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Yemen, prolungata di sei mesi la tregua tra governo e Houthi


di Redazione Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Il Consiglio direttivo presidenziale dello Yemen e il movimento ribelle sciita degli Houthi hanno firmato ieri un accordo per prolungare la tregua di sei mesi. Il ministro della Difesa dell’Arabia Saudita, Khale

di Redazione

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Il Consiglio direttivo presidenziale dello Yemen e il movimento ribelle sciita degli Houthi hanno firmato ieri un accordo per prolungare la tregua di sei mesi. Il ministro della Difesa dell’Arabia Saudita, Khaled bin Salman, aveva informato il capo del Consiglio direttivo presidenziale yemenita, Rashad Mohammed al Alimi, e gli altri membri che gli Houthi erano d’accordo sul prolungamento dell’armistizio, grazie alla mediazione del Sultanato dell’Oman. La tregua sarà quindi prolungata di sei mesi e comporterà la ripresa delle esportazioni di petrolio, la riapertura dell’aeroporto di Sanaa per i voli internazionali e il pagamento dei salari degli impiegati pubblici di tutto il Paese, incluse le zone sotto il controllo degli Houthi.

Il prolungamento della tregua giunge nel contesto del riavvicinamento tra Teheran e Riad dopo anni di tensioni che hanno avuto pesanti conseguenze in tutta la regione, in particolare in Yemen, dove il conflitto tra il governo yemenita, sostenuto dai sauditi, e i ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran, ha provocato una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, amplificata dall’intervento militare di Riad e di altri paesi del blocco sunnita.

Lo Yemen è teatro di un violento conflitto civile ormai dal settembre 2014. A seguito dell’occupazione del nord del Paese, compresa la capitale Sana’a, da parte dei miliziani Houthi, il governo ha chiesto l’intervento dei Paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che, nel marzo del 2015, hanno formato una coalizione militare e sono intervenute con massicci bombardamenti per sostenere le forze governative.

Il 2 aprile del 2022 è entrato in vigore per la prima volta il cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite ma poi dal 2 ottobre la tregua non era stata rinnovata, facendo temere una nuova escalation nel paese. Uno degli ultimi sviluppi più significativi è stato registrato il 20 marzo con l’annuncio dello scambio di 887 prigionieri tra il governo yemenita e il movimento che rappresenta la minoranza sciita che vive nel nord del paese. – Pagine Esteri

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PRIVACY DAILY 88/2023


Le istituzioni dell’Unione Europea si tengono alla larga dalle spunte blu di Twitter. Secondo i servizi stampa delle istituzioni, la Commissione europea e il Parlamento europeo non intendono pagare Twitter per far verificare le centinaia di account ufficiali dell’UE, tra cui quelli della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e della Presidente del Parlamento... Continue reading →


Vieni avanti Pechino, l’Europa chiede a Xi di premere su Putin


Vieni avanti Pechino, l’Europa chiede a Xi di premere su Putin cina
MORRA CINESE. Visita di Von der Leyen e Macron: «Riporti la Russia alla ragione» Il leader cinese: «Chiamerò Zelensky, ma al momento opportuno»

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In Cina e Asia – Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto 


In Cina e Asia – Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto Tsai
I titoli di oggi:

Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto

Le pressioni di Macron e von der Leyen su Xi

Cina, progetto da 500 milioni di dollari per la posa di cavi internet sottomarini

Il dilemma cinese sull’alternativa a ChatGPT
Lo yuan è la valuta più scambiata in Russia
Evergrande sigla accordo di ristrutturazione con i creditori
La Cina non riconosce più le rivendicazioni del Giappone sulle isole Curili

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Washington si rilancia in Africa e sfida Pechino e Mosca


I collaboratori di Biden fanno la spola con le capitali africane. Washington vuole tornare a giocare un ruolo di primo piano in Africa per arginare l’influenza di Russia e Cina in un momento di accesa competizione su scala globale L'articolo Washington s

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Washington ha lanciato una vera e propria “offensiva diplomatica” allo scopo di recuperare ruolo ed egemonia nel continente africano che, negli ultimi anni, ha visto crescere fortemente l’influenza di varie potenze orientali e mediorientali mentre quella occidentale si affievoliva in modo consistente.

Il tour di Kamala Harris
L’ultima rappresentante statunitense a fare tappa in alcuni paesi africani è stata la vicepresidente Kamala Harris. Dal 25 marzo al 2 aprile, la numero due della Casa Bianca ha visitato prima il Ghana (Africa Occidentale), poi la Tanzania ed infine lo Zambia (nel sud-est del continente).

Nel corso della sua missione, Kamala Harris ha annunciato lo stanziamento di sette miliardi di dollari di investimenti pubblico-privati, finalizzati alla mitigazione del cambiamento climatico, e la messa a disposizione di un altro miliardo per il sostegno all’emancipazione femminile anche attraverso lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie digitali, nell’ambito del programma per la “Trasformazione digitale dell’Africa” lanciato a dicembre dal presidente Joe Biden. «Dobbiamo tutti apprezzare e comprendere l’importanza di investire nell’ingegno e nella creatività africani» ha affermato la vicepresidente.

A Dar es Salaam, Harris ha incontrato la presidente della Tanzania, Samia Suluhu Hassan, annunciando lo stanziamento di 560 milioni a sostegno del commercio e del “rafforzamento della democrazia”. Ad Accra, poi, ha offerto al presidente ghanese Nana Akufo-Addo un pacchetto di aiuti da 140 milioni per rilanciare l’economia. A Lusaka, dove ha incontrato il presidente dello Zambia Hakainde Hichilema, Harris ha infine promesso lo stanziamento di 16 milioni per nuovi programmi contro la corruzione.

“Meno debito” e “più sicurezza”
I leader dei tre paesi visitati hanno tutti sottolineato che «l’eccesso di debito» grava sulle economie africane e ne impedisce lo sviluppo, chiedendo a Washington passi concreti. Da parte sua, nei prossimi mesi il dipartimento americano del Tesoro invierà dei consulenti che “assisteranno” i ministri delle Finanze di alcuni paesi africani (quelli visitati dalla vicepresidente Usa, ma anche Camerun, Kenya, Madagascar e Namibia) nell’applicazione delle riforme ritenute necessarie per migliorare la sostenibilità e permettere così la ristrutturazione del debito estero.
Di fatto gli emissari di Washington avranno una forte voce in capitolo sulle scelte economiche degli esecutivi assistiti, e nel frattempo la Casa Bianca alza la voce con Pechino affinché tagli il debito dei paesi africani.

Harris ha inoltre promesso “maggiore assistenza per la sicurezza” e maggiori investimenti, a partire da una pacchetto di aiuti per cento milioni finalizzati alla “prevenzione dei conflitti” e alla stabilizzazione in Ghana, Benin, Costa d’Avorio, Guineae Togo, che stanno subendo una crescente penetrazione fondamentalista. L’insorgenza jihadista e la conseguente instabilità mettono infatti a rischio l’applicazione dell’Accordo di libero scambio continentale africano (Afcfta) che punta ad aprire un mercato di 1,3 miliardi di persone – per un valore di 3400 miliardi – alle imprese statunitensi.
Offrendo il proprio sostegno alla sicurezza e alla stabilità, Washington cerca di competere su uno dei terreni sui quali si basa l’incremento dell’influenza di Mosca, che utilizza il dispiegamento dei mercenari della compagnia militare privata Wagnerper appoggiare i governi presi di mira da ribellioni armate, spesso di carattere jihadista.

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L’attivismo Usa per contrastare Cina e Russia
Kamala Harris è stata il quinto rappresentante dell’amministrazione Biden a visitare il continente a partire dal viaggio dell’agosto scorso del segretario di Stato, Antony Blinken, in Sudafrica, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda. A gennaio è stata la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, a visitare Senegal, Zambia e di nuovo il Sudafrica. Poi è toccato alla rappresentante permanente Usa alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, e ancora all’assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, Molly Phee. Anche la first lady Jill Biden si è recata in Namibia e in Kenya e lo stesso presidente dovrebbe visitare l’Africa entro la fine dell’anno, così come faranno il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, e la segretaria al commercio, Gina Raimondo.

Il forte attivismo della Casa Bianca evidenzia che, dopo il forte arretramento dell’egemonia francese sotto i colpi della penetrazione russa soprattutto nel Sahel, Washington aspira a giocare un ruolo di primo piano nel continente, principalmente per contrastare l’espansione dell’influenza di Pechino ma anche di altri paesi come ad esempio la Turchia e le petromonarchie.

Gli Stati Uniti sono però molto indietro rispetto alla Cina che, ormai dal 2000, organizza ogni tre anni un vertice con i paesi africani. Nel 2021 (dati dell’Eurasia Group) il volume degli scambi commerciali tra il continente africano e la Cina aveva raggiunto i 254 miliardi di dollari, mentre gli scambi Usa-Africa erano fermi a un quarto, circa 64 miliardi.
La strategia di Washington si basa sul rafforzamento dei partenariati pubblico-privati come strumento per rendere le relazioni con gli Stati Uniti più appetibili per i paesi africani corteggiati dalle potenze concorrenti all’interno di un clima di competizione globale sempre più accesa.

Cercando di recuperare uno svantaggio di almeno trent’anni con Pechino, Washington tenta di mobilitare le proprie imprese private affinché investano in Africa. Biden ha ripreso il piano lanciato dal Segretario di Stato di Donald Trump, Mike Pompeo, e dall’allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton nel 2019. Il progetto “Prosper Africa” si fonda sul coinvolgimento del settore privato statunitense come elemento trainante del rilancio delle relazioni economiche con l’Africa. Di fatto l’amministrazione statale si assume il compito di promuovere e facilitare gli investimenti privati statunitensi nel continente sapendo bene che questi potranno generare un aumento dell’influenza politica e militare di Washington.

In questa fase gli Stati Uniti approfittano anche del fatto che l’entità dei prestiti cinesi ai paesi africani sta diminuendo e che molti governi del continente cominciano a soffrire l’indebitamento contratto con Pechino in cambio della realizzazione di grandi infrastrutture. Se è vero che i prestiti concessi dal governo e dalle banche cinesi sono a breve termine più vantaggiosi rispetto a quelli dei governi occidentali e del Fondo Monetario Internazionale, è altrettanto vero che a lungo termine l’enorme entità del debitocontratto imbriglia comunque le economie del continente. Nel 2020, ad esempio, lo Zambia – pesantemente indebitato soprattutto con Pechino – ha dovuto dichiarare default nell’impossibilità di pagare gli interessi ai paesi creditori ed ora sta negoziando una ristrutturazione del debito.

Inoltre la Casa Bianca intende sfruttare il malcontento generato dalla crisi alimentare scatenata in molti paesi del sud del mondo dall’invasione russa dell’Ucraina. Sono molti i governi africani, anche di alcuni di quelli nell’orbita russa e cinese, che temono il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e l’esplosione di ribellioni a causa dell’aumento dei prezzi e della penuria di alimenti. Non a caso, a pochi mesi dall’inizio dell’aggressione militare a Kiev, il Cremlino ha cercato di tamponare la crisi consentendo l’esportazione del grano ucraino.

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Il vertice Usa-Africa
All’interno della strategia di rilancio del proprio ruolo in Africa, a dicembre l’amministrazione Biden ha ospitato a Washington un secondo vertice con i paesi africani, dopo quello organizzato nel 2014 dal presidente Obama. Nel corso dell’evento, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di una cinquantina di paesi africani tra presidenti, premier e ministri, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato lo stanziamento di 15 miliardi di dollari (che diventeranno 55 nei prossimi tre anni) per finanziare accordi commerciali e investimenti. L’obiettivo ufficiale degli Stati Uniti è sviluppare le relazioni economiche, espandere i flussi commerciali e promuovere una “crescita economica sostenibile e inclusiva”.

Inoltre Biden ha ribadito il sostegno di Washington alla richiesta dell’Unione Africana di essere ammessa come membro permanente del G20, dove finora il continente è rappresentato solo dalla Repubblica Sudafricana. La Casa Bianca corteggia i 55 paesi africani all’insegna dello slogan «abbiamo bisogno di un maggior numero di voci africane nelle istituzioni internazionali».

Washington è in ritardo di 30 anni
Significativo che quasi in contemporanea con il viaggio di Janet Yellen in tre paesi africani anche il nuovo ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, abbia realizzato un lungo tour che ha toccato Etiopia, Gabon, Angola, Benin ed Egitto. D’altronde ormai da 33 anni il primo viaggio all’estero del capo della diplomazia cinese viene realizzato ogni anno sempre nel continente africano, a dimostrazione della centralità accordatagli da Pechino.

Per quanto le offerte statunitensi di investimenti e aiuti abbiano suscitato un notevole interesse in Africa – i cui governi ormai si lasciano corteggiare dai vari offerenti per poi scegliere l’opzione ritenuta più conveniente – la strada per il rilancio di Washington nel continente appare comunque ardua. Per quanto abbia rafforzato le relazioni con il Marocco– sulla strada dell’integrazione nell’Alleanza Atlantica – e con l’Uganda, Washington non può più contare su molti amici nel continente. La Russiain questi anni è diventata il primo esportatore di armi dell’area mentre anche la Turchiatesse la sua tela a base di soft power.

Per comprendere quanto sia calata la presa di Washington sul continente, basti ricordare che ad aprile dello scorso anno, quando all’Assemblea Generale dell’ONU gli Stati Uniti hanno presentato una risoluzione per l’espulsione di Mosca dal Consiglio dei Diritti Umani, i rappresentanti di 34 paesi africani su 54 hanno votato contro, si sono astenuti o non hanno partecipato al voto. Per non parlare del gran numero di governi che hanno respinto le sanzioni politiche ed economicheimposte a Mosca dagli Usa, dall’UE e da altri paesi. – Pagine Esteri

6415869* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza e il Libano del Sud


Pesante attacco aereo israeliano sulla Striscia di Gaza. Le sirene di allarme suonano nelle zone a sud di Israele L'articolo Israele bombarda la Striscia di Gaza e il Libano del Sud proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/07/mediorien

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. L’aviazione israeliana ha colpito varie zone della Striscia e le sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha avvertito dopo la riunione del gabinetto di sicurezza che “la risposta di Israele, stasera e dopo, esigerà un prezzo significativo dai nostri nemici”.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

Ezzedin Qassam, l’ala militare di Hamas spara missili antiaerei terra-aria verso l’aviazione israeliana. In un comunicato stampa le forze armate israeliane, hanno dichiarato di aver colpito due tunnel e due fabbriche di armi appartenenti al movimento islamico Hamas. Non si hanno conferme a Gaza. Da parte sua Hamas dichiara di aver esploso 9 missili in risposta ai bombardamenti.

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L’operazione militare chiamata “La mano forte” è stata lanciata ufficialmente dal ministro Benjamin Netanyahu in seguito all’esplosione di decine di missili provenienti dal sud del Libano, in risposta, a quanto pare, ai raid israeliani nella Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme. Negli ultimi 2 giorni immagini di aggressioni e di processioni di detenuti hanno fatto il giro dei social dopo che la polizia israeliana è entrata con la forza, per due notti di seguito, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, dove decine di fedeli palestinesi si radunano per celebrare il Ramadan.

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In seguito all’incursione sono stati arrestati 400 palestinesi, lasciati sfilare in processione per le strade di Gerusalemme. Nel primo pomeriggio di oggi circa 30 razzi sono stati esplosi dal sud del Libano. Quasi tutti sono stati intercettati ma un paio pare siano caduti, provocando un ferito. Israele ha risposto con bombardamenti nel territorio libanese. Alle 23.30 circa, ora italiana, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato e colpito la Striscia di Gaza, da nord a sud, provocando ingenti danni. Pagine Esteri

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GAZA. Israele bombarda la Striscia


Pesante attacco aereo israeliano sulla Striscia di Gaza. Le sirene di allarme suonano nelle zone a sud di Israele L'articolo GAZA. Israele bombarda la Striscia proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/07/medioriente/gaza-israele-bombar

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – L’aviazione israeliana bombarda la Striscia Di Gaza. Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. Si sa solo che l’aviazione israeliana ha colpito in varie zone della Striscia e che sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

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Il James Webb ha ripreso gli anelli di Urano con straordinario dettaglio | Passione Astronomia

"Il settimo pianeta del Sistema Solare, Urano è unico: ruota su un fianco, con un angolo di quasi 90° rispetto al piano della sua orbita. Ciò causa stagioni estreme poiché i poli del pianeta sperimentano molti anni di luce solare costante seguiti da un numero uguale di anni di completa oscurità – Urano impiega 84 anni per orbitare attorno al Sole."

passioneastronomia.it/il-james…



Con il decreto legge approvato in Consiglio dei Ministri, il Ministero ha avviato oggi un piano di assunzioni a tempo indeterminato di docenti, per l’anno scolastico 2023/2024, in attesa dello svolgimento dei concorsi previsti dal #PNRR.
#pnrr


Raul Mordenti Occorre smentire la menzogna che si aggiunge alla vergogna delle dichiarazioni di La Russa. I giornali e le Tv di regime rilanciano con tutt


Europa sempre più dipendente dagli USA, la svolta che serve


In Italia tendiamo a occuparci delle prossime elezioni europee 2024 con fumose analisi intorno all’ipotesi se Giorgia Meloni riuscirà con il gruppo dei conservatori a stringere un’alleanza in Ue che ribalti l’intesa tra popolari e socialisti, lasciando Sa

In Italia tendiamo a occuparci delle prossime elezioni europee 2024 con fumose analisi intorno all’ipotesi se Giorgia Meloni riuscirà con il gruppo dei conservatori a stringere un’alleanza in Ue che ribalti l’intesa tra popolari e socialisti, lasciando Salvini isolato. E delle prossime presidenziali Usa facendo colore sul processo a Trump, come sua ideale vittimizzazione per tornare alla Casa Bianca. In realtà dovremmo guardare a tutt’altro. Viviamo nell’impressione che l’Europa, prima nella risposta al Covid con strumenti cooperativi come il Next Generation Eu e il Sure e il nuovo Mes, poi nella risposta comune all’invasione russa dell’Ucraina, abbia fortemente ripreso in mano le redini di un ruolo protagonista, rispetto alla tradizionale dipendenza strutturale dagli Usa condita in salsa “rispetto per Putin”. Quando nel 2019 nacque la Commissione Von der Leyen, il suo primo discorso sembrò a tutti una risposta fiera agli anni di Trump, che flirtava con Putin e malsopportava gli alleati europei della Nato. Ma poi è andata davvero così, oppure no? I numeri dicono l’esatto opposto.

Possiamo scrivere paginate intere sulla visita di Macron e della presidente della Commissione Ue in Cina. Ma oggi siamo molto più dipendenti dagli Usa di quanto lo fossimo 15 anni fa. Nel 2008 l’economia Ue valeva 16,2 trilioni di dollari, quella degli Usa 14,7 trilioni. Nel 2022 l’economia Usa è salita a oltre 25 trilioni di dollari, quella europea neanche sommando il Regno Unito arrivava a 20 trilioni. E se si toglie il Regno Unito l’economia americana vale oltre metà più di quella Ue. Continuano ad avvenire in dollari circa l’88 per cento degli scambi commerciali mondiali. Il dollaro continua a denominare oltre il 60 per cento delle riserve ufficiali scambiabili mondiali, l’euro è fermo al 21 per cento, mentre sala la quota del renmimbi cinese. Al dominio tecnologico delle grandi piattaforme hitech Usa – Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft – la Ue risponde con multe e misure antitrust, non con capacità di propri campioni europei (come ha fatto la Cina). Il bilancio militare Usa dal 2008 al 2022 è salito da 665 miliardi a oltre un trilione di dollari (ai più di 800 miliardi del Pentagono vanno aggiunti molti programmi tecnologici pubblico-privati).

La spesa militare dei paesi Ue intanto saliva solo da 303 a 325 miliardi di dollari. L’investimento Usa in alte tecnologie per la difesa resta oltre sette volte maggiore della somma a tal fine prevista da tutti i programmi nazionali separati dei membri Ue. Nel 2017 l’Ue aveva annunciato l’obiettivo di adottare programmi congiunti di sviluppo e acquisto di sistemi di difesa pari al 35 per cento della spesa a tal fine dei diversi membri: con tutti gli sforzi compiuti nel sistema congiunto Occar, siamo fermi a meno del 18 per cento. La politica estera e di difesa europea resta un capitolo tutto da costruire: ogni governo difende le sue vocazioni e interessi nazionali.

L’atteggiamento cautissimo con Putin subito dopo l’invasione tenuto da Parigi e Berlino ha fatto cadere ai minimi ogni credibilità del tradizionale traino franco-tedesco agli occhi di tutti i paesi esteuropei membri dell’Ue e della Nato. Ad aprile 2022 il premier polacco Morawiecki fulminò Macron chiedendogli: “Crede di trattare con Putin che invade l’Ucraina? Noi abbiamo imparato che non si tratta con Hitler e Stalin che ci invasero”. Non sono poche decine di carri Leopard all’Ucraina a mutare questo bilancio. Se si paragona alla politica europea la visione complessiva mondiale contenuta nella Us National Security Strategy rilasciata nell’ottobre 2022, in cui si concilia la necessità di sostenere assolutamente l’Ucraina senza perdere di vista il fatto che la Cina appare come l’unico vero grande soggetto internazionale che ha volontà e strumenti economici e militari per tentare di costruire un intero sistema internazionale alternativo a quello basato su libertà e mercato, l’Europa fa la figura di un velleitario émigrée dell’Ancien Régime.

Di fronte a questa prospettiva, con tutto il rispetto per chi giudica le vicende mondiali dal cortiletto delle guerre per bande italiote, la scelta alle prossime elezioni europee è tra chi vuole davvero un’Europa la cui economia e politica di difesa siano meno vassalle delle virate americane e meno soggette ai raid di Putin, e chi invece si culla in nazionalismi e glorie del passato che ci fanno impoverire, indebolire e inginocchiare. (Su questi temi, consiglio un bel saggio di Jana Puglierin e Jeremy Shapiro, sul sito dell’European Council of Foregin Relations).

Il Foglio

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Anche l’Italia dice no ai test antisatellite. Mentre Russia e Cina…


“L’Italia si impegna a non condurre test distruttivi di missili antisatellite ad ascesa diretta”. Questa la dichiarazione inequivocabile del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, r

“L’Italia si impegna a non condurre test distruttivi di missili antisatellite ad ascesa diretta”. Questa la dichiarazione inequivocabile del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, resa nota da una nota della Farnesina. La decisione fa seguito all’adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, co-sponsorizzata dall’Italia, della risoluzione 77/41 dello scorso dicembre. Il documento infatti chiede agli Stati membri dell’Onu di impegnarsi a non condurre test distruttivi di missili anti-satellite ad ascesa diretta. Così il governo italiano prosegue nella direzione di rendere più sicuro e sostenibile lo spazio extra-atmosferico.

La postura italiana sugli Asat

“L’Italia continuerà a lavorare attivamente e costruttivamente per aumentare la sicurezza e la sostenibilità dello spazio extra-atmosferico, un bene collettivo importantissimo per gli interessi vitali di tutte le nazioni”, ha proseguito il ministro Tajani. E anche in questo settore non mancano le partnership e le intese con altri Paesi: “Siamo al fianco dei nostri principali partner atlantici e occidentali per sostenere e rafforzare un ordine internazionale per lo spazio basato su regole e libero da conflitti”. Ricordiamo infatti che i test antisatellite (Asat), utilizzati per distruggere satelliti potenzialmente in fine vita, rappresentano un rischio sia per la sostenibilità delle orbite, a causa delle grandi quantità di detriti spaziali che si formano (ad esempio in caso di attacchi cinetici), sia per la pericolosità delle orbite dove aumentano le probabilità di avere impatti diffusi e irreversibili sull’ambiente spaziale.

Posizione condivisa da Francia e Usa…

Così l’Italia si unisce a quei Paesi che hanno già detto no ai test Asat. Tra questi spiccano Stati Uniti e Francia. Proprio a dicembre scorso la Francia si è aggiunta alla decisione degli Stati Uniti – annunciata da Kamala Harris ad aprile 2022 – di rispettare l’impegno di non condurre test missilistici antisatellitari. In un comunicato rilasciato all’epoca dai ministeri di Esteri e Difesa, la decisione francese veniva motivata come passo verso un “ambiente spaziale sicuro e stabile”, dal momento che tali test “hanno causato una grande quantità di detriti, che possono portare a gravi conseguenze per la sicurezza spaziale, in particolare compromettendo l’integrità dei satelliti in orbita”.

… ma non da Cina e Russia

Postura diversa invece quella di Cina e Russia, che ancora non hanno fatto dichiarazioni simili, ma anzi continuano a sviluppare armi e sistemi antisatellite, contribuendo alla militarizzazione delle orbite. La Cina ha lanciato nel 2007 il suo primo test Asat a 800 chilometri di altitudine contro il proprio satellite Fengyun-1C, creando più di 3mila detriti (il test più distruttivo di sempre), molti dei quali ancora fluttuano in orbita. Era al tempo il primo Paese, dopo Usa e Russia, a essersi dotato di queste tipologie di armi (oggi a completare il quartetto si è aggiunta anche l’India). Ad oggi, la Cina è il secondo Paese per satelliti operativi in orbita, dopo gli Usa, e sta continuando a lavorare a diverse tecnologie anti-satellite, tra cui laser e disturbatori di comunicazione.

Anche la Russia, dal canto suo, prosegue nello sviluppo di diverse armi antisatellite, di ogni tipo: da quelle cinetiche alle non cinetiche, da quelle elettroniche fino alle armi cyber. Così Mosca sta rilanciando l’eredità sovietica, concentrandosi su tecniche di “Active space defence”, come dimostrano gli oltre dieci test condotti dal sistema Asat Nudol dal 2014. Senza dimenticare quando, a novembre 2021, la Russia ha svolto un test con missile anti-satellite ad ascesa diretta colpendo il satellite Cosmos 1408 non più in uso e creando oltre 1500 pezzi di detriti orbitali.


formiche.net/2023/04/italia-te…



Prosegue la riconciliazione tra Iran e Arabia saudita


I due paesi ripristineranno i voli tra Teheran e Riyadh, faciliteranno il rilascio dei visti e riapriranno ambasciate e consolati. L'articolo Prosegue la riconciliazione tra Iran e Arabia saudita proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/0

della redazione

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 (foto IRNA) – A un mese dall’annuncio giunto da Pechino che Iran e Arabia saudita, mettendo da parte anni di ostilità e di guerre per procura, avrebbero nel giro di qualche mese normalizzato le loro relazioni, oggi sempre nella capitale cinese, con una dichiarazione congiunta, il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, Faisal bin Farhan, e l’omologo iraniano, Hossein Amirabdollahian, hanno annunciato che i due paesi ripristineranno i voli tra Teheran e Riyadh, faciliteranno il rilascio dei visti, inclusi quelli per i pellegrini musulmani, e riapriranno ambasciate e consolati nella città saudita di Gedda e in quella iraniana di Mashhad, oltre a riprendere le visite delle delegazioni del settore privato.

I due paesi inoltre pongono enfasi sulla “stabilità, la sicurezza sostenibile e lo sviluppo della regione” e, per questo, riattiveranno l’accordo di cooperazione in materia di sicurezza firmato nel 2001 e l’accordo generale di cooperazione siglato nel 1998.

La riconciliazione tra Iran e Arabia saudita è vista con sospetto da Stati Uniti e Israele fautori di una politica di isolamento di Teheran. Pagine Esteri

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L’11 aprile si celebra la #GiornatadelMare. Voi come vi state preparando?
🌊 Noi saremo a...

L’11 aprile si celebra la #GiornatadelMare. Voi come vi state preparando?
🌊 Noi saremo a Genova, il 14 aprile, per festeggiare questo evento con 700 studenti e la Guardia Costiera.



di Leonardo Boff* – Transform! Europe - La situazione è peggiorata quando la NATO, su pressione degli Stati Uniti, ha esteso la sua offensiva dall’Atlan


Motori silenziosi (italiani) per i sottomarini Usa


I nuovi sottomarini strategici degli Stati Uniti avranno a bordo componenti per il sistema di propulsione Made in Leonardo. È quanto previsto dal contratto dal valore di circa un miliardo di dollari assegnato dalla Us Navy alla sussidiaria americana del g

I nuovi sottomarini strategici degli Stati Uniti avranno a bordo componenti per il sistema di propulsione Made in Leonardo. È quanto previsto dal contratto dal valore di circa un miliardo di dollari assegnato dalla Us Navy alla sussidiaria americana del gruppo di Piazza Monte Grappa, Leonardo DRS. Le componenti andranno a sostenere i sistemi integrati di propulsione elettrica dei sottomarini classe Columbia, di cui la marina militare a stelle e strisce sta pianificando di acquisire i primi quatto entro il 2028. Il programma per i nuovi battelli è di massima priorità per il Pentagono e la Marina Usa, il cui obiettivo è sostituire la flotta di sottomarini balistici classe Ohio, i cui battelli saranno dismessi, uno all’anno, a partire dal 2027. La classe Columbia assumerà il ruolo di componente sottomarina nella triade nucleare strategica degli Stati Uniti.

Le componenti di Leonardo DRS

“Siamo orgogliosi di collaborare con General Dynamics Electric Boat e con la Marina degli Stati Uniti per fornire componenti all’avanguardia che sono il cuore di questa piattaforma critica della Marina”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Leonardo DRS, Bill Lynn, confermando la dedizione dell’azienda nei confronti delle Forze armate nello “sviluppo di sistemi innovativi per le piattaforme di prossima generazione, fondamentali per la sicurezza nazionale, come il sottomarino balistico classe Columbia”. I componenti saranno prodotti negli stabilimenti della società di Fitchburg in Massachusetts, di Menominee Falls in Wisconsin, e di Danbury in Connecticut. Altri componenti saranno invece realizzati nello stabilimento DRS di High Ridge, nel Missouri.

La classe Columbia

I sottomarini Columbia funzioneranno con una propulsione elettrica, cioè utilizzeranno un motore elettrico per far girare le proprie eliche invece dei classici sistemi di propulsione meccanici utilizzati nei precedenti sottomarini, elemento che garantirà una minore firma acustica, rendendo i mezzi più silenziosi e meno individuabili. Una caratteristica essenziale per i sottomarini. Come tutti i sottomarini della Marina degli Stati Uniti, l’energia continuerà ad essere fornita da un reattore nucleare, classificando i nuovi battelli come sottomarini nucleari. Il reattore, infatti, servirà per scaldare l’acqua trasformandola in vapore, e le turbine trasformeranno il calore di questo vapore in energia meccanica, che sarà a sua volta convertita in energia elettrica da utilizzare per far girare le pale per la propulsione e tutti gli altri sistemi di bordo.

La crescita del gruppo negli Usa

L’annuncio arriva dal salone Navy League Sea Air & Space 2023, al quale partecipa anche Leonardo, nel corso del quale l’azienda italiana ha potuto presentare le proprie soluzioni e tecnologie all’avanguardia al mercato statunitense. Come dichiarato da Thomas Smitham, responsabile dell’Unità Organizzativa US Business Development, “Leonardo ha tutte le carte in regola per crescere ulteriormente negli Stati Uniti”, dove conta già settemila dipendenti e collabora con tutte le Forze armate Usa. “Vogliamo continuare a crescere in modo significativo qui, in un mercato per noi domestico, proseguendo nello sviluppo della nostra presenza”, a continuato Smitham.

Le altre piattaforme

Nel corso del salone, il gruppo ha mostrato anche le altre tecnologie e piattaforme su cui collabora con le Forze armate Usa, a partire dai TH-73A Thrasher, di cui è prime contractor, che sarà utilizzato per addestrare la prossima generazione dei piloti di elicotteri di tutte le forze navali di Washington, Us Navy, Corpo dei Marines e Guardia costiera. Per quest’ultima, tra l’altro, Leonardo fornisce quattordici velivoli HC-27J per la sorveglianza marittima, con il gruppo che ha anche recentemente ricevuto un contratto dallo Us Special operations command per progettare una versione modificata del C-27J operati dalla forze speciali della Guardia costiera.

L’addestratore M-346

Leonardo ha poi proposto alla Us Navy anche il suo addestratore M-346, l’addestratore per i piloti destinati alla linea caccia basato sul sistema Live, virtual constructive (Lvc), che consente agli allievi di interagire, attraverso il simulatore, con i piloti in volo nell’ambito della stessa missione addestrativa in un ambiente di simulazione integrato dove reale e virtuale si fondono in un unico scenario operativo. I mezzi, attualmente impiegati da diverse nazioni e, in Italia, nella International flight training school di Decimomannu, potrebbero fornire una soluzione alla Marina a stelle e strisce per i suoi programmi di Undergraduate jet training system e Tactical surrogate aircraft.


formiche.net/2023/04/motori-si…



BREAKING NEWS. Lancio di razzi dal sud del Libano verso Israele


Israele bombarda il sud del Libano dopo essere stato colpito da razzi. L'attacco dal Libano potrebbe essere una risposta ai raid della polizia israeliana, nelle notti del 4 e 5 aprile, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, durante i quali sono stati fe

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Israele bombarda il sud del Libano dopo che alcuni razzi sono stati lanciati dal territorio del Paese arabo verso lo Stato ebraico. L’attacco dal Libano sembra essere una risposta ai raid della polizia israeliana, nelle notti del 4 e del 5 aprile, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, durante il quale sono stati feriti centinaia di palestinesi e arrestati almeno 400.

Decine di razzi sono stati intercettati secondo fonti militari israeliane ma alcuni di essi sono caduti a Shlomi e vicino Nahariya, nel nord di Israele, facendo danni ma non vittime.

Al momento l’attacco non è stato rivendicato ma è avvenuto poche ore dopo che il gruppo di Hezbollah ha diramato un comunicato in cui avvisava ritorsioni per quello che è avvenuto sulla Spianata delle Moschee. Tuttavia, i vertici della sicurezza in Israele insistono nel dire che i responsabili dell’attacco sono i palestinesi presenti in Libano, probabilmente gruppi legati ad Hamas.

Diversi aeroporti israeliani hanno chiuso, compreso quello di Haifa.

Netanyahu ha convocato, per questa sera, il Gabinetto di Sicurezza per discutere della situazione.

SEGUONO AGGIORNAMENTI

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BREAKING NEWS. Lancio di razzi dal sud del Libano verso Israele


Decine di razzi hanno raggiunto il nord di Israele. Un'azione di risposta al raid israeliano della scorsa notte nella moschea di Al Aqsa L'articolo BREAKING NEWS. Lancio di razzi dal sud del Libano verso Israele proviene da Pagine Esteri. https://pagine

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Lanci di razzi verso Israele dal sud del Libano, in risposta al raid israeliano, nella notte tra il 4 e il 5 aprile, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, durante il quale sono stati feriti decine di palestinesi e arrestati 400.

Decine di razzi sono stati intercettati ma qualcuno dovrebbe essere giunto a destinazione, nel nord di Israele.

Al momento l’attacco non è stato rivendicato ma è avvenuto poche ore dopo che il gruppo di Hezbollah ha diramato un comunicato in cui avvisava ritorsioni per quello che è avvenuto sulla Spianata delle Moschee. Tuttavia, i responsabili della sicurezza in Israele insistono nel dire che i responsabili dell’attacco sono i palestinesi presenti in Libano.

Diversi aeroporti israeliani hanno chiuso, compreso quello di Haifa.

SEGUONO AGGIORNAMENTI

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Il Ministro Giuseppe Valditara e il Procuratore generale della Corte dei conti Angelo Canale hanno sottoscritto ieri un Protocollo d’intesa per favorire la diffusione dei temi legati a un corretto utilizzo delle risorse pubbliche nelle scuole di tutt…


Il potere dell'intelligenza artificiale: il dibattito è solo all'inizio


di Enrico Nardelli

In questi ultimi giorni sta infuriando il dibattito sull’uso di ChatGPT, anche in seguito alla notizia del suo blocco da parte del Garante per la Protezione dei Dati Personali, che ha suscitato reazioni che vanno dal plauso di chi lo ritiene una misura appropriata al rigetto di chi la reputa liberticida e autoritaria. Ritengo quindi che sia prima di tutto necessario far capire, anche a chi non sa niente di tutto quello che “sta sotto il cofano” delle tecnologie digitali, quali sono i termini della questione.

A questo scopo propongo un esperimento mentale partendo da un paragone apparentemente distante ma che, a mio avviso, illustra bene l’essenza della situazione. Immaginate dunque che arrivi qualcuno con un macchinario della grandezza di una caldaia a gas per un appartamento e vi dica: «Ecco un mini-reattore nucleare per uso domestico, la sua carica iniziale di materiale fissile è in grado di darvi acqua calda per riscaldamento e tutte le necessità della casa per i prossimi 10 anni, e costa solo poche migliaia di euro!»

Certamente con questa soluzione potremmo risolvere molti problemi e vivere tutti meglio. Potrebbe però succedere che ogni tanto tale oggetto si surriscaldi e dia luogo ad una mini esplosione nucleare…

Non è una prospettiva molto allettante, vero? Pur senza distruggere la società nel suo complesso e con danni molto limitati, sembrerebbe ovvio a tutti che il gioco non vale la candela. Altrettanto ovvio è che non ne consentiremmo comunque la libera commercializzazione, anche qualora le società produttrici insistessero sulla possibilità di trovare a breve delle soluzioni in grado di impedire del tutto le esplosioni. Né osservare che si tratta di una tecnologia strategica per il nostro Paese, che verrebbe sviluppata da altri se non lo facessimo noi, sarebbe un motivo valido per dare il via libera al suo uso incontrollato.

Ecco, con i sistemi generativi dell’Intelligenza Artificiale (IA), di cui ChatGPT è l’esempio più famoso, siamo in una situazione di questo genere, con la differenza che l’enorme potere che il nucleare dispiega nel mondo fisico l’IA lo rilascia in quello che nel mio recente libro “La rivoluzione informatica. Conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale” ho chiamato “cognitivo”, intendendo con questo termine quello in cui si esplicano le capacità puramente logico-razionali di concatenare e dedurre fatti. Ho descritto sommariamente in un precedente articolo cosa sono queste “macchine cognitive”, discutendone i pericoli in relazione al processo educativo dei più piccoli.

Immagine/foto

A rendere ancora più deleteria la possibile evoluzione di questo scenario c’è il fatto che mentre i mini-reattori dovrebbero essere costruiti, spediti e messi in opera uno per uno con dei tempi difficilmente comprimibili, questi sistemi (detti anche “chat-bot”) possono essere replicati a volontà senza sforzo alcuno e resi disponibili dovunque in batter d’occhio.

Tutti i media hanno quindi dato grande risalto ad un appello, lanciato il 29 marzo da nomi molto importante nell’area dell’IA, sia scienziati come Yoshua Bengio e Stuart Russell che imprenditori come Elon Musk e Steve Wozniak, per bloccare per 6 mesi lo sviluppo delle nuove generazioni della tecnologia dei chatbot.

Il problema è reale e posso capire perché in molti hanno aderito sottoscrivendo la lettera aperta.

Analisi più accurate di scienziati altrettanto rilevanti hanno però evidenziato il rischio che tale appello contribuisca in realtà ad alimentare la frenesia che in questi mesi ha raggiunto livelli elevatissimi, distogliendo l’attenzione dai problemi reali. Come ha osservato – tra gli altri – Emily Bender, la ricercatrice che nel 2020 ha pubblicato, insieme a Timnit Gebru (scienziata che fu poi licenziata da Google proprio per questo motivo), il primo articolo che allertava sui potenziali effetti negativi di questa tecnologia, la lettera indica alcuni falsi problemi (p.es.: che sia ormai imminente la realizzazione di una “mente digitale” o che sia ormai possibile realizzare un sistema dotato di “intelligenza artificiale generale”) trascurando molti di quelli veri, che sono l’assoluta mancanza di trasparenza su come questi sistemi sono stati messi a punto e funzionano, su quali prove di sicurezza siano state condotte, su come la loro accessibilità a tutti stia già diffondendo disinformazione anche molto nociva (nel mio precedente articolo ho portato qualche esempio), su come il loro sviluppo impatti in modo significativo sul consumo di risorse naturali.

Ripeto ciò che ho detto in altre occasioni: non ritengo abbia senso bloccare ricerca e sviluppo in questo settore ma, come l’esperimento mentale illustrato in apertura spero abbia mostrato, va trovata una qualche forma di regolamentazione che bilanci l’irrinunciabile principio di precauzione con l’importanza di usare l’innovazione per migliorare la società.

Per questo ritengo che l’altolà emesso dal Garante per la Protezione dei Dati Personali sia opportuno, ancorché non risolutivo. La strada da seguire è quella che negli USA ha indicato il Center for AI and Digital Policy (= Centro per l’Intelligenza Artificiale e la Politica del Digitale) sporgendo un reclamo alla Federal Trade Commission (= Commissione Federale per il Commercio, l’agenzia indipendente del governo sta-tunitense dedicata alla protezione dei consumatori e alla sorveglianza sulla concorrenza) e invitandola ad intervenire dal momento che i chatbot attuano comportamenti ingannevoli verso i consumatori e pericolosi dal punto di vista della correttezza delle informazioni e della sicurezza degli utenti.

Analoga richiesta è stata formulata dall’Organizzazione dei Consumatori Europei, che ha chiesto alle autorità nazionali ed europee di aprire un’inchiesta su questi sistemi.

Meglio focalizzata sulle reali questioni in gioco è invece la lettera aperta pubblicata dalla Leuven University (università di Lovanio) in Belgio. Ricorda il rischio di manipolazione cui possono andare incontro le persone nell’interagire con i chatbot, dal momento che alcune costruiscono un legame con quello che percepiscono come un altro essere umano, legame che può dar luogo a situazioni dannose.

Infatti la principale minaccia che i chatbot pongono agli esseri umani è che essi esibiscono una competenza simile a quella degli esseri umani sul livello sintattico ma sono lontani anni luce dalla nostra competenza semantica. Non hanno alcuna reale comprensione del significato di ciò che stanno facendo, ma purtroppo (e questo è un problema di grande rilevanza sul piano sociale) poiché ciò che fanno lo esprimono in una forma che per noi ha significato, proiettiamo su di essa il significato che è in noi.

In estrema sintesi, queste sono le proposte di questo secondo appello: campagne di sensibilizzazione verso il pubblico, investire nella ricerca sull’impatto dell’IA sui diritti fondamentali, creare un ampio dibattito pubblico sul ruolo da dare all’IA nella società, definire un quadro di riferimento legale con forti garanzie per gli utenti, prendere nel frattempo tutte le misure necessarie per proteggere i cittadini in base alla legislazione esistente.

Ci troviamo in questo momento storico di fronte a sistemi estremamente potenti, sistemi che però, come ha recentemente ricordato Evgeny Morozov nel suo articolo su The Guardian non sono intelligenti nel senso che noi esseri umani diamo a questo termine, né sono artificiali dal momento che – come ha dimostrato ad abundantiam, tra gli altri, Antonio Casilli nel suo libro "Schiavi del clic" – sono basati su un'enorme quantità di lavoro umano, sommerso e malpagato, svolto nei Paesi del Terzo Mondo, oltre che dal nostro contributo (in)volontario costituito da tutte le “tracce digitali” che forniamo senza sosta durante la nostra attività sulla rete.

I potenziali vantaggi sono enormi, ma anche i rischi. Il futuro è nelle nostre mani: dobbiamo capire insieme, democraticamente, che forma vogliamo che abbia.
--
Versione originale pubblicata su "StartMAG" il 3 aprile 2023.


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Sono passati 14 anni dal terremoto che ha colpito L’Aquila. Il 6 aprile 2009 è una data che rimarrà impressa nella memoria di tutti. Oggi il nostro pensiero va alle vittime, ai famigliari e a tutte le persone colpite da questa tragedia.


Vorompatra di Marco Sommariva


Reduce da un corposo tomo che narra di distopia – Ombre dal futuro per le Edizioni Malamente –, per alleggerire un po’ il nostro spirito Marco Sommariva (scrittore genovese, classe 1963) torna in libreria per i tipi di Evoé col romanzo Vorompatra, a vent’anni dalla prima pubblicazione di questo romanzo con Sicilia Punto L. La copertina è opera del fumettista Otto Gabos, la prefazione di Piergiorgio Pulixi. @L’angolo del lettore

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Il Kenya resta in bilico, non decolla il negoziato Ruto-Odinga


Il presidente esclude che i colloqui possano affrontare anche il costo della vita come chiede il leader dell'opposizione L'articolo Il Kenya resta in bilico, non decolla il negoziato Ruto-Odinga proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04

della redazione

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Si complicano i colloqui bipartisan inaugurati domenica scorsa dal presidente William Ruto per mettere fine alle forti tensioni politiche che attraversano il paese e che hanno provocato scontri con morti e feriti. Il leader dell’opposizione, Raila Odinga, che denuncia tentativi di manomissione dei server elettorali, pone con forza l’accento sul costo della vita. Per questo chiede un negoziato anche fuori dal parlamento in modo da arrivare ad un accordo simile a quello del 2008, mediato dall’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan. “Torneremo dalla nostra gente al primo segno di mancanza di serietà dall’altra parte”, avverte Odinga, minacciando indirettamente di indire nuove manifestazioni contro il risultato delle elezioni dello scorso anno, vinte da Ruto. Nelle proteste delle scorse settimane sono morte almeno tre persone e 85 sono rimaste ferite.

Per l’Alleanza democratica unita (Uda), il partito al governo, Odinga fa richieste “irragionevoli” per tenere in ostaggio i colloqui. Il presidente Ruto ribadisce che i colloqui avverranno solo in parlamento ed esclusivamente sulla riforma della commissione elettorale, senza toccare il problema del costo della vita.

Gli osservatori non credono al buon esito del dialogo tra Ruto e Odinga. Pagine Esteri

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Il patron di Foxconn vuole diventare il presidente di Taiwan


Il patron di Foxconn vuole diventare il presidente di Taiwan 6394957
Terry Gou, proprietario del colosso dell'elettronica e primo fornitore di iPhone per Apple, ha annunciato l'intenzione di candidarsi alle presidenziali taiwanesi del 2024 con il Guomindang. Ha enormi interessi in Cina ed è vicino a Donald Trump, ma non è detto che sarà lui il prescelto

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In Cina e in Asia – A Pechino Macron promuove la pace in Ucraina e il business con le aziende cinesi


In Cina e in Asia – A Pechino Macron promuove la pace in Ucraina e il business con le aziende cinesi ue
I titoli di oggi: A Pechino Macron promuove la pace in Ucraina e il business con le aziende cinesi Pechino pensa a uno stop dell’export di terre rare Il Messico implora: “Stop al fentanyl dalla Cina” Tokyo fornirà armamenti all’esercito di paesi alleati Ieri è stata la giornata dell’arrivo in Cina del presidente francese Emmanuel Macron che si è trascinato ...

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PRIVACY DAILY 87/2023


Tesla avvertirà che la sua “modalità sentinella”, che registra l’ambiente circostante l’auto, rischia di violare le leggi sulla privacy in Germania. L’annuncio segue la citazione in giudizio del produttore di auto da parte del gruppo di consumatori vzbv per non averne fatto menzione nella pubblicità. Il caso è l’ultimo di una serie di controversie in... Continue reading →


La Thailandia deporterà i rifugiati cinesi


Il governo ha fatto sapere che intende mandare i rifugiati in uno “Stato terzo” L'articolo La Thailandia deporterà i rifugiati cinesi proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/06/mondo/la-thailandia-deportera-i-rifugiati-cinesi/ https:/

(AP Photo/Sakchai Lalit))

Pagine Esteri, 6 aprile 2023- Il governo tailandese ha confermato quello che in molti ormai immaginavano: saranno deportate in un altro Stato le 63 persone, comprese famiglie con bambini, che hanno da poco ottenuto lo status di rifugiato dalle Nazioni Unite.

Sono tutti membri della Shenzhen Holy Reformed Church, conosciuta anche come Mayflower Church, una chiesa cristiana cinese, e sono fuggiti dal proprio paese, dove hanno denunciato di aver subito soprusi. Arrivati in Corea del Sud nel 2019, sono rimasti lì fino allo scorso anno, quando sono ripartiti alla volta della Thailandia. La loro speranza è quella di raggiungere gli Stati Uniti e di vivere lì da rifugiati.

La Thailandia, tuttavia, non ha ratificato la Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati e ora che il loro permesso di soggiorno è scaduto, li ha arrestati. Caricati su un pullman, hanno creduto di essere trasportati direttamente all’aeroporto di Bangkok per essere rimpatriati e hanno così bloccato il mezzo.

Le famiglie sono state separate: madri e figli/e sono stati portati al centro di accoglienza di Bangkok, gli uomini in un centro detentivo nella stessa città. Il governo ha confermato che li deporterà la prossima settimana. Non è stata esclusa nessuna ipotesi ma le autorità hanno fatto sapere che intendono provare a mandarli in un “Paese terzo”.

Il governo, come ha spiegato un funzionario all’Associated Press, non intende tenerli dentro i propri confini e si chiede, anzi, come mai durante i due anni in Corea del Sud non si sono visti riconoscere lo status di rifugiato mentre sono bastati quattro mesi in Thailandia perché le Nazioni Unite dessero esito positivo alla loro richiesta.

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L’Arabia saudita si riconcilia anche con Assad e lo invita al vertice arabo


Secondo la Reuters il ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan, si recherà a Damasco nelle prossime settimane per consegnare al presidente siriano un invito formale per il summit previsto il 19 maggio. L'articolo L’Arabia saudita si riconcilia an

della redazione

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – L’Arabia Saudita ha in programma di invitare il presidente siriano Bashar al-Assad al vertice della Lega araba che Riyadh ospiterà il mese prossimo, una mossa che porrebbe formalmente fine all’isolamento regionale della Siria. Lo riferisce l’agenzia di stampa britannica Reuters. Il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, si recherà a Damasco nelle prossime settimane per consegnare ad Assad un invito formale a partecipare al summit previsto per il 19 maggio. Da Riyadh e Damasco non è ancora arrivata una conferma alla notizia.

La partecipazione di Assad al vertice della Lega araba segnerà lo sviluppo più significativo nella sua riabilitazione all’interno del mondo arabo dal 2011, quando Damasco è stata sospesa dall’organizzazione dopo l’inizio della guerra civile in Siria, fomentata anche da potenze straniere, in cui sono morte centinaia di migliaia di persone e che ha frammentato il Paese. Inoltre milioni di cittadini siriani sono diventati profughi in Libano, Giordania e Turchia.

Il ritorno della Siria nel corpo dei 22 membri sarebbe per lo più simbolico ma riflette un cambiamento nell’approccio regionale nei confronti del conflitto siriano. Fonti hanno riferito alla Reuters che Riyadh e Damasco avevano già raggiunto un accordo per riaprire le loro ambasciate dopo il mese del Ramadan. Il ministero degli Esteri saudita non ha confermato il raggiungimento di un accordo, ma ha affermato di essere in trattative con il ministero degli Esteri siriano per riprendere i servizi consolari.

Le discussioni iniziali per la visita del principe Faisal a Damasco o del ministro degli esteri siriano Faisal Mekdad a Riyadh sono state rinviate a causa dei terremoti che hanno colpito la Turchia e la Siria a febbraio. Anche l’Egitto, peso massimo della Lega Araba, ha ripreso i contatti con Assad. Entrambe le parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione sabato scorso durante la prima visita ufficiale di un ministro degli Esteri siriano al Cairo in oltre un decennio. Una fonte della sicurezza egiziana ha detto alla Reuters che la visita aveva lo scopo di mettere in atto passi per il ritorno della Siria nella Lega Araba attraverso la mediazione saudita e del Cairo.

Alcuni paesi, tra cui Stati Uniti e Qatar, si sono opposti alla normalizzazione dei legami con Bashar Assad e chiedono “progressi verso una soluzione politica in Siria”, una espressione che sottointende la rimozione dal potere del presidente siriano e la sua sostituzione con un esponente politico vicino all’Occidente e pronto ad allentare i rapporti con l’Iran.

I contatti tra i funzionari sauditi e siriani hanno preso slancio a seguito di un accordo di riconciliazione marzo tra l’Arabia Saudita e l’Iran, il principale sostenitore di Assad. Il riavvicinamento tra Riyadh e Teheran fa parte di un riallineamento regionale tra le crescenti tensioni tra Iran e Israele. Le forze aeree israeliane hanno effettuato attacchi nella provincia siriana di Homs in un raid domenica scorsa. Pagine Esteri

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VIDEO. Gerusalemme, nuovo raid della polizia israeliana sulla Spianata di Al Aqsa


La seconda incursione consecutiva è scattata in serata. La scorsa notte centinaia di palestinesi erano rimasti feriti, contusi o intossicati dai gas lacrimogeni. 350 arresti. L'articolo VIDEO. Gerusalemme, nuovo raid della polizia israeliana sulla Spiana

AGGIORNAMENTO ORE 22

Questa sera la polizia israeliana ha lanciato la seconda incursione consecutiva sulla Spianata di Al Aqsa e nelle moschee per costringere i palestinesi, soprattutto quelli più giovani, a lasciare il sito religioso islamico e non rimanervi durante la notte. Si hanno notizie di feriti ed arresti. Da Gaza sono stati lanciati altri razzi verso il sud di Israele.

GUARDA IL NUOVO VIDEO

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della redazione

Pagine Esteri, 5 aprile 2023 – Notte di violenze a Gerusalemme con centinaia di palestinesi rimasti feriti, contusi o intossicati dai gas lacrimogeni, durante le cariche della polizia israeliana sulla Spianata della moschea di Al Aqsa. Fonti giornalistiche parlano di 350 arrestati. I primi incidenti sono avvenuti ieri in tarda serata, dopo il ferimento di un 15enne nel quartiere palestinese di Silwan. Decine di giovani si sono barricati nelle moschee. Quindi sono intervenute ingenti forze di sicurezza per sgomberarli. Non è noto se la prova di forza sia stata ordinata dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzmah Yehudit e sostenitore dell’uso del pugno di ferro con i palestinesi. Ben Gvir peraltro reclama l’imposizione della piena sovranità israeliana sulla Spianata che è considerata dall’Ebraismo il biblico Monte del Tempio.

Il video che vi proponiamo mostra agenti di polizia che lanciano granate stordenti, colpiscono con i manganelli varie persone e le portano via tra urla di donne. I palestinesi denunciano che i poliziotti sono entrati in sale di preghiera dove centinaia di uomini, donne, anziani e bambini stavano pernottando. Devastata anche l’infermeria della moschea di Al Aqsa.

Queste scene hanno suscitato le proteste dell’Autorità nazionale palestinese, dell’Egitto, dell’Arabia saudita e della Giordania, custode della Spianata di Al Aqsa. In varie località della Cisgiordania si sono svolte manifestazioni di protesta. Poi da Gaza sono stati lanciati 9 razzi e proiettili di mortaio verso il sud di Israele che ha reagito colpendo con la sua aviazione il territorio palestinese.

La tensione in queste ore resta alta. Il movimento islamico Hamas – che ieri aveva chiamato ad impedire un progetto di estremisti religiosi israeliani (il gruppo Ritorno al tempio) di sacrificare agnelli sulla Spianata delle moschee – ha avvertito che non esiterà, come fece nel maggio del 2021, a usare i suoi razzi se il luogo santo di Gerusalemme sarà di nuovo violato dalle forze israeliane. Non si esclude che l’accaduto possa rappresentare il primo atto di una escalation prevista da molti in questo periodo in cui coincidono il Ramadan, la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana.

GUARDA IL VIDEO

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Uno stanziamento da 150 milioni di euro per l’anno scolastico 2023/2024, destinato alle figure professionali di “docente tutor” e “docente orientatore”: è quanto previsto dal decreto firmato oggi da Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del …


La nomina di Renzi a direttore del quotidiano Il Riformista è coerente con la sua storia e con quella della testata. Il giornale esordì- CONTROLLA con la dire

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5 aprile, incontro con i referenti regionali PNSD


Oggi ho avuto il piacere di essere intervenuto all’incontro con i referenti regionali PNSD organizzato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, “Disseminazione e Accompagnamento”.


guidoscorza.it/5-aprile-incont…



La scarsa empatia di media, istituzioni e rappresentanze sociali nasce dalla loro tendenza a delegittimarsi reciprocamente


Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato Dall’indagine curata da V

Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato

Dall’indagine curata da Vera comunicazione e Fondazione Luigi Einaudi presentata oggi in Senato risulta che i capi azienda italiani considerano poco empatiche le Istituzioni, così come le rappresentanze sociali e i media. Per inquadrare il fenomeno è bene fare una premessa fondata su due casi di studio relativamente recenti. Eccoli.

Nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali del 2004, gli psicologi Drew Westen, Stefan Haman e Clint Kilts selezionarono due gruppi di militanti politici, il primo composto da 15 democratici convinti, il secondo da altrettanti non meno convinti repubblicani. Collegarono, dunque, ciascuno di loro ad una macchina che attraverso la risonanza magnetica ne verificava le reazioni cerebrali e gli sottoposero una serie di affermazioni in video del candidato repubblicano (George W. Bush) e di quello democratico (John Kerry), molte delle quali denunciavano evidenti contraddizioni. Come sospettavano, la stragrande maggioranza dei militanti democratici percepì nitidamente le contraddizioni di Bush, mentre non avvertì affatto quelle di Kerry. E viceversa.

Ancora. Questa volta la ricerca è stata condotta dagli psicologi americani Nalini Ambady e Bob Rosental. Selezionato il solito campione rappresentativo di cittadini statunitensi, mostrarono loro dei video lunghi appena una trentina di secondi nei quali, uno dopo l’altro, si vedeva il volto di alcuni professori universitari ripresi mentre tenevano la loro lezione all’inizio del semestre. Impossibile, però, ascoltarne la voce o percepire il tenore dei loro argomenti: l’audio era stato disattivato. Alle “cavie” fu allora chiesto di stilare una classifica dei professori più affidabili, quelli ritenuti più <capaci> e più <sicuri di sé>. Ebbene, il loro parere (lo ricordiamo: frutto di pure sensazioni) nella quasi totalità dei casi coincise con il parere che gli studenti di quegli stessi professori formularono al termine dei corsi semestrali, dunque sulla base di un’esperienza concreta.

Questo per dire che i giudizi umani sono spesso frutto di preconcetti o dinamiche irrazionali e che la cosiddetta empatia può essere intesa anche come un dono di natura: o ce l’hai o non ce l’hai. Quel che vale per le singole persone vale anche per le categorie, a maggior ragione per i soggetti pubblici o istituzionali. Un esempio. Nei primi anni Novanta, sulla scia di Mani Pulite, l’indice di popolarità della magistratura era alle stelle. Oggi, sulla scia del caso Palamara, dalle stelle è precipitato alle stalle. Eppure il sistema giudiziario italiano è sempre lo stesso. Non è una giustificazione, è una constatazione.

I bassi indici di empatia che i manager italiani attribuiscono a istituzioni, rappresentanze sociali e media non stupiscono. Empatia vuol dire fiducia, e viviamo tempi in cui la sfiducia è massima. La sfiducia nel futuro, la sfiducia nella politica, la sfiducia in ogni genere di autorità. Fino ad oggi, l’errore dei soggetti testati è stato quello di pensare di cavarsela aggredendo il soggetto confinante. I giornalisti attaccano i politici e le rappresentanze sociali, i politici attaccano le rappresentanze sociali e i giornalisti, le rappresentanze sociali si attaccano tra loro e attaccano giornalisti e politici. Tutti si delegittimano, l’immagine di nessuno se ne avvantaggia.

Proposta rivoluzionaria: e se ciascuno svolgesse il proprio ruolo col massimo della dedizione e del senso del dovere possibili?

L'articolo La scarsa empatia di media, istituzioni e rappresentanze sociali nasce dalla loro tendenza a delegittimarsi reciprocamente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La scarsa empatia di media, istituzioni e rappresentanze sociali nasce dalla loro tendenza a delegittimarsi reciprocamente


Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato Dall’indagine curata da V

Sintesi dell’intervento del Segretario generale Andrea Cangini al convegno “Eisi, verso un indice nazionale di empatia nei processi decisionali e di informazione” che la Fondazione e Vera Comunicazione hanno tenuto oggi in Senato

Dall’indagine curata da Vera comunicazione e Fondazione Luigi Einaudi presentata oggi in Senato risulta che i capi azienda italiani considerano poco empatiche le Istituzioni, così come le rappresentanze sociali e i media. Per inquadrare il fenomeno è bene fare una premessa fondata su due casi di studio relativamente recenti. Eccoli.

Nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali del 2004, gli psicologi Drew Westen, Stefan Haman e Clint Kilts selezionarono due gruppi di militanti politici, il primo composto da 15 democratici convinti, il secondo da altrettanti non meno convinti repubblicani. Collegarono, dunque, ciascuno di loro ad una macchina che attraverso la risonanza magnetica ne verificava le reazioni cerebrali e gli sottoposero una serie di affermazioni in video del candidato repubblicano (George W. Bush) e di quello democratico (John Kerry), molte delle quali denunciavano evidenti contraddizioni. Come sospettavano, la stragrande maggioranza dei militanti democratici percepì nitidamente le contraddizioni di Bush, mentre non avvertì affatto quelle di Kerry. E viceversa.

Ancora. Questa volta la ricerca è stata condotta dagli psicologi americani Nalini Ambady e Bob Rosental. Selezionato il solito campione rappresentativo di cittadini statunitensi, mostrarono loro dei video lunghi appena una trentina di secondi nei quali, uno dopo l’altro, si vedeva il volto di alcuni professori universitari ripresi mentre tenevano la loro lezione all’inizio del semestre. Impossibile, però, ascoltarne la voce o percepire il tenore dei loro argomenti: l’audio era stato disattivato. Alle “cavie” fu allora chiesto di stilare una classifica dei professori più affidabili, quelli ritenuti più <capaci> e più <sicuri di sé>. Ebbene, il loro parere (lo ricordiamo: frutto di pure sensazioni) nella quasi totalità dei casi coincise con il parere che gli studenti di quegli stessi professori formularono al termine dei corsi semestrali, dunque sulla base di un’esperienza concreta.

Questo per dire che i giudizi umani sono spesso frutto di preconcetti o dinamiche irrazionali e che la cosiddetta empatia può essere intesa anche come un dono di natura: o ce l’hai o non ce l’hai. Quel che vale per le singole persone vale anche per le categorie, a maggior ragione per i soggetti pubblici o istituzionali. Un esempio. Nei primi anni Novanta, sulla scia di Mani Pulite, l’indice di popolarità della magistratura era alle stelle. Oggi, sulla scia del caso Palamara, dalle stelle è precipitato alle stalle. Eppure il sistema giudiziario italiano è sempre lo stesso. Non è una giustificazione, è una constatazione.

I bassi indici di empatia che i manager italiani attribuiscono a istituzioni, rappresentanze sociali e media non stupiscono. Empatia vuol dire fiducia, e viviamo tempi in cui la sfiducia è massima. La sfiducia nel futuro, la sfiducia nella politica, la sfiducia in ogni genere di autorità. Fino ad oggi, l’errore dei soggetti testati è stato quello di pensare di cavarsela aggredendo il soggetto confinante. I giornalisti attaccano i politici e le rappresentanze sociali, i politici attaccano le rappresentanze sociali e i giornalisti, le rappresentanze sociali si attaccano tra loro e attaccano giornalisti e politici. Tutti si delegittimano, l’immagine di nessuno se ne avvantaggia.

Proposta rivoluzionaria: e se ciascuno svolgesse il proprio ruolo col massimo della dedizione e del senso del dovere possibili?

L'articolo La scarsa empatia di media, istituzioni e rappresentanze sociali nasce dalla loro tendenza a delegittimarsi reciprocamente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.