“Distruzione totale”, Gaza si risveglia dopo 50 giorni di bombe
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 25 novembre 2023 – La magnitudine della devastazione di Gaza si comincia a conoscere solo ora, con il cessate il fuoco. In quasi 50 giorni di bombardamenti aerei, cannonate e altro ancora, i giornalisti palestinesi e persone comuni hanno potuto, a rischio della vita, far conoscere al mondo con video, foto e messaggi le conseguenze dell’offensiva militare di Israele in quel piccolo lembo di terra. Ma ieri nel primo dei quattro giorni di tregua tra Israele e Hamas e dello scambio ostaggi-prigionieri politici, i palestinesi hanno avuto la possibilità di girare, osservare e controllare, senza temere di essere disintegrati dalle bombe, l’apocalisse che ha investito la loro terra.
I filmati diffusi dalle persone in queste ultime ore mostrano un paesaggio lunare, centri abitati ridotti in cumuli di pietre, persone che si aggirano come fantasmi tra le rovine di case, edifici pubblici, moschee, scuole, asili. E anche i cadaveri rimasti senza sepoltura, alcuni in avanzato stato di decomposizione, altri carbonizzati, di adulti e di bambini. Ovunque. Sotto i palazzi crollati e nelle strade, anche su quella costiera, coperti dai passanti con cartoni e stracci. La Protezione civile di Gaza passerà i giorni di tregua a recuperare una parte dei corpi delle migliaia di dispersi (7mila?) facendo salire il numero dei palestinesi uccisi già oltre 14mila. Israele lo ritiene gonfiato ad arte «dal ministero della sanità di Hamas». Ma le agenzie umanitarie sanno che è molto vicino alla realtà, se non addirittura sottostimato. La guerra di Gaza non è finita, non si faccia illusioni chi spera che questa tregua di quattro giorni porti a un cessate il fuoco permanente. «Ci sarà una breve pausa e poi continueremo ad operare con piena potenza militare. Non ci fermeremo finché non raggiungeremo i nostri obiettivi, la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi», ha assicurato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al termine ieri dell’incontro con l’omologo italiano Guido Crosetto, uno dei numerosi premier, ministri e uomini politici occidentali giunti in processione a Gerusalemme in queste ultime settimane per ribadire il loro appoggio all’offensiva militare israeliana «contro Hamas», però, se possibile, «con qualche civile ucciso in meno».
Quando ieri mattina alle 7 i boati incessanti delle esplosioni andate avanti per tutta la notte facendo altri morti e feriti, si sono spenti per la prima volta dopo settimane, migliaia di sfollati palestinesi si sono messi in marcia verso i quartieri orientali di Khan Yunis, la fascia Est della Striscia, Gaza city e anche il nord desiderosi di tornare alle loro case e in cerca di un breve momento di normalità. Uomini, donne e bambini, a piedi o a bordo delle poche auto che hanno ancora carburante, alcuni su carretti tirati da asinelli. Altri hanno messo le borse sulle spalle e si sono incamminati. Hanno attraversato scene di immensa distruzione.
Marwa Dabdoub, 37 anni, ha raccontato a un media locale di aver trovato la sua casa a Gaza city distrutta dai bombardamenti. «Eravamo felici di vedere la tregua, ma oggi abbiamo scoperto che la nostra casa non c’è più. Non siamo riusciti a trovare nulla. Ci hanno distrutto tutto», ha detto rovistando tra le macerie dell’abitazione. Come lei altre migliaia di palestinesi non hanno trovato altro che pietre, terra, pilastri di cemento spezzati. Sono 1,7 milioni i palestinesi costretti dalla guerra e dalle intimazioni dell’esercito israeliano a lasciare le proprie case nel capoluogo Gaza city e nel nord della Striscia e che da settimane vivono ammassati in scuole, tende e ospedali nel sud. Le distruzioni sono talmente vaste che la ricostruzione di case e infrastrutture richiederà anni, ammesso che Israele lo permetta. «Sono andato in giro appena è cominciata la tregua» ha scritto su X, Refaat, un abitante di Gaza city. «Distruzione completa, totale. Case edifici, moschee, giardini pubblici, scuole, condutture dell’acqua, pali della luce. Gli invasori israeliani in realtà non cercavano niente e nessuno. Hanno solo provocato caos e attuato una vendetta sui cittadini palestinesi e le loro vite».
Recuperare qualcosa di utile dalle macerie di casa è essenziale per chi non ha più nulla. Così come trovare cibo. Ieri dal valico di Rafah sono entrati a Gaza 200 autocarri carichi di aiuti e altrettanti ne entreranno oggi, domani e lunedì. Ma la quantità di merci resta largamente insufficiente rispetto ai bisogni della popolazione. Le priorità nei carichi restano l’acqua, le medicine e tutto ciò che serve agli ospedali ancora operativi: a Gaza ci sono 35mila feriti. Ieri la Mezzaluna rossa ha evacuato altri feriti e ammalati dall’ospedale Ahli di Gaza city. Cercare i parenti sopravvissuti è un’altra priorità così come dare una degna sepoltura ai membri della famiglia uccisi dagli attacchi israeliani. Alcuni sono stati sepolti in fosse comuni nei giardini e nei terreni agricoli, o sono ancora nelle sacche per cadaveri davanti agli ingressi degli ospedali.
La striscia di sangue si è allungata anche ieri. Perché l’esercito israeliano, dando seguito a quanto aveva scritto in un volantino lanciato due giorni fa sul sud di Gaza, ha impedito alla maggior parte delle persone di tornare al nord. Per fermarle hanno lanciato lacrimogeni, sparato in aria, infine ad altezza d’uomo. Almeno due palestinesi sono stati uccisi, una ventina feriti, hanno riferito le agenzie di stampa. I soldati hanno aperto il fuoco anche nei pressi dell’ospedale Rantisi per fermare chi era sulla via del ritorno. E hanno effettuato un raid nell’ospedale Indonesiano dove, ha riferito il direttore generale del ministero della Sanità, Munir Al-Bursh, hanno ucciso una donna e arrestato tre persone. Reparti corazzati israeliani stazionano in modo permanente sulle strade di collegamento Salah al-Din e Al-Shati. Il presunto «corridoio sicuro» rimarrà aperto durante i giorni della tregua in modo che ai residenti nel nord sia consentito di andare verso sud. Ma non di ritornare. 75 anni fa, andò allo stesso modo.
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Oggi, #25novembre, ricorre in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999.Telegram
Taiwan Files – Elezioni presidenziali: corsa a 3 dopo una settimana folle
Cronaca di una drammatica settimana di politica taiwanese, con l'accordo nell'opposizione per una candidatura unitaria che salta in livestreaming tra accuse incrociate. Lai Ching-te della maggioranza Dpp sceglie come vice l'ex rappresentante negli Usa Hsiao Bi-khim ed è il grande favorito. Nell'opposizione si ritira Gou Taiming dopo l'indagine della Cina sulla sua Foxconn. Restano Hou Yu-ih del Guomindang e Ko Wen-je del People's Party. Gli scenari a 50 giorni dal voto. Il racconto di Lorenzo Lamperti da Taipei
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In questi giorni al Job&Orienta siete stati tantissimi a venirci a trovare al nostro stand. Vi aspettiamo anche domani!
📹 Qui il video per rivivere insieme la 32esima edizione ▶️ youtu.be/b0ScszjnUYw
📷 Qui l’album ▶️ flickr.
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Nuove regole per Unifil? Da Tel Aviv, Crosetto lancia la sfida all’Onu
Nel primo dei quattro giorni di tregua stabiliti tra Israele e Hamas, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto visita a Tel Aviv all’omologo israeliano Yaov Gallant. La presenza italiana in Israele in questo momento così delicato del conflitto non è affatto un caso, e anzi riporta quel ruolo da protagonista giocato dal nostro Paese nel processo di mediazione, rimarcato con orgoglio dallo stesso ministro Crosetto, che si è detto “quasi commosso di essere qui in un giorno così importante per Israele e per la pace”. Anche Gallant ha sottolineato l’importanza di quanto sta facendo l’Italia per Israele, una dimostrazione concreta di amicizia e solidarietà in un momento cruciale per lo Stato mediorientale.
La situazione
“Per Israele – ha spiegato Crosetto– il punto finale è rendere Hamas non più un pericolo”. Per il ministro, infatti, Hamas è un’organizzazione terroristica “che ha nello statuto l’eliminazione di Israele e della popolazione ebrea da questa zona del mondo”, per cui non esiste la possibilità di mediazione. Il ministro è tornato a indicare la soluzione di due popoli e due Stati come l’unica in grado di dare una pace duratura, aggiungendo però come l’obiettivo “non sarà facile, non sarà breve”. Per Israele, infatti, è questione di vita o di morte, ha sottolineato Crosetto, aggiungendo come si tratti di una condizione “che noi fatichiamo a capire al sicuro nelle nostre nazioni”. È allora l’obiettivo degli altri Paesi far sì che “le conseguenze, non militari ma quelle civili, siano minori possibili”. Il ministro si è poi detto “convinto che le operazioni dureranno a lungo, ma che ci sarà tutta l’attenzione che è possibile in una guerra per avere meno vittime civili innocenti”. Intanto, la buona notizia è a liberazione dei primi ostaggi: “Mi auguro la liberazione di tutti gli ostaggi”
Gli aiuti italiani
Come ricordato ancora da Crosetto, inoltre, l’Italia si sta prodigando attivamente attraverso l’invio di aiuti umanitari, in particolare attraverso la presenza di nave Vulcano, della Marina militare, con a bordo personale 170 militari, e trenta membri del personale sanitario della Marina. A questi si aggiungerà una ulteriore trentina tra medici e infermieri delle altre Forze armate. La nave è attrezzata per svolgere ogni tipo di attività medica, dalle operazioni alla diagnostica. A bordo, inoltre, saranno trasportati medicinai e aiuti destinati alla popolazione civile. L’intenzione italiana è quella di far seguire alla nave anche un ospedale da campo a terra. “Lo Stato maggiore della Difesa sto attrezzando e coordinando l’invio di una struttura ospedaliera a terra, in accordo con i palestinesi, da impiantare sul terreno di Gaza, vicino a dove c’è la necessità” ha spiegato Crosetto.
Coordinamento internazionale
L’obiettivo sottolineato da Crosetto per arrivare a una soluzione della crisi è muoversi in uniformità con tutti gli altri Paesi, occidentali e arabi, per frenare l’escalation. Lunedì, come da lui stesso anticipato, Crosetto sarà a New York, alle Nazioni Unite, non solo per parlare della missione in Libano. In particolare, ha detto Crosetto, “occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla”. L’ipotesi del ministro, allora, è che l’Onu riveda le regole di ingaggio, perché “le attuali non danno sicurezze ai contingenti, basta guardare la situazione e gli attacchi di ogni giorno”. A fine ottobre, tra l’altro, Crosetto aveva visitato il contingente italiano dell’operazione Leonte XXXIV, poco dopo che un missile, deviato, aveva colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana. “La risoluzione Onu – ha aggiunto Crosetto in Israele – prevede che nella striscia di confine tra Libano e Israele non ci siano nemici, né da una parte né dall’altra; quindi, che non ci sia una presenza israeliana che può minacciare il Libano, ma dall’altra parte ci sono presenze di Hezbollah”. Riflettendo su questo punto, in particolare, il ministro si è domandato “che senso ha mantenere una missione Onu, se non fa nulla per raggiungere l’obiettivo di quella missione?”.
C’è stato un tempo in cui un “vagoncino presidenziale” rallentava l’intero traffico ferroviario e nessuno si scandalizzava
Intenti come siamo ad indignarci per le imprese ferroviarie presenti del ministro Lollobrigida, rischiamo di trascurare le delizie del passato. Un passato recente. Si tende a dimenticare, per esempio, che fino alla metà degli anni Novanta a diversi presidenti di organi costituzionali era riservato quello che oggi verrebbe giudicato un inaudito privilegio. Privilegio che mandava in solluccheri Giovanni Spadolini in particolare.
Quando l’allora presidente del Senato doveva affrontare un viaggio in treno, non riservava un posto in prima classe, né prenotava un salottino per sè e per il proprio staff. La sua segretaria telefonava all’apposito servizio di palazzo Madama, che provvedeva ad agganciare al convoglio desiderato la carrozza presidenziale: un vagoncino retrò in stile Orient Express dotato di un lussuoso salottino, una cucina e una cuccetta con lenzuola fresche di bucato per eventuali riposini diurni. Un commesso del Senato vi svolgeva le funzioni del maggiordomo, un cuoco vi cucinava le pietanze gradite.
Raccontano che Giovanni Spadolini adorasse viaggiare così. E pazienza se, essendo stato costruito in tempi in cui i treni forse arrivavano in orario, ma di sicuro erano più lenti, il vagoncino presidenziale obbligava il convoglio cui era agganciato a moderare la velocità, con gran scorno dei viaggiatori comuni e oggettive ricadute sull’intero traffico ferroviario.
Nessuno, allora, avvertiva il problema, essendo (allora) chiaro a tutti che le Istituzioni avessero diritto ai propri spazi, alla propria privacy e al proprio stile. Di sicuro la pensava così il grande Spadolini, il quale, un giorno, dovendo rientrare da Milano a Roma, non essendo disponibile l’amato vagoncino riservò un’intera carrozza di prima classe. Era la primavera del 1994, la legislatura volgeva al termine, e alla stazione di Milano si trovavano anche alcuni parlamentari che come lui dovevano rientrare a Roma. Gli chiesero se potevano prender posto nella “sua” carrozza: sdegnosamente, Spadolini rifiutò.
È opinione diffusa che tale sgarbo gli costò i voti necessari ad essere rieletto presidente del Senato. La spuntò, d’un soffio, Carlo Scognamiglio, uomo d’una eleganza antica, come Spadolini attratto dal lussuoso vagoncino. Mal gliene incolse quando commise la leggerezza di consentire al figlio e ad un gruppo di suoi amici di prender posto sull’ambita carrozza presidenziale per un breve viaggio in Liguria. Scognamiglio si era premurato di pagare un biglietto di prima classe per ciascun ragazzo, ma fatale fu la fermata fuori programma a Ventimiglia per far scendere i giovani viaggiatori. Erano i tempi in cui andava affermandosi la malsana logica dell’«uno vale uno». Lo scandalo fu inevitabile, la campagna stampa al grido di “Il trenino di Carlino” devastante. Da quel momento in poi il vagoncino presidenziale non toccò più binario.
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Ministero dell'Istruzione
Oggi al #JobOrienta, dopo gli eventi dei giorni scorsi sulla piattaforma UNICA, sulla nuova filiera tecnico-professionale, sulle discipline STEM e sulle Storie di alternanza e competenze, si parlerà d’Istituzione del sistema terziario di Istruzione T…Telegram
Guerra. Voci da Gaza (parte seconda)
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(Traduzione a cura di Federica Riccardi)
insaniyyat.org/voices-from-gaz…
Insaniyyat, Society of Palestinian Anthropologists
Dall’inizio della guerra israeliana contro la popolazione di Gaza, familiari e amici, compresi i membri della nostra comunità Insaniyyat, hanno cercato con ansia di avere notizie dei propri cari in tutta Gaza. Di seguito sono riportate le trascrizioni di messaggi di testo personali, note vocali e post sui social media che gli amici e i cari di Gaza sono riusciti a inviare in risposta; messaggi intermittenti composti nel bel mezzo dei bombardamenti e della distruzione, mentre erano sopraffatti dalle notizie di continue morti, anche di amici e parenti, senza elettricità, cibo, acqua, rifugio sicuro e speranza.
“R” Fotografo, Gaza City
R è un fotografo e padre devoto di due figlie di 2 e 6 anni. Uno dei suoi recenti progetti ha celebrato la vita e le conquiste delle persone di Gaza che hanno perso gli arti durante le guerre precedenti; le sue fotografie ritraggono il modo in cui continuano a vivere una vita piena nonostante le amputazioni. Fa parte di una rete regionale di fotografi documentaristi e lavora come freelance per agenzie di stampa locali e internazionali. Vive a Gaza City, ma è stato costretto a mandare sua moglie e le sue figlie, e poi suo padre e sua madre, sua sorella con la famiglia a Deir al-Balah, dove vive la famiglia di sua moglie. Poi, anche lui è dovuto fuggire da Gaza. La sua casa, quella dei suoi genitori e quella di sua sorella a Gaza sono state tutte bombardate. È ancora a Deir al-Balah, dai suoceri, insieme ad altri 30 membri della famiglia.
R ha inviato i seguenti messaggi ad un amico tra il 13 ottobre e il 12 novembre
Venerdì 13 ottobre (mattina)
[da Gaza City]
Ho già mandato le bambine [di 2 e 6 anni], la loro madre e i miei genitori dalla famiglia di mia moglie a Deir al-Balah.
Sto bene, ma la situazione è molto difficile. I massacri avvengono ovunque.
Non ci sono auto. Sto pensando di farmi 20 chilometri a piedi per andare dalle ragazze [a Deir al-Balah].
Venerdì 13 ottobre (sera)
[da Deir Balah]
La gente sta ancora lasciando Gaza [City], e ci sono persone che non possono lasciare le loro case, ma la città è quasi vuota ora. Ogni volta che cerco di comunicare con qualcuno all’interno di Gaza, mi dice che è una città fantasma.
Cerco di fotografare quello che posso.
Ho provato a chiamare Samar [un amico comune] ma non c’è linea. Non so se sono lì [Gaza City] o se sono andati via.
…
Ho comprato del cibo in scatola, una scatola di formaggio, biscotti e sardine.
Sono uscito sotto i bombardamenti e ho trovato cibo in scatola, biscotti, acqua, za’atar, dukkah e formaggio.
Qui c’è una palma, così ogni tanto raccolgo qualche dattero e mangio un frutto fresco.
Mangio poco per non dover andare in bagno.
La notte e le sue preoccupazioni sono iniziate.
Oh Dio, ti prego, salvaci da ciò che sta per accadere.
Vado da mia figlia maggiore e poi torno. Piange per la paura, perché hanno ricominciato a bombardare.
A mezzanotte tutti i servizi di telecomunicazione e internet potrebbero essere interrotti in tutta la Striscia di Gaza. Se perdi i contatti con noi, sappi che stiamo bene, e non importa quali immagini vedrai in TV, noi staremo bene, e io farò tutto il possibile per tenere al sicuro le mie figlie e l’impossibile per proteggerle.
Che mondo ingiusto è questo.
Vorrei non conoscere così tante persone a Gaza.
Ho perso molte persone. Ogni volta che chiedo di qualcuno, mi dicono che è stato martirizzato o che è disperso.
Mia figlia più grande, che ha quasi 7 anni, capisce già tutto.
Sabato 14 ottobre
Buongiorno, è stata una notte molto difficile ma è passata.
Sto scattando alcune foto, ma tutti sono nervosi, le bambine piangono in continuazione e io sono impegnato a prendermi cura di loro.
Tutti aspettano l’invasione. Ci sono ancora persone all’interno di Gaza [City] che non sono riuscite a uscire ieri.
Oggi hanno dato una finestra di quattro ore per le persone che vogliono andarsene.
Domenica 15 ottobre (mattina)
Per la maggior parte del tempo non c’è internet né batteria.
Ci sono attacchi dappertutto, ma non sappiamo nemmeno dove, perché non c’è modo di sapere dove sono i bombardamenti.
Negli ospedali non ci sono abbastanza medicine, non ci sono infermieri né medici e il sistema sanitario è completamente collassato.
La rete di comunicazione è pessima, noi stiamo bene.
Dio, facci uscire indenni da questa situazione.
Domenica 15 ottobre (sera)
Sembra che la casa della mia famiglia sia stata colpita qualche tempo fa – qualcuno me l’ha detto solo ora. Ci sono così tanti ricordi lì
…
Non sono triste per le pietre, la costruiremo di nuovo.
Ieri ho detto a mia figlia: “Voglio portarti in Egitto”. E lei ha risposto: “A trovare Rula?” [un’amica di famiglia].
Lunedì 16 ottobre
Oggi ho messo il mondo sottosopra alla ricerca di sonniferi e non ne ho trovati
Da stamattina non abbiamo più acqua, a parte qualche cassa d’acqua in bottiglia per bere. Il mare è vicino, ma è troppo rischioso andarci: tutta la costa è piena di navi da guerra.
Forse, se piove, possiamo raccogliere l’acqua nelle pentole.
Martedì 17 ottobre
Non c’è più acqua in nessuno dei serbatoi e non ce n’è in tutta la Striscia di Gaza. Ci è rimasta solo una cassa d’acqua che vogliamo conservare per i bambini.
Mercoledì 18 ottobre
Cercherò di uscire in sicurezza. Ancora una volta, prega per me affinché riesca a prendere le cose e a tornare sano e salvo.
Sto bene, ho trovato due casse d’acqua grazie a Dio. Ci sono stati un sacco di bombardamenti, ma sono andato al mercato e ho comprato delle arance per le mie figlie.
Sabato 4 novembre (mattina)
Siamo riusciti a comprare un sacco di farina
Tra poco usciremo e cercheremo di prendere dell’acqua.
Questa è farina rubata
Se ci prendono, ci rinchiudono tutti.
Hahahahaa
L’abbiamo pagata all’intermediario, al venditore e, naturalmente, a chi l’ha saccheggiata.
Un processo molto complicato.
Le trattative sono state intense.
La mia razione d’acqua è ora di 200 millilitri al giorno.
Esco di nuovo sotto ai bombardamenti, devo trovare dell’acqua. Andrò nello stesso posto dove l’ho presa prima. Prega che la trovi e che torni sano e salvo dal giro.
Se potessi sentire come bombardano Gaza, i missili, la terra trema per i bombardamenti.
Sabato 4 novembre (sera)
Ogni giorno raccogliamo delle olive dall’albero, le schiacciamo, ci mettiamo sopra il sale e il giorno dopo le mangiamo così…
È il momento della raccolta delle olive, ma le mangiamo così perché le olive vanno a male. Dovremmo raccoglierle e spremerle per ottenere l’olio, ma non ci sono frantoi in funzione.
Mamma e papà ti salutano
La mamma dice che la prossima volta che verrai vuole cucinarti un buon piatto.
Domenica 5 novembre (sera)
Buongiorno, grazie a Dio, stiamo ancora bene.
Voglio che chiami un medico per me
Ho bisogno di un sedativo per bambini
Mia figlia è sopraffatta dalla paura, si lamenta dei dolori alle gambe e allo stomaco e si comporta come una persona disorientata e confusa
Domenica 5 novembre (notte)
Oggi sono riuscito a bere un litro d’acqua.
Ho mangiato un po’ di datteri e za’atar.
Lunedì 6 novembre
Giuro che è stata una notte difficile.
C’erano un sacco di bombe e i bambini piangevano tutti seduti in mezzo alla casa.
Non ho trovato nessuna delle medicine di cui hai scritto [suggerite dal medico].
Ma useremo una medicina alternativa e le massaggeremo i muscoli con dell’olio d’oliva.
Tra un po’ devo uscire per cercare una nuova fonte d’acqua, ma aspetto che i bombardamenti si calmino. Ci sono stati bombardamenti vicino alla fonte d’acqua da cui ci siamo riforniti e ho paura a camminare nelle zone agricole.
Martedì 7 novembre (sera)
Ho fatto un bagno. Ho scaldato l’acqua salata sul fuoco. Non c’era acqua fredda disponibile, così ho fatto un bagno vero Hahahaha
Oggi c’è stato un massacro vicino a noi….
Abbiamo persino smesso di sentire il rumore dei missili che cadono. Sentiamo solo le esplosioni improvvise.
…
Sì, hanno bombardato un quartiere con un solo colpo…
Martedì 7 novembre (notte fonda)
Ho pregato, ho preso le mie figlie in braccio e mi sono sdraiato accanto a loro. Mi sentivo stanco morto: il mio cervello era addormentato, ma i miei occhi erano ancora aperti.
Mercoledì 8 novembre
Sono a un chilometro dall’ospedale Al-Shifa
e ci sono combattimenti per le strade di Gaza
Giovedì 9 novembre (mattina)
Ho dormito per 4 ore, un sonno interrotto ma buono.
Ci sono bombardamenti sulla strada [di Gaza City] che usiamo per arrivare a casa nostra, si chiama Al-Baraka Street.
Hanno detto qualcosa al telegiornale?
Giovedì 9 novembre (notte)
Quali notizie ci sono, a parte una pausa di 4 ore al giorno per il corridoio umanitario, in modo che la gente possa lasciare Gaza [City]?
Venerdì 10 novembre
Cosa scrivono le notizie sull’ospedale Al-Shifa e su ciò che sta accadendo lì intorno?
La rete è pessima, ma noi stiamo bene.
Uno dei miei cugini è riuscito a fuggire oggi [da Gaza City], ma il resto della sua famiglia è morto o non può uscire. Sua madre è paralizzata e lui è l’unico figlio. Lei gli ha detto di prendere i suoi figli e di fuggire. Non poteva trasportare sua madre
Sabato 12 novembre
Buonasera, come stai? Noi stiamo bene, grazie a Dio. È dalla mattina che cerco acqua e qualsiasi cosa da comprare. Sono riuscito a tornare solo poco fa, le strade erano terrificanti e non c’era praticamente nulla da comprare e quello che c’era era raddoppiato di prezzo.
Grazie a Dio, siamo riusciti a procurarci acqua, farina, una scatola di Prill [pastiglie per purificare l’acqua], un pacchetto di sigarette e dei pannolini.
Oggi il mio telefono era senza batteria. Ha piovuto per 5 secondi e poi non c’era il sole, quindi non abbiamo potuto caricare la batteria con l’energia solare.
Sorseggio la stessa tazza di caffè ogni poche ore, dalla mattina alla sera. Ci è permessa solo una tazza piccola al giorno.
Mia madre ha nascosto il sacchetto del caffè insieme alle chiavi di casa. Pagine Esteri
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Tecnocina: Il capo dei nerd
Per gentile concessione di add editore riproponiamo un estratto di Tecnocina, il libro in cui Simone Pieranni ripercorre la storia della Repubblica popolare dal 1949 fino ai giorni nostri, attraverso un intreccio di vicende affascinanti mai narrate prima al cui centro spiccano le storie di donne e uomini finora ignoti.
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In Cina e Asia – Cina, l’Oms osserva casi di polmonite batterica tra i bambini
Cina, picco di casi di polmonite batterica tra i bambini
Mar cinese meridionale: fregata cinese osserva le esercitazioni di Filippine e Usa
Pentagono: Usa ritardo di 4 anni sulla Cina
Il tribunale della Corea del Sud ordina al Giappone di risarcire le "comfort women”
Nepal: scontri tra polizia e manifestanti pro-ripristino della democrazia
Sri Lanka: sempre più famiglie sotto la soglia di povertà
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GAZA. Cominciata la tregua. Israele ordina ai palestinesi di non tornare al Nord
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della redazione
Pagine Esteri, 24 novembre 2023 – Non ci sono notizie di bombardamenti, colpi di artiglieria e di lanci di razzi. Sembra tenere il cessate di quattro giorni tra Israele e Hamas, la prima pausa in una guerra che dura da 48 giorni e che ha devastato la Striscia di Gaza e ucciso oltre 14mila palestinesi.
La tregua è iniziata alle 7 del mattino (le 6 in Italia) e questo pomeriggio alle 16 (le 15 italiane) dovrebbe esserci il rilascio di 13 donne e bambini israeliani nelle mani di Hamas e l’afflusso di aiuti a Gaza. In cambio 40 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane saranno stati liberati, si tratta in prevalenza di donne e adolescenti.
Nelle ore precedenti alla tregua, Israele ha bombardato senza sosta Gaza. Soldati inoltre hanno effettuato una incursione nell’ospedale Indonesiano dove, secondo testimoni, hanno ucciso una donna e arrestato tre palestinesi. L’Esercito israeliano intanto ha intimato alla popolazione di non tornare al Nord di Gaza e a Gaza city – come molti sfollati palestinesi intendevano fare – perché sarebbero ancora un “territorio di guerra”. Pagine Esteri
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Nuova scissione, Syriza è allo sbando
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di Redazione
Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il finora principale partito di opposizione greco, Syriza, continua a perdere militanti e dirigenti che accusano la nuova leadership di “comportamento autoritario” e di snaturare la formazione.
Oggi nove parlamentari aderenti alla corrente denominata “6+6”, tra cui alcuni ex ministri e dirigenti del partito, hanno annunciato l’abbandono di Syriza che rimane così con soli 36 parlamentari sui 300 totali, appena quattro in più rispetto al terzo partito, il socialista Pasok.
La “coalizione della sinistra radicale” sembrava aver retto bene alla gestione della crisi del 2015 quando, giunta al potere con la promessa di mettere fine all’austerità e di respingere i piani “lacrime e sangue” della Troika, aveva invece capitolato ai diktat di Bruxelles e delle istituzioni finanziarie internazionali nonostante la vittoria del ‘no’ nel referendum convocato dal premier Tsipras per respingere il Terzo Memorandum, cioè l’elenco di tagli e privatizzazioni imposto dall’UE e dal FMI in cambio di nuovi prestiti.
Ma la crisi di fiducia nel partito è arrivata con alcuni anni di ritardo quando, alle ultime doppie elezioni della scorsa primavera, Syriza ha perso una quota molto consistente di consensi, attirati a destra dai presunti ottimi risultati economici del premier di Nea Dimokratia, Kiriakos Mitsotakis, verso sinistra a beneficio di alcune formazioni più o meno radicali e dissidenti, e verso l’astensionismo e la disillusione.
La schiacciante sconfitta elettorale di giugno ha portato alle dimissioni di Alexis Tsipras dopo 15 anni alla guida del partito e all’elezione, a sorpresa, di Stefanos Kasselakis, figlio di armatori, poi funzionario della banca d’affari Goldman Sachs e infine armatore egli stesso. Catapultato alla leadership di Syriza da primarie condizionate dai media conservatori greci, “l’americano” Kasselakis ha promesso di trasformare il partito in una formazione liberal ed ha escluso la vecchia guardia dalla gestione.
La nuova impronta imposta da Kasselakis alla formazione, oltretutto, non ha oltretutto convinto l’elettorato, con i sondaggi che danno Syriza addirittura al terzo posto alla pari col Partito Comunista (KKE).
«Stefanos Kasselakis è stato eletto democraticamente, ma procede in modo non democratico» hanno dichiarato in un comunicato i deputati fuoriusciti insieme ad altri 48 membri del partito. «Smantella Syriza e lo trasforma in un partito amorfo, e manifesta un mix di opinioni e messaggi contraddittori e superficiali» hanno aggiunto.
Intervenendo recentemente ad una conferenza degli industriali greci, il 35enne uomo d’affari ha assicurato che Syriza non “demonizzerà” più il capitale privato, definendo il capitale «uno strumento di prosperità».
L’esodo di massa è iniziato il 12 novembre, quando la fazione più a sinistra (sopravvissuta alla fuoriuscita delle correnti radicali e marxiste che hanno abbandonato Syriza già nel 2015 per formare tre diverse formazioni) chiamata “Umbrella”, guidata dall’ex ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos, ha annunciato che si sarebbe staccata, accusando Kasselakis di «pratiche trumpiane, populismo di destra, fanatismo e odio per il percorso storico della sinistra». Ieri, poi, altri 90 militanti e dirigenti intermedi avevano annunciato la loro fuoriuscita dalla formazione.
I fuoriusciti di “Umbrella”, tra cui due deputati, hanno espresso l’intenzione di ricongiungersi ad altri gruppi che hanno abbandonato Syriza in passato per formare un nuovo partito della sinistra radicale che recuperi i valori e le proposte politiche proprie del partito prima dell’avvento di Kasselakis.
I deputati già fuoriusciti e quelli che oggi hanno annunciato l’abbandono – 11 in totale – hanno i numeri per formare un nuovo gruppo parlamentare guidato dall’ex ministro dell’Economia e degli Interni Alexis Charitsis e forse un partito di stampo socialdemocratico ed ecologista pronto a competere alle prossime elezioni europee.
Tra loro c’è anche l’ex ministra del Lavoro Effie Achtsioglu che aveva sfidato Kasselakis alle primarie di settembre.
Anche il vicepresidente di Syriza, Dimitrios Papadimoulis, ha annunciato oggi il suo abbandono, diventando il terzo eurodeputato a dimettersi da quando è stato eletto Kasselakis.
In un comunicato i protagonisti della scissione affermano che «La Grecia è a un punto critico… l’estrema destra e le percezioni reazionarie stanno guadagnando terreno… Di fronte a questo sviluppo, le forze dell’opposizione progressista appaiono distanti dalle ansie e dai problemi dei cittadini». «Manca un progetto politico e sociale moderno che ci convinca, non retoricamente, ma nei fatti, che possiamo sconfiggere il dominio della destra» si legge nella dichiarazione, secondo la quale «milioni di greci» attendono un partito di sinistra che possa produrre soluzioni progressiste ai problemi del paese mentre «SYRIZA sta sprofondando nel discredito». Pagine Esteri
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Perché a Meloni non conviene candidarsi alle europee
Ma siamo sicuri che a Giorgia Meloni converrebbe candidarsi alle elezioni europee del prossimo giugno? Ad oggi, il presidente del Consiglio non ha sciolto la riserva. Chi, tra i suoi fedelissimi, la invita a gettarsi nella mischia elettorale lo fa spinto dall’interesse di partito: con il premier capolista in tutte le circoscrizioni, Fratelli d’Italia confermerebbe la propria posizione egemonica nella coalizione e raffredderebbe di conseguenza i bollenti spiriti di Matteo Salvini.
Due obiezioni. La prima è che tutti i sondaggi dicono che Fratelli d’Italia stacca la Lega di circa 20 punti percentuali: un distacco tale da non rendere necessario l’impegno in prima persona del leader. La seconda obiezione è di natura politico-diplomatica. C’è da credere che Matteo Salvini imposterà la campagna elettorale della Lega sui canoni identitari di destra e su quelli di un antieuropeismo di maniera. Difficile pensare che Giorgia Meloni avrebbe il coraggio di suonare uno spartito radicalmente diverso. Per un pugno di voti tutt’altro che necessari, perderebbe così l’autorevolezza che si è concretamente guadagnata agli occhi dei partner e delle istituzioni europee e correrebbe il rischio di alimentare la sfiducia dei mercati finanziari.
In campagna elettorale, si sa, ci si fa prendere la mano. Si tende ad esagerare, si strilla, si denuncia. La necessità di competere con gli alleati e di mobilitare la propria base elettorale sospingerebbe fatalmente Giorgia Meloni verso i temi e i toni degli anni trascorsi all’opposizione. Temi e toni opportunamente accantonati con l’assunzione delle responsabilità di governo. Sarebbe un balzo all’indietro, con evidenti ricadute negative sulla credibilità internazionale del presidente del Consiglio italiano e di conseguenza sull’interesse nazionale. Sarebbe un peccato. Di più, sarebbe un errore. E Giorgia Meloni dovrebbe saperlo bene. Gli basterebbe ricordare quello che è stato il suo principale passo falso sulla scena internazionale. Ovvero il suo esplicito sostegno al leader di Vox, Santiago Abascal, uscito a testa bassa dalla recenti elezioni spagnole.
No, a Giorgia Meloni non conviene affatto candidarsi alle elezioni europee. Le conviene volare alto e coltivare un sano aplomb istituzionale. Il premier spagnolo Sanchez è in grave difficoltà, il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Sholz attraversano una fase di instabilità politica in patria e usciranno indeboliti dalle elezioni: a Giorgia Maloni basterà evitare passi falsi per accreditarsi come uno dei capi di governo più solidi dell’intera Unione Europea.
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Tecnologia e nuovi modelli, ecco la via polacca allo spazio
La guerra in Ucraina ha imposto nell’agenda europea la questione dell’integrazione dei sistemi di difesa ed una sempre maggiore attenzione anche a domini in espansione, come quello spaziale, dove il blocco occidentale deve affrontare la sfida che gli viene posta tanto dalla Repubblica Popolare Cinese, quanto dalla Russia.
Nell’impalcatura di difesa collettiva a giocare un ruolo essenziale è la Polonia. Posta alla frontiera sia con la Russia che con l’Ucraina e storicamente soggetta a spinte e controspinte dell’equilibrio tra potenze continentali, Varsavia è l’elemento di punta della cosiddetta “Nato dell’est”, cioè di quel blocco di Paesi dell’Europa orientale ostile alla politica espansionista russa e sul quale gli Stati Uniti, ormai sempre più indirizzati verso l’Indo-Pacifico ed il confronto con la Cina, intendono costruire il perno della nuova difesa euro-atlantica.
L’ultimo Forum italo-polacco dell’Aerospazio (organizzato da Ice Agenzia, insieme all’Ambasciata d’Italia a Varsavia, alla Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia e in partenariato strategico con “Leonardo”), tenutosi il 23 novembre, è stato solo l’ultimo degli eventi che hanno confermato la propensione dei polacchi a svolgere quella funzione di “scudo dell’Occidente” che da più parti gli viene affibbiata.
Non a caso, anche nel settore aerospaziale la Polonia sta affrontando una fase di importante trasformazione e modernizzazione, chiaramente improntata al miglioramento del proprio sistema di difesa nazionale. Uno degli obiettivi a medio termine del governo di Varsavia è quello di modernizzare la propria aeronautica militare, la Siły Powietrzne, e le proprie componenti spaziali, puntando all’introduzione di nuove tecnologie, procedure e strutture organizzative. Lo scopo dichiarato è quello di elevare le Forze Armate polacche (Siły Zbrojne Rzeczypospolitej Polskiej) tra le forze di combattimento più moderne a livello globale.
Per la Polonia il settore spaziale è diventato una delle leve più importanti per rafforzare il proprio ruolo geostrategico in Europa. Nell’arco dell’ultimo decennio, la Polonia è stata una di quelle nazioni che ha fatto passi letteralmente da gigante nella propria politica spaziale, con importanti investimenti – condotti in particolare dalle Forze Armate, mentre ancora risulta scarno il contributo polacco all’sa – e la ricerca di nuove collaborazioni ed integrazioni tra sistemi industriali. Si tratta di una politica spaziale che, come ha ben sintetizzato Marcello Spagnulo, “punta allo Spazio per contare in Terra”.
Le aspettative connesse alla politica aerospaziale polacca sono legate ad un vero e proprio “salto generazionale” che sta avvenendo a Varsavia, che porta con sé anche un cambiamento di visione sull’importanza del dominio spaziale per l’ammodernamento e l’efficienza operativa delle proprie Forze Armate. I panel del Forum italo-polacco sono andati proprio in questa direzione, da un lato analizzando le concrete possibilità di incrementare la cooperazione industriale tra Italia e Polonia, con uno sguardo specifico al comparto della difesa polacco, e, dall’altro, valutando l’impatto che lo sviluppo dell’industria aerospaziale può generare sull’innovazione e la competitività di un Paese che ha convintamente sposato la sfida tecnologica e vuole rivestire un importante ruolo in un settore ad alta competitività globale.
Ad emergere è la politica industriale e militare-spaziale polacca come un percorso ormai incasellato nelle dinamiche strategiche di questo Paese posto alla frontiera dell’Europa “atlantica”, che procede indipendentemente da chi effettivamente sieda al Palazzo della Cancelleria di Varsavia ed individuato, ormai, come una priorità.
Una breve nota a margine: la crescita dell’aerospazio-difesa polacco non può che attirare l’interesse per il comparto industriale e gli investitori italiani del settore, che da anni svolgono un importante ruolo nel Paese e che sono riferimenti fondamentali per Varsavia. Non a caso la Farnesina dedica ampio spazio all’aerospazio polacco nei suoi programmi di “diplomazia economica”, la quale molto spesso funge da apripista o è parte integrante della diplomazia “politica” vera e propria.
L’inquietante industria dell’aldilà digitale | Guerre di Rete
"A dieci anni esatti dalla puntata di Black Mirror che per prima ha immaginato il nostro aldilà digitale, sta però rapidamente diventando realtà qualcosa che ancora solo pochi anni fa sarebbe stato considerato impossibile: creare un simulacro potenzialmente immortale di noi stessi."
Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione della prof.ssa Annamaria Anselmo sul tema “La servitù delle donne”
Ottavo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La ottava lezione si svolgerà giovedì 23 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dalla prof.ssa Annamaria Anselmo (Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “La servitù delle donne” di John Stuart Mill. La lezione sarà dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin (ragazza 22enne di Vigonovo, barbaramente assassinata qualche giorno fa dal suo ex fidanzato) e, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, sarà introdotta da un breve video di riflessione e sensibilizzazione sul tema, con la presenza del regista ing. Giovanni De Pasquale.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Gaza. Il Qatar annuncia: domani mattina inizia la tregua
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AGGIORNAMENTI
ORE 15
Il Qatar ha annunciato che il cessate il fuoco di quattro giorni avrà inizio domani alle ore 7 (le 6 in Italia) e di aver ricevuto da Hamas l’elenco degli ostaggi israeliani che saranno liberati alle ore 16.
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della redazione
Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il rilascio degli ostaggi israeliani nell’ambito di un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e militanti palestinesi di Hamas non avverrà prima di domani. L’hanno detto qualche ora fa il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele e gli Stati Uniti.
Israele sostiene che Hamas non ha ancora firmato le intese e comunicato la lista con i nomi dei 50 ostaggi che libererà in cambio di almeno 150 palestinesi – in prevalenza donne e adolescenti – incarcerati in Israele.
Non ci sarà neanche la tregua di quattro giorni che Israele e Hamas avevano concordato. La guerra che sta devastando Gaza continuerà anche oggi. I media palestinesi riferiscono che aerei e artiglieria israeliani hanno colpito la città di Khan Younis, nel sud di Gaza, in almeno due ondate e 15 persone sono state uccise. Sono stati segnalati attacchi anche in diverse altre parti di Gaza, compresi i campi di Jabalia e Nuseirat. Gaza è il “posto più pericoloso al mondo per essere un bambino”, ha detto ieri al Consiglio di sicurezza dell’Obu Catherine Russell, capo dell’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. Più di 5.300 bambini palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre, ha detto Russell.
In Israele, le sirene che avvisano del lancio di razzi in arrivo da Gaza hanno riecheggiato nelle comunità vicino alla Striscia.
I 50 ostaggi saranno rilasciati nell’arco di quattro giorni al ritmo di almeno 10 al giorno, se l’accordo sarà confermato. La tregua potrebbe essere prolungata purché ogni giorno vengano liberati altri ostaggi. Il ministero della Giustizia israeliano ha pubblicato un elenco di 300 nomi di prigionieri palestinesi che potrebbero essere liberati. Inoltre Centinaia di camion di aiuti umanitari, medicine e carburante dovrebbero entrare a Gaza. Israele dovrà interrompere tutte le incursioni aeree sul sud di Gaza.
L’accordo di tregua, il primo di una guerra durata quasi sette settimane, è stato raggiunto dopo la mediazione del Qatar. Pagine Esteri
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La base siciliana di Sigonella spicca il volo verso le guerre stellari
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di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri, 23 novembre 2023. La base siciliana di Sigonella spicca il volo verso le guerre stellari. L’ufficio stampa di U.S. Space Force, la divisione delle forze armate degli Stati Uniti d’America responsabile di tutte le operazioni spaziali, ha reso nota l’attivazione nella stazione aeronavale siciliana del 5th Space Warning Squadron Detachment 1 (5SWS/Det-1), distaccamento del 5° Squadrone di “pronto allarme” delle unità preposte alle Star Wars. La cerimonia di inaugurazione del centro di comando si è tenuta a Sigonella il 30 ottobre 2023.
“La posizione strategica della Naval Air Station di Sigonella consente alle forze armate USA, a quelle alleate e dei Paesi partner di dispiegarsi e rispondere secondo le necessità, assicurando sicurezza e stabilità in Europa, Africa ed in tutte le aree sotto la giurisdizione di CENTCOM, il Comando Centrale delle forze armate USA”, spiega l’U.S. Space Force. “La missione del distaccamento è quella di operare nello spazio di battaglia attenzionando gli allarmi missilistici attraverso una stazione interforze terrestre tattica (Joint Tactical Ground Station o JTAGS). Ciò è vitale per la difesa attiva e passiva e per le operazioni di attacco in Europa”.
Il nuovo distaccamento di Sigonella opererà a fianco delle altre unità delle forze spaziali USA attivate in altri quattro paesi: nella base aerea di Misawa in Giappone, ad Al Udeid in Qatar e ad Osan in Corea del Sud. “La Space Force conduce le operazioni di allarme missilistico in tutto il mondo”, ha dichiarato il comandante di U.S. Space Force, Dan Sutton, responsabile del nuovo comando di Sigonella. Tutti e quattro i distaccamenti JTAGS con le apparecchiature di allarme missilistico e i sistemi satellitari preposti sono stati ufficialmente trasferiti da U.S. Army alla U.S. Space Force il 1° ottobre 2023. Il Pentagono ha così concluso l’iter di unificazione-integrazione delle costellazioni satellitari delle forze armate USA. Nel giugno 2022 era stata la Marina militare USA a trasferire all’U.S. Space Force il controllo del Naval Satellite Operations Center e di 13 satelliti, seguita tre mesi dopo da US Army. (1)
Il coordinamento delle operazioni di pronto allarme missilistico e delle telecomunicazioni satellitari è stato assunto dal 5th Space Warning Squadron riattivato nella base spaziale di Buckley (Colorado) il 13 ottobre 2023. A capo del 5° Squadrone è stato chiamato il colonnello Michael A. Provencher, con una lunga esperienza nel settore delle guerre missilistiche con l’Aeronautica e l’Esercito USA. Il 5SWS era stato costituito nel 1992 in Australia per contribuire al “pronto allarme” globale contro i missili balistici lanciati nell’emisfero orientale per essere poi disattivato nel 1999. (2) Le sue funzioni furono assunte dalla 1st Space Brigade dell’U.S. Army Space and Missile Defense Command, attiva dal 1992 presso il quartier generale di Colorado Springs (Colorado). Ad una compagnia ultraspecializzata del Comando della 1^ brigata spaziale fu affidato il coordinamento delle attività delle stazioni terrestri interforze JTAG, dispiegate al di fuori degli Stati Uniti d’America per fornire in tempo reale informazioni di avvertimento e segnalazione sull’eventuale lancio di missili balistici con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. (3)
“JTAGS è il principale sistema di U.S. Army per integrare ed espandere le capacità di allarme, attenzione e pronta informazione sui Missili Balistici da Teatro (TBM – quelli con gittata compresa tra i 300 e i 3.500 km, nda) ed altri eventi tattici che interessano il teatro operativo”, spiega il Dipartimento dell’Esercito USA. “Esso è in grado di ricevere e processare tutti i dati trasmessi a banda larga dai sensori della costellazione satellitare del Defense Support Program. JTAGS determina la fonte TBM identificando il punto e il momento di lancio del missile, la sua traiettoria e il punto e il momento dell’impatto. Nel momento in cui è installata nel teatro di guerra, riduce la possibilità di singole interruzioni nei sistemi di comunicazione dei rispettivi Comandi. I benefici operativi includono anche quello di poter dare i segnali d’attacco agli assetti operativi per individuare e distruggere le capacità di lancio del nemico (…) JTAGS supporta i tre pilastri che sostengono la cosiddetta Difesa dai missili di teatro, cioè la difesa passiva, la difesa attiva e le operazioni di attacco, nonché la gestione del campo di battaglia, delle comunicazioni e delle strutture informatiche e d’intelligence”.
Più specificatamente la cosiddetta difesa attiva del sistema JTAGS punta alla “distruzione della minaccia” con gli intercettori della difesa anti-missile e all’“azione in profondità” contro tutti i sistemi missilistici del “nemico”. “Gli attacchi puntano alla distruzione, disgregazione o neutralizzazione delle piattaforme di lancio dei TBM e dei loro centri di comando, controllo e comunicazione; delle infrastrutture logistiche; dei sistemi di riconoscimento, intelligence, sorveglianza, ecc.”, conclude il manuale operativo di U.S. Army. “I comandi e i centri di controllo preposti alle operazioni d’attacco riceveranno da JTAGS le informazioni sui punti e i tempi di lancio in modo da facilitare la pianificazione e l’esecuzione delle missioni di fuoco e di altre missioni offensive (strike aerei o da parte delle forze operative)”. (4)
Per anni l’unica stazione terrestre del sistema JTAGS presente nel teatro europeo ha operato dalla base USA “Kelley Barracks” di Stoccarda (Germania); a fine 2018 essa è stata trasferita a Sigonella “per accrescere le capacità di pronto allarme missilistico”, come ha sottolineato il generale Daniel L. Karbler, comandante delle forze spaziali di U.S. Army, nel corso di un’audizione al Congresso degli Stati Uniti d’America. (5) Secondo quanto dichiarato dall’allora Comandante generale per la difesa missilistica strategica e spaziale, il generale David L. Mann, per “ricollocare” a NAS Sigonella la stazione JTAGS, le autorità militari USA “hanno ottenuto nel 2016 il sostegno del Governo d’Italia”. Come è quasi sempre accaduto nelle relazioni militari tra Roma e Washington, non c’è però traccia nel nostro Paese delle autorizzazioni al trasferimento in Sicilia del sistema di “allerta missilistica” e di “difesa attiva” delle forze spaziali USA. Nel 2016 presidente del Consiglio era Mattero Renzi (Pd, poi Italia Viva), ministra della difesa Roberta Pinotti (Pd). (6)
L’installazione JTAGS all’interno della grande stazione navale siciliana è costata 1.850.000 dollari (un centro di comando, controllo e processamento delle informazioni ospitato in un nuovo edificio con una superficie di 500 metri quadri e un’area recintata con tre antenne di telecomunicazione satellitare del diametro di 4,5 metri). La cerimonia di attivazione del Joint Tactical Ground Station (JTAGS) Alpha Detachment, 1st Space Company, 1st Space Battalion si è svolta a Sigonella il 6 febbraio 2020 alla presenza del colonnello Eric Little, comandante della 1st Space Brigade. “La ricollocazione della stazione JTAGS è stata dettata dalla necessità di avvantaggiarsi delle nuove tecnologie acquisite fornendo un’efficacia vitale e operativa nelle capacità di pronto allarme missilistico ad EUCOM, il Comando delle forze armate USA in Europa”, dichiarava per l’occasione il capitano Dustin Mondloch, comandante del Distaccamento Alfa. “Gli operatori della JTAGS elaborano i dati ricevuti da diversi satelliti a raggi infrarossi (Overhead Persistent Infrared o OPIR) e diffondono avvisi di allerta missilistica o messaggi d’intelligence ai soldati, fornendo supporto ai comandanti regionali nell’ambito di più sistemi di comunicazione operativi. Con la nuova stazione a Sigonella si ottimizza il funzionamento e la missione del network satellitare a raggi infrarossi (…) La nuova facility utilizza il sistema JTAGS Block II che ha aumentato la capacità di rilevare e segnalare l’attività dei satelliti OPIR”. (7)
Intanto le Star Wars sono tornate ad essere al centro delle strategie di supremazia bellica del Pentagono nel confronto-scontro con Russia e Cina. Il 2 maggio 2023, incontrando i membri delle commissioni Difesa del Congresso, il vicesegretario di U.S. Air Force, Frank Calvelli (con delega alle acquisizioni dei nuovi programmi spaziali) e il generale David D. Thompson (vicecapo per le Operazioni spaziali USA), hanno spiegato le ragioni e le finalità della corsa al riarmo stellare. “Il nostro ambiente spaziale continua a divenire sempre più contrastato, congestionato e competitivo”, hanno esordito Calvelli e Thompson. “Abbiamo assistito ad una crescita esponenziale nelle attività spaziali, incluse le minacce contro-spaziali (counter-space threats) da parte dei nostri competitori strategici, specificatamente Cina e Russia, che continuano ad ottenere significativi vantaggi in ambito spaziale minacciando la nostra libertà di movimento e rendendo sempre più critica la nostra capacità di mantenere il vantaggio strategico”.
“La crescita dei test distruttivi antisatellite, le dimostrazioni di missili ipersonici e manovrabili e una serie di comportamenti pericolosi da parte dei nostri competitori strategici richiedono che il Dipartimento delle forze aeree e spaziali USA si prepari a proteggere e difendere i nostri interessi di sicurezza nazionale nello spazio attraverso un insieme di capacità spaziali resilienti, affidabili e capaci”, hanno aggiunto il vicesegretario Frank Calvelli e il generale David D. Thompson. Per contrastare le “minacce spaziali” russo-cinesi, nell’ultimo triennio il Pentagono ha puntato alla radicale trasformazione dei reparti preposti alle Star Wars, potenziando le attività addestrative delle “forze spaziali di pronto intervento”, acquisendo nuove attrezzature “per prevalere in una guerra” e ampliando le opportunità di cooperazione della Space Force con alcuni partner internazionali. (8)
Il 25 aprile 2023 il presidente Biden ha approvato in via definitiva l’Unified Command Plan predisposto dal Dipartimento della difesa con cui sono state trasferite tutte le responsabilità della “difesa missilistica” dall’U.S. Strategic Command all’U.S. Space Command. (9) Enormi risorse finanziarie del bilancio di spesa 2024 sono state destinate al settore spaziale militare: 33,3 miliardi di dollari con una crescita del +15% rispetto all’anno precedente. In particolare il budget predisposto dall’amministrazione USA include 5 miliardi di dollari per l’acquisto di ulteriori sistemi di “allarme” e “tracciamento” missilistico; 1,3 miliardi per lo sviluppo di una nuova generazione di sistemi di controllo operativo per GPS; 3 miliardi per 15 velivoli di lancio; 4,7 miliardi per un nuovo sistema di comunicazioni satellitari “protette e resistenti ai blocchi”. (10)
Ancora una volta grandissimi affari per le holding del complesso militare-industriale (Lockheed Martin e Northrop Grumman in testa) mentre l’umanità fa un ulteriore passo in avanti verso il baratro dell’apocalisse atomica. Pagine Esteri
Note:
1) dvidshub.net/news/457523/us-sp…
2) airandspaceforces.com/space-fo….
3) buckley.spaceforce.mil/News/Ar…
4) everyspec.com/ARMY/FM-Field-Ma…
5) armed-services.senate.gov/imo/…
6) antoniomazzeoblog.blogspot.com…
7) issuu.com/nas_sigonella/docs/7…
8) armed-services.senate.gov/imo/…
9) spacecom.mil/Newsroom/News/Art…
10) defense.gov/News/News-Stories/…
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Alla seconda giornata del JOB&Orienta vi aspettiamo con tante novità e con gli altri tre...
Alla seconda giornata del JOB&Orienta vi aspettiamo con tante novità e con gli altri tre eventi del MIM in programma:
📌 La nuova filiera tecnico-professionale. Qui la diretta dalle ore 11 ▶️ joborienta.
Ministero dell'Istruzione
Alla seconda giornata del JOB&Orienta vi aspettiamo con tante novità e con gli altri tre eventi del MIM in programma: 📌 La nuova filiera tecnico-professionale. Qui la diretta dalle ore 11 ▶️ https://www.joborienta.Telegram
Rafforzare l’industria ucraina della difesa. L’iniziativa della Casa Bianca
Il governo degli Stati Uniti ospiterà una conferenza dedicata al potenziamento dell’industria della difesa ucraina e all’impegno Usa verso il suo potenziamento ulteriore. La due-giorni, definita Ukraine defense industrial base conference, si terrà tra il 6 e 7 dicembre, e riunirà i rappresentanti dell’industria e del governo statunitensi e ucraini al fine di esplorare le opportunità di partnership e altre forme di cooperazione industriale in Ucraina. A darne notizia è stata la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Adrienne Watson, che ha presentato l’iniziativa come parte degli sforzi del governo statunitense per aumentare in modo significativo la produzione di armi per sostenere lo sforzo ucraino di difesa contro l’aggressione russa.
Ukraine defense industrial base conference
La conferenza ospiterà i rappresentanti del Consiglio di sicurezza nazionale e dei dipartimenti del Commercio, della Difesa e di Stato degli Stati Uniti, nonché le controparti ucraine dell’ufficio del presidente e dei ministeri della Difesa, dell’Industria strategica e degli Affari esteri. Con questa iniziativa Washington intende rafforzare l’impegno a lungo termine degli Stati Uniti nei confronti della base industriale della difesa ucraina e della ripresa economica di Kiev. Sarà anche un modo per dimostrare l’impegno congiunto degli Stati Uniti a rafforzare la cooperazione industriale, degli armamenti e della sicurezza tra le due nazioni. Andriy Yermak, capo di gabinetto del presidente ucraino, ha descritto la conferenza come un “evento molto importante” a cui parteciperanno i principali operatori del settore della difesa. Anche lo stesso Volodymyr Zelenskiy ha commentato positivamente l’iniziativa, sottolineando come qualsiasi progetto che lavori per una produzione industriale congiunta “rafforzerebbe senza dubbio sia gli americani che gli ucraini, così come gli altri nostri partner”.
La posizione di Kyiv
L’iniziativa fa seguito al Forum internazionale delle industrie della Difesa ospitato dall’Ucraina il 29 settembre scorso, quando Kyiv invitò sul suo territorio le aziende straniere. Uno degli obiettivi ucraini è infatti garantirsi un adeguato livello industriale nazionale che possa far fronte alle proprie necessità, senza per forza doversi basare sugli aiuti stranieri, bypassando in particolare l’intermediazione necessaria con i governi esteri e le rigidità legali che caratterizzano tutti i regimi di esportazione di materiale d’armamento. Un modo per velocizzare il processo di procurement degli strumenti necessari per le proprie Forze armate e diventando, contemporaneamente, anche meno suscettibili da potenziali cambi di idea da parte dei governi stranieri. Una misura di prudenza necessaria per un Paesi la cui sopravvivenza è garantita da un adeguato livello di sistemi d’arma a disposizione.
Rafforzare la base industriale
In generale, Kyiv sta intensificando i propri sforzi per produrre da sola le sue armi, decisione che fa seguito alle preoccupazioni che le forniture dall’Occidente possano vacillare o sospendersi. Non è solo una questione di relazioni tra i vari Paesi e Kiev, ma anche il riconoscimento che i Paesi europei devono far fronte essi stessi alla propria difesa, e potrebbero essere riluttanti a cedere ulteriore materiale qualora venisse raggiunta una quota critica minima per la propria architettura difensiva. L’Ucraina, inoltre, spera che potenziali joint venture con i produttori internazionali di armamenti possano contribuire a rilanciare la propria industria nazionale.
Difesa. Mariani promuove il Dpp, ma attenzione a tempi e investimenti
Industria e Forze armate devono essere sempre più un sistema finalizzato a soddisfare le necessità di difesa del Paese e anche ad avare un impatto positivo in termini di economici, di occupazione e di sviluppo tecnologico. Questo il tema centrale dell’intervento del condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani, fatto nel corso dell’audizione in commissione Difesa della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame del Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2023-2025. “I contenuti del Documento – ha detto Mariani – sono del tutto coerenti con i nostri intenti strategici”. In particolare, il manager del gruppo di piazza Monte Grappa ha registrato con soddisfazione l’aumento di disponibilità di cassa di quasi il 50% rispetto ai Dpp precedenti “È un’ottima notizia, una presa di coscienza comune che i programmi che partono vanno avanti”. La preoccupazione, infatti, deriva dal fatto che negli anni passati si erano messi in discussione la continuazione di programmi già lanciati.
Il nuovo Dpp
Altro elemento positivo rimarcato da Mariani è la garanzia di stabilità per la programmazione dovuto alla pianificazione per tutto il periodo. Nei precedenti Dpp, infatti, dopo un incremento di risorse per il primo e il secondo anno, era mancata una pianificazione per il terzo. Nel 2022 questa mancanza aveva riguardato già il secondo anno. “Invece – ha detto il manager – in questo caso c’è un incremento di livello dagli otto miliardi che cresce fino a 8,7 nell’arco del triennio fino al 2025”. Più in generale, ha riscontrato il condirettore generale, il Dpp vede un incremento importante di finanziamento per quanto riguarda la funzione Difesa, che passa da 13,8 miliardi a 19,6. A interessare in particolare Mariani è, però, come questi fondi andranno spesi, tra personale, esercizio e investimenti, con piani precedenti “fortemente sbilanciati sul personale con un sottofinanziamento della parte investimento ed esercizio”. Con questo nuovo Dpp, invece, “l’esercizio aumenta del 50% e l’investimento aumenta quasi del 300%” raggiungendo quella ripartizione 50:25:25 nei tre settori auspicata da tempo.
Tempi, budget ed export
Ma oltre ai fondi è importante porre attenzione ai tempi nei quali approvare il Documento. Al suo interno, infatti, sono presenti anche i programmi di previsto avvio, per i quali c’è la possibilità di farli partire entro l’anno: “Se il documento arriva a giugno i programmi dell’anno partono – ha sottolineato Mariani – con il risultato che dall’anno successivo cominciano a fatturare e incassare”. Quando, invece, arriva a novembre “di fatto si perde un anno sul lancio dei nuovi programmi”. Per il manager, dunque, il Dpp dovrebbe servire “ad alimentare la legge di Bilancio; farlo in parallelo potrebbe creare anche qualche problema”. Una questione che si lega fortemente anche all’aspetto delle esportazioni. “Nel settore della difesa ci sono chiari segnali di una nuova stagione di consolidamento industriale a livello europeo” ha sottolineato Mariani, aggiungendo come, se l’Italia intende partecipare a questi nuovi trend da protagonista, sia necessario avere da parte una “dote di programmi industriali”.
Programmi aeronautici
Tra questi, spiccano in particolare i programmi aeronautici, sia in corso che futuri, che avranno e hanno bisogno di sforzi per essere avviati e mantenuti. Tra questi, Mariani ha citato come vitale per l’industria nazionale quello dell’Eurofighter: “Ci sono aree che senza l’Eurofighter avrebbero una crisi importante a livello industriale. È, inoltre, un sistema che ha dato soddisfazioni enormi all’estero”. Tra quelli futuri, invece, spicca ovviamente il sistema aereo di sesta generazione portato avanti da Italia, Regno Unito e Giappone, il Global combact air programme (Gcap). “I primi contratti già stanno fluendo e questo finanziamento ulteriore previsto dal dpp metterebbe al sicuro la prima fase di sviluppo del programma”, ha commentato Mariani, sottolineando come “nessuna delle tre Nazioni è in grado di farcela da sola, e quindi è importantissimo che venga finanziato ed importante dimostrare che possiamo essere paritetici”.
Equilibrio import-export
Tra le criticità ravvisate dal condirettore generale di Leonardo, tuttavia, spicca il fatto che ancora una quota consistente dei fondi è spesa all’estero. “Non c’è nulla di male nell’acquistare del materiale in particolare dagli Usa – ha detto Mariani – l’unica cosa è che con un’attenta pianificazione, associata a una politica industriale che oggi esiste, ci si può pensare prima e si può arrivare con qualche anno di anticipo a definire che serve qualcosa che oggi l’industria non ha”. Una soluzione proposta dal manager è quella di stabilire se l’industria nazionale sia in grado di sviluppare, e in che modi e tempi. Altrimenti se “non la possiamo sviluppare da soli, ma serve una collaborazione, si può andare a un ritorno di offset o si può anche arrivare a decidere di comprare all’estero”. Il punto ha però sottolineato Mariani, è che comprare all’estero “non si può pensare che non abbia conseguenze” fosse anche solo perché “le Forze armate si ritrovano un sistema che hanno difficoltà a manutenere”.
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News da Marte #23 | Coelum Astronomia
"Ricapitoliamo le esplorazioni che Curiosity, Perseverance e Ingenuity hanno svolto in quest’ultimo mese. C’è poi una significativa interferenza nelle attività dovuta all’attuale posizione di Marte in cielo. Si parte!"
Giuliano Guzzo: maschio, bianco, etero & cattolico colpevole di tutto
Questo è il giovane vicentino Giuliano Guzzo, travestito da promotore finanziario di successo con tanto di orologione regalato per la cresima o, più, probabilmente, preso in prestito da qualche parente ricco sul serio visto che lui "lavora" come vicegazzettiere a "La Verità" dove non è detto gli emolumenti siano principeschi.
Prima però si è laureato con una tesi in filosofia del diritto, materia frequentatissima dagli spiriti ingegnosi.
Così conciato, Giuliano ha pubblicato un libro sulla cui copertina si è fatto previdentemente ritrarre già in manette.
A metà novembre 2023 nel paese di Vigonovo -in una zona non nuova ad episodi efferati- si è consumato un delitto piuttosto odioso. In poche ore sono comparsi sul web molti e ingegnosi contenuti diversivi, soprattutto ad opera del milieu di micropolitici "occidentalisti" e relative gazzettine e di account più o meno anonimi che sporcano ovunque con l'agenda politica "occidentalista".
Solo che stavolta il colpevole è venuto su a bigoli e sarde in saor e ha condotto un'esistenza da perfetto rappresentante dei "valori" occidentali.
Difficile pensare di poter ribaltare il tavolo.
Spagna: l’estrema destra esulta per Milei e tenta la spallata di piazza
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Lo spoglio per le presidenziali argentine non si era ancora concluso che il leader dell’estrema destra spagnola Santiago Abascal è corso a complimentarsi con il leader de “La Libertad Avanza”, il turbocapitalista argentino Javier Milei. «Oggi si apre un cammino di futuro e speranza per gli argentini e per tutta l’Iberoamerica e noi in Spagna esultiamo con particolare allegria» ha scritto su X il presidente di Vox, aggiungendo «Viva la Spagna e viva l’Argentina libere dal socialismo e sovrane!».
Da tempo Vox ha intessuto relazioni privilegiate con l’estrema destra latinoamericana, in nome dell’anticomunismo e del contrasto alle forze popolari che negli ultimi anni hanno riconquistato il potere in alcuni paesi del Cono Sur.Ora Abascal spera che il trionfo del “loco” a Buenos Aires si trasformi in un’onda in grado di attraversare presto l’Atlantico per spazzare via il governo di Pedro Sánchez, appena confermato primo ministro dopo trattative durate 171 giorni.
«Sánchez dittatore»
Giunto secondo alle elezioni del 23 luglio, il leader socialista è riuscito a comporre una maggioranza in parlamento – 179 voti contro i 171 raggranellati dalle destre – ottenendo il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani e galiziani. Per conquistare gli indispensabili voti degli indipendentisti di Esquerra Republicana e di Junts, il leader socialista ha dovuto promettere una legge per amnistiare circa 400 tra dirigenti politici e attivisti processati per il loro ruolo nella celebrazione del referendum per l’autodeterminazione della Catalogna del 2017. Poco importa che grazie al provvedimento cadranno le accuse anche nei confronti di decine di poliziotti sotto inchiesta per le violenze nei confronti degli elettori e dei manifestanti catalani. Per le destre spagnole quella di Sánchez è una duplice colpa intollerabile: governare nonostante la sconfitta alle elezioni nelle quali il PP è arrivato in testa, e grazie all’amnistia concessa ai “separatisti” che attenterebbe all’unità della patria e legittimerebbe nuove spinte indipendentiste.
E così contro Sánchez – che slogan, striscioni e cartelli definiscono “usurpatore”, “dittatore” e “vendipatria” – le piazze hanno cominciato a ribollire mesi fa, quando le trattative per la formazione del nuovo esecutivo erano ancora agli inizi e la legge per l’amnistia solo una bozza.
Quando il Partito Popolare e Vox hanno capito che in Parlamento non avrebbero trovato appoggi sufficienti a governare – dopo i no dei nazionalisti di centro-destra baschi e delle Canarie – hanno fatto appello alla spallata dalla piazza e hanno mobilitato i governi locali e i loro addentellati nello “stato profondo”.
Le piazze e le strade hanno cominciato a riempirsi molto gradualmente – con numeri a lungo non proprio esaltanti per due formazioni che insieme sommano il 45% dei voti – e man mano che si avvicinava il 16 novembre, quando Sánchez ha incassato la fiducia, la tensione è salita a livelli parossistici.
L’assedio alla sede del Psoe di Madrid
L’assedio ai socialisti
A farne le spese è stato anche il sovrano, Filippo VI, accusato di passività se non di complicità con i misfatti in corso alla Moncloa; per questo molti manifestanti hanno sventolato bandiere spagnole dalle quali era stato asportato, lasciando un consistente buco, lo stemma che raffigura i regni di Castiglia, Aragona, León, Navarra e Granada riuniti sotto il dominio spagnolo a partire dal XV secolo. I più fiduciosi, invece, si aspettano che il re non firmi la legge di amnistia nel caso dovesse passare l’esame delle camere.
Da quasi tre settimane migliaia di militanti delle formazioni di destra ed estrema destra, circondati da “elettori indignati” e da un’umanità quanto mai varia, assediano la sede statale del Partito Socialista a Madrid. In Calle Ferraz ogni sera va in scena un folkloristico ma non meno inquietante mix di complottismo, neofascismo, nostalgie franchiste, fondamentalismo cattolico e suggestioni trumpiane.
Nell’assedio convivono spezzoni diversi non sempre tra loro amichevoli. Si sono visti capannelli recitare “rosari per la salvezza della Spagna”; giovani palestrati scagliarsi contro i cordoni di polizia colpevoli di non unirsi alla sacra lotta contro i “nemici della Spagna”; pensionate in ghingheri inveire al grido di «Puigdemont (l’ex leader catalano attualmente in esilio) in prigione»; cinquantenni illustrare strampalate teorie negazioniste sul Covid e sul cambiamento climatico o denunciare i piani del governo per la sostituzione etnica.
Il fronte reazionario ha convocato molte altre manifestazioni, sia locali che nazionali. L’ultima e più numerosa ha riunito a Madrid, sabato scorso, più di 200 mila persone. Ma sono soprattutto gli assedi alle sedi socialiste, soprattutto a quella madrilena, a rappresentare il palcoscenico e la palestra dove le varie anime organizzate della protesta mostrano i muscoli e tentano di accrescere credibilità e consensi.
Santiago Abascal e Tucker Carlson a calle Ferraz
La regia di Vox
A mettersi abilmente in mostra è stato soprattutto Vox, presente in forze sia con i propri dirigenti nazionali e locali, sia con decine di sigle – a volte reali, spesso fantasma – utili a pescare in ambiti diversi e a dare la sensazione dell’espansione del partito in tutti i settori indignati dal ritorno dei “rossi” a braccetto con i “separatisti”. Seppure a malincuore e in netto ritardo, il leader dei Popolari Núñez Feijóo ha dovuto ad un certo punto prendere le distanze dalle intemperanze violente di parte della piazza, perdendo appeal e lasciando campo libero alla sua destra. E così Vox – pure indebolito dalle lotte intestine tra le diverse correnti – ha conquistato il proscenio, utilizzando abilmente alcune sue emanazioni per dare la sensazione di un partito che si mette a disposizione, al servizio di una protesta corale e spontanea della società civile e delle associazioni degli “spagnoli per bene” contro il «colpo di stato ordito da Sánchez».
Questa strategia ha quindi proiettato in primo piano “Revuelta”, che si definisce “movimento giovanile contro il separatismo, la corruzione, le politiche contro la famiglia”. Si tratta di una sigla finora sconosciuta e fantasma, che non è però difficile ricondurre proprio a Vox e ad altri soggetti dell’arcipelago reazionario interni o orbitanti attorno al partito di Abascal. Tra questi c’è “Plataforma 711” (dall’anno della conquista araba e islamica della penisola iberica), dedita prima alla vendita di merchandising identitario e poi ad animare un’associazione universitaria di ultradestra “vicina” a Vox. Altre sigle utilizzate, come la Fundación Disenso e la Fundación Danaes, invece, sono riconducibili direttamente ad Abascal, come d’altronde il sindacato “Solidaridad” che per il 24 novembre ha indetto nientemeno che uno “sciopero generale”, forte del suo 0,1% di rappresentatività tra i delegati dei lavoratori.
Neonazisti, franchisti, integralisti cattolici e complottisti
Attorno e dentro la rete intessuta da Vox si muovono, come detto, i membri dei circoli fondamentalisti cattolici ed evangelici e soprattutto i militanti dei gruppi e dei partiti esplicitamente neofascisti e neonazisti, a capo spesso delle curve calcistiche più violente e addestrati a menare le mani. Sono loro – insieme ai militanti più scalmanati di Vox – ad animare le serate in calle Ferraz innalzando bambole gonfiabili, cantando inni franchisti – il “Cara al sol” è il più gettonato – e inveendo contro “i froci” e i “traditori” al governo.
L’elenco di sigle, alcune delle possono contare su migliaia di militanti e su finanziatori generosi, è lunga. La più consistente è forse “Democracia Nacional”, che si ispira a Roberto Fiore e alla sua Forza Nuova ed ha velleità elettorali. Poi ci sono Hogar Social, che invece scimmiotta Casapound; i tradizionalisti cattolici omofobi e transfobici di Hazte Oír; i nostalgici delle varie Falangi; gli xenofobi di “España 2000″, esperti nel conquistare i finanziamenti pubblici; gli escursionisti di “FACTA”, ammiratori del Terzo Reich e di Alba Dorata; i suprematisti islamofobi di “Hacer Nación”. Tutti giocano le loro carte per emergere come forza egemone della “riscossa nazionale”, e alcuni di strappare a Vox consensi elettorali tali da permettergli di accedere alle istituzioni.
Non mancano, in piazza, militari e agenti di polizia. D’altronde subito dopo la fiducia accordata dalle Cortes a Sánchez, 51 ufficiali in congedo delle forze armate hanno esplicitamente invitato l’esercito spagnolo a destituire l’esecutivo per ristabilire la legalità; giorni prima non erano mancati i pronunciamenti contro il nuovo governo da parte di associazioni di magistrati e di agenti della Guardia Civil (la polizia militarizzata).
Santiago Abascal insieme a Javier Milei
La strategia trumpiana
A unificare e ad amplificare il caotico magma all’interno del quale si muovono le varie sigle e le varie correnti ideologiche, una strategia politica e comunicativa apertamente “trumpiana” (o “bolsonariana”) che descrive gli avversari di centro-sinistra e sinistra come nemici interni che si sarebbero impossessati illegittimamente del potere. Di qui i continui appelli a trasformare l’indignazione in mobilitazione, a cacciare gli usurpatori e ad occupare le sedi istituzionali.
Non a caso ai movimentati happening di calle Ferraz è stato invitato a partecipare anche l’ex anchorman di Fox News Tucker Carlson, grande amico di Abascal e tra i principali diffusori di fake news sui presunti brogli dei Democratici alle elezioni statunitensi del 2020.
Finora in Spagna non si è concretizzata la replica dell’occupazione del Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 da parte della alt-right americana o del più recente assalto al Congresso nazionale di Brasilia. Eppure, per quanto la situazione politica e sociale spagnola differisca da quella di oltreoceano, il rischio di un’esplosione di violenza anche a Madrid non è trascurabile, al di là delle intenzioni dei principali organizzatori del “Noviembre Nacional”, come alcuni tra i promotori hanno definito il lungo assedio alla sede statale del PSOE. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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GAZA. 12 uccisi nell’ospedale indonesiano, morti e feriti a Jabaliya
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della redazione
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l’ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Lo denunciano fonti della struttura sanitaria situata nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono stati commenti sino ad ora da parte dell’esercito israeliano sui colpi contro l’ospedale dove si trovano ancora 700 pazienti insieme al personale medico.
L’agenzia di stampa palestinese WAFA riferisce che la struttura nella città di Beit Lahia è stata colpita da colpi di artiglieria e che ci sono stati sforzi frenetici per evacuare i civili in pericolo. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale indonesiano ha in gran parte cessato le attività, ma continua a ospitare pazienti, personale e residenti sfollati.
L’Indonesia ha condannato “l’attacco di Israele all’ospedale” istituito con suoi finanziamenti, aggoiungendo che lo Stato ebraico ha violato le leggi umanitarie internazionali. Israele sostiene che le sue forze a Gaza attaccano “infrastrutture terroristiche” e ha ordinato l’evacuazione totale del nord, dove però rimangono ancora migliaia di civili, molti dei quali si rifugiano negli ospedali.
Israele non cessa la sua offensiva di terra.
Violenti scontri a fuoco tra militanti armati di Hamas e forze israeliane sono in corso anche nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, in cui vivono 100.000 rifugiati palestinesi. Israele lo considera “un’importante roccaforte militante”. I ripetuti bombardamenti israeliani di Jabalia hanno ucciso molte decine di civili nelle ultime settimane. Video mostrano attacchi aerei e truppe che vanno casa per casa.
Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza sotto l’assedio israeliano che dura da sei settimane. Nel sud, dove si stanno rifugiando centinaia di migliaia di sfollati dal nord, almeno 14 palestinesi sono stati uccisi in due attacchi israeliani contro case a Rafah, secondo le autorità sanitarie di Gaza.
Oggi un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dallo Shifa, il più grande ospedale di Gaza, sono stati portati in Egitto per cure urgenti. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state messe fuori uso a causa del collasso dei servizi medici durante l’assalto militare israeliano a Gaza City.
Le forze israeliane hanno sequestrato lo Shifa la settimana scorsa per cercare “una rete di tunnel di Hamas” sotto l’ospedale. Centinaia di pazienti, personale medico e sfollati lo hanno lasciato nel fine settimana. I medici hanno denunciato di essere stati espulsi dalle truppe. Secondo Israele le partenze sono state volontarie. Pagine esteri
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