stati nazione europei di continuare a custodire il controllo sulla propria Difesa. Tuttavia, il sostegno militare a Kiev sta mostrando un’insufficienza nelle dotazioni di difesa dei Paesi europei. Il Parlamento, secondo lei, è consapevole di questa vulnerabilità? Avete in cantiere degli interventi in questo senso?
La Difesa italiana ha sempre operato in campi e in contesti alquanto difficili, con operazioni di peacekeeping con cui si è confermata più volte adeguata e sempre all’altezza delle sfide di pace e di sicurezza che si è trovata davanti. Certo, oggi il contesto è cambiato e l’Occidente si è fatto cogliere militarmente impreparato. Nessuno si aspettava una guerra ai confini dell’Europa nel nostro secolo. E certamente, di fronte all’accelerazione tecnologica di questo settore, si presenta anche la questione della ricostruzione dei nostri arsenali e di come essere all’altezza delle sfide epocali che ci aspettano. Questa cosa è ben chiara a me, alla Commissione e anche all’esecutivo.
Tra l’altro noi stiamo per dover affrontare un problema importante, dal momento che nessuno tra gli alleati ha una reale contezza della consistenza degli arsenali russi, e la potenza di fuoco esprimibile da Mosca è stimata essere venti volte superiore a quella di Kyiv. Questo comporta anche che i nostri arsenali si stanno rapidamente svuotando, ed è il motivo per cui in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti, si sta iniziando a sostenere l’impossibilità di intraprendere un estenuante e lunghissimo conflitto senza sbocchi. Si sta dunque cominciando ad affermare in alcuni ambienti, compreso il Congresso statunitense, che il sostegno economico e militare all’Ucraina non può essere infinito.
È stato riportato al centro del dibattito nazionale anche la necessità del nostro Paese di raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil da destinare alla Difesa stabilito in Galles nel 2014. L’Italia è ancora lontana dal traguardo, mentre diversi Paesi europei stanno facendo passi avanti. Di recente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha proposto di escludere le spese per la Difesa dal Patto di stabilità. È una soluzione praticabile?
Il Ministro Crosetto è stato ricevuto di recente in commissione, dove ha illustrato le linee programmatiche del suo dicastero e non ha usato giri di parole per segnalare i forti ritardi dell’Italia su questo tema. Il ministro ha infatti lanciato l’allarme spiegando che alla prossima riunione dell’Alleanza Atlantica rischiamo di essere i “Pierini” della Nato. Il Paese spende attualmente solo 1,38% del Pil in Difesa. Questa cifra deve gradualmente aumentare fino ad arrivare al fatidico 2%. Parlamento e governo ne sono consapevoli, e quella del ministro Crosetto è una proposta interessante. In questo modo, infatti, aumentare le spese della Difesa non vorrebbe dire necessariamente detrarre spese dal bilancio nazionale per il welfare o la sanità. È una buona proposta, che noi appoggeremo. Anche perché, è bene ricordarlo, le Forze armate svolgono un ruolo centrale anche in aree diverse, come abbiamo visto nella battaglia contro la pandemia di Covid-19. Quando parliamo della Difesa, parliamo in realtà di un mondo molto complesso. La Difesa vuol dire genio civile, interventi umanitari, investimenti sulla ricerca tecnologica. Parliamo di tante cose, non solo di armi. Bisogna, però, avere anche la consapevolezza che oggi ci troviamo di fronte a un mondo molto meno sicuro.
La reazione dei Paesi alleati al conflitto in Ucraina è stata quella di irrobustire la sicurezza del fianco est dell’Alleanza. Però il sud rimane un quadrante da presidiare e per l’Italia il Mediterraneo è lo scenario strategico principale. Che tipo di pressioni potrebbe esercitare Roma per sensibilizzare maggiormente l’Alleanza sul fronte meridionale?
Noi siamo tornati, dopo la Guerra fredda, a essere Paese di confine, però adesso il confine è con il sud. Con l’Alleanza Atlantica impegnata est e con gli Stati Uniti concentrati su quello che percepiscono come il loro fronte caldo dell’Indo-Pacifico, noi non possiamo permetterci di distogliere lo sguardo dal Mediterraneo. Non solo per le instabilità, le insicurezze e le grandi sfide che il Mediterraneo ci porrà davanti, dall’immigrazione al terrorismo (che non è concluso), ma anche in termini di opportunità. Quello di Mediterraneo è un concetto larghissimo che va dai Balcani all’Africa. Il Mediterraneo è il bacino dello sviluppo europeo e aver fallito negli anni le politiche euro-mediterranee è stato gravissimo. I nostri sforzi, ora, devono raddoppiare.
Ci deve essere un nuovo e maggiore impegno sul Mediterraneo, e ovviamente in questo contesto l’Italia non può che giocare un ruolo cruciale. Personalmente vorrei rendere stabili i rapporti con le commissioni esteri dei Paesi europei del Mediterraneo, proprio per avere un impatto forte nell’agenda europea, all’interno della quale il Mediterraneo deve essere uno dei punti cardine. È indispensabile per oggi, ma anche per il domani. Su questo tema, tra l’altro, mi associo alla richiesta da fare in Europa espressa dal ministro Crosetto: anche il budget della cooperazione internazionale deve essere scomputato dalle regole di bilancio, dal rapporto deficit/Pil. Perché se non riusciremo a ridurre l’enorme divario che ancora separa il nord dal sud del mondo, per noi saranno drammi.
A livello globale, la sfida di Vladimir Putin alle regole internazionali potrebbe costituire un precedente pericoloso anche per molti altri scenari, come per esempio l’assertività cinese su Taiwan. Abbiamo visto i vantaggi di un Occidente unito. Pensa che questa unità possa essere replicata anche nell’Indo-Pacifico?
È stato importantissimo che l’Occidente abbia reagito, e continui a reagire, coeso di fronte a questo attacco. Se noi avessimo consentito, senza fiatare, l’invasione dell’Ucraina, avremmo fatto passare il principio che il sistema internazionale può perfettamente essere regolato dalle leggi della prepotenza e non da quelle del diritto. Questo è un principio non negoziabile, che l’Occidente ha fatto bene a difendere, e deve continuare a difendere fino alla fine. Ma serve, come in tutto, una visione politica. Senza una visione politica, non solo non siamo stati in grado di disegnare allora il mondo di domani, ma non siamo stati neanche capaci di affrontare le criticità dell’oggi. È tornata ad affacciarsi ai nostri confini una guerra che mai ci saremmo aspettati che tornasse. Probabilmente abbiamo sottovalutato tante faglie di crisi che siano già presentate negli anni. Bisogna che la prossima sfida epocale non ci trovi impreparato.
LordMax
in reply to Informa Pirata • • •Non sono del tutto d'accordo.
La 230 non è stata pensata per la situazione attuale, è decisamente inadeguata per moltissime situazioni e aumentare le responsabilità delle piattaforme, si spera possa ridurre la loro visione degli utenti come gregge di mucche da mungere.
Un po' di responsabilità in più aiuta a crescere non il contrario.
E, come dice il sempre immenso @dataKnightmare, nessuna legge dice che devono per forza arricchirsi sulle spalle degli altri.
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