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SAPIENZA - Capitolo 16


Le creature come castigo e beneficio: le quaglie1Per questo furono giustamente puniti con esseri simili e torturati con una moltitudine di bestie.2Invece di tale castigo, tu beneficasti il tuo popolo; per appagarne il forte appetito gli preparasti come cibo quaglie dal gusto insolito,3perché quelli che desideravano cibo, a causa del ribrezzo per gli animali inviati contro di loro, perdessero anche l'istinto della fame, mentre questi, rimasti privi di cibo per un breve periodo, provassero un gusto insolito.4Era necessario che su quei tiranni si abbattesse una carestia implacabile e a questi si mostrasse soltanto come erano tormentati i loro nemici.

Serpenti, cavallette, mosconi5Quando infatti li assalì il terribile furore delle bestie e venivano distrutti per i morsi di serpenti sinuosi, la tua collera non durò sino alla fine.6Per correzione furono turbati per breve tempo, ed ebbero un segno di salvezza a ricordo del precetto della tua legge.7Infatti chi si volgeva a guardarlo era salvato non per mezzo dell'oggetto che vedeva, ma da te, salvatore di tutti.8Anche in tal modo hai persuaso i nostri nemici che sei tu colui che libera da ogni male.9Essi infatti furono uccisi dai morsi di cavallette e mosconi, né si trovò un rimedio per la loro vita, meritando di essere puniti con tali mezzi.10Invece contro i tuoi figli neppure i denti di serpenti velenosi prevalsero, perché la tua misericordia venne loro incontro e li guarì.11Perché ricordassero le tue parole, venivano feriti ed erano subito guariti, per timore che, caduti in un profondo oblio, fossero esclusi dai tuoi benefici.12Non li guarì né un'erba né un unguento, ma la tua parola, o Signore, che tutto risana.13Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte, conduci alle porte del regno dei morti e fai risalire.14L'uomo uccide con la sua malvagità, ma non può far ritornare uno spirito che se n'è andato, né libera un'anima già accolta nel regno dei morti.

La grandine e la pioggia15È impossibile sfuggire alla tua mano:16perciò gli empi, che rifiutavano di conoscerti, furono fustigati dalla forza del tuo braccio, perseguitati da piogge strane, da grandine, da acquazzoni travolgenti, e consumati dal fuoco.17E, cosa più sorprendente, nell'acqua che tutto spegne il fuoco prendeva sempre più forza, perché alleato dei giusti è l'universo.18Talvolta la fiamma si attenuava per non bruciare gli animali inviati contro gli empi e per far loro comprendere a tale vista che erano incalzati dal giudizio di Dio.19Altre volte, anche in mezzo all'acqua, la fiamma bruciava oltre la potenza del fuoco per distruggere i germogli di una terra iniqua.

La manna20Invece hai sfamato il tuo popolo con il cibo degli angeli, dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto.21Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i figli, si adattava al gusto di chi ne mangiava, si trasformava in ciò che ognuno desiderava.

Neve, acqua e fuoco22Neve e ghiaccio resistevano al fuoco e non si fondevano, perché sapessero che il fuoco, che ardeva nella grandine e lampeggiava nelle piogge, distruggeva i frutti dei nemici;23al contrario, perché i giusti si nutrissero, dimenticava perfino la propria forza.24La creazione infatti, obbedendo a te che l'hai fatta, si irrigidisce per punire gli ingiusti e si addolcisce a favore di quelli che confidano in te.25Per questo anche allora, adattandosi a tutto, era al servizio del tuo dono che nutre tutti, secondo il desiderio di chi ti pregava,26perché i tuoi figli, che hai amato, o Signore, imparassero che non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te.27Ciò che infatti non era stato distrutto dal fuoco si scioglieva appena scaldato da un breve raggio di sole,28perché fosse noto che si deve prevenire il sole per renderti grazie e incontrarti al sorgere della luce,29poiché la speranza dell'ingrato si scioglierà come brina invernale e si disperderà come un'acqua inutilizzabile.

_________________Note

16,1-4 Gli Egiziani sono puniti da una grave carestia, causata dall’invio di animali nauseanti (forse vi è un’allusione alla piaga delle rane, Es 7,28-29); gli Ebrei invece sono saziati mediante l’invio di quaglie (Es 16,9-13). Ciò che si dimostrò castigo per gli Egiziani, fu un beneficio per Israele.

16,5-14 Nel deserto anche gli Israeliti furono puniti con l’invio di serpenti velenosi, a motivo della loro contestazione nei confronti di Mosè (Nm 21,6), ma poi il serpente di bronzo innalzato da Mosè fu salvezza per loro (Nm 21,8-9). Agli Egiziani non fu concesso un rimedio simile, e caddero sotto la fitta invasione di cavallette e mosconi (Es 8,16-20; 10,15). Gli episodi narrati nel libro dell’Esodo vengono esposti dall’autore con grande libertà e in forme iperboliche.

16,15-19 Gli elementi atmosferici (pioggia, grandine, acquazzoni, fuoco) diventano strumenti di punizione per gli Egiziani, che hanno rifiutato di riconoscere Dio e la potenza prodigiosa della sua azione. L’autore si riferisce al testo di Es 9,13-35.

16,20-21 I giusti ottengono dal Signore un cibo speciale, cibo degli angeli: la manna (v. 20). L’autore offre del testo di Es 16 una lettura spirituale, che il NT farà propria (Gv 6,32-33.49-51).

16,26 Vedi Dt 8,3.

16,28 si deve prevenire il sole: allusione alla preghiera del mattino; ad essa, che costituisce la prima delle tre preghiere liturgiche quotidiane dell’ebraismo, invitano più volte i Salmi (vedi Sal 5,4; 88,14).

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Approfondimenti


vv. 1-4. La breve unità, determinata dall'inclusione «furon tormentati»— «erano tormentati» (vv. 1b.4d), è fortemente caratterizzata dalla contrapposizione Egiziani-Ebrei (vv. 1.2a; 3a.3d; 4a,4c). Questa triplice contrapposizione segue una progressiva determinazione: affermazione generale della punizione egiziana; ripugnanza per gli animali e perdita dell'appetito; conseguente carestia. Così per quanto concerne gli Ebrei: affermazione generale del beneficio accordato al popolo santo e sua specificazione nel cibo delle quaglie; squisitezza di questo cibo; presa di coscienza del beneficio ottenuto.

v. 1. «giustamente..»: l'avverbio, che assieme al corrispondente aggettivo definisce in Sapienza sempre (con l'eccezione di 13,15) il giudizio circa la sorte dei giusti (3,5; 6,16; 7,15; 9,12; 12,7) e degli empi (1,16; 12,26; 15,6; 16,9; 18,4; 19,4), esprime la profonda convinzione dell'autore circa la verità e la giustizia del giudizio divino, convinzione ora pienamente motivata dalle due lunghe digressioni precedenti. «numerose bestiole»: seguendo l'ordine del racconto di Esodo, si alluderebbe alla piaga delle rane (Es 7,26-8,11), tuttavia il termine greco ha una portata più ampia e designa in generale le bestie che mordono, cioè le bestie selvagge; così è possibile che il nostro autore alluda non solo alla piaga delle rane, ma anche alle altre piaghe (cfr. Es 8,12-28; 10,1-20).

vv. 2-4. Il riferimento è chiaramente all'episodio delle quaglie (cfr. Es 16,13; Nm 11,31-32), ma l'autore oltrepassa il semplice piano storico tramite una forte idealizzazione; passa intatti sotto silenzio le mormorazioni del popolo (cfr. Es 16,2-3.7-9.12) e l'ira punitrice di Dio (Nm 11,33-34); sottolinea come sia Dio stesso a preparare il cibo al suo popolo, quasi come a un ospite di riguardo; e se il testo biblico mostrava la brama di carne da parte di Israele (Es 16,3; Nm 11,4), qui si evidenzia il gusto squisito di questo cibo donato da Dio.

vv. 5-14. Ma non subirono anche gli Israeliti una piaga di serpenti nel deserto? (cfr. Nm 21,4-9)? A questa possibile obiezione pare voglia rispondere il nostro autore con il terzo dittico, nel quale infatti mostra il profondo significato pedagogico e salvifico di tale episodio. Punto di partenza è l'episodio biblico del serpente di bronzo (Nm 21,4-9), ma fortemente reinterpretato; lo Pseudo-Salomone infatti passa sotto silenzio numerosi elementi, come le mormorazioni del popolo, l'intercessione di Mosè, l'innalzamento del serpente di bronzo, per evidenziare invece con vigore e ripetutamente questo messaggio teologico: la salvezza proviene unicamente da Dio. L'unità è articolata in due serie di tre membri ciascuna in parallelo fra loro: a) 5-6; b) 7-8; c) 9-10; a) 11; b') 12; c) 13-14. Il parallelismo a-a' ha come tema il valore pedagogico dell'azione divina; i secondi due membri (b-b') sottolineano con forza il tema di Dio unico salvatore; per quanto riguarda gli ultimi due membri (c-c) l'opposta sorte degli Egiziani e degli Ebrei trova la sua vera ragione nell'opposizione fra Dio, detentore del potere sulla vita e sulla morte, e l'uomo che di tale potere è privo.

vv. 5-6. «i decreti della tua legge»: indicano qui la legge data da Dio, cioè la torah; essa costituisce il segno dell'alleanza tra Dio e il popolo e per quest'ultimo un impegno concreto all'osservanza dei singoli comandamenti. E alla luce del carattere educativo dell'azione di Dio che l'autore interpreta il serpente di bronzo definendolo «pegno di salvezza». Già nel racconto di Numeri lo sguardo al serpente di bronzo era soltanto la condizione per la liberazione dalla calamità. Qui, in quanto pegno di salvezza, esso diventa veramente il segno nel quale gli Israeliti possono riconoscere concretamente l'azione salvifica di Dio. E proprio a questo riconoscimento che mira l'azione pedagogica divina!

vv. 7-8. L'espressione «chi si volgeva a guardarlo» oltrepassa il semplice movimento fisico, per descrivere soprattutto la conversione dell'uomo a Dio; tramite un forte contrasto (v. 7ab), infatti, l'autore sottolinea che la salvezza di Israele proviene unicamente da Dio. Due espressioni caratterizzano questa realtà salvifica divina allargando l'orizzonte dal semplice piano storico dell'episodio di Numeri a quello universale: «salvatore di tutti» (v. 7c), e «che libera da ogni male» (v. 8b). La prima riprende un titolo ben noto nell'ambiente ellenistico, che qualificava dei e sovrani come donatori universali di pace e di benessere, ed applicava questa realtà a Dio soltanto; oggetto della sua salvezza sono non solo gli israeliti, ma tutti gli uomini (cfr. Sap 11,23). La seconda espressione estende questa salvezza ad ogni genere di mali e di pericoli, senza esclusione di sorta, come ben mostra l'intero libro della Sapienza, dove il verbo «liberare», costituisce un “leitmotiv” dell'azione di Dio e della sua Sapienza (cfr. 2,18; 10,6.9.13.15; 19,9).

vv. 9-10. Il v. 9 allude ala piaga dei tafani (Es 8,16-28) e a quella delle cavallette (Es 10,1-20), con una tendenza però ad accentuarne il carattere letale, così come fanno sia Filone che Giuseppe Flavio. La stessa personificazione della misericordia divina intende attirare l'attenzione del lettore su questo attributo divino, mostrandolo direttamente all'opera come donatore di salvezza. Siamo qui nel cuore del messaggio biblico, che attribuisce proprio alla misericordia divina l'opera salvifica (cfr. ad es. Sal 57,4-8; 78,38; Is 54,8); e non aveva già lo Pseudo-Salomone definito Dio come Signore di misericordia (9,1)?

v. 12. Ciò che nei vv. 7-8 si diceva di Dio, viene ora attribuito alla sua parola (con la ripresa dell'aggettivo «tutto»!); come già Sal 107, 20, così anche il nostro testo attribuisce la salvezza alla parola stessa. Lungi dal voler offrire una semplice personificazione letteraria, l'autore evidenzia con forza il modo concreto con cui Dio veicola la sua salvezza, tramite cioè una parola efficace, radicalmente diversa dalla parola umana, e presente in Israele.

vv. 13-14. Il v. 13 tramite l'uso di espressioni polari disposte in ordine chiastico («vita-morte»; «conduci giù-fai risalire») fonda l'affermazione del v. 12b: la parola di Dio ha il potere di guarire perché egli è il signore della vita e della morte. Queste espressioni, che provengono dalla tradizione biblica (Dt 32, 39; 1 Sam 2, 6; Tb 13, 2), alludono non solo alla salvezza operata da Dio da un terribile pericolo di morte, ma vogliono specialmente affermare il suo assoluto potere sulla vita e sulla morte, come si deduce dal v. 14, che proprio sulla privazione di un tale potere fonda la radicale differenza tra uomo e Dio.

vv. 15-29. Questo dittico occupa il centro del grande affresco che oppone Egiziani ed Ebrei; non sorprende perciò la sua importanza teologica. La contrapposizione verte sugli elementi atmosferici: da un lato piogge e grandine distruggono il raccolto degli Egiziani (vv. 16-19), dall'altro la manna sfama miracolosamente il popolo ebreo (vv. 20-23). Si tratta di due brevi unità che chiariscono sì la straordinarietà dei fenomeni naturali (vv. 18b.19c.23a), ma che soprattutto sottolineano l'intento educativo divino volto a suscitare una presa di coscienza in entrambe le parti (cfr. «per far loro comprendere»: v. 18c; «perché riconoscessero»: v. 22b). Ed è ancora in funzione di questo intento divino che alle due precedenti unità fa seguito la riflessione dei vv. 24-29; essa è incentrata, infatti, sulla proposizione finale del v. 26, che proclama esplicitamente la necessità imprescindibile di andare oltre il piano esteriore della storia, per coglierne il significato interiore. Così lungo tutto il dittico notiamo una costante: agli empi che rifiutano questa comprensione interiore (v. 16a), Dio risponde con la piaga, perché comprendano (v. 18c); a questa comprensione sono pure chiamati i giusti tramite il risvolto positivo della piaga (v. 22b); questa comprensione infine si svela come fede nella parola di Dio, vero ed indispensabile cibo dell'uomo (v. 26).

vv. 16-19. «gli empi»: sono gli Egiziani, la cui empietà viene subito caratterizzata come ostinato rifiuto a «riconoscere» JHWH (v. 16a), cioè a riconoscere nelle piaghe la sua presenza e la sua opera. In conseguenza essi abitano una «terra iniqua», cioè una terra abitata e coltivata da gente iniqua; così la terra stessa partecipa in qualche modo al peccato degli Egiziani. È dunque questa realtà di ostinato peccato che sta dietro tutta la piaga e che ne costituisce la motivazione profonda. La “piaga” qui evocata è quella della grandine (cfr. Es 9,13-35), però con alcune sottolineature proprie dell'autore. Tramite tre espressioni («strane piogge- grandine – acquazzoni travolgenti: vv. 16cd) egli evidenzia anzitutto la pioggia, che nel racconto di Esodo costituisce un elemento secondario (cfr. 9,33-34); la successiva menzione del fuoco (v. 16d) si appoggia Es 9,23.24, ma ad esso viene attribuito un ruolo assai più importante; è questo fuoco, infatti, che divora gli empi e non la grandine, come nel racconto della piaga egiziana (cfr. Es 9,19.25). Non solo acqua e fuoco coesistono una accanto all'altro senza distruggersi a vicenda, ma perfino cooperano; questo superamento delle leggi elementari della natura permette così all'autore di indicare il vero motivo di tutto questo e cioè che «l'universo si fa alleato dei giusti» (v. 17c).

vv. 20-23. La controparte positiva della grandine e della folgore è la manna, perché anch'essa viene dal cielo (cfr. Es 16,4; Sal 78,24; 105,40). Essa non è mai citata per nome; in compenso viene descritta a lungo in ben otto emistichi (vv. 20-22a) e con un vocabolario ricco di simbolismo e di teologia, che rivela il grande interesse dell'autore. Questi attinge non solo alla riflessione biblica (Es 16,1-36; Nm 11,6-9; 8,2-4.16; 5,12; Ne 9,15.20; Sal 78,23-25; 105,40), ma anche ala abbondante tradizione giudaica.

v. 20. Diversamente dal testo di Esodo che allude a una preparazione (cfr. Es 16,5.23), si tratta qui di un pane già pronto, che l'uomo ha solo da mangiare; è Dio infatti che l'ha preparato «senza fatica», a differenza di quanto avviene per il pane umano, che esige lavoro e fatica. Circa il sapore della manna il testo biblico la assimila a quello di una focaccia con miele (Es 16, 31) o a quello di pasta all'olio (Nm 11, 8); ma vi si ricorda anche il senso di nausea e di monotonia che gli Israeliti finirono per avere (Nm 11,4-6); in confronto, il nostro testo descrive una manna virtualmente ricca di ogni sapore, capace di soddisfare tutti i gusti, anzi a servizio del desiderio di ognuno (vv. 20c.21cd)! Lo Pseudo-Salomone attinge qui alla ricca tradizione esegetica giudaica, che attribuiva a questo cibo caratteristiche meravigliose e uniche.

v. 21. Ispirandosi verosimilmente a Es 16,31 e a Nm 11,8 lo Pseudo-Salomone vede nella manna un segno della «dolcezza» divina verso Israele. E la prima volta che nella Bibbia si parla della dolcezza di Dio, tema che avrà successo nella mistica cristiana; l'appellativo «i tuoi figli» precisa ancora che si tratta di una dolcezza di padre.

vv. 22-23. «neve e ghiaccio»: partendo da Es 16,14, che assimila la manna alla brina, e dalla versione greca di Nm 11,7, che paragona la manna al ghiaccio, il nostro autore suo definire questo cibo celeste come neve e ghiaccio. L'audacia dell'espressione è dovuta al fatto che gli serve un elemento di contrasto col fuoco per mostrare la totale dipendenza degli elementi naturali dalla volontà divina.

v. 24. I verbi «irrigidirsi» e «allentarsi» (BC = «addolcirsi») possono far pensare alla metafora dell'arco teso o allentato, segno di castigo o di beneficio, dove Dio è il guerriero e la creazione l'arco; ma questi due verbi appartengono pure al vocabolario della fisica stoica, secondo cui la concentrazione d'energia (irrigidirsi) assicura la stabilità di una sostanza e delle sue proprietà, mentre l'allentamento d'energia permette a una sostanza di subire l'azione di altre sostanze e di altre proprietà. E possibile dunque che qui lo Pseudo-Salomone pensi ancora alla piaga, dove appunto il fuoco si irrigidiva per resistere all'azione contraria dell'acqua ed accrescere così la propria energia, e la manna s'addolciva per arricchirsi delle proprietà più svariate.

v. 26. È la punta dell'intero dittico, dove l'intento pedagogico di Dio non vuole semplicemente far capire agli Egiziani e agli Israeliti che dietro le piaghe è lui stesso che opera (vv. 18cd.22bcd), bensì soprattutto specificare che, al di là dei vari segni, questa presenza si realizza concretamente nella parola! L'autore, riprendendo la nota riflessione di Dt 8, 3, interpreta la manna con le sue meravigliose qualità sopra ricordate precisamente come il segno della parola di Dio. Se questa parola esprime tutta la tenerezza paterna di Dio (nota le espressioni del v. 26a!), esige anche da Israele un profondo atteggiamento di fede (v. 26c), che non consiste semplicemente in un rapporto di conoscenza, bensì in un rapporto filiale: essi devono riconoscersi davvero come i figli prediletti di Dio. Alla luce di questa teologia non appaiono più eccessive le affermazioni sulla manna.

vv. 27-29. Ritornando ancora una volta alla manna, lo Pseudo-Salomone rileva che essa, nonostante resistesse al fuoco durante la sua cottura (v. 27a; cfr. vv. 22a.23), si scioglieva al calore del primo sole del mattino (cfr. Es 16,21); ciò gli permette di tirare una nuova conclusione, questa volta però d'ordine liturgico, e cioè la necessità della preghiera mattutina (v. 28). Si tratta anzitutto di una preghiera di ringraziamento, dove l'uomo prende veramente coscienza di tutti i benefici di Dio, in particolare, secondo il nostro contesto, del dono della parola, e li riconosce davanti a lui; è da questa preghiera di ringraziamento che potrà poi sorgere ogni altra preghiera (v. 28b). L'atteggiamento contrario, quello dell'ingrato, è destinato invece al fallimento: come la manna-brina fondeva ai raggi del primo sole (cfr. v. 27b), così fonderà la speranza dell'uomo ingrato; egli verrà disperso, come si getta via l'acqua sporca, usata per i lavori domestici e perciò non più utilizzabile.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[provetecniche]avviata autopulente intravista stringa prevede l'esistenza extra o [market eastman sul fondo composte le] universiadi bandiera pirata persone battono cassa zenith sulle] focali tetràpodi orientati secondo i vertici in annientamento] carriere delle suffragette messi

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noblogo.org/lucazanini/provete…



sto leggendo le memorie di un libraio romano che conosco da anni ma con cui sono entrato in bel dialogo, più direttamente, solo da questo agosto: Giuseppe Casetti. sul libro magari scriverò più avanti. intanto dico che grazie a lui ho scoperto questo video: slowforward.net/2025/09/07/la-…


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la spiaggia. ritratto di giordano falzoni / alberto grifi. 2004


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Giordano Falzoni (1925-1998) nasce a Zagabria, durante una tournèe dei suoi genitori, entrambi musicisti. Studia a Firenze e Parigi, dove frequenta Breton e il gruppo surrealista. Si trasferisce a Roma negli anni Cinquanta per poi unirsi al Gruppo 63. Pittore, ceramista, drammaturgo, è una delle figure più eclettiche ma al contempo meno conosciute della neoavanguardia italiana. Falzoni è anche traduttore: sua è la prima versione italiana di Nadja di Breton, pubblicata da Einaudi nel 1972.

Estratti da:
Giordano Falzoni ripreso durante il corso della sua esistenza da Alberto Grifi, Giordana Meyer, Paola Pannicelli, Karina Bouchet – 1997
No stop grammatica, Alberto Grifi – 1967
Anni ’60 Non Stop, Alberto Grifi – 1999

Il video è stato postprodotto da Alberto Grifi nel 2004 in collaborazione con Interact.

#AlbertoGrifi #film #GiordanoFalzoni #Interact #LaSpiaggia #video




[stime]l'asta di manufatti -le anonime stanze d’albergo e le cartoline illustrate lotto 3691-] esplode una lampadina nel gas minore un] selettivo countdown quiz] pomeridiano l'incendio doloso siero leggero molto] diffuso di tutto questo rimane [copia conforme l'inerzia] inevasa


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La villeggiatura dopo ferragosto



Sì, in quei tempi agosto era ancora il mese delle ferie, il mese delle serrande abbassate in città, delle strade deserte e delle fabbriche chiuse. Non tutti potevano permettersi il mese intero, a non tutti era concesso (ne ho accennato lateralmente qui), ma un paio di settimane sì, quelle erano più o meno per tutti.

Probabilmente, non avrete voglia di cliccare sul link, riassumo: dopo due settimane, restavamo in villeggiatura senza mio padre, che doveva lavorare, e senza macchina per spostarci.

Agosto era ancora il mese della fine dell'estate, in quei tempi del riscaldamento globale non si parlava perché le avvisaglie sembravano ancora evanescenti; oggi non se ne parla abbastanza, ma non è questo il posto. E dopo ferragosto, in montagna, il tempo iniziava a cambiare, la piacevole frescura lasciava il passo, la sera, a un freddolino pungente, da mettere un giubbottino. Il cielo, solitamente limpido, diventava più tendente al grigio e più minaccioso, ma di una minaccia lieve, di pioggia improvvisa di montagna, spesso il cambiamento avveniva al tramonto.
Così era il tempo in quei giorni, in quegli anni. Il clima era come ce lo si aspettava, probabilmente i nubifragi non erano la norma al Nord e al Sud non si stava a maniche corte fino a novembre.

E in questo clima più plumbeo, e in un clima di vacanze che si avviano alla conclusione, sia per i villeggianti che per gli abitanti, restavamo per buona parte della settimana in tre: mia mamma e la sua prole. Non potevamo gironzolare in macchina, facevamo quel che una buona camminata permetteva di fare. Ce ne andavamo alla villetta comunale a raccogliere i ciclamini, per portarli a casa e metterli in un bicchiere, ma duravano pochissimo. Non li raccoglierei, oggi. Gironzolavamo per la strada che costeggiva il centro abitato, raccogliendo le more buonissime, oppure il rosmarino che cresceva anch'esso spontaneo ai margini. Lo raccoglievamo, più che altro, per mio padre: a noi non interessava granché, lui invece era un appassionato, quando c'era lui in giro non mancavano i canovacci abbondantemente ricoperti dai ramoscelli di rosmarino da seccare. Quando era secco, finiva in questi barattoli di vetro riciclati e sembrava dovesse durare in eterno, perché non ne facevamo un grande uso.

E queste erano tra le cose che facevamo, camminavamo, raccoglievamo, giocavamo sulle giostrine, ci dirigevamo a casa quando non eravamo coperti abbastanza da resistere alla frescura del giorno che invecchia, qualche volta accendevamo anche il caminetto, aspettavamo il fine settimana per essere di nuovo tutti e quattro.

Era tutto così semplice, era tutto bellissimo.


log.livellosegreto.it/oreliete…



SAPIENZA - Capitolo 15


La fedeltà d’Israele all’unico vero Dio1Ma tu, nostro Dio, sei buono e veritiero, sei paziente e tutto governi secondo misericordia.2Anche se pecchiamo, siamo tuoi, perché conosciamo la tua potenza; ma non peccheremo più, perché sappiamo di appartenerti.3Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta, conoscere la tua potenza è radice d'immortalità.4Non ci indusse in errore né l'invenzione umana di un'arte perversa, né il lavoro infruttuoso di coloro che disegnano ombre, immagini imbrattate di vari colori,5la cui vista negli stolti provoca il desiderio, l'anelito per una forma inanimata di un'immagine morta.6Amanti di cose cattive e degni di simili speranze sono coloro che fanno, desiderano e venerano gli idoli.

Il fabbricante di idoli7Un vasaio, impastando con fatica la terra molle, plasma per il nostro uso ogni vaso. Ma con il medesimo fango modella i vasi che servono per usi nobili e quelli per usi contrari, tutti allo stesso modo; quale debba essere l'uso di ognuno di essi lo giudica colui che lavora l'argilla.8Quindi, mal impiegando la fatica, con il medesimo fango plasma un dio vano, egli che, nato da poco dalla terra, tra poco ritornerà alla terra da cui fu tratto, quando gli sarà richiesta l'anima, avuta in prestito.9Tuttavia egli si preoccupa non perché sta per morire o perché ha una vita breve, ma di gareggiare con gli orafi e con gli argentieri, di imitare coloro che fondono il bronzo, e ritiene un vanto plasmare cose false.10Cenere è il suo cuore, la sua speranza più vile della terra, la sua vita più spregevole del fango,11perché disconosce colui che lo ha plasmato, colui che gli inspirò un'anima attiva e gli infuse uno spirito vitale.12Ma egli considera la nostra vita come un gioco da bambini, l'esistenza un mercato lucroso. Egli dice che da tutto, anche dal male, si deve trarre profitto.13Costui infatti sa di peccare più di tutti, fabbricando con materia terrestre fragili vasi e statue.

Stoltezza degli Egiziani, dediti all’idolatria14Ma sono tutti stoltissimi e più miserabili di un piccolo bambino i nemici del tuo popolo, che lo hanno oppresso.15Perché essi considerarono dèi anche tutti gli idoli delle nazioni, i quali non hanno né l'uso degli occhi per vedere, né narici per aspirare aria, né orecchie per udire, né dita delle mani per toccare, e i loro piedi non servono per camminare.16Infatti li ha fabbricati un uomo, li ha plasmati uno che ha avuto il respiro in prestito. Ora nessun uomo può plasmare un dio a lui simile;17essendo mortale, egli fabbrica una cosa morta con mani empie. Egli è sempre migliore degli oggetti che venera, rispetto ad essi egli ebbe la vita, ma quelli mai.18Venerano anche gli animali più ripugnanti, che per stupidità, al paragone, risultano peggiori degli altri.19Non sono tali da invaghirsene, come capita per il bell'aspetto di altri animali; furono persino esclusi dalla lode e dalla benedizione di Dio.

_________________Note

15,7-13 L’immagine del vasaio appare spesso nella Bibbia (vedi Sir 38,29-30; Is 29,16; 45,9; Ger 18,4): qui è presentata come esempio di colui che fabbrica gli idoli.

15,8 quando gli sarà richiesta l’anima: allusione al giudizio di Dio, dopo la morte.

15,14-19 Meritevoli di condanna sono soprattutto gli Egiziani, oppressori d’Israele e dediti al culto degli idoli di tutti i popoli: considerarono dèi anche tutti gli idoli delle nazioni (v. 15). È una condanna del sincretismo egiziano, ancora in auge al tempo in cui scrive l’autore del libro. Gli idoli vengono derisi sulla scia di Sal 115,4-7 e 135,15-17. Nei vv. 18-19 viene condannata la zoolatria, molto praticata in Egitto.

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Approfondimenti


vv. 1-6. L'unità è articolata in due parti (vv. 1-3; 4-6), introdotte entrambe dal pronome di prima persona plurale («nostro»: v. 1; «ci»: v. 4). La prima è una confessione dell'intima comunione che intercorre tra Israele e Dio, sottolineata letterariamente dai numerosi aggettivi e pronomi possessivi di seconda persona (tuoi – tua – ti – ti – tua); la seconda è una denuncia dell'idolatria culminante al v. 6.

v. 1. Ispirandosi specialmente alla descrizione di Es 34,6, ma anche linguaggio dei salmi, l'autore evoca i tratti salienti del Dio di Israele: «buono», con un accento personale e di perdono; «fedele», titolo nel quale confluisce sia l'assoluta lealtà di Dio agli impegni di alleanza, sia la sua veracità e autenticità, in contrapposizione all'inconsistenza degli idoli; «paziente», cioè l'opposto degli dei pagani vendicativi e gelosi; «secondo misericordia», dove la realtà di un Dio indulgente e aperto al perdono e alla grazia è accentuata dal fatto della sua onnipotenza (cfr. «tutto governi»).

vv. 2-3. Quattro volte ricorrono verbi attinenti al campo semantico del conoscere; è un conoscere non teorico e intellettuale, bensì esistenziale; si tratta, infatti, dell'orientamento totale di Israele verso Dio, anche al di là delle sue momentanee cadute nel peccato.

vv. 4-6. Nonostante la seduzione, Israele ha resistito all'idolatria; il merito – questo è detto solo implicitamente – va ascritto al dono della sapienza che gli ha permesso di conoscere il vero Dio. Evidentemente qui lo Pseudo-Salomone non si riferisce all'Israele storico, che spesso condivise le aberrazioni dei popoli pagani, bensì a quell'Israele ideale, numericamente minoritario ma qualitativamente unico e vero popolo di Dio, che durante i secoli rimase fedele a Dio e che è il vero modello per la comunità giudaica alessandrina. Il giudizio dell'autore sull'arte greca pare eccessivamente pessimista; egli è certamente influenzato dalla tradizionale ripulsa degli Ebrei per le immagini, ma qui la sua forte polemica non è contro l'arte in quanto tale, bensì contro gli idoli che essa rappresenta o comunque contro l'arte in quanto strumento e occasione di idolatria. Probabilmente al v. 5 c'è un'allusione alla celebre storia di Pigmalione, che si innamorò della statua di Afrodite da lui stesso scolpita. Una sentenza sapienziale chiude l'unità con una forte condanna degli idolatri. Costoro sono definiti «amanti del male» e si collocano così in contrapposizione radicale al giovane Salomone, che si innamora (letteralmente: «amante») della bellezza della sapienza (8,2).

vv. 7-13. Due termini posti in inclusione («terra-terrestre»: vv. 7a.13b; «vasi»: vv. 7d.13c) non solo delimitano l'unità, ma ne indicano pure il soggetto particolare, il vasaio che dall'argilla plasma i vasi. E l'ultima delle figure di fabbricatori d'idoli ricordate dall'autore; mentre il taglialegna risulta un povero uomo, ingenuo e sprovvisto di capacità critica, il vasaio appare invece in tutta la sua colpevolezza; è un cinico infatti, avido di denaro e consapevole del proprio peccato. Sullo sfondo di tutta la descrizione si sente imponente, ma anche discreta, la figura del Creatore, l'unico capace di dare all'argilla un alito di vita. Alla sua luce appare davvero ridicolo e malizioso il gesto del vasaio idolatra.

v. 8. L'argilla del vasaio con cui egli pretende di fabbricare idoli richiama la stessa realtà dell'origine dell'uomo, essendo egli stesso nato dalla terra. Qui l'autore si rifà a Gn 2,7 e specialmente a Gn 3,19, ma con un allargamento d'orizzonte, perché non è soltanto Adamo, ma ogni uomo ad essere tratto dalla terra; in ciò egli segue una riflessione biblica presente soprattuto in Giobbe (cfr. Gb 10,8-9; 33,6), ma anche in altri testi (ad es. Sal 103,13; Qo 3,20; 12,7). Dio dunque è ancora all'opera e trae dalla terra proprio questo vasaio che con la terra plasma idoli!

vv. 10-11. Riprendendo una frase di Is 44, 20 (LXX) l'autore qualifica come «cenere» il cuore di questo vasaio; essendo tutta la sua attività intellettuale e volitiva assorbita da un progetto radicalmente inconsistente come quello di fabbricare idoli, essa è davvero cenere, cioè una realtà interamente consumata e che non serve più a nulla. Il vasaio idolatra porta in sé già la morte, perché rifiuta l'autore della vita; essa infatti viene unicamente da Dio.

vv. 12-13. Tre detti correnti nel mondo greco descrivono in crescendo negativo l'attitudine interiore del vasaio. Il primo si pone in particolare contrasto con quanto precede, perché ad essere ritenuta trastullo è proprio questa nostra vita che abbiamo ricevuto dal creatore (v. 11). Il secondo alla nozione di gioco e di festa aggiunge quella di lucro; la vita deve essere infatti non solo una fiera, ma una fiera lucrosa. Col terzo detto non solo la festa, ma tutte le realtà e perfino il male (con ciò si intende specialmente la fabbricazione di idoli) vengono ridotte a puro strumento di profitto. È quest'unica sete di guadagno, distruggitrice di ogni valore e lucidamente perseguita, che rende il vasaio sommamente colpevole.

vv. 14-19. La presente unità costituisce la terza e ultima sezione della critica delle religioni pagane. Questa conclusione rappresenta pure il climax di tutta la lunga riflessione dell'autore, perché egli denuncia ora la forma peggiore dell'idolatria: la zoolatria! Responsabile non è più il generico mondo pagano, ma un popolo preciso: gli Egiziani. Questo permette all'autore di ricollegarsi col tema della piaga delle bestiole, che aveva preannunciato in 11,15 e poi ricordato in 12,23-25, e di preparare così la ripresa del midrash delle piaghe. L'articolazione di questa breve unità è semplice: una frase introduttiva (v. 14) qualifica e designa i colpevoli; ad essa seguono due motivazioni portanti, l'una sull'idolatria dei popoli (vv. 15-17), l'altra sul peccato specifico della zoolatria (vv. 18-19). La ripresa del dialogo diretto con Dio (cfr. v. 14) sottolinea la profonda partecipazione dello Pseudo-Salomone.

v. 14. «anima infantile»: qui, come in 12,24, indica il bambino che a causa dell'età è ancora privo di saggezza.

vv. 15-17. La stoltezza egiziana si fonda anzitutto sul fatto di condividere gli idoli dei pagani. Seguendo la tendenza biblica (cfr. Sal 115,5-7; 135,16-17; Dt 4,28; 5,23), l'autore sottolinea con vigore l'impotenza degli idoli, la quale proviene non solo dal loro essere fittizio, ma anche dal loro artigiano, l'uomo, che in quanto creatura non potrà mai trascendere il quadro della propria natura, anzi nemmeno creare un essere a lui simile.

vv. 18-19. Il secondo e più grave motivo della stoltezza egiziana è la zoolatria. E noto come il culto di animali vivi (gatti, cani, coccodrilli, serpenti, ippopotami...) fosse presente nella religione egiziana e che questo costituisse non solo oggetto di meraviglia, ma anche di condanna da parte degli autori greci e romani. Il nostro autore nella sua condanna mostra tutta l'irrazionalità di un simile culto: non solo si tratta di animali ripugnanti, ma anche di animali più stupidi di tutti gli altri; in essi è scomparsa perfino quella lode e quella benedizione che Dio aveva impartito a tutti gli animali al momento della creazione (Gn 1,21-22.25).

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Pontiak - Innocence (2014)


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I Pontiak sono un gruppo musicale statunitense originario delle Blue Ridge Mountains nello stato della Virginia composto da tre fratelli nati a Washington DC: Jennings Carney (1978, organo, basso), Van Carney (1980, voce, chitarra) e Lain Carney (1982, batteria). (Wikipedia) A due anni da Echo Ono, apice della loro carriera, i Pontiak pubblicano il loro settimo album Innocence. Devo ammettere che pur non amando particolarmente l'hard-rock, se così si può etichettare il suono di questa band statunitense, il disco mi ha subito preso e ascolto dopo ascolto è entrato tra i miei preferiti di questo inizio duemilaquattordici... artesuono.blogspot.com/2014/07…


Ascolta: album.link/i/792950884



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Pontiak - Innocence (2014)


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I Pontiak sono un gruppo musicale statunitense originario delle Blue Ridge Mountains nello stato della Virginia composto da tre fratelli nati a Washington DC: Jennings Carney (1978, organo, basso), Van Carney (1980, voce, chitarra) e Lain Carney (1982, batteria). (Wikipedia) A due anni da Echo Ono, apice della loro carriera, i Pontiak pubblicano il loro settimo album Innocence. Devo ammettere che pur non amando particolarmente l'hard-rock, se così si può etichettare il suono di questa band statunitense, il disco mi ha subito preso e ascolto dopo ascolto è entrato tra i miei preferiti di questo inizio duemilaquattordici... artesuono.blogspot.com/2014/07…


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SPERDIMENTO

silenzio-ombelico di luce - affondo in vertigini di cielo

... unforgettable... le uve dei suoi occhi ad addolcire il sangue

(sperdimento il tempo che si sfoglia e squama questo cuore di paglia) .

Riflessione su “SPERDIMENTO”


Il tuo testo è una gemma lirica che vibra tra visione cosmica e intimità sensoriale. Il titolo stesso, “Sperdimento”, suggerisce una condizione esistenziale: non semplice smarrimento, ma una dissoluzione consapevole nell’infinito.


Temi e immagini


  • Silenzio-ombelico di luce
    Un ossimoro potente: il silenzio come origine, centro pulsante da cui si irradia la luce. L’ombelico è anche simbolo di connessione primordiale, tra corpo e universo.
  • Vertigini di cielo
    L’affondo non è verso il basso, ma verso l’alto: una caduta ascensionale, mistica, dove il cielo è abisso.
  • Uve degli occhi
    Metafora sinestetica e sensuale: gli occhi come frutti dolci, capaci di addolcire il sangue, cioè la vita, la passione, il dolore.
  • Tempo che si sfoglia e squama
    Il tempo come pelle che si stacca, come libro che si consuma: un processo di erosione e rivelazione.
  • Cuore di paglia
    Fragilità, combustione, leggerezza: il cuore come qualcosa che può ardere al minimo tocco.

Struttura e ritmo


  • Versi brevi, sospesi, che evocano il respiro trattenuto di un sogno o di una visione.
  • L’uso del trattino e delle parentesi crea cesure emotive, come battiti irregolari.
  • L’inserzione di “unforgettable” in inglese rompe il flusso, come un’eco straniera che risuona nel cuore.

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Phish - Fuego (2014)


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Dai campus delle università ai palchi di tutto il Nord America sull’onda del passaparola di milioni di fedeli seguaci, i Phish sono diventati a metà degli anni ’90 una delle jam band più note e amate degli Stati Uniti. Sostanze nel calderone: improvvisazioni pantagrueliche, straordinaria complicità con il pubblico e la garanzia di offrire sempre un evento unico. I loro concerti di Halloween sono una tradizione attesissima dai fan. I Phish indossano un “costume musicale”, calandosi nei panni di un gruppo storico e interpretandone un album per intero. Nel 2013 ad Atlantic City, i quattro hanno invece deciso di fare uno scherzetto da vigilia di Ognissanti, impersonando se stessi nel futuro e presentando in anteprima il dodicesimo album della band, pubblicato poi il 24 giugno per la loro etichetta, la Jemp... artesuono.blogspot.com/2014/07…


Ascolta: album.link/i/888421463



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Phish - Fuego (2014)


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SAPIENZA - Capitolo 14


La salvezza di chi naviga viene solo da Dio1Anche chi si dispone a navigare e a solcare onde selvagge invoca un legno più fragile dell'imbarcazione che lo porta.2Questa infatti fu inventata dal desiderio di guadagni e fu costruita da una saggezza artigiana;3ma la tua provvidenza, o Padre, la pilota, perché tu tracciasti un cammino anche nel mare e un sentiero sicuro anche fra le onde,4mostrando che puoi salvare da tutto, sì che uno possa imbarcarsi anche senza esperienza.5Tu non vuoi che le opere della tua sapienza siano inutili; per questo gli uomini affidano la loro vita anche a un minuscolo legno e, avendo attraversato i flutti su una zattera, furono salvati.6Infatti, anche in principio, mentre perivano i superbi giganti, la speranza del mondo, rifugiatasi in una zattera e guidata dalla tua mano, lasciò al mondo un seme di nuove generazioni.7Benedetto è il legno per mezzo del quale si compie la giustizia,8maledetto invece l'idolo, opera delle mani, e chi lo ha fatto; questi perché lo ha preparato, quello perché, pur essendo corruttibile, è stato chiamato dio.9Perché a Dio sono ugualmente in odio l'empio e la sua empietà;10l'opera sarà punita assieme a chi l'ha compiuta.11Perciò ci sarà un giudizio anche per gli idoli delle nazioni, perché fra le creature di Dio sono diventati oggetto di ribrezzo, e inciampo per le anime degli uomini, e laccio per i piedi degli stolti.

Origine dell’idolatria12Infatti l'invenzione degli idoli fu l'inizio della fornicazione, la loro scoperta portò alla corruzione della vita.13Essi non esistevano dall'inizio e non esisteranno in futuro.14Entrarono nel mondo, infatti, per la vana ambizione degli uomini, per questo è stata decretata loro una brusca fine.15Un padre, consumato da un lutto prematuro, avendo fatto un'immagine del figlio così presto rapito, onorò come un dio un uomo appena morto e ai suoi subalterni ordinò misteri e riti d'iniziazione;16col passare del tempo l'empia usanza si consolidò e fu osservata come una legge. Anche per ordine dei sovrani le immagini scolpite venivano fatte oggetto di culto;17alcuni uomini, non potendo onorarli di persona perché distanti, avendo riprodotto le sembianze lontane, fecero un'immagine visibile del re venerato, per adulare con zelo l'assente, come fosse presente.18A estendere il culto anche presso quanti non lo conoscevano, spinse l'ambizione dell'artista.19Questi infatti, desideroso senz'altro di piacere al potente, si sforzò con l'arte di renderne più bella l'immagine;20ma la folla, attratta dal fascino dell'opera, considerò oggetto di adorazione colui che poco prima onorava come uomo.21Divenne un'insidia alla vita il fatto che uomini, resi schiavi della disgrazia e del potere, abbiano attribuito a pietre o a legni il nome incomunicabile.

L’idolatria è causa di ogni male22Inoltre non fu loro sufficiente errare nella conoscenza di Dio, ma, vivendo nella grande guerra dell'ignoranza, a mali tanto grandi danno il nome di pace.23Celebrando riti di iniziazione infanticidi o misteri occulti o banchetti orgiastici secondo strane usanze,24non conservano puri né la vita né il matrimonio, ma uno uccide l'altro a tradimento o l'affligge con l'adulterio.25Tutto vi è mescolato: sangue e omicidio, furto e inganno, corruzione, slealtà, tumulto, spergiuro,26sconcerto dei buoni, dimenticanza dei favori, corruzione di anime, perversione sessuale, disordini nei matrimoni, adulterio e impudicizia.27L'adorazione di idoli innominabili è principio, causa e culmine di ogni male.28Infatti coloro che sono idolatri vanno fuori di sé nelle orge o profetizzano cose false o vivono da iniqui o spergiurano con facilità.29Ponendo fiducia in idoli inanimati, non si aspettano un castigo per aver giurato il falso.30Ma, per l'uno e per l'altro motivo, li raggiungerà la giustizia, perché concepirono un'idea falsa di Dio, rivolgendosi agli idoli, e perché spergiurarono con frode, disprezzando la santità.31Infatti non la potenza di coloro per i quali si giura, ma la giustizia che punisce i peccatori persegue sempre la trasgressione degli ingiusti.

_________________Note

14,1-11 La critica ora colpisce chi rivolge la propria preghiera agli idoli di legno. Ad essi i naviganti affidavano la protezione delle imbarcazioni. Non è l’idolo, ma Dio solo, a dare protezione, come già ai tempi di Noè, quando salvò l’umanità e ne garantì la sopravvivenza (v. 6: lasciò al mondo un seme di nuove generazioni). un legno: l’idolo.

14,6 la speranza del mondo: Noè (Gen 6).

14,15 e ai suoi subalterni ordinò: si riferisce ai riti delle religioni misteriche, diffuse nel mondo orientale e greco-romano (vedi anche 14,23).

14,21 nome incomunicabile: quello di Dio (nella forma YHWH), che gli Ebrei non possono pronunziare.

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Approfondimenti


vv. 1-10. L'autore continua la sua polemica antidolatrica proponendo una nuova figura, quella del marinaio che implora l'idolo protettore della sua nave. Anche qui si tratta di un idolo di legno e della preghiera rivolta ad esso; lo Pseudo-Salomone però approfondisce la riflessione affrontando il tema della provvidenza divina. Lo svolgimento del pensiero è chiaro e lineare: all'affermazione iniziale della maggior fragilità dell'idolo invocato rispetto alla nave che lo porta (v. 1) seguono tre motivazioni culminanti sulla provvidenza divina (vv. 2-3a); quest'ultima poi viene fondata con due ricche argomentazioni (vv. 3b-4; 5-7) disposte fra loro in ordine chiastico e facenti riferimento a due dati d'esperienza (navigazione di inesperti: v. 4b; navigazione in generale: v. 5bcd) e a due eventi della storia salvifica (il passaggio del Mar Rosso: v. 3bc; l'arca di Noè: v. 6). La riflessione poi si chiude con una breve unita (vv. 8-10), che da un lato riprende il discorso sull'idolo e all'altro introduce già il brano seguente.

vv. 2-3a. Le due motivazioni sono legate ad una argomentazione umana: al progresso economico dell'uomo che lo spinge a concepire l'idea di una nave, e alla sua capacità tecnica che gli permette di realizzare il progetto; ma esse sono superate dalla terza, con la quale l'autore si pone sul piano della fede: soltanto grazie alla provvidenza divina la nave potrà, una volta progettata e realizzata, affrontare il mare. Stilisticamente questo viene espresso dal passaggio alla seconda persona e alla forma di preghiera.

vv. 3b-4. L'evento più importante della storia salvifica, e cioè il passaggio del Mar Rosso, è la prima prova della provvidenza divina; infatti, tracciando per il suo popolo una strada sicura in mezzo al mare, Dio dimostra la sua assoluta signoria sulle acque! Si comprende perciò, ed è questo il dato di esperienza, che anche degli inesperti possano imbarcarsi senza timore su una nave. La conseguenza di tutto ciò non è solo la conferma di quanto detto al v. 3a, ma una nuova affermazione sull'onnipotenza salvifica divina (v. 4a); è quest'affermazione che occupa il posto centrale della prima argomentazione (vv. 3b-4).

vv. 5-7. L'autore inizia la seconda argomentazione con un'affermazione circa la positività e l'utilità di tutte le opere della sapienza (v. 5a); il mare è dunque una creatura utile ed infatti l'uomo se ne serve con la navigazione (v. 5bcd). A questo dato di esperienza si affianca di nuovo un dato biblico: l'arca di Noè (v. 6). Qui Noè viene presentato come il primo navigatore (vedi l'espressione: «in principio»), nel quale risalta in modo particolare l'assistenza provvidenziale di Dio. Questa appare specialmente nel contrasto Noè-giganti. Seguendo una nota tradizione giudaica (Sir 16, 7-8, 3 Mac 2, 4; Giuseppe Flavio, Ant. 1, 73.100), secondo cui i giganti primitivi (cfr. Gn 6,4) sarebbero stati annientati dal diluvio, l'autore contrappone la zattera di Noè alla possanza dei giganti; ma sarà soltanto il patriarca a salvarsi. Parimenti, è in questo Noè affidato a una fragile zattera che sopravviverà l'intera umanità. Confortato dall'inconfutabile dato biblico, l'autore può così concludere questa seconda argomentazione con una nuova affermazione di principio: Dio vuole che le sue creature rappresentate qui dal legno, siano utili (v. 7); dunque la fabbricazione di un idolo contraddice radicalmente la realtà di un Dio provvidente e dispensatore di benedizione.

vv. 8-10. Una profonda solidarietà intercorre tra l'idolo e il suo fabbricatore; con ciò il fabbricatore d'idoli diventa partecipe di tutti quei giudizi sarcastici sugli idoli espressi sopra. Ma in particolare lo Pseudo-Salomone alla benedizione precedente (v. 7) contrappone ora la maledizione; si tratta di una maledizione radicale e totale, che coinvolge non soltanto l'uomo, come nella tradizione biblica (cfr. ad es. Dt 27,15), ma anche l'idolo. Le conseguenze della maledizione sono due: l'essere in odio a Dio e il castigo. Già in 12,4 l'autore aveva espresso l'odio di Dio verso i Cananei, in quanto colpevoli di orribili delitti; qui ricompare la medesima espressione, perché l'idolatria, in quanto divinizzazione di una creatura (cfr. v. 8c), è davvero il massimo delitto che può compiere l'uomo.

vv. 11-31. Quest'unità costituisce la parte centrale della grande riflessione sull'idolatria (13,10-15,13) e anche il momento più importante; l'autore, infatti, non si limita a denunciare l'idolatria tramite la satira o la critica teologica, ma risale alla sua stessa origine, vedendovi una sorte di peccato originale che pesa gravemente sull'umanità e le cui terribili conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Un'ampia introduzione (vv. 11-14) preannuncia il castigo divino a causa degli idoli, adducendo due motivazioni: l'invenzione umana degli idoli e le conseguenti deviazioni morali; sono questi i due temi che verranno illustrati nei versetti seguenti. Infatti una prima parte (vv. 15-21) tratta l'argomento dell'origine del culto idolatrico ed una seconda parte (vv. 22-26) descrive tramite un catalogo di 22 vizi le terribili deviazioni morali causate dall'idolatria. La riflessione conclusiva (vv. 27-31), ricollegandosi all'introduzione, riprende il tema del castigo in riferimento però non più agli idoli, bensì agli idolatri spergiuri.

v. 11. «castigo»: l'inaugurazione del regno di Dio sulla terra comporterà l'annientamento degli idoli; essi infatti non hanno diritto di cittadinanza sulla terra in quanto non sono creature di Dio, ma rappresentano l'anticreazione, la pretesa divina dell'uomo. Tre termini descrivono l'assurdità creaturale degli idoli: abominio, scandalo, laccio; il primo sul piano dell'essere, i secondi due sul piano del comportamento.

v. 12. «prostituzione»: esprime bene l'intima connessione che l'autore sottolinea tra origine dell'idolatria e corruzione morale. Il termine, infatti, indica nel linguaggio biblico l'infedeltà religiosa di Israele; d'altra parte nel suo significato proprio la prostituzione diventa segno di tutta la corruzione morale che accompagna l'idolatria.

vv. 13-14. Trattandosi di un prodotto dell'uomo e non di una creatura di Dio, l'idolatria non potrà sussistere per sempre, ma sarà destinata a scomparire.

vv. 15-21. Oggetto di questi versetti è il preannunciato tema dell'origine del culto idolatrico. L'andamento della riflessione è ben articolato: il v. 15 illustra secondo un preciso ordine cronologico (lutto – immagine – apoteosi – culto misterico) l'apoteosi da parte del padre di un figlio precocemente morto e il successivo culto; il seguente v. 16 allarga l'orizzonte dal precedente piano familiare a quello sociale, introducendo l'apoteosi dei sovrani. A questa si arriva dapprima tramite la confezione di immagini (v. 17) e poi tramite la loro esplicita trastormazione in oggetto di culto, grazie anche alla connivente ambizione degli artisti e all'ingenua attrazione della gente (vv. 18-20). La conclusione del v. 21 riprende entrambi i casi con una forte riflessione teologica sul nome divino. 15. Le religioni misteriche conoscono una grande fioritura in questo I sec. a.C. e praticano un culto caratterizzato da insegnamenti segreti e da riti.

vv. 16-20. Lo Pseudo-Salomone, dopo aver accennato alle pretese divine dei re (v. 16b), insiste molto sulle immagini come fattore determinante del processo di divinizzazione. Per un Giudeo già la semplice immagine è carica di ambiguità e di pericolo ed è proprio essa che diventa oggetto di culto! In questo contesto l'autore polemizza pure contro l'arte greca, la cui seduzione non poteva non esercitare un forte ascino sugli ambienti giudaici, in particolare su quelli della diaspora.

v. 21. «nome incomunicabile»: si tratta verosimilmente del nome divino, JHWH, rivelato a Mosè (Es 3, 14), proprio soltanto di Dio, che deve rimanere nascosto e che l'uomo non può pronunciare; è partendo da questa concezione che si sente tutto l'orrore dell'autore per la divinizzazione di vili realtà terrestri, come pietre o legni! Da tale gravissimo abuso non potevano non scaturire terribili conseguenze morali.

vv. 22-26. Il catalogo dei vizi è introdotto dal v. 22 caratterizzato letterariamente da un doppio contrasto: conoscenza di Dio-ignoranza, guerra-pace, dove il capovolgimento dei valori è totale. Il catalogo stesso inizia al v. 23 e non offre alcun andamento logico, né la sua numerazione ha la pretesa della completezza, perché è estremamente varia, perfino casuale. C'è però un elemento organizzativo, che è dato dal numero 22, il numero delle lettere dell'alfabeto ebraico, e che richiama l'idea di totalità; ma si tratta di una totalità negativa. A questo catalogo si contrappone idealmente la lista delle 21 qualità della sapienza sopra ricordata (7,22-23).

v. 22. Non si tratta soltanto di una conoscenza di tipo filosofico, come nella diatriba cinico-stoica, bensì di una conoscenza biblica, dove accanto all'elemento intellettuale c'è tutto l'aspetto esistenziale dell'uomo. D'altronde il verbo «sbagliare» in Sapienza ha un significato profondamente esistenziale: è nella loro vita che gli empi sbagliano, specialmente nel loro modo di giudicare il giusto (1,12; 2,21; 5,6-7) ed è ancora a questo errare che l'autore imputa le varie forme di idolatria (11,15; 12,24; 13,6). Ne consegue un inquietante capovolgimento di valori, simboleggiato qui dal rovesciamento del comune senso dei termini «pace» e «guerra»; è il peccato del linguaggio, indice del totale pervertimento della verità. Già Isaia aveva denunciato con vigore questo capovolgimento di valori (cfr. Is 5,20).

v. 23. Per evidenziare lo stretto legame tra idolatria e immoralità, lo Pseudo-Salomone pone subito in primo piano le gravissime deviazioni dei culti misterici, specialmente quella dell'infanticidio. Egli si rifà verosimilmente alle numerose accuse che gli autori antichi muovono contro 1 misteri, specialmente quelli dionisiaci. Ma, come già a proposito dei Cananei (cfr. 12, 3-7), l'intento dell'autore non è semplicemente storico, rilevare cioè delle deviazioni, quanto teologico: egli vuole mostrare che la radice profonda dell'empietà sta proprio nell'idolatria e in particolare nella religione misterica, dove la pretesa sacralizzazione della vita nasconde in realtà i vizi più abominevoli. I veri «misteri» (BC = «segreti») a cui l'uomo deve rivolgersi sono invece quelli della sapienza (6,22), di cui l'autore nei capitoli precedenti ha appunto tessuto l'elogio e che ha additato come vera compagna di vita.

vv. 25-26. Per questo elenco di vizi lo Pseudo-Salomone trae ispirazione in parte dal decalogo, forse attraverso la rilettura di Os 4,2, e in parte dai cataloghi degli scritti filosofici greci. L'area sessuale è certamente quella più sottolineata.

vv. 27-31. Nel mondo greco-romano il giuramento viene considerato sacro e gioca un ruolo importante nella vita pubblica e sociale; nella tradizione biblica poi si è sempre avuto coscienza del carattere eccezionale del giuramento, perché con esso è Dio stesso che viene preso a testimone, e conseguentemente della gravità dello spergiuro. Il nostro autore è scandalizzato dalla facilità con cui nella società pagana si spergiura, nonostante il carattere religioso che si attribuisce al giuramento; ed egli vede proprio nell'idolatria la causa di questa continua violazione, essendo gli idoli inconsistenti e vacui. Questo comportamento però provoca una mentalità atea, secondo cui colui che conta nella storia non è più Dio, ma l'uomo e soltanto l'uomo. Ecco perché lo spergiuro costituisce il colmo d'ogni male ed è legato strettamente all'idolatria.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[rotazioni]gli insetti] un paio isolati lo stretto [di Bering 737 fanno due doc ma capovolti rosencrantz carl zeiss] Jena [la cifra pattuita pomodori tutto l'anno [ci guardano


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David Crosby - Croz (2014)


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David Crosby non ci ha abituato a frequenti uscite discografiche, a oltre quarant'anni da If I Could Only Remember My Name del '71, in mezzo ci sono stati solo due dischi: Oh Yes I Can del '89 e Thousand Roads del '93. Se è facile pensare che questo sia il suo commiato musicale le canzoni non lo sono affatto. Undici brani quasi tutti a sua firma, l'aiuto del figlio Raymond, di Mark Knopfer e di Wynton Marsalis, danno un tocco di notevole presenza ad alcuni pezzi dell'album... artesuono.blogspot.com/2014/06…


Ascolta: album.link/i/741198290



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David Crosby - Croz (2014)


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David Crosby non ci ha abituato a frequenti uscite discografiche, a oltre quarant'anni da If I Could Only Remember My Name del '71, in mezzo ci sono stati solo due dischi: Oh Yes I Can del '89 e Thousand Roads del '93. Se è facile pensare che questo sia il suo commiato musicale le canzoni non lo sono affatto. Undici brani quasi tutti a sua firma, l'aiuto del figlio Raymond, di Mark Knopfer e di Wynton Marsalis, danno un tocco di notevole presenza ad alcuni pezzi dell'album... artesuono.blogspot.com/2014/06…


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SAPIENZA - Capitolo 13


Critica al culto della natura1Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l'artefice.2Ma o il fuoco o il vento o l'aria veloce, la volta stellata o l'acqua impetuosa o le luci del cielo essi considerarono come dèi, reggitori del mondo.3Se, affascinati dalla loro bellezza, li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati colui che è principio e autore della bellezza.4Se sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati.5Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore.6Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi facilmente s'ingannano cercando Dio e volendolo trovare.7Vivendo in mezzo alle sue opere, ricercano con cura e si lasciano prendere dall'apparenza perché le cose viste sono belle.8Neppure costoro però sono scusabili,9perché, se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?

Critica al culto degli idoli_10Infelici anche coloro le cui speranze sono in cose morte e che chiamarono dèi le opere di mani d'uomo, oro e argento, lavorati con arte, e immagini di animali, oppure una pietra inutile, opera di mano antica.11Ecco un falegname: dopo aver segato un albero maneggevole, ha tagliato facilmente tutta la corteccia intorno e, avendolo lavorato abilmente, ha preparato un oggetto utile alle necessità della vita;12raccolti poi gli avanzi del suo lavoro, li consuma per prepararsi il cibo e saziarsi.13Quanto avanza ancora, buono proprio a nulla, legno contorto e pieno di nodi, lo prende e lo scolpisce per occupare il tempo libero; con l'abilità dei momenti di riposo gli dà una forma, lo fa simile a un'immagine umana14oppure a quella di un animale spregevole. Lo vernicia con minio, ne colora di rosso la superficie e ricopre con la vernice ogni sua macchia;15quindi, preparatagli una degna dimora, lo colloca sul muro, fissandolo con un chiodo.16Provvede perché non cada, ben sapendo che non è in grado di aiutarsi da sé; infatti è solo un'immagine e ha bisogno di aiuto.17Quando prega per i suoi beni, per le nozze e per i figli, non si vergogna di parlare a quell'oggetto inanimato, e per la sua salute invoca un essere debole,18per la sua vita prega una cosa morta, per un aiuto supplica un essere inetto, per il suo viaggio uno che non può usare i suoi piedi;19per un guadagno, un lavoro e un successo negli affari, chiede abilità a uno che è il più inabile con le mani.

_________________Note

13,1 I cc. 13-15 costituiscono un ampio sviluppo del tema dell’idolatria. L’autore distingue due categorie di idolatri: quelli che adorano la natura divinizzata (vv. 1-9) e quelli che adorano gli idoli, opera dell’uomo, e gli animali (13,10-15,19). Nella condanna di quanti adorano la natura (le sue forze e i suoi elementi), il rimprovero è più leggero (v. 6), perché l’autore riconosce loro la capacità di cogliere la bellezza del creato, anche se si lasciano ingannare e non raggiungono Dio, che è all’origine di quanto è nel creato. Viene affermata la possibilità della conoscenza naturale di Dio: l’uomo, dalla bellezza e dalla bontà delle creature, per analogia (v. 5) può giungere alla conoscenza di Dio, loro autore (vedi Rm 1,18-23).

13,10-19 Più severo è il giudizio nei confronti di chi adora le opere prodotte dalle mani stesse dell’uomo (oggetti di legno, di pietra, di metalli preziosi).

13,11-16 Ecco un falegname: la polemica contro gli idoli risente degli scritti dei profeti, che già si erano scagliati contro l’idolatria (vedi Is 40,19; 44,9-20; Ger 10,1-9).

13,14 minio: per il suo vivo colore rosso (colore ricco di simbolismi), veniva spalmato sugli amuleti e sulle statue.

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Approfondimenti


13,1-15,19. L'autore, dopo aver annunciato in forma ancora generica le piaghe delle bestiole in 11,15 e averle nuovamente ricordate in 12,23-25, prima di passare alla loro descrizione dettagliata (16,1-14), vuole dimostrare che gli Egiziani hanno davvero meritato questi castighi; infatti la zoolatria si rivela come il peggiore peccato e come la vera causa della loro catastrote finale. Ma questo giudizio sulla zoolatria comporta uno sguardo critico sull'idolatria in generale e sulle religioni pagane: è appunto il tema di questi capitoli 13-15 della Sapienza. Lo Pseudo-Salomone articola la sua riflessione in tre momenti, che corrispondono a tre tipi di religione: la religione dei filosofi (13,1-9), l'idolatria (13,10-15,13) e la zoolatria (15,14-19). Tre formule parallele introducono le tre sezioni: «davvero stolti.... considerarono come dei» (13,1.2); «infelici sono... chiamarono dei» (13,10); «ma sono tutti stoltissimi... considerarono dei» (15,14-15).

vv. 1-9. Il fallimento nella conoscenza di Dio accomuna, sia pure in grado diverso, Egiziani e filosofi; su questa incapacità di conoscenza di Dio attira l'attenzione l'inclusione con cui l'autore delimita questa prima unità: «non furono capaci di conoscere» (v. 1c; BC = «non riconobbero») – «furono capaci di conoscere» (v. 9a; BC = «poterono sapere»). Una prima parte, introdotta da un giudizio generico, espone succintamente il pensiero filosofico e i suoi limiti (vv. 1-5); una seconda parte esprime il giudizio critico dell'autore.

v. 1. Il Dio, che al roveto ardente s'è rivelato come colui che è (cfr. Es 3,14), e che a partire da Abramo ha guidato e ammaestrato il popolo eletto, è il medesimo Dio che si offre alla conoscenza dei pagani tramite il creato. Di conseguenza questi ultimi, non avendo riconosciuto l'artefice del cosmo, hanno pure mancato l'incontro col Dio di Abramo! Di qui il netto giudizio negativo dell'autore sui filosofi pagani e sui loro seguaci espresso tramite il termine «vani» (BC = «stolti»), termine che nel linguaggio biblico è particolarmente legato all'idolatria (cfr. 2Re 17,15; Is 44,9; Ger 2,5; 8,19; 10,3.15; Ez 8,10) e che sottolinea l'inconsistenza, l'illusione, la menzogna della condizione di colui che non ha alcun riferimento al Dio vero.

v. 2. Sei sono le realtà cosmiche divinizzate: il fuoco, il vento, l'aria, le stelle, l'acqua, i luminari del cielo. Il numero sei forse non è casuale; infatti pare che esprima l'imperfezione e l'incompiutezza di questa ricerca filosofica, in contrapposizione ai sette titoli che qualificano il vero Dio: «Dio» (v. 1b), «colui che è» (v. 1c), «artefice» (v. 1d); «Signore» (v. 3b), «autore della bellezza» (v. 3c), «colui che li ha formati» (v. 4b), «autore» (v. 5b).

vv. 3-5. La via scelta dai Greci per arrivare alla divinità, e cioè la contemplazione e la riflessione sulle realtà visibili, è giusta; se essi non sono giunti alla conoscenza del vero Dio, è perché non sono stati coerenti con la via intrapresa. Il principio di fondo è che l'artigiano è superiore alla sua opera, per cui Dio, in quanto creatore, è infinitamente superiore alle sue creature. A questa superiorità divina si arriva poi grazie al procedimento dell'analogia, per cui partendo dalla bellezza o dalla grandezza delle realtà visibili si può giungere all'infinita bellezza e grandezza di Dio. Questo sguardo umano su Dio è qui denominato contemplazione (v. 5b: «si contempla»; BC = «si conosce»); è un primo suggerimento dell'autore a non vedere qui un processo di conoscenza puramente speculativa, bensì un cammino che coinvolge l'uomo intero.

vv. 6-8. Da un lato traspare in questi versetti la simpatia del nostro autore per i filosofi greci e la sua apertura verso il tentativo del mondo pagano di aprirsi una via alla divinità; sono infatti persone che cercano Dio, che vogliono trovarlo (v. 6c) e che «compiono indagini» (v. 7a); di qui la benignità dell'autore nel rilevare le possibili scuse (cfr. «inganno» e «seduzione») e nel qualificare come leggero il rimprovero contro costoro. Dall'altro lato però il v. 8 afferma chiaramente la loro colpa; il «neppure» iniziale vuole accomunare costoro, sia pure con tutte le attenuazioni sopra menzionate, agli idolatri, di cui si parlerà nell'imminente nuova unità. Con ciò lo Pseudo-Salomone riprende il giudizio negativo iniziale (v. 1), non però per concludere la riflessione, ma, al contrario, per porsi l'importante domanda dell'ultimo versetto (v. 9).

v. 9. Apparentemente la domanda è senza risposta, in realtà è un invito a riconsiderare il problema alla luce di tutta la pericope e del suo contesto e a ritrovarvi così la risposta. Teoricamente l'autore riconosce ai filosofi la possibilità di giungere alla conoscenza di Dio tramite il metodo analogico che dalle realtà visibili porta a lui, ma di fatto riconosce che tale possibilità non s'è realizzata. Il problema, infatti, verte sul tipo di conoscenza che deve usare l'uomo per arrivare a Dio e qui la risposta dell'autore è sufficientemente chiara. Già in 2 egli aveva sottolineato che era a una comunione personale ed esistenziale con Dio che la pedagogia divina chiamava gli Egiziani; perciò la loro conoscenza forzata e intellettuale di Dio non aveva potuto scamparli dalla catastrofe (12,27). Parallelamente una conoscenza puramente intellettuale non può essere sufficiente ai filosofi per giungere a Dio. L'ignoranza loro rimproverata in 13,1 non è semplicemente di ordine intellettuale, bensì esistenziale, come prova il parallelo di 14,22, dove il medesimo termine fa riferimento alle deviazioni morali dei pagani; quando l'impegno morale ed esistenziale viene escluso dal processo di ricerca e di conoscenza di Dio, allora quest'ultimo è destinato a fallire. Positivamente è mancata alla ricerca filosofica pagana la sapienza! È appunto essa che la finale della preghiera di Salomone appassionatamente indicava come condizione necessaria per ogni conoscenza di Dio (9,13a.17).

vv. 13,10-15,13. Questa riflessione sull'idolatria è la più lunga; occupa infatti la parte preponderante dei cc. 13-15. È costruita su un'accurata struttura concentrica:

  • a) 13, 10-19: idoli di metallo, di pietra, di legno e presentazione di un taglialegna idolatra;
  • b) 4, 1-10: invocazione a Dio, allusione a episodi biblici, breve unità di transizione;
  • c) 14, 11-31: invenzione dell'idolatria e conseguenze morali;
  • b') 15, 1-6: invocazione a Dio, allusione a episodi biblici, breve unità di transizione;
  • a') 15,7-13: idoli d'argilla e presentazione di un vasaio

Al centro dell'intera riflessione viene evidenziato il male dell'idolatria nel suo momento originale, quando cioè appare nella storia. L'enumerazione dei vari idoli alle estremità della grande unità segue invece» un ordine decrescente, dai metalli più nobili alla vile argilla, significando così il deterioramento morale sempre più grave dell'uomo. A questo immenso movimento idolatrico si contrappone la testimonianza di alcuni tratti della storia salvifica (cfr. b.b').

vv. 10-19. Un giudizio sugli adoratori d'idoli (v. 10), parallelo a quello di 13,1, ma più negativo, introduce non solo la presente pericope, ma l'intera unità sull'idolatria (13,10-15,13). I versetti seguenti presentano poi concretamente un taglialegna e il suo idolo di legno (vv. 11-19). Dapprima l'autore descrive le varie azioni che portano alla costruzione dell'idolo (vv. 11-15), poi evidenzia la contraddizione tra l'impotenza dell'idolo e la preghiera ad esso rivolta (vv. 16-19). L'autore si ispira a Is 44, 9-20, mantenendo però una certa libertà e mostrandosi assai più vivace nella descrizione.

v. 10. «cose morte»: il termine, in inclusione col singolare di 13,18, sottolinea ed anche motiva l'infelicità di questi idolatri. Esso vuole contrapporre gli idoli non tanto al Dio vivente, quanto piuttosto all'uomo vivente, come emergerà soprattutto dall'affermazione ironica del v. 18. Ma anche nel confronto con le realtà cosmiche di cui s'è parlato prima gli idoli fabbricati dall'uomo sono «cose morte» cioè perdenti, perché esse posseggono almeno il movimento e la vita, al contrario degli idoli.

vv. 11-15. La descrizione della fabbricazione dell'idolo è articolata in sette momenti: taglio dell'albero e raschiamento della scorza (v. 11abc), confezione di un utensile (v. 11de), utilizzazione degli avanzi per preparare un cibo che sazia (v. 12), utilizzazione ulteriore di quanto rimane (v. 13abcd), confezione di un idolo ad immagine d'uomo o di animale (vv. 13e.14a), verniciatura (v. 14bcd), allestimento di un posto e fissazione al muro dell'idolo (v. 15). Emerge la figura di un artigiano che lavora con diligenza e metodo; però quella capacità tecnica che dovrebbe farlo partecipare all'attività creatrice di Dio, lo conduce invece a un idolo ignobile e impotente! Nel quarto momento della descrizione, quello centrale ed anche quello più lungo, l'autore sottolinea poi ripetutamente e con sarcasmo l'inutilità di quel legno: non è solo un avanzo di avanzi, ma è proprio buono a nulla, distorto e pieno di nodi; il minio serve a nascondere l'infima qualità del materiale; il rosso, cioè il belletto rosso prediletto dalle signore greche ed egiziane, fa apparire sarcasticamente questo idolo come una donna che vuole coprire col belletto le sue brutture o le sue rughe! Infine con l'ultima e plastica immagine dell'idolo inchiodato al muro l'autore vuole sarcasticamente evidenziare come esso abbia davvero trovato una degna dimora! Il legno di cui è costituito l'idolo è il materiale più povero fra quelli menzionati dall'autore; l'ordine infatti è decrescente: oro – argento – pietra (v. 10) – legno (v. 13). Così la destinazione del legno conosce un ordine decrescente: utensile per gli usi della vita – riscaldamento per preparare il cibo – idolo buono proprio a nulla.

vv. 16-19. Terminata la descrizione della confezione dell'idolo, l'autore evidenzia la totale impotenza dello stesso; se il fissarlo alla parete gli ha conferito una stabilità, si tratta di una stabilità inutile, incapace d'autonomia. Partendo da questa constatazione, risulta più evidente la contraddizione della preghiera che il taglialegna rivolge all'idolo (vv. 17-19). Questa preghiera consta di dieci richieste, tre all'inizio in un'unica proposizione (v. 17ab), a cui corrispondono altre tre nella proposizione finale (v. 19a); in mezzo quattro richieste comprendenti un emistichio ciascuna (vv. 17d.18abc). Le prime tre domande riguardano soprattutto la famiglia; le ultime tre, l'attività esterna; le quattro intermedie, temi vari, fra i quali spicca quello della vita. L'intero passo è caratterizzato soprattutto dall'antitesi tra richiesta e incapacità dell'idolo.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[caffeine]dopo i danni fanno le parti la] claque dopo fanno la doppia corsia la corsia d'emergenza il danno è] materia d'esercizio dicono che interviene la parte i] plauditori sono più omogenei mangiano] distanti escono dai] disturbi anche [fanno oscillare


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STANZE [ispirata leggendo Il corponauta – appunti di viaggio di uno spirito libero, di Flavio Emer]

io pensiero dilatato a spolverare le stanze dell'oblio sulle pareti la memoria ancestrale metteva in luce emozioni dipinte su volti che furono me

rifluiva dai bui corridoi degli anni il vissuto a imbuto mi perdevo come in sogno nell'abbraccio di quelle figure che accendevano il mio sangue

Riflessioni su “STANZE”


Hai costruito un percorso interiore in cui ogni stanza diventa tappa di una memoria dimenticata, capace di riaccendere emozioni ancestrali e volti che furono il tuo stesso essere.

Temi centrali


  • Memoria e oblio
    Gli interni polverosi evocano ricordi sopiti pronti a emergere.
  • Identità frammentata
    I “volti che furono me” suggeriscono molteplici versioni del sé nel tempo.
  • Spazio psichico
    Le stanze e i corridoi diventano luoghi mentali in cui si esplora il vissuto.

Immagini e simboli


  • Polvere
    Residuo del tempo, simbolo di ciò che è stato trascurato o dimenticato.
  • Corridoi bui
    Vie di accesso al passato, labirinti che conducono a emozioni represse.
  • Abbraccio delle figure
    Recupero affettivo: le memorie si fanno calore e linfa vitale.

Struttura e ritmo


  • Versi liberi con enjambement che ricreano il movimento tra le stanze interne.
  • Assenza di punteggiatura tradizionale per mantenere un flusso onirico.
  • Ripetizione di chiavi lessicali (“memoria”, “stanze”, “volti”) a suggellare il tema della riscoperta.

Possibili percorsi di approfondimento


  1. Analisi filosofica
    Indagare il ruolo dello spazio mentale nella fenomenologia della memoria, da Merleau-Ponty a Proust.
  2. Traduzione e trajezione
    Trasporre il testo in inglese o francese mantenendo l’atmosfera sospesa e i giochi sonori.
  3. Estensione narrativa
    Sviluppare un racconto breve in cui ogni stanza diventi capitolo di un viaggio iniziatico.
  4. Adattamento multimediale
    Creare un cortometraggio o un’installazione sonora che ricrei il fruscio della polvere e i sussurri delle figure.

Inoltre, potremmo esplorare il parallelismo tra le stanze mentali e i non-luoghi di Marc Augé, o il concetto di “archive fever” di Derrida applicato alla polvere della memoria.


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NOVITÀ DI VENERDÌ 13/6/25


NARRATIVA:

  • BEAUTYLAND di Marie-Helene Bertino (Bollati Boringhieri). Fin dall'età di 4 anni, Adina sa di essere diversa: grazie a una macchina per mandare i fax, riesce a contattare la sua famiglia di origine, ad anni luce di distanza nello spazio. Il suo compito è di osservare gli esseri umani in tutti i loro aspetti, e riferire ai suoi superiori. Sembra quasi un romanzo di fantascienza, ma è una storia sulla solitudine, sullo straniamento e sull'empatia. Per saperne di più: scheda libro.
  • PESCA ESTIVA IN LAPPONIA di Juhani Karila (Fazi). Ho deciso di inserire questo libro in questa sezione, anziché nella sezione dei gialli, perché si tratta di un libro a metà fra il fantastico, il mitologico, il giallo, e e la saga familiare. Ogni estate, la protagonista Elina Ylijaako torna in Lapponia, terra di magia e creature fantastiche: tutti gli anni, entro il 18 giugno, pesca sempre lo stesso luccio, nello stesso stagno, ma stavolta il luccio non abbocca. Una strana maledizione di Näkki, dio delle acque, grava su Elina e, a complicare le cose, una detective sta indagando su di lei... Per saperne di più: scheda libro.
  • MIDNIGHT RAIN – DESIDERI NASCOSTI di Claudia Castiello (Newton Compton). La protagonista, in fuga con la sua bambina da un passato terribile e denso di segreti, incappa nell'incontro casuale con il migliore amico del suo ex del tempo dell'università. E tutto cambia. Per saperne di più: scheda libro.

NOIR, GIALLI E THRILLER:

  • SULL'ORLO DEL BARATRO di Robbie Morrison (Fazi). Nella Glasgow della Depressione, nel 1932, le gang si contendono il controllo del territorio esercitando la violenza più cruda. La polizia fa quello che può, ma, quando il genero di un ricco armatore viene ritrovato sgozzato, il cattolico Jimmy Dreghorn e il suo partner Archie McDaid prendono in carico le indagini. Romanzo d'esordio per un autore che viene dal mondo dei fumetti. Per saperne di più: scheda libro.
  • QUI NON SUCCEDE MAI NIENTE di Olivier Adam (Astoria). Il cadavere di una ragazza rinvenuto in riva al lago sconvolge un paese che ha appena concluso la stagione turistica e si preparava alla consueta vita quotidiana. L'ex compagno della donna è l'indiziato numero uno, ma, ovviamente, non è tutto così semplice... Per saperne di più: scheda libro.
  • PROFILO K di Helen Fields (Newton Compton). Il protagonista Midnight Jones, per conto di una multinazionale nel campo di avanzate biotecnologie applicate alla mente umana, studia i profili per eventuali candidati ai posti apicali. Un dossier in particolare lo sconvolge, il Profilo K, che ritrae una persona disturbata e perversa. È possibile che tale profilo sia legato a una serie di omicidi in un quartiere periferico di Londra? Midnight decide di indagare, mettendo a rischio carriera e famiglia. Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • L'IMPERO DI CLUNY di Glauco Maria Cantarella (Carocci). L'abbazia di Cluny, tra il X e il XIII secolo fu un polo fondamentale della cristianità monastica europea, per certi aspetti più potente di Roma stessa. Questo libro traccia la storia del monastero e dei monaci cluniacensi, con la loro estesa rete di dominio e influenza spirituale. Per saperne di più: scheda libro.
  • Sempre per Carocci: ARCHEOLOGI di Andrea Augenti. Molto semplicemente, è la storia della ricerca archeologica, dalle origini fino ai giorni nostri, vissuta attraverso i protagonisti fondamentali, uomini e donne, che dedicarono la vita allo studio del passato attraverso gli scavi e i reperti, inaugurando scuole di pensiero e metodi di indagine. Per saperne di più: scheda libro.
  • A proposito di archeologia, ecco TUTANKHAMON – UNA BIOGRAFIA DEL RE BAMBINO di Garry J. Shaw (LEG Edizioni). La tomba di Tutankhamon, scoperta nel 1922, fece uno scalpore incredibile all'interno della comunità scientifica e nel mondo intero: la prima (e finora unica) tomba reale dotata dell'intero corredo funebre che sia mai stata rinvenuta. Garry J. Shaw scrive in questo libro una dettagliata biografia di questo re, morto giovanissimo, e riporta i particolari del mondo in cui è vissuto. Per saperne di più: scheda libro.
  • Ancora per la LEG Edizioni, AEREI MILITARI di Thomas Newdick. Un volume illustrato che raccoglie tutti i principali tipi di aerei militari (caccia, bombardieri e aerei da trasporto) dalla Prima Guerra mondiale ad oggi, con la loro storia e profili tecnici, dal Fokker del “Barone Rosso” ai caccia moderni, dotati della tecnologia più avanzata. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL COMMENDARIO di Dario Reda (Effatà). Un libro “motivazionale” che parte dalla lettura del Vangelo, scritto da un insegnante di Scienze Motorie di Padova. Per saperne di più: scheda libro.
  • ALL'OMBRA DI UN NOME (Educatt). Questo volumetto prende in esame i celebri casi editoriali in cui l'autore si è celato dietro a uno pseudonimo, da Stendhal a Zerocalcare. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • Per Librido Gallucci escono altri libri con gli acquarelli magici: basterà passare il pennarello riempito con l'acqua e il colore comparirà sulle parti bianche delle pagine. Una volta asciutte, le pagine torneranno bianche. Età di lettura: dai 3 anni. Ecco i titoli: GLI ANIMALI (scheda libro) e IL MONDO FATATO (scheda libro).
  • ASSASSINIO AL TRAMONTO di Fleur Hitchcock (Edicart). Viv cerca il suo amico Noah, scomparso dopo una litigata. Cosa gli sarà successo? Età di lettura: dai 9 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • LE VERTIGINI DELLO STAMBECCO di Ivan Villa (Lapis). Un romanzo che racconta l'incontro tra un ragazzo, amante della montagna, e uno stambecco che soffre di vertigini. Età di lettura: dai 9 anni. Per saperne di più: scheda libro.

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Jackson Browne - Standing In The Breach (2014)


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Raffinato, delicato, un po' retrò. Raffinato perché Jackson Browne è abile nel cesellare strutture semplici e ad impreziosirle con tocchi di classe tutt'altro che ampollosi o meramente manieristici, ma che anzi contribuiscono a tessere un'atmosfera avvolgente, appagante, in grado di far percepire come tutto, anche il più flebile accenno di bending, contribuisca e sia necessario per la perfetta riuscita di ogni singolo brano. Delicato, perché anche nei movimenti più “coincitati” (“Leaving Winslow”) non si viene scossi, ma invitati ed accompagnati ad aumentaree gentilmente il ritmo, o a tenere il tempo con un po' più di enfasi (la beatlesiana “If I Could Be Anywhere”), ma si ha sempre la sensazione di essere in un ambiene accogliente, familiare, ma non per questo monotono o sonnolento... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/897229781



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Jackson Browne - Standing In The Breach (2014)


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Raffinato, delicato, un po' retrò. Raffinato perché Jackson Browne è abile nel cesellare strutture semplici e ad impreziosirle con tocchi di classe tutt'altro che ampollosi o meramente manieristici, ma che anzi contribuiscono a tessere un'atmosfera avvolgente, appagante, in grado di far percepire come tutto, anche il più flebile accenno di bending, contribuisca e sia necessario per la perfetta riuscita di ogni singolo brano. Delicato, perché anche nei movimenti più “coincitati” (“Leaving Winslow”) non si viene scossi, ma invitati ed accompagnati ad aumentaree gentilmente il ritmo, o a tenere il tempo con un po' più di enfasi (la beatlesiana “If I Could Be Anywhere”), ma si ha sempre la sensazione di essere in un ambiene accogliente, familiare, ma non per questo monotono o sonnolento... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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SAPIENZA - Capitolo 12


1Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.2Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

La moderazione di Dio verso i Cananei3Tu hai odiato gli antichi abitanti della tua terra santa,4perché compivano delitti ripugnanti, pratiche di magia e riti sacrileghi.5Questi spietati uccisori dei loro figli, divoratori di visceri in banchetti di carne umana e di sangue, iniziati in orgiastici riti,6genitori che uccidevano vite indifese, hai voluto distruggere per mezzo dei nostri padri,7perché la terra a te più cara di tutte ricevesse una degna colonia di figli di Dio.8Ma hai avuto indulgenza anche di costoro, perché sono uomini, mandando loro vespe come avanguardie del tuo esercito, perché li sterminassero a poco a poco.

La bontà di Dio spinge alla conversione9Pur potendo in battaglia dare gli empi nelle mani dei giusti, oppure annientarli all'istante con bestie terribili o con una parola inesorabile,10giudicando invece a poco a poco, lasciavi posto al pentimento, sebbene tu non ignorassi che la loro razza era cattiva e la loro malvagità innata, e che la loro mentalità non sarebbe mai cambiata,11perché era una stirpe maledetta fin da principio; e non perché avessi timore di qualcuno tu concedevi l'impunità per le cose in cui avevano peccato.12E chi domanderà: “Che cosa hai fatto?”, o chi si opporrà a una tua sentenza? Chi ti citerà in giudizio per aver fatto perire popoli che tu avevi creato? Chi si costituirà contro di te come difensore di uomini ingiusti?13Non c'è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall'accusa di giudice ingiusto.14Né un re né un sovrano potrebbero affrontarti in difesa di quelli che hai punito.15Tu, essendo giusto, governi tutto con giustizia. Consideri incompatibile con la tua potenza condannare chi non merita il castigo.16La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti.

La bontà di Dio è un esempio per tutti17Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l'insolenza di coloro che pur la conoscono.18Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere.19Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.20Se infatti i nemici dei tuoi figli, pur meritevoli di morte, tu hai punito con tanto riguardo e indulgenza, concedendo tempo e modo per allontanarsi dalla loro malvagità,21con quanta maggiore attenzione hai giudicato i tuoi figli, con i cui padri concludesti, giurando, alleanze di così buone promesse!22Mentre dunque correggi noi, tu colpisci i nostri nemici in tanti modi, perché nel giudicare riflettiamo sulla tua bontà e ci aspettiamo misericordia, quando siamo giudicati.23Perciò quanti vissero ingiustamente con stoltezza tu li hai tormentati con i loro stessi abomini.24Essi si erano allontanati troppo sulla via dell'errore, scambiando per dèi gli animali più abietti e più ripugnanti, ingannati come bambini che non ragionano.25Per questo, come a fanciulli irragionevoli, hai mandato un castigo per prenderti gioco di loro.26Ma chi non si lascia correggere da punizioni derisorie, sperimenterà un giudizio degno di Dio.27Infatti, soffrendo per questi animali, s'indignavano perché puniti con gli stessi esseri che stimavano dèi, e capirono e riconobbero il vero Dio, che prima non avevano voluto conoscere. Per questo la condanna suprema si abbatté su di loro.

_________________Note

12,4-5 compivano delitti ripugnanti: vengono elencate alcune abominevoli usanze (sacrifici umani, magia, infanticidio, cannibalismo) di cui erano accusati i Cananei (vedi Lv 18,21; Dt 18,9-14; 2Re 3,27; 23,10).

12,11 stirpe maledetta: richiama la vicenda narrata in Gen 9,20-27, dove Noè aveva maledetto Canaan, figlio di Cam e capostipite dei Cananei.

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Approfondimenti


vv. 3-27. Questa seconda riflessione h a per oggetto i Cananei: a chi volesse obiettare contro la filantropia divina adducendo il fatto dello sterminio degli antichi abitanti di Canaan, l'autore risponde che Dio anche nei loro confronti ha agito con moderazione. I Cananei erano gravemente colpevoli e meritevoli di morte (vv. 3-7), ma, essendo uomini, Dio fu loro indulgente (v. 8a) e li colpì a poco a poco, concedendo loro la possibilità di pentirsi, nonostante l'atavica ostinazione nel male (vv. 8b-11). L'azione di Dio è strutturalmente fondata sulla giustizia (vv. 13-15), anzi la sua giustizia proviene direttamente dalla sua onnipotenza (v. 16a), per cui egli agisce con indulgenza verso gli uomini (vv. 16b-18). Seguono infine due riflessioni conclusive, una su Israele (vv. 19-22) e l'altra sugli Egiziani (vv. 23-27). La presente riflessione teologica continua certamente quella iniziata nella sezione precedente; la scelta però del caso dei Cananei è dovuta alla necessità di giustificare teologicamente la conquista israelitica di Canaan, argomento questo particolarmente dibattuto nella letteratura apologetica giudaico-ellenistica.

vv. 3-7. «terra santa»: quest'appellativo, noto già nell'AT (cfr. Zc 2,16; 2Mac 1,7), è specialmente usato dal giudaismo della diaspora e sottolinea non solo il profondo vincolo che univa quest'ultimo alla terra dei padri, ma anche una concezione teologica; si tratta infatti di un «paese che è possesso del Signore, dove è stabilita la Dimora del Signore» (Gs 22, 19); perciò ogni peccato ne costituisce una contaminazione (cfr. Lv 18,24-30; Ez 36,16-18). L'autore dapprima qualifica e determina progressivamente i peccati dei Cananei (v. 4) e poi li descrive (vv. 5.6a). Si tratta anzitutto di delitti ripugnanti, tali quindi da giustificare l'odio divino appena menzionato; più specificatamente sono pratiche di magia e come tali condannate da Dio (cfr. Dt 18,10-12); ma la magia è ancora un concetto notevolmente ampio, per cui lo Pseudo-Salomone determina ulteriormente il campo con l'espressione «riti sacrileghi», che fa chiaramente riferimento a riti di iniziazione e a riti cultuali. Segue la menzione specifica di due orrendi delitti, cioè dell'infanticidio e del cannibalismo; la prima accusa è ben documentata sia dall'AT (cfr. Dt 12,31; 18,10; 2Re 3,27), sia dall'archeologia, a differenza della seconda il cui vocabolario tradisce un influsso della tragedia greca, dove i temi dell'infanticidio e del cannibalismo all'interno di riti religiosi sono conosciuti. È probabile che l'autore voglia oltrepassare il giudizio storico e allargare l'orizzonte dai Cananei al mondo greco-romano contemporaneo, fonte di forte seduzione per molti suoi correligionari. «Tu odiavi... tu li hai voluti distruggere»: non si tratta di contraddizione con le affermazioni precedenti sull'amore universale di Dio per le creature (11,24-25); l'odio di Dio per i Cananei, infatti, è l'odio contro i loro delitti e la durezza dei termini è dovuta al sentimento di orrore che la menzione di tali delitti suscita, tanto più che si tratta di creature piccole, indifese ed innocenti.

v. 8a. Nessun delitto, per quanto grave, può cancellare la realtà della dignità umana. Quest'argomento molto moderno, che l'autore prende a prestito dalla filosofia stoica, fonda il comportamento indulgente di Dio e si riallaccia alla precedente riflessione di 11,23-12,1.

vv. 8b-11. L'autore vede questa indulgenza divina nel previo invio delle vespe, che offre così ai Cananei l'opportunità e il tempo per il pentimento; si tratta di una nuova interpretazione dei testi biblici, che infatti presentano questa piaga come una misura di ordine economico (Es 23,28-30), oppure di ordine militare (Gs 24,12; Dt 7,20-22). È evidente lo sforzo dello Pseudo-Salomone di far entrare anche il caso dei Cananei nel quadro della sua tesi generale. Per sottolineare maggiormente l'indulgenza divina egli ripete quanto aveva già osservato a proposito degli Egiziani (cfr. 11,17-20), cioè la possibilità da parte di Dio di sterminare subito in vari modi i Cananei (cfr. v. 9) e soprattutto evidenzia che la perversione di questi ultimi è atavica e innata, risalendo a una maledizione originale (vv. 10c-11a); è evidente l'allusione alla maledizione lanciata da Noè su Canaan (Gn 9, 25), interpretata però non più in senso politico ed etnico, bensì morale.

v. 12. Queste quattro domande retoriche, dove si sente l'eco della lingua di Giobbe (cfr. Gb 9, 12.19), costituiscono il centro dell'intera riflessione e portano tutte sulla inappellabilità del giudizio di Dio, tuttavia con una differenza di prospettiva appena percettibile. Mentre le prime due possono concernere sia l'agire misericordioso di Dio, sia l'attività della sua giustizia vendicatrice, le altre due riguardano l'eliminazione finale dei Cananei. L'autore menziona in modo discreto, lo sterminio degli antichi abitanti di Canaan.

vv. 13-15. Se il giudizio di Dio è inappellabile, non è tuttavia arbitrario! Nessuna altra autorità, né divina (cfr. v. 13), né tanto meno umana (cfr. v. 14) potrebbe chiedere conto del suo comportamento o accusarlo in tribunale. Segue poi (cfr. v. 15) una nuova e solenne affermazione della giustizia di Dio, dove, sulla scia dell'ideale regale ellenistico, egli è presentato come colui che governa l'universo (BC = «tutto») con giustizia.

vv. 16-18. Un'ultima considerazione dell'autore fonda la giustizia del comportamento di Dio sulla stessa forza (termine-chiave che compare regolarmente all'inizio di ogni versetto)! L'esperienza umana insegna che i re terrestri, appunto perché detentori di un potere limitato ed effimero, tendono a esercitarlo in modo arrogante e ingiusto; al contrario, possedendo la pienezza del potere, Dio può operare secondo una perfetta giustizia; così in lui la forza diventa davvero «principio di giustizia» (v. 16a). Certo l'indulgenza divina non impedisce l'esercizio della forza nel caso dell'incredulità o dell'arroganza (cfr. v. 17); tuttavia è proprio questa indulgenza che caratterizza il comportamento divino (v. 18). Per sottolineare ancora una volta questa attitudine fondamentale di Dio, l'autore sceglie il termine «mitezza»; questo vocabolo, applicato ai sovrani ellenistici e poi romani, indica nella lingua contemporanea l'opposto del potere arbitrario e tirannico; applicato a Dio, mostra bene come la mitezza dei suoi giudizi storici non è segno di impotenza, bensì di un amore misericordioso e indulgente.

v.19ab. L'attitudine di Dio indulgente verso i Cananei, «perché uomini» (v. 8) e dotato di una sapienza «amica degli uomini» (cfr. 1,6; 7,23), deve spingere Israele a un amore universale verso tutte le creature, quelle stesse creature che Dio ama e protegge (11,24-12,1). Se l'espressione «amare gli uomini» tradisce un influsso dello stoicismo, che propugnava pure un tale amore universale, qui la ragione di fondo però è ancorata alla storia salvifica. È possibile che l'autore voglia pure rispondere indirettamente alle accuse di separatismo e di odio verso gli altri uomini, che i pagani lanciavano contro i Giudei.

v. 19cd. Non solo ai Cananei, ma anche e soprattutto agli Ebrei, Dio offre l'opportunità del pentimento. Con ciò l'autore, lungi da un atteggiamento manicheo, riconosce anche in Israele la realtà del peccato!

vv. 20-21. Si tratta di un invito a considerare le sofferenze subite da Israele, sia in Egitto che nel deserto, non come castigo e vendetta da parte di Dio, ma alla luce della sua condotta verso i Cananei , e cioè come correzione nell'ambito della sua opera educatrice e amorosa di padre verso i propri figli.

v. 22. La conclusione (cfr. «dunque») è rivolta alla comunità giudaica contemporanea; la prima persona plurale, infatti, coinvolge autore e ascoltatori. Lo Pseudo-Salomone invita i suoi correligionari ad abbandonare un giudizio settario e manicheo nei confronti dei non-Giudei, specialmente nei confronti degli Egiziani, e ad assumere l'atteggiamento indulgente e misericordioso di Dio.

vv. 23-25. La perifrasi di 23a designa gli Egiziani, sottolineandone particolarmente la stoltezza. Si tratta però, all'inizio, della stoltezza di bambini ingannati (v. 24c), cioè di bambini ancora privi della facoltà di ragionare, come mostra l'espressione parallela «fanciulli irragionevoli» del versetto seguente (v. 25a). Perciò Dio si comporta come avviene nell'educazione dei bambini, usando castighi derisori, cioè ricorrendo a piaghe leggere (cfr. Es 10,2 LXX).

vv. 26-27. In opposizione ai castighi derisori, l'autore menziona ora il giudizio degno di Dio (v. 26b); non si tratta solo di una possibilità teorica, bensì di una realtà storica, essendo gli Egiziani incappati in questo supremo castigo (v. 27e); l'autore allude con ciò alla morte dei primogeniti egiziani e alla catastrofe nel mare. La ragione sta nel fatto che gli Egiziani arrivarono a una conoscenza di Dio soltanto forzata e intellettuale (cfr. v. 27) e non a un rapporto personale ed esistenziale con lui, vero e unico scopo della pedagogia misericordiosa divina (cfr. 12,2).

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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✍️Pensieri un po' grigi..

A tutti piacerebbe avere solo dei giorni luminosi, sole, serenità, leggerezza senza problemi, insicurezze o imprevisti! Ma se ci fosse solo il sole, la terra diventerebbe sterile, nulla crescerebbe, gli alberi non avrebbero radici forti e profonde. E noi siamo come gli alberi, perché sono i momenti infelici, le difficoltà a renderci migliori e più forti! Le zone d' ombra hanno il compito di metterci al riparo, di farci fermare e aspettare! Infatti le persone più forti e che io ammiro e stimo, non sono quelle che hanno vissuto solo giornate perfette, ma quelle che hanno imparato a trasformare l'energia dei temporali in forza e le notti buie in occasioni di speranza, pazienza e coraggio, perché è questo che serve, il coraggio per muoversi anche nell'oscurità! Bisogna imparare a danzare con le ombre, sotto la pioggia a nuotare nel mare in tempesta...ad affrontare l'alternanza tra giorno e notte, e convivere con tutti i dubbi, le paure... Al solito le parole non bastano e oggi che il cielo è grigio, anch'io mi sono colorata così, c'è il ricordo che pesa, l'ansia, le lacrime, l'ansia di un numero che porta con sé oltre ai ricordi, le sensazioni, ma soprattutto le paure! Il tempo è passato, ha curato, alleviato, ha permesso di trasformare questa mia zona d'ombra, in motivo di lotta e rinascita! Eppure nei giorni di sole, spesso ci sono le nuvole a farmi compagnia, sento dentro di me stanchezza, solitudine e quel bisogno irrazionale di allontanarsi, per pochi attimi o di più! Perché saranno i farmaci, il tempo che passa, a rendermi più vulnerabile, ancora più sensibile ed empatica! Eppure non basta scrivere , perché le parole non cancellano nulla, forse allegeriscono un po', ma lo stato d'animo rimane così in attesa che passi questa tempesta, dove sto imparando a muovermi, ma è difficile da superare! Non posso fermarmi davanti al faro e aspettare che mi illumini, non posso affidarmi sempre e solo ai miei appigli, ai miei tesori preziosi, all'amore per la famiglia e soprattutto mio figlio! Spetta a me cavalcare le onde e navigare nel mare in tempesta, anche se da sola, impaurita e ferita, so che devo essere io stessa ancora, io stessa forza, faro e speranza, non solo per me , ma soprattutto per chi amo e ricambia e vive del mio amore! È vero sono un po' spenti i pensieri, il cielo è nuvoloso, ed io un po' persa in questo mio vagare e vivere..


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SAPIENZA - Capitolo 11


La sapienza ha guidato Israele nel deserto1La sapienza favorì le loro imprese per mezzo di un santo profeta.2Attraversarono un deserto inospitale, fissarono le tende in terreni impraticabili,3resistettero agli avversari, respinsero i nemici.

L’acqua: castigo per gli Egiziani, beneficio per gli Israeliti4Ebbero sete e ti invocarono e fu data loro acqua da una rupe scoscesa, rimedio alla sete da una dura roccia.5Ciò che era servito a punire i loro nemici, per loro, nel bisogno, fu strumento di favori.6Invece dello sgorgare perenne di un fiume, reso torbido da putrido sangue7in punizione di un decreto infanticida, contro ogni speranza tu desti loro acqua abbondante,8mostrando attraverso la sete di allora come avevi punito i loro avversari.9Difatti, messi alla prova, sebbene puniti con misericordia, compresero come gli empi, giudicati nella collera, erano stati tormentati;10perché tu provasti gli uni come un padre che corregge, mentre vagliasti gli altri come un re severo che condanna.11Lontani o vicini erano ugualmente tribolati,12perché li colse un duplice dolore e un sospiro per i ricordi del passato.13Quando infatti seppero che dal loro castigo quelli erano beneficati, si accorsero della presenza del Signore;14poiché colui che prima avevano esposto e poi deriso, al termine degli avvenimenti dovettero ammirarlo, dopo aver patito una sete ben diversa da quella dei giusti.

La moderazione di Dio nel castigare gli Egiziani15In cambio dei ragionamenti insensati della loro ingiustizia, in cui, errando, rendevano onori divini a rettili senza parola e a bestie spregevoli, tu inviasti contro di loro come punizione una moltitudine di animali irragionevoli,16perché capissero che con le cose con cui uno pecca, con quelle viene punito.17Non era certo in difficoltà la tua mano onnipotente, che aveva creato il mondo da una materia senza forma, a mandare loro una moltitudine di orsi o leoni feroci18o bestie molto feroci, prima sconosciute e create da poco, che esalano un alito infuocato o emettono un crepitìo di vapore o sprizzano terribili scintille dagli occhi,19delle quali non solo l'assalto poteva sterminarli, ma lo stesso aspetto terrificante poteva annientarli.20Anche senza queste potevano cadere con un soffio, perseguitati dalla giustizia e dispersi dal tuo soffio potente, ma tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso.21Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi si opporrà alla potenza del tuo braccio?22Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.

Bontà e compassione di Dio23Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento.24Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata.25Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l'avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all'esistenza?26Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita.

_________________Note

11,4-14 La sorte dei giusti, rappresentati idealmente negli Ebrei, e quella degli empi, simboleggiati negli Egiziani, sono spiegate mediante l’enunciazione di un principio: Ciò che era servito a punire i loro nemici, per loro, nel bisogno, fu strumento di favori (v. 5); ossia: lo stesso elemento, utile a chi è fedele a Dio, è strumento di castigo a chi si oppone a lui. Questo principio è alla base dell’interpretazione delle “piaghe”: ciò che era servito a Dio per punire gli Egiziani, diveniva fonte di salvezza per gli Israeliti.

11,6 dallo sgorgare perenne di un fiume: allusione all’acqua mutata in sangue, come si legge in Es 7,17-21.

11,14 colui che prima avevano esposto: il riferimento è a Mosè.

11,15-22 Questo richiamo alla moderazione di Dio è frequente nella riflessione che l’autore fa sulle vicende dell’esodo. Anche se nel v. 16 viene affermato il principio secondo il quale con le cose con cui uno pecca, con quelle viene punito, tuttavia è ribadita la pazienza di Dio, amante della vita (v. 26).

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Approfondimenti


vv. 1-5. Dopo la descrizione delle gesta della sapienza a partire da Adamo fino a Mosè (c. 10), l'autore ci offre in questi ultimi capitoli un grande affresco degli eventi dell'esodo e del deserto nella forma della comparazione Egitto-Israele. Sette dittici oppongono drammaticamente Egiziani ed Ebrei, gli uni colpiti dalle piaghe, gli altri compensati da benefici; un'unica presentazione introduce però le due piaghe delle bestiole (11,15), così come un'unica presentazione introduce la morte dei primogeniti egiziani e l'annegamento nel Mar Rosso (18, 5), sicché risultano sette dittici introdotti da cinque presentazioni. Infine, tra la presentazione delle due piaghe delle bestiole e la loro descrizione, l'autore inserisce due lunghe digressioni, l'una sulla filantropia divina (11, 15 – 12, 27) e l'altra sulla critica delle religioni pagane (cc. 13-15). Risulta il seguente quadro:

I 11,6-14: acqua del Nilo – acqua dalla roccia 11,15 presentazione del secondo e terzo dittico 11,15-12,27: prima digressione 13,1-15,19: seconda digressione

II 16,1-4: rane – quaglie

II16,5-14: tafani e cavallette – serpente di bronzo

IV 16,15-29: piogge e grandine – manna

V 17,1-18,4: tenebre – luce 18,5: presentazione del sesto e settimo dittico

VI 18,6-25: morte dei primogeniti – salvezza di Israele nel deserto

VII 19,1-21: annegamento – passaggio del Mar Rosso 19,22: conclusione.

I vv. 1-4 formano una piccola unità di transizione; da un lato, infatti, si riprende il discorso del capitolo precedente con la menzione della sapienza (v. 1) e di Mosè, dall'altro si riassume la storia delle peregrinazioni nel deserto fino all'arrivo al monte Sinai (vv. 2-4). A questo punto l'autore può esplicitare il principio teologico che guiderà i sette dittici (v. 5).

v. 1. Soggetto implicito è la sapienza; ancora una volta l'autore ribadisce questo concetto di una sapienza artefice della storia salvifica, ma sarà anche l'ultima volta, perché poco dopo, al v. 4, egli passa direttamente a Dio (cfr. «ti»); nei capitoli seguenti, con l'eccezione di una fugace menzione in 14,5, non compare la sapienza come soggetto di storia, ma Dio oppure il suo spirito (11,20; 12,1), la sua parola (12,9; 16,12; 18,15), la sua mano (11,17; 14,6; 16,15; 19,8), il suo braccio (11,21; 16,16). La naturalezza con cui l'autore opera questo passaggio significa che si tratta unicamente di sottolineature teologiche dell'azione divina, che fa comunque sempre ed unicamente capo a Dio. «un santo profeta»: Mosè, che accanto al titolo di servo (cfr. 10,16), riceve ora quello di profeta (cfr. Nm 12,6; Dt 18,15.18; Os 12,14).

v. 5. Il dato più caratteristico ed immediato del grande affresco storico di questa terza parte di Sapienza è la comparazione Egitto-Israele, fondata sul principio della comunanza dei mezzi usati ora per il premio, ora per il castigo, comunanza che fa riferimento a un unico soggetto: Dio; a un'unica storia: la storia salvifica. In questo principio appare immediatamente l'importanza del cosmo, perché qui la natura non è spettatrice neutrale nella contrapposizione Ebrei-Egiziani, bensì partecipa attivamente a favore dei primi; il cosmo diventa luogo e soprattuto attore del combattimento, con un crescendo stupendo nel settimo dittico, dove l'autore descrive la nuova creazione. I cc. 11-19 illustrano così la cosmo-soteriologia preannunciata in Sap 1,13b; 5,17-23 e conferiscono al dramma storico dell'esodo una portata universale e tipologica degli ultimi tempi. All'interno di questa legge di fondo annunciata in Sap 11,5 si inserisce poi un altro principio assai noto: il principio del contrappasso, secondo cui la pena inflitta corrisponde al peccato commesso. Trattandosi di un principio negativo, lo si applica soltanto agli Egiziani. Esso serve in genere da introduzione ai vari dittici (11,6.7a; 11,15; 16,16; 17,2; 18,5) con la sola differenza che in 11,6-7a il principio del contrappasso è strettamente inserito nella comparazione Ebrei-Egitto (11,6-8), mentre negli altri passi è formulato indipendentemente e introduce esso stesso il confronto Ebrei-Egitto.

vv. 6-7. La prima piaga egiziana, l'acqua del Nilo mutata in sangue (cfr. Es 7,14-25), viene contrapposta al dono miracoloso dell'acqua fatto da Dio a Israele nel deserto (cfr. Es 17,1-7; Nm 20,7-13). È il principio del contrappasso, secondo cui la pena inflitta corrisponde al peccato «in punizione di un decreto infanticida»: nel testo biblico non c'è alcun collegamento tra i due episodi; però in alcune tradizioni giudaiche essi vengono visti insieme (cfr. ad es. il Targum a Es 2,23). Fondandosi sul principio del contrappasso, il nostro autore considera la piaga come la risposta punitrice di Dio al decreto del faraone sulla soppressione dei bambini ebrei (Es 1, 23); non è tuttavia semplicemente una punizione, ma una punizione con fine educativo, che deve indurre gli Egiziani alla riflessione e al pentimento.

vv. 8-10. Questa storia di castigo e di salvezza è anzitutto un insegnamento per Israele: attraverso la sete provata nel deserto esso comprende quali tormenti avevano sofferto gli Egiziani. Nel linguaggio biblico la giustizia divina viene espressa mediante i simboli della collera (v. 9) e del re severo che vaglia e condanna (v. 10). Questi simboli rinviano spesso al tempo escatologico, al tempo cioè del giudizio finale; di qui l'invito pressante a Israele perché, partendo da una condanna storica come quella degli Egiziani, rifletta sulla condanna finale e irrevocabile che spetterà a tutti gli empi. Positivamente l'autore evidenzia il tempo della misericordia divina (v. 9) e l'agire paterno di Dio (v. 10).

vv. 11-12. Se nei versetti precedenti l'autore ha illustrato l'insegnamento di Dio agli Israeliti tramite la piaga e il miracolo dell'acqua nel deserto, ora in questa seconda parte del dittico (vv. 11-14) egli descrive le conseguenze dei medesimi fatti nell'animo degli Egiziani; la storia salvifica infatti ha un valore didattico anche per questi ultimi. «Lontani o vicini»: sia quando gli Egiziani erano ormai lontani dagli Ebrei, cioè dopo la partenza di quest'ultimi, sia quando gli Egiziani erano ancora vicini agli Ebrei, cioè durante il soggiorno di questi in Egitto, gli Egiziani furono ugualmente tribolati. Infatti la conoscenza da parte di quest'ultimi del miracolo dell'acqua nel deserto (lo Pseudo-Salomone presuppone questa conoscenza, forse sulla base di Es 15,14) provoca in essi un «duplice dolore» (cfr. v. 12a): da un lato fa riemergere il ricordo della dolorosa sete subita al tempo della prima piaga, dall'altro li fa consci d'essere oggetto del castigo divino. La menzione del «pianto» (cfr. v. 12b) aggiunge una nota di sconforto e di disperazione.

vv. 13-14. Questo senso della presenza del Signore negli Egiziani va al di là del limitato confronto tra la prima piaga e il miracolo dell'acqua nel deserto; infatti il v. 14 colloca la riflessione degli Egiziani e la loro ammirazione di Mosè «alla fine degli eventi»; dunque anche la percezione del Signore avviene allora, essendo la ritrattazione circa la figura di Mosè un segno di questo riconoscimento della presenza divina nella storia. Il racconto di Esodo ricorda un atteggiamento rispettoso degli Egiziani verso Mosè solo al momento dell'annuncio della decima piaga (Es 11,3) e una loro percezione della presenza di Dio solo al momento del miracolo del mare (Es 14,25); è verosimile perciò che il nostro autore dall'acqua della prima piaga passi all'acqua del Mar Rosso, dove la duplice caratterizzazione di salvezza e di morte è particolarmente evidente. Le due digressioni di Sap 11,15-12,27 e di Sap 13-15. Il midrash sull'esodo appena iniziato viene interrotto da due lunghe digressioni portanti l'una sulla moderazione divina nei confronti degli Egiziani e dei Cananei (11,15-12,27), l'altra sulla critica alla religione pagana (cc. 13-15). Il termine digressione, tuttavia, non deve trarre in inganno, perché, anche se di fatto interrompono la sequenza dei dittici, si tratta di capitoli ben integrati nel contesto generale di Sap 11-19; infatti le due digressioni sono delimitate da tre passi strettamente uniti fra loro (cfr 11,15-16; 12,23-27; 15,18-16,1), dove per tre volte l'autore menziona e caratterizza negativamente gli animali oggetto di culto; per tre volte sottolinea che la punizione avviene mediante gli stessi animali oggetto di venerazione e per tre volte insiste sul valore pedagogico di tale punizione. Dunque «gli animali più ripugnanti» menzionati in 15,18 sono gli stessi animali citati in 11,15! Ma qual è il senso generale di questa lunga parentesi? Lo Pseudo-Salomone, dopo il primo dittico in cui evoca la piaga dell'acqua mutata in sangue (11, 6-14), arriva alle piaghe delle bestiole (rane, tafani, cavallette), che presenta in forma ancora generale in 11,15; prima però di evocarle dettagliatamente si pone due domande:

1) Perché Dio non punisce in modo immediato e definitivo Egiziani e Cananei, preferendo invece inviare piaghe non mortali come appunto quelle delle bestiole?

2) Perché le piaghe colpiscono ripetutamente gli Egiziani fino alla tragica fine nel Mar Rosso?

La risposta alla prima domanda costituisce la prima digressione e ha come contenuto una riflessione sulla moderazione divina (11,15-12,27); la risposta alla seconda domanda provoca la seconda digressione e permette all'autore di condurre una profonda riflessione sull'idolatria in genere e sulla zoolatria in particolare, giudicata come la peggiore aberrazione di cui gli Egiziani appunto sono colpevoli (13-15). Dopodiché lo Pseudo-Salomone in 15,18-16,1 può riprendere il discorso sulle piaghe delle bestiole (11,15-16) e continuare il suo midrash sull'esodo.

11,15-12,2. Una prima riflessione (11,15-12,2) ha per oggetto gli Egiziani: malgrado la loro zoolatria furono colpiti a poco a poco dal castigo divino, come appare chiaro dalla storia delle piaghe. L'articolazione dei versetti è accurata;

  • vv. 15-16: principio generale;
  • vv. 17-20c: potenza, molteplice capacità di annientamento;
  • v. 20d: affermazione centrale sulla moderazione divina;
  • vv. 11,21-12,1: onnipotenza e misericordia divina:
  • v. 12,2: la fede come scopo ultimo della pedagogia divina.

vv. 15-16. Il riferimento è alle piaghe narrate in Es 7,26-8,28; 10,1-20. Non si tratta più della comparazione Egiziani-Ebrei, come in 1,5, bensì del principio del contrappasso riguardante i soli Egiziani.

vv. 17-20c. Se qualcuno volesse obiettare affermando l'incapacità divina di annientare gli Egiziani, dovrebbe ricredersi! Con uno stile barocco, ridondante di aggettivi difficili e ricercati, l'autore illustra i mezzi di cui Dio avrebbe potuto disporre: moltiplicazione delle fiere esistenti (v. 17c), oppure creazione di nuove fiere tanto terribili quanto immaginarie (vv. 18-19), oppure un semplice cenno della sua giustizia (v. 20abc). La prova di tutto ciò sta nell'onnipotenza creatrice di Dio (v. 17ab). «materia senza forma» (v. 17b): l'autore nel contesto della dimostrazione dell'onnipotenza di Dio vuole sottolineare la sua capacità creatrice, per cui non si limita ad affermare il fatto della creazione del mondo, ma anche il come. L'espressione, appartenente al vocabolario filosofico contemporaneo, designa il sostrato primitivo e comune della materia, anteriore alla differenziazione negli elementi costitutivi del cosmo; è precisamente la disponibilità che Dio ha su questa materia che gli ha permesso di creare tutti gli esseri dell'universo, di operare i miracoli dell'esodo e che gli permetterebbe, volendolo, di creare nuovi e terribili animali in vista di una punizione. L'autore non si pone qui la domanda se questa materia informe sia stata creata da Dio, perché il suo centro di interesse è sulla onnipotenza divina; non si vede comunque come questa materia potrebbe sfuggire all'azione creatrice di Dio (cfr. 11,24-25)!

v. 20d. Una sottolineatura unilaterale dell'onnipotenza divina potrebbe far emergere la concezione di un Dio caratterizzato soltanto dalla forza e dal potere; al contrario guardando al creato l'autore invita a scoprirvi una meravigliosa sapienza, che si esprime: nella «misura», cioè nelle proporzioni armoniose ed equilibrate proprie degli esseri; nel «calcolo», cioè nel loro profondo valore simbolico (cfr. la concezione pitagorica); nel «peso», valore essenziale nella genesi meccanica delle cose (cfr. la concezione epicurea). Se l'espressione ha antecedenti biblici (Is 40,12 e Gb 28,25-26), pare riflettere però un'espressione greca ricca di motivi filosofici contemporanei, che naturalmente l'autore reinterpreta alla luce della fede in Dio creatore.

vv. 21-22. L'assoluta onnipotenza divina emerge ancora di più dalla plastica immagine di un universo enormemente piccolo ed evanescente di fronte a Dio. Le due immagini della polvere sulla bilancia e della stilla di rugiada mattutina si rifanno a Is 40,15.

vv. 23. Un nuovo, inaspettato e paradossale argomento emerge ora dalla riflessione dell'autore di fronte alla domanda perché Dio non abbia subito annientato gli Egiziani colpevoli di zoolatria: l'incomparabile misericordia divina. Proprio perché onnipotente, Dio ha compassione di tutti! L'AT conosce certo la misericordia di Dio, ma raramente la presenta come una conseguenza della sua onnipotenza (cfr. Nm 14,17-20; Sir 18,1-14). Il significato teologico di questa misericordia divina oltrepassa di gran lunga il semplice livello psicologico: ne sono beneficiarie non solo delle creature, ma delle creature peccatrici; essa ha per oggetto non solo il popolo eletto d'Israele, ma tutti gli uomini; il suo scopo non è semplicemente un rinvio del castigo, ma la conversione dei cuori.

vv. 24-25. L'autore vuole giustificare l'apparente paradosso di una misericordia divina motivata dalla stessa onnipotenza ed adduce anzitutto la dimensione dell'amore di Dio per tutte le sue creature. L'espressione del v. 24a ha già un sapore neotestamentario (cfr. Gv 3, 16) ed è l'unico passo dell'AT dove l'amore universale di Dio è espresso col verbo agapan (amare), parola-chiave del nostro passo. Il suo profondo significato appare immediatamente dal contesto: è l'amore dell'Onnipotente, di fronte al quale l'universo è nulla (vv. 21-22); è l'amore di colui che ha creato e che mantiene tuttora in vita il mondo ed i suoi esseri (vv. 24-25); è un amore misericordioso (v. 23a), fondato su una volontà (v. 25a), contrario a ogni forma di disprezzo o di odio (v. 24), tendente unicamente al pentimento degli uomini (v. 23a); è un amore, infine, che diventa dono di Dio stesso agli uomini tramite il suo spirito (12,1). Appare evidente la novità dello Pseudo-Salomone: l'onnipotenza divina si manifesta sì nella creazione, ma in una creazione motivata unicamente dall'amore, sia nella sua genesi, sia nella sua permanenza attraverso la storia. Nessuna frontiera, né antropologica, né cosmica, limita questo amore divino, la cui dimensione universale risuona tramite la ripetuta menzione dell'aggettivo «tutto».

vv. 11,26-12,1. Il v. 26 costituisce una ripresa del v. 23; l'autore infatti aggiunge un'altra motivazione alla realtà della misericordia divina: Dio risparmia tutte le cose perché esse gli appartengono. Come gli appartengono? Anzitutto in quanto «amante della vita»; pur essendo Signore, anzi proprio perché tale, egli ama la vita! Traspare qui tutto l'ottimismo del pensiero dell'autore, che riprende in forma positiva quanto aveva già affermato in forma negativa in 1,13-14. 12,1 dà il motivo profondo di questo amore divino per la vita delle sue creature: egli stesso è in esse presente tramite il suo spirito incorruttibile! L'autore riprende verosimilmente l'immagine di Gn 2,7, dove Dio soffia nell'uomo un alito di vita, allargandola però a ogni creatura. Si tratta di una affermazione nuova nell'AT, che risente l'influsso della concezione stoica del pneuma cosmico presente in tutti gli esseri, senza però condividerne il panteismo e il materialismo.

v. 12,2. Questo versetto costituisce la conclusione, ma anche l'apice di questa prima riflessione dell'autore (11,15-12,2); tutte le considerazioni precedenti trovano qui la loro spiegazione ultima: la scelta di un castigo lieve, articolato nel tempo e capace di suscitare il ricordo dei loro peccati, ha come unico scopo il conseguimento da parte degli Egiziani della fede in Dio. Questa consiste in un rapporto personale ed esistenziale con Dio (cfr. la sottolineatura: «in te, Signore»), in una risposta cioè che riconosca nella propria esistenza e nel mondo intero il progetto d'amore di Dio. E questo Dio non è il Dio intellettuale dei filosofi, ma il Dio che s'è rivelato a Israele. È alla comunione con questo Dio che sono chiamati gli Egiziani.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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M'INONDO' IL SOGNO

fuggii negli specchi sprofondai nei cieli anteriori cavalcando eoni-spaziotempo vidi nella memoria cosmica il centro di me dove ardeva il mio sangue in simbiosi col palpitare degli astri

il mio sangue confuso col cielo della memoria precipitato nella vita .

Riflessioni su “M’inondò il sogno”


Il tuo testo scandaglia un viaggio interiore che dissolve i confini tra specchi, memoria cosmica e vita, rivelando un io in simbiosi con l’universo.

Temi e simboli


  • Specchi
    Fuga nell’immagine riflessa come atto di introspezione e moltiplicazione dell’io.
  • Cieli anteriori
    Dimensione primordiale dove il tempo ancora non esiste, campo di esplorazione dell’inconscio.
  • Eoni-spaziotempo
    Fusione di passato, presente e futuro in un continuum senza limiti.
  • Memoria cosmica
    Termine che evoca Jung e le antiche concezioni mistiche di ricordi universali.
  • Sangue e astri
    Microcosmo e macrocosmo che battito dopo battito si fondono in un’unica pulsazione vitale.

Struttura e ritmo


  1. Versi liberi e assenza di punteggiatura conferiscono al testo un flusso di coscienza continuo e ipnotico.
  2. Enjambement come cavalcata tra immagini: il lettore è trascinato senza possibilità di pausa.
  3. Ripetizione di “memoria” e “sangue” chiude il cerchio sul rapporto tra individuo e universo.

Spunti per approfondire


  1. Analisi filosofica
    Indagare il concetto di memoria cosmica in Jung e Bergson, e il suo rapporto con la creatività poetica.
  2. Proposta di traduzione
    Trasporre il testo in inglese o spagnolo mantenendo le allitterazioni e i ritmi sospesi.
  3. Estensione poetica
    Creare un secondo movimento che porti dalla fusione cosmica al risveglio alla materia quotidiana.
  4. Adattamento multimediale
    Immaginare una performance in cui suoni ambientali e luci sfocate ricreino l’illusione degli “eoni-spaziotempo”.

noblogo.org/norise-3-letture-a…



Neil Young - Storytone (2014)


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C’è qualcosa che non ha ancora fatto? Sì, un disco come questo. Il secondo dell’anno, dopo “A letter home”. Il secondo disco “strano” dell’anno. L’ennesimo disco “strano” di una carriera epica, e tante deviazioni dalle due strade principali, quella acustica e quella elettrica. Con Neil Young c’è sempre da tenere le dita incrociate, quando imbocca queste “backstreets” della sua musica. “A letter home” era una presa per i fondelli, con le sue cover monotone registrate in una cabina del telefono degli anni '30, per sfida e per divertimento. Con “Storytone” Neil Young fa le cose sul serio: un disco “orchestrale”, il primo della sua carriera, che esce anche in una versione doppia: un album con le versioni originali, semi-acustiche, e quello inciso con un ensemble di 92 elementi... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/1005202879



noblogo.org/available/neil-you…


Neil Young - Storytone (2014)


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C’è qualcosa che non ha ancora fatto? Sì, un disco come questo. Il secondo dell’anno, dopo “A letter home”. Il secondo disco “strano” dell’anno. L’ennesimo disco “strano” di una carriera epica, e tante deviazioni dalle due strade principali, quella acustica e quella elettrica. Con Neil Young c’è sempre da tenere le dita incrociate, quando imbocca queste “backstreets” della sua musica. “A letter home” era una presa per i fondelli, con le sue cover monotone registrate in una cabina del telefono degli anni '30, per sfida e per divertimento. Con “Storytone” Neil Young fa le cose sul serio: un disco “orchestrale”, il primo della sua carriera, che esce anche in una versione doppia: un album con le versioni originali, semi-acustiche, e quello inciso con un ensemble di 92 elementi... artesuono.blogspot.com/2014/11…


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ABBIAMO IL POTERE: ABBIAMO INTERNET


Mai come in questo periodo storico le persone (il popolo) hanno avuto così tanto potere tra le mani.Il sistema democratico da potere alle persone che scelgono di riunirsi, associarsi e portare avanti idee e ideali. Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi giorno (internet in primis) semplificano esponenzialmente queste possibilità; ma le persone (la massa) sembrano non rendersene conto, perché addormentate dai reels divertenti, le stories degli altri e un sacco di stupidate inutili.

Sia chiaro, non tutti possono interessarsi sempre di tematiche importanti, e l'intrattenimento senza pensieri è un piacere come tanti altri...

In Italia, i giovani non vengono presi sul serio da troppo tempo. Se non hai almeno qualche capello bianco sei troppo giovane per poterti affidare responsabilità e ruoli importanti. Il risultato è che troppi adulti di oggi non mettono piú la propria energia a disposizione della società (della politica), perché tanto ci pensa qualc'un”altro.

Se le persone non si interessano a prendersi il potere per realizzare le proprie idee e i propri ideali; bhé chi controlla quel potere farà i propri interessi e non quelli delle persone.

Questo è un'invito a prendere consapevolezza che internet é uno strumento che da potere alle persone; il potere di riunirsi, di associarsi, di proporre, di discutere, di unire...

In democrazia fare numero significa avere voce in capitolo. Possiamo manifestare, protestare, boicottare, affissare slogan dislocati, trasmettere il pensiero, proporre referendum...

Su questa istanza non si postano foto di gattini (eccezion fatta per @ildisinformatico ;) o di vacanze o meme stupidi o gossip da quattro soldi.

Qui le persone si interessano ad argomenti concreti. Qui possiamo discutere di temi utili. Qui possiamo proporre idee.

Siamo solo 77000; ma va bene. Siamo una nicchia di persone noiose che vogliono discutere di cose noiose. E le buone idee che possono nascere da questa nicchia, possono essere rielaborate, migliorate e portate avanti da tutti noi (o da chi le sostiene)

Fare un #UnoSondaggio e magari ricevere 30000 voti; significherebbe avere 30000 persone che potenzialmente possono unirsi e fare qualcosa di concreto.


noblogo.org/cybershiva/abbiamo…



SAPIENZA - Capitolo 10


LA SAPIENZA NELLA STORIA D’ISRAELE (10,1-19,22)

La sapienza nella storia delle origini1Ella protesse il padre del mondo, plasmato per primo, che era stato creato solo, lo sollevò dalla sua caduta2e gli diede la forza per dominare tutte le cose.3Ma un ingiusto, allontanatosi da lei nella sua collera, si rovinò con il suo furore fratricida.4La sapienza salvò di nuovo la terra sommersa per propria colpa, pilotando il giusto su un semplice legno.

Abramo e Lot5Quando i popoli furono confusi, unanimi nella loro malvagità, ella riconobbe il giusto, lo conservò davanti a Dio senza macchia e lo mantenne forte nonostante la sua tenerezza per il figlio.6Mentre perivano gli empi, ella liberò un giusto che fuggiva il fuoco caduto sulle cinque città.7A testimonianza di quella malvagità esiste ancora una terra desolata, fumante, alberi che producono frutti immaturi e, a memoria di un'anima incredula, s'innalza una colonna di sale.8Essi infatti, incuranti della sapienza, non solo subirono il danno di non conoscere il bene, ma lasciarono anche ai viventi un ricordo di insipienza, perché nelle cose in cui sbagliarono non potessero rimanere nascosti.9La sapienza invece liberò dalle sofferenze coloro che la servivano.

Giacobbe10Per diritti sentieri ella guidò il giusto in fuga dall'ira del fratello, gli mostrò il regno di Dio e gli diede la conoscenza delle cose sante; lo fece prosperare nelle fatiche e rese fecondo il suo lavoro.11Lo assistette contro l'ingordigia dei suoi oppressori e lo rese ricco;12lo custodì dai nemici, lo protesse da chi lo insidiava, gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che più potente di tutto è la pietà.

Giuseppe13Ella non abbandonò il giusto venduto, ma lo liberò dal peccato.14Scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene, finché gli procurò uno scettro regale e l'autorità su coloro che dominavano sopra di lui; mostrò che i suoi accusatori erano bugiardi e gli diede una gloria eterna.

La sapienza e la liberazione d’Israele15Ella liberò il popolo santo e la stirpe senza macchia da una nazione di oppressori.16Entrò nell'anima di un servo del Signore e con prodigi e segni tenne testa a re terribili.17Diede ai santi la ricompensa delle loro pene, li guidò per una strada meravigliosa, divenne per loro riparo di giorno e luce di stelle nella notte.18Fece loro attraversare il Mar Rosso e li guidò attraverso acque abbondanti;19sommerse invece i loro nemici e li rigettò dal fondo dell'abisso.20Per questo i giusti depredarono gli empi e celebrarono, o Signore, il tuo nome che è santo, e lodarono concordi la tua mano che combatteva per loro,21perché la sapienza aveva aperto la bocca dei muti e aveva reso chiara la lingua dei bambini.

_________________Note

10,1-19,22 La lunga sezione racchiusa nei cc. 10-19 è una riflessione sulla storia d’Israele, compresa come storia di salvezza. Essa è concentrata soprattutto sui fatti dell’esodo, letti alla luce dei grandi interventi di Dio, fonte della salvezza (cc. 11-19; il c. 10, invece, contiene la riflessione sulla storia delle origini e dei patriarchi fino a Mosè). Gli studiosi chiamano questa sezione “racconto midrashico”, ispirato cioè al genere letterario del midrash (termine ebraico che significa “ricerca”, “adattamento”), mediante il quale i maestri del giudaismo commentavano e adattavano con una certa libertà i testi biblici.

10,1-4 Alla sapienza, che l’autore in 9,2-3 aveva presentato come protagonista nella creazione, viene attribuita la liberazione di Adamo, chiamato padre del mondo (v. 1), dal peccato. A lui, immagine del giusto, viene contrapposto Caino, figura dell’empio che non segue l’insegnamento della sapienza. Il suo fratricidio è visto come causa del diluvio, il castigo che Dio inflisse agli empi e dal quale fu preservato il solo Noè con la famiglia (Gen 6-9). I nomi dei personaggi biblici (facilmente individuabili) sono taciuti, perché in essi l’autore vede il prototipo dei giusti di ogni epoca, con particolare riferimento alla situazione degli Ebrei che vivono in Alessandria d’Egitto, in mezzo ai pagani.

10,5-9 Anche le vicende dei patriarchi (Gen 12-50) sono poste sotto l’azione salvifica della sapienza. Abramo emerge come figura del giusto dall’insipienza del progetto orgoglioso degli abitanti di Sinar (allusione all’episodio della torre di Babele: Gen 11,1-9), mentre Lot viene preservato dal castigo con cui il Signore punisce gli abitanti corrotti delle città di Sòdoma e Gomorra e di tutta la loro regione (le cinque città, v. 6: Gen 18-19).

10,7 terra desolata, fumante: la regione del Mar Morto, zona desertica e con abbondante evaporazione delle acque di questo lago. L’anima incredula è la moglie di Lot, trasformata in statua di sale (Gen 19,26).

10,10-12 Giacobbe sperimenta la guida della sapienza tra le drammatiche vicende che caratterizzano la sua esistenza (fuga dal fratello Esaù, visione di Dio a Betel, contrasti e fatiche presso lo zio Làbano, protezione dai nemici: Gen 27-32). Anche l’autore del libro della Sapienza, come Os 12,5, interpreta la lotta notturna di Giacobbe con il misterioso personaggio (Gen 32,23-33) come immagine profonda della preghiera, che tutto può: perché sapesse che più potente di tutto è la pietà (v. 12).

10,13-14 Chiamato il giusto venduto, Giuseppe è collocato nella luce della sapienza, che è capace di trasformare in bene anche ciò che è negativo, facendo trionfare la giustizia sulla prevaricazione, la verità sulla menzogna, l’innocenza sull’accusa falsa. In brevissime battute, l’autore sintetizza quanto è detto in Gen 37; 39-41.

10,15-21 10,20 e celebrarono, o Signore, il tuo nome che è santo: la meditazione sulle vicende dell’esodo si svolge come una grande preghiera di lode a Dio, fino al termine del libro.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


10,1-19,22. Dopo aver contemplato ed elogiato la sapienza in se stessa (cc. 6-9), l'autore in questi cc. 10-19, che costituiscono la terza ed ultima parte del libro, passa a descriverne l'attività nella storia, esemplifica cioè l'affermazione di 9, 18 secondo cui gli uomini furono salvati per mezzo della sapienza. Al c. 10, in uno scorcio grandioso, lo Pseudo-Salomone passa in rassegna l'opera salvifica della sapienza da Adamo fino a Mosè; segue poi una seconda sezione (cc. 11-19) dove l'attenzione si focalizza su un periodo storico assai più limitato, l'esodo, per offrire però una teologia della salvezza ricca ed articolata. In questa terza parte l'autore è particolarmente legato alla tradizione giudaica e l'assenza di nomi propri gli permette di superare il limitato ambito storico dei singoli episodi, per assurgere a una riflessione paradigmatica valevole per tutti i tempi e in modo speciale per la sua epoca.

vv. 1-21. Seguendo l'ordine cronologico di Genesi e di Esodo l'autore evoca successivamente le figure salienti della prima storia biblica: Adamo (vv. 1-2), Caino (v. 3), Noè (v. 4), Abramo (v. 5), Lot (vv. 6-9), Giacobbe (v. 10-12), Giuseppe (vv. 13-14) ed infine il popolo eletto al momento dell'esodo (vv. 15-21). Siamo in presenza di una nomenclatura simile a quella di Sir 44-49; 1Mac 2,51-64; Eb 11. Risultano otto quadri, di diversa lunghezza, facenti capo ciascuno a un noto personaggio biblico, con l'eccezione dell'ultimo dove, pur venendo menzionato Mosè (cfr. v. 16), tuttavia il personaggio è costituito dal popolo eletto. Si tratta di figure tutte positive, ad eccezione di Caino, che richiama però di riflesso il fratello Abele; d'altronde anche gli altri personaggi sono posti in contrasto o con una situazione di peccato o con un empio. Questa contrapposizione fra empi e giusti era già emersa nei quattro dittici di Sap 3-4; riappare qui, ma sul terreno della storia biblica. Secondo il suo costume l'autore non cita alcun nome proprio, allargando così la prospettiva interpretativa. Due termini teologicamente rilevanti caratterizzano l'unità: «sapienza» e «giusto». Il primo termine appare una volta nella forma sostantivale (v. 4) e sette volte nella forma pronominale (vv. 1.3.5.6 [manca nella traduzione BC].10.13.15); questa insistenza non è casuale, ma è volta a sottolineare la sapienza come soggetto dell'azione salvifica di Dio. Il risultato dell'azione della sapienza è espresso dal secondo termine, «giusto», che costantemente qualifica i vari personaggi biblici da Noè fino al popolo (vv. 4.5.6.10.13.20), tolta l'eccezione del primo quadro dove è assente e del secondo dove, trattandosi di Caino, l'epiteto è «ingiusto». Appare cosi evidente che la giustizia di questi grandi uomini biblici è il frutto dell'azione della sapienza, che si conferma veramente come salvatrice (cfr. 9, 18c).

vv. 1-2: Adamo: l'espressione «formato per primo da Dio» fa riferimento a Gn 2,7 e indica Adamo, come già in Sap 7,1. Appunto perché plasmato per primo da Dio, egli può essere definito come padre del mondo, cioè come antenato di tutta l'umanità. L'aggettivo «solo» rinvia ancora al momento della creazione di Adamo, quando egli è l'unico essere umano dell'universo e quando non gli è ancora stata messa accanto Eva; dunque l'aggettivo sottolinea l'unicità e la solitudine del primo uomo al momento della creazione. Unicità e solitudine non sono da intendersi negativamente, ma piuttosto positivamente, in quanto segno di grandezza, come conferma la tradizione targumica che, commentando Gn 3,22, dice: «Allora JHWH Elohim disse “Ecco che il primo uomo che ho creato è solo nel mondo, proprio come io sono solo nelle altezze del cielo”». La tradizione giudaica e patristica evidenzia il pentimento e la penitenza di Adamo dopo il peccato. Verosimilmente il nostro autore ha in mente la stessa tradizione quando accenna alla liberazione di Adamo da parte della sapienza dopo la caduta.

v. 3. Caino. Il versetto rievoca Caino, l'uccisore del fratello Abele (cfr. Gn 4,6-13). Ciò che costituisce la differenza fra il suo peccato e quello di Adamo è il rifiuto ostinato della sapienza, per cui Caino diventa l'esemplificazione di quegli empi che portano in sé già fin dalla loro esistenza terrena la perdizione definitiva (cfr. Sap 1,12-13).

v. 4. Noè. In accordo con la tradizione interpretativa giudaica (cfr. ad es. Ant. 1,65-66) l'autore vede il diluvio come la conseguenza del peccato di Caino e dei suoi discendenti. Il giusto è Noè (cfr. Gn 6,9; 7,1; Sir 44,17). La povertà del mezzo (un semplice legno; cfr. l'espressione parallela «minuscolo legno» di Sap 14, 5) vuole evidenziare naturalmente il soggetto salvifico, cioè la sapienza.

v. 5. Abramo. L'autore rievoca non solo l'episodio della torre di Babele (Gn 11, 1-9), ma soprattutto la situazione che ne era derivata, situazione paradossale, perché caratterizzata da un lato dalla confusione e perciò dalla divisione fra i popoli, dall'altro dalla concordia, concordia però nella malvagità! Dietro l'ironia dello Pseudo-Salomone c'è una critica profonda agli imperi, incapaci di unificare veramente i popoli. In questo contesto la sapienza riprende il progetto di unità iniziando con Abramo (cfr. Gn 12). La vocazione del patriarca è caratterizzata dal verbo «riconoscere», che evidenzia l'intensità e l'intimità con cui Dio si fa presente nella vita del chiamato; si tratta d'una presenza non limitata al momento della vocazione, ma continua: grazie ad essa Abramo potrà perseverare irreprensibile e anche superare la terribile prova del Moria (cfr. Gn 22).

vv. 6-9. Lot. I versetti formano una breve unità delimitata dall'inclusione «liberò» (v. 6: BC = «salvò») – «liberò» (v. 9). Il riferimento è a Gn 19, che descrive il castigo divino sulla pentapoli e la liberazione di Lot. A differenza del racconto biblico, dove il giusto per eccellenza è Abramo e dove la salvezza stessa di Lot avviene grazie all'intercessione del patriarca (cfr. v. 29), qui emerge in primo piano la figura di Lot, definito come giusto (la medesima tradizione riapparirà in 2Pt 2,7); inoltre all'azione degli angeli (cfr. Gn 19,12-22) subentra quella della sapienza, unico soggetto di salvezza. L'autore riprende alcune tradizioni popolari e leggendarie, con cui la fantasia popolare aveva interpretato la desolazione della regione attorno al Mar Morto, specie nella sua parte sud-occidentale, per vedervi la testimonianza perenne di quanto sia letale per l'uomo l'abbandono della sapienza: l'esalazione di fumo dalla terra (verosimilmente in relazione all'abbondante evaporazione emanante dal Mar Morto oppure a persistenti attività vulcaniche), i frutti che non giungono mai a maturazione, una colonna di sale (la forma capricciosa di una roccia formata dall'erosione del terreno e somigliante a una figura umana poté far pensare alla statua di sale della moglie di Lot: Gn 19,21).

vv. 10-12. Giacobbe. Seguendo il testo biblico l'autore illustra l'opera protettrice e salvifica della sapienza nelle varie fasi della vita del patriarca, anzitutto nel momento drammatico della fuga da Esaù (cfr. Gn 27,41-45). Nel sogno di Betel (cfr. Gn 28,10-22) la sapienza, tramite la visione dell'incessante movimento degli angeli lungo la scala, illustra l'incessante provvidenza divina verso gli uomini (= «regno di Dio: v. 10c) e illumina Giacobbe quand'egli concepisce il progetto di un santuario in quel luogo a memoria della teofania (questo pare il senso più probabile dell'espressione «conoscenza delle cose sante»: v. 10d). Con l'aiuto della sapienza poi Giacobbe ha successo sia nella vita familiare con una numerosa prole (v. 10ef), sia nella vita economica (v. 11); si allude qui al periodo trascorso in casa di Labano (cfr. Gn 29-30). Infine è ancora la sapienza ad assicurare al patriarca la vittoria nel misterioso combattimento con l'angelo di JHWH (cfr. Gn 32,24-31).

vv. 13-14. Giuseppe. Non solo l'autore rievoca la sua storia, ma ne fa il tipo del giusto perseguitato e poi glorificato. Nella tradizione Giuseppe rappresenta pure la figura del saggio, perciò a maggior ragione lo Pseudo-Salomone sottolinea qui l'azione liberatrice della sapienza.«lo preservò dal peccato»: in antagonismo alla seduzione ammaliante del peccato impersonato dalla moglie di Putifarre (cfr. Gn 39,7-12), si contrappone la sapienza, la vera sposa del giusto (cfr. 8,2.9, ecc.). «scese»: si riprende l'immagine dell'angelo del Signore disceso con Azaria e i suoi compagni nella fornace (Dn 3,49) e la si applica alla sapienza nei confronti di Giuseppe in prigione. «scettro regale»: lo Pseudo-Salomone segue la tradizione giudaica che tendeva a vedere in Giuseppe un autentico re; «avversari» e «accusatori»: gli avversari e gli accusatori del patriarca furono in realtà pochi; dietro queste espressioni si intravede probabilmente l'intenzione attualizzatrice dell'autore, che ha presente i numerosi denigratori e oppositori dei Giudei alessandrini del suo tempo.

vv.15-21. Il popolo dell'esodo. La serie dei grandi personaggi biblici sfocia ora nella rievocazione dell'Israele dell'esodo, proprio quando con la liberazione d'Egitto esso inizia la sua vera esistenza di popolo. Questa nascita del popolo è però opera della sapienza, la quale nella rilettura dell'autore rappresenta l'azione di Dio stesso; così la sapienza appare non più soltanto come la protettrice di alcuni uomini privilegiati, ma anche e soprattutto come la guida del popolo di Dio. Questi versetti preannunciano e introducono allo stesso tempo quello che sarà il tema di Sap 11-19.

v. 15. L'aggettivo «santo» non intende sottolineare primariamente il comportamento devoto dell'uomo – in tal caso la santità di Israele sarebbe contraddetta dalle sue numerose ribellioni a Dio –, quanto piuttosto l'azione di Dio a favore dell'uomo, specialmente tramite il dono dell'alleanza. Tuttavia c'è pure in questo versetto una certa idealizzazione dell'Israele dell'esodo, come nei profeti (cfr. Os 2,16-17; Ger 2,2-3) e l'indicazione di un ideale per la generazione contemporanea.

v. 16. «servo»: questo titolo in Esodo contrappone Mosè ai servi di faraone, in quanto il primo è servo del Signore (cfr. ad es. Es 4,10; 14,31), mentre i secondi sono semplicemente servi di faraone (cfr. Es 5,21; 7,9-10, ecc.). Ciò che la precedente tradizione biblica diceva dello spirito (cfr. Nm 11,17; Is 63,11) viene ora detto della sapienza, che costituisce infatti la vera guida interiore di Mosè. Il plurale «terribili re» è una generalizzazione oratoria o semplicemente un plurale maiestatico, indicante faraone.

v. 17. «ricompensa»: l'appropriazione da parte degli Ebrei di oggetti preziosi degli Egiziani (cfr. Es 12,35-36) viene interpretata come la restituzione d'un salario non pagato durante gli anni di schiavitù. «riparo»: la colonna di nube, che accompagna il cammino degli Ebrei dopo l'uscita dall'Egitto, diventa qui, nell'interpretazione dello Pseudo-Salomone, la sapienza stessa; più che indicare la strada (cfr. Es 13,21-22), essa copre e protegge il popolo (cfr. Nm 10,34; 14,14; Sal 105,39).

v. 20. La rievocazione del canto di ringraziamento degli Ebrei (cfr. Es 15) assurge a preghiera; ne sono segno il ritorno della seconda persona, l'invocazione «Signore» e il frasario di indubbio sapore liturgico. Questo non meraviglia sia perché si tratta di un momento drammatico della storia, dove Israele ha davvero toccato con mano la presenza salvifica del Signore, sia perché, tramite la preghiera, l'autore vuole coinvolgere la sua generazione, invitandola a scoprire nella propria storia la medesima presenza salvifica divina.

v. 21. Riappare la sapienza, apparentemente assente nel versetto e precedente, per sottolineare con vigore che era stata lei l'ispiratrice della lode al mare (dunque non era assente!) e soprattutto che era stata lei ad associare a quella lode i muti e gli infanti, facendone veramente un canto concorde (cfr. v. 20c). C'è qui l'eco di una tradizione interpretativa presente pure nel Targum a Es 15,2, dove si afferma infatti che dalle mammelle materne i lattanti facevano segno con le dita ai loro padri e si univano alla loro lode a Dio. Interpretando i due emistichi del v. 20 in rapporto di parallelismo sinonimico, i muti di 21a sarebbero precisamente questi lattanti ancora incapaci di parlare, ma a cui la sapienza ha ora sciolto la bocca.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Sapienza – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[vortex]le arti decorative tutte le >a le] tipo a fustellatrice a cilindro centrale passione [zanzariere da tre generazioni scaglia] un pezzo unico alla Furlanetto fa i deserti glob of mud o guardano] in basso il] ghiaccio che si ritira il rullo] dell'inchiostro l'intoppo compressore


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[filtri]interurbane* bonus infissi [bellicosi o -meno cause chiuse refuso tattico T teatri sfusi tribunali oppure] non cadendo servizio monouso mostrano la pozzanghera dell'assessore un metro da sarto vasto] -meno assortimento veleni in punta caffè splendor [desaparecidos la diga] crolla le ventitré sono rimasti a riempire i capanni non cadendo i [centrotavola capodanno con gli spilli* [dating banca] dati il prossimo quelli buoni malgré eux


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Balloon Kid e l'arte di restare sospesi


La scatola del gioco

Schedina* Console: Game Boy * Anno: 1990 * Sviluppatore: Nintendo * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 1 ora e un quarto

Lo spunto è di quelli irresistibili: Alice e Jim sono due bambini che vivono in una città in cui in cielo ci sono le nuvolette, i grattacieli sono matite (giuro: Wikipedia dice che si chiama Pencilvania, spero sia vero) e ci si diverte tutto il giorno con i palloncini. Il problema è che Jim, ragazzo sveglio ma non troppo, decide di strafare e di mettere insieme un sacco di palloncini e di attaccarcisi... così comincia a svolazzare, e il vento se lo porta via. Tocca ad Alice andare a recuperare il fratello, a sua volta svolazzando per otto livelli, tenendo in mano due palloncini (ne bastavano due per divertirsi nel cielo, a quanto pare).

Basta la premessa per capire dove voglio andare a parare: Balloon Kid è semplicemente fantastico. Per quanto mi riguarda, rappresenta tutto ciò che amo in un platform: la relativa semplicità, la grafica tonda e vivace, la curva di apprendimento estremamente dolce. L'avrete capito anche dai miei post precedenti, probabilmente: non amo necessariamente la sfida, in un platform.

Un bel problema

È una cosa che ho realizzato da adulto: non mi hanno mai appassionato particolarmente i platform in cui è necessario azzeccare il salto con precisione millimetrica: bello Super Meat Boy, ma, come si dice, forse non è il mio. Al contrario, trovo delizioso e quasi terapeutico controllare questi piccoli personaggi in un mondo colorato e nel quale mi piacerebbe fare una passeggiata. Il mio gioco di Super Mario preferito è Super Mario Land 2: 6 Golden Coins, dopotutto: quello facile grazie al power-up della carota.

Balloon Kid ha molto di quel modo di pensare i platform (d'altronde credo condivida un pezzo importante di DNA). I controlli sono precisi ma non troppo, perché in fondo stiamo parlando di un platform in cui la protagonista può fare solo le seguenti cose: fluttuare per aria attaccata ai suoi palloncini, mollare i palloncini per affrontare brevissime sezioni a terra, gonfiare palloncini per risalire nel cielo verde dello schermo del primo Game Boy. Non risultano altre azioni: non si spara, non ci sono power-up, e non ci sono molti salti. Ci sono i palloncini e le nuvolette, e ostacoli come fulmini, uccellini e polpi che saltano fuori dall'acqua, mentre i livelli scorrono da destra verso sinistra ed Alice con loro.

Personalmente adoro i platform su Game Boy perché, con così pochi tasti a disposizione, gli sviluppatori non hanno modo di complicare (spesso inutilmente, ma dipende dai gusti) le cose. È l'essenza del gioco che deve funzionare bene: la fisica del salto, i tempi di risposta degli attacchi, la dinamica dell'accelerazione nella corsa. Balloon Kid, grazie al cielo, azzecca completamente l'unica sua grande meccanica: il fluttuare nel cielo. La prima metà del gioco ti permette di andare veloce, e poi, dal quinto livello in avanti, il gioco ti richiede di essere preciso. Di dosare la pressione del tasto A (con il quale Alice muove teneramente le braccia) e di passare indenne attraverso ostacoli sempre più complessi – ma non troppo. Ci sono anche le boss fight: tre botte in testa ai cattivi, e via.

Pencilvania!

Il gioco è mediamente facile e si finisce in un'ora, un'ora e un quarto. Ma stiamo parlando di un'oretta in cui ci è permesso indossare i panni di una bambina attaccata a dei palloncini, che attraversa un mondo di matite-grattacielo, templi, temporali a zone, montagne e oceani per salvare il suo fratellino, sfidando la sorte, il vento, la pioggia e gli uccellini. È un'ora gentile.

Se Balloon Kid ha un pregio è quello di ricordare a chi gioca che non serve sempre spingere, correre, ottimizzare: a volte basta restare sospesi il tempo giusto, fidarsi della brezza e tenere stretti i propri due palloncini.

Tags: #GameBoy #Nintendo #retrogaming #BalloonKid


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L'inizio di tutto: Trip World e Felix The Cat - Double Feature!


Questi sono stati i primi due articoli pubblicati sulla versione originale di Flusso Inverso, questo mio viaggio attraverso la prima library del Game Boy originale (ma pure Color, dai!). Li ripropongo qui per completezza, in attesa di pubblicare i nuovi pezzi che ho scritto su Balloon Kid e altri

Trip World e il privilegio dei sogni gentili


Schedina* Titolo: Trip World * Piattaforma: Game Boy * Anno di uscita: 1992 (Giappone), 1993 (Europa) * Sviluppatore: Sunsoft * Publisher: Sunsoft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 2 ore

Mi sono avvicinato a Trip World scegliendolo a caso dalla lista di titoli emulabili dalla mia Anbernic. Non avevo idea di cosa fosse, ma devo dire che il delizioso filmato di apertura mi ha convinto a dargli una possibilità. A onor del vero, ancor prima di premere start ero pronto a cercare informazioni relative al gioco su Google, ma ho voluto evitare: se rigiocare questi vecchi giochi è un antidoto contro il caos, allora bisogna fare alla vecchia maniera. Premendo start, appunto, e non consultando uno smartphone.

E se decidiamo di iniziare giocare, scopriamo che Trip World è un gioco di Sunsoft, un team di sviluppo che mi è capitato varie volte di incrociare da bambino, perché avevo il gioco di Batman e uno di Daffy Duck – vado a memoria, senza controllare online. Erano tutti graficamente deliziosi, specie su un hardware limitato come il Game Boy, e Trip World non fa eccezione — anzi, spicca.”

Dal punto di vista visivo Trip World è proprio un bel gioco. Gli sprite del protagonista e delle creaturine “nemiche” sono ricchi di piccoli dettagli e di grande espressività, mentre gli sfondi sono particolareggiati e riescono a raccontare un piccolo mondo anche senza l’utilizzo di alcun testo. Nessuno parla, in Trip World: zero linee di dialogo, a parlare è solo quello che viene rappresentato a schermo. Il sonoro, poi, è splendido.

Trip World è un gioco estremamente semplice, almeno da un punto di vista concettuale: è un classico platform dell’era Game Boy, con tutti gli elementi che conosciamo. Cinque livelli (o “mondi”, come li chiama il gioco), scorrimento orizzontale, mascotte dolce e che vorresti immediatamente abbracciare, tanti salti, abilità di combattimento limitatissime, alcuni power-up che si possono raccogliere in giro e qualche enigma ambientale.

La cosa particolare, che ha reso Trip World una specie di piccolo cult (l’ho scoperto dopo averlo terminato, quando ero troppo curioso di capire quanto fosse conosciuto), è che il 90% dei nemici (ma perché poi, se non ti attaccano?) del gioco non ti attacca direttamente. Al massimo ti ostacolano leggermente spingendoti via.

È un approccio insolito, ed è insolito che non sia una gimmick roboante da comunicato stampa: non te lo dice nessuno, all’interno del gioco, lo noti e basta. Complice il fatto che il protagonista può, almeno inizialmente, solo sferrare un calcio con quelle sue piccole, adorabili gambette corte, ci si accorge presto che queste creaturine… si fanno gli affari propri. Al giocatore la scelta: li picchio o me ne vado per la mia strada?

Dimenticavo! Il protagonista può anche trasformarsi in un simpatico pesce, per superare le sezioni acquatiche (volendo si trasforma anche sulla terraferma, ma… non serve a niente!), e in una specie di forma adatta al volo, che nella mia sessione non ho mai utilizzato.

Il gioco è tutto qui. Dura meno di un’oretta, forse un po’ di più se si vogliono scoprire tutti i segreti. Si può riassumere in poche parole: platform bello da vedere e da sentire, e rilassante da giocare. Allora perché parlarne?

Perché Trip World, con la sua estetica dolcemente psichedelica, ha la rara capacità di isolare chi ci gioca dal mondo esterno. È un piccolo mondo che sembra vivere per conto proprio, slegato quanto basta dalle dinamiche classiche del videogioco anni ’90 per dimostrare originalità senza tuttavia risultare alieno al giocatore.

È un gioco semplice nella migliore accezione del termine, che si concede il lusso di provare a far sognare, almeno per un paio d’ore, chi decide di mettersi a giocare. Lo fa, oltretutto, con i pochissimi mezzi a disposizione concessi dall’hardware del Game Boy.

Una persona che stimo molto mi disse che “è un privilegio avere sogni educati”. Non so bene perché, ma nel giocare a Trip World ho pensato che avesse proprio ragione.

Una birra con Felix The Cat


Schedina* Console: Game Boy * Anno: 1993 * Sviluppatore: Hudson Soft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 1 ora e mezza

Nel far partire il gioco di Felix The Cat per il Game Boy mi sono reso conto di non sapere nulla di Felix, il personaggio. O meglio: lo riconoscerei tra mille perché ha un design bellissimo, tondo ed espressivo, ma non so esattamente in cosa consista il suo cartone animato.

La cosa è strana, perché io adoro i cartoni animati, specie quelli della prima metà del ‘900. Eppure, pur avendone visti tanti, non ho quasi mai incrociato sul mio cammino il buon (?) Felix. Sono andato a cercare su YouTube qualche spezzone e credo francamente che sarà la mia prossima ossessione per le settimane a venire. Ho già adocchiato un video di mezz’ora che parla dei 100 anni di evoluzione del personaggio.

Però, insomma, anche non sapendo nulla di Felix devo dire che il suo gioco per Game Boy è assolutamente comprensibile: Felix è un gatto antropomorfo e l’antagonista del gioco rapisce la sua fidanzatina Kitty. A lui toccherà attraversare sei mondi, suddivisi in un paio di livelli ciascuno, per salvarla.

Tecnicamente non c’è moltissimo da dire su un gioco come questo (sospetto che in questo viaggio nella library del Game Boy mi capiterà spesso di ripetere variazioni di questo paragrafo, ma tant’è). Si salta sulle piattaforme e si colpiscono nemici, partendo da sinistra e andando verso destra. Lo spin che il gioco offre alla classica formula del platform anni ’90 è che, raccogliendo la valuta del gioco (le monete con la faccia triste di Felix), il nostro protagonista potrà accedere a diversi power-up, che si accumuleranno uno dopo l’altro.

Questi power-up fanno sì che Felix acquisisca due vantaggi rispetto alla sua forma base: in primo luogo, potrà sopportare più colpi nemici (che lo faranno regredire al power-up precedente e non perdere immediatamente una vita). Inoltre, questi power-up gli permetteranno di diventare… un sacco di cose a seconda del contesto, come una specie di bolide e un tank, consentendogli di sparare dei colpi forti ma imprecisi, come da tradizione dei platform.

Ci sono poi dei livelli maggiormente accostabili agli sparatutto a scorrimento orizzontale dell’epoca piuttosto che ai puri platform, secondo me i più riusciti – specie il livello acquatico e quello spaziale, che sono davvero deliziosi.

Mi rendo conto che non sia esattamente un resoconto entusiasmante, eppure mi sono divertito tantissimo a giocare a Felix The Cat. La grafica è una delle più belle che abbia visto su Game Boy e riesce a trasmettere perfettamente la sensazione di stare giocando a un cartone animato, al netto delle limitazioni tecniche degli 8-bit e della monocromia. Le musiche, semplici e allegre, sono pronte a essere fischiettate. La fisica del salto funziona molto bene per il tipo di gioco immaginato dagli sviluppatori, e la difficoltà tarata verso il basso rende il gioco una buffa scampagnata in un mondo pieno di cose tonde.

Come in anni recenti ci ha insegnato Cuphead, infatti, l’estetica visiva e sonora da cartone animato dei primi del ‘900 funziona meravigliosamente se applicata ai platform e agli shooter a scorrimento. Non c’è un elemento in Felix che sembri fuori posto, non c’è un fondale che non sia immediatamente riconoscibile (e adorabile, per quel che mi riguarda). Ogni animazione riesce a far sorridere e a catapultarti in un mondo colorato e pieno di avventure bislacche.

È un gran gioco, quindi? Probabilmente, per gli standard con cui abbiamo stabilito che andrebbero recensiti i videogiochi, no: è estremamente semplice, e si finisce in un’oretta o poco più. Il senso di inferiorità degli appassionati di videogiochi rispetto ad altre forme d’arte dovrebbe relegarlo a un “carino, ma nulla più”.

Eppure non riesco a non amare questo Felix The Cat. È una questione di sensibilità personale, probabilmente, e di mia riluttanza verso gli standard di cui sopra – quelli per i quali tutto deve essere profondo, coinvolgente, entusiasmante. Felix non è profondo, non è coinvolgente, e non è nemmeno entusiasmante. È simpatico e intraprendente, quello sì.

Il punto, in fondo, è questo: Felix fa quel che può. Nello specifico corre, salta, spara e prova a salvare Kitty. Se si ha voglia di accompagnarlo, però, si scopre che è come prendere qualcosa da bere con un amico che vedi ogni tanto – non troppo spesso, magari.

A volte non serve altro, per stare bene.

Tags: #GameBoy #Retrogaming


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Antony And The Johnsons - Turning (2014)


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Siamo dietro le quinte. Antony si rivolge alle tredici “magnifiche donne” che si sono avvicendate sul palco, complimentandosi con tutte. “E’ stato perfetto“, dice, “a parte qualche problemino con la mia voce“. Non so a quali problemi si riferisse il buon Hegarty, ma se avessero a che fare con quell’estro più terrigno, quella grana soul carnale e a tratti persino brusca che ne hanno mitigata la consueta spiritualità, sono problemi che gli auguro di affrontare spesso. La scena sta più o meno alla fine di Turning, docufilm diretto da Charles Atlas uscito due anni fa ed oggi pubblicato in DVD (più CD contenente l’intera scaletta dei brani)... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/923502798



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Antony And The Johnsons - Turning (2014)


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Siamo dietro le quinte. Antony si rivolge alle tredici “magnifiche donne” che si sono avvicendate sul palco, complimentandosi con tutte. “E’ stato perfetto“, dice, “a parte qualche problemino con la mia voce“. Non so a quali problemi si riferisse il buon Hegarty, ma se avessero a che fare con quell’estro più terrigno, quella grana soul carnale e a tratti persino brusca che ne hanno mitigata la consueta spiritualità, sono problemi che gli auguro di affrontare spesso. La scena sta più o meno alla fine di Turning, docufilm diretto da Charles Atlas uscito due anni fa ed oggi pubblicato in DVD (più CD contenente l’intera scaletta dei brani)... artesuono.blogspot.com/2014/11…


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Es Cartago, en el norte de África, en lo que ahora es Túnez. Es el siglo VI a.C. Estamos en la capital del estado púnico, es decir de los fenicios de occidente. Y ahí, alguien, en la necrópolis, olvida una tarjeta con la inscripción “mi Puniel Karthazies”: “soy un fenicio de Cartago”.

Pero la inscripción está en etrusco y los fenicios se decían canaaneos a sí mismos. ¿Qué pasa?

De estos y otros apuntes sueltos traídos del libro “Mare Aperto” de Luca Misculin hablaremos hoy en #LunesDeLenguas

Foto de la tarjeta de invitación: dos pedazos de marfil sobre un fondo negro.

El libro de Misculin es una historia cultural, política, geológica y mitológica sobre el Canal de Sicilia, la parte del Mediterráneo que está, justamente, entre la isla italiana y los estados contemporáneos de Túnez y Libia. Habla de muchas cosas que no tienen que ver con lenguas, pero lo recomiendo mucho de todas maneras, si pueden leer italiano.

Pero volviendo a los fenicios, estos eran un pueblo semítico que se consideraban hijos de Canáan y vivían en el extremo oriental del Mediterráneo.

Es decir, su origen estaba en las costas de lo que ahora es Líbano, Palestina, Siria e Israel.

A los fenicios les encantaba tanto navegar como fundar nuevas ciudades para poder comerciar. Y por eso en algún momento del siglo IX a.C. fundaron Cartago al otro extremo del Mediterráneo.

Allí se volvieron famosos por comerciar una exquisitez que el resto del Mediterráneo codiciaba: el color morado*.

El tinte morado se conseguía recogiendo las secreciones de ciertos caracolitos (o machacando sus caparazones) que se pueden encontrar por la costa de Tiro (la primera capital fenicia, en el actual Líbano).

en.wikipedia.org/wiki/Tyrian_p…

El color era escaso en la naturaleza y el proceso para producirlo era dispendioso, por lo que era muy caro. Y se convirtió en símbolo de riqueza y de realeza. Sólo la gente más acaudalada podía darse ese lujo. El lujo de comprarles a los fenicios.

Entonces, una de las principales teorías de por qué los hijos de Canaán comenzaron a ser conocidos como “fenicios” tiene que ver, justamente, con el morado.

En giergo antiguo, “morado” se dice φοῖνιξ (fóiniks). Palabra que también quiere decir “dátil” (otro gran éxito del comercio fenicio) y “fénix” (como el ave mitológica.

en.wiktionary.org/wiki/%CF%86%…

Pero queda la pregunta: ¿los griegos nombraron al color por los fenicios? ¿O nombraron a los fenicios por la palabra que tenían para el color?

Misculin cree en la segunda opción, por otra palabra griega, φοινός (foinós), que significa tanto “rojo sangre” como “mortal”.

en.wiktionary.org/wiki/%CF%86%…

Es decir, que el autor dice que ya había una palabra que significaba “rojo sangre” y que la palabra para morado, un color similar, derivó de ahí.

Esta etimología sigue siendo algo incierta. Pero sin importar qué vino primero, influenció la opinión que tanto los griegos como los romanos llegaron a tener sobre los fenicios.

En la Ilíada, compuesta quizás durante el siglo VIII a.C., los fenicios son descritos como πολυδαίδαλοι (polydáidaloi), “los de muchos talentos artísticos”.

En el siglo V a.C., tanto fenicios como persas intentaron conquistar Sicilia, entonces territorio griego.

Ninguno lo logró, pero desde entonces para los griegos ambos pueblos quedaron en la categoría de “bárbaros” (del griego βάρβαρος, bárbaros, “el que balbucea” o, más literalmente, “el que sólo dice blah blah”).

Los fenicios no eran vistos ahora sólo como gente que hablaba una lengua diferente (aunque como buenos comerciantes, y como muestra la tarjeta del inicio de este hilo, eran buenos aprendiendo otras lenguas), sino que además se convirtieron en un “otro”: una gente malvada, violenta y sangrienta cuya mera existencia nos pone en riesgo, por lo cual no son dignos de confianza.

En la “República” de Platón, del siglo IV a.C., Sócrates dice que las mentiras son “cosas fenicias”.

En su política, Aristóteles dice que los fenicios están “inclinados a la guerra”.

Quizás desde este punto de vista tenga sentido que su nombre tenga que ver con la palabra para decir “mortal” y “sangre”.

En el siglo III a.C. los romanos ya habían conquistado no sólo Sicilia, sino todas las ciudades griegas. Y además de importar la religión y buena parte del vocabulario, también importaron el odio hacia los fenicios. Y en particular hacia los cartaginenses.

En latín, fenicio se dice “poenus” o “poenicus”, dos romanizaciones diferentes de la palabra “foinix” hecha para una lengua que no tenía una f aspirada (como sí la tenían los griegos), ni sabía pronunciar la x (ξ).

etimologias.dechile.net/?pu.ni…

De ahí viene el adjetivo “púnico” (como en las guerras púnicas) para referirse a los cartaginenses. Y de ahí viene la expresión coloquial latina “fides punica” (“pacto cartaginés”) para referirse a una mentira o a una traición.

El odio romano por Cartago llegó al punto que, en las guerras púnicas, se propusieron no sólo derrotar a su rival, sino a borrarla del mapa.

Por lo que la alocución “Carthago delenda est”, de la que hablaremos alguna otra vez, se volvió famosa.

es.wikipedia.org/wiki/Carthago…

Pero, un momento, volvamos a esa inscripción del principio. Dije que era del siglo VI a.C. y que estaba en etrusco. Es decir que los fenicios ya viajaban a la península itálica antes de que Roma fuera “caput mundi”.

Y es decir que los fenicios ya eran conocidos como “punies” en etrusco, antes de que el latín dominara la península y quizás antes de que las influencias latinas entraran al latín.

Así que es posible que hayan sido los etruscos los que no tenían f aspirada ni x. Y que ellos se hayan inventado eso de “púnicos” tras escuchar el nombre griego para esta gente.

No sabemos con seguridad.

Lo que sí sabemos es que tanto el alfabeto etrusco, como el griego, como el latino derivan del fenicio. Ah, gente pa' echada pa'lante en.wikipedia.org/wiki/Archaic_…

*O púrpura, o violeta, o como le digan en su casa. Pero yo soy colombiano y digo morado porque he tomado muchos jugos de mora.


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SAPIENZA - Capitolo 9


La preghiera di Salomone per ottenere la sapienza1“Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola,2e con la tua sapienza hai formato l'uomo perché dominasse sulle creature che tu hai fatto,3e governasse il mondo con santità e giustizia ed esercitasse il giudizio con animo retto,4dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono, e non mi escludere dal numero dei tuoi figli,5perché io sono tuo schiavo e figlio della tua schiava, uomo debole e dalla vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi.6Se qualcuno fra gli uomini fosse perfetto, privo della sapienza che viene da te, sarebbe stimato un nulla.7Tu mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie;8mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte, un altare nella città della tua dimora, immagine della tenda santa che ti eri preparata fin da principio.9Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; lei sa quel che piace ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti.10Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito.11Ella infatti tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria.12Così le mie opere ti saranno gradite; io giudicherò con giustizia il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre.13Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?14I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni,15perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.16A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo?17Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall'alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?18Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza”.

_________________Note

9,1-18 Il brano si richiama alla preghiera di Salomone, ricordata in 1Re 3,6-9 e 2Cr 1,8-10.

9,8 enda santa: allusione alla tenda fatta costruire da Mosè nel deserto (Es 25,9.40).

9,15 tenda d’argilla: è immagine della condizione precaria dell’uomo. L’espressione un corpo corruttibile appesantisce l’anima vuole indicare le difficoltà che incontra il cammino spirituale dell’uomo. A differenza della filosofia greca, il pensiero biblico non contiene un giudizio negativo sul corpo.

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Approfondimenti


vv. 1-18. Preannunciata al capitolo precedente, si staglia ora imponente, ma anche delicata ed appassionata, la preghiera del c. 9, nella quale il giovane Salomone invoca da Dio il dono della sapienza. Questa preghiera è articolata in tre strofe (vv. 1-6; 7-12; 13-18), delimitata rispettivamente dalle inclusioni: «uomo-uomini» (vv. 2.6), «tuo popolo-tuo popolo» (7.12), «uomo-uomini» (vv. 13.18). Si tratta di termini significativi perché segno di un progressivo allargamento d'orizzonte: se nella prima strofa Salomone è presente come un uomo fra gli uomini con la medesima vocazione e i medesimi limiti, il Salomone della seconda strofa è specificatamente il re del popolo di Dio, chiamato a costruire il tempio; nell'ultima strofa Salomone non viene più menzionato; egli diventa l'uomo di ogni epoca e di ogni terra, invitato a realizzare il progetto di Dio; si prepara così l'orizzonte del c. 10, dove compariranno i grandi personaggi della storia universale. Al centro di ogni strofa spicca la richiesta della sapienza: vv. 4.10.17bc. Quella del v. 10 è l'invocazione più forte, sottolineata dalla ripetizione sinonimica; a ciò si aggiunga che il v. 10 non solo si trova al centro della seconda strofa, ma anche esattamente al centro dell'intero capitolo, avendo 22 emistichi prima e 2 emistichi dopo! Dunque, se ciascuna strofa converge verso i rispettivi centri, tutto il capitolo converge in particolar modo sul centro del v. 10; a ragione dunque si tratta qui al c. 9 di una preghiera! Il capitolo si apre e si chiude con l'espressione «per mezzo della sapienza» (vv. 2a.18c), unici passi di tutto il libro dove compaia questa espressione letteralmente. I due passi segnano pure i due poli della riflessione teologica dello Pseudo-Salomone, perché dalla sapienza creatrice operante all'inizio presso Dio si arriva alla sapienza salvifica operante nella storia degli uomini; in tal modo, in uno sguardo veramente unitario, la sapienza appare al centro dell'azione amorevole di Dio che crea e salva l'uomo; attraverso essa soltanto passa il rapporto Dio-uomo. Di qui l'appassionata e insistente invocazione della sapienza!

vv. 1-6. Salomone, uomo fra gli uomini, invoca la sapienza.

v. 1a. «Dio dei padri e Signore di misericordia»: sebbene in questa prima strota della preghiera, Salomone venga presentato semplicemente come uomo fra gli uomini, di Dio si sottolinea anzitutto la dimensione storico-salvifica, prima ancora di quella creazionale; egli è infatti il Dio dei padri, Il Dio cioè dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe (cfr. ad es. Es 3,6) e poi anche di Davide (cfr. 1 Re 3,6-7; 6,12-13). Grazie ai loro meriti, Israele possiede degli intercessori potenti; ma è soprattutto la misericordia dimostrata da Dio nei loro confronti ad infondere fiducia alla preghiera dello Pseudo-Salomone!

vv. 1b.2a. La disposizione chiastica dei due emistichi evidenzia il parallelismo parola-sapienza; i due termini rappresentano certamente entrambi l'intera opera creatrice di Dio, ma con due sfumature diverse: la parola sottolinea maggiormente la grandezza e la maestà di Dio che crea l'universo, la sapienza evidenzia specialmente l'intelligenza e la scienza che caratterizzano l'opera creatrice, specialmente nei confronti dell'uomo.

v. 3. Il binomio «santità e giustizia» esprime la collocazione esistenziale che, secondo il disegno di Dio, l'uomo deve assumere all'interno del creato. Tramite la santità l'uomo riconosce fondamentalmente la sua creaturalità nei confronti di Dio; tramite la giustizia, invece, si rapporta in modo corretto verso gli altri uomini e verso le creature irrazionali. Verosimilmente, a motivo della regalità di Salomone all'interno dell'esercizio della giustizia, l'emistichio seguente sottolinea l'importanza di un sereno e imparziale esercizio della giustizia.

v. 4. Esattamente al centro di questa prima unità risuona la preghiera d'invocazione della sapienza. Il giovane Salomone non solo richiede esplicitamente la virtù della sapienza, come già in 2Cr 1,10, ma la sapienza stessa personificata; questa sposa ideale, di cui s'era tessuto l'elogio nel capitolo precedente, appare qui come una regina in possesso di una piena dignità regale; è essa infatti colei che governa il mondo (cfr. 8,1) e soprattutto gli uomini (cfr. 7, 27).

v. 5. Nel contesto della preghiera emergono alcune reminiscenze di salmi atte ad esprimere le ragioni profonde di questa richiesta. Anzitutto con le parole del Sal 116,16 Salomone protesta con forza la sua dipendenza assoluta da Dio e dunque la sua appartenenza a lui; col Sal 90 (specialmente i vv. 5-6.9-10) riconosce poi la caducità della propria vita; infine adduce un motivo peculiare, inerente alla sua condizione di re, e cioè l'incapacità di discernere da solo ciò che è giusto e secondo le leggi. La richiesta della sapienza diventa così una necessità davvero vitale.

v. 6. La filosofia contemporanea, specialmente quella stoica, proponeva l'ideale della perfezione, ideale tuttavia assai difficile da raggiungere, se non impossibile. Ma anche una ipotetica perfezione umana sarebbe ancora radicalmente insufficiente in assenza della sapienza, cioè della prospettiva divina, che sola può dare senso alla vita dell'uomo.

vv. 7-12. Salomone in quanto re invoca la sapienza.

v. 7. Se già in quanto uomo Salomone necessita del dono della sapienza, tanto più gli è necessaria in quanto re. A questo compito egli e stato prescelto da Dio nel contesto li un disegno dove i titoli umani di primogenitura e di diritto cedono il passo all'imperscrutabile volontà di Dio: Salomone fu preferito ad Adonia (cfr. 1Re 1,5.28-40) e agli altri figli di Davide (cfr. 2Sam 3,2.5). Così egli dovrà esercitare non semplicemente una funzione giuridica o un potere, ma una missione, perché si tratta del popolo di Dio; quest'ultimo concetto è particolarmente sottolineato dal triplice aggettivo possessivo «tuo» e dall'espressione «tuoi figli/tue figlie», che non solo esplicita «tuo popolo», ma gli conferisce un carattere più personale e patetico. Di conseguenza è davvero necessaria la sapienza.

v. 8. Traspare tutto l'amore per il tempio proprio dello Pseudo-Salomone e della generazione contemporanea, amore cresciuto a dismisura dopo le vicissitudini della distruzione, dell'esilio e della perdita dell'indipendenza politica. Quest'amore nasce dalla scelta che Dio ha fatto di Gerusalemme ed in particolare del tempio come sua dimora; questo tempio infatti, come già la tenda del deserto, è la replica terrestre dell'autentico santuario celeste. Del tempio lo Pseudo-Salomone evidenzia l'altare degli olocausti, il luogo cioè dove, tramite il sacrificio, l'uomo riconosce e fa propria la presenza divina. Per questo sublime compito di liturgia Salomone necessita del dono della sapienza!

v. 10. Le due riflessioni precedenti su Salomone re e liturgo sfociano nell'invocazione forte e appassionata della sapienza, che si colloca al centro dell'intero capitolo. Si esclude con vigore una presenza superficiale e temporanea della sapienza; questa infatti condividerà davvero la vita di Salomone, permettendogli con la illuminazione interiore e con la compartecipazione alla fatica quotidiana di ottemperare alla sua missione.

v. 11. Riprendendo il verbo «guidare», che in Dt 1,33 (cfr. anche Ne 9,12; Sal 78,14) descrive l'accompagnamento del popolo di Dio nel deserto da parte della colonna di nube e di fuoco, l'autore prospetta ora la sapienza come la vera guida che accompagnerà e proteggerà Salomone nell'esodo della sua vita. L'emistichio 11c sottolinea ancora il concetto precedente con il termine «gloria», che significa non solo potenza, ma anche luce, e indica una presenza profonda, intima, permanente, di Dio stesso nella vita del giovane Salomone.

vv. 13-18. Necessità della sapienza per ogni uomo.

v. 13. Una duplice domanda retorica introduce quest'ultima unità, nella quale la preghiera assume un carattere dottrinale e sapienziale; prova ne sia la serie di domande retoriche e l'uso prevalente della terza persona (vv. 13-16). Scompare la figura storica di Salomone ed emerge l'uomo in generale, di ogni tempo e di ogni terra, nel suo confronto con l'insondabile disegno divino. Le due domande retoriche del versetto esprimono l'intima convinzione dell'autore che l'uomo, privo della sapienza, non può conoscere la volontà di Dio e quindi realizzare il progetto a cui è stato chiamato.

v. 14. A conferma dell'affermazione precedente l'autore adduce anzitutto l'esperienza della vita e della storia, da cui risulta l'incertezza e la fragilità delle riflessioni umane. Non si tratta di una mortificazione totale del pensiero umano, ma piuttosto della presa di coscienza delle sue inadeguatezze di fronte al mondo di Dio.

v. 15. Viene illustrata qui la ragione profonda dei limiti dell'uomo. Se l'autore ricorre a un vocabolario desunto dalla filosofia platonica (corpo-anima-mente-tenda d'argila), egli se ne differenzia quanto al pensiero: la mente non rappresenta un terzo elemento, ma l'anima in quanto fonte del pensiero, in armonia dunque con lo schema binario corpo-anima proprio del libro della Sapienza (cfr. ad es. 1,4; 8,19-20; 16,14); non si presuppone un'esistenza anteriore dell'anima, né questa viene ritenuta prigioniera di un corpo ed esortata a liberarsene il più presto possibile. Lo Pseudo-Salomone vuole semplicemente sottolineare la corruttibilità del corpo, la sua affinità con le realtà materiali e quindi la tensione con l'anima appartenente invece alle realtà spirituali; la metafora della tenda d'argilla evidenzia precisamente il legame del corpo con la materia e di conseguenza il fatto d'essere per l'anima una dimora fragile ed instabile. Queste considerazioni poggiano essenzialmente su un dato di fatto e non di speculazione e permettono all'autore di mostrare ancora una volta l'assoluta necessità della sapienza.

v. 17. Il versetto riprende la domanda iniziale del v. 13a, a cui però dà anche la risposta (v. 17bc). Il contenuto della risposta alla domanda è naturalmente il dono della sapienza (v. 17b); ad esso si aggiunge pure il dono del santo spirito (v. 17c). L'autore specifica l'attività della sapienza tramite la nozione biblica di spirito. Un testo di Isaia (Is 63, 8-14) aveva presentato lo spirito come la guida di Israele durante l'esodo; lo Pseudo-Salomone riprende questo concetto nell'imminenza della descrizione dell'opera della sapienza nella storia salvifica (Sap 10-19), dandogli pero un orizzonte universale.

v. 18. Questo versetto serve da transizione. Da un lato si riallaccia al versetto precedente tramite l'avverbio iniziale«così» e la ripresa del termine «sapienza»; inoltre completa la risposta alla domanda precedente con l'affermazione che storicamente gli uomini furono salvati per mezzo della sapienza; dall'altro proprio con quest'ultima affermazione preannuncia quanto verrà narrato nella terza parte del libro. Il senso dell'immagine dei sentieri raddrizzati, immagine che ritornerà poco dopo a proposito della fuga di Giacobbe (10,10), viene dato esplicitamente dall'emistichio seguente; si tratta cioè della conoscenza della volontà di Dio nelle evenienze concrete della vita e della sua attuazione.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Sapienza – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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31 agosto di due anni fa, primo giorno di "esiste la ricerca" al teatro litta,...


31 agosto di due anni fa, primo giorno di “esiste la ricerca” al teatro litta, a milano. pranzo da alessandro broggi. avevamo parlato anche di varie ragioni di poetica. e di lavoro sulle ipotassi di alcuni romanzi, soprattutto se remoti, anche pre-novecenteschi.


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L'inizio di tutto: Trip World e Felix The Cat - Double Feature!


Questi sono stati i primi due articoli pubblicati sulla versione originale di Flusso Inverso, questo mio viaggio attraverso la prima library del Game Boy originale (ma pure Color, dai!). Li ripropongo qui per completezza, in attesa di pubblicare i nuovi pezzi che ho scritto su Balloon Kid e altri

Trip World e il privilegio dei sogni gentili


Schedina* Titolo: Trip World * Piattaforma: Game Boy * Anno di uscita: 1992 (Giappone), 1993 (Europa) * Sviluppatore: Sunsoft * Publisher: Sunsoft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 2 ore

Mi sono avvicinato a Trip World scegliendolo a caso dalla lista di titoli emulabili dalla mia Anbernic. Non avevo idea di cosa fosse, ma devo dire che il delizioso filmato di apertura mi ha convinto a dargli una possibilità. A onor del vero, ancor prima di premere start ero pronto a cercare informazioni relative al gioco su Google, ma ho voluto evitare: se rigiocare questi vecchi giochi è un antidoto contro il caos, allora bisogna fare alla vecchia maniera. Premendo start, appunto, e non consultando uno smartphone.

E se decidiamo di iniziare giocare, scopriamo che Trip World è un gioco di Sunsoft, un team di sviluppo che mi è capitato varie volte di incrociare da bambino, perché avevo il gioco di Batman e uno di Daffy Duck – vado a memoria, senza controllare online. Erano tutti graficamente deliziosi, specie su un hardware limitato come il Game Boy, e Trip World non fa eccezione — anzi, spicca.”

Dal punto di vista visivo Trip World è proprio un bel gioco. Gli sprite del protagonista e delle creaturine “nemiche” sono ricchi di piccoli dettagli e di grande espressività, mentre gli sfondi sono particolareggiati e riescono a raccontare un piccolo mondo anche senza l’utilizzo di alcun testo. Nessuno parla, in Trip World: zero linee di dialogo, a parlare è solo quello che viene rappresentato a schermo. Il sonoro, poi, è splendido.

Trip World è un gioco estremamente semplice, almeno da un punto di vista concettuale: è un classico platform dell’era Game Boy, con tutti gli elementi che conosciamo. Cinque livelli (o “mondi”, come li chiama il gioco), scorrimento orizzontale, mascotte dolce e che vorresti immediatamente abbracciare, tanti salti, abilità di combattimento limitatissime, alcuni power-up che si possono raccogliere in giro e qualche enigma ambientale.

La cosa particolare, che ha reso Trip World una specie di piccolo cult (l’ho scoperto dopo averlo terminato, quando ero troppo curioso di capire quanto fosse conosciuto), è che il 90% dei nemici (ma perché poi, se non ti attaccano?) del gioco non ti attacca direttamente. Al massimo ti ostacolano leggermente spingendoti via.

È un approccio insolito, ed è insolito che non sia una gimmick roboante da comunicato stampa: non te lo dice nessuno, all’interno del gioco, lo noti e basta. Complice il fatto che il protagonista può, almeno inizialmente, solo sferrare un calcio con quelle sue piccole, adorabili gambette corte, ci si accorge presto che queste creaturine… si fanno gli affari propri. Al giocatore la scelta: li picchio o me ne vado per la mia strada?

Dimenticavo! Il protagonista può anche trasformarsi in un simpatico pesce, per superare le sezioni acquatiche (volendo si trasforma anche sulla terraferma, ma… non serve a niente!), e in una specie di forma adatta al volo, che nella mia sessione non ho mai utilizzato.

Il gioco è tutto qui. Dura meno di un’oretta, forse un po’ di più se si vogliono scoprire tutti i segreti. Si può riassumere in poche parole: platform bello da vedere e da sentire, e rilassante da giocare. Allora perché parlarne?

Perché Trip World, con la sua estetica dolcemente psichedelica, ha la rara capacità di isolare chi ci gioca dal mondo esterno. È un piccolo mondo che sembra vivere per conto proprio, slegato quanto basta dalle dinamiche classiche del videogioco anni ’90 per dimostrare originalità senza tuttavia risultare alieno al giocatore.

È un gioco semplice nella migliore accezione del termine, che si concede il lusso di provare a far sognare, almeno per un paio d’ore, chi decide di mettersi a giocare. Lo fa, oltretutto, con i pochissimi mezzi a disposizione concessi dall’hardware del Game Boy.

Una persona che stimo molto mi disse che “è un privilegio avere sogni educati”. Non so bene perché, ma nel giocare a Trip World ho pensato che avesse proprio ragione.

Una birra con Felix The Cat


Schedina* Console: Game Boy * Anno: 1993 * Sviluppatore: Hudson Soft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 1 ora e mezza

Nel far partire il gioco di Felix The Cat per il Game Boy mi sono reso conto di non sapere nulla di Felix, il personaggio. O meglio: lo riconoscerei tra mille perché ha un design bellissimo, tondo ed espressivo, ma non so esattamente in cosa consista il suo cartone animato.

La cosa è strana, perché io adoro i cartoni animati, specie quelli della prima metà del ‘900. Eppure, pur avendone visti tanti, non ho quasi mai incrociato sul mio cammino il buon (?) Felix. Sono andato a cercare su YouTube qualche spezzone e credo francamente che sarà la mia prossima ossessione per le settimane a venire. Ho già adocchiato un video di mezz’ora che parla dei 100 anni di evoluzione del personaggio.

Però, insomma, anche non sapendo nulla di Felix devo dire che il suo gioco per Game Boy è assolutamente comprensibile: Felix è un gatto antropomorfo e l’antagonista del gioco rapisce la sua fidanzatina Kitty. A lui toccherà attraversare sei mondi, suddivisi in un paio di livelli ciascuno, per salvarla.

Tecnicamente non c’è moltissimo da dire su un gioco come questo (sospetto che in questo viaggio nella library del Game Boy mi capiterà spesso di ripetere variazioni di questo paragrafo, ma tant’è). Si salta sulle piattaforme e si colpiscono nemici, partendo da sinistra e andando verso destra. Lo spin che il gioco offre alla classica formula del platform anni ’90 è che, raccogliendo la valuta del gioco (le monete con la faccia triste di Felix), il nostro protagonista potrà accedere a diversi power-up, che si accumuleranno uno dopo l’altro.

Questi power-up fanno sì che Felix acquisisca due vantaggi rispetto alla sua forma base: in primo luogo, potrà sopportare più colpi nemici (che lo faranno regredire al power-up precedente e non perdere immediatamente una vita). Inoltre, questi power-up gli permetteranno di diventare… un sacco di cose a seconda del contesto, come una specie di bolide e un tank, consentendogli di sparare dei colpi forti ma imprecisi, come da tradizione dei platform.

Ci sono poi dei livelli maggiormente accostabili agli sparatutto a scorrimento orizzontale dell’epoca piuttosto che ai puri platform, secondo me i più riusciti – specie il livello acquatico e quello spaziale, che sono davvero deliziosi.

Mi rendo conto che non sia esattamente un resoconto entusiasmante, eppure mi sono divertito tantissimo a giocare a Felix The Cat. La grafica è una delle più belle che abbia visto su Game Boy e riesce a trasmettere perfettamente la sensazione di stare giocando a un cartone animato, al netto delle limitazioni tecniche degli 8-bit e della monocromia. Le musiche, semplici e allegre, sono pronte a essere fischiettate. La fisica del salto funziona molto bene per il tipo di gioco immaginato dagli sviluppatori, e la difficoltà tarata verso il basso rende il gioco una buffa scampagnata in un mondo pieno di cose tonde.

Come in anni recenti ci ha insegnato Cuphead, infatti, l’estetica visiva e sonora da cartone animato dei primi del ‘900 funziona meravigliosamente se applicata ai platform e agli shooter a scorrimento. Non c’è un elemento in Felix che sembri fuori posto, non c’è un fondale che non sia immediatamente riconoscibile (e adorabile, per quel che mi riguarda). Ogni animazione riesce a far sorridere e a catapultarti in un mondo colorato e pieno di avventure bislacche.

È un gran gioco, quindi? Probabilmente, per gli standard con cui abbiamo stabilito che andrebbero recensiti i videogiochi, no: è estremamente semplice, e si finisce in un’oretta o poco più. Il senso di inferiorità degli appassionati di videogiochi rispetto ad altre forme d’arte dovrebbe relegarlo a un “carino, ma nulla più”.

Eppure non riesco a non amare questo Felix The Cat. È una questione di sensibilità personale, probabilmente, e di mia riluttanza verso gli standard di cui sopra – quelli per i quali tutto deve essere profondo, coinvolgente, entusiasmante. Felix non è profondo, non è coinvolgente, e non è nemmeno entusiasmante. È simpatico e intraprendente, quello sì.

Il punto, in fondo, è questo: Felix fa quel che può. Nello specifico corre, salta, spara e prova a salvare Kitty. Se si ha voglia di accompagnarlo, però, si scopre che è come prendere qualcosa da bere con un amico che vedi ogni tanto – non troppo spesso, magari.

A volte non serve altro, per stare bene.

Tags: #GameBoy #Retrogaming


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Mahavishnu Orchestra — The Inner Mounting Flame (1972)


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In un periodo adolescenziale della mia vita fui folgorato sulla via del jazz rock (e non solo), termine non certamente ortodosso per la critica jazzistica. Fra i tanti musicisti e gruppi in auge in quegli anni, la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin nutriva la mia più sentita ammirazione. Se Miles Davis inventò il jazz rock sulle onde di “Bitches Brew”, furono i suoi discepoli a dargli ordine e regola, a cominciare da John McLaughlin, che con Hammer e Cobham fondò nel 1971 la Mahavishnu Orchestra. The Inner Mounting Flame è uno dei capolavori insieme a Birds of Fire (1973) di questo genere sonoro: il jazz rock. Questo primo disco è completamente composto dal giovane trentenne chitarrista, dotato di una tecnica straordinaria affinata nei lunghi anni di apprendistato nella scena jazz blues britannica... silvanobottaro.it/archives/365…


Ascolta: album.link/i/527849434



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Mahavishnu Orchestra — The Inner Mounting Flame (1972)


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In un periodo adolescenziale della mia vita fui folgorato sulla via del jazz rock (e non solo), termine non certamente ortodosso per la critica jazzistica. Fra i tanti musicisti e gruppi in auge in quegli anni, la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin nutriva la mia più sentita ammirazione. Se Miles Davis inventò il jazz rock sulle onde di “Bitches Brew”, furono i suoi discepoli a dargli ordine e regola, a cominciare da John McLaughlin, che con Hammer e Cobham fondò nel 1971 la Mahavishnu Orchestra. The Inner Mounting Flame è uno dei capolavori insieme a Birds of Fire (1973) di questo genere sonoro: il jazz rock. Questo primo disco è completamente composto dal giovane trentenne chitarrista, dotato di una tecnica straordinaria affinata nei lunghi anni di apprendistato nella scena jazz blues britannica... silvanobottaro.it/archives/365…


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