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La notte di Samain.
Il culto dei morti nelle valli di Lanzo.
noblogo.org/i-viaggi-di-bigoul…


La notte di Samain, Il culto dei morti


La-notte-di-Samain-Il-culto-dei-morti

Ah, miei cari amici, avvicinatevi al fuoco scoppiettante, perché Bigoulin ha storie antiche da narrarvi, storie che danzano tra le ombre delle notti di inizio novembre, proprio come le foglie rosse che turbinano nel vento.

Sapete, questo tempo in cui l'aria si fa frizzante e le prime nevi imbiancano le cime delle nostre amate Valli di Lanzo, non è un tempo qualunque. I nostri avi, genti antiche come le pietre su cui sedete, lo chiamavano un tempo di passaggio, un confine sottile tra la stagione calda e quella fredda. Per i Celti, i nostri più lontani antenati, questo era il tempo di Samain, la fine dell'estate, un momento sacro che segnava anche l'inizio del loro nuovo anno. Era una notte speciale, una notte al di fuori del tempo, in cui si diceva che il velo tra il nostro mondo e l'Altro Mondo, la terra degli spiriti, si facesse sottile come una tela di ragno.

In quella notte magica, si credeva che le porte dell'A̓ltro Mondo si aprissero e che sia i vivi che i morti potessero passare da una parte all'altra. I nostri antenati pensavano che le anime dei loro cari defunti tornassero alle case, desiderose di scaldarsi al fuoco e di ristorarsi con i cibi preparati per loro. Ecco perché, ancora oggi nelle nostre valli, molti lasciano una cena imbandita per i trapassati, con la minestra di cavoli a Traves, la manesti con il lardo a Castagnole, o la tavola apparecchiata con castagne e pane a Pugnetto. Si lascia l'uscio socchiuso, sapete, perché i loro spiriti possano entrare senza difficoltà.

Ma Samain non era solo un tempo di accoglienza per i defunti. Era anche un periodo avvolto nel mistero, in cui si narrava che le forze della magia si risvegliassero e che strane creature vagassero nell'oscurità. Si raccontava di processioni di anime, i coòrs dij mort, che percorrevano le valli silenziose per poi svanire con le prime luci dell'alba. Persino lassù, verso Mondrone, si diceva che gli abitanti vedessero snodarsi, nella notte tra l'uno e il due novembre, la processione delle anime con i loro lumi accesi.

Vedete, cari miei, le antiche credenze dei nostri avi si sono mescolate nel tempo con la fede cristiana. La festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti sono arrivate poi, portando con sé nuove preghiere e riti. Ma nel cuore delle nostre tradizioni, sentiamo ancora l'eco di quel lontano Samain, di quel tempo in cui vivi e morti si sentivano più vicini.

Ancora oggi, in queste notti di inizio novembre nelle nostre Valli di Lanzo, si respira un'aria di sacra attesa, un ricordo di quel legame profondo che ci unisce a coloro che non sono più con noi, proprio come ci racconta quel bel libro de Il segno dei giorni. E così, mentre il vento ulula fuori e le ombre danzano, noi onoriamo i nostri morti, ricordando le antiche storie che ci legano indissolubilmente al passato. Questa è la magia di queste notti, miei cari, una magia antica come le montagne che ci proteggono.


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La Notte della Fame Eterna


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La-Notte-della-Fame-Eterna.jpg

Sono Bigoulìn, e il mio mestiere è ricordare. Ogni anno, quando l’aria si fa tagliente come il bordo di un cristallo di ghiaccio, so che l’inverno si avvicina. Ma soprattutto so che si avvicina la notte di Samain: il momento più pericoloso e affascinante dell’anno, quando il confine tra il mio mondo – quello della fantasia e dei racconti – e il vostro, che chiamate “reale”, diventa sottile come carta velina. Il mio terrore più grande è l’oblio, perché io esisto solo se qualcuno mi immagina o narra le mie avventure. E in queste valli, le Valli di Lanzo, ho sentito un freddo che non veniva dal clima, ma da un silenzio innaturale. Un vuoto che minaccia l’immaginazione.

Il viaggio


Ero in Val d’Ala. I miei robusti scarponi mi portavano lungo i sentieri, mentre stringevo il bastone da viaggio. La sera del primo novembre era calata, e le nuvole basse avvolgevano le creste come sudari. Era il giorno in cui, secondo la tradizione, le anime dei defunti tornano alle loro case per trovare calore e ristoro. Ma quell’anno qualcosa non andava. Normalmente, l’odore acre del fumo si mescolava al profumo dolce delle caldarroste (testagne brusataje), preparate e lasciate sul tavolo per i trapassati. Invece, sentivo solo l’odore dell’abbandono. Troppe case moderne tenevano gli usci serrati, senza lasciare socchiusa la porta per far entrare gli antenati, come si usava a Traves. L’oblio, il mio nemico, non è solo dimenticare una persona: è dimenticare il rito, il mistero. Se i vivi smettono di onorare il passaggio dei morti, il mondo del sidh (l’Aldilà), che per i Celti è un luogo di pace, rischia di rimanere intrappolato in una malinconia senza fine. Il mio zaino con la lanterna era pesante, ma il cuore lo era di più. Dovevo trovare il punto in cui la paura dell’ignoto aveva interrotto il rituale, prima che la processione delle anime si trasformasse in qualcosa di molto peggio. Nelle Valli si parla di li coòrs dij mort, un corteo di fantasmi che cammina lungo i crinali. Mi incamminai verso la strada vecchia, la strà ‘d pera, sotto Mondrone, dove un tempo gli abitanti vedevano snodarsi la processione delle anime con i lumi accesi. Dovevo agire da Custode della Meraviglia.

L’incontro


Il paesaggio era silenzioso. Troppo silenzioso. Neppure il cloch del mio acciarino, con cui accendevo la lanterna, sembrava abbastanza forte da rompere quel velo di terrore. All’improvviso, un rumore. Non un passo, non un lamento: un pesante raschiare sul granito. Mi nascosi dietro una roccia, lo sguardo fisso nell’oscurità. Ero solo un ragazzo, armato soltanto di curiosità e coraggio. Poi una voce roca e fredda: «Ooooh, che fret!». Rabbrividii. Era l’eco della leggenda dell’Alpe Grosso: il pastore che, invitando lo sconosciuto a scaldarsi, aveva visto cadere dal tetto prima una gamba, poi un pezzo di corpo, fino a che la Morte in persona si era ricomposta. La voce si ripeté, più vicina. Stava cercando un corpo caldo, un vivente. Non risposi. Sapevo che, se mi fossi mosso o avessi parlato, la Morte mi avrebbe riconosciuto. E il suo sguardo mi avrebbe condannato all’oblio eterno. Invece di fuggire, feci l’unica cosa che un Custode della Fantasia può fare: cercai l’enigma. Doveva esserci un tesoro, un segreto da rivelare, non solo orrore.

Il rito interrotto


La Morte, o l’essere che la imitava, avanzava lungo la strada di pietra. Sentii un mugolio: la processione dei defunti si era bloccata proprio lì. Non erano anime a spaventare, ma qualcosa che le aveva fermate. Dalla nebbia giunse un odore. Non di cripta o di muffa, ma di cibo: minestra, bruciato, acido. Avanzai silenziosamente, ricordando gli antichi rituali. I morti avevano bisogno di rifocillarsi. A Pugnetto lasciavano pane, polenta e una minestra di castagne già sbucciate, per non far perdere tempo ai trapassati. Cercai nella nebbia e trovai una pentola di rame rovesciata sulla strà ‘d pera. La minestra di cavoli, preparata per le anime, era andata perduta. Ma il vero orrore non era la Morte: era ciò che ripeteva, non più il lamento del freddo, ma la caccia del pastore: «Fium, fium, sinto l’audeu ‘d cristianum!». Sento l’odore di cristiano! Stava cercando di rubare l’anima di un vivente, come accadde al ragazzo di Mondrone. Io ero lì, un ragazzo di forse dodici anni, e sentivo la sua fame: una fame che non era di cibo, ma di vita.

La soluzione


Il mio compito non era combattere, ma risolvere l’enigma. Se avessi ripristinato il rituale, l’entità si sarebbe placata. Aprii lo zaino. Tirai fuori una manciata di castagne bollite – le avevo prese a Viù, sapendo che erano il cibo dei morti – e le sparsi sulla strada di pietra. Poi accesi la mia lanterna e la posai accanto al pasto simbolico. Il fuoco, anche quello piccolo della lanterna, è sacro: è calore per i morti che tornano a riscaldarsi. Quando la luce illuminò le castagne, l’aria vibrò. La voce gutturale si interruppe. Udii il suono di innumerevoli passi leggeri, come foglie secche su un sentiero. La processione, che si era fermata per la fame e la paura, ricominciò a muoversi. La Morte, che cercava il profumo della vita, si distrasse. Guardò il cibo lasciato in offerta, quel piccolo gesto di memoria. E in quel momento capii: la Morte era lì solo perché il rito era stato interrotto. La paura umana verso il mistero aveva spezzato l’antico patto.

Epilogo


Appena la processione riprese il suo mesto cammino verso la montagna, il frastuono cessò. Il silenzio tornò, ma questa volta era un silenzio di pace. La mia missione era compiuta: avevo ricordato a quei luoghi l’importanza della fantasia e della memoria. E finché le mie avventure saranno raccontate – la mia fuga dalla Morte e la risoluzione dell’enigma notturno con solo castagne e una lanterna – io non smetterò mai di esistere. Cercate sempre il mistero con coraggio e curiosità, anche quando l’aria si fa gelida. Io sarò lì.


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La notte di Samain, Il culto dei morti


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La-notte-di-Samain-Il-culto-dei-morti

Ah, miei cari amici, avvicinatevi al fuoco scoppiettante, perché Bigoulin ha storie antiche da narrarvi, storie che danzano tra le ombre delle notti di inizio novembre, proprio come le foglie rosse che turbinano nel vento.

Sapete, questo tempo in cui l'aria si fa frizzante e le prime nevi imbiancano le cime delle nostre amate Valli di Lanzo, non è un tempo qualunque. I nostri avi, genti antiche come le pietre su cui sedete, lo chiamavano un tempo di passaggio, un confine sottile tra la stagione calda e quella fredda. Per i Celti, i nostri più lontani antenati, questo era il tempo di Samain, la fine dell'estate, un momento sacro che segnava anche l'inizio del loro nuovo anno. Era una notte speciale, una notte al di fuori del tempo, in cui si diceva che il velo tra il nostro mondo e l'Altro Mondo, la terra degli spiriti, si facesse sottile come una tela di ragno.

In quella notte magica, si credeva che le porte dell'A̓ltro Mondo si aprissero e che sia i vivi che i morti potessero passare da una parte all'altra. I nostri antenati pensavano che le anime dei loro cari defunti tornassero alle case, desiderose di scaldarsi al fuoco e di ristorarsi con i cibi preparati per loro. Ecco perché, ancora oggi nelle nostre valli, molti lasciano una cena imbandita per i trapassati, con la minestra di cavoli a Traves, la manesti con il lardo a Castagnole, o la tavola apparecchiata con castagne e pane a Pugnetto. Si lascia l'uscio socchiuso, sapete, perché i loro spiriti possano entrare senza difficoltà.

Ma Samain non era solo un tempo di accoglienza per i defunti. Era anche un periodo avvolto nel mistero, in cui si narrava che le forze della magia si risvegliassero e che strane creature vagassero nell'oscurità. Si raccontava di processioni di anime, i coòrs dij mort, che percorrevano le valli silenziose per poi svanire con le prime luci dell'alba. Persino lassù, verso Mondrone, si diceva che gli abitanti vedessero snodarsi, nella notte tra l'uno e il due novembre, la processione delle anime con i loro lumi accesi.

Vedete, cari miei, le antiche credenze dei nostri avi si sono mescolate nel tempo con la fede cristiana. La festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti sono arrivate poi, portando con sé nuove preghiere e riti. Ma nel cuore delle nostre tradizioni, sentiamo ancora l'eco di quel lontano Samain, di quel tempo in cui vivi e morti si sentivano più vicini.

Ancora oggi, in queste notti di inizio novembre nelle nostre Valli di Lanzo, si respira un'aria di sacra attesa, un ricordo di quel legame profondo che ci unisce a coloro che non sono più con noi, proprio come ci racconta quel bel libro de Il segno dei giorni. E così, mentre il vento ulula fuori e le ombre danzano, noi onoriamo i nostri morti, ricordando le antiche storie che ci legano indissolubilmente al passato. Questa è la magia di queste notti, miei cari, una magia antica come le montagne che ci proteggono.


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Bigoulin e l’ombra del cavaliere


[h3][em](La leggenda del fantasma della Tesoriera di Torino)[/em][/h3] [img=https://i.postimg.cc/bwtC9wtk/Bigoulin-e-l-Ombra-del-Cavaliere.png]Bigoulin e l'ombra del cavaliere[/img] [...]

(La leggenda del fantasma della Tesoriera di Torino)


Bigoulin e l'ombra del cavaliere

Amici miei,

non tutte le avventure iniziano con un arcobaleno o un portale incantato. Alcune si insinuano tra le pieghe del tempo come nebbia tra gli alberi, silenziose e leggere. Così accadde quella notte, quando fui richiamato da una brezza che sapeva di foglie antiche e parole non dette.


Mi trovavo sul confine tra i mondi, pronto a varcare una soglia che mi avrebbe condotto in un luogo sospeso tra la storia e la leggenda: il parco della Tesoriera, a Torino.

Era tardi, l’aria carica di mistero. Alberi secolari gettavano ombre lunghe come racconti dimenticati, e i lampioni tremolavano, incerti se illuminare o nascondere. Appena giunto, seppi che qualcosa non andava: il silenzio era troppo perfetto.

Mi mossi con cautela lungo i sentieri, finché lo vidi.

Un cavaliere. Solo. Immobile. Il suo mantello nero bordato di rosso ondeggiava come se avesse vita propria. Non aveva occhi, o forse li teneva nascosti nell’oscurità del cappuccio. Sapevo chi era: l’antico tesoriere del re, condannato a vagare tra questi alberi per un peccato mai espiato.

Ma io non avevo paura. Perché io sono Bigoulin, e il mio compito è attraversare mondi e racconti, per dar voce a ciò che non osa più parlare.

Mi avvicinai. Il cavaliere si voltò, lentamente, come chi non vede un volto umano da secoli. E mi parlò.

“La mia colpa pesa ancora sul tempo… ma chi sei tu, che cammini tra i vivi e i morti?”

“Io ascolto le storie,” risposi. “E le porto alla luce, perché ogni ombra possa trovare il proprio giorno.”

Fu allora che, per la prima volta da secoli, il cavaliere chinò il capo. Dal suo petto, una luce fievole iniziò a brillare: era un medaglione. Al suo interno, la miniatura di una giovane donna.

“La mia amata… l’ho tradita per il potere. E da allora, non conosco riposo.”

Un soffio di vento attraversò il parco. E in quel momento, accanto a me, apparve una figura lieve, luminosa. La giovane ragazza che da anni aleggiava tra le sale della villa. Non disse nulla. Posò solo la mano sul petto del cavaliere.

Lui svanì, come fumo al sole del mattino.

Lei mi guardò e sorrise. Poi scomparve tra le fronde, libera.

E io… io rimasi lì, a contemplare il silenzio ritrovato.

Quando tornai nel mio mondo, portai con me il ricordo di quella notte. E ora, cari amici, lo condivido con voi. Così che sappiate: anche nei luoghi dove il Diavolo sembra aver piantato radici, a volte è l’amore — o il perdono — a chiudere il cerchio.



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Bigoulìn e la caccia al camoscio bianco


[img=https://i.postimg.cc/rpHKnbBK/Bigoulin-e-la-caccia-al-camoscio-bianco.png]Bigoulin-e-la-caccia-al-camoscio-bianco[/img] [...]

Bigoulin-e-la-caccia-al-camoscio-bianco

Mi chiamo Bigoulìn, il custode della fantasia.
Non mi meraviglio se non vi ricordate di me, poiché esisto solo se qualcuno racconta o immagina le mie avventure. Ma io ricordo bene la storia, l'ho vissuta in prima persona, anche se non come il protagonista. Ero un amico di vecchia data di Gioacchino, il cacciatore dell'alta Valle di Ala di Stura.

A vedermi, sembro un eterno ragazzo, forse tra i dieci e i tredici anni, con i capelli sempre spettinati e uno sguardo vivace. Gioacchino, che mi conosceva fin da bambino, mi rispettava e mi ascoltava come si ascolta un personaggio delle fiabe. Io, d’altro canto, ero un profondo conoscitore della natura e dei confini netti che la demarcano nell'ambiente montano. E sapevo che certi confini, come quelli tra il mondo reale e i rifugi di animali mitici o fantastici, non andavano superati.

Il guaio nacque lassù, sulle balze dell'Uia di Ciaramella.

Non ero con Gioacchino quando vide l'animale la prima volta, ma stavo esplorando i segreti della montagna. Siccome io posso comunicare con le creature naturali, e sentivo che qualcosa di oscuro e anomalo si muoveva tra le rocce.

Infatti, quando ci incontrammo in paese, Gioacchino mi raccontò di come aveva inseguito per ore quell'animale che sembrava volersi prendere gioco di lui. Era rimasto scosso e persino spaventato. Mi disse che si era fermato a mangiare, e che l'animale era tornato indietro, mettendosi in bella vista. Ricordo i suoi occhi sbarrati quando mi confessò: “È bianco! È un camoscio bianco! Può essere una creatura malefica... meglio lasciar perdere... me ne torno a casa”.

La paura, però, è il mio nemico simbolico. E purtroppo, quando Gioacchino tornò a casa con il carniere pieno di piccole prede, l'avidità di suo padre soffocò il suo timore.

“Non raccontare storie! Un'altra volta la zucca riempila d'acqua e non di grappa!” gli aveva risposto il vecchio. Ma Gioacchino insistette e quando confermò di aver visto il camoscio bianco, il padre si illuminò. Non gli importava che fossero circolate storie tristi sull'albino; vedeva solo carne da vendere e un trofeo raro da commerciare a Torino.

Intanto io ero rimasto in paese, sentendo il rischio che incombeva sull'anima del mio amico. Avrei voluto ricordargli l'importanza di preservare la bellezza e i segreti della natura, ma il padre aveva imposto la regola: il camoscio bianco andava ucciso, ma si poteva fare solo di domenica e tornare in paese in tempo per la messa.

Ero lì, in cima alla mulattiera, prima dell'alba della domenica, con le mie robuste scarpe da sentiero. Potevo viaggiare tra luoghi reali e luoghi magici, e sentivo che il confine stava per essere infranto. Ero li come osservatore, in quanto il mio ruolo prevede la risoluzione di misteri e rivelazioni.

Quando il primo raggio di sole illuminò il camoscio bianco, rimasi agghiacciato. Era proprio vero: un'immagine spettrale e Gioacchino pensava solo ai soldi.

“Eccoti, sei proprio bianco come una toma fresca,” lo sentii dire.

Gioacchino sparò. Due colpi in rapida successione, ma il camoscio riapparve più in alto, vivo e vegeto. Il mio amico lo inseguì esasperato, sparando a vuoto, mentre le ore volavano e il mezzogiorno si avvicinava. Io restavo indietro, pronto per ogni evenienza, curioso, ma anche terrorizzato: temevo che, se Gioacchino fosse caduto, l'oblio avrebbe inghiottito non solo la sua anima, ma forse anche la mia stessa esistenza.

Infine, Gioacchino sparò l'ultimo colpo, a distanza minima. Il camoscio cadde, colpito a morte. a quel punto il mio amico si caricò la preda sulle spalle per tornare in paese, ma le campane del mezzogiorno suonarono. La messa era finita. “Che Dio mi protegga!” disse.

Mentre Gioacchino si affrettava, mi resi conto che il peso dell'animale lo stava schiacciando inesorabilmente. Potevo percepire il male aumentare. “Basta, non ti reggo più. Pesi come il diavolo,” disse Gioacchino.

Appena buttò la preda a terra, una tremenda risata ruppe il silenzio. L’animale si rialzò da solo. Era successo: il mistero si era rivelato. Il camoscio bianco non era un animale, ma il diavolo, e lo fissava con uno sguardo fiammeggiante.

“Tu mi hai voluto portare fin qui e ora ti porterò io all'Inferno!!!” gli disse con una voce tonante.

Gioacchino invocò disperatamente San Giorgio, il suo protettore. In quel momento, ho assistito a un fatto strabiliante, una vera manifestazione della fantasia che io, Bigoulìn, custodisco. San Giorgio apparve con la sua corazza e la spada lucente.

Lo scontro fu rapido. “Non sarà tuo! Io lo proteggo!” urlò San Giorgio al diavolo. La spada tagliò corna e coda al camoscio, che, rabbioso, sprofondò all'Inferno.

Gioacchino era salvo, grazie alla sua fede disperata. Quando San Giorgio scomparve, io potei avvicinarmi e tirare un sospiro di sollievo, non solo per il mio amico, ma anche per me stesso. Gioacchino aveva perso il camoscio, ma aveva salvato l'anima e la vita.

Da quel giorno, Gioacchino non andò più in cerca di guai. Mantenne la promessa: fece dipingere quanto era successo, affinché tutti sapessero. Ricordate che, se chiedete a chiunque, i veri montanari lasciano in pace i rarissimi camosci bianchi.

Io, Bigoulìn, continuerò a viaggiare nel tempo e nello spazio per assicurarmi che la gente non smetta mai di immaginare, perché finché questa storia viene raccontata, il camoscio bianco e la vittoria di San Giorgio rimangono un enigma e una rivelazione, e io non correrò il rischio di essere dimenticato.



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Ancora vandalismi sulle Alpi piemontesi: ultimo episodio sul Monte Basodino, tra la Val d'Ossola e il Canton Ticino

quotidianopiemontese.it/2025/0…

Per il Cai non sono azioni isolate. Ignoti i responsabili


📍 Embrun, la città sospesa tra cielo e roccia

Immagina una città che sembra sfidare la gravità, aggrappata a uno sperone roccioso che domina la valle della Durance. Benvenuti a Embrun, la “piccola Nizza delle Alpi” 🌄, dove il sole bacia le pietre antiche e il vento racconta storie millenarie.

Fondata dai Celti con il nome di Eburodunum (da Ebr = acqua e Dun = collina fortificata), Embrun ha sempre avuto un legame profondo con la sua posizione: arroccata su una morena glaciale, il famoso Roc en poudingue, che le dona un panorama mozzafiato e una posizione strategica da cui dominava la Via Domizia, l’antica strada romana che collegava la Gallia all’Italia.

Nel Medioevo fu una potente città episcopale, tanto da essere considerata la capitale delle Alpi Marittime. La sua cattedrale di Notre-Dame-du-Réal, con il suo portico sorvegliato da leoni di pietra e il campanile piramidale, è ancora oggi uno dei gioielli religiosi più importanti delle Alpi francesi.

Ma ciò che rende Embrun davvero unica è il precipizio su cui sorge: una terrazza naturale a 870 metri d’altitudine, da cui si gode una vista a 360° sulle montagne dell’Embrunais e sulla valle sottostante. Un tempo torre di guardia e prigione, oggi la Tour Brune offre uno dei punti panoramici più spettacolari della regione.

📸 Se ti capita di passare da queste parti, non dimenticare di alzare lo sguardo e lasciarti incantare dalla città che sembra sospesa nel tempo… e nello spazio.

#Embrun #StoriaAlpina #ViaggioNelTempo #CittàSospesa #AlteAlpi #NotreDameDuReal #TourBrune #SerrePonçon #NaturaEStoria #PanoramiDaFavola


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Chiesa di San Restitudo Sauza di Cesana, Torino, Piemonte, Italia.
Crocifisso sopra l'altare.

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Bigoulin e il ponte del diavolo


[img=https://i.postimg.cc/hPq48bdP/il-ponte-del-diavolo.jpg]il-ponte-del-diavolo.jpg[/img] [...]

il-ponte-del-diavolo.jpg Amici miei, ogni anno, con l'avvicinarsi della fiera di Lanzo, inzio ad essere pervaso da un grande entusiasmo, un desiderio di giochi e novità che non posso ignorare.

Certo, la mia età è fatta di sussurri antichi e di sogni mai svaniti, ma sono pur sempre un bambino di dieci anni e i miei viaggi mi portano spesso a scoprire che il confine tra fiaba e realtà è più sottile di quanto si creda.

Quell'anno, mi stavo recando a Lanzo, non lontano dal mio amato Viù, per la fiera annuale, pensando alle attrazioni, ai musicisti e agli artisti di ogni genere che avrei incontrato.

Il sentiero mi condusse verso il famoso Ponte del Diavolo, un'opera che avevo sentito nominare in mille storie. La sua architettura, un capolavoro medievale a schiena d'asino che si erge maestoso sopra il fiume Stura, è già di per sé un mistero scolpito nella pietra.

Era stato costruito nel XII secolo, con due arcate imponenti e un cammino lastricato.

Man mano che mi avvicinavo, l'aria si fece più densa, quasi stesse trattenendo il respiro. Non era la nebbia che mi portò al mio primo passaggio tra i mondi, ma un'aura di attesa.

Fu allora che sentii…

Non un canto d'uccello o il fruscio di un animale, ma un coro di voci animate, frammenti di discorsi e risate. La mia curiosità, sempre più forte di ogni timore, mi spinse ad agire. Feci quello che faccio sempre: andai avanti, ma questa volta, con la massima discrezione. Mi nascosi tra la fitta vegetazione che costeggiava le rive del fiume Stura, abbastanza vicino da vedere senza essere visto. La mia sete di conoscenza non poteva ignorare quel richiamo.

Dall'ombra del mio nascondiglio, assistetti a una scena che mi fece capire che le leggende non sono solo racconti; a volte, la magia può essere palpabile nell'aria. Vidi gli antichi costruttori affannarsi sul ponte, le loro figure affaticate sotto il bagliore fioco delle lanterne.

Poi, l'atmosfera cambiò. Un'ombra gigantesca si stagliò contro il cielo notturno, una figura imponente che emanava un'energia antica e potente. Era il Diavolo in persona, e il suo ghigno illuminava la scena.

“Il ponte sarà completato in una sola notte,” disse il Diavolo, la sua voce era profonda come un tuono lontano, “ma in cambio, voglio l'anima della prima creatura vivente che lo attraverserà!”.

Gli abitanti, sebbene spaventati, annuirono, ma vidi nei loro occhi una scintilla di astuzia, la stessa furbizia che aveva caratterizzato i valligiani nei secoli.

Mentre il Diavolo posizionava le ultime pietre con una velocità innaturale; qualcuno si avvicinò alla sponda opposta del ponte con l’intenzione di attraversarlo.

Non era un uomo, né un bambino, ma un piccolo cane!

Il Diavolo, accecato dalla rabbia per essere stato ingannato, ruggì di frustrazione. Scagliò le sue zampe infernali sulla pietra, e vidi distintamente le “impronte demoniche” formarsi sulla destra del ponte. L'aria intorno a lui vibrò di collera, e poi, con un fumo denso, svanì, lasciando dietro di sé solo l'eco del suo furore, le sue impronte (oggi conosciute come le “marmitte del diavolo”) e il ponte, magnifico e misterioso, illuminato dalle prime luci dell'alba.

Quando il Diavolo sparì, gli abitanti di Lanzo emersero dal loro nascondiglio, le loro risate e i loro canti di gioia riempirono l'aria. Avevano sconfitto il male con l'ingegno. Io rimasi immobile, sentendo il peso di quella storia, di come la fantasia e la determinazione potevano trasformare anche un patto infernale. Come mi era successo con il Golem, o nella Città Silente, capii ancora una volta che anche le leggende hanno un'anima, un cuore nascosto sotto strati di mito e storia.

Quando tornai a Viù, il sentiero mi sembrò diverso, come se la magia lo avesse trasformato. Non avevo portato con me oro o gioielli dalla fiera, ma avevo trovato un tesoro ben più prezioso: la voce di un mondo dimenticato che aveva dimostrato che l'ingegno e la fede possono superare la forza bruta.

Tenete gli occhi aperti, amici miei. A volte, le sfide più grandi non si vincono con la forza, ma con la saggezza e la capacità di credere abbastanza. Le storie più belle sono quelle che ci insegnano che anche di fronte all'oscurità più profonda, la furbizia e la fede nella propria intelligenza possono disarmare il male e trasformare la maledizione in leggenda. E quando la nebbia arriva, o un sussurro chiama, Bigoulin potrebbe essere vicino, pronto a condividere queste verità.


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A Torino sono nati i Pirati della Cultura: creiamo una via alternativa e sostenibile alla distribuzione dei libri

quotidianopiemontese.it/2025/0…

Come evitare che la distribuzione si mangi tutto il margine e far risparmiare piccoli editori e lettori Scopri i Pirati della Cultura: libri di qualità dai piccoli editori ai lettori, senza costi di distribuzione e con sconti reali per tutti.


Il Sussurro della Città Silente


Amici miei, devo confessarvi che, sebbene io abbia sempre dieci anni, la mia età è fatta non di primavere, ma di sussurri antichi e di sogni mai svaniti.

E fu proprio un sussurro, flebile come un ricordo quasi dimenticato, a chiamarmi in una mattina che sembrava come tante altre.

Avevo il solito vortice di energie e un desiderio d'avventura che mi pulsava nelle vene. Mi trovavo in una regione poco battuta delle Alpi Marittime, non lontano dal mio amato Viù, ma in un bosco così antico che gli alberi sembravano aver visto il tempo nascere e morire mille volte. Era la “Foresta delle Memorie Perdute”, la chiamavano i pochi valligiani che osavano avventurarsi tra i suoi sentieri intricati.

Quel giorno, però, il richiamo non era visibile né tangibile; era un suono che non era un suono, ma una melodia che vibrava nell'aria. Era un invito, una domanda silenziosa che la mia sete di conoscenza non poteva ignorare. Feci quello che faccio sempre: andai avanti. Il bosco, denso e ombroso, sembrava farsi sempre più silenzioso, quasi stesse trattenendo il respiro. Ogni foglia caduta, ogni rametto spezzato sotto i miei stivali, risuonava con una chiarezza innaturale. Mi sentii più… pesante. Era un po' come la nebbia che mi portò al mio primo passaggio tra i mondi.

Dopo ore di cammino, attraverso rovi e tronchi secolari, la fitta vegetazione si diradò improvvisamente, rivelando uno spettacolo che mi lasciò senza fiato. Non c'era un castello maestoso, né un villaggio incantato. C'erano rovine. Non rovine di una fortezza da cui partire, ma di una città antica, completamente inghiottita dal muschio e dal tempo. Era fatta di pietre grigie, scolpite con simboli che non avevo mai visto, ma che parlavano di storie infinite. E il silenzio... era assoluto. Non un canto d'uccello, non il fruscio di un animale. Sembrava che la città avesse dimenticato come fare rumore.

“Dove sono?” pensai. Era un luogo così estraneo, eppure così familiare, come un sogno che non avevo ancora fatto. Mentre esploravo le vie coperte di vegetazione, notai una strana struttura al centro di ciò che doveva essere stata una piazza. Era una sorta di grande arpa, fatta di cristallo opaco e metallo brunito, con corde sottili che sembravano tessute con ragnatele di luna. Non emanava alcun suono.

Mi avvicinai, la mia curiosità più forte di ogni timore. Le mie avventure mi avevano insegnato che anche le leggende hanno un'anima e che la magia può essere palpabile nell'aria. Con la mano, toccai una delle corde. Era fredda. Niente. Provai con un'altra. Ancora niente. Poi, mi venne un'idea. Io non sono fatto di carne e sangue, ma di pensieri e desideri. Forse, per far risuonare questa “Arpa delle Echi”, dovevo credere abbastanza.

Chiusi gli occhi e mi concentrai. Pensai a tutte le storie che avevo ascoltato, a tutte le avventure che avevo vissuto. Pensai al nonno che leggeva alla luce della lucerna, alla nonna che raccontava storie nel buio. Pensai al Golem che custodiva segreti millenari, alle fate che danzavano tra le luci scintillanti. Pensai a quell'uomo che, incontrandomi, aveva creduto in me.

Fu allora che le corde dell'arpa iniziarono a vibrare. Non con un suono udibile, ma con un'onda che sentii nel cuore. E poi, il silenzio della città si ruppe. Non con un rumore forte, ma con un coro di sussurri. Erano voci lontane, risate di bambini, il tintinnio di attrezzi, un lamento di tristezza, il fruscio di abiti, frammenti di canzoni e discorsi. Era la memoria stessa della città, liberata. Era come se le pareti di pietra fossero imbevute di quelle vite passate.

Capii. Questa non era una città abbandonata perché morta. Era silente perché aspettava un ascoltatore. Aspettava qualcuno che credesse abbastanza da liberare i suoi ricordi. Ogni sussurro era una storia, un pezzo di vita che la città aveva custodito per secoli. Sentii il peso di quella storia. La città era fatta di storie, proprio come me.

Mi sedetti, ascoltando. Ascoltai le vite degli abitanti, i loro amori e le loro paure, le loro gioie e i loro dolori. Mi sentii un custode di quei misteri antichi. Quando le prime luci del pomeriggio iniziarono a filtrare attraverso le rovine, i sussurri si affievolirono, l'arpa di cristallo tornò silenziosa. La città era tornata al suo riposo, ma non era più muta per me.

Mi alzai, il cuore colmo di nuove esperienze. La Foresta delle Memorie Perdute non era più solo un bosco. Era la custode di una città che viveva attraverso i suoi echi, e io ero diventato il suo testimone.
Quando tornai sui miei passi, il sentiero mi sembrò diverso, come se la magia lo avesse trasformato. Sapevo che, pur non avendo portato con me oro o gioielli, avevo trovato un tesoro ben più prezioso: le voci di un mondo dimenticato. E ora, quella storia, quei sussurri, erano dentro di me, pronti per essere raccontati e condivisi con chiunque avesse il coraggio di credere.

Tenete gli occhi aperti, amici miei. A volte, le storie più belle sono quelle che non fanno rumore, ma che sussurrano nel cuore di chi sa ascoltare. E quando la nebbia arriva, o un sussurro chiama, Bigoulin potrebbe essere vicino.



Il nostro voto può salvare la vita di tanti lavoratori vittime di appalti selvaggi: pensateci e andate ai seggi

globalist.it/economy/2025/06/0…

Pensiamo un istante. E riflettiamo sul fatto che un voto potrebbe salvare la vita a moltissime persone.

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Il Sussurro della Città Silente


[img]https://i.postimg.cc/zXbZdFcg/il-sussurro-della-citt-silente.jpg[/img] [...]

Amici miei, devo confessarvi che, sebbene io abbia sempre dieci anni, la mia età è fatta non di primavere, ma di sussurri antichi e di sogni mai svaniti.

E fu proprio un sussurro, flebile come un ricordo quasi dimenticato, a chiamarmi in una mattina che sembrava come tante altre.

Avevo il solito vortice di energie e un desiderio d'avventura che mi pulsava nelle vene. Mi trovavo in una regione poco battuta delle Alpi Marittime, non lontano dal mio amato Viù, ma in un bosco così antico che gli alberi sembravano aver visto il tempo nascere e morire mille volte. Era la “Foresta delle Memorie Perdute”, la chiamavano i pochi valligiani che osavano avventurarsi tra i suoi sentieri intricati.

Quel giorno, però, il richiamo non era visibile né tangibile; era un suono che non era un suono, ma una melodia che vibrava nell'aria. Era un invito, una domanda silenziosa che la mia sete di conoscenza non poteva ignorare. Feci quello che faccio sempre: andai avanti. Il bosco, denso e ombroso, sembrava farsi sempre più silenzioso, quasi stesse trattenendo il respiro. Ogni foglia caduta, ogni rametto spezzato sotto i miei stivali, risuonava con una chiarezza innaturale. Mi sentii più… pesante. Era un po' come la nebbia che mi portò al mio primo passaggio tra i mondi.

Dopo ore di cammino, attraverso rovi e tronchi secolari, la fitta vegetazione si diradò improvvisamente, rivelando uno spettacolo che mi lasciò senza fiato. Non c'era un castello maestoso, né un villaggio incantato. C'erano rovine. Non rovine di una fortezza da cui partire, ma di una città antica, completamente inghiottita dal muschio e dal tempo. Era fatta di pietre grigie, scolpite con simboli che non avevo mai visto, ma che parlavano di storie infinite. E il silenzio... era assoluto. Non un canto d'uccello, non il fruscio di un animale. Sembrava che la città avesse dimenticato come fare rumore.

“Dove sono?” pensai. Era un luogo così estraneo, eppure così familiare, come un sogno che non avevo ancora fatto. Mentre esploravo le vie coperte di vegetazione, notai una strana struttura al centro di ciò che doveva essere stata una piazza. Era una sorta di grande arpa, fatta di cristallo opaco e metallo brunito, con corde sottili che sembravano tessute con ragnatele di luna. Non emanava alcun suono.

Mi avvicinai, la mia curiosità più forte di ogni timore. Le mie avventure mi avevano insegnato che anche le leggende hanno un'anima e che la magia può essere palpabile nell'aria. Con la mano, toccai una delle corde. Era fredda. Niente. Provai con un'altra. Ancora niente. Poi, mi venne un'idea. Io non sono fatto di carne e sangue, ma di pensieri e desideri. Forse, per far risuonare questa “Arpa delle Echi”, dovevo credere abbastanza.

Chiusi gli occhi e mi concentrai. Pensai a tutte le storie che avevo ascoltato, a tutte le avventure che avevo vissuto. Pensai al nonno che leggeva alla luce della lucerna, alla nonna che raccontava storie nel buio. Pensai al Golem che custodiva segreti millenari, alle fate che danzavano tra le luci scintillanti. Pensai a quell'uomo che, incontrandomi, aveva creduto in me.

Fu allora che le corde dell'arpa iniziarono a vibrare. Non con un suono udibile, ma con un'onda che sentii nel cuore. E poi, il silenzio della città si ruppe. Non con un rumore forte, ma con un coro di sussurri. Erano voci lontane, risate di bambini, il tintinnio di attrezzi, un lamento di tristezza, il fruscio di abiti, frammenti di canzoni e discorsi. Era la memoria stessa della città, liberata. Era come se le pareti di pietra fossero imbevute di quelle vite passate.

Capii. Questa non era una città abbandonata perché morta. Era silente perché aspettava un ascoltatore. Aspettava qualcuno che credesse abbastanza da liberare i suoi ricordi. Ogni sussurro era una storia, un pezzo di vita che la città aveva custodito per secoli. Sentii il peso di quella storia. La città era fatta di storie, proprio come me.

Mi sedetti, ascoltando. Ascoltai le vite degli abitanti, i loro amori e le loro paure, le loro gioie e i loro dolori. Mi sentii un custode di quei misteri antichi. Quando le prime luci del pomeriggio iniziarono a filtrare attraverso le rovine, i sussurri si affievolirono, l'arpa di cristallo tornò silenziosa. La città era tornata al suo riposo, ma non era più muta per me.

Mi alzai, il cuore colmo di nuove esperienze. La Foresta delle Memorie Perdute non era più solo un bosco. Era la custode di una città che viveva attraverso i suoi echi, e io ero diventato il suo testimone. Quando tornai sui miei passi, il sentiero mi sembrò diverso, come se la magia lo avesse trasformato. Sapevo che, pur non avendo portato con me oro o gioielli, avevo trovato un tesoro ben più prezioso: le voci di un mondo dimenticato. E ora, quella storia, quei sussurri, erano dentro di me, pronti per essere raccontati e condivisi con chiunque avesse il coraggio di credere.

Tenete gli occhi aperti, amici miei. A volte, le storie più belle sono quelle che non fanno rumore, ma che sussurrano nel cuore di chi sa ascoltare. E quando la nebbia arriva, o un sussurro chiama, Bigoulin potrebbe essere vicino.


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# Bigoulin e la Porta della Nebbia

noblogo.org/i-viaggi-di-bigoul…


Bigoulin e la Porta della Nebbia


(Il primo passaggio tra i mondi)

Amici miei,

se davvero volete sapere quando tutto è cominciato, devo portarvi indietro — non solo nel tempo, ma anche nel sogno. Avevo dieci anni, come sempre, e quel giorno il bosco sembrava diverso. Non c’era un lupo da salvare, né una strega da ingannare. C’era solo una strana nebbia che non avevo mai visto prima.

Camminavo lungo il sentiero che scende verso il ruscello delle trote parlanti — sì, quelle che ti raccontano i segreti dell’acqua, ma solo se porti loro delle briciole di pane. Quel giorno, però, non parlava nessuno. Il bosco taceva. La nebbia era ovunque, densa e argentea come la pelliccia di un gatto invisibile.

Istintivamente, feci quello che faccio sempre: andai avanti. E dopo qualche passo… il mondo cambiò.

Fu come entrare in un sogno che non avevo ancora fatto. La luce era diversa, più calda e gialla, come l’alba che si posa sulle colline. Gli alberi erano più alti, più silenziosi. Gli uccelli… non parlavano. Questo mi sorprese più di ogni altra cosa. Perché ogni creatura del mio mondo ha voce, anche le rocce se sai ascoltarle.

“Dove sono?” pensai.

Mi guardai le mani. Erano sempre le mie, ma mi parevano più… pesanti. Il cuore batteva più forte. Avevo freddo e caldo insieme. E poi — questo non lo dimenticherò mai — vidi un uomo. Un vero uomo. Uno che non mi sembrava parte di nessuna fiaba.

Era seduto su una pietra, con uno zaino e una mappa. Parlava da solo, o forse registrava la sua voce su un piccolo aggeggio che mai avevo visto prima. Diceva cose strane: “Foresta del Vallone, escursione del 15 maggio. Sentiero poco visibile, nebbia in aumento. Strane forme tra gli alberi.” E poi, si voltò. E mi vide.

Restammo fermi, a guardarci. Io, un personaggio nato dal racconto di una nonna. Lui, un uomo vero, di quelli che hanno bollette da pagare e scarponi sporchi di fango.

“Chi sei?” mi chiese.

“Io sono Bigoulin,” risposi, come se fosse la cosa più normale del mondo.

E lui, anziché ridere o spaventarsi, sgranò gli occhi. “Sei… sei il personaggio della storia che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo.” Lo disse con una voce tremante, come se avesse appena visto un ricordo prendere vita.

Capite, amici? In quel momento, tutto si fece chiaro. Io non ero solo un personaggio di fantasia. Io vivevo nei cuori di chi mi aveva immaginato. E quando la fantasia è abbastanza forte, quando qualcuno crede davvero, allora il confine tra i mondi si dissolve. Come quella nebbia.

Dopo pochi istanti, tutto svanì. L’uomo, la luce dorata, il peso strano del corpo. Ero di nuovo nel mio bosco, con le trote che si lamentavano perché il pane era finito.

Da allora, ho imparato a cercare quella nebbia. A volte appare tra le pagine di un libro dimenticato, altre volte nell’ombra sotto un letto, quando un bambino spera che io venga a salvarlo dai mostri. Ma ora so chi sono. E so che il mio viaggio non ha fine.

E voi… tenete gli occhi aperti, perché quando la nebbia arriva, Bigoulin potrebbe essere vicino.


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Bigoulin e la Porta della Nebbia


[img]https://i.postimg.cc/6pX5Bytp/Bigouli-e-la-porta-della-nebbia.png[/img] [...]

(Il primo passaggio tra i mondi)

Amici miei,

se davvero volete sapere quando tutto è cominciato, devo portarvi indietro — non solo nel tempo, ma anche nel sogno. Avevo dieci anni, come sempre, e quel giorno il bosco sembrava diverso. Non c’era un lupo da salvare, né una strega da ingannare. C’era solo una strana nebbia che non avevo mai visto prima.

Camminavo lungo il sentiero che scende verso il ruscello delle trote parlanti — sì, quelle che ti raccontano i segreti dell’acqua, ma solo se porti loro delle briciole di pane. Quel giorno, però, non parlava nessuno. Il bosco taceva. La nebbia era ovunque, densa e argentea come la pelliccia di un gatto invisibile.

Istintivamente, feci quello che faccio sempre: andai avanti. E dopo qualche passo… il mondo cambiò.

Fu come entrare in un sogno che non avevo ancora fatto. La luce era diversa, più calda e gialla, come l’alba che si posa sulle colline. Gli alberi erano più alti, più silenziosi. Gli uccelli… non parlavano. Questo mi sorprese più di ogni altra cosa. Perché ogni creatura del mio mondo ha voce, anche le rocce se sai ascoltarle.

“Dove sono?” pensai.

Mi guardai le mani. Erano sempre le mie, ma mi parevano più… pesanti. Il cuore batteva più forte. Avevo freddo e caldo insieme. E poi — questo non lo dimenticherò mai — vidi un uomo. Un vero uomo. Uno che non mi sembrava parte di nessuna fiaba.

Era seduto su una pietra, con uno zaino e una mappa. Parlava da solo, o forse registrava la sua voce su un piccolo aggeggio che mai avevo visto prima. Diceva cose strane: “Foresta del Vallone, escursione del 15 maggio. Sentiero poco visibile, nebbia in aumento. Strane forme tra gli alberi.” E poi, si voltò. E mi vide.

Restammo fermi, a guardarci. Io, un personaggio nato dal racconto di una nonna. Lui, un uomo vero, di quelli che hanno bollette da pagare e scarponi sporchi di fango.

“Chi sei?” mi chiese.

“Io sono Bigoulin,” risposi, come se fosse la cosa più normale del mondo.

E lui, anziché ridere o spaventarsi, sgranò gli occhi. “Sei… sei il personaggio della storia che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo.” Lo disse con una voce tremante, come se avesse appena visto un ricordo prendere vita.

Capite, amici? In quel momento, tutto si fece chiaro. Io non ero solo un personaggio di fantasia. Io vivevo nei cuori di chi mi aveva immaginato. E quando la fantasia è abbastanza forte, quando qualcuno crede davvero, allora il confine tra i mondi si dissolve. Come quella nebbia.

Dopo pochi istanti, tutto svanì. L’uomo, la luce dorata, il peso strano del corpo. Ero di nuovo nel mio bosco, con le trote che si lamentavano perché il pane era finito.

Da allora, ho imparato a cercare quella nebbia. A volte appare tra le pagine di un libro dimenticato, altre volte nell’ombra sotto un letto, quando un bambino spera che io venga a salvarlo dai mostri. Ma ora so chi sono. E so che il mio viaggio non ha fine.

E voi… tenete gli occhi aperti, perché quando la nebbia arriva, Bigoulin potrebbe essere vicino.


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🌊✨ **Saint-Tropez: tra storia, fascino e tradizioni** ✨🌊

Situata sulla splendida **Costa Azzurra**, Saint-Tropez è molto più di una destinazione glamour: è un luogo ricco di storia, cultura e tradizioni affascinanti.

🏰 **Un passato leggendario**
Il nome della città deriva da **Torpes**, un ufficiale romano convertito al cristianesimo e martirizzato sotto Nerone. La sua leggenda narra che il suo corpo, trasportato dalle correnti, approdò proprio sulle rive di Saint-Tropez.

🎨 **Un rifugio per artisti**
Nel XIX secolo, Saint-Tropez attirò pittori e intellettuali, tra cui **Paul Signac**, che contribuì a renderla un centro artistico vibrante.

⚓ **Tradizioni e cultura**
La città celebra ogni anno **Les Bravades**, una festa che unisce devozione e orgoglio militare, ricordando il coraggio dei suoi abitanti nel difendere la città.

🏖️ **Oltre le spiagge**
Oltre alle famose spiagge come **Pampelonne**, Saint-Tropez offre tesori culturali come la **Citadelle**, il **Museo di Storia Marittima** e il vivace **mercato provenzale**.

#SaintTropez #CostaAzzurra #Storia #Arte #Tradizioni

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Il Segreto di Bigoulin


[img=https://i.postimg.cc/1zwJKmqR/Bigoulin.png]Bigoulin.png[/img] [...]

Bigoulin.png

Cari amici,

oggi vi racconterò qualcosa che non ho mai detto a nessuno. Non è un’avventura, almeno non nel senso che siete abituati a sentire da me. È, piuttosto, la verità sulla mia natura. La vera origine di Bigoulin.

Come forse avrete intuito, non sono nato in un villaggio, né in una casa col camino acceso. Non ho genitori, fratelli, né un compleanno da festeggiare ogni anno. Sono nato da una storia. Anzi, da una voce.

Una nonna, la prima di tutte, mi ha sussurrato al buio in una notte d’inverno, mentre raccontava una storia per far addormentare il suo nipotino. Da quella voce, da quell’immaginazione piena d’amore, io sono venuto al mondo. E da allora, ogni volta che una nonna o un nonno di Viú siede accanto a un bimbo per raccontare una storia, io torno a vivere.

All’inizio, non sapevo di essere diverso. Correvo nei boschi, parlavo con i lupi, scoprivo grotte segrete e combattere draghi era per me normale come per voi fare merenda. Ma poi ho capito. Ho capito che mentre gli altri crescevano, io rimanevo sempre lo stesso. Dieci anni. Sempre dieci. Il tempo non ha presa su di me, perché non sono fatto di carne e sangue, ma di pensieri e desideri.

Vivo tra due mondi. Nel primo, quello della fantasia, posso attraversare il tempo come un torrente che si diverte a saltare tra le rocce: un giorno sono nella Roma imperiale, il giorno dopo su un’isola dove vivono giganti che parlano con le stelle. Tutto quello che si può immaginare, io posso viverlo. Ma c’è di più.

Nel secondo mondo — il vostro, il reale — posso apparire anch’io, per un tempo breve, quando qualcuno crede abbastanza. Quando un bambino guarda fuori dalla finestra e pensa: “Chissà se là fuori c’è un Bigoulin”, allora io riesco a entrare. Non sempre come mi vedete nei racconti: a volte sono un pensiero, un sogno vivido, un’idea che spinge a partire per un viaggio, o semplicemente il coraggio che non sapevate di avere.

È per questo che le mie storie sono così diverse tra loro. Alcune sembrano fiabe — perché lo sono. Altre vi sembrano racconti di viaggio, e lo sono anche quelle: esploro il mondo reale, ma sempre con un piede nella meraviglia.

Questa è la mia natura: sono nato dalla fantasia, ma vivo quando qualcuno crede. Sono Bigoulin, il viaggiatore tra i mondi, e ogni volta che mi ascoltate, torno a essere reale.

E ora che conoscete il mio segreto… siete pronti per una nuova avventura?


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Lo scioglimento della neve ingrossa i torrenti.

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Non smettere mai di viaggiare!
Con le scarpe o con la mente... non importa.
L'importante è viaggiare. 😉

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🌟 **Antibes, un gioiello della Costa Azzurra** 🌟

Antibes, situata tra Nizza e Cannes, è una città che racchiude secoli di storia e fascino mediterraneo. Fondata dai Greci nel IV secolo a.C. con il nome di Antipolis, il suo nome significa "città opposta", riferendosi alla sua posizione rispetto a Nizza.
Successivamente, Antibes divenne parte dell'Impero Romano, prosperando grazie alla sua posizione strategica sulla Via Aurelia.

Oggi, Antibes è famosa per il suo centro storico pittoresco, il mercato provenzale e il Castello Grimaldi, che ospita il Musée Picasso.
Non dimentichiamo il Fort Carré, una fortezza del XVI secolo che offre viste mozzafiato sulla città e sul mare

Curiosità: Antibes è stata un rifugio per artisti e scrittori, tra cui Picasso e Hemingway, che hanno trovato ispirazione nella sua bellezza senza tempo.

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Sentiero Litorale di Saint-Raphaël: un gioiello della Costa Azzurra

Se cerchi un angolo autentico della Costa Azzurra, il Sentier du Littoral di Saint-Raphaël è un vero tesoro nascosto. Questo sentiero costiero si snoda lungo scogliere rosse vulcaniche, calette turchesi e tratti di macchia mediterranea profumata, offrendo panorami mozzafiato ad ogni passo.

Curiosità:

Il sentiero segue l’antico tracciato dei doganieri (sentier des douaniers), creato nell’Ottocento per sorvegliare la costa dai contrabbandieri.

Lungo il percorso si incontrano torri saracene, resti storici e piccole spiagge accessibili solo a piedi.

In primavera, i colori dei fiori selvatici contrastano con l’ocra delle rocce dell’Estérel, creando scenari da cartolina.

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Città 15 minuti: qualcuna esiste già e non sempre l’auto è così ‘indispensabile’ come si pensa: per esempio Milano, Copenhagen, Torino…

benzinazero.wordpress.com/2025…

Immagine dalla Stampa La città 15 minuti è una città dove la maggior parte dei servizi utili o essenziali sono facilmente raggiungibili con 15 minuti a piedi o in bicicletta. C’è chi, non ave…

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Pietro Favaro, Gesù con i fanciulli.

- fotografato da originale.
- collezione privata.

#pietrofavaro
#ArteSacra
#dipinti
#art

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📍 **Alla scoperta della Cité Vauban di Briançon** 🌄

Benvenuti nella Cité Vauban, il cuore storico di Briançon, una delle città più alte d'Europa, situata a 1.326 metri di altitudine nelle Hautes-Alpes francesi. Passeggiando per la via centrale, si respira un'atmosfera unica, tra edifici colorati, strade acciottolate e un panorama mozzafiato che abbraccia le montagne circostanti.

La Cité Vauban deve il suo nome al celebre ingegnere militare Sébastien Le Prestre de Vauban, che nel XVII secolo progettò le fortificazioni per proteggere la città dalle invasioni. Queste mura, bastioni e torri sono oggi Patrimonio dell'Umanità UNESCO, testimonianza di un'architettura militare straordinaria.

Ma Briançon non è solo storia! La città è famosa per il suo clima secco e mite, ideale per attività all'aperto tutto l'anno. Le sue strade strette e tortuose, le case dai colori vivaci e i balconi fioriti creano un quadro pittoresco che incanta ogni visitatore. Non mancano negozi, caffè e ristoranti dove gustare prodotti locali e specialità alpine.

Curiosità: la via principale della Cité è attraversata da un canale scoperto, un dettaglio che richiama l'antica presenza romana e aggiunge fascino al luogo. Inoltre, Briançon ospita eventi culturali e festival, come il Festival des Forts, che celebra la sua ricca eredità storica.

La Cité Vauban è un viaggio nel tempo e nella bellezza naturale. Se cercate una meta che unisca storia, cultura e paesaggi da sogno, Briançon vi aspetta! 🏰✨

#Briançon #CitéVauban #Storia #AlpiFrancesi #Viaggi #PatrimonioUNESCO #Scoperta

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Pietro Favaro, fiori di campo, 1975.
- olio su tela.
- fotografato da originale.
- collezione privata.

#pietrofavaro
#naturamorta
#arte
#Pittura.

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