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LA NOTTE DEI LUNGHI ARTIGLI

La notte dei lunghi artigli

Francis e Gustav vivono insieme. A volte si amano, a volte si tollerano a fatica, ma convivono ormai da anni e non saprebbero stare lontani l'uno dall'altro. Questo fino a quando compare Francesca... Donna, quindi biologicamente affine a Gustav che è un uomo (ah, dimenticavo di dire che Francis è un gatto!), arriva a sconvolgere il tranquillo ménage à deux. Così Francis decide che qull'appartamento non è abbastanza grande per tutti e tre e scompare. Inizia così la sua seconda vita, una vita fatta di mistero, intrighi felini e delitti.

Gran bel libro, sia per chi ama gli intrighi sia per chi ama i gatti. Se li amate entrambi, non potete proprio perdervelo!

Titolo: La notte dei lunghi artigliAutore: Pirinçci AkifTraduttore: Boschetti S. Editore: TEA Data di Pubblicazione: 1996 ISBN: 8830412147

(Nonsolobotte – 4 gennaio 2008)


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La forza non nasce solo dalla sofferenza


L’idea che le anime più forti siano necessariamente temprate dal dolore e che i caratteri più solidi debbano essere segnati da cicatrici è una visione riduttiva e, a tratti, romantica della resilienza. La sofferenza può certamente insegnare, ma non è l’unica maestra della vita, e soprattutto non è una condizione obbligatoria per sviluppare forza interiore.

Esistono persone che hanno costruito la propria solidità attraverso l’amore, la serenità, l’esempio positivo di chi le ha circondate. La vera forza non si misura dalle ferite subite, ma dalla capacità di crescere, adattarsi e resistere alle avversità indipendentemente dalla loro presenza. Anzi, a volte è più difficile mantenere un carattere equilibrato e compassionevole quando non si è stati logorati dalle difficoltà, perché significa aver scelto la forza volontariamente, non per obbligo.

Inoltre, glorificare la sofferenza come unico percorso verso la maturità rischia di normalizzare il dolore come inevitabile, quasi auspicabile, e può portare a sottovalutare l’importanza di prevenire ingiustizie e traumi evitabili. La resilienza è ammirevole, ma non dovremmo confonderla con l’idea che sia giusto o necessario soffrire per diventare migliori.

Infine, le cicatrici non sono sempre simbolo di saggezza: a volte sono semplicemente segni di un passato che avremmo preferito non vivere. E va bene così. La vera grandezza sta nel trovare luce anche senza dover prima attraversare il buio.


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[piriche]

[filtri]cerimonie strutturate brecce [brocche morfoliti [dimensioni variabili come] esplosione senza esplosivi implosivi il] campo visivo dadistar no profit lavori] in economia fanno il trattato] da un certo orario presenze con cadenza autunnale] con cadenze ottimali se] esposti


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Come i criminali informatici commerciano e sfruttano i nostri dati nel Rapporto IOCTA di Europol


La “Valutazione delle minacce legate alla criminalità organizzata su Internet” (#IOCTA) è l'analisi di #Europol sulle minacce e le tendenze in evoluzione nel panorama della criminalità informatica, con particolare attenzione a come è cambiato negli ultimi 12 mesi.

Nell'ultimo anno, la criminalità organizzata ha continuato a evolversi a un ritmo senza precedenti. La rapida adozione di nuove tecnologie e la continua espansione della nostra infrastruttura digitale hanno ulteriormente spostato le attività criminali verso il dominio online. Questo cambiamento ha fatto sì che l'infrastruttura digitale e i dati in essa contenuti siano diventati obiettivi primari, trasformando i dati in una risorsa chiave, fungendo sia da bersaglio che da facilitatore nel panorama delle minacce informatiche.

Il rapporto IOCTA del 2025 “Steal, deal and repeat: How cybercriminals trade and exploit your data” (Nota a piè di pagina, scaricabile [en] qui europol.europa.eu/cms/sites/de…) analizza in dettaglio come i criminali informatici commerciano e sfruttano l'accesso illegale ai dati e come mercificano questi beni e servizi.

I dati personali sono una risorsa centrale per il crimine informatico: vengono rubati, venduti e sfruttati per frodi, estorsioni, attacchi informatici e sfruttamento sessuale. I criminali usano vulnerabilità dei sistemi e tecniche di ingegneria sociale, potenziate da Intelligenza Artificiale generativa (GenAI) e modelli linguistici (LLM). Broker di accesso e dati vendono credenziali e accessi compromessi su piattaforme criminali, spesso tramite app di messaggistica cifrata (E2EE). I dati rubati sono venduti su forum del dark web, marketplace automatizzati (AVC), e canali E2EE. Le minacce emergenti consistono nell'uso di deepfake vocali, attacchi supply-chain tramite AI, e tecniche come il “slopsquatting” per sfruttare errori degli assistenti AI.

In particolare i criminali ricercano: Credenziali di accesso (RDP, VPN, cloud) Informazioni personali (PII), dati finanziari, social media Dati aziendali e governativi per spionaggio o estorsione Come vengono sfruttati i dati: – Come obiettivo: ransomware, furto di identità, frodi – Come mezzo: per profilare vittime, estorcere denaro o informazioni – Come merce: venduti su forum, marketplace, canali E2EE Come vengono acquisiti dati e accessi – Ingegneria sociale: phishing, vishing, deepfake vocali, ClickFix – Malware: infostealer, RAT, exploit kit – Vulnerabilità di sistema: attacchi brute force, skimming, MitM Chi sono gli attori criminali – Initial Access Brokers (IABs): vendono accessi iniziali – Data Brokers: vendono dati rubati – Gruppi APT e minacce ibride: spesso sponsorizzati da stati – Criminali specializzati in frodi e CSE: usano i dati direttamente Dove avviene la compravendita – Dark web: forum, marketplace, canali E2EE – Servizi offerti: phishing-kit, infostealer, spoofing, proxy residenziali Cultura criminale: reputazione, badge, ruoli da moderatore

Raccomandazioni del Rapporto La condivisione eccessiva di dati online aumenta la vulnerabilità, soprattutto per i minori. L’uso di E2EE ostacola le indagini; servono regole armonizzate per la conservazione dei metadati. Abuso dell’AI: deepfake, fingerprint digitali falsi, attacchi supply-chain tramite suggerimenti errati degli assistenti AI. Disgregazione dell’intelligence: doxxing e hacktivismo complicano le indagini e la validazione delle prove.

Conclusioni Il rapporto sottolinea la necessità di:

  • Accesso legale ai canali E2EE ((End-to-End Encrypted)
  • Standard UE armonizzati per la conservazione dei metadati
  • Educazione digitale e consapevolezza dei rischi online
  • Collaborazione tra forze dell’ordine, aziende e cittadini

Nota: Europol, Steal, deal and repeat – How cybercriminals trade and exploit your data – Internet Organised Crime Threat Assessment, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione Europea, Lussemburgo, 2025.


noblogo.org/cooperazione-inter…


Come i criminali informatici commerciano e sfruttano i nostri dati nel Rapporto...


Come i criminali informatici commerciano e sfruttano i nostri dati nel Rapporto IOCTA di Europol


La “Valutazione delle minacce legate alla criminalità organizzata su Internet” (#IOCTA) è l'analisi di #Europol sulle minacce e le tendenze in evoluzione nel panorama della criminalità informatica, con particolare attenzione a come è cambiato negli ultimi 12 mesi.

Nell'ultimo anno, la criminalità organizzata ha continuato a evolversi a un ritmo senza precedenti. La rapida adozione di nuove tecnologie e la continua espansione della nostra infrastruttura digitale hanno ulteriormente spostato le attività criminali verso il dominio online. Questo cambiamento ha fatto sì che l'infrastruttura digitale e i dati in essa contenuti siano diventati obiettivi primari, trasformando i dati in una risorsa chiave, fungendo sia da bersaglio che da facilitatore nel panorama delle minacce informatiche.

Il rapporto IOCTA del 2025 “Steal, deal and repeat: How cybercriminals trade and exploit your data” (Nota a piè di pagina, scaricabile [en] qui europol.europa.eu/cms/sites/de…) analizza in dettaglio come i criminali informatici commerciano e sfruttano l'accesso illegale ai dati e come mercificano questi beni e servizi.

I dati personali sono una risorsa centrale per il crimine informatico: vengono rubati, venduti e sfruttati per frodi, estorsioni, attacchi informatici e sfruttamento sessuale. I criminali usano vulnerabilità dei sistemi e tecniche di ingegneria sociale, potenziate da Intelligenza Artificiale generativa (GenAI) e modelli linguistici (LLM). Broker di accesso e dati vendono credenziali e accessi compromessi su piattaforme criminali, spesso tramite app di messaggistica cifrata (E2EE). I dati rubati sono venduti su forum del dark web, marketplace automatizzati (AVC), e canali E2EE. Le minacce emergenti consistono nell'uso di deepfake vocali, attacchi supply-chain tramite AI, e tecniche come il “slopsquatting” per sfruttare errori degli assistenti AI.

In particolare i criminali ricercano: Credenziali di accesso (RDP, VPN, cloud) Informazioni personali (PII), dati finanziari, social media Dati aziendali e governativi per spionaggio o estorsione Come vengono sfruttati i dati: – Come obiettivo: ransomware, furto di identità, frodi – Come mezzo: per profilare vittime, estorcere denaro o informazioni – Come merce: venduti su forum, marketplace, canali E2EE Come vengono acquisiti dati e accessi – Ingegneria sociale: phishing, vishing, deepfake vocali, ClickFix – Malware: infostealer, RAT, exploit kit – Vulnerabilità di sistema: attacchi brute force, skimming, MitM Chi sono gli attori criminali – Initial Access Brokers (IABs): vendono accessi iniziali – Data Brokers: vendono dati rubati – Gruppi APT e minacce ibride: spesso sponsorizzati da stati – Criminali specializzati in frodi e CSE: usano i dati direttamente Dove avviene la compravendita – Dark web: forum, marketplace, canali E2EE – Servizi offerti: phishing-kit, infostealer, spoofing, proxy residenziali Cultura criminale: reputazione, badge, ruoli da moderatore

Raccomandazioni del Rapporto La condivisione eccessiva di dati online aumenta la vulnerabilità, soprattutto per i minori. L’uso di E2EE ostacola le indagini; servono regole armonizzate per la conservazione dei metadati. Abuso dell’AI: deepfake, fingerprint digitali falsi, attacchi supply-chain tramite suggerimenti errati degli assistenti AI. Disgregazione dell’intelligence: doxxing e hacktivismo complicano le indagini e la validazione delle prove.

Conclusioni Il rapporto sottolinea la necessità di:

  • Accesso legale ai canali E2EE ((End-to-End Encrypted)
  • Standard UE armonizzati per la conservazione dei metadati
  • Educazione digitale e consapevolezza dei rischi online
  • Collaborazione tra forze dell’ordine, aziende e cittadini

Nota: Europol, Steal, deal and repeat – How cybercriminals trade and exploit your data – Internet Organised Crime Threat Assessment, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione Europea, Lussemburgo, 2025.


Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



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A bocca piena

trucidata vita dai lenzuoli di sangue nei telegiornali un dire assuefatto freddo che ti sorprende non più di tanto a bocca piena che non arriva al cuore

-per quei bambini occhi rovesciati a galleggiare su un mare di speranza la cui patria è ora il cielo

violata la sacralità vita che non è più vita vilipesa resa quale fiore a uno strappo feroce di vento .

Nadine Swan su Assonanze (WP) Questa poesia è un grido potente, un pugno al cuore che ci costringe a guardare dritto negli occhi l’assuefazione al dolore e alla tragedia. Il contrasto tra l’orrore dei “lenzuoli di sangue” e la freddezza di un “dire assuefatto” dipinge con lucidità spietata il distacco emotivo che ci protegge, ma ci rende anche complici di un’umanità che ha perso sensibilità.

L’immagine dei bambini, “occhi rovesciati” su un “mare di speranza”, è struggente: un’immagine poetica che trasforma il dolore in qualcosa di universale, tragico, ma anche luminoso nella sua fuga verso il cielo. La loro patria diventa il cielo, un richiamo amaro alla perdita della dignità terrena.

Il verso finale, quel “fiore a uno strappo feroce di vento”, è lacerante. La violenza che distrugge la sacralità della vita è resa in una metafora delicata e devastante allo stesso tempo. È una poesia che non lascia scampo, che ti obbliga a sentire, a fermarti, a non distogliere lo sguardo. Un dolore che pesa, ma che è necessario portare. ❤️


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Beirut – The Rip Tide (2011)


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The Rip Tide è il terzo album in studio delgruppo indie folk statunitense Beirut, pubblicato il 30 agosto 2011. L'album ha debuttato al numero 88 della Billboard 200, e ha raggiunto il picco al numero 80 un mese dopo. L'album ha venduto 93.000 copie negli Stati Uniti ad agosto 2015. L'album ha ricevuto per lo più recensioni positive. Zach Condon dei Beirut decise di scrivere l'album dopo un tour difficile in Brasile, dove subì una perforazione al timpano e fu coinvolto in un'invasione di palco. A differenza dei precedenti album dei Beirut, The Rip Tide rifletteva maggiormente su luoghi più vicini a casa; ad esempio, la canzone “Santa Fe” era un omaggio alla città natale di Condon. Condon rifletté su questo, dicendo: “La cosa del vagabondo – quella era una fantasia adolescenziale che ho vissuto in grande stile. La musica, per me, era evasione. E ora sto facendo tutto l'opposto [di ciò] nella mia vita. Sono sposato. Ho una casa. Ho un cane. Quindi sembrava ridicolo, la narrazione di ciò che avrebbe dovuto essere la mia carriera, rispetto a ciò che stavo effettivamente cercando di realizzare nella mia vita.” Influenzato dalla registrazione di For Emma, ​​Forever Ago, Condon scrisse The Rip Tide mentre trascorreva sei mesi in isolamento in una baita invernale a Bethel, New York. A differenza dei precedenti album dei Beirut, la musica fu registrata da una band che suonava insieme invece di registrare singole tracce una alla volta. Tuttavia, i testi furono aggiunti da Condon solo dopo che tutta la musica era stata registrata.


Ascolta: album.link/i/1166641216



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Beirut – The Rip Tide (2011)


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The Rip Tide è il terzo album in studio delgruppo indie folk statunitense Beirut, pubblicato il 30 agosto 2011. L'album ha debuttato al numero 88 della Billboard 200, e ha raggiunto il picco al numero 80 un mese dopo. L'album ha venduto 93.000 copie negli Stati Uniti ad agosto 2015. L'album ha ricevuto per lo più recensioni positive. Zach Condon dei Beirut decise di scrivere l'album dopo un tour difficile in Brasile, dove subì una perforazione al timpano e fu coinvolto in un'invasione di palco. A differenza dei precedenti album dei Beirut, The Rip Tide rifletteva maggiormente su luoghi più vicini a casa; ad esempio, la canzone “Santa Fe” era un omaggio alla città natale di Condon. Condon rifletté su questo, dicendo: “La cosa del vagabondo – quella era una fantasia adolescenziale che ho vissuto in grande stile. La musica, per me, era evasione. E ora sto facendo tutto l'opposto [di ciò] nella mia vita. Sono sposato. Ho una casa. Ho un cane. Quindi sembrava ridicolo, la narrazione di ciò che avrebbe dovuto essere la mia carriera, rispetto a ciò che stavo effettivamente cercando di realizzare nella mia vita.” Influenzato dalla registrazione di For Emma, ​​Forever Ago, Condon scrisse The Rip Tide mentre trascorreva sei mesi in isolamento in una baita invernale a Bethel, New York. A differenza dei precedenti album dei Beirut, la musica fu registrata da una band che suonava insieme invece di registrare singole tracce una alla volta. Tuttavia, i testi furono aggiunti da Condon solo dopo che tutta la musica era stata registrata.


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SALMO - 130 (129)


ATTESA DEL PERDONO E DELLA SALVEZZA DEL SIGNORE1 Canto delle salite

Dal profondo a te grido, o Signore;2 Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica.

3 Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?

4 Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore.

5 Io spero, Signore. Spera l'anima mia, attendo la sua parola.

6 L'anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all'aurora.

Più che le sentinelle l'aurora,7 Israele attenda il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.

8 Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

_________________Note

130,1 L'undicesimo “canto delle salite” è molto caro alla tradizione cristiana, che ama chiamarlo con le parole iniziali della versione latina, “De profundis”, e lo ha inserito nei sette “salmi penitenziali” (vedi Sal 6), usandolo nella liturgia funebre (ma questo non è il significato originario del salmo). Dall’esperienza del peccato e del dolore, l’orante e la sua comunità guardano a Dio come alla fonte del perdono e all’unica speranza di sopravvivenza.

130,8 In Mt 1,21 il nome di Gesù viene spiegato con una frase che si richiama a questo versetto (vedi anche Tt 2,14).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Fiduciosa attesa della redenzione Supplica individuale (+ motivi di fiducia)

È uno dei sette “Salmi penitenziali”. Insieme al Sal 51 è pervaso da una profonda spiritualità, e pur essendo una lamentazione-supplica, non riguarda i nemici esterni o le malattie, ma direttamente il peccato, vero nemico dell'uomo. Nella prima parte (vv. 1-3) c'è l'angoscia per esso, nella seconda parte (vv. 5-8) la certezza del perdono. Tuttavia, mentre il Sal 51 medita sulla realtà dell'uomo peccatore, il Sal 130 attira l'attenzione sulla misericordia divina e l'abbondanza del suo perdono. Il ritmo prevalente nel TM è di 3-2 accenti (qînâ). C'è un'inclusione con la parola «colpe» (‘awônôt) nei vv. 3 e 8. Il verbo «sperare» (qwb) si trova due volte nel v. 5, il verbo «attendere» (yḥl) è presente nei vv. 5.7 ™; l'espressione «più che le sentinelle l'aurora» è ripetuta due volte nel TM. La radice pdh (redimere) ricorre nei vv. 7-8. La simbologia è spazio-temporale e antropomorfica.

Divisione:

  • vv. 1-2: solenne appello introduttivo;
  • vv. 3-6: corpo;
  • vv. 7-8: esortazione finale per Israele.

v. 1. «Dal profondo...»: l'espressione rievoca l'abisso caotico delle acque della creazione (Gn 1,2; 2,3-4) e il regno dei morti (Sal 18,5-7.29) e richiama l'abisso della miseria dell'uomo e la sua coscienza.

v. 3. «Se consideri le colpe...»: l'orante ammette di essere colpevole e perciò di meritare il castigo. «chi potrà sussistere?»: lett. «chi potrà stare in piedi?». Più che continuare a esistere, qui supponendo un processo giudiziale accusatorio di Dio, si afferma che nessun uomo potrebbe presentarsi a testa alta e uscire indenne dal giudizio di Dio. Davanti alla giustizia di Dio nessun uomo e nessuna coscienza umana può reggere (cfr. Sal 76,8; 102,27).

v. 4. «Ma presso di te è il perdono»: alla coscienza del peccato è legata subito la coscienza e la fede nella salvezza e liberazione di Dio, cfr. Es 34,9. «presso di te»: lett. «con, in compagnia di...». Come la giustizia di Dio, così il perdono, personalizzato, è visto come un membro del consiglio di Dio (cfr. Os 13,12). «perdono»: la voce ebraica sᵉlîḥāh significa purificazione, remissione (Ne 9,17; Dn 9,9; Sir 5,5; Sal 86,5). E il perdono supera di gran lunga la giustizia, cfr. Es 20,5-6. «e avremo il tuo timore»: lett. «perché (tu) sia temuto». Questo emistichio è oggetto di diverse interpretazioni fin dall'antichità (cfr. LXX, Vg, Peshitta). L'interpretazione più logica dipende dall'esatto significato del «timore» nell'AT. Esso per metonimia indica non solo la reazione di paura e di terrore davanti alla giustizia e all'ira di Dio (il tremendum), ma anche lo stupore, la venerazione e l'adorazione scaturiti davanti alla sua bellezza, maestà e potenza (il fascinosum). Qui il timore è presentato come il fine del perdono, uno dei suoi frutti. Il perdono di Dio, infatti, deve inculcare un timore reverenziale per lui come quello scaturito di fronte alla sua ira. La bontà di Dio non deve farci dimenticare la realtà del nostro peccato. Però, più che la collera di Dio, il suo amore eterno e misericordioso deve spingere l'uomo a temerlo e amarlo (cfr. Rm 2,4; Lc 5,9).

v. 5. «Io spero nel Signore...»: lett. «(io) spero, Signore, spera l'anima mia, e alla sua parola attendo». Il salmista spera fortemente e attende la parola, la risposta assolutrice che reca il perdono di Dio.

v. 6. «più che le sentinelle l'aurora»: nel TM l'espressione è ripetuta una seconda volta. La ripetizione dà all'immagine, già di per sé suggestiva poeticamente, un ulteriore fascino e acutizza l'attesa e la speranza. Per l'immagine delle sentinelle cfr. Is 21,11-12; Sal 121,3-5.8.

v. 7. La misericordia e la redenzione sono viste come persone che stanno «presso il Signore» (lett. «con, in compagnia del...»). Esse sono gli attributi divini dell'esodo e dell'alleanza (Es 34,6; Sal 36,7; Dt 7,8; 9,26; 15,16; 21,8).

v. 8. «Egli redimerà... da tutte le sue colpe»: cfr. Sal 25,22. Il salmista sottolinea la certezza del perdono divino di ogni genere di peccato per Israele suo popolo. Le colpe che hanno causato l'angoscia profonda nel salmista nel v. 3 ora sono richiamate in inclusione ma per annunciarne il loro completo e totale perdono.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Perché la musicaLa musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare.I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore.

“Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.

Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche. Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato.

La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda.

La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa. Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea.

La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile. Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio.

Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.

Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale. La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile.

La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.

Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni.

Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi. Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa.

Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano. Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga.

La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.


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NOVITÀ DI MARTEDÌ 29/4/25.


Chiudiamo finalmente il denso mese di aprile (sto già lavorando sul mese di maggio, naturalmente).

NARRATIVA:

  • LA FIGLIA DELL'ISOLA di Soraya Lane (Garzanti). La protagonista Ella riceve da uno studio notarile una scatola con alcuni oggetti misteriosi: uno spartito e la fotografia di una donna e di una bambina ritratte di fronte a un mare cristallino. Nell'isola greca di Skópelos, grazie al musicista Gabriel, potrà trovare le risposte che cercava sulla propria famiglia. Per saperne di più: scheda libro.
  • CON RABBIA E CON AMORE di Bebo Guidetti (Sem). Un lavoro alienante in un magazzino di bricolage, una “vita agra” fatta di code in tangenziale, frustrazioni e sogni infranti per portare a casa il necessario per vivere: il protagonista Andrea sviluppa un sordo risentimento per i giovani, belli e ricchi benestanti che frequentano il centro di Bologna, ormai diventato una vetrina per turisti, finché non si innamora di una di “loro”... Per saperne di più: scheda libro.
  • TERRA DI ANIME SPEZZATE di Clare Leslie Hall (Nord). L'incontro con Gabriel, un rampollo di famiglia ricca, cambia la vita a Beth: l'affinità intellettuale si trasforma in un amore che crea scandalo. La distanza sociale tra i due, però, è un ostacolo insormontabile, e tutte le speranze d'amore e le ambizioni letterarie di Beth finiscono per dissiparsi in un matrimonio con un altro uomo. Il ritorno di Gabriel, dopo 13 anni, manda in frantumi la stabilità della vita e le certezze di Beth. Per saperne di più: scheda libro.

NOIR, GIALLI E THRILLER:

  • UNA PAROLA PER NON MORIRE di Sandra Bonzi (Garzanti). Ancora una volta, la giornalista Elena Donati si improvvisa detective per indagare sulla scomparsa di una ragazzina, a Milano. La vita familiare di Elena, però, è sempre più scombussolata, tra gli anziani genitori, i figli spericolati e un'amica che vorrebbe partire con lei per una vacanza spensierata. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL GIOCO DEL POTERE di Federico e Jacopo Rampini (Mondadori). Ambientata in un prossimo futuro verosimile, è la storia di una potente famiglia a capo di un'industria tecnologica, con le sue lotte di potere interne e uno sfondo di intrighi internazionali. Per saperne di più: scheda libro.
  • RIMORSI di Enrico Pandiani (Rizzoli). Numero Uno è il misterioso capo di un'agenzia investigativa che ha assunto i quattro ex criminali della banda Ventura. Il caso su cui la banda è incaricata di investigare è un complesso puzzle composto da vari tasselli: un cadavere nascosto in un muro per anni, un pirata della strada, una famiglia problematica, un club di scambisti e una feroce rapina. I quattro della banda dovranno aggirarsi per una Torino oscura e pericolosa. Per saperne di più: scheda libro.
  • L'IMAM DEVE MORIRE di Enzo Amendola (Mondadori). È il 1978 e l'Italia è scossa dal rapimento di Aldo Moro. In questo contesto agitato, l'Imam Musa al-Sadr, leader moderato e progressista degli sciiti libanesi, svanisce nel nulla, e le indagini conducono il capitano dei servizi segreti italiani Roberto Stancanelli fino a Roma. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA DONNA DELLA MANSARDA di Davide Longo (Einaudi). La sparizione di una celebra artista, da anni autoreclusa nella mansarda di uno strano edificio, è al centro dell'indagine di Corso Bramard e del suo braccio destro Cesare Arcadipane, nel nuovo capitolo della saga di Bramard. Per saperne di più: scheda libro.
  • NON CHIAMATEMI JESSICA FLETCHER di Alice Guerra (Rizzoli). Una serie di furti colpisce la cittadina di Mestre, e tutti, prima ancora di rivolgersi alla polizia (nella persona del commissario Salvatore Lo Cascio), chiedono aiuto all'influencer Alice Guerra, che ha un turbolento passato di investigatrice improvvisata. Per saperne di più: scheda libro.
  • COLPEVOLE PER DEFINIZIONE di Susie Dent (Newton Compton). Una serie di lettere anonime turbano la nuova caporedattrice del Clarendon English Dictionary di Oxford: la sorella Charlie, scomparsa anni prima, forse nascondeva segreti inconfessabili... Per saperne di più: scheda libro.
  • USCIMMO A RIVEDER LE STELLE di Licia Troisi (Marsilio). A un convegno di astrofisici, in Lapponia, una scienziata è stata uccisa e uno dei suoi colleghi è l'indiziato numero uno: è stato infatti trovato accanto al cadavere. Così, per il protagonista Gabriele, sfumano le speranze di poter tornare al proprio osservatorio e di ricongiungersi finalmente alla sua Mariela... Licia Troisi, autrice fantasy di consolidata esperienza, debutta nel giallo, ambientandolo nel mondo dell'astrofisica, al quale lei stessa appartiene. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA GIOSTRA DELLE SPIE di Rosa Teruzzi (Sonzogno). In una Milano nebbiosa, alla vigilia di Ognissanti, si aggira un misterioso assassino che si fa chiamare l'Ombra, il cui obiettivo è uccidere proprio lei, Libera Cairati, ovvero la fioraia investigatrice. Torna la fortunata serie dei delitti del casello, giunta al decimo capitolo. Per saperne di più: scheda libro.

FANTASY:

  • FIGLI DI TERRA E CIELO di Guy Gavriel Kay (Mondadori). Un fantasy epico e avventuroso, pieno di personaggi picareschi, quasi un romanzo storico, in un mondo che ricorda da vicino l'Europa rinascimentale. Per saperne di più: scheda libro.

FUMETTI E GRAPHIC NOVEL:

  • THE ILLUSIONIST. IL PRESTIGIATORE SUL CAVALCAVIA – VOL.1 di Ruan Guang-Min (Toshokan). Una raccolta di racconti poetici e delicati, ambientati nella Taipei degli anni '80, in cui un prestigiatore con un occhio di vetro si esibisce tutti i giorni sul cavalcavia che unisce due edifici del grande mercato Chunghwa. Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • ERBE SPONTANEE di Taliana Tobert Wateki, Francesca Della Giovampaola e Filippo Bellantoni, illustrazioni di Giada Ungredda (Gribaudo). Un manuale per riconoscere le erbe spontanee italiane, raccoglierle e conservarle. La peculiarità di questo manuale sta nel metodo di classificazione per difficoltà di riconoscimento, anziché nell'ordine alfabetico. Per saperne di più: scheda libro.
  • Sempre per Gribaudo: È INTELLIGENTE MA NON S'IMPEGNA di Giovanni doc Fenu. Un libro rivolto a genitori e figli, per migliorare il metodo di studio, attraverso tecniche di concentrazione, strategie per studiare meglio (anziché più a lungo) e affrontare le interrogazioni con maggiore serenità. Per saperne di più: scheda libro.
  • DIO ERA MORTO di Rick Dufer (Feltrinelli). Il filosofo Rick Dufer (al secolo Riccardo Dal Ferro, molto attivo sui social, e autore del podcast Daily Cogito) spiega e analizza l'idea contemporanea del divino e traccia una breve storia della devozione verso un Dio il cui concetto è molto cambiato nei secoli. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA GENESI di Haim Baharier e Erri De Luca (Feltrinelli). Un libro in cui Erri De Luca e lo studioso Haim Baharier si confrontano sul primo libro delle sacre scritture, da una parte (De Luca) analizzandone l'aspetto narrativo, dall'altra (Baharier) valorizzandone l'esegesi e l'interpretazione. Per saperne di più: scheda libro.
  • ELON MUSK. HYBRIS MAGNA di Faiz Siddiqui (Sperling & Kupfer). La biografia di un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, dall'infanzia fino al sodalizio con Donald Trump, per rispondere alla domanda fondamentale: cosa farà, ora? Per saperne di più: scheda libro.
  • L'ELEGANZA DEL VUOTO di Guido Tonelli (Feltrinelli). Un'esplorazione scientifica e filosofica di un concetto su cui l'uomo si interroga dai suoi albori: il vuoto. Per saperne di più: scheda libro.
  • UNA STRAORDINARIA FOLLIA di Nassir Ghaemi, prefazione di Liliana Dell'Osso (Apogeo). Un “catalogo” di grandi leader della storia come Ghandi, Martin Luther King, John Firtzgerald Kennedy, Churchill e altri personaggi rilevanti degli ultimi due secoli, che probabilmente devono le loro grandi capacità ai loro disturbi dell'umore: creatività, empatia e resilienza. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL FIUME INFINITO di Mathijs Deen (Iperborea). Un ritratto del fiume Reno, a metà tra il reportage, la geologia, la storia e la leggenda. Per saperne di più: scheda libro.
  • QUEEN. LA MUSICA E LA STORIA di Antonio Battilo (Odoya). Un saggio sull'influenza che la band dei Queen ha esercitato nella storia della musica rock e pop mondiale. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • STORIA DI TOPINO di Sveva Sagramola, illustrazioni di Cristiano Sagramola (Mondadori). La bambina Petra ha un amico di stoffa con le orecchie lunghe e il mantello a forma di carota: si chiama Topino. Petra e Topino sono inseparabili, e anche quando Petra cresce, Topino conserva il profumo della loro amicizia, nonostante la sua pelliccia sia sbiadita e il mantello consumato. Età di lettura: dai 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.

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Il mondo finisce ad Oriente.


(168)

(IR)

Nota: Lo so, non è da me farla così lunga, ma in un mondo che impazzisce forse un pochino di squilibrio ce lo metto anche io. La verità è che la #Pace è davvero impossibile. Almeno così sembra. Il che rende, fondamentalmente, questo uno sfogo. Ci vuole pazienza.

La notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 ha visto l'ennesima escalation del conflitto mediorientale, quando #Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro l' #Iran, mirato principalmente alle strutture nucleari e militari di Teheran. Le forze israeliane hanno colpito siti sensibili, distruggendo laboratori e centri di ricerca, nonché eliminando alcuni tra i principali comandanti delle Guardie della Rivoluzione, l'élite militare iraniana. Un colpo che ha scatenato una serie di reazioni internazionali. L'Iran, come prevedibile, ha replicato con una serie di droni che hanno tentato di colpire obiettivi strategici in Israele, gettando il paese in una nuova spirale di violenza.

Le parole di #DonaldTrump, che ha immediatamente espresso un sostegno incondizionato all'azione israeliana, hanno ulteriormente polarizzato il dibattito internazionale. Trump ha minacciato l'Iran con nuove offensive se non avesse accettato un accordo sul nucleare, aggiungendo così un ulteriore strato di complessità alla già tesa situazione geopolitica. L’appoggio degli Stati Uniti alla politica aggressiva di Israele sembra segnare il punto di non ritorno di un conflitto che ha radici profonde, alimentato da ideologie contrapposte e da interessi strategici divergenti.

Politicamente, l'attacco israeliano ha reso evidente l'intensificarsi della guerra a bassa intensità tra le potenze regionali. Israele, con la sua operazione “Leone Ascendente”, ha voluto chiarire una volta per tutte che non tollererà il programma nucleare iraniano, ritenuto una minaccia per la propria sicurezza nazionale. Questo attacco ha avuto l'effetto di indebolire momentaneamente l'Iran, uccidendo alcuni dei suoi strateghi più esperti e decimando parte delle sue capacità operative. Tuttavia, la risposta dell'Iran non si è fatta attendere: il lancio di droni ha avuto il chiaro intento di far capire a Israele che ogni azione avrà una controparte, anche se le capacità belliche di Teheran, pur impressionanti, non possono in alcun modo paragonarsi alla potenza di fuoco israeliana.

Le implicazioni politiche per il Medio Oriente sono incalcolabili. L'Iran ha immediatamente mobilitato le sue milizie alleate in Siria, Libano e Iraq, preparando il terreno per una possibile guerra per procura che potrebbe estendersi ben oltre i confini dei due paesi coinvolti. In questo scenario, la comunità internazionale rischia di assistere a una polarizzazione crescente, con i paesi arabi che, pur condannando l’aggressione israeliana, non sembrano disposti a schierarsi apertamente a favore di Teheran, temendo le ripercussioni di un allineamento troppo esplicito.

(IR2)

Moralmente, invece, l'attacco israeliano solleva interrogativi inquietanti sulla legittimità di un'azione preventiva, soprattutto quando si considera che l'Iran ha sempre sostenuto di non avere intenzioni belliche dirette contro Israele. Sebbene Israele possa giustificare il suo intervento come una misura di difesa preventiva, non si può ignorare la violazione della sovranità iraniana e il fatto che l’attacco possa generare un'ulteriore spirale di violenza e vendetta. La morte di alti ufficiali iraniani e scienziati nucleari potrebbe, inoltre, rafforzare la narrativa del martirio e alimentare il risentimento tra la popolazione iraniana, creando un ulteriore fossato tra l'Iran e l'Occidente.

Da un punto di vista etico, sorge anche la questione dell’equilibrio delle forze: mentre gli Stati Uniti e Israele vedono la sicurezza come una priorità assoluta, l'Iran non può fare a meno di difendere ciò che considera un diritto sovrano, ossia la propria capacità di autodefinirsi come potenza regionale. La domanda che sorge spontanea è quindi se la logica della deterrenza, che ha caratterizzato la guerra fredda, possa essere applicata efficacemente in un contesto così volatile e intrinsecamente pericoloso.

L'operazione ha accentuato le divisioni interne in Iran, dove il regime potrebbe trovarsi a fronteggiare un'ondata di proteste interne. La crisi economica che affligge Teheran, le sanzioni internazionali e il crescente malcontento popolare potrebbero minare ulteriormente la stabilità del governo. Tuttavia, un sentimento di orgoglio nazionale potrebbe temporaneamente consolidare il consenso interno contro l'invasore straniero, come spesso accade in contesti bellici.

In Europa, la situazione appare delicata. L'Unione Europea, da sempre promotrice di un approccio diplomatico e pacifico, si trova ora a dover navigare tra due fuochi: la necessità di mantenere relazioni economiche con l'Iran, e l'alleanza con Israele, che rappresenta uno dei suoi principali partner strategici. La Francia e la Germania hanno condannato l'escalation, chiedendo una de-escalation immediata, ma non sono riuscite a offrire una soluzione concreta. L'Italia, pur allineata in linea di principio con le posizioni europee, ha adottato un tono più cauto, sottolineando la necessità di una mediazione internazionale urgente per evitare che il conflitto degeneri in una guerra totale.

Il nostro stato si è trovato a giocare un ruolo delicato nel bilanciare il proprio supporto a Israele con l’esigenza di non alienarsi la cooperazione iraniana. Sebbene il governo italiano abbia espresso una condanna per l'aggressione israeliana, si è anche preoccupato delle implicazioni a lungo termine di una rottura totale tra l'Iran e l'Occidente. L'Italia, infatti, è da sempre favorevole a un approccio diplomatico per risolvere la crisi nucleare iraniana, e un’escalation militare potrebbe compromettere gli sforzi compiuti negli anni passati per stabilire un dialogo.

L’Unione Europea, nel suo insieme, ha rilasciato dichiarazioni ufficiali invocando una “de-escalation immediata”, ma la divisione tra i membri più favorevoli a un duro confronto (come la Polonia) e quelli più favorevoli a un negoziato (come l’Italia e la Spagna) è ormai palese. Il rischio è che l'Europa, incapace di adottare una linea unitaria, finisca per essere marginalizzata in un conflitto che potrebbe ridisegnare gli equilibri di potere nell'intera regione mediorientale.

L'attacco israeliano all'Iran ha profondamente scosso gli assetti geopolitici internazionali, mettendo in luce non solo le fragilità politiche e sociali dei protagonisti del conflitto, ma anche la difficoltà di una comunità internazionale a trovare un punto di mediazione efficace. Le conseguenze politiche, morali e sociali di questa nuova escalation sono ancora in divenire, ma una cosa è certa: l'Europa e l'Italia dovranno affrontare con urgenza la necessità di rinnovare i propri approcci diplomatici, se vogliono evitare che il conflitto si trasformi in una guerra su scala globale. La strada verso una stabilizzazione del Medio Oriente sembra sempre più incerta e tortuosa, e l'unica speranza risiede nel ritorno al dialogo e alla cooperazione internazionale.

#Blog #Iran #Israele #Medioriente #War #Guerra #Opinioni #Politica #Politics


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Il mondo finisce ad Oriente.


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(IR)

Nota: Lo so, non è da me farla così lunga, ma in un mondo che impazzisce forse un pochino di squilibrio ce lo metto anche io. La verità è che la #Pace è davvero impossibile. Almeno così sembra. Il che rende, fondamentalmente, questo uno sfogo. Ci vuole pazienza.

La notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 ha visto l'ennesima escalation del conflitto mediorientale, quando #Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro l' #Iran, mirato principalmente alle strutture nucleari e militari di Teheran. Le forze israeliane hanno colpito siti sensibili, distruggendo laboratori e centri di ricerca, nonché eliminando alcuni tra i principali comandanti delle Guardie della Rivoluzione, l'élite militare iraniana. Un colpo che ha scatenato una serie di reazioni internazionali. L'Iran, come prevedibile, ha replicato con una serie di droni che hanno tentato di colpire obiettivi strategici in Israele, gettando il paese in una nuova spirale di violenza.

Le parole di #DonaldTrump, che ha immediatamente espresso un sostegno incondizionato all'azione israeliana, hanno ulteriormente polarizzato il dibattito internazionale. Trump ha minacciato l'Iran con nuove offensive se non avesse accettato un accordo sul nucleare, aggiungendo così un ulteriore strato di complessità alla già tesa situazione geopolitica. L’appoggio degli Stati Uniti alla politica aggressiva di Israele sembra segnare il punto di non ritorno di un conflitto che ha radici profonde, alimentato da ideologie contrapposte e da interessi strategici divergenti.

Politicamente, l'attacco israeliano ha reso evidente l'intensificarsi della guerra a bassa intensità tra le potenze regionali. Israele, con la sua operazione “Leone Ascendente”, ha voluto chiarire una volta per tutte che non tollererà il programma nucleare iraniano, ritenuto una minaccia per la propria sicurezza nazionale. Questo attacco ha avuto l'effetto di indebolire momentaneamente l'Iran, uccidendo alcuni dei suoi strateghi più esperti e decimando parte delle sue capacità operative. Tuttavia, la risposta dell'Iran non si è fatta attendere: il lancio di droni ha avuto il chiaro intento di far capire a Israele che ogni azione avrà una controparte, anche se le capacità belliche di Teheran, pur impressionanti, non possono in alcun modo paragonarsi alla potenza di fuoco israeliana.

Le implicazioni politiche per il Medio Oriente sono incalcolabili. L'Iran ha immediatamente mobilitato le sue milizie alleate in Siria, Libano e Iraq, preparando il terreno per una possibile guerra per procura che potrebbe estendersi ben oltre i confini dei due paesi coinvolti. In questo scenario, la comunità internazionale rischia di assistere a una polarizzazione crescente, con i paesi arabi che, pur condannando l’aggressione israeliana, non sembrano disposti a schierarsi apertamente a favore di Teheran, temendo le ripercussioni di un allineamento troppo esplicito.

(IR2)

Moralmente, invece, l'attacco israeliano solleva interrogativi inquietanti sulla legittimità di un'azione preventiva, soprattutto quando si considera che l'Iran ha sempre sostenuto di non avere intenzioni belliche dirette contro Israele. Sebbene Israele possa giustificare il suo intervento come una misura di difesa preventiva, non si può ignorare la violazione della sovranità iraniana e il fatto che l’attacco possa generare un'ulteriore spirale di violenza e vendetta. La morte di alti ufficiali iraniani e scienziati nucleari potrebbe, inoltre, rafforzare la narrativa del martirio e alimentare il risentimento tra la popolazione iraniana, creando un ulteriore fossato tra l'Iran e l'Occidente.

Da un punto di vista etico, sorge anche la questione dell’equilibrio delle forze: mentre gli Stati Uniti e Israele vedono la sicurezza come una priorità assoluta, l'Iran non può fare a meno di difendere ciò che considera un diritto sovrano, ossia la propria capacità di autodefinirsi come potenza regionale. La domanda che sorge spontanea è quindi se la logica della deterrenza, che ha caratterizzato la guerra fredda, possa essere applicata efficacemente in un contesto così volatile e intrinsecamente pericoloso.

L'operazione ha accentuato le divisioni interne in Iran, dove il regime potrebbe trovarsi a fronteggiare un'ondata di proteste interne. La crisi economica che affligge Teheran, le sanzioni internazionali e il crescente malcontento popolare potrebbero minare ulteriormente la stabilità del governo. Tuttavia, un sentimento di orgoglio nazionale potrebbe temporaneamente consolidare il consenso interno contro l'invasore straniero, come spesso accade in contesti bellici.

In Europa, la situazione appare delicata. L'Unione Europea, da sempre promotrice di un approccio diplomatico e pacifico, si trova ora a dover navigare tra due fuochi: la necessità di mantenere relazioni economiche con l'Iran, e l'alleanza con Israele, che rappresenta uno dei suoi principali partner strategici. La Francia e la Germania hanno condannato l'escalation, chiedendo una de-escalation immediata, ma non sono riuscite a offrire una soluzione concreta. L'Italia, pur allineata in linea di principio con le posizioni europee, ha adottato un tono più cauto, sottolineando la necessità di una mediazione internazionale urgente per evitare che il conflitto degeneri in una guerra totale.

Il nostro stato si è trovato a giocare un ruolo delicato nel bilanciare il proprio supporto a Israele con l’esigenza di non alienarsi la cooperazione iraniana. Sebbene il governo italiano abbia espresso una condanna per l'aggressione israeliana, si è anche preoccupato delle implicazioni a lungo termine di una rottura totale tra l'Iran e l'Occidente. L'Italia, infatti, è da sempre favorevole a un approccio diplomatico per risolvere la crisi nucleare iraniana, e un’escalation militare potrebbe compromettere gli sforzi compiuti negli anni passati per stabilire un dialogo.

L’Unione Europea, nel suo insieme, ha rilasciato dichiarazioni ufficiali invocando una “de-escalation immediata”, ma la divisione tra i membri più favorevoli a un duro confronto (come la Polonia) e quelli più favorevoli a un negoziato (come l’Italia e la Spagna) è ormai palese. Il rischio è che l'Europa, incapace di adottare una linea unitaria, finisca per essere marginalizzata in un conflitto che potrebbe ridisegnare gli equilibri di potere nell'intera regione mediorientale.

L'attacco israeliano all'Iran ha profondamente scosso gli assetti geopolitici internazionali, mettendo in luce non solo le fragilità politiche e sociali dei protagonisti del conflitto, ma anche la difficoltà di una comunità internazionale a trovare un punto di mediazione efficace. Le conseguenze politiche, morali e sociali di questa nuova escalation sono ancora in divenire, ma una cosa è certa: l'Europa e l'Italia dovranno affrontare con urgenza la necessità di rinnovare i propri approcci diplomatici, se vogliono evitare che il conflitto si trasformi in una guerra su scala globale. La strada verso una stabilizzazione del Medio Oriente sembra sempre più incerta e tortuosa, e l'unica speranza risiede nel ritorno al dialogo e alla cooperazione internazionale.

#Blog #Iran #Israele #Medioriente #War #Guerra #Opinioni #Politica #Politics

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oddio

scrivo questo testo in differita (ho scritto questo testo in differita?) perché ho fatto scadere l’invito a Log, e, insomma, non so se questo già basti a raccontare o introdurre o a presentare – la testa di rapa che un po’ sono. ma non è tanto importante il come (in ritardo, cioè) ma il perché, si dice, e quindi intanto racconto questo, che ho avuto un grande desiderio di scrivere e raccontare quel che succede a scuola, e l’ho avuto proprio da quando sono a scuola. negli ultimi mesi faccio mentoring, parola che vuole dire proprio poco, mi fa pensare a quei termini vaghi come Animale, come diceva Derrida, che sono dei singolari-generali che raccolgono al loro interno tante cose e quindi forse troppe, cioè forse nessuna cosa, e però pure con l’aggravante del tecnicismo inglese che non son nemmeno sicura sia tanto tecnico, ma comunque, ecco, il mentoring è una via di mezzo fra l’aiuto compiti e l’orientamento e il sostegno a volte un po’ emotivo. io non so consolare le persone, mi ha detto a proposito (ragazza) proprio oggi, mentre leggevamo l’epopea di gilgameš. allora ci ho pensato un attimo (neanche io so consolare le persone, penso sempre, mi sento rigida senza garbo improvvisamente estranea e a volte quando arriva il loro dolore a me sembra di sentire quello, che è il loro dolore, e poi però un mio privilegio, o una distanza che si chiama fortuna, anche se anche io lo sento quel dolore, o lo so sentire, immaginare, e mi fa sentire un po’ in colpa, e mi lascia lì a orbitare). allora le ho chiesto, e tu (ragazza), che cosa ti fa sentire consolata – trovi che le altre persone ti sappiano consolare? e lei è rimasta in silenzio e ha detto: questo non lo so, non me lo sono mai chiesta, è una domanda con una risposta difficile. ma, quanto a me, diceva, io le persone però le abbraccio solo, e mi sembra poco, e questo lo so. io ho pensato che invece era tantissimo e gliel'ho detto, e anche detto, guarda, spesso basta quello spazio lì, che va da un braccio all’altro, lo spazio di due braccia?, in cui dirsi: ecco qui, ma certo, per questo dolore c’è spazio, vedi?, di questo dolore siamo capaci (capace è capax dal latino, quella parola che parla anche della bottiglia, e che ci dice che ha questa o quella capacità di contenere, capacità che spesso varia, direi proprio)). dicevo però, e ancora arrivo in ritardo, vi chiedo un po’ scusa, che questa cosa di scrivere mi è venuta soltanto a scuola – forse perché a scuola amavo scrivere e scrivevo tanti racconti, ed era facile e poi ho smesso, e scrivere è diventato solo un compito e un far vedere che so fare, o che dovrei saper fare, che so produrre una cosa sensata, forza, guarda, oh no, mi stanno guardando, mi stanno leggendo, e forse per questo il fatto che scrivo finisce ormai per significare che produrrò anche qualcosa di un po’ oscuro (metà colpa del fatto che sono involuta di mio, metà grazie al fatto che mi piace che le frasi prima che leggerle si possano suonare o insomma si muovano da sé e che somiglino quasi al verso, forse come quello che fanno gli animali – alcuni animali, specifichiamo quali, che sennò non vale: a me piacciono gli insetti, per esempio, e loro cantano parecchio, sarà questo?). e succede questo pianto e stridore di denti, dico un po' scherzando e un po' sul serio, perché nello scrivere per me c'è dentro anche tanto della vergogna, dell'esporsi quando non sempre si vuole, e così via. però l’altro giorno, uscita da scuola, volevo – avevo in testa che volevo scrivere qualcosa di più lungo, magari non proprio questo, sicuramente non proprio questo, e anche ieri dopo le nuove due ore in classe avevo in testa ancora una cosa del genere, o questa cosa che è un po' degenere, lo ammetto. e quindi, intanto, le ho messe per iscritto, e ora le metto qui. come si dice. piacere? dopo, comunque, vi racconto meglio.


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Ricordando Max Gerlach


La storia di oggi parla di un uomo dimenticato, un uomo sconosciuto ai più, che non venne creduto in vita e il cui nome è stato seppellito dalla polvere degli anni.

Max Gerlach venne al mondo in Germania nel 1885 – sono dunque trascorsi 140 anni dalla sua nascita – ma si trasferì ancora bambino negli Stati Uniti d'America, dove studiò, lavorò come meccanico e si arruolò nell'esercito, nel 1918. Se la sua storia vi pare fin qui comune a quella di milioni di altri individui, non siete troppo lontani dalla verità, ma Max era deciso a incarnare quel sogno americano di cui traboccano racconti e film: lui non voleva una vita ordinaria, lui voleva splendere.

Il lavoro di meccanico lo portò a incontrare le più diverse persone, appartenenti ai più disparati ambiti sociali e professionali, ed è proprio lavorando nella sua officina, dando nuova vita ad automobili acciaccate, che probabilmente gli venne l'idea di dare nuova vita anche a se stesso: iniziò facendosi chiamare Max von Gerlach, ammantando il proprio nome con un velo di europea nobiltà, e prese a parlare in modo raffinato e snob, usando spesso l'intercalare “old sport”.

Se a questo punto un'eco lontana ha iniziato a sussurrarvi nella mente non dovete stupirvi troppo: Max Gerlach fu tutt'altro che una persona comune e la sua storia, o perlomeno quella che da essa trasse con ogni probabilità ispirazione, è stata diffusa in tutto il mondo, venendo trasposta anche in due film di successo con attori di fama planetaria.

Max Gerlach

Ma forse qualche altro indizio vi guiderà verso la soluzione del mistero. Come dicevo poc'anzi, il lavoro di Max lo portò a entrare in contatto con le persone più diverse; tra queste, il boss mafioso Arnold “The Brain” Rothstein (anch'egli di chiara ascendenza germanofona), passato alla storia per lo scandalo delle scommesse esploso in seguito alle finali truccate del campionato di baseball del 1919. Tra le variegate conoscenze maturate da Gerlach spicca il nome di un celebre autore statunitense: Francis Scott Fitzgerald.

Lo scrittore non fece mai mistero di trarre ispirazione dalla sua vita per scrivere poi i propri romanzi: chiaramente riferito ai suoi anni da studente a Princeton è ad esempio “Di qua dal Paradiso” e certo non mancano spunti autobiografici in “Belli e dannati”; ha dunque senso supporre che anche “Il grande Gatsby”, la sua opera più celebre e di cui quest'anno ricorre il centenario della prima pubblicazione, immergesse le proprie radici nel terreno della realtà quotidiana.

A supporto di questa teoria, che vedrebbe lo sconosciuto e dimenticato Max Gerlach come ispiratore del personaggio di Jay Gatsby non ci sarebbero soltanto i numerosi “old sport” usati come intercalare dai due (Gatsby pronuncia questo “vecchio mio” ben 42 volte all'interno del romanzo, e la frase è stata ripresa anche nei film che hanno visto protagonisti Robert Redford prima e Leonardo Di Caprio poi): la reale “collaborazione” di Gerlach col mafioso ebreo Rothstein richiama da vicino quella romanzesca di Gatsby con Meyer Wolfsheim, anch'egli votato al crimine e dotato di cognome tedesco, e c'è poi la telefonata che lo stesso Max Gerlach fece a una trasmissione radiofonica, nel 1951, nel corso della quale si stava presentando una biografia di Fitzgerald, asserendo di essere lui il vero Jay Gatsby. Ma non venne creduto. Da tempo si identificava “Il grande Gatsby” con Robert Kerr, molto amico dell'autore, uomo di umili origini e capace di dare la scalata al successo proprio come il protagonista del romanzo: la “sparata” radiofonica di un meccanico immigrato, ormai vecchio e malconcio, non venne minimamente presa in considerazione.

Questo fino a quando, parecchi anni dopo, un altro biografo di Fitzgerald, Matthew Bruccoli, non trovò tra alcuni appunti dell'autore una scritta di Max Gerlach che diceva “How are you and the family, old sport?” (“Come state tu e la famiglia, vecchio mio?”). Troppo tardi per dare all'anziano meccanico in pensione il giusto riconoscimento: era morto al Bellevue Hospital di New York nel 1958. Ma non troppo tardi per raccontare la sua storia.

Max Gerlach il grande Gatsby


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Il valore delle cose risiede proprio nel tempo in cui durano.


L’intensità dei momenti può abbagliare, ma è la continuità che costruisce significato. Una passione fugace può sembrare indimenticabile, ma ciò che resiste alle prove del tempo — un’amicizia che attraversa le stagioni, un impegno che non vacilla, un amore che cresce ogni giorno — ha un valore ben più profondo.

I momenti intensi, per quanto brillanti, sono come fuochi d’artificio: affascinano per un attimo, poi svaniscono. Le cose davvero importanti nella vita sono quelle che restano, che si radicano, che si costruiscono con pazienza. Non servono emozioni travolgenti per rendere qualcosa memorabile: serve presenza, costanza, e il coraggio di restare anche quando l’intensità lascia spazio alla quotidianità.

In fondo, non è difficile brillare per un attimo. Ma durare, quello sì, è raro. E prezioso.


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Laurie Anderson - Homeland (2010)


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Homeland è il settimo album in studio di Laurie Anderson, pubblicato nel 2010. Si tratta di un concept album sulla vita negli Stati Uniti, il suo primo album di nuovo materiale da Life on a String del 2001. Il disco è stato prodotto da Anderson, Lou Reed e Roma Baran. Anderson ha iniziato il tour del progetto alla fine del 2007. L'uscita dell'album era originariamente prevista per il 2008. A causa dei continui cambiamenti di forma del progetto, l'uscita è stata posticipata più volte. L'ultima uscita, nel 2010, è stata un cofanetto di due dischi composto da un CD e un DVD. La canzone “Only an Expert” è stata pubblicata come singolo in vinile da 12” il 18 maggio 2010. Una canzone intitolata “Pictures and Things” era il lato B del singolo. L'ultima traccia dell'album, “Flow”, è stata nominata per il Grammy Award come migliore performance pop strumentale nel 2011.


Ascolta: album.link/i/376832039



noblogo.org/available/laurie-a…


Laurie Anderson - Homeland (2010)


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Homeland è il settimo album in studio di Laurie Anderson, pubblicato nel 2010. Si tratta di un concept album sulla vita negli Stati Uniti, il suo primo album di nuovo materiale da Life on a String del 2001. Il disco è stato prodotto da Anderson, Lou Reed e Roma Baran. Anderson ha iniziato il tour del progetto alla fine del 2007. L'uscita dell'album era originariamente prevista per il 2008. A causa dei continui cambiamenti di forma del progetto, l'uscita è stata posticipata più volte. L'ultima uscita, nel 2010, è stata un cofanetto di due dischi composto da un CD e un DVD. La canzone “Only an Expert” è stata pubblicata come singolo in vinile da 12” il 18 maggio 2010. Una canzone intitolata “Pictures and Things” era il lato B del singolo. L'ultima traccia dell'album, “Flow”, è stata nominata per il Grammy Award come migliore performance pop strumentale nel 2011.


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SALMO - 129 (128)


INVOCAZIONE A DIO CONTRO I NEMICI D'ISRAELE1 Canto delle salite

Quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza – lo dica Israele –,

2 quanto mi hanno perseguitato fin dalla giovinezza, ma su di me non hanno prevalso!

3 Sul mio dorso hanno arato gli aratori, hanno scavato lunghi solchi.

4 Il Signore è giusto: ha spezzato le funi dei malvagi.

5 Si vergognino e volgano le spalle tutti quelli che odiano Sion.

6 Siano come l'erba dei tetti: prima che sia strappata, è già secca;

7 non riempie la mano al mietitore né il grembo a chi raccoglie covoni.

8 I passanti non possono dire: “La benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome del Signore”.

_________________Note

129,1 Rievocando le molte situazioni di oppressione che hanno scandito la sua storia (nei vv. 1-2 l'accenno alla giovinezza forse allude alla prima oppressione, quella egiziana), la comunità d’Israele riconferma la propria fiducia nel Dio dei padri, che mai ha esitato nell’offrire salvezza e liberazione.

129,6 l’erba dei tetti: cresciuta sulle terrazze in terra battuta, che facevano da tetto alle case, quindi con scarse radici.

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Approfondimenti


La fiducia in Dio: certezza per Israele Salmo di fiducia

Il ritmo del salmo nel TM è quello dell'elegia (qînâ), di 3 + 2 accenti. Probabilmente è del postesilio. Strutturalmente è a intreccio graduale nei vv. 1-2. I vv. 1-4 riguardano il passato e i vv. 5-6 il futuro. Nella prima parte c'è l'immagine dell'aratura (v. 3) e nella seconda quella della mietitura (v. 7). La simbologia è temporale, spaziale, agricola e liturgica. È simile al Sal 124 e per l'ostilità menzionata riecheggia il Sal 120.

Divisione:

  • vv. 1-4: racconto del passato doloroso;
  • vv. 5-8: supplica per un futuro migliore.

v. 1. «dalla giovinezza»: allusione al periodo dell'esodo (cfr. Os 2,17; Ger 2,2). «ma non hanno prevalso»: il salmista può dirlo con orgoglio, a nome d'Israele, di non essere stato schiacciato e annullato definitivamente dai nemici, per grazia di Dio (v. 3) (cfr. Lam 3,2).

v. 3. «Sul mio dorso hanno arato...»: il simbolo agricolo dell'aratura richiama la flagellazione e la devastazione della guerra (cfr. Mic 3,12; Is 50,6; 53,4-5).

v. 4. «Il Signore è giusto...»: si attribuisce la causa della sopravvivenza a tante angherie e oppressioni al Signore che è «giusto» (= fedele alla sua alleanza).

v. 5 «quanti odiano Sion»: sono quelli che odiano il Signore e il suo popolo (cfr. Is 4,3; 64,10; Mic 3,10.12; Sal 51,20). Sion è luogo della presenza della casa di Davide e del tempio del Signore, ove si raccoglie il popolo a pregare.

v. 7. «non se ne riempie la mano il mietitore...»: dopo l'immagine dell'erba dei tetti (gramigna), che non avendo radici subito dissecca (v. 6), segue l'immagine del grano, che falciato si rivela inservibile, perché poco consistente per non aver maturato il seme nella spiga. Ambedue i paragoni (v. 6-7) servono a descrivere il rapido annientamento dei nemici di Dio e del suo popolo, auspicato dal salmista.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il girone delle multinazionaliAl giorno d’oggi, la diffusione delle Multinazionali è agevolata dalla crescente Globalizzazione: trampolino di lancio per imprenditori avidi, fanatici ed arrivisti, mossi unicamente dal desiderio di guadagno ed espansione. Questi facoltosi potenti hanno sacrificato valori morali ed ideali, appartenenti al loro passato come semplici persone, per raggiungere la vetta.La tutela dell’ambiente e la libertà, persino quella dei propri dipendenti, sono spesso volutamente ignorate, in nome del successo e dell’ascesa sociale. Le unicità culturali dei diversi paesi, che andrebbero preservate e non contaminate, sono minacciate da un’espansione imprenditoriale egoistica e colonizzatrice. Il pensiero occidentale è la chiave per esportare tantissime aziende nel resto del Mondo, servendosi del malsano pretesto di voler condividere valori e benessere, spesso imposti e contrastanti con la cultura autoctona, definita erroneamente arretrata dagli approfittatori. Questa scusa per lo più ipocrita, è il doppio fondo di una volontà studiata per ampliare le fasce di mercato dei Grandi Commercianti che, una volta saturato il proprio mercato nei nostri paesi, sono partiti a conformare il resto del Mondo verso una sola cultura, verosimilmente la nostra. Il rischio più grave è l’omologazione culturale globale, che potrebbe cancellare le peculiarità delle società più lontane da noi.

Il simbolo più evidente di questo meccanismo è il McDonald's: presente in ogni angolo del mondo, offre ovunque lo stesso sapore standardizzato e scadente. I suoi prezzi accessibili lo rendono attraente per tutti, anche per le fasce sociali più povere, vendendo cibo spazzatura al limite della tossicità. La qualità è di solito così scadente che potrebbe essere meno nocivo mangiare una volta a settimana, piuttosto che mangiare tutti i giorni in questo colosso industriale. In molti paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, le persone che lavorano per queste multinazionali sono sottopagate, erano povere prima e continuano ad esserlo adesso. La stragrande maggioranza di loro, è costretta ad alimentarsi con la nostra spazzatura, propinata dalla stessa Multinazionale da cui dipendono. Il buon senso e la giustizia vengono sistematicamente ignorati, a favore delle logiche di mercato.

La globalizzazione ha davvero migliorato le nostre vite?... o piuttosto, quelle di chiunque non abbracci la cultura occidentale capitalista e consumistica? Da questo aspetto sicuramente no. Il successo di servizi come McDonald's si basa su velocità, accessibilità e comodità, e sono gli stessi motivi per cui siamo totalmente catturati dai sevizi di Amazon. Sono così efficienti e sbalorditivamente veloci che non si riesce a farne a meno.

Dovremmo però essere tutti più consapevoli degli effetti disastrosi che le multinazionali hanno sull’economia e sull’ambiente, basta consultare il proprio “dispensatore di cultura”, ma continuiamo a scegliere la comodità a discapito della nostra etica. Il motivo per cui pochissime menti andrebbero contro questi meccanismi spettacolarmente attraenti, è racchiuso in una giustificazione tanto banale quanto pericolosa: “Tanto lo fanno tutti”. L’idea generale è che se qualcosa è condiviso da tutti, allora non può essere sbagliato. E’ un processo mentale così facile ed elementare che rende facile uniformarsi e che ci solleva, almeno in apparenza, dalla responsabilità morale.

Siamo stati volutamente cresciuti secondo falsi valori e falsi ideali per renderci dei consumatori perfetti. Il nostro interesse è quasi unicamente seguire la folla, tralasciando il punto di partenza ed il punto di arrivo e soprattutto, se la destinazione possa essere catastrofica o no. Di conseguenza siamo tutti coinvolti, anche inconsapevolmente, nel sostenere un sistema corrotto e egoista. Viviamo in una realtà che non ha mai avuto a cuore i bisogni del consumatore, si concentra piuttosto a rendere il consumatore stesso bisognoso ed assuefatto. Stiamo parlando di un sistema mondiale nato e studiato per essere incontrastabile, capace di sopravvivere a qualsiasi crisi o epoca futura. Siamo tutti responsabili equivale al fatto che nessuno lo sia, ma la più grande responsabilità resta nelle mani degli oligarchi del capitalismo, che ci hanno indottrinati con le loro strategie persuasive, come la costante pubblicità, alimentando le logiche di mercato. Basta prestare attenzione ad una qualsiasi pubblicità.

Una lontana soluzione potrebbe presentarsi solo se, a livello globale, trovassimo un motivo comune per far risuonare le nostre voci all’unisono e partecipare attivamente ad una lotta ideologica totale. Ognuno di noi, orientale o occidentale che sia, avrebbe le sue ragioni per combattere. Unirsi in un collettivo e vasto schieramento di opposizione è un modo per fare la differenza.

Una soluzione individuale e riduttiva come tale, si cela fra le decisioni che prendiamo ogni giorno: la scelta quotidiana di non alimentare consapevolmente un sistema che riteniamo ingiusto.


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[filtri]si] allungano del caso del vetro a soffietto nello smistamento stringono [la deriva dei continenti il panavision nella replica pittori] derivati -meno di genere subaffitti un gruppo tre punti elettrogeno a monete replicano la fuga di Don gerarchie gli animali le cose il terzo stato la classe morta energetica lo strato] la corteccia -meno neuropop successivo corrosiva [la gabella il] contratto capoverso sigle un dimenticatoio preceduto rosso lo spettro FF0000 accumuli [online è presente è] un'area trasmessa la secchezza] [delle fauci


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Scrivere


Perché? Comunicare fa parte della natura umana, anzi: trasmettere le proprie conoscenze ai membri del branco e ai cuccioli, evitando loro rischi e pericoli, organizzando le battute di caccia o pianificando la difesa o l'espansione del proprio territorio, è caratteristica comune a tutti gli animali che si ritengono più evoluti. Ma comunicare non è scrivere. Quando, a Lascaux, circa 17500 anni fa, qualcuno disegnò cavalli, cervi, bisonti e lasciò il segno delle proprie mani sulle pareti delle grotte, certamente voleva comunicare qualcosa, forse ai posteri o forse al divino, ma per passare dai disegni alla scrittura è necessario attendere molto a lungo: attualmente il più antico testo scritto è, secondo molti studiosi, la tavoletta di Kish ritrovata appunto nell'antica città sumera di Kish, nell'attuale Iraq.Tavoletta di Kish

Si tratta, come da consolidata tradizione mesopotamica, di una tavoletta d'argilla, sulla quale sono stati incisi simboli proto-cuneiformi, ma la cui datazione è ancora oggetto di discussione, essendo stata scoperta in un'epoca in cui l'archeologia era ancora molto più basata sull'avventura e l'intraprendenza che non sulla scienza e la stratigrafia, e anche il suo significato è oggetto di speculazioni e diatribe. Io credo sia l'inizio della barzelletta: “Sapete cosa fanno un ittita, un egiziano e un sumero in una taverna?”

Pur tra i mille dubbi che ancora ammantano la nascita della scrittura, almeno la sua funzione pare certa: si scrive – e si scriveva – per fissare concetti e sapere, per tramandare, come dicevamo all'inizio, le proprie conoscenze, nel sacro come nella contabilità, nelle leggi come nella medicina. Non si sa con certezza neppure quando la scrittura, dono divino secondo svariate culture del passato, sia uscita da templi, palazzi e tribunali per andare ad abbracciare la cultura popolare, fissando con parole immutabili racconti che prima erano destinati a svanire insieme al suono delle voci. Nell'estate del 2018 un gruppo di archeologi impegnati in una campagna di scavi nel sito di Olimpia Antica ha scoperto una tavoletta di argilla su cui erano incisi i primi 13 versi dell'Odissea di Omero; datata come riconducibile all'epoca romana, attorno al III secolo dopo Cristo, potrebbe essere la più antica testimonianza scritta di un poema occidentale.Tavoletta omerica

Per arrivare ai romanzi, però, è necessario attendere ancora svariati secoli: il termine romanzo probabilmente deriva dal francese antico romanz, a sua volta proveniente dall'avverbio tardo latino romanice che significa “alla romana” e veniva usato per designare i cittadini di origine romana che parlavano, appunto, “romanice”, a differenza dei barbari. È solo nel XII secolo che in Francia la parola romanz assume anche un altro significato, andando a designare il discorso o il testo in lingua volgare, e più tardi ancora indicherà quelle opere letterarie che riprendevano i miti e le leggende del mondo classico. Come da questo si sia arrivati al surplus di scrittura e pubblicazioni che dominano il nostro vivere quotidiano, però, è un'altra storia...


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Periferie


Sono insieme spazio fisico, esperienza personale e collettiva. Un vissuto complesso, stratificato e in continuo movimento. Sono anche forme di invisibilità nate da urbanità frammentate, spesso attraversate da solitudini che non si misurano e non si colmano.

Condizioni non agevoli, in cui alcuni talvolta l’umano e il simbolico sono più vivi che altrove. Nelle periferie nascono nuove estetiche, spazi di solidarietà, laboratori di innovazione e molto altro.

Queste sono forme di resistenza, espressioni vitali e segnali positivi. Ci ricordano che un benessere più ampio e diffuso è necessario.

Perché, quando viene meno l’accesso a ciò che è essenziale – una scuola, un medico, un autobus che arriva – la vita si restringe.

Perché, quando si è esclusi dalle decisioni che modellano lo spazio comune, i sogni delle persone diventano problemi da gestire.

Perché, nell’impossibilità di immaginare un futuro il tempo degenera in mera ripetizione.


Marginalità, esclusione e abbandono consumano la vitalità del corpo e le energie necessarie a proiettarsi nel futuro.

L'esclusione

Le periferie non dispongono di reti di trasporto adeguate, e questo ostacola l’accesso a scuole, università e lavoro. Sono escluse dai servizi pubblici essenziali, spesso assenti o mal funzionanti. Anche chi opera in questi ambiti si scontra con condizioni difficili. Da decenni vivono una condizione cronica di disinvestimento: l’occupazione è precaria o del tutto assente.

L'abbandono

Salvo rare eccezioni, queste aree sono abbandonate dalle istituzioni, che faticano a comprenderle e non vi investono in modo continuativo. Sono ignorate dagli attori economici e – nel migliore dei casi – assediate da centri commerciali. Non vengono considerate territori su cui scommettere: troppo rischiose, troppo poveri i loro abitanti. Sono abbandonate anche dalla società, quando il discorso pubblico le riduce a ghetti o dormitori.

Infine, stigmatizzare le periferie è un modo per marginalizzarle.

E così, a problemi strutturali si risponde con misure emergenziali: più forze dell’ordine, più controlli. Ma ciò che serve davvero è un approccio trasformativo, basato sull’empowerment, sull’educazione come leva di cittadinanza attiva, sulla rigenerazione urbana partecipata e sul rafforzamento delle reti solidali.

Le periferie non vanno “salvate”, vanno riconosciute per ciò che sono: luoghi abitati, complessi e vitali, attraversati da potenzialità, relazioni, culture ibride e capacità di resilienza.

Per costruire percorsi solidi di autonomia, emancipazione e benessere, servono alleanze e un quadro di riferimento stabile. Occorrono condizioni strutturali: un ecosistema di supporto educativo, culturale, urbano e politico – solido, accessibile, duraturo.

Intervenire, allora, non è un atto di salvataggio, ma un gesto di giustizia sociale.


noblogo.org/marco-benini/perif…



Ma la vita è teatro!


Amo le cose vere, certo, ma chi dice che la verità debba sempre mostrarsi nuda e cruda? Le parrucche, le maschere, i travestimenti non sono solo finzione: sono arte, gioco, sopravvivenza. A volte, persino una forma di sincerità più profonda.

Perché limitarsi a sorridere per nascondere il dolore, quando si può indossare un volto di glitter e paillettes per trasformarlo in qualcos’altro? La maschera non è solo menzogna: è libertà. Libertà di essere chi non si è, chi si sogna, chi si teme, chi si desidera. Il teatro, il carnevale, il trucco sono linguaggi antichi che dicono: “Ecco un’altra verità, una che forse non osavi confessare.”

E poi, siamo davvero così sicuri che il “vero” sia sempre migliore del “finto”? A volte, una bugia gentile salva un’amicizia. Un costume stravagante rivela più coraggio di mille parole sobrie. Un volto dipinto può essere una dichiarazione, una protesta, una poesia.

La vita non è un tribunale della autenticità. È un palcoscenico. E se vogliamo recitare, danzare, fingersi eroi o mostri, perché no? L’unica maschera inaccettabile è quella che ci costringiamo a portare per compiacere chi grida: “Sii te stesso!” — come se “noi stessi” fossimo qualcosa di semplice, di immutabile, di privo di contraddizioni.

Preferisco mille maschere a un solo volto imposto. Preferisco la complessità alla purezza. Preferisco ridere, fingere, esagerare, trasformarmi. Perché anche nell’artificio, a volte, si nasconde una verità più grande.


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QUESTO E' UN ADDIO.

A memoria mia non c'è mai stata una singola volta in cui io sia andato alle urne per non riceverne, poi, una enorme delusione.

I casi erano 2: o vinceva una coalizione/partito così impresentabile da farmi domandare “ma com'è possibile?”, oppure chi votavo io si rivelava una tristissima delusione, poco dopo (ma, molto più spesso, si è verificato il primo caso). Non parliamo di referendum; quasi mai le mie speranze hanno prevalso o raggiunto il quorum.

Perché?

Con il tempo, questa domanda è diventata sempre più ingombrante nel mio cuore e nei pensieri.

Perché?

Mi sono convinto, piano piano, di essere diverso: un italiano atipico, le cui speranze non erano condivise quasi da nessuno. E, in effetti, lo sono.

Eppure era così facile capire chi fosse impresentabile! Ci sono stati e ci sono presidenti del Consiglio per cui “il popolo” (o almeno quella parte con cui avevo a che fare) sbavava letteralmente: guai a toccarli! Guai ad accennare che, forse, la tal misura poteva non essere molto azzeccata: chi mi stava intorno mi mangiava la faccia (come diciamo dalle mie parti), fatte salve poche eccezioni. Dopo pochi mesi tutto questo fervore passava, i disastri che per me sarebbero stati evidenti diventano effettivamente lampanti, ma si dava un colpo di spugna al presidente di turno e si ricominciava con un altro personaggio, con altri disastri.

Ma perché? Perché continuavamo in questo circolo vizioso, sempre più al ribasso, con candidati sempre più impresentabili, sempre più (dati alla mano) incapaci quando non addirittura dannosi?

Non avevo risposte, ma intanto il Paese precipitava sempre più in basso, e mi sentivo impotente: non c'era modo che le cose cambiassero. Anche se la speranza era l'ultima a morire, questo clima di immobilità lo percepivo negli ambienti di lavoro, dove nessuno voleva far sentire le proprie ragioni di dipendente. Lo avvertivo nei vari referendum, dove troppo pochi votavano. Lo leggevo nelle facce delle persone quando mi spiegavano perché “dovremmo smettere tutti di votare” e poi effettivamente non ci andavano (più).

Non è cambiato granché da quegli anni, se non che io sono diventato vecchio. O quasi.

A 48 anni, dopo 30 anni di votazioni, di occasioni sprecate, di Stato civile che vedo sempre più gettare alle ortiche, posso dire di essere diventato vecchio dentro, se non fuori.

Sono tanto, tanto stanco di tutto questo.

Io, che sono un italiano decisamente atipico, non trovo un posto per me, qui.

Io, che sono uno che non usa mai le piste ciclabili contromano, uno che, prima di fermarsi a chiacchierare sul marciapiede, si assicura che ci sia abbastanza spazio per far passare altre persone; uno che paga SEMPRE il biglietto per i mezzi pubblici (e, la volta che si dimentica, ne paga 2 la volta successiva); uno che, se ha tempo, lascia che altre persone passino davanti in una fila (chiedendo prima a chi sta dietro). Uno che, visto che può camminare, non solo lascia libero il posto riservato alle persone con disabilità, ma parcheggia lontano lontano e si fa una passeggiata, che non si sa mai che ci sia qualcuno meno abile di me che può beneficiare di un posto più vicino al tal ufficio. Io che le tasse le ho sempre pagate senza mai lamentarmi. Io sono quello che si pone le domande, continuamente. Son quello che si ferma, mentre cammina, per lasciare che i piccioni finiscano di mangiare senza spaventarli. Sono quello che porta il cibo ai gatti randagi.

Io sono quello che, pur lavorando presso un ospedale, non ha mai chiesto, preteso o accettato un trattamento di favore dai colleghi medici della stessa struttura, e ho sempre avuto le prestazioni dopo mesi come tutti gli altri. Io, che per anni ho pagato più IMU del dovuto ma non l'ho mai chiesta indietro al mio Comune. Io, che ho ricevuto quella cartella esattoriale di 1850 euro dall'Agenzia entrate e non mi sono lamentato, perché erano soldi che non avevo pagato prima, e ho pure ringraziato gli impiegati negli uffici per il lavoro che fanno. Io, che ringrazio l'Europa di esistere, pur con tutti i suoi difetti.

Io, che quando vedo una persona che ha la pelle di un colore diverso dal mio, non mi faccio domande. Se parla italiano, per me è uno di noi.

Ecco, io sono questo cittadino.

E ne ho pieni i coglioni. E ho perso qualsiasi speranza: non vedrò mai un'Italia giusta, né sul fronte dei diritti (anche civili), né nella “cultura”. L'Italia è diventato un posto dove si mangia bene (e peraltro manco l'unico) e stop.

Sono stufo di essere quello diverso, quello che è lui quello strano. No cari miei, quelli strani sono coloro che non hanno il mio senso civico, sono gli altri. Sono quelli che ieri e l'altro ieri non hanno mosso le chiappe dal divano se non per andare al mare. Sono quelli che non hanno votato, perché “altrimenti Landini prende 2 milioni” [falso] o perché “anche l'astensione è una forma di espressione”. No belli miei, con tutti i miliardi che lo Stato butta per darci la possibilità di esercitare uno dei cardini della democrazia, il minimo che puoi fare per non sprecare SOLDI PUBBLICI è che alzi le chiappe e vai a votare “NO”, se proprio non ti piacciono i quesiti, come ho fatto io tante volte.

Gli strani sono quelli che non hanno ancora capito che il problema, in questo Stato, non è il politico Barabba di turno: siamo “noi”, è la gente. I politici non vengono da oltremare o da Nettuno, vengono da noi, da questo Paese.

Sono persone che, come l'italiano medio, si lamentano continuamente e danno colpe a questo o a quello, ma non se ne prendono mai una. Continuano a dare le colpe a sinistra, tanto che ormai sembra quasi che la causa di tutti i mali sia la sinistra, ma non fanno un c***o per cambiare le cose, nemmeno quando ne hanno la possibilità. E in questo, purtroppo siamo perfettamente rappresentati dall'attuale Presidente del Consiglio, e molti altri.

C'è e ci sarà sempre “qualcun altro” che deve risolvere i nostri problemi, ma mai noi in prima persona. Noi siamo perfetti, non dipendono da noi i nostri problemi. Anzi. Certo, passiamo col rosso, ma perché abbiamo fretta. Superiamo il limite di velocità, ma solo un pochino. Ci facciamo licenziare apposta a fine luglio per godere di un mese di stipendio senza lavorare, col sussidio di disoccupazione, ma ce lo meritiamo più di altri. Poi a settembre si vedrà.

Mediamente, siamo quelli che si lamentano del traffico, ma poi parcheggiano in doppia fila perché “ non c'è più posto”.

Come le persone che si lamentano dell'immondizia in giro, ma non la raccolgono e inveiscono contro il Comune che “non pulisce abbastanza”, o contro la società dei rifiuti che, come ho sentito dire di recente, “ci costringe fare la differenziata, che dobbiamo fare?”. Sicuramente non devi buttarla nel campo. QUELLA non è la soluzione.

E con queste premesse, come volete che siano i nostri politici? Persone uguali a noi, altrimenti non le voteremmo. Ma siccome questi atteggiamenti li abbiamo tutti, non saremo mai rappresentati da nessuno che davvero faccia quello che si deve fare per risollevare il Paese. Anzi: visto che lo sport nazionale pare che sia fregare lo Stato, non vedo molte differenze, non c'è un “noi” e “loro” quando si parla di cittadini e politici.

E' per tutti questi motivi che vi dico addio.

Dopo l'ennesimo schiaffo, dopo la dimostrazione che a nessuno frega più nulla neanche dei diritti dei propri figli/nipoti/coniugi, allora non c'è davvero più speranza. Diventa una lotta contro i mulini a vento da cui mi sfilo non per ignavia, ma perché l'avversario, oltre che troppo grande, è inutile combatterlo.

Continuerò a fare quello che ho sempre fatto perché sono fatto così, ma con questo Paese ho chiuso: non è il mio, non mi ci sento bene. (Aggiungiamoci poi che ci sto male anche fisicamente).

Spero, un giorno, di poter chiudere anche letteralmente, spostandomi altrove e godendo di una pensione (se mai arriverà) che mi sono sudato fino all'ultimo centesimo e oltre.

(l' “oltre” è la parte che non arriverà mai, perché manco questo siamo capaci di fare: offrire un futuro ai cittadini onesti).

Una cosa è certa: a me la cittadinanza è arrivata nascendo qui da gente nata qui, ma se potrò scegliere qui non ci voglio morire.

Dove, ancora non so: ma ovunque tranne qui.

Ora datemi pure del vigliacco se vi va.

___

Il canale Youtube su cui pubblico video e podcast, Grido Muto, presto cambierà nome.

Racconterò lì il processo che mi porterà altrove: la ricerca, le speranze, tutto. Seguitemi lì se vi va.

youtube.com/@gridomuto

#referendum #referendum2025 #politica #fibromialgia #artrite #malatiinvisibili #MalattieInvisibili #MalattieCroniche #VivereAllEstero #Estero #Emigrare #Emigrazione #FugaDeiCervelli #SensoCivico #Identità


noblogo.org/grido-muto-podcast…


QUESTO E' UN ADDIO.


QUESTO E' UN ADDIO.

A memoria mia non c'è mai stata una singola volta in cui io sia andato alle urne per non riceverne, poi, una enorme delusione.

I casi erano 2: o vinceva una coalizione/partito così impresentabile da farmi domandare “ma com'è possibile?”, oppure chi votavo io si rivelava una tristissima delusione, poco dopo (ma, molto più spesso, si è verificato il primo caso). Non parliamo di referendum; quasi mai le mie speranze hanno prevalso o raggiunto il quorum.

Perché?

Con il tempo, questa domanda è diventata sempre più ingombrante nel mio cuore e nei pensieri.

Perché?

Mi sono convinto, piano piano, di essere diverso: un italiano atipico, le cui speranze non erano condivise quasi da nessuno. E, in effetti, lo sono.

Eppure era così facile capire chi fosse impresentabile! Ci sono stati e ci sono presidenti del Consiglio per cui “il popolo” (o almeno quella parte con cui avevo a che fare) sbavava letteralmente: guai a toccarli! Guai ad accennare che, forse, la tal misura poteva non essere molto azzeccata: chi mi stava intorno mi mangiava la faccia (come diciamo dalle mie parti), fatte salve poche eccezioni. Dopo pochi mesi tutto questo fervore passava, i disastri che per me sarebbero stati evidenti diventano effettivamente lampanti, ma si dava un colpo di spugna al presidente di turno e si ricominciava con un altro personaggio, con altri disastri.

Ma perché? Perché continuavamo in questo circolo vizioso, sempre più al ribasso, con candidati sempre più impresentabili, sempre più (dati alla mano) incapaci quando non addirittura dannosi?

Non avevo risposte, ma intanto il Paese precipitava sempre più in basso, e mi sentivo impotente: non c'era modo che le cose cambiassero. Anche se la speranza era l'ultima a morire, questo clima di immobilità lo percepivo negli ambienti di lavoro, dove nessuno voleva far sentire le proprie ragioni di dipendente. Lo avvertivo nei vari referendum, dove troppo pochi votavano. Lo leggevo nelle facce delle persone quando mi spiegavano perché “dovremmo smettere tutti di votare” e poi effettivamente non ci andavano (più).

Non è cambiato granché da quegli anni, se non che io sono diventato vecchio. O quasi.

A 48 anni, dopo 30 anni di votazioni, di occasioni sprecate, di Stato civile che vedo sempre più gettare alle ortiche, posso dire di essere diventato vecchio dentro, se non fuori.

Sono tanto, tanto stanco di tutto questo.

Io, che sono un italiano decisamente atipico, non trovo un posto per me, qui.

Io, che sono uno che non usa mai le piste ciclabili contromano, uno che, prima di fermarsi a chiacchierare sul marciapiede, si assicura che ci sia abbastanza spazio per far passare altre persone; uno che paga SEMPRE il biglietto per i mezzi pubblici (e, la volta che si dimentica, ne paga 2 la volta successiva); uno che, se ha tempo, lascia che altre persone passino davanti in una fila (chiedendo prima a chi sta dietro). Uno che, visto che può camminare, non solo lascia libero il posto riservato alle persone con disabilità, ma parcheggia lontano lontano e si fa una passeggiata, che non si sa mai che ci sia qualcuno meno abile di me che può beneficiare di un posto più vicino al tal ufficio. Io che le tasse le ho sempre pagate senza mai lamentarmi. Io sono quello che si pone le domande, continuamente. Son quello che si ferma, mentre cammina, per lasciare che i piccioni finiscano di mangiare senza spaventarli. Sono quello che porta il cibo ai gatti randagi.

Io sono quello che, pur lavorando presso un ospedale, non ha mai chiesto, preteso o accettato un trattamento di favore dai colleghi medici della stessa struttura, e ho sempre avuto le prestazioni dopo mesi come tutti gli altri. Io, che per anni ho pagato più IMU del dovuto ma non l'ho mai chiesta indietro al mio Comune. Io, che ho ricevuto quella cartella esattoriale di 1850 euro dall'Agenzia entrate e non mi sono lamentato, perché erano soldi che non avevo pagato prima, e ho pure ringraziato gli impiegati negli uffici per il lavoro che fanno. Io, che ringrazio l'Europa di esistere, pur con tutti i suoi difetti.

Io, che quando vedo una persona che ha la pelle di un colore diverso dal mio, non mi faccio domande. Se parla italiano, per me è uno di noi.

Ecco, io sono questo cittadino.

E ne ho pieni i coglioni. E ho perso qualsiasi speranza: non vedrò mai un'Italia giusta, né sul fronte dei diritti (anche civili), né nella “cultura”. L'Italia è diventato un posto dove si mangia bene (e peraltro manco l'unico) e stop.

Sono stufo di essere quello diverso, quello che è lui quello strano. No cari miei, quelli strani sono coloro che non hanno il mio senso civico, sono gli altri. Sono quelli che ieri e l'altro ieri non hanno mosso le chiappe dal divano se non per andare al mare. Sono quelli che non hanno votato, perché “altrimenti Landini prende 2 milioni” [falso] o perché “anche l'astensione è una forma di espressione”. No belli miei, con tutti i miliardi che lo Stato butta per darci la possibilità di esercitare uno dei cardini della democrazia, il minimo che puoi fare per non sprecare SOLDI PUBBLICI è che alzi le chiappe e vai a votare “NO”, se proprio non ti piacciono i quesiti, come ho fatto io tante volte.

Gli strani sono quelli che non hanno ancora capito che il problema, in questo Stato, non è il politico Barabba di turno: siamo “noi”, è la gente. I politici non vengono da oltremare o da Nettuno, vengono da noi, da questo Paese.

Sono persone che, come l'italiano medio, si lamentano continuamente e danno colpe a questo o a quello, ma non se ne prendono mai una. Continuano a dare le colpe a sinistra, tanto che ormai sembra quasi che la causa di tutti i mali sia la sinistra, ma non fanno un c***o per cambiare le cose, nemmeno quando ne hanno la possibilità. E in questo, purtroppo siamo perfettamente rappresentati dall'attuale Presidente del Consiglio, e molti altri.

C'è e ci sarà sempre “qualcun altro” che deve risolvere i nostri problemi, ma mai noi in prima persona. Noi siamo perfetti, non dipendono da noi i nostri problemi. Anzi. Certo, passiamo col rosso, ma perché abbiamo fretta. Superiamo il limite di velocità, ma solo un pochino. Ci facciamo licenziare apposta a fine luglio per godere di un mese di stipendio senza lavorare, col sussidio di disoccupazione, ma ce lo meritiamo più di altri. Poi a settembre si vedrà.

Mediamente, siamo quelli che si lamentano del traffico, ma poi parcheggiano in doppia fila perché “ non c'è più posto”.

Come le persone che si lamentano dell'immondizia in giro, ma non la raccolgono e inveiscono contro il Comune che “non pulisce abbastanza”, o contro la società dei rifiuti che, come ho sentito dire di recente, “ci costringe fare la differenziata, che dobbiamo fare?”. Sicuramente non devi buttarla nel campo. QUELLA non è la soluzione.

E con queste premesse, come volete che siano i nostri politici? Persone uguali a noi, altrimenti non le voteremmo. Ma siccome questi atteggiamenti li abbiamo tutti, non saremo mai rappresentati da nessuno che davvero faccia quello che si deve fare per risollevare il Paese. Anzi: visto che lo sport nazionale pare che sia fregare lo Stato, non vedo molte differenze, non c'è un “noi” e “loro” quando si parla di cittadini e politici.

E' per tutti questi motivi che vi dico addio.

Dopo l'ennesimo schiaffo, dopo la dimostrazione che a nessuno frega più nulla neanche dei diritti dei propri figli/nipoti/coniugi, allora non c'è davvero più speranza. Diventa una lotta contro i mulini a vento da cui mi sfilo non per ignavia, ma perché l'avversario, oltre che troppo grande, è inutile combatterlo.

Continuerò a fare quello che ho sempre fatto perché sono fatto così, ma con questo Paese ho chiuso: non è il mio, non mi ci sento bene. (Aggiungiamoci poi che ci sto male anche fisicamente).

Spero, un giorno, di poter chiudere anche letteralmente, spostandomi altrove e godendo di una pensione (se mai arriverà) che mi sono sudato fino all'ultimo centesimo e oltre.

(l' “oltre” è la parte che non arriverà mai, perché manco questo siamo capaci di fare: offrire un futuro ai cittadini onesti).

Una cosa è certa: a me la cittadinanza è arrivata nascendo qui da gente nata qui, ma se potrò scegliere qui non ci voglio morire.

Dove, ancora non so: ma ovunque tranne qui.

Ora datemi pure del vigliacco se vi va.

___

Il canale Youtube su cui pubblico video e podcast, Grido Muto, presto cambierà nome.

Racconterò lì il processo che mi porterà altrove: la ricerca, le speranze, tutto. Seguitemi lì se vi va.

youtube.com/@gridomuto

#referendum#referendum2025#politica#fibromialgia#artrite#malatiinvisibili#MalattieInvisibili#MalattieCroniche#VivereAllEstero#Estero#Emigrare#Emigrazione#FugaDeiCervelli#SensoCivico#Identità




Una giungla di fenomeni.


(167)

(MR)

Nel cuore impenetrabile della giungla malese, dodici intrepidi avventurieri affrontano un viaggio estremo, tra fango, sudore e liane, alla ricerca di un montepremi da dividersi alla fine del percorso. Ma non sono esploratori, non sono ex militari, e no, nemmeno boy scout. Sono... professionisti digitali. O qualcosa del genere.

I loro titoli? Un tripudio di inglesismi, abbreviazioni e parole che, messe insieme, sembrano generate da un algoritmo ubriaco: content creator, consulente creativo, digital strategist, autore di contenuti web, project manager di progetti fluidi (ma quali?). Alcuni sono “ex manager”, che non si capisce bene se vuol dire che hanno lasciato la scrivania o se è la scrivania ad aver lasciato loro.

Li vediamo marciare tra le zanzare e i serpenti come se dovessero raggiungere il Wi-Fi più vicino, mentre il sudore scioglie l’ultima traccia di ceretta alle sopracciglia e i loro zaini sembrano contenere più prodotti skincare che strumenti di sopravvivenza. Il vero pericolo, però, non è la natura selvaggia: sono le tentazioni.

Ad ogni bivio, una nuova prova morale: una bistecca tomahawk da 240 euro, una suite con aria condizionata e minibar, un massaggio balinese a otto mani. Se uno di loro cede – e, spoiler: cedono spesso – il montepremi si riduce. Tutti si indignano, ma poi, alla tentazione successiva, cambiano idea. Perché rinunciare a una Jacuzzi in mezzo alla giungla solo per lasciare agli altri qualche euro in più?

(MR2)

E qui sorge spontanea una domanda: se questi sono i lavori del futuro, noi che ci svegliavamo alle sette per timbrare il cartellino abbiamo sbagliato tutto? Forse. Ma resta il dubbio: cosa fanno, esattamente, queste persone?

Uno dice: “Creo contenuti emozionali per il web”. Che potrebbe voler dire scrivere una poesia, girare un reel con la nonna, o semplicemente filmarsi mentre beve un cappuccino con lo sguardo assorto. Un altro è “strategic planner esperienziale”, cioè, se abbiamo capito bene, organizza eventi dove la gente si sente ispirata a investire in sé stessa. Un terzo “ha lasciato la finanza per seguire il cuore”, e oggi racconta la propria trasformazione interiore tramite podcast. Spoiler: la finanza sembra sentirsi benissimo anche senza di lui.

Certo, i tempi cambiano, e non tutti devono sapere riparare un tubo o accendere un fuoco con due sassi. Ma in certi momenti – tipo quando piove da tre giorni e bisogna costruire un riparo – l’assenza di skill pratiche diventa più evidente del fard sbavato sulle guance. E la giungla, quella vera, non fa sconti ai CEO di sé stessi.

Alla fine, mentre il montepremi si assottiglia e le prove si moltiplicano, resta solo una certezza: nella giungla digitale di oggi, l’unica vera sopravvivenza è farsi notare. Anche se l’unica cosa che si è costruita, finora, è un profilo LinkedIn pieno di parole che non significano nulla.

#Blog #TV #Opinioni #SocialMedia #Reality


noblogo.org/transit/una-giungl…


Una giungla di fenomeni.


(167)

(MR)

Nel cuore impenetrabile della giungla malese, dodici intrepidi avventurieri affrontano un viaggio estremo, tra fango, sudore e liane, alla ricerca di un montepremi da dividersi alla fine del percorso. Ma non sono esploratori, non sono ex militari, e no, nemmeno boy scout. Sono... professionisti digitali. O qualcosa del genere.

I loro titoli? Un tripudio di inglesismi, abbreviazioni e parole che, messe insieme, sembrano generate da un algoritmo ubriaco: content creator, consulente creativo, digital strategist, autore di contenuti web, project manager di progetti fluidi (ma quali?). Alcuni sono “ex manager”, che non si capisce bene se vuol dire che hanno lasciato la scrivania o se è la scrivania ad aver lasciato loro.

Li vediamo marciare tra le zanzare e i serpenti come se dovessero raggiungere il Wi-Fi più vicino, mentre il sudore scioglie l’ultima traccia di ceretta alle sopracciglia e i loro zaini sembrano contenere più prodotti skincare che strumenti di sopravvivenza. Il vero pericolo, però, non è la natura selvaggia: sono le tentazioni.

Ad ogni bivio, una nuova prova morale: una bistecca tomahawk da 240 euro, una suite con aria condizionata e minibar, un massaggio balinese a otto mani. Se uno di loro cede – e, spoiler: cedono spesso – il montepremi si riduce. Tutti si indignano, ma poi, alla tentazione successiva, cambiano idea. Perché rinunciare a una Jacuzzi in mezzo alla giungla solo per lasciare agli altri qualche euro in più?

(MR2)

E qui sorge spontanea una domanda: se questi sono i lavori del futuro, noi che ci svegliavamo alle sette per timbrare il cartellino abbiamo sbagliato tutto? Forse. Ma resta il dubbio: cosa fanno, esattamente, queste persone?

Uno dice: “Creo contenuti emozionali per il web”. Che potrebbe voler dire scrivere una poesia, girare un reel con la nonna, o semplicemente filmarsi mentre beve un cappuccino con lo sguardo assorto. Un altro è “strategic planner esperienziale”, cioè, se abbiamo capito bene, organizza eventi dove la gente si sente ispirata a investire in sé stessa. Un terzo “ha lasciato la finanza per seguire il cuore”, e oggi racconta la propria trasformazione interiore tramite podcast. Spoiler: la finanza sembra sentirsi benissimo anche senza di lui.

Certo, i tempi cambiano, e non tutti devono sapere riparare un tubo o accendere un fuoco con due sassi. Ma in certi momenti – tipo quando piove da tre giorni e bisogna costruire un riparo – l’assenza di skill pratiche diventa più evidente del fard sbavato sulle guance. E la giungla, quella vera, non fa sconti ai CEO di sé stessi.

Alla fine, mentre il montepremi si assottiglia e le prove si moltiplicano, resta solo una certezza: nella giungla digitale di oggi, l’unica vera sopravvivenza è farsi notare. Anche se l’unica cosa che si è costruita, finora, è un profilo LinkedIn pieno di parole che non significano nulla.

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Mastodon: @alda7069@mastodon.unoTelegram: t.me/transitblogFriendica: @danmatt@poliverso.orgBio Site (tutto in un posto solo, diamine): bio.site/danielemattioli

Gli scritti sono tutelati da “Creative Commons” (qui)

Tutte le opinioni qui riportate sono da considerarsi personali. Per eventuali problemi riscontrati con i testi, si prega di scrivere a: corubomatt@gmail.com




LOLITA - Vladimir Nabokov


Di solito, il lettore medio si accosta alla lettura di questo libro pensando di insinuarsi voyeuristicamente nella morbosa e lubrica storia del maturo professore che intreccia una relazione proibita con una ragazzina disinibita. Certamente questo è ciò che immediatamente salta agli occhi in “Lolita”: lo scandalo, il peccato, l'oscurità mostruosa da cui l'occhio curioso non riesce ad allontanarsi. Invece, non appena si comincia a leggere, ecco la rivelazione: “Lolita” è un viaggio allucinato alla ricerca della perfezione della lingua, del fraseggio, della musicalità dell'espressione (tutto questo è percettibile anche attraverso la bella traduzione in italiano – per Adelphi, l'arduo compito è stato assolto con maestria da Giulia Arborio Mella). E lo si intuisce fin dal meraviglioso incipit¹, un gioiello di efficacia e bellezza che sembra la strofa di una canzone, che già contiene la potenza di tutto il romanzo, una lettera d'amore e di passione nei confronti della parola stessa. E la narrazione, durante il dipanarsi della vicenda, sperimenta vie diverse e si trasforma: da concreta e tangibile dei primi capitoli, sfuma gradualmente nell'onirico, e la conclusione si stempera in una nebbia di sogno, mutandosi in una spirale vorticosa in cui il protagonista, il professor Humbert, cade senza scampo. E poi c'è il libro, con tutti i suoi temi e le sue allusioni: Nabokov costruisce una storia sull'impossibilità di stabilire relazioni vere, basate sull'affetto reciproco, quando le fondamenta su cui il rapporto è costruito sono il possesso, il controllo e la violenza. La corruzione di Humbert, e la pretesa di avere Lolita in un modo perverso e innominabile, ne deforma l'innocenza e la purezza, si appropria della sua giovinezza e della sua identità stessa. Chi è, dunque, Lolita? Cosa “rappresenta”? È il simbolo dell'infanzia tradita? È forse la figura del desiderio di libertà e di autodeterminazione? Lolita è tutto questo, ed è soprattutto una nitida metafora dell'individuo soggiogato e riplasmato dall'autorità dittatoriale, ridotto a un “possedimento”, su cui il mostro reclama diritti e privilegi che in realtà non gli appartengono. Eccola, dunque, la vera abiezione di Humbert: è un orrore dalla doppia faccia, perché il professore parla con facondia in prima persona, cercando di sedurre il lettore e di giustificare la nefandezza delle sue azioni e dei suoi abietti impulsi. In questo modo, genera un contrasto alienante tra la simpatia che il personaggio sembra chiedere per sé, e il suo dolce e terribile abisso personale, ovvero la sua attrazione per le giovanissime “ninfette”, un tabù degno del più feroce stigma sociale. “Lolita” è un romanzo assoluto, profondo e vasto come un intero mondo, e, come ogni grande capolavoro che sia in grado di meritarsi il titolo di “pietra miliare della letteratura”, è capace di scuotere il tranquillo e rassicurante senso comune, per sconvolgere l'etica, la morale e la coscienza. . ¹ Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta.Anche questo particolare contribuisce a stupire: come spiega nella sardonica postfazione, Nabokov ha scritto “Lolita” direttamente in inglese (e non nella sua amata lingua madre, il russo) per permettergli di essere annoverato nella letteratura americana.


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La gestione delle identità digitali e degli accessi al cloud


Redazione Developers Italia

Passiamo in rassegna la “cassetta degli attrezzi” dei sistemi di identità digitali che consentono l’erogazione dei servizi pubblici online per tutte le esigenze: da centinaia a milioni di utenti

di Claudio Cocciatelli, Daniele Pizzolli, Giuseppe De Marco e Fabrizio De Rosa, Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri

Il cloud ci aiuta ogni giorno a offrire servizi pubblici più sicuri, affidabili ed efficienti, per pubbliche amministrazioni, cittadini e imprese. Ma perché tutto questo funzioni serve una gestione attenta e sicura degli accessi. L’autenticazione digitale, cioè il processo che consente a un utente di usufruire di un servizio o accedere a determinati dati attraverso il cloud verificando che chi accede sia effettivamente il titolare delle credenziali, non è solo un passaggio tecnico, ma un elemento centrale per la sicurezza delle infrastrutture digitali.

Dal punto di vista di chi amministra un sistema informatico, attività come identificare correttamente gli utenti, gestire le credenziali di accesso e applicare le autorizzazioni correttamente sono requisiti essenziali. Questo è un vantaggio “invisibile” fondamentale per l’utente finale, che beneficia di un ecosistema di servizi efficienti, garantiti e con i più alti livelli di sicurezza.

Ad esempio, i dipendenti di una organizzazione possono avere diverse configurazioni di affiliazione o contrattuali, quali ad esempio essere assunti o in congedo, e ciascuna condizione deve riflettersi nei loro privilegi di accesso alle risorse protette. È fondamentale che gli utenti attivi (es. dipendenti o cittadini) accedano solo alle risorse alle quali sono abilitati, mentre chi non ha più diritto all’accesso venga tempestivamente disabilitato.

Migrare al cloud o disegnare i servizi IT cloud-native comporta quindi una gestione consapevole e sicura degli accessi alle risorse.


In questo articolo passeremo in rassegna “la cassetta degli attrezzi” dei sistemi di identità digitali necessari per offrire, secondo gli standard più alti di sicurezza e affidabilità, servizi pubblici su misura per ogni esigenza: dai piccoli Comuni con centinaia di abitanti fino alle amministrazioni centrali con decine di milioni di utenti. In particolare, forniremo una breve introduzione nei seguenti ambiti:

  • la relazione tra sistemi di gestione delle identità e sistemi di gestione degli accessi;
  • il modello architetturale a tre parti (three-party model) e la differenza con i modelli implementativi utilizzati in passato;
  • il ciclo di vita delle identità digitali.

Dai modelli architetturali più avanzati per la gestione dei sistemi di autenticazione, fino alle normative europee più recenti e ai casi studio come il Digital Wallet, offriremo una panoramica sull’evoluzione dell’identità digitale, passando dalle soluzioni attuali agli scenari futuri.

Le infrastrutture italiane e il contesto normativo


In Italia, le organizzazioni pubbliche e private beneficiano di sistemi evoluti di gestione delle identità digitali. Come tutte le iniziative guidate dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Strategia Cloud Italia promuove infrastrutture moderne, sicure e interoperabili in conformità alle normative nazionali e comunitarie, quali quelle principali di seguito riportate:


Cosa intendiamo per identità digitali e gli “attori” del sistema IAM


L’identità digitale è un insieme di dati elettronici che permette di identificare una persona in modo univoco.

Un sistema IAM (Identity and Access Management) è un framework integrato di regole, processi e tecnologie che consentono di gestire identità digitali e configurare l’accesso a risorse informatiche evitando che utenti non autorizzati entrino in aree riservate o compiano operazioni non consentite.

Modello a tre parti — Three-party model


Il Three-Party Model è un modello architetturale utilizzato nei sistemi di identità digitale e nelle infrastrutture autorizzative che separa in modo chiaro i ruoli e le responsabilità tra i seguenti tre attori principali:

  • Utente (End User): il soggetto che desidera accedere a un servizio digitale;
  • Identity Provider (IdP): l’entità responsabile dell’autenticazione dell’utente e della gestione delle sue credenziali;
  • Service Provider (SP)/Relying Party: il sistema o servizio digitale a cui l’utente vuole accedere.


Interazione tra le parti


Le interazioni tra le parti avvengono come segue:

  • l’utente richiede l’accesso a una risorsa protetta offerta da un service provider;
  • il service provider consente all’utente di selezionare il gestore di identità digitale presso il quale desidera autenticarsi, all’ interno di una lista di gestori fidati (discovery page).
  • l’utente seleziona un identity provider;
  • il service provider genera una richiesta di autenticazione, idealmente firmata crittograficamente, e con questa reindirizza l’utente all’identity provider per l’autenticazione (mediante i metodi HTTP GET o POST);
  • l’identity provider autentica il service provider tra quelli ritenuti affidabili e mediante la verifica della sua firma digitale;
  • l’identity provider autentica l’utente e chiede il consenso al rilascio dei dati al service provider.
  • l’utente dà il consenso all’identity provider, che rilascia una prova di avvenuta autenticazione (es. token firmato, SAML Response o OIDC ID Token);
  • il service provider riceve e verifica crittograficamente la validità del token; quindi, controlla che l’utente non abbia mai fatto l’accesso. In caso positivo crea un nuovo profilo utente, altrimenti lo ricongiunge ad uno preesistente (identity matching, account linking).
  • il service provider applica infine i privilegi associati all’utente.

All’interno degli ecosistemi federati evoluti si introduce anche un quarto attore:

  • Trust Anchor: è l’ente che da evidenza, direttamente o mediante suoi intermediari, dell’affidabilità e conformità delle organizzazioni pubbliche e private aderenti alla federazione (es. IdP, SP, Credential Issuer, Wallet Provider). Il Trust Anchor garantisce per i metadata e il materiale crittografico associati alle entità a lui subordinate.


La rivoluzione del Digital Wallet


I processi che regolamentano e gestiscono le identità digitali sono in continua evoluzione, ultima delle quali quella relativa all’introduzione del paradigma del Digital Wallet, ovvero il portafoglio digitale.

Con il portafoglio digitale il fornitore di identità digitale è stato sostituito dal fornitore di credenziali e l’utente non usa più soltanto il suo web browser, ma anche il suo Wallet personale, che diviene lo strumento di richiesta, conservazione ed utilizzo delle credenziali sotto forma di documenti digitali.

Il Wallet è spesso individuabile in un’applicazione mobile, come App IO.


I benefici derivanti dall’uso del Wallet sono molteplici, tra questi l’impossibilità di conoscere da parte del fornitore delle credenziali (credential issuer) l’uso delle credenziali su un particolare relying party (cosa impossibile usando le tecnologie SAML2 o OIDC) e la possibilità di utilizzare tali credenziali anche nei flussi offline.

L’innovazione del modello Three-Party Model


L’utilizzo in rete di credenziali autenticabili mediante un database centrale, quale ad esempio un classico server LDAP, implica che il service provider acceda direttamente alla base dati delle credenziali. In questo caso, il service provider otterrebbe le credenziali dell’utente per confrontarle con quelle conservate all’interno della base dati, o semplicemente autenticandosi per conto dell’utente. In altre parole, l’utente avrebbe consegnato le proprie credenziali ad un sistema diverso rispetto a quello che le gestisce. Questo modello va bene nei casi in cui il service provider e l’identity provider corrispondano, o nei casi in cui questi coesistano all’interno del medesimo dominio.

Nei sistemi di autenticazione e autorizzazione cross domain questa divulgazione delle credenziali a terze parti non fidate non è sostenibile dal punto di vista della sicurezza.


Al contrario, il Three-Party Model supportato da protocolli come SAML2, OAuth2, OpenID Connect 1.0, e OpenID for Verifiable Credentials e ISO 18013–5 per le implementazioni Wallet, fornisce diversi benefici in termini di divisione delle responsabilità tra i vari attori per un sostanziale incremento della sicurezza (uso di token autorizzativi temporanei, crittografia e validazioni basate su firma digitale).

Il ciclo di vita delle identità digitali


Al fine di avere un quadro più chiaro del funzionamento di un’identità digitale, di seguito riportiamo le fasi per la gestione del suo ciclo di vita.

1. Identificazione

È il processo iniziale in cui un soggetto dichiara chi è, attraverso la presentazione di documenti di identità personale e informazioni di natura biometrica, quali impronte digitali o riconoscimento del volto. L’obiettivo è associare un’identità digitale verificata a una persona fisica o giuridica e con adeguati livelli di garanzia (vedi ISO 29115).

Esempio: identificazione presso il comune di appartenenza per l’ottenimento della CIE (Carta di Identità elettronica).


2. Approvvigionamento delle credenziali (Credential Provisioning)

Consiste nel fornire all’utente delle credenziali sicure per l’accesso (es. Password e smart card).

Esempio: rilascio della Carta d’Identità Elettronica con PIN/PUK.


3. Ciclo di vita dell’identità digitale (Credential Lifecycle Management)

Include tutte le fasi di configurazione, quali la creazione, l’aggiornamento, la sospensione e la revoca delle identità e dei relativi privilegi a questa collegati, attraverso l’applicazione di politiche di gestione, al fine di assicurare che l’identità associata ad un soggetto e i suoi privilegi siano sempre corretti, aggiornati e non eccedenti rispetto agli scopi del trattamento.

Esempi: modifica dati anagrafici, sospensione per anomalie, revoca automatica alla fine di un contratto.


4. Autenticazione

L’autenticazione è il processo che verifica che chi accede sia effettivamente il titolare delle credenziali, tramite metodi di comprovazione del loro possesso, quali l’uso di username e password, One-Time Password (OTP), biometria o più prove da utilizzare in contemporanea (cosiddetta autenticazione a fattori multipli, anche nota con l’acronimo MFA).

Esempi: accesso a un portale pubblico con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) livello 2 (password + OTP) o tramite CIE con NFC e PIN, “autenticazione unica” (Single-Sign ON in breve SSO) aziendale estesa da un token OTP generato da applicazione di autenticazione precedentemente registrata.


Le implementazioni dei metodi di autenticazione devono garantire un livello di “garanzia” (Level of Assurance, LoA) della sicurezza. ISO/IEC 29115 è una norma internazionale che fornisce un quadro di riferimento per la gestione dei livelli di garanzia delle identità digitali. In pratica, serve a garantire che un’identità digitale corrisponda effettivamente al soggetto reputato come il suo legittimo possessore, tramite l’uso di diverse soglie o livelli di sicurezza (LoA 1, LoA 2, LoA 3 e LoA 4).

Usare fattori multipli di autenticazione (MFA) tende generalmente ad innalzare la garanzia contro eventuali furti delle credenziali.


L’autenticazione a fattori multipli è particolarmente utile in caso di smarrimento o furto di dispositivi aziendali, o quando dispositivi personali o aziendali risultino incustoditi o utilizzati da terze persone, prevenendo l’accesso non autorizzato e la conseguente impersonificazione.

Gli accessi possono essere garantiti anche in via temporanea attraverso la definizione di specifiche utenze “ospite” a cui vengono forniti permessi limitati, negli scopi e nel tempo. La gestione di utenze “temporanee” o effimere può risultare come uno strumento utile per la gestione degli accessi per attività non continuative, quali quelle svolte da un fornitore per le attività di monitoraggio o collaudo degli asset, secondo quanto riportato nelle Linee Guida per il rafforzamento della protezione delle banche dati rispetto al rischio di utilizzo improprio.

5. Autorizzazione

L’autorizzazione è il processo che stabilisce l’idoneità di un soggetto nello svolgere determinate azioni all’interno di un determinato contesto o di accedere a determinate risorse. Implica che l’identità del soggetto sia autenticata con opportuni livelli di garanzia.

Esempio: La richiesta di un service provider per autenticare un utente viene autorizzata prima di procedere all’autenticazione dell’utente. La richiesta di un utente ad accedere ad un servizio utilizzando un token, emesso da una terza parte fidata, che consente l’accesso in sola lettura ed esplicite limitazioni orarie.


La gestione degli accessi privilegiati (Privileged Access Management, PAM) è un ambito tradizionale per la sicurezza degli accessi alle risorse critiche. Gli utenti vengono autorizzati, per garantire il principio dei privilegi minimi e segnalare accessi non autorizzati, tramite ruoli e/o attributi definiti nelle loro credenziali di accesso, utilizzando tecniche come il controllo degli accessi (Access Control Lists, ACL), dei ruoli (RBAC — Role-Based Access Control) e degli Attributi (ABAC — Attribute-Based Access Control). Ulteriori tecniche quali Mandatory Access Control (MAC), Discretionary Access Control (DAC) e Rule-Based Access Control (RuBAC) sono menzionate anche nella Linee Guida ACN.

Alcuni aspetti avanzati della gestione delle componenti sono ad oggi caratterizzati da esperienze implementative relativamente mature ma non ancora standardizzate: una delle proposte in via di sviluppo è quella riportata nell’OpenID Foundation draft “Authorization API 1.0” che propone un’API di sicurezza e semplificazione per la comunicazione tra i componenti di autorizzazione (AuthZEN Working Group — OpenID Foundation).

6. Registrazione dell’utente locale (Local User Registration)

Il service provider rappresenta un’applicazione altamente specializzata che necessita di una gestione locale dei profili degli utenti. Per questa ragione l’autenticazione di un utente al suo interno produce la creazione del profilo utente, abilitandolo ai servizi digitali e in coerenza con il funzionamento interno dell’applicazione.

Esempi: primo accesso all’App IO con SPID, registrazione su portali delle pubbliche amministrazioni.


Il massimo della sicurezza, ovvero il sistema “Zero Trust”


Quali approcci utilizzare, quindi, per implementare il massimo della sicurezza? Uno dei modelli consigliati per le tecniche di verifica degli accessi, soprattutto in ambito pubblico e cloud, particolarmente rivolto a sistemi distribuiti, è quello chiamato “Fiducia Zero” o “Zero Trust”.

Questo approccio si basa sul principio di “mai fidarsi, verificare sempre”, richiedendo che ogni richiesta di accesso sia autenticata e autorizzata.


I suoi principi chiave includono:

  • autenticazione continua: verifica costante degli accessi, spesso tramite MFA. L’autenticazione continua, se male implementata, può degradare l’esperienza d’utilizzo dell’utente, o User Experience (UX);
  • accesso con privilegi minimi: concessione dell’accesso solo necessario per le funzioni dell’utente;
  • monitoraggio e analisi in tempo reale: controllo continuo delle attività di accesso per rilevare anomalie;
  • segmentazione della rete: suddivisione della rete in segmenti per limitare l’accesso e contenere le violazioni.


Le evoluzioni delle identità digitali e il cloud della PA


Nei sistemi cloud è essenziale adottare buone pratiche di sicurezza fin dalla progettazione (security by design) e nella gestione operativa (security by default), integrando controlli di monitoraggio e difese multilivello (defense in depth). Queste pratiche supportano una gestione efficace degli accessi e la separazione degli ambienti applicativi (sviluppo, staging, produzione), abilitando credenziali e procedure dedicate per ciascun contesto, secondo i principi del Secure Software Development Cycle come riportato nelle Linee Guida ACN.

La federazione dei servizi mista all’implementazione coerente di un framework di sicurezza e all’ adesione a regole condivise, favoriscono l’interoperabilità e la riduzione dei rischi e dei costi derivanti dalla frammentazione dei sistemi e dei protocolli di gestione dei dati e degli accessi, rafforzando la fiducia tra i partecipanti, siano questi enti pubblici e/o privati. Il livello di garanzia delle identità digitali tutela contro rischi di furto di identità e impersonificazione, ponendo le basi sicure dell’uso delle credenziali, sin dalla loro emissione. L’uso di standard consolidati riduce sensibilmente i costi di valutazione dei rischi di sicurezza, altrimenti necessari in caso di utilizzo di sistemi custom.

L’evoluzione dei sistemi IT beneficia dell’esperienza e del lavoro di comunità di esperti su scala globale e delle migliori pratiche implementative, esperienza che il Dipartimento per la trasformazione digitale desidera accrescere e condividere con tutte le organizzazioni pubbliche e private della scena nazionale ed europea.


Una gestione inefficace degli accessi può comportare rischi significativi, tra cui accessi non autorizzati, violazioni dei dati e perdita di fiducia da parte dei cittadini, per queste ragioni è fondamentale adottare misure di sicurezza adeguate a mitigare questi rischi. La formazione del personale e la consapevolezza di questi riguardo ai rischi derivanti da cattiva gestione degli asset è essenziale per garantire un’amministrazione efficace degli accessi alla infrastruttura IT. La gestione delle identità nel cloud pubblico è in continua evoluzione, con nuove tecnologie e best practice che emergono costantemente.

Le prossime puntate


Per approfondire le caratteristiche di interoperabilità dei sistemi in cloud e apprendere come mettere in atto, in pratica, la teoria esposta in questo articolo, vi invitiamo al prossimo approfondimento che sarà interamente dedicato ai sistemi autorizzativi nei flussi di interscambio dei dati da macchina a macchina, e senza interazione alcuna da parte degli utenti.

Le immagini presenti in questo articolo sono state sviluppate con il supporto dell’Intelligenza Artificiale con l’obiettivo di rappresentare visivamente i temi trattati.


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Come installare CasaOS su Raspberry Pi con PiHole e Jellyfin


Per il mio #homelab ho deciso di configurare un Raspberry Pi con CasaOS, un sistema operativo domestico che semplifica la gestione di container Docker tramite un'interfaccia web intuitiva. In questa guida ti mostro come installarlo e configurare PiHole e Jellyfin con accesso alle cartelle NFS di una NAS Synology.

Installazione di CasaOS


L'installazione di CasaOS è molto semplice grazie al script ufficiale:

curl -fsSL https://get.casaos.io | sudo bash

Dopo l'installazione, CasaOS sarà accessibile tramite browser all'indirizzo IP del Raspberry Pi sulla porta 80.

Configurazione di PiHole

Installazione


  1. Dall'interfaccia web di CasaOS, vai nella sezione App Store
  2. Cerca e installa PiHole
  3. Una volta installato, accedi all'interfaccia di PiHole


Configurazione password


Per impostare la password di PiHole: 1. Vai nelle opzioni di PiHole dall'interfaccia Docker di CasaOS 2. Seleziona “Settings” 3. Imposta la password desiderata

Configurazione rete


Nelle impostazioni di PiHole: 1. Vai su “System” → “DNS” 2. In “Interface settings” seleziona “Respond only on interface eth0”

Questo assicura che PiHole risponda solo sull'interfaccia ethernet principale.

Configurazione di Jellyfin con cartelle NFS


La configurazione di Jellyfin è più complessa perché richiede l'accesso alle cartelle condivise sulla NAS Synology tramite protocollo NFS.

Prerequisiti: installazione nfs-common


Prima di tutto, connettiti al Raspberry Pi via SSH (o usa il terminale direttamente se hai il Rasp collegato a monitor/TV) e installa il pacchetto necessario per il supporto NFS:

sudo apt update
sudo apt install nfs-common
Creazione delle cartelle di mount


Crea le cartelle locali dove montare le directory della NAS:

sudo mkdir /mnt/movies
sudo mkdir /mnt/shows
Mount delle cartelle NFS


Monta le cartelle condivise dalla NAS sul Raspberry Pi:

sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/movie /mnt/movies
sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/video /mnt/shows

Sostituisci <IP_DELLA_NAS> con l'indirizzo IP effettivo della tua Synology.
Verifica del mount


Controlla che il mount sia avvenuto correttamente:

ls /mnt/movies
ls /mnt/shows

Se vedi le cartelle presenti sulla NAS, il mount è riuscito.
Impostazione permessi


Imposta i permessi corretti sulle cartelle montate:

sudo chmod 755 /mnt/movies
sudo chmod 755 /mnt/shows
Configurazione automatica al riavvio


Per fare in modo che le cartelle vengano montate automaticamente ad ogni riavvio, modifica il file /etc/fstab:

sudo nano /etc/fstab

Aggiungi queste due righe alla fine del file (sostituisci l'IP con quello della tua NAS):
10.0.0.17:/volume2/movie /mnt/movies nfs auto 0 0
10.0.0.17:/volume2/video /mnt/shows nfs auto 0 0
Test finale


Riavvia il sistema per verificare che tutto funzioni correttamente:

sudo reboot

Dopo il riavvio, controlla che le cartelle siano ancora montate e accessibili.
Configurazione Jellyfin


Ora puoi installare Jellyfin da CasaOS e, durante la configurazione del container Docker:

  1. Vai nelle impostazioni avanzate di Jellyfin
  2. Nella sezione “Volume Mapping”, mappa le cartelle:
    • /mnt/movies/movies (o il path che preferisci nel container)
    • /mnt/shows/shows (o il path che preferisci nel container)


In questo modo Jellyfin avrà accesso ai tuoi contenuti multimediali archiviati sulla NAS Synology.

Note finali


Questa configurazione ti permette di avere: – PiHole per il blocco degli annunci a livello di rete – Jellyfin con accesso ai contenuti multimediali sulla NAS – Mount automatico delle cartelle NFS ad ogni riavvio

Il tutto gestito tramite l'interfaccia web semplice e intuitiva di CasaOS!


Ricorda di adattare gli indirizzi IP e i percorsi delle cartelle alla tua configurazione specifica.


noblogo.org/lukather/come-inst…


Come installare CasaOS su Raspberry Pi con PiHole e Jellyfin


Per il mio #homelab ho deciso di configurare un Raspberry Pi con CasaOS, un sistema operativo domestico che semplifica la gestione di container Docker tramite un'interfaccia web intuitiva. In questa guida ti mostro come installarlo e configurare PiHole e Jellyfin con accesso alle cartelle NFS di una NAS Synology.

Installazione di CasaOS


L'installazione di CasaOS è molto semplice grazie al script ufficiale:

curl -fsSL https://get.casaos.io | sudo bash

Dopo l'installazione, CasaOS sarà accessibile tramite browser all'indirizzo IP del Raspberry Pi sulla porta 80.

Configurazione di PiHole

Installazione


  1. Dall'interfaccia web di CasaOS, vai nella sezione App Store
  2. Cerca e installa PiHole
  3. Una volta installato, accedi all'interfaccia di PiHole


Configurazione password


Per impostare la password di PiHole: 1. Vai nelle opzioni di PiHole dall'interfaccia Docker di CasaOS 2. Seleziona “Settings” 3. Imposta la password desiderata

Configurazione rete


Nelle impostazioni di PiHole: 1. Vai su “System” → “DNS” 2. In “Interface settings” seleziona “Respond only on interface eth0”

Questo assicura che PiHole risponda solo sull'interfaccia ethernet principale.

Configurazione di Jellyfin con cartelle NFS


La configurazione di Jellyfin è più complessa perché richiede l'accesso alle cartelle condivise sulla NAS Synology tramite protocollo NFS.

Prerequisiti: installazione nfs-common


Prima di tutto, connettiti al Raspberry Pi via SSH (o usa il terminale direttamente se hai il Rasp collegato a monitor/TV) e installa il pacchetto necessario per il supporto NFS:

sudo apt update
sudo apt install nfs-common
Creazione delle cartelle di mount


Crea le cartelle locali dove montare le directory della NAS:

sudo mkdir /mnt/movies
sudo mkdir /mnt/shows
Mount delle cartelle NFS


Monta le cartelle condivise dalla NAS sul Raspberry Pi:

sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/movie /mnt/movies
sudo mount -t nfs -o proto=tcp,port=2049 <IP_DELLA_NAS>:/volume2/video /mnt/shows

Sostituisci <IP_DELLA_NAS> con l'indirizzo IP effettivo della tua Synology.
Verifica del mount


Controlla che il mount sia avvenuto correttamente:

ls /mnt/movies
ls /mnt/shows

Se vedi le cartelle presenti sulla NAS, il mount è riuscito.
Impostazione permessi


Imposta i permessi corretti sulle cartelle montate:

sudo chmod 755 /mnt/movies
sudo chmod 755 /mnt/shows
Configurazione automatica al riavvio


Per fare in modo che le cartelle vengano montate automaticamente ad ogni riavvio, modifica il file /etc/fstab:

sudo nano /etc/fstab

Aggiungi queste due righe alla fine del file (sostituisci l'IP con quello della tua NAS):
10.0.0.17:/volume2/movie /mnt/movies nfs auto 0 0
10.0.0.17:/volume2/video /mnt/shows nfs auto 0 0
Test finale


Riavvia il sistema per verificare che tutto funzioni correttamente:

sudo reboot

Dopo il riavvio, controlla che le cartelle siano ancora montate e accessibili.
Configurazione Jellyfin


Ora puoi installare Jellyfin da CasaOS e, durante la configurazione del container Docker:

  1. Vai nelle impostazioni avanzate di Jellyfin
  2. Nella sezione “Volume Mapping”, mappa le cartelle:
    • /mnt/movies/movies (o il path che preferisci nel container)
    • /mnt/shows/shows (o il path che preferisci nel container)


In questo modo Jellyfin avrà accesso ai tuoi contenuti multimediali archiviati sulla NAS Synology.

Note finali


Questa configurazione ti permette di avere: – PiHole per il blocco degli annunci a livello di rete – Jellyfin con accesso ai contenuti multimediali sulla NAS – Mount automatico delle cartelle NFS ad ogni riavvio

Il tutto gestito tramite l'interfaccia web semplice e intuitiva di CasaOS!


Ricorda di adattare gli indirizzi IP e i percorsi delle cartelle alla tua configurazione specifica.




Nota di lettura di Sospensioni di Felice Serino

Enrico Cerquiglini

Sospensioni di Felice Serino è una raccolta che affronta le grandi domande dell'esistenza, muovendosi tra i confini dell'umano e il mistero del trascendente. Fin dal titolo, emerge una poetica sospesa, tesa a cogliere quel momento in cui il pensiero si arresta e l'intuizione si fa parola. La scrittura di Serino si caratterizza per una tensione costante verso l'oltre, verso una dimensione che supera il quotidiano, ma che del quotidiano si nutre, in una continua dialettica tra ciò che è evidente e ciò che rimane insondabile. Il tema della fede, come nota magistralmente Mario Saccomanno nella Prefazione, attraversa molti dei testi come ricerca incessante di un senso nell'apparente caos dell'esistenza. La figura divina è un'eco lontana, mai definita con certezza, ma presente come tensione, come bisogno di risposta a un universo che sembra spesso muto. Questo slancio si intreccia con una profonda consapevolezza della fragilità umana, della caducità del corpo e della precarietà dell'anima, che combatte per trovare il suo posto in un mondo in continua trasformazione.

La raccolta è intrisa di simbolismo, con immagini che spaziano dalla natura (ulivi, girasoli, cieli plumbei) a frammenti di memoria personale. La natura diventa così un tramite per esprimere sentimenti universali: la luce e l'ombra, il radicamento e il movimento, la vita e la morte. Questo dualismo è reso con un linguaggio che unisce concretezza e astrazione, in un equilibrio che a volte raggiunge vertici di lirismo e altre volte si fa volutamente spigoloso, quasi a voler sottolineare l'impossibilità di afferrare del tutto il significato profondo dell'esistere.

Serino opta per dei versi liberi e talvolta frammentati, con una preferenza per frammenti brevi, che richiamano intuizione o visioni oniriche. Questo approccio stilistico amplifica la sensazione di sospensione, lasciando al lettore il compito di ricucire i fili tra un'immagine e l'altra, tra un pensiero e l'altro. Serino sembra voler catturare il movimento stesso del pensiero, il suo fluttuare tra i confini della materia e dello spirito.

Tra i temi ricorrenti si trovano la memoria e la colpa, elementi che legano il vissuto personale a un contesto universale. I ricordi, spesso evocati in modo frammentario, assumono una dimensione archetipica, diventando non solo testimonianza del passato, ma anche monito per il presente. Questo intreccio tra individuale e collettivo è una delle caratteristiche salienti della poetica di Serino, che riesce a parlare di sé senza mai chiudersi in un'autoreferenzialità sterile, ma anzi aprendo i suoi versi a una dimensione corale.

Non tutti i testi sono di immediata comprensione: l'autore non teme di sfidare il lettore, spingendolo a confrontarsi con immagini e concetti che non offrono risposte facili. In alcuni momenti, questa complessità può risultare spiazzante, ma è proprio in questa sfida che risiede la forza del libro. Serino ci invita a fermarci, a sospendere il giudizio, e a immergerci in un viaggio che non ha necessariamente una meta, ma che è intriso di significato in ogni passo.

Con Sospensioni, Felice Serino ci conduce lungo un percorso che è tanto spirituale quanto esistenziale, restituendo al lettore un senso di appartenenza a quel mistero che chiamiamo vita.


noblogo.org/norise-2/nota-di-l…



Felice Serino / Caffè Letterario

.

Sprazzi di pace

spiove dal cielo una luce

di stelle gonfie di vento – quasi

provenisse dall'oltre

nel cuore un aprirsi

di sprazzi di pace: vedermi

in tutto col mio sognare –

il vissuto la vita

sognata

*

Creatura

mi godo la luce

come farfalla

sul palmo della tua mano

Signore non posso

che offrirti il mio niente –

fragile creatura

ti devo una morte

*

Ha memoria il mare

1.

la forma del vento disegnano

rami contorti

voli

di gabbiani ubriachi di luce

a pelo d'acqua decifrano tra

auree increspature le vene del mare

2.

interroghi sortilegi nella

vastità di te solo

ti aspetti giungano da un dove

messaggi in bottiglia un nome un grido

ha memoria il mare

scatole nere sepolte nel cuore

dove la storia

ha un sangue e una voce

*

Rosa d'amore

letificato d'amore angelicato fiore

si schiude la rosa

fra cristalli dell'inverno

*

Per speculum in aenigmate

chi sei: quale il tuo nome nel registro

della Luce quale la tua figura

inespressa

questo non aversi

come morire sognarsi

in seno a cieli di cui non è memoria

…caduto

il velo il tuo Sé faccia a faccia

un ri-trovarsi:

moltiplicato

*

A risalire le ore

non resteranno tracce

dei giorni solo parole

scritte sull'acqua

a risalire le ore

del sangue

il vortice del vuoto: solo le stimmate

parleranno

dell'amore che hai dato

*

Appoggiata ad una spalliera di vento

e nel momento del distacco

l'io si farà fragile foglia

appoggiata ad una spalliera di vento

(da Il sentire celeste, Poetilandia, 2006.)

.

Felice Serino nasce a Pozzuoli nel 1941. Già negli anni Settanta i suoi versi sono presenti in rubriche e riviste letterarie. La raccolta poetica “Il Dio boomerang” (1978) inaugura una nutrita serie di pubblicazioni che gli attirano l'attenzione e il plauso della critica, fruttando alla sua opera premi e riconoscimenti.

.

Fin dall'inizio, la poesia di Felice Serino si fa notare per l'originalità con cui riesce a rendere un mondo interiore quanto mai ricco e variegato che, pur nella sua ricerca – ora serena ora tormentata – dell'Essere-Uno-Dio, non cede alla tentazione di ripiegarsi in sé, ma si lascia toccare dagli echi del suo tempo, dalle forze della natura e dalla struggente inafferrabilità degli affetti.

.

Caratterizzata da uno stile asciutto e al tempo stesso di grandissima intensità, nonché dal singolare incontro fra esistenzialismo e trascendenza, la poetica di Serino è la voce tutta umana di un'anima che si sa scintilla di Luce immutabile, e che perciò cerca, instancabilmente e talvolta dolorosamente, il divino che è dentro alla caducità della vita.

.

La parola, monade finita ma dalle inesauribili possibilità: Serino la tratta come uno strumento musicale, la sceglie con cura, la fa vibrare, riversa all'esterno quell'armonia che può nascere solo dal lasciarsi risuonare.

.

Nella sua lunga e proficua stagione letteraria, Felice Serino ha dato alle stampe (e negli ultimi decenni anche al web e al digitale) raccolte poetiche, articoli di storia e critica letteraria, poesie sciolte su blog, social e siti di associazioni culturali. Multiforme è la sua attività redazionale: gestisce personalmente diversi blog (come Assonanze) ed è presente su siti e piattaforme quali Academia.edu, La Recherche, Scrivere e Alessandria Today. E' stato recensito da nomi celebri del panorama intellettuale italiano e tradotto in varie lingue. Da anni vive e scrive a Torino.

.

Tra i suoi scritti poetici si ricordano ancora le raccolte Frammenti dell'immagine spezzata (1981), Di nuovo l'utopia (1984), Idolatria di un'assenza (1994), Fuoco dipinto (2002), La difficile luce (2005), Ad altezze segrete (2017), La vita nascosta (2017), Vita trasversale e altri versi (2019), Sospensioni (2024).

.

Donatella Pezzino

.

poesiaurbana.altervista.org/fe…


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Mary Gauthier – The Foundling (2010)


immagine

Blood is blood And blood don’t wash away Questi versi racchiudono nel modo più chiaro ed immediato l’essenza del sesto album di studio di Mary Gauthier, intitolato The Foundling e pubblicato da Proper Records nel 2010. Si tratta di un concept album che può essere sinteticamente definito come un’autobiografia in musica. Attraverso le tredici tracce, infatti, viene narrata la storia di una bambina abbandonata alla nascita che dopo un anno in orfanotrofio viene adottata, ma poi scappa dai genitori adottivi. Una volta cresciuta finisce nello show business, ma il suo passato irrisolto continua a tormentarla. Cerca di trovare i propri genitori naturali e riesce a rintracciare la madre con la quale si mette in contatto, ma viene freddamente respinta. Alla fine, nonostante la durezza della vita, attraverso l’amore o la speranza dell’amore, riesce a trovare pace con se stessa. E’ impossibile scindere la musica dalla narrazione: Mary Gauthier si fa portavoce attraverso la propria esperienza personale del disagio degli orfani, di chi deve affrontare le difficoltà della vita con la ferita aperta dell’abbandono e del non sapere nulla delle proprie origini. La sua voce profonda, a volte dura e tagliente, contrasta con il suo aspetto fragile, ma androgino e da questa unione ne esce un senso di sacralità e di sensibilità vera.


Ascolta: album.link/i/747012149



noblogo.org/available/mary-gau…


Mary Gauthier – The Foundling (2010)


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Blood is blood And blood don’t wash away Questi versi racchiudono nel modo più chiaro ed immediato l’essenza del sesto album di studio di Mary Gauthier, intitolato The Foundling e pubblicato da Proper Records nel 2010. Si tratta di un concept album che può essere sinteticamente definito come un’autobiografia in musica. Attraverso le tredici tracce, infatti, viene narrata la storia di una bambina abbandonata alla nascita che dopo un anno in orfanotrofio viene adottata, ma poi scappa dai genitori adottivi. Una volta cresciuta finisce nello show business, ma il suo passato irrisolto continua a tormentarla. Cerca di trovare i propri genitori naturali e riesce a rintracciare la madre con la quale si mette in contatto, ma viene freddamente respinta. Alla fine, nonostante la durezza della vita, attraverso l’amore o la speranza dell’amore, riesce a trovare pace con se stessa. E’ impossibile scindere la musica dalla narrazione: Mary Gauthier si fa portavoce attraverso la propria esperienza personale del disagio degli orfani, di chi deve affrontare le difficoltà della vita con la ferita aperta dell’abbandono e del non sapere nulla delle proprie origini. La sua voce profonda, a volte dura e tagliente, contrasta con il suo aspetto fragile, ma androgino e da questa unione ne esce un senso di sacralità e di sensibilità vera.


Ascolta: album.link/i/747012149


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Contro il destino: i legami si costruiscono, non si subiscono


L’idea che i legami voluti dal destino siano indistruttibili è una visione romantica ma profondamente limitante. Attribuire alla sorte o a un disegno superiore la forza delle nostre relazioni significa deresponsabilizzarci, negando il ruolo attivo che ognuno di noi ha nella costruzione, nel mantenimento e persino nella rottura dei legami.

I rapporti umani non sono pietre immutabili, ma vivono e si trasformano attraverso scelte, impegno e reciprocità. Un’amicizia resiste non perché “voluta dal destino”, ma perché due persone decidono ogni giorno di ascoltarsi, rispettarsi e crescere insieme. Un amore dura solo se entrambi i partner lavorano per alimentarlo, non perché un potere esterno lo ha decretato invincibile.

Inoltre, credere nell’indistruttibilità dei legami “predestinati” può portare a sopportare dinamiche tossiche o relazioni vuote, aggrappandosi all’illusione che “se è destino, non può finire”. La verità è che alcuni legami devono finire, per lasciare spazio a percorsi più autentici.

I rapporti più forti sono quelli che scegliamo consapevolmente, con tutte le loro fragilità e imperfezioni. Non è il destino a renderli speciali, ma il nostro coraggio di costruirli, proteggerli e, quando necessario, lasciarli andare.


noblogo.org/alviro/contro-il-d…



SALMO - 128 (127)


FELICITÀ DELLA FAMIGLIA BENEDETTA DAL SIGNORE1 Canto delle salite

Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.

2 Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene.

3 La tua sposa come vite feconda nell'intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d'ulivo intorno alla tua mensa.

4 Ecco com'è benedetto l'uomo che teme il Signore.

5 Ti benedica il Signore da Sion. Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita!

6 Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele! _________________Note

128,1 Ritmano questa serena e gioiosa composizione le immagini che si riferiscono all'uomo che teme il Signore (vv. 1.4: il verbo temere va inteso qui come sinonimo di amare) e cammina nelle sue vie (il verbo camminare è immagine del comportamento dell'uomo; le vie del Signore indicano la sua legge: v. 1). Unito alla sua donna (paragonata alla vite, simbolo del popolo di Dio, benedetto dal Signore), questo uomo è all'origine della famiglia, voluta dall'amore di entrambi e arricchita dal Signore con il dono dei figli (paragonati ai virgulti d'ulivo, l'albero che nella Bibbia è simbolo di benessere, v. 3).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Dio dà prosperità e pace a chi lo teme Salmo sapienziale (+ motivi liturgici)

Rappresenta la continuazione ideale del Sal 127 che lo precede. Ispira pace, gioia e serenità. È del postesilio. Il campo semantico e simbolico è spaziale, temporale, vegetale, liturgico.

Divisione:

  • v. 1: beatitudine;
  • vv. 2-4: descrizione della beatitudine;
  • vv. 5-6: augurio di benedizione finale.

v. 1. «Beato l'uomo...»: cfr. Sal 1,1; 112,1; 119,1. «che teme il Signore»: il timore del Signore in quanto risposta alla sua alleanza implica l'amore rispettoso e riverente verso di lui, cfr. Dt 10,12-13. «vie»: immagine simbolica per indicare i voleri divini, cfr. Sal 112,1.

v. 3. «come vite feconda... virgulti d'ulivo»: la vite e l'ulivo, piante fruttuose e molto comuni della vita agricola palestinese, indicano la fecondità e l'abbondanza di frutti dell'intimità familiare. Per le immagini, cfr. Sal 104,15; Ez 19,10; Sir 39,26.

v. 5a. «Ti benedica il Signore..»: è la rubrica liturgica che introduce la benedizione, cfr. Nm 6,23.

v. 6. «i figli dei tuoi figli»: la benedizione riguarda la fecondità a livello personale e familiare. È segno di longevità il «vedere» i nipoti, che sono la «corona dei vecchi» (Prv 17,6). «Pace su Israele»: è un'aggiunta liturgica (cfr. Sal 125,5) che allarga ancora di più l'orizzonte della benedizione. Dalla prosperità di Gerusalemme si passa alla pace (= pienezza di beni) dell'intero Israele.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[rotazioni]righello da tasca l'acqua è alta parte dei prezzi ossole non] stanno non] galleggiano il fisco brucia] carboidrati danneggia banner l'interscambio coi] bruchi della] candeggina piani in gres in] quartz pochi] fondi di vernice con la mina H una] misura presa nel lume della calmiera per giro a differenza i] capovolti stringono brughe messaggiano dai poli i polsi


noblogo.org/lucazanini/rotazio…



Street Fighter 6: Il Combattimento Rivoluzionario che Riporta il Fuoco nei Picchiaduro


Il Ritorno dei Classici: Più Freschi e Letali


Il tempo è passato, ma i veterani di Street Fighter non sono stati dimenticati. Ogni personaggio classico è stato rinnovato con un tocco di genialità, trasformando mosse familiari in strumenti che dialogano perfettamente con il nuovo Drive System. Questo sistema è il cuore pulsante del gameplay di Street Fighter 6, un’evoluzione che va oltre le semplici meccaniche di attacco e difesa.

Una scena di Beat Square a Metro City, con schermi giganti che trasmettono un combattimento intenso tra due avatar colorati.

Prendiamo ad esempio Ryu: la sua iconica Shoryuken è più incisiva che mai, ma ora si fonde con il Drive Impact per infliggere colpi devastanti che ti lasciano incollato allo schermo. Chun-Li, con la sua eleganza, danza letteralmente attorno ai suoi avversari, sfruttando il Drive Rush per concatenare combo fluide che sembrano una coreografia. Insomma, ognuno dei personaggi storici è come una vecchia canzone riscoperta: familiare, ma con note che ti sorprendono.

E poi c'è Jamie. Ah, Jamie! L'introduzione dello stile “Drunken Boxer” è stata un colpo di genio. Ogni volta che beve, diventa più potente, le sue combo si allungano e si tingono di imprevedibilità. Guardarlo combattere è un’esperienza surreale: ondeggia come un ubriaco, ma colpisce con la precisione di un maestro. È un’alchimia perfetta tra caos e controllo che trasforma ogni incontro in un’opera d’arte istantanea.

Il Drive System: Una Rivoluzione Nella Strategia


Non possiamo parlare di Street Fighter 6 senza lodare il Drive System, una meccanica che non è solo un'aggiunta, ma un cambio di paradigma. Le cinque opzioni offerte dal Drive Meter – dal Drive Parry al Drive Reversal – ridefiniscono completamente il modo in cui affronti un incontro.

Un combattente maschile in stile Drunken Boxer, con capelli raccolti in una coda, lancia una combo fluida mentre una folla animata fa il tifo sullo sfondo.

Il Drive Reversal, per esempio, è una manna dal cielo quando ti trovi schiacciato contro un angolo, con l’avversario che non ti lascia spazio per respirare. Un colpo ben piazzato, eseguito premendo i pulsanti d’attacco pesante mentre blocchi, può ribaltare la situazione. È come un urlo liberatorio in una situazione soffocante.

E poi c’è il Drive Impact, che è tanto potente quanto rischioso. Vederlo connettere è pura soddisfazione: un suono sordo, un rallentamento temporale, e il tuo avversario che vola come un burattino senza fili. Ma attenzione: sbagliare i tempi significa lasciarsi completamente aperti agli attacchi nemici. Street Fighter 6 non premia chi gioca d’istinto, ma chi sa quando rischiare tutto.

World Tour: Una Modalità Che Ti Fa Vivere Metro City


La modalità World Tour è il ponte che collega la tradizione di Street Fighter con una nuova dimensione narrativa. Non è solo un semplice story mode; è un viaggio. Vestirai i panni di un avatar personalizzabile, esplorando Metro City e altre location iconiche, interagendo con personaggi che sembrano vivi, pulsanti di energia.

Un avatar personalizzabile esplora una strada affollata in World Tour, con neon vivaci e NPC pronti a sfidarlo.

Immagina di passeggiare per Beat Square, la versione di Times Square di Metro City, con enormi schermi che trasmettono i combattimenti in tempo reale. È impossibile non sentirsi parte di qualcosa di più grande. E poi, quando meno te lo aspetti, un NPC ti sfida a combattere. È qui che il gioco mescola esplorazione e azione in un modo che pochi picchiaduro hanno osato fare.

Due giocatori si affrontano in un combattimento nel Battle Hub, con un pubblico di avatar che reagisce in tempo reale.

Le abilità e le mosse che sblocchi nel World Tour non sono solo cosmetiche. Puoi portarle nel Battle Hub, l’hub online del gioco, dove il tuo avatar sfida altri giocatori in un’arena virtuale che sembra una sala giochi del futuro. Ogni vittoria, ogni sconfitta, contribuisce a creare una narrazione unica. È un’esperienza che va oltre il semplice combattere; è costruire una storia personale.

Battle Hub: Dove il Combattimento Diventa Social


Parlando del Battle Hub, è impossibile non rimanere colpiti dalla sua atmosfera. È un melting pot di culture, stili e personalità. Puoi sederti e guardare altri giocatori combattere, studiare le loro mosse, o semplicemente goderti lo spettacolo. C'è qualcosa di magico nell'osservare le battaglie su un grande schermo, circondato da avatar che applaudono o reagiscono con emoticon. Ti senti parte di una comunità globale, unita dalla passione per il combattimento. E quando decidi di entrare in azione, ogni incontro ha un sapore speciale, perché sai che c’è un pubblico che ti osserva.

Un colpo devastante di Drive Impact colpisce l’avversario, congelando l’azione per un istante mentre scintille luminose riempiono lo schermo.

Conclusione: Street Fighter 6 È un Capolavoro


Street Fighter 6 non è solo un gioco; è un’esperienza. Ogni elemento, dai personaggi alle meccaniche, è stato curato con un amore quasi ossessivo per i dettagli. Il risultato è un picchiaduro che non si limita a intrattenere, ma ti coinvolge, ti sorprende e, soprattutto, ti emoziona. Se sei un veterano della serie, troverai in Street Fighter 6 una lettera d’amore ai tuoi ricordi, ma con abbastanza novità da farti sentire come se fosse la prima volta. E se sei un nuovo arrivato, beh, non c’è momento migliore per iniziare.


noblogo.org/giochips5/street-f…



[caffeine]

[filtri]dove l'immobile disposto dai vettoriali razione meccanica microbi di [queste sedie ultramoderne -oppure le arrese [carbonati diversamente evoluti fanno i soldi con le gragnole vanno à la guerre comme à la guerre acquistano fanfare maneggevoli di plastica ortopedica -o] l'ipnotico il 10 percento sciolto [scappa Sandokan] save the date


noblogo.org/lucazanini/caffein…



John Hiatt - The Open Road (2010)


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Registrato nel suo garage-studio con l’attuale band che lo segue on stage (il chitarrista Doug Lancio, il bassista Patrick O' Hearn e il batterista Kenneth Blevins) il 18esimo disco del 57enne John Hiatt è una mitizzazione della ‘highway’, a ridosso di fratture, di sbilanciamenti, di vertigini contenute nelle disperate road songs di The Open Road, consapevole di vivere quella sensazione di alienazione in un immaginario della strada accresciuto tra i ricordi dei Nativi Americani di Homeland: “I call this place my homeland and I claim this land I own / It belongs to another people, they possess it in their bones” incamminandosi verso il Sud, da Memphis intravedendo il Tennessee. Non c’è molto humor in questo nuovo disco, perfette per ballate introspettive ma anche per il rock-blues scelto per descrivere se stesso e la sua famiglia anche attraverso il contributo delle due figlie, Lilly e Georgia, che lo hanno ispirato nella stesura dei brani di The Open Road.


Ascolta: album.link/i/1436914856



noblogo.org/available/john-hia…


John Hiatt - The Open Road (2010)


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Registrato nel suo garage-studio con l’attuale band che lo segue on stage (il chitarrista Doug Lancio, il bassista Patrick O' Hearn e il batterista Kenneth Blevins) il 18esimo disco del 57enne John Hiatt è una mitizzazione della ‘highway’, a ridosso di fratture, di sbilanciamenti, di vertigini contenute nelle disperate road songs di The Open Road, consapevole di vivere quella sensazione di alienazione in un immaginario della strada accresciuto tra i ricordi dei Nativi Americani di Homeland: “I call this place my homeland and I claim this land I own / It belongs to another people, they possess it in their bones” incamminandosi verso il Sud, da Memphis intravedendo il Tennessee. Non c’è molto humor in questo nuovo disco, perfette per ballate introspettive ma anche per il rock-blues scelto per descrivere se stesso e la sua famiglia anche attraverso il contributo delle due figlie, Lilly e Georgia, che lo hanno ispirato nella stesura dei brani di The Open Road.


Ascolta: album.link/i/1436914856


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Common Problems That Disrupt a Good Night’s Rest


Many people find it challenging to fall and stay asleep. While some may struggle with occasional insomnia, others find themselves tossing and turning every night. Sometimes, the anxiety of trying to fall asleep can make things worse. If you encounter these issues on a nightly basis, you may consider taking sleep aids like mirtazapine, trazodone and Lunesta. These medications can help you get the sleep you need to feel energized and well-rested the next morning.

Difficulties Falling Asleep

It's frustrating to hop into bed only to continue tossing and turning in a futile effort to fall asleep. Constantly checking the clock and worrying about the fact you cannot sleep often makes things worse. These habits can become difficult to shake over time, and your sleepless nights can start having a real impact on your mood, productivity and quality of life.

Issues Staying Asleep

Some people have no problem drifting off but wake up repeatedly throughout the night. Stress, illness and other factors can play a role in your inability to stay asleep. Each time you wake up, you may worry about how terrible you are going to feel in the morning without adequate rest. Ironically, this stress can make it even more challenging to fall back asleep. This cycle can be hard to break. In these cases, Lunesta for sleep may be an ideal solution to help you get the rest you deserve.

Poor Sleep Quality

Another common bedtime issue is poor sleep quality. It's not uncommon for some people to still feel tired even after getting a full night's rest. Unfortunately, feeling tired after eight hours of sleep may lead to morning grogginess that lasts all day. It's important to understand the reasons behind why you may still feel sleepy after getting "enough" rest and take the necessary steps to feel better.

If you're struggling with staying asleep, falling asleep or daytime grogginess, it's important to make an appointment with your physician to rule out underlying medical causes for your insomnia. Sometimes, health conditions like sleep apnea and restless leg syndrome contribute to sleep problems. Other times, temporary insomnia can be caused by stress and lifestyle factors. It's important to understand which factors are the root cause of your issues in order to properly address them.

Don't let another sleepless night wreck your productivity the next morning. Take charge of your nighttime routine with an effective sleep aid. With just a few steps and a professional consultation, you can receive a prescription for medications like mirtazapine, Doxepin, Lunesta and Zaleplon to help you fall and stay asleep. Start getting the rest you need and fix your sleep by contacting SleepOver today.

Original Source: bit.ly/43Q4LCi


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Common Problems That Disrupt a Good Night’s Rest


Many people find it challenging to fall and stay asleep. While some may struggle with occasional insomnia, others find themselves tossing and turning every night. Sometimes, the anxiety of trying to fall asleep can make things worse. If you encounter these issues on a nightly basis, you may consider taking sleep aids like mirtazapine, trazodone and Lunesta. These medications can help you get the sleep you need to feel energized and well-rested the next morning.

Difficulties Falling Asleep


It's frustrating to hop into bed only to continue tossing and turning in a futile effort to fall asleep. Constantly checking the clock and worrying about the fact you cannot sleep often makes things worse. These habits can become difficult to shake over time, and your sleepless nights can start having a real impact on your mood, productivity and quality of life.

Issues Staying Asleep


Some people have no problem drifting off but wake up repeatedly throughout the night. Stress, illness and other factors can play a role in your inability to stay asleep. Each time you wake up, you may worry about how terrible you are going to feel in the morning without adequate rest. Ironically, this stress can make it even more challenging to fall back asleep. This cycle can be hard to break. In these cases, Lunesta for sleep may be an ideal solution to help you get the rest you deserve.

Poor Sleep Quality


Another common bedtime issue is poor sleep quality. It's not uncommon for some people to still feel tired even after getting a full night's rest. Unfortunately, feeling tired after eight hours of sleep may lead to morning grogginess that lasts all day. It's important to understand the reasons behind why you may still feel sleepy after getting "enough" rest and take the necessary steps to feel better.

If you're struggling with staying asleep, falling asleep or daytime grogginess, it's important to make an appointment with your physician to rule out underlying medical causes for your insomnia. Sometimes, health conditions like sleep apnea and restless leg syndrome contribute to sleep problems. Other times, temporary insomnia can be caused by stress and lifestyle factors. It's important to understand which factors are the root cause of your issues in order to properly address them.

Don't let another sleepless night wreck your productivity the next morning. Take charge of your nighttime routine with an effective sleep aid. With just a few steps and a professional consultation, you can receive a prescription for medications like mirtazapine, Doxepin, Lunesta and Zaleplon to help you fall and stay asleep. Start getting the rest you need and fix your sleep by contacting SleepOver today.

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SALMO - 127 (126)


LA FORZA DI DIO SORREGGE LE FATICHE DELL'UOMO1 Canto delle salite. Di Salomone.

Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella.

2 Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno.

3 Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo.

4 Come frecce in mano a un guerriero sono i figli avuti in giovinezza.

5 Beato l'uomo che ne ha piena la faretra: non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici.

_________________Note

127,1 La benedizione del Signore è la fonte di ogni bene, è l’origine del progresso della comunità d’Israele, delle sue famiglie e delle sue città. Questa stessa benedizione si estende in particolare al dono dei figli, segno della presenza e della provvidenza di Dio.

127,4 frecce: immagine di forza e potenza; I figli avuti in giovinezza esprimono vigore e sono garanzia di successo. Nell’antichità la vita sociale si svolgeva presso la porta della città.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Dio protegge e dà prosperità Salmo sapienziale

Il salmo è focalizzato sull'efficacia della partecipazione di Dio alla vita sociale e personale. L'unità del carme, che sembra a prima vista diviso in due parti, è data dall'ambivalenza della voce «casa» (bayit), che nella prima parte (v. 1-2) è usata nel senso reale, e nella seconda parte è supposta nel suo significato traslato di «famiglia». Il salmo è abbastanza armonico. Il metro nel TM è quello della qînâ (3 + 2 accenti). Il campo semantico e simbolico è spaziale, temporale, bellico, antropologico.

Divisione:

  • vv. 1-2: la «casa» senza il Signore;
  • vv. 3-5: la «casa-famiglia» con il Signore.

v. 1. «Se il Signore non costruisce la casa...»: il Signore è il «custode d'Israele» (cfr. Sal 121,4), vigilante (Ger 1,11-12) su Israele che in lui spera, cfr. Sal 130,5-7.

v. 2. «il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno»: in questo versetto è descritta la fatica dell'uomo per guadagnarsi il pane avvertendo però che senza Dio il risultato è negativo. Ma con Dio, quando si è «suoi amici», i frutti vengono più facilmente anche quando si dorme.

v. 3. «dono del Signore sono i figli»: lett. «eredità del Signore» (naḥalat JHWH). È la stessa definizione della terra promessa, di cui i figli servono a assicurare e rafforzare il possesso. Per i «figli» come dono di Dio, cfr. Gn 17,16.

v. 4. «Come frecce..»: l'immagine è bellica. I figli avuti nella giovane età sono creduti essere più forti e robusti di quelli avuti dai genitori già avanzati negli anni (cfr. Gn 37,3). Nel contesto del salmo con questa metafora si vuole significare che un padre con i figli forti può come un «eroe» affrontare la vita.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LOTTA AL TRAFFICO ILLECITO MARITTIMO. L'ESPERIENZA DEL PROGRAMMA SEACOP


La cooperazione internazionale è fondamentale nel contrasto ai traffici illeciti marittimi per diversi motivi: la natura transnazionale dei traffici: le rotte del traffico illecito (droga, armi, esseri umani, legname, ecc.) attraversano più giurisdizioni. Nessun Paese può affrontare efficacemente il problema da solo.La condivisione di informazioni e intelligence: la cooperazione consente lo scambio tempestivo di dati tra forze dell’ordine, dogane e autorità marittime. La standardizzazione delle procedure: operare con protocolli comuni facilita le operazioni congiunte e migliora l’efficacia dei controlli. La formazione e rafforzamento delle capacità: i Paesi con meno risorse possono beneficiare del supporto tecnico e formativo di partner più esperti. La risposta coordinata: le operazioni congiunte permettono di colpire simultaneamente più nodi della rete criminale.

Il progetto SEACOP dell’Unione Europea


Il SEACOP (Seaport Cooperation Project) è un’iniziativa finanziata dall’Unione Europea, giunta alla sua sesta fase (SEACOP VI), che mira a rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta contro il traffico illecito via mare. Obiettivo principale è contrastare il traffico di droga e altri traffici illeciti (come il legname) attraverso il rafforzamento delle capacità operative e di intelligence nei porti di Africa, America Latina e Caraibi. Le attività principali consistono nella creazione e supporto di Unità di Intelligence Marittima (MIUs) e Unità di Controllo Marittimo Congiunto (JMCUs); nella formazione di agenti locali su tecniche di ispezione, profilazione dei rischi e cooperazione internazionale; nella promozione della condivisione in tempo reale delle informazioni tra Paesi partner e agenzie europee come FRONTEX, MAOC-N, e le forze dell’ordine nazionali.

In sintesi, SEACOP rappresenta un esempio concreto di come la cooperazione internazionale possa tradursi in azioni operative efficaci contro le reti criminali transnazionali, contribuendo alla sicurezza globale e allo sviluppo sostenibile delle regioni coinvolte.

SEACOP ed i Paesi del Caribe


Grazie a SEACOP, 13 paesi del Caribe hanno potuto aumentare la loro capacità di risposta ai pericoli marittimi, con oltre 120 sequestri di merci illecite e miglioramento della coordinazione nazionale e regionale.

Il progetto si basa su un approccio decentralizzato e rispondente alle esigenze della regione, formando “equipaggiamenti virtuali”, inter-agenzie che possono rispondere ai pericoli in modo rapido e efficace. In 10 anni, SEACOP ha formato oltre 750 ufficiali e ha migliorato la capacità di risposta dei paesi del Caribe ai pericoli marittimi.

SEACOP VI


Il progetto SEACOP VI mira a combattere il traffico di stupefacenti e le reti criminali associate in America Latina, Caraibi e Africa Occidentale. L'obiettivo principale è interrompere i flussi illeciti e rafforzare la cooperazione tra le autorità responsabili della sicurezza dei confini e della lotta al crimine organizzato. Il progetto si concentra su tre obiettivi principali: rafforzare le capacità di analisi e identificazione di navi sospette, rinforzare le capacità di ricerca e intercettazione di merci illecite e migliorare la cooperazione e la condivisione di informazioni a livello regionale e transregionale.

Il progetto SEACOP VI è il sesto fase del progetto Seaport Cooperation e si concentra su una gamma più ampia di attività illecite, compresa la criminalità ambientale e i flussi illeciti transatlantici. Il progetto si avvale dell'esperienza di diverse agenzie europee e lavora in stretta collaborazione con le autorità locali per combattere il crimine organizzato e garantire la sicurezza dei confini.

I principali successi di SEACOP


Operazione GRES-Atlantico-SUR (giugno-luglio 2024) Questa iniziativa, nata nell’ambito di SEACOP, ha coinvolto Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Senegal e ha ottenuto risultati straordinari in appena un mese: oltre 5 tonnellate di cocaina sequestrate (4 tonnellate in Paraguay, 800 kg in Argentina, 380 kg in Brasile, 1 tonnellata di marijuana sequestrata in Paraguay, più di 10 arresti in operazioni coordinate, controlli su oltre 15 navi e container marittimi, numerosi controlli aerei e nei porti strategici come Santos (Brasile), Montevideo (Uruguay), Dakar (Senegal) e Asunción (Paraguay). L’operazione ha dimostrato l’efficacia della condivisione di intelligence marittima e fluviale. Ha portato alla creazione di centri di coordinamento operativo in Argentina e Senegal. È in fase di espansione con il progetto GRES-Ports, che mira a rafforzare i controlli nei principali porti del Pacifico e dei Caraibi. Il successo è stato possibile grazie alla collaborazione con: EMPACT (piattaforma europea contro le minacce criminali), MAOC-N (Centro di analisi e operazioni marittime), Progetto COLIBRI, EUROFRONT, e la Rete Iberoamericana dei Procuratori Antidroga (RFAI). Questi risultati mostrano come SEACOP stia evolvendo da un progetto di formazione e capacity building a una rete operativa internazionale capace di colpire duramente le reti criminali transnazionali.

#SEACOP #UNIONEEUROPEA #UE #EU


noblogo.org/cooperazione-inter…


LOTTA AL TRAFFICO ILLECITO MARITTIMO. L'ESPERIENZA DEL PROGRAMMA SEACOP


LOTTA AL TRAFFICO ILLECITO MARITTIMO. L'ESPERIENZA DEL PROGRAMMA SEACOP


La cooperazione internazionale è fondamentale nel contrasto ai traffici illeciti marittimi per diversi motivi: la natura transnazionale dei traffici: le rotte del traffico illecito (droga, armi, esseri umani, legname, ecc.) attraversano più giurisdizioni. Nessun Paese può affrontare efficacemente il problema da solo.La condivisione di informazioni e intelligence: la cooperazione consente lo scambio tempestivo di dati tra forze dell’ordine, dogane e autorità marittime. La standardizzazione delle procedure: operare con protocolli comuni facilita le operazioni congiunte e migliora l’efficacia dei controlli. La formazione e rafforzamento delle capacità: i Paesi con meno risorse possono beneficiare del supporto tecnico e formativo di partner più esperti. La risposta coordinata: le operazioni congiunte permettono di colpire simultaneamente più nodi della rete criminale.

Il progetto SEACOP dell’Unione Europea


Il SEACOP (Seaport Cooperation Project) è un’iniziativa finanziata dall’Unione Europea, giunta alla sua sesta fase (SEACOP VI), che mira a rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta contro il traffico illecito via mare. Obiettivo principale è contrastare il traffico di droga e altri traffici illeciti (come il legname) attraverso il rafforzamento delle capacità operative e di intelligence nei porti di Africa, America Latina e Caraibi. Le attività principali consistono nella creazione e supporto di Unità di Intelligence Marittima (MIUs) e Unità di Controllo Marittimo Congiunto (JMCUs); nella formazione di agenti locali su tecniche di ispezione, profilazione dei rischi e cooperazione internazionale; nella promozione della condivisione in tempo reale delle informazioni tra Paesi partner e agenzie europee come FRONTEX, MAOC-N, e le forze dell’ordine nazionali.

In sintesi, SEACOP rappresenta un esempio concreto di come la cooperazione internazionale possa tradursi in azioni operative efficaci contro le reti criminali transnazionali, contribuendo alla sicurezza globale e allo sviluppo sostenibile delle regioni coinvolte.

SEACOP ed i Paesi del Caribe


Grazie a SEACOP, 13 paesi del Caribe hanno potuto aumentare la loro capacità di risposta ai pericoli marittimi, con oltre 120 sequestri di merci illecite e miglioramento della coordinazione nazionale e regionale.

Il progetto si basa su un approccio decentralizzato e rispondente alle esigenze della regione, formando “equipaggiamenti virtuali”, inter-agenzie che possono rispondere ai pericoli in modo rapido e efficace. In 10 anni, SEACOP ha formato oltre 750 ufficiali e ha migliorato la capacità di risposta dei paesi del Caribe ai pericoli marittimi.

SEACOP VI


Il progetto SEACOP VI mira a combattere il traffico di stupefacenti e le reti criminali associate in America Latina, Caraibi e Africa Occidentale. L'obiettivo principale è interrompere i flussi illeciti e rafforzare la cooperazione tra le autorità responsabili della sicurezza dei confini e della lotta al crimine organizzato. Il progetto si concentra su tre obiettivi principali: rafforzare le capacità di analisi e identificazione di navi sospette, rinforzare le capacità di ricerca e intercettazione di merci illecite e migliorare la cooperazione e la condivisione di informazioni a livello regionale e transregionale.

Il progetto SEACOP VI è il sesto fase del progetto Seaport Cooperation e si concentra su una gamma più ampia di attività illecite, compresa la criminalità ambientale e i flussi illeciti transatlantici. Il progetto si avvale dell'esperienza di diverse agenzie europee e lavora in stretta collaborazione con le autorità locali per combattere il crimine organizzato e garantire la sicurezza dei confini.

I principali successi di SEACOP


Operazione GRES-Atlantico-SUR (giugno-luglio 2024) Questa iniziativa, nata nell’ambito di SEACOP, ha coinvolto Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Senegal e ha ottenuto risultati straordinari in appena un mese: oltre 5 tonnellate di cocaina sequestrate (4 tonnellate in Paraguay, 800 kg in Argentina, 380 kg in Brasile, 1 tonnellata di marijuana sequestrata in Paraguay, più di 10 arresti in operazioni coordinate, controlli su oltre 15 navi e container marittimi, numerosi controlli aerei e nei porti strategici come Santos (Brasile), Montevideo (Uruguay), Dakar (Senegal) e Asunción (Paraguay). L’operazione ha dimostrato l’efficacia della condivisione di intelligence marittima e fluviale. Ha portato alla creazione di centri di coordinamento operativo in Argentina e Senegal. È in fase di espansione con il progetto GRES-Ports, che mira a rafforzare i controlli nei principali porti del Pacifico e dei Caraibi. Il successo è stato possibile grazie alla collaborazione con: EMPACT (piattaforma europea contro le minacce criminali), MAOC-N (Centro di analisi e operazioni marittime), Progetto COLIBRI, EUROFRONT, e la Rete Iberoamericana dei Procuratori Antidroga (RFAI). Questi risultati mostrano come SEACOP stia evolvendo da un progetto di formazione e capacity building a una rete operativa internazionale capace di colpire duramente le reti criminali transnazionali.

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Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



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IQBAL MASIH: STORIA DI UN' INFANZIA RAPITA

A cura di Luca Rossi.

Novembre 2006

“Nessun bambino dovrebbe mai impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”

I.M.,Stoccolma 1994

Il film di Cinzia Th. Torrini[1] (1998), inerente la vita di Iqbal Masih, non è altro che la storia di una vita riscattata da violenze e omertà su uno degli aspetti più inquietanti che legano le società ricche dell'occidente a quelle più povere, in un'asimmetria abissale dove all'interno delle prime i bambini portano con sé la dignità loro attribuita da leggi consapevoli del valore della vita, mentre le seconde utilizzano con il termine di “piccoli lavoratori” un eufemismo per celare un sostantivo ben più pesante, quello dell'essere schiavo.

Già, perché Iqbal Masih, insieme ai milioni di bambini schiavi sparsi per il mondo, concentrati soprattutto nelle zone del Bangladesh, del Pakistan, dell'India, del Nepal rappresenta la sofferenza di un'infanzia che segna i cuori di tutti coloro che si battono contro lo sfruttamento dei più deboli, in qualsiasi senso.

Venduto all'età di quattro anni dal padre, la regista ci narra la storia vera di un ragazzo pakistano, ceduto ad un fabbricante di tappeti senza scrupoli, al fine di pagare un debito contratto per il matrimonio della figlia. Mani distrutte per avere intessuto per dodici ore al giorno per sei lunghi anni tappeti raffinati, pronti per essere rivenduti nei paesi occidentali a prezzi elevatissimi. Piedi incatenati a un telaio per fare sì che nessuno dei piccoli lavoratori si allontanasse dal posto di lavoro, o rinchiusi da Hussain Kahn, titolare dell'azienda (se così la si potrebbe definire), nella “Tomba”, un pozzo privo di aria e di luce quando qualcuno disubbidiva o cercava la fuga. Le regole erano semplici, come ricorda uno dei ragazzi a Iqbal appena giunto alla fabbrica: 1) non è permesso parlare altrimenti verrai punito; 2) puoi fare una pausa di mezz'ora per mangiare ogni giorno. Se ci metti di più verrai punito; 3) se ti addormenti sul telaio verrai punito; 4) se sporchi la tua panca o perdi gli attrezzi di lavoro verrai punito; 5) se ti lamenti o parli con sconosciuti fuori dalla fabbrica verrai punito.

Iqbal fu l'esempio vivente, ispirato da ideali di libertà, per tutti i bambini del mondo, ridotti in schiavitù, più che inserirsi nel lavoro nero. E più che di un film, quello della Torrini, è un vero e proprio reportage filmato che non ha fine, che non avrà mai fine, poiché lo sfruttamento minorile non è cessato di esistere.

Venduto per pochi dollari, Iqbal riuscirà con l'aiuto di un sindacalista, Eshan Kahn, presidente della lega contro il lavoro dei bambini -BLLF- (unica persona di cui fidarsi a dispetto della famiglia dove non avrebbe più trovato rifugio, perché sarebbe subito stato riportato al proprio aguzzino o della polizia locale corrotta essa stessa), a diffondere il suo pensiero e la sua voglia di vivere e difendere quanti hanno vissuto il suo dramma partecipando a varie manifestazioni, portandovi la voce di coloro che non avevano voce, in Svezia, negli Stati Uniti d'America, dove riceverà onorificenze e contributi, nonché una borsa di studio dalla Brandeis University, che gli consentiranno di progettare un sogno: quello di diventare un giorno avvocato per difendere i soprusi verso i minori, mentre nello scorrere delle immagini della Torrini, le telecamere inquadrano striscioni e cartelli di marce di bambini liberi inneggianti la scritta “Children are innocent!”.

Iqbal regalerà alla nonna non vedente, ma in grado di distinguere i colori dal calore che essi emanano, quasi un'energia vitale che attraversa l'anima, una semplice bambola di pezza che le aveva promesso anni prima, fino al giorno in cui, la domenica di Pasqua del 1995, all'età di tredici anni, il martirio segnò per sempre la sua vita.

Ucciso da un sicario che gli sparò in pieno petto (perché accusato con le sue pubbliche affermazioni di ridurre gli introiti attraverso lo sfruttamento minorile dell'economia illegale del Pakistan), sarà ritrovato su di una spiaggia, sulle lande di Chapa Kana Mill, nei pressi di Lahore, con legato ad una mano il filo di un aquilone volteggiante alto nel cielo, segno di quella fanciullezza che non poggia i propri piedi su di una terra corrotta, ma che si libera come ala nel blu del cosmo, tra nuvole bianche riflesse nel sole. Ma quel giorno il sole non doveva avere colore.

Mentre l'aquilone sale alto, la polizia scriverà a verbale: “L'assassinio è scaturito da una discussione tra un contadino ed Iqbal.”

Prima di essere ucciso, il piccolo uomo scrisse: “Non ho paura del mio padrone; ora è lui ad avere paura di me.”

Quello della Torrini lo si vorrebbe un film che appartenesse alla storia, come quelli girati nei campi di concentramento, ma non è così: resterà sempre attuale.

Accanto alle immagini della regista vi è però da aggiungere a mio giudizio ciò che ha da dirci la poesia in merito. Il poeta, come il cineasta, grida anch'egli il suo sdegno. Tra le figure contemporanee di poeti che hanno dato voce al dolore di Iqbal ne ricordiamo una per tutte: quella del poeta torinese Felice Serino[2], di cui riporto il suo dire in merito attraverso una delle più belle poesie di cui la prima stesura fu quella pubblicata su “Il Tizzone”[3]: “tuo padre ti vendette/ per pagare un debito/ inestinguibile// violarono la tua infanzia/ insieme all'innocenza di bambine/ costrette a prostituirsi// tra trame di tappeti e catene/ il tuo sangue ancora grida nei piccoli/ fratelli – sotto ogni latitudine// ma la tua ribellione ha creato/ un precedente: una forza/ dirompente a svegliare coscienze// per un più umano domani.”

Ripresa e rielaborata in chiave diversa la poesia apparve poi premiata in vari concorsi nel seguente modo:“come un bosco devastato/ intristirono la tua infanzia/ di pochi sogni// tra trame di tappeti e catene/ ancora grida il tuo sangue nei piccoli/ fratelli – il tuo sangue che lavò la terra// quel mattino che nascesti in cielo – dimmi –/ chi fu a cogliere il tuo dolore adulto/ per appenderlo ad una stella?”

Entrambe le espressioni d'arte esprimono, ciascuna a modo loro, il pensiero cosmopolita di chi ha voluto testimoniare con i suoi verdi anni una fede universale.

[1] Cinzia Th. Torrini nasce a Firenze nel 1954 e si trasferirà a Monaco dove si diplomerà alla scuola di cinematografia. Dopo avere girato alcuni documentari e cortometraggi, esordirà con la pellicola “Giocare d'azzardo”, riscuotendo a Venezia nel 1982 un notevole successo da parte della critica. Seguirà nel 1986 la produzione del film “Hotel Colonial”, mentre nel 1996 parteciperà con altri quattordici registi alla produzione di “Esercizi di stile”.

Per la televisione Cinzia Th. Torrini ha partecipato alla realizzazione di “L'ombra della sera” (1984), “Dalla notte all'alba” (1991), “L'aquila della notte” (1993), “Morte di una strega” (1996), “Iqbal Masih” (1998) e “Ombre” (1999).

[2] Nato a Pozzuoli (NA), F. Serino vive a Torino da operaio metalmeccanico, oggi in pensione. Ha pubblicato i seguenti volumi: “Il Dio-Boomerang”; “Frammenti dell'immagine spezzata”; “Fuoco dipinto”; “La difficile luce”; “Di nuovo l'utopia”. In proprio ha editato: “Delta & Grido” e “Idolatria di un'assenza”. Ha collaborato in vario modo con il periodico “Il Tizzone”, “Omero” ed altri. Maurizio Cucchi dice di lui: “F. Serino dimostra notevole esperienza, destrezza e buone letture, non solo poetiche. Conserva residui avanguardistici ma cita anche Bartolo Cattafi e si ispira qua e là ad Andrea Zanzotto.”

[3] Poesia apparsa sulla rivista letteraria “Il Tizzone”; editore Alfio Arcifa – Rieti 1999.


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LA SCHIZOFRENIA DELLA FABBRICA Antonio Catalfamo

Da: IL CALENDARIO DEL POPOLO – Poeti operai [numero monografico n. 730, maggio 2008]

Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Dopo vari impieghi nel settore alberghiero e come benzinaio, ha lavorato per ben trentuno anni alla micidiale catena di montaggio della Fiat Mirafiori, a Torino.

Poeta autodidatta, “mail artista” e studioso di astrologia, vive tuttora nella capitale italiana dell'automobile. Ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche: Il dio-boomerang (1978); Frammenti dell'immagine spezzata (1981); Di nuovo l'utopia (1984); Delta & grido (1988); Idolatria di un'assenza (1994); Fuoco dipinto (2002); La difficile luce (2005); Il sentire celeste (in e-book, 2006); Dentro una sospensione (2007).

I versi di Serino sono costruiti, non a caso, attraverso la tecnica del monologo interiore, che, spinto all'estremo, sconfina nel flusso di coscienza: i pensieri vengono riprodotti su carta così come affluiscono alla mente, saltando i nessi grammaticali, logici e cronologici.

Il poeta vuole rappresentarli in presa diretta, senza mediazione alcuna, per rendere palpabile al lettore la condizione psicologica alienata dell'operaio.

Così salta anche la punteggiatura, i piani narrativi si intrecciano, il “prima” si fonde col “poi”.

Non esiste un “tempo di fabbrica” e un “tempo di libertà”, separati l'uno dall'altro. Anche quando l'operaio è a casa con la famiglia, a letto con la moglie, nell'intimità dell'amplesso, nella dimensione ludica del rapporto affettivo con la figlioletta, la fabbrica è sempre presente, nel pensiero, con i suoi rumori, i suoi ritmi, le sue ansie ed i suoi pericoli.

Pure il verso prende un ritmo incessante, come quello della catena di montaggio. Solo qualche enjambement consente una pausa, poi il macchinario continua a girare, costringendo l'operaio ad inseguirlo, ad adeguare i propri tempi a quelli del mostro tecnologico.

E' questa la “qualità totale” di cui tanto si parla. L'impresa impone la propria centralità, precludendo ogni spazio esistenziale privato all'operaio, assumendo una funzione totalizzante.

Si noti, inoltre, il clima di angoscia incessante, che domina i versi di Serino.

Le immagini degli omicidi bianchi, le morti violente, che si susseguono in fabbrica, come lampi al magnesio, esplodono nella sua mente, impedendogli una vita “normale”; rimangono impigliati nei meccanismi della macchina e ossessionano il poeta in ogni momento del suo ciclo vitale, che ne risulta irrimediabilmente alterato.

Su tutto (sentimenti, valori) domina il plusvalore, che Taylor diceva furbescamente di voler ridurre in un cantuccio. La produzione, secondo lui, avrebbe raggiunto vette così alte che il problema della distribuzione del plusvalore sarebbe diventato marginale.

Ma nei decenni il Pil (Prodotto interno lordo) è aumentato progressivamente, senza che ciò contribuisse ad eliminare l'alienazione del lavoratore.

Come osserva giustamente Serino, l'operaio, anzi, resta impigliato in un nuovo ciclo alienante, “produci-consuma-produci”, diventa vittima sacrificale per un nuovo “dio-mammona”, “pedina in massacri calcolati”.

Traspare dalle poesie del Nostro (sin dai titolo delle raccolte: Il dio-boomerang; e poi nelle immagini bibliche ricorrenti: l'operaio come Cristo crocifisso, le presenze diaboliche che affiorano qua e là) una religiosità violata, tradita da un ordine sociale cinico, che calpesta persino le leggi di natura, i principi evangelici.

Antonio Catalfamo

Da: IL CALENDARIO DEL POPOLO – Poeti operai

[numero monografico n. 730, maggio 2008]

– – – –

PROLETARI

1

distinzioni di classi

niente di nuovo la storia si ripete

noi pendolari voi vampiri

dell'industria che evadete il fisco

(imboscando capitali sindona insegna)

ed esponete le chiappe al solleone

sulla costa azzurra o smeralda

(lontani dal nostro morire –

in città-vortice sangue solare

innalziamo piramidi umane

per l'alba di mammona)

dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo

(burattinai per vocazione

di questa babele tecnocratica)

averci diseredati crocifissi

con bulloni a catene di montaggio

2

cieche corse cronometriche

cottimi barattati con la salute

pensieri accartocciati desideri

condannati a morte

uccidi la tua anima per otto ore

sventola la tua bandiera-di-carne

produci-consuma-produci

per il dio-mammona per il benessere (di chi?!)

sei bestia per il giogo del potere

pedina in massacri calcolati

SPIRALE

metti la caffettiera sul gas

il tempo di fare l'amore

la casa un'isola nella nebbia

di ieri nella testa il grido dell'officina

non ti avanza tempo per buttare su carta

quattro versi che ti frullano nel cervello

la bimba vuol passare nel lettone sorridi

per il polistirolo ritrovatosi in bocca

con la torta ieri il suo compleanno

trepiderai ancora una volta al ritorno

davanti alla cassetta delle lettere

e la moglie a dire qui facciamo i salti

mortali per quadrare il bilancio

il borbottìo del caffè ti alzi

esci e penetri il muro di nebbia

nella testa il grido stridulo d'officina

a cui impigliati restano brandelli

d'anima e carne

d'un'altra settimana di passione

stasera deporrai la croce

LINEA DI MONTAGGIO

lo hanno visto inginocchiarsi

davanti alla centoventesima vettura: come se

volesse specchiarvisi o adorare

il dio-macchina:

46 anni: infarto – parole

di circostanza chi deve informare la

famiglia – l'attimo

di sconcerto poi li risucchia il ritmo

vorticante: come se nulla

sia accaduto: la produzione

innanzitutto

MORTE BIANCA

al paese (le donne avvolte

in scialli si segnano ai lampi)

hanno saputo di stefano volato

dall'impalcatura come angelo senz'ali

– non venire a mettere radici – scriveva al fratello

minore – qui anche tu nella

città di ciminiere e acciaio: qui dove

mangio pane e rabbia: dove si vive

in mano a volontà cieche

UOMO TECNOLOGICO

parabole di carne convertite in

plusvalore – l'anima canta nell'acciaio – pensieri

decapitati al dileguarsi di essenze: vuota

occhiaia del giorno dilatato:

coscienza che si lacera all'infinito

L'ANIMA TESA SUL GRIDO

l'anima tesa sul grido

dopo otto ore alla catena

neanche la voglia di parlare

davanti alla tivù-caminetto

e morfeo ti apre le braccia

(impigliàti nello stridìo

della macchina

brandelli di coscienza)

domani ancora una pena

l'anima tesa sul grido

del giorno

in spirali di alienazione

OLOCAUSTO

immolato al moloch del consumo

deponi la croce delle otto ore lasciando

brandelli di anima lungo la catena

biascichi parole di fumo prima del sonno e sogni

strappare alla vita il sorriso ammanettato

dal giorno tieni in vita la tua morte tra vortici

dell'essere e trucioli d'acciaio rovente ti farà

fuori una overdose di nevrosi-solitudine

cuore-senza-paese immolato al moloch

dei consumi il sangue vorticante nella babele di

pacifici massacri offerta quotidiana

[Le poesie di quegli anni 80, sono servite se non altro alla mia crescita.]

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