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Mi si nota di più se… La Russia e il patto nucleare secondo Secci


Nella settimana in cui ricorre l’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, il Cremlino ha sventolato più volte la bandiera dei rischi legati a un escalation nucleare. L’iniziativa più importante è stata quella annunciata martedì 21 febbraio dal pres

Nella settimana in cui ricorre l’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, il Cremlino ha sventolato più volte la bandiera dei rischi legati a un escalation nucleare.

L’iniziativa più importante è stata quella annunciata martedì 21 febbraio dal presidente russo Vladimir Putin in occasione del discorso tenuto all’Assemblea Federale, ossia la sospensione della partecipazione russa al Trattato Start. L’accordo, rinnovato più volte, venne siglato da Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1991 e rappresentò il culmine della distensione strategica tra le due superpotenze. Esso veniva a compimento di un periodo di importanti accordi sul disarmo e controllo degli armamenti (si pensi ai Trattati sulla non proliferazione nucleare o agli Accordi Salt); inoltre, fissando precisi limiti al numero di testate e vettori, prevedeva la distruzione di ordigni e dispositivi nucleari a lungo raggio già operativi, comportando con ciò una drastica riduzione dei rischi connessi allo schieramento di queste armi.

E ieri, in occasione delle celebrazioni per la Giornata dei difensori della patria, il leader russo ha annunciato il potenziamento di tutto l’arsenale russo. In particolare, Putin ha anticipato la piena operatività entro l’anno dei primi missili intercontinentali con testate nucleari Sarmat, il proseguimento della produzione a pieno regime del missile ipersonico aviotrasportato capace di trasportare ordigni atomici Khinzal e l’avvio dello schieramento in massa sulle unità della Marina russa del missile, anch’esso ipersonico e con capacità di carico nucleare, Zircon.

Per quanto roboanti, in realtà queste dichiarazioni andrebbero ridimensionate nella loro effettiva portata. E per farlo basterebbe soffermarsi su alcuni dettagli fatti emergere e sottolineati dal Cremlino stesso. Nel momento in cui annunciava la sospensione della partecipazione al Trattato Start, infatti, il presidente russo ha avuto premura di rimarcare il fatto che si trattava di una sospensione e non di un ritiro. Con ciò, sembrerebbe voler dire che sebbene non acconsentirà le ispezioni ai siti e dispositivi strategici russi, previste in regime di reciprocità con gli Stati Uniti dall’accordo stesso, si impegnerà a rispettare il limite massimo di vettori e testate nucleari previste. In sostanza, non vi sarà alcun mutamento nell’equilibrio strategico con Washington. A conferma di ciò, e per non lasciar spazio ad alcun (pericoloso) dubbio, il giorno stesso in cui Putin comunicava la sospensione del Trattato, il ministero degli Esteri rilasciava una nota con la quale, “per mantenere i necessari livelli di trasparenza e stabilità nel campo dei missili dotati di capacità nucleare”, assicurava che Mosca avrebbe “continuato a rispettare rigorosamente le limitazioni imposte dal Trattato” sino alla durata dello stesso (febbraio 2026).

A questo punto, è ragionevole chiedersi perché il Cremlino stia optando per questa postura, diplomatica e strategica. Le armi oggetto delle limitazioni previste dall’Accordo sono quelle di lungo raggio e con le maggiori capacità distruttive (da alcune centinaia di kilotoni a decine di megatoni), concepite soprattutto per un ipotetico scontro con gli Stati Uniti. Di certo, non sono armamenti pensati per un impiego in Europa (salvo ovviamente il lancio dalle basi missilistiche nelle regioni più remote a Est degli Urali o da eventuali sommergibili in navigazione negli oceani), sulla quale, invece, sempre nell’ambito delle ipotesi, potrebbero essere lanciate delle atomiche tattiche o di teatro. Ma la crisi internazionale più importante, degenerata nel conflitto di cui oggi ricorre l’anniversario, sta in Ucraina e, quindi, in Europa. Per questo, non sembrerebbe esserci alcun nesso diretto tra l’andamento dello scontro con Kyiv e la sospensione del Trattato Start.

Una possibile interpretazione di queste iniziative russe potrebbe essere quella per cui, il complesso gioco di irrigidimento diplomatico e rassicurazioni sul piano strategico faccia parte della più ampia serie di misure attive che il Cremlino sembrerebbe stia impiegando per cercare di creare fratture interne sia alla Nato, sia tra i singoli governi dell’Alleanza e le rispettive opinioni pubbliche, certamente sensibili allo spettro dell’escalation atomica, con il fine ultimo di indebolire, se non sovvertire del tutto, il sostegno politico e militare all’Ucraina.

Dei rischi di guerra nucleare e degli effetti della disinformazione e delle misure attive russe sulla politica estera e di difesa atlantica si parlerà nel corso del Convegno organizzato dall’Istituto di Scienze Sociali e Studi Strategici “Gino Germani”, con Formiche.net in qualità di media partner, in programma nel pomeriggio del 27 febbraio 2023 a Roma, presso la Casa dell’Aviatore.


formiche.net/2023/02/russia-tr…



Nablus, storie non raccontate di civili palestinesi uccisi


L'infermiere Elias Al Ashqar ha tentato invano di rianimare un ferito, scoprendo poi che era suo padre. Un altro ha scorto tra i morti suo zio. L'ultimo raid israeliano si lascia dietro 11 uccisi e drammi che interessano poco alla stampa internazionale. N

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 24 febbraio 2023 – «Questo è mio padre, mio padre». Elias Al Ashqar ha ripetuto più volte queste parole dopo che i suoi colleghi all’ospedale avevano girato il corpo senza vita di un uomo colpito da un proiettile durante la sanguinosa operazione di esercito e polizia di Israele due giorni a Nablus. Quindi è crollato in un pianto disperato. Al Ashqar, infermiere del pronto soccorso dell’ospedale Al Najah, il più attrezzato della città, aveva terminato il suo turno da qualche ora. All’improvviso è stato richiamato d’urgenza assieme all’amico e collega Ahmed Aswad per l’afflusso, in meno di due ore, di decine delle 102 di persone ferite da proiettili durante il raid israeliano che ha ucciso 11 palestinesi. Ad un certo punto sono arrivati cinque feriti. Tra questi un uomo di 61 anni giunto in condizioni critiche: un proiettile lo aveva centrato in pieno petto mentre era in strada. Elias ha provato a rianimarlo, senza guardarlo in faccia. I suoi tentativi sono stati inutili, come quelli di un chirurgo. Il ferito è stato dichiarato morto poco dopo. In quel momento Elias lo ha guardato e ha esclamato: «Questo è mio padre!». Il suo collega Ahmed Aswad, mostrandogli la carta d’identità del deceduto, gli ha chiesto «Vuoi dire che questa persona è tuo padre?». Elias con la disperazione scolpita sul volto ha risposto «Si chiama Abdel Hadi Al Ashqar ed è mio padre».

Un video suoi social mostra alcuni momenti del dolore provato da Elias. Ieri i media palestinesi raccontavano la storia dell’infermiere che ha tentato invano di rianimare un ferito scoprendo poi che si trattava del padre che aveva salutato appena qualche ora prima a casa. Come quella di un altro infermiere, Mohammad Baara, impiegato sulle ambulanze della Mezzaluna Rossa che per prime giungono sui luoghi degli scontri esponendosi a rischi enormi per portare soccorso ai feriti. Nell’ospedale dove aveva trasportato due feriti, Baara ha scorto tra gli uccisi il corpo dello zio Adnan, 71 anni.

Storie che restano confinate nei Territori occupati. I palestinesi uccisi durante i raid dell’esercito israeliano nelle città della Cisgiordania, anche quando sono civili innocenti, pesano poco per la stampa internazionale. Non fanno notizia. Un tempo almeno sarebbero stati definiti «danni collaterali». Oggi neppure quello. Sono solo numeri che indicano una tendenza che dall’inizio dell’anno punta sempre verso l’alto: sono oltre 60 i palestinesi uccisi dall’inizio del 2023. I giornali israeliani legati alla destra descrivono tutti i palestinesi, uccisi o feriti nelle incursioni dell’esercito, come «terroristi». Anche il 16enne Mohammed Shaaban, tra gli 11 uccisi di due giorni fa. E nelle ultime ore sono deceduti altri due giovani. Uno, un combattente, era stato ferito una settimana fa a Jenin durante un raid dell’esercito. L’altro, un 24enne di Gaza, non è sopravvissuto alle ferite gravi all’addome subite nel 2018 durante la Marcia del Ritorno lungo le linee di demarcazione con Israele.

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Abdel Hadi Al Ashqar

Poche auto sulle strade e negozi chiusi ovunque ieri in Cisgiordania e in parte anche a Gaza e a Gerusalemme Est. Lo sciopero di protesta e lutto per le 11 vittime di Nablus ha paralizzato anche scuole, università e banche. Le formazioni politiche palestinesi hanno lanciato nuovi appelli a resistere all’occupazione miliatre mentre le continue uccisioni infoltiscono ulteriormente i gruppi armati. Ieri sera la Fossa dei Leoni, a cui appartenevano tre dei ricercati uccisi da Israele mercoledì a Nablus, ha annunciato che altri 50 palestinesi si sono uniti ai suoi ranghi. «Coloro che scommettono sulla fine dei gruppi (armati) delirano…i colpi che riceviamo ci rendono solo più determinati» ha scritto il gruppo armato in un comunicato invitando a popolazione di Nablus a partecipare oggi ai riti in ricordo delle ultime vittime. Israele ieri all’alba ha bombardato Gaza dopo il lancio di sei razzi, cinque dei quali abbattuti. Colpiti presunti edifici del movimento islamico Hamas.

Gli uomini della Fossa dei Leoni nel comunicato si sono anche rivolti, senza nominarla, all’Autorità nazionale palestinese (Anp) messa sotto pressione proprio dall’ultima cruenta incursione israeliana nella città vecchia di Nablus. «Questo raid è capitato in un momento critico in cui l’Anp è sotto accusa da più parti per aver ritirato, su insistenza americana, la sua proposta al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di condanna della colonizzazione israeliana» spiegava ieri al manifestoGhassan Khatib, analista e docente di scienze politiche all’Università di Bir Zeit. «L’Anp – ha aggiunto – sa bene che il ruolo degli Stati uniti non favorisce l’attuazione di leggi e risoluzioni internazionali riguardanti la questione palestinese. Eppure, non riesce e non può a fare a meno di Washington, perché non ha un’altra parte alla quale appoggiarsi. Si sente sola e debole e senza gli Usa crede di finire alla mercè delle politiche di Israele. Ma non è quello che crede e vuole la popolazione palestinese».

Migliaia di palestinesi hanno tenuto marce notturne in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est chiedendo di rispondere all’incursione israeliana a Nablus. Si sono registrati scontri tra manifestanti e forze israeliane in diverse località. Nelle ultime ore è spirato Mohammed Zawabreh, un poliziotto dell’autorità nazionale ferito da Israele ad Al-Aroub. Pagine Esteri

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Leland Did It - Hotel Moderno- Dischi Uappissimi 2023


I Leland Did It sono un gruppo che è incapace di fare qualcosa di predeterminato e felicemente ordinato, “Hotel Moderno” è una bellissima testimonianza di caos musicale, di ricerca sonora e di voglia di fare rumore.


@Musica Agorà

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In Cina e Asia – Ucraina: Pechino invita al dialogo


In Cina e Asia – Ucraina: Pechino invita al dialogo mosca
Ucraina: Pechino invita al dialogo
La Commissione europea vieta Tik Tok
Incidente in una miniera di carbone in Mongolia Interna
Sondaggio: i cittadini cinesi sperano in una fine rapida del conflitto in Ucraina

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Messaggio di prova da #pixelfed a #lemmy: test di scrittura e di verifica della formattazione nel titolo


Prova di titolo con link

@Test: palestra e allenamenti :-)

Facturusne operae pretium sim si a primordio urbis res populi Romani perscripserim nec satis scio nec, si sciam, dicere ausim, quippe qui cum veterem tum volgatam esse rem videam, dum novi semper scriptores aut in rebus certius aliquid allaturos se aut scribendi arte rudem vetustatem superaturos credunt.

informapirata.it

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Bavaglio e retate di oppositori; Tunisia a un passo dal default


Il presidente Saied scatena la repressione contro le opposizioni, i giornalisti e i sindacati e grida al complotto e alle ingerenze straniere. Ma l'economia della Tunisia cola a picco; per concedere un prestito il FMI pretende lacrime e sangue L'articolo

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 24 febbraio 2023 – La “rivoluzione dei Gelsomini”, che nel 2011 pose fine dopo 24 anni al regime dispotico di Zine Ben Alì, è un ricordo sbiadito. La Tunisia è oggi un paese in profonda crisi gestito con il pugno di ferro dal presidente della Repubblica Kaies Saied.

Il golpe silenzioso
Eletto a furor di popolo nell’ottobre del 2019 come indipendente, due anni dopo Saied ha realizzato un vero e proprio autogolpe. In nome della stabilità, nel 2021 il presidente ha esautorato il governo e congelato il parlamento, attribuendosi pieni poteri. Nel luglio 2022, sfruttando la sua popolarità ma soprattutto la distanza siderale della popolazione dalla politica, Saied è riuscito a far approvare un nuovo testo costituzionale che concede alla Presidenza ampissimi poteri.
Se a pronunciarsi sul nuovo testo fondamentale fu solo il 30% degli elettori, nelle scorse settimane ancora meno cittadini hanno votato nelle due tornate (17 dicembre 2022 e 29 gennaio) delle elezioni legislative: solo l’11% degli aventi diritto ha messo la scheda nell’urna.
La popolarità di Saied è ancora superiore al 50%, dicono i sondaggi, ma è in calo visto soprattutto il rapido deterioramento della situazione economica. Impotente, l’autocrate risponde mettendo il bavaglio all’opposizione e denunciando improbabili complotti. Alle prossime elezioni presidenziali previste nel 2024 – ammesso che si tengano – Saied non vuole problemi, anche se i sondaggi prevedono per ora una sua netta vittoria.

Un’ondata di arresti
Nei giorni scorsi il capo dello Stato ha avviato una vasta campagna di arresti di esponenti politici, di imprenditori, giudici e giornalisti accusati di «aver cospirato contro la sicurezza dello stato». In manette sono finiti soprattutto leader politici della Fratellanza Musulmana come Abelhamid Jlassi, Faouzi Kammoun e Noureddine Bhiri (ex ministro della Giustizia), vicini al partito di opposizione Ennahda. Ma gli arresti sono trasversali: in carcere sono finiti anche Noureddine Boutar, direttore di “Mosaique Fm” – la radio indipendente più ascoltata del paese spesso critica nei confronti del governo – l’imprenditore Kamal Eltaief, all’epoca vicino al despota Ben Ali e legato agli interessi occidentali e Khayam Turki, esponente del partito socialdemocratico Ettakatol. Mercoledì la Procura Nazionale Antiterrorismo ha ordinato l’arresto di Chaima Aissa, leader del Fronte di Salvezza Nazionale, e di Issam Chebbi, leader del Partito Repubblicano.
Contro gli arresti arbitrati si sono espressi in particolare la Germania e gli Stati Uniti, ma anche l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, ha espresso preoccupazione per «l’inasprimento della repressione contro gli oppositori politici e i rappresentanti della società civile in Tunisia, soprattutto attraverso le misure adottate dalle autorità, che continuano a minare l’indipendenza della magistratura».
Il portavoce della diplomazia Usa, Ned Price ha affermato che Washington sostiene le aspirazioni del popolo tunisino verso «un sistema giudiziario indipendente e trasparente, in grado di garantire libertà a tutti». «I principi democratici della libertà di espressione, della diversità politica e dello stato di diritto devono essere applicati in un paese democratico come la Tunisia» ha invece sentenziato il portavoce dell’esecutivo tedesco Wolfgang Buechner.
Saied ha risposto per le rime a tutti, soprattutto all’amministrazione Biden. «Che guardino alla loro storia e alla loro realtà, prima di parlare della situazione in Tunisia. Siamo uno stato indipendente e sovrano, non siamo sotto colonizzazione o protettorato. Sappiamo quello che facciamo, gli arrestati sono dei terroristi» ha detto l’uomo forte di Tunisi.

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Manifestazione di protesta dei giornalisti

Sindacati in piazza, Tunisi espelle la leader della CES
Contro l’arresto del fondatore di Radio Mosaique a Tunisi hanno manifestato numerosi membri del Sindacato Nazionale dei Giornalisti. «Le autorità vogliono mettere in riga sia i media privati sia quelli pubblici, e l’arresto di Boutar è un tentativo di intimidire l’intero settore» ha denunciato Mahdi Jlassi, presidente del SNJT.
Anche la segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Esther Lynch, ha invitato il presidente tunisino a rispettare i diritti umani e a smettere di prendere di mira i sindacati. L’appello è giunto il giorno dopo l’espulsione della sindacalista irlandese dal Paese, motivata dalla sua partecipazione a una protesta antigovernativa organizzata a Sfax dall’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt). Il 18 febbraio Saied ha definito la leader sindacale “persona non grata”, ingiungendole di abbandonare la Tunisia entro 24 ore.
La sua partecipazione alle manifestazioni del maggiore sindacato del paese rappresenta, secondo il capo dello Stato, un atto di intollerabile ingerenza negli affari interni del paese. Per il segretario generale dell’Ugtt, Noureddine Taboubi, si sarebbe trattato solo di una dimostrazione di solidarietà.
Il sindacato tunisino, che conta oltre 700 mila iscritti, ha organizzato diverse manifestazioni di lavoratori per protestare contro gli arresti arbitrari. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in otto diverse città, accusando Saied di soffocare le libertà fondamentali, compresi i diritti sindacali. Il vicesegretario generale dell’Ugtt Taher Barbari ha spiegato che le manifestazioni sono una risposta a una situazione politica marcia, ai “discorsi da caserma” e alla nuova legge finanziaria.
«L’Ugtt non può lasciare il Paese nelle mani di un unico decisore e con una Costituzione redatta dal presidente della Repubblica per costruire una nuova dittatura», ha aggiunto.
Il 31 gennaio un dirigente dell’Ugtt, Anis Kaabi, è stato arrestato a seguito di uno sciopero dei lavoratori dei caselli autostradali. A favore della sua liberazione di sono espressi decine di firmatari di un appello – dal Partito Comunista all’Associazione Tunisina per i Diritti e le Libertà passando per il filosofo e antropologo Youssef Seddik e l’attivista Bochra Belhaj Hmida – che denuncia «i tentativi disperati di criminalizzare il lavoro sindacale».

Crisi economica e complotti
Saied afferma che «la libertà di espressione è garantita e non c’è alcun legame con questi arresti, che piuttosto sono legati al complotto e alla corruzione».
Il giro di vite voluto dal presidente si inserisce però in un contesto dominato dalla preoccupazione della popolazione per una crisi economica sempre più grave. Molti prodotti alimentari di base – come lo zucchero, il latte e il caffè – sono diventati inaccessibili a molti tunisini e comunque risultano spesso introvabili. Il paese è privo di significative risorse naturali, è affetto da una siccità sempre più cronica ed è costretto ad importare dall’estero il grano che serve per fare il pane distribuito alla popolazione a prezzi calmierati.
Anche in questo caso, però, Saied si difende agitando un non meglio precisato “complotto”. I beni alimentari di prima necessità «sono disponibili all’interno del mercato tunisino, ma sono registrate delle carenze allo scopo di aggravare la situazione» ha affermato dopo aver però rimosso, all’inizio di gennaio, la ministra del Commercio Fadhila Rebihi.

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Saied incontra la premier tunisina

Lacrime e sangue
Giustificazioni del presidente a parte, la situazione economica in Tunisia non era stata così grave dagli anni ’50 del secolo scorso.
L’economia del paese è stata gravemente colpita prima dalla pandemia e poi dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. Preoccupa soprattutto l’aumento record del debito che nel 2021 aveva raggiunto quota 40 miliardi di euro e l’80% del Pil. Le agenzie di rating hanno ulteriormente declassato Tunisi e il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di ritardare l’approvazione finale di un prestito di circa 2 miliardi inizialmente previsto il 19 dicembre. A provocare lo stop dell’FMI – che rischia di bloccare i finanziamenti internazionali necessari per evitare il tracollo finanziario del paese – sono stati il ritardo con il quale il governo ha varato la legge Finanziaria e le scarse garanzie fornite.
Se anche a marzo l’istituzione finanziaria gestita da Washington dovesse concedere il prestito, secondo la direttrice generale del Ministero delle Finanze di Tunisi, Ibtisam Ben Aljia, il paese dovrebbe riuscire ad ottenere altri 3 miliardi per mettersi al riparo dal default. Senza la tranche promessa dal FMI anche i creditori europei ed arabi potrebbero tirarsi indietro.
Se il prestito a 48 mesi del FMI non dovesse essere concesso, secondo il vicepresidente della Banca mondiale per il Medio Oriente e il Nord Africa (Mena), Farid Belha, la Tunisia sarebbe costretta a rinegoziare il suo debito con il Club di Parigi, un gruppo informale di organizzazioni finanziarie dei 22 Paesi più ricchi del mondo. Non saranno certo gli strali di Saied – che ha sollecitato i paesi creditori a cancellare i debiti del paese e a restituire i “fondi saccheggiati” – a placare gli appetiti del Fondo e del Club di Parigi, che in cambio di una dilazione delle rate chiederanno un prezzo alto alla Tunisia. A pagarlo, nel caso, non sarebbe certo il presidente Saied.
Per concedere il prestito, al governo di Tunisi il Fondo Monetarioha già preteso l’eliminazione dei sussidi concessi alla popolazione per l’acquisto di cibo e carburante, il taglio della spesa pubblica per la sanità, l’istruzione e la protezione sociale, nonché la privatizzazione delle principali aziende pubbliche. – Pagine Esteri

5590390* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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La politica estera di Giorgia Meloni umilia l’Italia


Nel parlare due giorni di ferocia di questo Governo, avevo il timore di avere esagerato nella critica, specie sul piano etico e in particolare dell’etica politica. Ma poi, mentre guardavo sconsolato le gondole quasi in secca nel Canal Grande e in secca nei canali più piccoli di Venezia e rilevo sula stampa la totale indifferenza […]

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Il sacrificio di Carlo Cammeo, ucciso a scuola dai fascisti.


("Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti")

bibliotecabfs.wordpress.com/20…



Cronologia della barbarie in Ucraina in cinque fasi


Un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la realtà si sforza di ricordarci la crudeltà della guerra. Da quando il presidente Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina, un numero imprecisato di persone (110.000 secondo l’ONU e 200.000 secondo gli Stati Uniti, di cui 40.000 civili) hanno perso la vita in questo conflitto. Il numero di […]

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Servono più navi contro la crescente minaccia russa. L’allarme di Credendino


Una nuova Guerra fredda, ma dai contorni se possibile più preoccupanti, sembra star emergendo nelle acque del mar Mediterraneo. A lanciare l’allarme è stato il capo di Stato maggiore della Marina militare, Enrico Credendino, in audizione al Parlamento, ch

Una nuova Guerra fredda, ma dai contorni se possibile più preoccupanti, sembra star emergendo nelle acque del mar Mediterraneo. A lanciare l’allarme è stato il capo di Stato maggiore della Marina militare, Enrico Credendino, in audizione al Parlamento, che ha registrato “aumento impressionante dei numeri della flotta russa” tra lo stretto di Gibilterra fino al Mar Nero “a un livello che non si vedeva nemmeno ai tempi della guerra fredda”. Sebbene l’elevato numero di unità di Mosca di per sé “non è una minaccia diretta al territorio nazionale”, questa “aumenta tantissimo la tensione”. I russi, ha spiegato ancora Credendino “hanno un atteggiamento aggressivo che non era usuale”, con un aumento esponenziale del rischio incidente “e quando c’è un incidente di questa natura non si sa mai dove si può andare a finire”.

Tensioni crescenti

A preoccupare il comandante delle forze navali italiane, infatti, sono gli impatti che la tensione crescente potrebbe avere sull’”equilibrio instabile” di un Mediterraneo “molto affollato”. “Non si erano mai visti quattro gruppi portaerei alleati nel Mediterraneo: italiano, francese, americano e la nave anfibio spagnola”, ha spiegato Credendino, con i russi che “fanno puntate verso lo Jonio con un gruppo navale di tre navi moderne” senza problemi. Tra le minacce, tra l’altro, si aggiunge anche quella dell’ipersonica, con Mosca che ha in questo momento la sua unità più moderna, equipaggiata con missili di questo tipo, in Sudafrica. “Non sappiamo se siano efficaci o meno – ha detto l’ammiraglio a riguardo – questo lo vedremo, ma la nave entrerà nel Mediterraneo”.

Aggressività russa

La presenza delle navi russe non è una novità, e secondo l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e docente di Studi strategici “rimarranno nel Mediterraneo abbastanza a lungo”, con almeno due diverse configurazioni: “le navi russe si dividono tra quelle che cercano di intimorire i Paesi europei del Mediterraneo, e quelle che seguono i gruppi portaerei alleati in funzione di contro-deterrenza”. Una condizione che pur ricordando i tempi della Guerra fredda, porta con sé una nuova minaccia: “questa volta c’è il rischio di un uso limitato della forza da parte dei russi, con attacchi ai gasdotti o ai cavi sottomarini per le telecomunicazioni” che attraversano il Mare nostrum. Una novità dovuta al fatto che “i russi sono in maggior difficoltà rispetto all’epoca dell’Unione sovietica”. Una condizione che non facilita nemmeno i rapporti tra le sponde nord e sud del bacino, con in particolare i Paesi meridionali preoccupati “dal rumore di sciabole” avvertito nelle acque mediterranee.

Servono maggiori unità

Di fronte a questo scenario, la Marina militare italiana è chiamata a svolgere un ruolo sempre più cruciale di sorveglianza. Uno sforzo complesso che richiede il possesso nelle necessarie capacità. “Avremmo bisogno da tre a sei fregate antisommergibile in più, due navi antiaerei in più, una seconda portaerei per garantire di avere per tutto l’anno una portaerei disponibile, una nave logistica e due sommergibili”, ha spiegato Credendino. Ulteriori unità senza le quali la Marina avrà sempre maggiori difficoltà a garantire il livello necessario di presenza nelle acque del Mediterraneo. Uno sforzo che già oggi sta usurando navi ed equipaggi: “La Francia – ha detto Credendino – che ha il nostro stesso numero di navi, ha deciso di dotare ogni Fremm e sommergibile di due equipaggi, dal comandante all’ultimo marinaio. Noi non riusciamo a garantire un equipaggio completo per nessuna delle nostre Fremm”.

I gap della Marina

La flotta italiana comprende attualmente 62 unità maggiori più due unità di Intelligence. Una parte di queste “deve essere rinnovata nei prossimi 15 anni”, ma i finanziamenti sono stati individuati “non completamente”. Tra i diversi gap capacitivi individuati dall’ammiraglio, quella italiana risulta l’unica marina d’altura “priva di aerei a pilotaggio remoto, e sprovvista di aereo da pattugliamento marittimo in versione antisommergibile” indispensabile visto l’utilizzo massiccio di queste unità da parte di Mosca. Proprio su quest’ultimo fattore si è soffermato anche Credendino “Di qualsiasi versione volessimo dotarci, italiano o straniero, serviranno 4 o 5 anni per averlo operativo. Quando ne abbiamo l’esigenza chiediamo agli Usa di poter usare uno dei loro stanziati a Sigonella”

Le risorse necessarie

Di fronte a questo scenario, tuttavia, esiste un rimedio. “Tale ritardo capacitivo – ha detto il capo di Stato maggiore – potrebbe ritrovare coerente attuazione ove si concretizzasse l’impegno politico di raggiungere il 2% del Pil per le spese della Difesa”. Ritardi o minori assegnazioni rischiano di non favorire “il tempestivo conseguimento delle capacità individuate”. Le minori risorse assegnate dal Mimit, per esempio, “hanno causato ritardi nei pagamenti delle fregate antisommergibile Fremm 11-12, che rimpiazzano quelle cedute all’Egitto” con rischio di interruzioni su altri programmi della Marina, dal nuovo sommergibile e all’elicottero Nh-90, “spina dorsale della flotta”.


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Littu - Accolti da antiche radici - Autoprodotto 2023


I Littu raccontano i giganteschi cicli che vivono la Terra e i suoi abitanti, con i riti che servono per compenetrare e farsi partecipi della natura e viceversa. “Accolti da antiche radici” è un titolo molto azzeccato,

iyezine.com/littu-accolti-da-a…

@Musica Agorà

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Manifestazione una luce per l’Ucraina


Domani, venerdì 24 febbraio 2023 alle ore 18.30, ad un anno dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, si terrà una manifestazione dal nome “Una luce per l’Ucraina“. La Fondazione Luigi Einaudi parteciperà nella persona del suo Segr

Domani, venerdì 24 febbraio 2023 alle ore 18.30, ad un anno dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, si terrà una manifestazione dal nome “Una luce per l’Ucraina“.
La Fondazione Luigi Einaudi parteciperà nella persona del suo Segretario Generale, Andrea Cangini, per dimostrare ancora una volta il suo supporto al popolo ucraino e a tutte le vittime della guerra.

L'articolo Manifestazione una luce per l’Ucraina proviene da Fondazione Luigi Einaudi.




Difendiamo la libertà di impresa da una giustizia penale ipertrofica


Il 22 febbraio 2023 in Fondazione Luigi Einaudi il settore produttivo, le Istituzioni e il mondo professionale si sono confrontati sulle criticità del D.Lgs. 231 del 2001. La disciplina vigente è fonte di incertezze e contraddizioni, che limitano la cresc

Il 22 febbraio 2023 in Fondazione Luigi Einaudi il settore produttivo, le Istituzioni e il mondo professionale si sono confrontati sulle criticità del D.Lgs. 231 del 2001. La disciplina vigente è fonte di incertezze e contraddizioni, che limitano la crescita economica delle imprese, esponendole ai rischi della responsabilità penale.

L’incontro fra le parti sociali ha permesso di evidenziare i nodi cruciali della normativa ed esporre le esigenze di riforma. Come ricordava Von Hayek in Legge, legislazione e libertà, la certezza di regole condivise è il presupposto della libertà, perché non si è liberi quando opachi sono i confini del diritto. È questo lo spirito che ha guidato la Fondazione a promuovere la tavola rotonda, a cui hanno partecipato il Sen. Francesco Urraro, il Direttore Area Legislativa di Confindustria Antonio Matonti, gli Avv. Anna Vittoria Chiusano e Massimiliano Annetta e la Professoressa Rosita Del Coco.

Dal dibattito è emersa una situazione di fatto non più procrastinabile. Per il 60% delle attività produttive i modelli di organizzazione e gestione 231 sono superflui e insufficienti per perseguire efficacemente la finalità di prevenzione dei reati. Non solo, si traducono nella realtà in significative limitazioni della libertà di impresa, perché costringono le aziende di media a grande dimensione ad assumere costi organizzativi spesso superiori alle possibilità economiche. Non deve, allora, meravigliare se il quadro legislativo sia ancora percepito come un costo.

Segnatamente, sono emerse tre questioni fondamentali che il Parlamento dovrebbe affrontare. In primis, è necessario razionalizzare i reati presupposto, che qualora commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente fanno sorgere responsabilità penale in capo all’impresa. La disciplina, in origine pensata per combattere i reati dei colletti bianchi, è stata estesa nel tempo a molti altri illeciti, che poco hanno a che fare con le scelte gestionali e che, soprattutto, paralizzano i processi produttivi.

In secondo luogo, non è chiaro quando i modelli di organizzazione e gestione 231 siano idonei a esonerare l’ente dalla responsabilità penale. Infatti, nonostante la presenza dei modelli, in sede applicativa essi raramente vengono considerati adeguati. Le pronunce giurisprudenziali sono fra loro contraddittorie e le Procure d’Italia ricorrono a criteri disomogenei. Si crea così nel mondo economico un intenso senso di sfiducia, che genera forti ostacoli alla crescita. È necessario che il Parlamento e il Governo intervengano per introdurre delle norme che chiariscano come debbano essere i modelli, perché senza certezza del diritto il settore produttivo è condannato alla paralisi.

Infine, tutti gli intervenuti hanno condiviso l’urgenza di uscire da un’ipocrisia di fondo: la responsabilità ex D.Lgs. 231 del 2001 è responsabilità penale. Basti pensare che l’impresa può essere condannata alla pena dell’interdizione perpetua. Allora, il Parlamento dovrebbe superare l’attuale frode delle etichette. Non si tratta né di responsabilità amministrativa, né di tertium genus, ma di responsabilità penale, da accertare secondo le regole del processo penale. A titolo di esempio, oggi durante il processo si verifica un terribile inversione dell’onere della prova: è l’ente a dover provare che ha fatto quanto possibile e necessario per prevenire il reato. In caso contrario, si giunge alla condanna. Insomma, si è passati dalla presunzione di innocenza alla presunzione di colpevolezza, nonostante l’art. 27, comma 2, della Costituzione sia ancora lì.

In conclusione, si auspica che il Governo posa dare delle risposte che si attendono da anni. La libertà di impresa, già compressa da un sistema fiscale iniquo e da una burocrazia asfissiante, non può essere paralizzata da una giustizia penale iper-invadente. La Fondazione Luigi Einaudi, come sempre, farà la sua parte, anche attraverso la costituzione di un osservatorio permanente sulle libertà economiche, per portare all’attenzione delle Istituzioni le esigenze dei ceti produttivi.

L'articolo Difendiamo la libertà di impresa da una giustizia penale ipertrofica proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



#NotiziePerLaScuola

Ha preso il via il progetto "Unreal Engine for School", l'iniziativa finanziata dal Piano Nazionale Cinema e Immagini per la scuola promosso dal MIM e dal Ministero della Cultura.

Info ▶️ https://cinemaperlascuola.



Sonno. - Supervoids


Torniamo con grande gioia a parlare di una delle etichette del sottobosco musicale italiano e più precisamente ligure, ovvero di Musica Orizzontale, una delle parabole più interessanti ed eretiche uscite dall’estremo ponente ligure.

@Musica Agorà #musica #idm #elettronica

iyezine.com/sonno-supervoids

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Nelle scuole romane un bambino su cinque non sa scrivere in corsivo. La ricerca condotta da un gruppo di studiosi della Sapienza, dell'Umberto I e del Bambin Gesù.


Il 21,6% dei bambini iscritti alle scuole primarie di Roma, ha problemi a scrivere in corsivo. È quanto emerge da una ricerca condotta da Carlo Di Brina (dirigente di Neuropsichiatria infantile dell'Umberto I), Barbara Caravale (del Dipartimento di «Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione» della Sapienza) e Nadia Mirante (Unità di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza del Bambino Gesù), e pubblicata sulla rivista Children nel febbraio del 2023.

@Notizie dall'Italia e dal mondo

In questo 21,6% rientrano anche bambini disgrafici o con disturbi più ampi, come per esempio il disturbo di coordinazione motoria.

La tanto citata tecnologia - tablet, smartphone e computer - ha invece un ruolo limitato nello sviluppo della capacità di scrivere in corsivo: "L'uso massiccio e continuato di dispositivi elettronici può certamente condurre allo sviluppo di disturbi come deficit d'attenzione, ma ha molta meno attinenza con la scrittura".

cc @Scuola - Gruppo Forum @Maria Chiara Pievatolo @Andrea Mariuzzo @Bibliogadda

romatoday.it/attualita/corsivo…

in reply to Franc Mac

Certo mettere in mezzo persone DSA in mezzo a uno studio di questo tipo significa che sei proprio in mala fede e che vuoi fare il titolone

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in reply to super_user_do

@super_user_do non direi: la percentuale di alunni con DSA nella scuola primaria è piuttosto irrisoria. Parliamo di una media pari al 3,2% di cui solo una parte è costituita da alunni con una disgrafia diagnosticata. Le percentuali riscontrate invece nei bambini che hanno difficoltà a scrivere in corsivo sono sette volte maggiori quindi il "titolone" ci sta tutto

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Oggi alle 10.30, nella Sala Koch di Palazzo Madama, prende il via l'iniziativa “L'Ora di Costituzione”.

Tema della lezione, i principi fondamentali della Costituzione italiana (artt. 1 - 12).

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Test da Friendica senza titolo
@test
Testo testo testo
@test

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🚦Le evidenze scientifiche sono tutte a favore del #NutriScore. Di @MDfreerider sul @fattoalimentare


NUTRI-SCORE CONTRO NUTRINFORM BATTERY: COSA DICE LA SCIENZA?

@Scienza e innovazione

Lo Stato Italiano ha già fatto una scelta di campo: tutelare gli interessi dell’industria a discapito della promozione della salute, della prevenzione del sovrappeso-obesità, malattie cardiovascolari e tumori. In Italia grazie alla massiccia propaganda sono tutti (tranne Il Fatto Alimentare e qualche associazione di consumatori) contro il Nutri-Score. L’industria alimentare per mantenere lo status quo vuole un consumatore disinformato, manipolabile e manipolato dalla pubblicità che in Italia non ha alcun limite (gli alimenti spazzatura vengono pubblicizzati in tutte le ore del giorno e in programmi per bambini).

L'articolo di Antonio Pratesi sul Fatto Alimentare

Kilgore Trout doesn't like this.



#NotiziePerLaScuola

Giovedì 23 febbraio il secondo e ultimo webinar del ciclo "Let's debate in English", dedicato all'approfondimento della metodologia didattica del debate in lingua inglese.

Info ▶️ indire.

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Dal 23 febbraio iniziano gli appuntamenti con L'Ora di Costituzione!

L'iniziativa sostenuta dal Senato prevede un ciclo di incontri, una volta al mese, con alcuni costituzionalisti che illustreranno i principali articoli della Carta agli studenti.



Messina Denaro, borghesia mafiosa e 41 bis | Comune-info

«Un’ampia conversazione con Umberto Santino, fondatore e direttore dello straordinario Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”. Santino – tra i primi, già negli anni Settanta, ad approfondire il concetto di borghesia mafiosa, oggi al centro delle attenzioni con l’arresto di Matteo Messina Denaro – ragiona delle trasformazioni della lotta a Cosa nostra, riprende il significato dell’espressione “mafia finanziaria” e spiega il suo punto di vista sul 41 bis e sul caso di Alfredo Cospito.»

comune-info.net/messina-denaro…




Torna dall’8 al 10 marzo 2023 Fiera Didacta Italia, il più importante appuntamento fieristico della scuola italiana!

Quest’anno il Ministero dell’Istruzione e del Merito aumenta la propria partecipazione attraverso un grande stand che mette al centr…

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Carnevale


I tempi cambiano e dalle sfilate sono quasi del tutto scomparse le maschere di zorro, pierrot, arlecchino, indiani e cowboy (se da bambini ci avessero rivelato che cowboy significava "mandriano", ci saremmo rifiutati anche noi di vestirci con lo Stetson in testa, il gilet e il cinturone). I punk sono stati sostituiti dai maranza. Resiste qualche pagliaccio, i darth fener, gli harry potter e le tartarughe ninja, ma solo perché i costumi sono stati conservati nell'armadio per farli indossare ai fratelli più piccoli. Le principesse e i supereroi rimangono sempre i più gettonati. Oggi che è martedì grasso va forte la maschera di Mercoledì.


La vicenda dei giornalisti italiani cui è stato revocato l'accredito o semplicemente è stato impedito di entrare in Ucraina. Di @Vincenzo_vita su @art_ventuno


Una triste coltre di silenzio avvolge la vicenda dei giornalisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato revocato l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Vi è l’ordine di non parlarne?

@Giornalismo e disordine informativo

La prevista conferenza stampa di Giorgia Meloni, attesa in queste ore a Kiev dopo la visita di Biden, sarà l’occasione per sollevare il problema: quali sono le accuse mosse dai servizi segreti nei riguardi di chi non fa propaganda, bensì informazione sulla guerra? Vale anche in tale circostanza la solita terribile strategia del segreto, in base alla quale i misfatti e le atrocità non devono venire a conoscenza dell’opinione pubblica?

Il post di Vincenzo Vita è stato pubblicato su Articolo21



#Risentiamoli Cypress Hill - Black Sunday


“Black sunday” è stato il secondo disco del gruppo hip hop americano Cypress Hill, pubblicato il 20 luglio del 1993 da Ruffhouse e Columbia Records. Grande successo commerciale, “Black sunday” è un gigante dell’hip-hop, un monolite che diverte ancora a trent’anni esatti di distanza.

iyezine.com/risentiamoli-cypre…



La sinistra liberal progressista cancella l'idea stessa di sinistra | Kulturjam

«C’è oggi una sinistra liberal progressista che non ha niente a che fare con quella tradizione nel suo complesso, una sinistra neoliberale che tutta la sinistra, in tutte le sue varianti, ha sempre combattuto e che ha chiamato “destra”.

Ad accomunarla è l’odio con tutto ciò che è storia e ha storia, un odio verso la vita che nelle tradizioni prende forme, evolve, cresce. Il disprezzo verso le comunità, il tentativo di imporre un individualismo è isola, pensando che esista una sola forma di legame, quello che produce il consumo.»

kulturjam.it/costume-e-societa…



the men


Tutte caratteristiche che ho ritrovato in "New York City", nuovo album dei garage rockers statunitensi Men, sulle scene da ormai tre lustri e giunti oggi al nono album ufficiale, uscito a inizio mese su Fuzz Club Records (e che segna il debutto del quartetto di Brooklyn sull'etichetta inglese) e arrivato a tre anni dall'ultima fatica discografica "Mercy".
iyezine.com/the-men-new-york-c…

@Musica Agorà

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La scoperta di Antonio Gramsci - Giovanni D'Anna


Sin dai primissimi giorni del suo rientro in Italia, Togliatti iniziò una incessante opera di “divulgazione” della figura gramsciana

gramscionline.org/2020/09/29/g…

#gramsci



HO PERSO IL GUSTO, NON HA SAPORE


A scoppio ritardato scrivo anche io qualcosa di non-necessario su Sanremo.
Quest’anno non c’è stata una canzone che mi ha colpito particolarmente. È vero che a più riprese mi sono addormentato davanti alla TV, ma le esibizioni che perdevo, le recuperavo il giorno dopo su RaiPlay.
Ho visto qualche gag simpatica (gli interventi del solito immarcescibile Fiorello) e qualche piacevole sorpresa (Paola Egonu è stata la co-conduttrice più spontanea, paradossalmente anche quando leggeva). In generale però lo spettacolo mi è sembrato un po’ troppo costruito e in alcuni momenti anche un po’ stucchevole. Sarà che con il passare degli anni trovo sempre più noiose le confessioni e le prediche televisive fatte da chi ha il cXXo al caldo.
Per attirare l’attenzione su di sé, qualche artista ha azzardato – o “ha simulato” – uno scandaloso passionale colpo di testa: prendere a calci le rose, allungare il brodo all'infinito obbligando il pubblico a cantare un ritornello che non conosce, strusciarsi e baciarsi con l’influencer di turno, ecc... Ma dopo decenni di TV spazzatura oramai siamo tutti vaccinati (compreso i bambini) e la provocazione è diventata “Mission: impossible”.

Con questo non voglio dire che il Sanremo che ho visto sia tutto da buttare. Ci mancherebbe. Si sono esibiti anche dei bravi artisti. Qualcuno si è impegnato e ha fatto anche bene, tuttavia a distanza di una settimana dalla chiusura di Sanremo Venti23 (chiamarlo duemilaventitré non è più di moda) ricordo soprattutto due cose: la sanguigna “American Woman” di Elodie e Big Mama (per la cronaca: alla fine della canzone si sono baciate anche loro, ma nessuno ha montato polemiche) e la superba “Quello che non c’è” di Manuel Agnelli e gIANMARIA.
Lo so che sono di parte, perché adoro quella canzone e quel disco. E’ vero che gIANMARIA sembrava un pulcino bagnato, ma la performance di Manuel Agnelli e di Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, è stata strepitosa.
Ma questo è camminare alto sull’acqua e su quello che non c’è.



Siamo tutti supereroi


Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo - 'No, muovetevi voi.’

Tra il 2006 e il 2007 uscì uno degli archi narrativi più belli, secondo me, dell’universo Marvel: Civil War. Qualcuno magari avrà visto l’omonimo film, che però non c’entra niente.

Oggi voglio raccontarvi questa storia perché ha molto a che fare con la realtà che ci circonda e con l’attualissima diatriba tra chi vorrebbe incatenarci tra mille algoritmi e sistemi di sorveglianza di massa e chi invece preferirebbe semplicemente essere libero. C’è molto da imparare anche dai fumetti.

Civil War è una storia che parla di libertà, di privacy e dell’ingerenza arbitraria del governo. Potremmo dire che Civil War descrive ciò di cui parliamo ogni settimana su Privacy Chronicles.

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I veri supereroi sono iscritti a Privacy Chronicles

Civil War, la storia


Tutto iniziò con una squadra di giovani supereroi, i New Warriors. I sei si trovavano a Stamford, in Connecticut, per girare un reality-show chiamato “Superhuman High”. Durante le riprese vennero a sapere che nella città si trovava anche un gruppo di super-criminali, la Skeletal League, che proprio in quei giorni stavano progettando di rapinare una banca. L’occasione sembrò ghiotta per aumentare il rating televisivo del reality-show, così i New Warriors decisero di attaccare e cercare di catturare la Skeletal League in diretta TV.

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Purtroppo le cose non andarono come previsto. Durante i combattimenti uno dei supercriminali — Nitro — provocò un’esplosione proprio nel mezzo della città, che distrusse diversi quartieri e anche una scuola, uccidendo più di 600 persone — tra cui molti bambini.

Il drammatico episodio fu presto strumentalizzato dalla politica per attaccare tutti i supereroi che fino a quel momento agivano in modo indisturbato e spesso anonimo nel territorio degli Stati Uniti. Nel giro di pochissimo tempo il governo presentò un nuovo disegno di legge, chiamato Superhuman Registration Act.

L’atto, se approvato, avrebbe obbligato ogni “superumano” a registrarsi presso il governo e rendere nota la sua identità. Questo avrebbe consentito alle autorità di regolamentare le attività dei “supereroi”, supervisionarli, e — se necessario — sanzionarli. Il dibattito fu subito infuocato.

Da una parte c’era chi, come Tony Stark (Iron Man), prese subito le parti del governo. Secondo lui il Registration Act era semplicemente un atto dovuto. Un gesto di civiltà. La legge e la supervisione del governo avrebbero responsabilizzato tutti i supereroi, che quindi avrebbero smesso di agire in modo indipendente e al di fuori della legge.

Stark voleva evitare a tutti i costi il ripetersi di incidenti come quelli di Stamford ed era convinto che questo sarebbe stato possibile grazie a una forte legislazione per delimitare e regolamentare il campo d’azione dei supereroi.

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Dall’altra c’erano invece persone convinte che il Registration Act non fosse altro che un modo per violare le libertà fondamentali dei superumani, costringendoli a rivelare le loro identità segrete e rinunciare a ogni indipendenza.

Il principale sostenitore di questa tesi era Steve Rogers (Captain America). Secondo lui i supereroi avevano il dovere di agire moralmente e responsabilmente, ma come individui e non come macchine controllate dallo Stato. Steve credeva che il Registration Act avrebbe tolto ogni libertà di autodeterminazione ai supereroi, consegnando invece al governo il potere di manipolarli per finalità politiche.

I mass media, il pubblico e diversi gruppi di supereroi si divisero presto in due fazioni: da una parte quella pro-governo, capitanata pubblicamente da Tony Stark; dall’altra quella “ribelle”, condotta da Steve Rogers.

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Le due forze in campo divennero sempre più violente, fino a sfociare in una violenta guerra civile tra alcuni gruppi di supereroi fedeli a Tony Stark o Steve Rogers. La battaglia finale, che vide diversi feriti e morti, portò alla sconfitta di Captain America, che venne catturato e arrestato in quanto leader della fazione ribelle e anti-governativa.

L’arco narrativo si chiude con l’emblematica morte di Captain America, ucciso da un cecchino mentre veniva accompagnato in manette sulla scalinata del tribunale dove avrebbe dovuto essere giudicato per i suoi crimini durante la guerra civile.

Insieme a lui, morivano anche le speranze di libertà dei superumani, ormai condannati alla schedatura governativa.

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Qualche anno dopo gli eventi di Civil War si scoprì che il governo degli Stati Uniti da molto tempo era infiltrato fino alle sue posizioni apicali da agenti HYDRA (i nazisti dell’universo Marvel), e che il Superhuman Registration Act fu in verità un piano dei nazisti per sorvegliare e controllare i supereroi — unico vero ostacolo ai loro piani.

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Tony Stark o Steve Rogers?


Il mondo è in piena guerra civile. Proprio come raccontavano i fumetti Marvel 17 anni fa, anche oggi siamo circondati da due fazioni capitanate da vari Tony Stark e Steve Rogers. E come in Civil War, anche oggi la fazione vincente è quella dei Tony Stark.

Noi non abbiamo un Superhuman Registration Act, ma sistemi e leggi che Steve Rogers non avrebbe mai immaginato nel 2007. Schemi globali di identità digitale; sorveglianza totale delle comunicazioni; progetti per lo sviluppo di monete digitali di Stato e sorveglianza finanziaria; sistemi decisionali automatizzati e social scoring ; scatole nere obbligatorie sulle nostre auto…

L’effetto è lo stesso, anzi peggiore: sorveglianza totale delle nostre identità e delle nostre azioni. Per il “bene comune”.

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I Tony Stark del mondo ci dicono che l’anonimato e la privacy devono essere combattuti, perché deresponsabilizzano le persone. Essere anonimi è pericoloso; la libertà è pericolosa. Tenere alla propria privacy significa avere qualcosa da nascondere, o essere dei criminali.

Questi sono convinti di essere circondati da imbecilli senza alcuna moralità né principi. Il prossimo è un potenziale criminale o qualcuno talmente inaffidabile da non poter neanche gestire la sua stessa vita. E come Tony Stark, credono di essere tra i pochi illuminati a poter guidare il gregge con quel bastone chiamato governo. La legge è uno strumento di dominio per la creazione di una “società migliore”, a loro immagine e somiglianza.

E poi ci sono gli Steve Rogers. Loro sono convinti che l’essere umano abbia in sé tutti gli strumenti per agire moralmente, in modo autonomo e libero — senza per questo essere perseguito. Queste persone sanno che per agire moralmente, bisogna prima essere liberi. Che ogni individuo ha il diritto di creare la sua strada e agire secondo i suoi principi; che non può esserci alcuna libertà senza privacy, e che il governo non è altro che uno strumento di controllo delle persone per fini politici (di specifici gruppi di potere). Sì, la libertà è sporca. È caotica. A volte, pericolosa. Ma non importa.

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Paradimatico di questo pensiero è il celebre discorso di Steve Rogers a Peter Parker proprio durante la Civil War. Probabilmente uno dei migliori di tutto l’universo Marvel:

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Non importa ciò che dice la stampa. Non importa ciò che dicono i politici o le masse.

Non importa se l'intero Paese decide che qualcosa di sbagliato è qualcosa di giusto.

Questa nazione è stata fondata su un principio sopra ogni altro: la necessità di difendere ciò in cui crediamo, senza tener conto delle probabilità o delle conseguenze. Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo -

'No, muovetevi voi.’

Tu, da che parte stai?





Mentre in UE l'identità digitale è tra i temi nodali, l'Italia sta facendo morire #SPID, la conquista più importante per la nostra cittadinanza digitale.
Perché da noi l'unica #eutanasialegale è quella sui nostri diritti...
Di @Luke_like su @wireditalia
wired.it/article/spid-c…

Immagine/foto

Gabriel reshared this.



Firenze: le foibe furono una vendetta


A #Firenze hanno intitolato ai "#martiri delle #foibe" uno slargo con un muro sbrecciato lordo di #graffiti, usato come parcheggio e come ricettacolo per i cassonetti della spazzatura.
Un gesto più di scherno che di omaggio.
Ogni tanto qualcuno spezza o danneggia in altro modo la targa con il nome, che nel febbraio 2023 è stato sostituita per la terza volta almeno.
Giusto in tempo perché venisse corretta con la scritta "#Vendetta".
Una valutazione gelida e realistica. Imporre a Firenze i piagnistei della propaganda difficilmente avrebbe portato a risultati diversi: in città è diffusa da decenni, specie tra le persone serie, la propensione a non sentire alcuna appartenenza per lo stato che occupa la penisola italiana e a comportarsi di conseguenza nei confronti dei suoi propagandisti.



Pubblicata #ThePETGuide, la guida dell' ONU sulle tecnologie di miglioramento della #privacy per operare statistiche ufficiali


Il task team UNCEBD Privacy Enhancing Techinques ha pubblicato un pamphlet con metodologie e approcci per mitigare i rischi per la privacy quando si utilizzano dati sensibili o riservati, che sono collettivamente indicati come tecnologie di miglioramento della privacy (PET).

@Etica Digitale

Agli Uffici nazionali di statistica (NSO) sono affidati dati che hanno il potenziale per guidare l'innovazione e migliorare i servizi nazionali, la ricerca e i benefici sociali. Tuttavia, c'è stato un aumento delle minacce informatiche sostenute, reti complesse di intermediari motivati ​​a procurarsi dati sensibili e progressi nei metodi per reidentificare e collegare i dati a individui e tra più fonti di dati. Le violazioni dei dati erodono la fiducia del pubblico e possono avere gravi conseguenze negative per individui, gruppi e comunità.

Le statistiche ufficiali sono una fonte attendibile di informazioni per i governi di tutto il mondo per prendere decisioni informate e basate sui dati. Pertanto, l'ampiezza delle informazioni viene raccolta da una serie di fonti di dati come indagini sulle famiglie e sulle imprese, censimenti della popolazione, economici o agricoli, una varietà di registri amministrativi o persino dati del settore privato. Tali fonti di dati sono gli input per la compilazione di statistiche e indicatori sull'economia, l'ambiente e la società. In molti modi, le statistiche ufficiali offrono un'istantanea dello sviluppo e del tasso di progresso di un paese. Naturalmente, quanto più dettagliato è il livello dei dati di input, tanto più sfumate possono essere le statistiche ufficiali. Tuttavia, la raccolta, il trattamento e la diffusione di dati spesso sensibili devono proteggere la privacy delle persone e delle imprese. Inoltre, considerando gli uffici nazionali di statistica (NSO) come parte degli ecosistemi di dati nazionali e internazionali, gli NSO potrebbero potenzialmente condividere molti più dati se in grado di proteggere la loro privacy. Questo inevitabile compromesso è il fulcro di questo documento, o più concisamente: come possiamo utilizzare la tecnologia per mitigare i rischi per la privacy e fornire garanzie dimostrabili sulla privacy durante l'intero ciclo di raccolta, elaborazione, analisi e distribuzione di informazioni potenzialmente sensibili.

Questo documento esplora gli attuali approcci alla protezione dei dati (ad esempio, l'anonimizzazione dei dati, il calcolo delle parti di input, i controlli e gli accordi contrattuali) e le relative limitazioni. Al fine di facilitare la sperimentazione su progetti pilota e una collaborazione efficace su casi d'uso del "mondo reale", il Task Team delle tecniche di tutela della privacy delle Nazioni Unite ha fondato il laboratorio PET delle Nazioni Unite.

Vengono introdotte due grandi categorie di PET (ad es. privacy di input, privacy di output), tra cui calcolo multipartitico sicuro, crittografia omomorfica, privacy differenziale, dati sintetici, apprendimento distribuito, zero-knowledge proof e ambienti di esecuzione attendibili.

Vengono presentati studi di casi dettagliati che comprendono una vasta gamma di casi d'uso in tutti i settori, sfruttano combinazioni di PET e coinvolgono la collaborazione tra le parti (come più NSO che lavorano insieme, NSO che lavorano con altre agenzie governative e NSO che lavorano con organizzazioni del settore privato). Quindici casi di studio descrivono implementazioni che si trovano nella fase concettuale o pilota e tre che sono state implementate in ambienti di produzione.

Questo documento fornisce una panoramica delle attività di definizione degli standard e identifica diversi nuovi standard rilevanti per il trattamento dei set di dati, compresi gli standard in fase di sviluppo e alcuni che sono un prodotto del principio di precauzione applicato alla definizione degli standard per l'intelligenza artificiale (IA).

Data l'espansione dell'attività che si occupa di PET e il contesto in cui possono essere applicati, gli standard sono presentati in due parti. La prima identifica gli standard essenziali con sezioni sulla crittografia e sulle tecniche di sicurezza. Il secondo considera gli standard indirettamente correlati che potrebbero influenzare l'ambiente - tecnico e organizzativo - in cui i PET possono essere implementati, con argomenti secondari su cloud computing, big data, governance, intelligenza artificiale e qualità dei dati. Per coloro che sono interessati al "quadro più ampio", è disponibile una sezione aggiuntiva sugli standard correlati.

Qui il link per scaricare la guida

Scarica la guida



La povertà educativa in Italia è un problema, ma si potrebbe risolvere | L'Indipendente

"In un Paese con disparità territoriali profonde, un forte multiculturalismo di seconda generazione (sono circa 1,3 milioni i bambini stranieri o italiani per acquisizione) si auspica un intervento puntuale e ottimizzato, su strutture, personale e approcci. Non si tratta solo di risanare il giovane patrimonio umano in contesti periferici e creare un nuovo ecosistema di servizi per l’infanzia, adeguato alle nuove generazioni; occorre, come individuato dall’Osservatorio, considerare i giovani come risorse e non solo fasce da tutelare, attuare un cambiamento partecipativo e di ascolto, indirizzando i fondi alle reali necessità che chiede il nostro futuro."

lindipendente.online/2023/02/1…



La coscienza morta


Si applica anche a noi, adesso.

"From the accumulated evidence one can only conclude that conscience as such had apparently got lost in Germany, and this to a point where people hardly remembered it and had ceased to realize that the surprising "new set of German values" was not shared by the outside world. This, to be sure, is not the entire truth. For there were individuals in Germany who from the very beginning of the regime and without ever wavering were opposed to Hitler; no one knows how many there were of them — perhaps a hundred thousand, perhaps many more, perhaps many fewer — or their voices were never heard. They could be found everywhere, in all strata of society, among the simple people as well as among the educated, in all parties, perhaps even in the ranks of the N.S.D.A.P."
---
"E tutto sta a dimostrare che la coscienza in quanto tale era morta, in Germania, al punto che la gente non si ricordava più di averla e non si rendeva conto che il “nuovo sistema di valori” tedesco non era condiviso dal mondo esterno. Naturalmente, questo non vale per tutti
i tedeschi: ché ci furono anche individui che fin dall'inizio si opposero senza esitazione a Hitler e al suo regime. Nessuno sa quanti fossero (forse centomila, forse molti di piu, forse molti di meno) poiché non riuscirono mai a far sentire la loro voce. Potevano trovarsi dappertutto, in tutti gli strati della popolazione, tra la gente semplice come tra la gente colta, in tutti i partiti e forse anche nelle file del partito nazista."



Fr.#20 / Di artiste e prostitute digitali


Nel frammento di oggi: nuove professioni digitali, con conseguenze reali / Meme e citazione del giorno.

Aspetta un attimo!


Hai già approfittato della promozione in corso? Fino al 20 febbraio tutti gli abbonamenti a Privacy Chronicles sono scontati del 20%, e con ognuno in regalo un buono sconto del 50% per acquistare un abbonamento alle versioni premium di Tutanota, la suite di comunicazione crittografata made in Germania.

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Artiste di strada, ma digitali


In questi giorni sono venuto a conoscenza di un fenomeno peculiare che ha preso piede in Cina. Non saprei esattamente come definirlo, quindi faccio prima a farvelo vedere:

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Cosa sta succedendo? Quelle sono delle ragazze che stanno cantando, scherzando e chattando coi loro fan online. In streaming, sul marciapiede.

Perché? Beh, pare che sia merito di un nuovo algoritmo.

Non farti fregare dall’algoritmo, iscriviti a Privacy Chronicles.

La piattaforma cinese di streaming che usano queste ragazze infatti è dotata di un sistema di localizzazione che permette agli utenti di cercare streamer nelle loro vicinanze. Questo significa che chi fa streaming in zone più ricche avrà evidentemente una probabilità più alta di ricevere donazioni cospicue rispetto a chi invece si limita a streamare da casa sua, magari in un quartiere povero.

Ecco allora spiegato il motivo per cui decine di ragazze decidono di lavorare in strada piuttosto che nella comodità delle loro stanze.

La peculiarità è che molte di loro, come spiegato da Naomi Wu, non sono in condizioni di povertà. Anzi, spesso hanno un lavoro normale che fanno durante il giorno. D’altronde, l’attrezzatura che alcune si portano dietro è anche abbastanza costosa.

Insomma, non bisogna fare confusione: queste ragazze sono più vicine a delle artiste di strada che a delle mendicanti. La differenza, rispetto agli artisti di strada tradizionali, è che le loro performance vengono viste e apprezzate da remoto, da persone a 500 metri da loro o dall’altra parte della Cina.

Questo caso peculiare può insegnarci una cosa: gli incentivi funzionano. Funzionano così bene che una professione nata grazie al digitale si sta trasformando in uno strano ibrido phygital che incentiva decine di ragazze a mettersi in strada con luci e strumenti per lo streaming.

Forse bisognerebbe iniziare a riflettere sul potere diretto e indiretto che questi algoritmi hanno sulla nostra vita, e soprattutto ponderare sulle attuali e future capacità dei nostri governi di influenzare il comportamento di milioni di persone semplicemente attraverso sistemi di economia comportamentale e ingegneria sociale — come quelli già sperimentati anche in Italia.

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Prostitute digitali, conseguenze reali


Sempre rimanendo nel tema delle nuove professioni digitali, vale la pena riportare una notizia di questi giorni che arriva dagli Stati Uniti: pare che a una ragazza, modella su OnlyFans, sia stata negata la Visa per l’accesso agli Stati Uniti.

La Visa è in pratica un’autorizzazione che deve avere chiunque voglia viaggiare verso gli Stati Uniti e che viene allegata al passaporto. In alcuni casi, quando sussistono situazioni particolari, la Visa può essere negata. Ad esempio nel caso in cui la persona abbia ricevuto condanne o sia accusata di altre attività illecite, come il contrabbando.

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Oppure, come successo per la ragazza in questione, se la persona ha realizzato attività di prostituzione durante i 10 anni precedenti alla richiesta di Visa o se il suo viaggio sia in qualche modo finalizzato a compiere atti di prostituzione.

Non voglio entrare nella diatriba infinita sul considerare o meno l’attività su OnlyFans al pari della prostituzione, ma a quanto pare le autorità degli Stati Uniti la considerano tale. Ciò che conta qui è la capacità delle autorità governative di sorvegliare e analizzare i motivi del viaggio di una persona straniera, le sue attività professionali (magari anche secondarie) e il suo passato — fino a dieci anni prima!

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Non mi stupisce che gli Stati Uniti facciano tali discriminazioni: è noto che i collettivisti-statalisti confondono sempre (volontariamente) il piano della moralità con quello della legalità. E questo impatta la libertà delle persone.

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Questo caso dovrebbe esserci d’esempio per comprendere i rischi derivanti proprio da queste capacità di sorveglianza dei nostri governi. I nostri dati saranno usati contro di noi. Sempre. E questo è anche il motivo per cui bisogna rigettare con forza qualsiasi proposta di identità digitale. Se ci riescono ora, figuriamoci cosa potranno fare con un sistema di identità digitale connesso a tutto ciò che siamo e facciamo.

Insomma, se proprio vuoi fare la modella su OnlyFans sappi che potresti essere considerata una prostituta a tutti gli effetti. Nulla in contrario, ma forse sarebbe il caso di imparare il valore dello pseudoanonimato e provare a considerare piattaforme e sistemi di pagamento alternativi che lasciano poche tracce, come Bitcoin. È chiaro che intermediari fiat come OnlyFans o come le piattaforme di pagamento non hanno assolutamente a cuore la riservatezza dei loro clienti.

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"Every form of happiness is private. Our greatest moments are personal, self-motivated, not to be touched. The things which are sacred or precious to us are the things we withdraw from promiscuous sharing.”

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La moralità dell'anonimato

Anonymity is dead, long live the anonimous! L’anonimato è morto, la privacy è morta. E anche noi, nel lungo periodo, siamo tutti morti. Se siete d’accordo, oggi inizierei così per parlare di un tema che stranamente non avevo ancora trattato su queste pagine: la moralità dell’anonimato…
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6 days ago · 5 likes · 2 comments · Matte Galt



Twitter Files: dalla censura politica al ban di Trump


Comunicazioni e documenti riservati per scoprire il sistema di censura e di sorveglianza segreta dentro Twitter - tra manager con deliri di onnipotenza e agenti dell'FBI.

Nelle scorse settimane Elon Musk ha distribuito ad alcuni giornalisti migliaia di documenti e comunicazioni riservate di Twitter. L’analisi di questi documenti ha dato vita a un piccolo cataclisma.

Le prime notizie che arrivano dai “Twitter Files” raccontano di inquietanti scoperte sui meccanismi di “moderazione” della piattaforma, tra top manager e team di moderazione palesemente politicizzati e sistematiche ingerenze da parte delle agenzie di intelligence. La storia raccontata finora dai giornalisti che hanno messo mano ai Twitter Files, attraverso dei lunghi thread pubblicati proprio su Twitter, parte dal 2020 e arriva fino ai giorni nostri.

Il materiale pare sia molto, e c’è sicuramente ancora tanto da raccontare, ma oggi voglio dare la possibilità ai lettori di farsi un’idea, ripercorrendo insieme le parti più rilevanti di tutta la vicenda.

Iniziamo.

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Gli strumenti di Twitter


Come racconta Matt Taibbi nel primo thread sui Twitter Files, nel corso del tempo Twitter fu costretta a sviluppare e costruire degli strumenti di censura che durante i primi anni di vita della piattaforma erano invece assenti.

Presto molte persone si resero conto della potenza di questi strumenti, e pian piano furono messi a disposizione di autorità governative ed esponenti di partiti politici che di volta in volta chiedevano alla piattaforma di rimuovere contenuti sgraditi. Nel 2020 le richieste di questo tipo erano praticamente una prassi consolidata.

Questi strumenti di “moderazione” erano a disposizione, in teoria, di ogni parte politica. Il problema è che sembra che non ci fossero dei canali ufficiali a cui fare riferimento, ma che fosse invece un’attività che veniva fatta attraverso contatti personali con dipendenti interni di Twitter.

Perché dico che è un problema? Dovete sapere che prima dell’arrivo di Elon Musk e dei licenziamenti collettivi, più del 98% dei dipendenti di Twitter erano dichiaratamente Democratici (cioè progressisti di sinistra) — come mostrano dai dati riportati da Matt Taibbi nel suo primo thread.

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Per un mero dato statistico, i Democratici avevano quindi molte più possibilità di ottenere la rimozione di contenuti rispetto ai Repubblicani.

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La censura arbitraria dei progressisti


La giornalista Bari Weiss, nel secondo thread dedicato ai Twitter Files conferma poi ciò che molti “complottisti” dicevano da tempo, nonostante le dichiarazioni pubbliche contrarie da parte di Vijaya Gadde: sì, lo shadow ban esiste.

Il team di moderazione di Twitter aveva infatti l’abitudine di creare delle vere e proprie blacklist di utenti a cui limitare la visibilità e la reach dei contenuti.

Il gruppo interno che gestiva questo tipo di censura era chiamato “Strategic Response Team - Global Escalation Team”. Nel gruppo, dice Bari Weiss, c’erano Vijaya Gadde (Legal, Policy, and Trust) e Yoel Roth (Trust & Safety), oltre ai CEO — prima Jack Dorsey e poi Parag Agrawal.

Gli account più colpiti da queste blacklist e shadowban erano quelli di persone della destra conservatrice e in generale account con opinioni contrarie a quelle progressiste in merito a questioni riguardanti LGBT o sulle elezioni presidenziali del 2020.

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Un esempio paradigmatico fu quello di Chaya Raichik, “Libs of TikTok” (che seguo con molto piacere, anche su substack), che solo all’inizio del 2022 fu bannata per ben sei volte. Nel suo caso il pregiudizio politico era evidente: non solo l’account veniva sospeso arbitrariamente, ma Twitter non fece nulla per bannare le persone che doxxarono l’indirizzo di residenza di Chaya e che regolarmente la minacciavano di morte. Se non sbaglio, qualcuno di quei post è ancora online.

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Le motivazioni che sostenevano la maggior parte delle censure di post e sospensione degli account erano puramente politiche, in base alle idee dei team di moderazione e dei manager come Yoel Roth.

Proprio lui scrisse nel 2021: “The hypothesis underlying much of what we’ve implemented is that if exposure to, e.g., misinformation directly causes harm, we should use remediations that reduce exposure, and limiting the spread/virality of content is a good way to do that”.

Cosa si intende Roth per “misinformation”? Ovviamente, tutto ciò che è contrario alla narrativa Dem e alle sue personalissime idee.

Al contrario di quanto pubblicamente affermato da Twitter nel corso degli anni, molte delle scelte di rimozione di contenuti non erano fatte sulla base di elementi oggettivi, ma in base a interpretazioni personali degli executives e dei team di moderazione, per poi essere giustificate di volta in volta con le policy più adeguate.

Un chiaro esempio dell’arbitrarietà e dei pregiudizi dei team di moderazione viene da uno scambio tra Yoel Roth e un collega il 7 gennaio 2021, in cui discutono su come “moderare” il movimento “#stopthesteal”, che durante l’elezione del 2020 sosteneva ci fossero gravi irregolarità nel processo elettorale, soprattutto per quanto riguarda i voti via posta.

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Il movimento, ritenuto fonte di disinformazione, venne presto censurato da Twitter. L’obiettivo in quel caso era duplice: da una parte censurare i post degli esponenti del movimento, e dall’altra lasciare libertà al “counterspeech”, cioè ai post dei progressisti di sinistra che usavano lo stesso hashtag per sostenere tesi contrarie.

Un altro esempio di arbitrarietà e faziosità politica arriva da queste comunicazioni del 7 di gennaio 2021 (24 ore prima del ban di Trump), in cui il team di moderazione si trova a discutere perfino su come punire gli utenti che ripostavano foto dei tweet di Trump senza alcun intento politico, ma per criticare le scelte di moderazione di Twitter, come in questo caso:

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Il ban di Trump


La terza, quarta e quinta parte dei Twitter Files affrontano invece gli eventi che portarono l’8 gennaio 2021 al ban di Trump — il caso di deplatforming più famoso e più grave al mondo. La storia prosegue con i contributi di Matt Taibbi e Michael Shellenberger, che offrono uno spaccato sui mesi e giorni precedenti al ban di Trump.

Già dai primi mesi del 2020 Twitter era un insieme scomposto di sistemi di sorveglianza e di censura automatizzati e persone con il potere di censurare arbitrariamente chiunque (beh, non proprio chiunque) sulla base di pregiudizi puramente ideologici e politici.

Come se questo non bastasse, man mano che le elezioni si avvicinavano gli executives di alto livello come Yoel Roth iniziavano ad intrattenere sistematicamente relazioni con FBI e varie altre agenzie federali come l’Homeland Security e la National Intelligence. Era in questi incontri che spesso si decideva come e quali tweet censurare. Principalmente, ça va sans dire, di Trump e altri account Repubblicani — che in quel periodo erano molto attivi per denunciare problemi col processo elettorale.

A conferma della frequenza e normalità degli incontri ci sono alcuni scambi tra il team marketing di Twitter e il Policy Director Nick Pickles. Il team chiedeva se fosse possibile descrivere il processo di moderazione di Twitter come un misto di “machine learning, human review e partnership con esperti”, a cui Nick rispose: “non so se definirei FBI e DHS come esperti”.

La pressione politica fuori e dentro Twitter in quel periodo si poteva tagliare con il coltello.

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In questo periodo Trump era già stato sospeso diverse volte. Secondo le policy di Twitter, ci sono una serie di “strike” prima che l’account possa essere bannato definitivamente. A Trump ne rimaneva uno; un’ultima violazione, di una qualsiasi policy interna, avrebbe causato il suo ban definitivo.

Trump però non era una persona qualunque. I suoi tweet avevano un valore “pubblico” non indifferente. La questione era nota anche internamente a Twitter, che infatti ha una “public interest policy” che prevede delle eccezioni in caso di violazioni per tweet e account che abbiano un certo valore nell’interesse pubblico.

Proprio per questo, il 7 gennaio 2021 l’onnipresente Yoel Roth scrive a un collega che nel caso di Trump l’idea era quella di "bypassare le tutele del “public interest e fare in modo che potesse essere bannato alla prima violazione di una qualsiasi policy interna". La decisione ai piani alti era già presa da tempo. Trump doveva essere bannato, bisognava solo trovare una qualsiasi giustificazione.

La pressione interna in quei giorni era altissima. Vi ricordo che molti dipendenti in Twitter erano progressisti democratici, che dopo gli eventi del 6 gennaio ce l’avevano a morte con Trump e con chiunque la pensasse diversamente da loro (ma questo è ricorrente). Nelle chat interne circolavano affermazioni come queste:

“Non capisco la decisione di non bannare Trump data la sua istigazione alla violenza”

“Dobbiamo fare la cosa giusta e bannare il suo account”

“Ha chiaramente tentato di sovvertire il nostro ordine democratico… se non è questo un buon motivo per bannarlo, non so cosa possa esserlo”

Come riporta di nuovo Bari Weiss nella quinta parte dei Twitter Files, l’8 gennaio 2021 — a poche ore dal ban di Trump — il Washington Post pubblicò perfino una lettera aperta firmata da 300 dipendenti di Twitter che chiedevano a Jack Dorsey di bannare per sempre Trump — a prescindere da qualsiasi valutazione di merito.

Quel giorno Trump postò due volte:

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Poche ore dopo il primo tweet Vijaya Gadde scrisse in una chat interna: “potremmo interpretare ‘American Patriots […] will not disrespected or treated unfairly in any way, shape or form’ come una istigazione alla violenza”.

L’istigazione alla violenza sarebbe stato l’ultimo strike necessario per bannare Trump definitivamente. L’interpretazione però era controversa e neanche Vijaya era sicura di questa strada. Sempre nella stessa chat qualcuno disse che “American Patriot” poteva essere inteso come un chiaro riferimento ai manifestanti violenti di Capitol Hill (6 gennaio 2021) e questo avrebbe causato la violazione della “Glorification of Violence policy”.

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Insomma, non c’era più alcun criterio di valuazione, se non la fantasia dei moderatori nell’interpretare il contesto del tweet di Trump. La tensione era talmente alta che nelle ore successive al tweet Trump venne definito come il leader di un’organizzazione terroristica — comparabile perfino a Hitler.

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Alla fine anche la “leadership” di Twitter dovette cedere alle pressioni, sia interne che esterne, e Trump venne bannato definitivamente a causa della supposta violazione della policy contro l’istigazione alla violenza.

Social Network… o strumento di sorveglianza dell’intelligence?


Il sesto e ultimo (per ora) thread sui Twitter Files, scritto poche ore prima dell’uscita di questa newsletter, mostra come le agenzie di intelligence, in particolare FBI e DHS, avessero da tempo rapporti continuativi, amichevoli e molto stretti con diversi referenti di Twitter. Uno su tutti Yoel Roth, che tra gennaio 2020 e novembre 2022 pare che abbia scambiato più di 150 email con l’FBI.

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Ma l’FBI non si limitava a interagire con Twitter. L’agenzia aveva istituito una vera e propria task force di sorveglianza e analisi di post e account sulla piattaforma. L’ingerenza arrivava a tal punto da chiedere “informalmente” a Twitter i dati di localizzazione degli account flaggati — senza alcun mandato né indagine che giustificasse questa richiesta.

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Contrasto al terrorismo? Indagini su crimini federali? Niente di tutto questo: pura sorveglianza e censura politica in materia elettorale. Venivano colpiti perfino di account satirici. Ma è questo il mandato dell’FBI? E davvero siamo disposti ad accettare un abuso di potere di questo tipo?

Un commento


La storia dei Twitter Files non è ancora finita, e certamente ci sono ancora molte domande che meritano risposta. Che dire di tutta la censura sul covid? Solo da poco Twitter ha annunciato di aver disattivato i filtri automatizzati su quei contenuti. E che dire di tutti gli account che sono stati ingiustamente silenziati e shadow-bannati da gennaio 2021 a oggi? Che ruolo ha avuto l’intelligence americana nella gestione occidentale della pandemia e nel flusso delle informazioni?

Politici e intellettuali, per lo più di sinistra, da anni tentano di persuaderci del bisogno di combattere la disinformazione. Ci dicono che è pericolosa, che bisogna proteggere le persone. Ma da cosa?

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In un mondo dove tutto ormai è relativo e non esiste più alcun criterio oggettivo — in cui un giudice della Corte Suprema è incapace perfino di dare una definizione di donna; in cui per mesi si è detto tutto e il contrario di tutto su COVID e vaccini… cosa significa disinformazione?

La verità è che la lotta alla "disinformazione" non esiste. Esiste però una chiara volontà di censurare opinioni e idee che non siano aderenti all’ideologia dominante. Perché l’informazione è potere. Chi controlla l’informazione controlla le idee, che come sappiamo sono più potenti dei proiettili.

Controllare l’informazione serve per plasmare una narrativa capace di rendere le persone sempre più dipendenti dal sistema; convincerle a subire qualsiasi angheria e limitazione di libertà — per il loro bene. Non c’è nulla di nuovo, è così che i governi creano una massa di zombie pronti ad accettare qualsiasi cosa pur di sentirsi al sicuro.

È il modello cinese, quel modello che fin dal 1997 punisce chiunque diffonda informazioni potenzialmente sovversive dell’ordine stabilito. Il modello che i progressisti di tutto il mondo, da Washington a Bruxelles, vogliono applicare ai social network. Il Digital Services Act — non mi stancherò mai di ripeterlo — è questa cosa qua.

Allora oggi dobbiamo chiederci: perché mai qualcuno dovrebbe avere il potere di decidere fino a che punto può spingersi il pensiero prima di diventare illegale? E che impatto ha la censura (e l’annessa sorveglianza di massa) sul nostro mondo? Quanto di ciò che stiamo vivendo in questi anni è frutto dell’evoluzione naturale degli eventi e quanto invece è conseguenza del controllo e della manipolazione delle informazioni da parte di un nucleo ristretto di persone?

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Leggi la seconda parte dei Twitter Files


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