Ucraina: l’uscita russa da Kherson creerà i giusti ‘fatti sul campo’?
Secondo quanto riferito, le forze di Putin se ne stanno andando, forse fornendo un'apertura alla diplomazia che Zelensky afferma ora di sostenere
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Gran Bretagna: il declino di un ex-impero
Ovvero la morte per suicidio, perchè quando vengono meno le qualità nella classe dirigente, le civiltà e le società cominciano a disgregarsi ed a collassare
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Obbligo pneumatici invernali: ecco cosa dice la legge
Anche se in alcune regioni d’Italia potrebbe non sembrare, l’inverno si avvicina e tutti gli automobilisti devono essere pronti ed informati sulle norme di sicurezza da rispettare in vista del freddo. Dal 15 novembre, infatti, i guidatori dovranno per legge cambiare gli pneumatici estivi e installare quelli invernali, più adatti ad affrontare tratti stradali con […]
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USA/ISRAELE. L’insuccesso elettorale trumpista rovina la festa di Netanyahu
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 11 novembre 2022 – Benyamin Netanyahu potrebbe dormire tranquillo tra due guanciali. Ha vinto le elezioni e ha umiliato suoi rivali di sinistra e di destra. Ha ricevuto messaggi di congratulazioni persino dal presidente turco Erdogan, uno dei suoi avversari più agguerriti. E il suo principale partner di governo, l’estremista di destra Itamar Ben Gvir, ieri omaggiava pubblicamente il suo mentore, il rabbino Meir Kahane leader del partito razzista Kach, assassinato 32 anni fa negli Usa, senza suscitare reazioni sdegnate.
Ha davanti una strada in discesa. E invece il premier israeliano in pectore tra non pochi tormenti ha passato la notte di mercoledì a seguire gli aggiornamenti elettorali dagli Stati uniti. La netta sconfitta democratica in cui sperava non c’è stata.
Un’ampia maggioranza repubblicana alla Camera unita a un comodo margine al Senato avrebbe fatto di Joe Biden un presidente debole. E i media americani avrebbero iniziato il conto alla rovescia per il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che resta un alleato naturale di Netanyahu nonostante le invettive lanciate dal tycoon alla fine del 2020. L’allora primo ministro israeliano scelse di congratularsi con il presidente eletto degli Stati uniti e di non credere alla tesi trumpista della vittoria rubata. Con un Biden nell’angolo, il leader della destra israeliana e i suoi alleati si sarebbero sentiti pronti a respingere qualsiasi ammonimento della Casa Bianca. Invece il presidente Usa è ancora in piedi e alcuni governatori democratici sono stati rieletti in importanti Stati. Il Partito democratico ha ottenuto risultati positivi oltre ogni aspettativa e appare in grado di contrastare le ambizioni di Trump che si accinge a candidarsi per le presidenziali del 2024. A rendere più amaro l’esito del voto americano a Netanyahu è stata la vittoria di Josh Shapiro, il prossimo governatore della Pennsylvania, sul trumpista Doug Mastriano molto gradito alle forze che comporranno il nascente governo israeliano.
I Democratici, è bene ricordarlo, non sono ostili a Israele, anche con un governo di destra. E lo hanno dimostrato in innumerevoli occasioni. Biden non ha riportato l’ambasciata Usa a Tel Aviv, ha stretto i rapporti con lo Stato ebraico e rinunciato (per ora) a rilanciare l’accordo internazionale (Jcpoa) sul programma nucleare iraniano. E starà dalla parte di Israele se Netanyahu nei prossimi due anni ordinerà alla sua aviazione di attaccare le centrali atomiche iraniane. «Siamo fratelli» e «faremo la storia insieme» avrebbe detto Biden congratulandosi con Netanyahu. Ma l’attuale Amministrazione non asseconderà, come aveva fatto Trump, tutti i piani dell’estrema destra al potere in Israele. Netanyahu dovrà tenerne conto.
L’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha avvertito in più di una intervista che la Casa Bianca respingerà qualsiasi tentativo del futuro governo israeliano di annettere la Cisgiordania palestinese come Netanyahu aveva provato a fare nel 2020 e che Itamar Ben Gvir, probabile ministro della pubblica sicurezza, intende inserire nel programma dell’esecutivo. «La nostra posizione è chiara: non sosteniamo l’annessione. Combatteremo qualsiasi tentativo in tal senso», ha detto Nides all’emittente pubblica Kan. I commenti dell’ambasciatore sono giunti dopo che Yariv Levin, figura di primo piano della destra, aveva dichiarato che l’annessione della Cisgiordania è in cima all’agenda del futuro governo. Pagine Esteri
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La Vie En Rose per la cooperazione militare tra Meloni e Macron
di Antonio Mazzeo*
(la foto in apertura è di Marie-Lan Nguyen/wikimedia commons)
Pagine Esteri, 8 novembre 2022 – “Ho avuto un dialogo telefonico con il ministro francese ed uno dei temi affrontati è la possibilità per le nostre Marine militari di cooperare sempre di più sul Mediterraneo. Pensiamo alle enormità di cavi, per non parlare del gas che transita nel Mediterraneo, per cui non possiamo permetterci eventi come quello accaduto al Nord Stream. Ormai, viviamo in un mondo diverso e questo ci impone una rivoluzione culturale per adeguarci ai cambiamenti ed il Mediterraneo va difeso. Il Mediterraneo è una priorità per l’Italia che deve riscoprire il suo ruolo con l’Africa e con gli altri paesi che sono ad Ovest ed a Est”. (1) Cannoniere italiane e francesi schierate nel Mare Nostrum, dunque, a difesa di reti di comunicazione digitale ed energia. Ad annunciarlo Guido Crosetto nella sua prima uscita da ministro della Difesa in un convegno internazionale, quello dal significativo titolo “Sicilia, Mediterraneo, Europa: le sfide dell’energia e della sicurezza”, svoltosi a Siracusa dal 27 al 29 ottobre scorso, presenti pure l’ex presidente Ue Romano Prodi, il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, il Comandante in capo della Squadra navale della Marina Aurelio De Carolis e l’ex Capo di Stato maggiore della difesa Vincenzo Camporini.
Temi chiave del meeting i cambiamenti nello scacchiere internazionale dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le nuove strategie globali della NATO e il ruolo economico e militare della Sicilia nel Mediterraneo. “L’Isola è cruciale per l’Europa in due settori vitali: le comunicazioni e l’energia”, spiegano gli organizzatori del convegno. “Davanti alle coste siciliane c’è il Flag (Fiber-Optic Link Around the Globe) su cui viaggiano dati dall’Inghilterra al Giappone. A Palermo è presente un data center neutrale della Sparkle collegato a 18 cavi internazionali che fornisce connettività avanzata tra Medio Oriente, Africa e gli hub europei. Nel triangolo Siracusano, tra Priolo, Melilli, Augusta vi è inoltre uno dei poli chimici più importanti d’Europa, mentre altre raffinerie sono presenti a Gela e a Milazzo”. Un occhio infine al ruolo “rilevante” della Sicilia per la difesa europea e i rapporti transatlantici. “A Sigonella è ospitata una delle basi americane più importanti al mondo”, ricordano gli organizzatori. “A Niscemi insiste il Muos (Mobil User Objective Sistem) parte di un sistema globale e che consente comunicazioni sicure per l’Europa, il Mediterraneo e il continente africano. Infine, Lampedusa è sede di un importante osservatorio radar, mentre ad Augusta vi è uno strategico porto militare”. (2)
Dopo la crisi politico-diplomatica tra Roma e Parigi al tempo dei bombardamenti NATO alla Libia di Gheddafi, principale causa il pressing dei colossi energetici francesi per soffiare all’ENI una parte delle fonti petrolifere esistenti nel martoriato paese nordafricano, adesso si punta a fare fronte comune nel Mediterraneo per “stabilizzare” il nord Africa e la regione sub-sahariana. Progetto militare ambizioso che l’esecutivo di estrema destra Meloni-Crocetto eredita per intero dai predecessori Draghi-Guerini (quest’ultimo ministro della difesa Pd anche con il governo Conte bis).
“In virtù della propria storia, delle ottime relazioni e delle ambizioni condivise, Italia e Francia non possono che essere protagoniste attive del futuro, come del presente, dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica, anche a fronte delle sfide inedite poste dallo scenario internazionale”, aveva espresso con fin troppo enfasi Lorenzo Guerini in occasione della telefonata a Sébastien Lecornu, neoministro delle Forze Armate della Repubblica francese (8 giugno 2022). “Rimarcando l’ottima collaborazione sul piano militare, il Ministro Guerini si è inoltre soffermato sulle attività comuni svolte nelle aree di prioritaria importanza strategica, come il Sahel, la cui stabilità è decisiva per gli equilibri di sicurezza dell’intera Europa, confermandosi reciprocamente la convinta volontà di cooperare con la massima efficacia”, riportava l’ufficio stampa del Ministero della Difesa. In chiusura di colloquio, Guerini e Lecornu affrontavano il tema della cooperazione militare-industriale “indispensabile anche ai fini del conseguimento del progetto di Difesa Europea e della compiuta autonomia strategica dell’Europa”. (3)
A sigillo della ritrovata amicizia diplomatico-militare il 26 novembre 2021 era stato firmato a Roma dal Presidente del Consiglio Mario Draghi e dal Presidente della Repubblica Emmanuel Macron il “Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata”. Sicurezza comune, proiezione nello scacchiere africano, rafforzamento del pilastro europeo NATO e sostegno dei gruppi industriali-militari nazionali gli obiettivi strategici delineati dal Trattato. “Le Parti s’impegnano insieme a rafforzare le relazioni dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri con il continente africano, con particolare attenzione al Nord Africa, al Sahel e al Corno d’Africa”, si legge all’art. 1 (Affari esteri). All’art. 2 (Sicurezza e difesa) i due governi si dichiarano pronti “a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate (formazione, addestramento, transito e stazionamento sul territorio, ecc.), sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature” e a “sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ovunque i loro interessi strategici s’incontrino. Roma e Parigi si dicono concordi nel promuovere “alleanze strutturali” con la “costituzione di partnership industriali in specifici settori militari, nonché dei progetti congiunti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente (PESCO), con il sostegno del Fondo europeo per la difesa”.
Ampia attenzione è riservata al potenziamento del settore spaziale. In particolare all’art. 7 del Trattato si riporta che Italia e Francia “favoriscono il coordinamento e l’armonizzazione delle loro strategie ed attività nel campo dell’esplorazione e dell’utilizzo dello spazio extra-atmosferico a fini pacifici e dell’accesso autonomo allo spazio da parte dell’Europa”, puntando a “consolidare la competitività e l’integrazione dell’industria spaziale” e a sostenere direttamente i “lanciatori istituzionali” Ariane e Vega e la base europea di lancio di Kourou (Guyana francese). “Nel settore dei sistemi orbitali, si intende incoraggiare e sviluppare la cooperazione industriale nel settore dell’esplorazione, dell’osservazione della terra e delle telecomunicazioni, della navigazione e dei relativi segmenti terrestri”, si specifica sempre all’art. 7. Infine l’impegno comune nel campo della cooperazione transfrontaliera tra le forze dell’ordine. “Le Parti lavorano alla creazione di un’unità operativa italo-francese per sostenere le forze dell’ordine in funzione di obiettivi comuni, in particolare nella gestione di grandi eventi e per contribuire a missioni internazionali di polizia”, si legge ancora nel Trattato. Previste a tal fine “attività di formazione comune e di scambio professionale e di conoscenze e competenze in ambito securitario”. (4)
In verità la collaborazione delle forze di polizia dei due paesi “contro il terrorismo e l’immigrazione irregolare” era stata rafforzata dopo l’incontro a Roma del 5 novembre 2020 tra l’allora ministra dell’interno Luciana Lamorgese e l’omologo francese Gerald Darmanin. “Per tale ragione, Parigi e Roma stanno per realizzare un piano sperimentale in cui brigate miste, ovvero pattuglie congiunte, verranno dispiegate per un periodo di sei mesi al confine franco-italiano”, aveva specificato la titolare del Viminale. Oltre alle operazioni alle frontiere furono concordate anche attività di contrasto dei flussi migratori provenienti dalla Tunisia, con lo schieramento di unità militari e delle forze di polizia al largo del Paese nordafricano e in collaborazione con le autorità di Tunisi. (5)
Si è assistito negli ultimi anni pure alla crescita del numero e delle dimensioni delle esercitazioni militari tra le unità navali, di terra e aeree italiane e francesi. Tra le più rilevanti va annotata la lunga campagna addestrativa di una decina di piloti e operatoti specialisti del 4° Gruppo Elicotteri della Marina militare di stanza a Grottaglie, a bordo della portaelicotteri anfibia Mistral e della fregata Guepratte. Le due unità della Marine Nationale dopo aver lasciato il 26 febbraio 2020 il porto di Tolone hanno raggiunto prima l’Oceano Indiano per collaborare con la “Combined Task Force 150”, la forza multinazionale sotto la guida del Comando navale USA in Bahrein che opera nell’area per “contrastare la pirateria e il terrorismo internazionale”; poi si sono spinte in navigazione fino all’Australia e alla Nuova Caledonia.
Intenso periodo addestrativo (primavera 2020) nel Golfo di Leone (Mediterraneo nord-occidentale) per la fregata multi-missione Carlo Margottini a fianco del gruppo navale francese composto dalle navi Ducuing e Provence. “L’esercitazione organizzata dalla Marine Nationale, con il supporto del personale del Centro di Addestramento Aeronavale di Taranto, è stata indirizzata principalmente alla lotta anti-sommergibile”, ha spiegato lo Stato Maggiore della Marina. “Sotto la superficie del mare, invisibili agli occhi ma non ai moderni sonar delle unità navali, due sottomarini nucleari francesi hanno simulato lo schieramento delle forze nemiche per l’intera durata dell’esercitazione”. (6)
foto di Dimitri Torterat
Il 6 e 7 marzo 2021 si è tenuto nelle acque del Mediterraneo centrale un altro importante addestramento navale, con tre fregate “cugine” Fremm, un paio di sottomarini, un pattugliatore marittimo francese ATL2 proveniente dalla base siciliana di Sigonella e un elicottero SH101 ASW di Maristaeli Catania. (7) Ancora più complessa l’esercitazione “Polaris 21” (acronimo di Préparation Opérationnelle en Lutte Aéromaritime, Résilience, Innovation et Supériorité) nel novembre 2021, con assetti aereo-spaziali, terrestri, navali e subacquei di Italia (la fregata multi missione Carlo Bergamini), Francia, Grecia, Spagna, Regno Unito, USA e NATO (un aereo-radar E-3 “Awacs”). Ai war games hanno partecipato pure la portaerei nucleare Charles de Gaulle con una ventina di cacciabombardieri “Rafale”, un pattugliatore marittimo P-8A “Poseidon” di US Navy e un “Atlantique 2” transalpino decollati entrambi da Sigonella. (8) Quasi in contemporanea, presso il Massiccio dei Cerces, sulle Alpi francesi, si svolgeva l’esercitazione “Cerces 2021”, con la partecipazione del 9° Reggimento alpini dell’Aquila, del 32° Reggimento genio di Fossano (Cuneo) e della 27ª Brigade d’infanterie de montagne francese. “Lo scambio di esperienze nell’impiego di armi ed equipaggiamenti e l’integrazione delle procedure tattiche utilizzate dai reparti dei due Paesi, contribuisce ad incrementare l’interoperabilità e il coordinamento addestrativo e operativo, soprattutto nel cosiddetto Mountain Warfare, ossia la capacità di muovere e combattere in ambiente montano mediante l’impiego combinato di assetti di fanteria leggera, artiglieria, genio e unità”, riportava lo Stato Maggiore dell’Esercito. L’attività veniva condotta a seguito di specifici accordi bilaterali, nell’ambito del progetto Not Standing Bi-National Brigade Command che “prevede la costituzione di un comando brigata bi-nazionale non permanente e periodiche esercitazioni tra le unità della brigata alpina Taurinense e la 27ª brigata di fanteria francese – e che ne ha visto l’impiego all’estero nell’operazione UNIFIL in Libano nel 2015-16”. (9)
Nel febbraio 2022 Italia e Francia hanno promosso una serie di operazioni congiunte nel Mediterraneo tra le portaerei Cavour e Charles de Gaulle. Dal 24 febbraio (giorno dell’invasione russa dell’Ucraina) e fino al 2 marzo si è tenuta invece l’esercitazione multinazionale “Aster-X 2022”, promossa dal Ministero della Difesa francese per potenziare le capacità di “tracciamento di oggetti spaziali e flussi di comunicazione satellitare” e che ha visto il coinvolgimento del neocostituito Comando delle Operazioni Spaziali di Roma, del Centro Interforze di Gestione e Controllo SICRAL di Vigna di Valle e del Centro di Telerilevamento Satellitare di Pratica di Mare, i tre organismi a capo dell’onerosa strategia nazionale nel settore militare spaziale. (10) Infine ancora un’esercitazione alla guerra anti-sottomarini a metà giugno (“Squale 22”) nelle acque tra la Corsica e la Costa Azzurra, presenti le fregate Alpino, Languedoc, Alsace e Chavalier Paul, l’unità d’assalto anfibio Dixmude, il sommergibile nucleare Emeraude e il cacciatorpediniere statunitense USS Arleight Burke.
Numerosi i progetti di sviluppo industriale nel settore bellico proposti, avviati o ampliati con la firma del “Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata” di fine 2021. Già in occasione del vertice di Roma del 9 luglio 2020, gli allora ministri Lorenzo Guerini e Florence Parly si erano detti “orgogliosi di constatare che Italia e Francia si distinguono nella cooperazione europea, la PESCO, dove complessivamente guidano 20 progetti su 47 e compartecipano in numerosi altri”. I due ministri si dichiaravano d’accordo nel prendere a “esempio virtuoso” l’accordo siglato tra le grandi aziende Fincantieri SpA e Naval Group per dar vita ad una joint venture italo-francese della cantieristica navale militare, riproponendo lo schema anche per altri settori come ad esempio quello dello spazio e dei sistemi di difesa antimissile, della “progettualità multilaterale” per un drone armato europeo e per un mezzo pesante di nuova generazione per gli eserciti dei due paesi. (11)
In occasione degli ultimi Scambi per la dottrina, lezioni idendificate e simulazioni (i cosiddetti Colloqui Fidelis che si tengono annualmente tra i due eserciti nazionali), la delegazione italiana ha presentato agli alleati le nuove concezioni operative 2020-2035 e quelle per il “Dominio Spazio”, nonché i risultati della campagna di sperimentazione dei nuovi sistemi robotizzati e interamente automatizzati (Robotics and Autonomous Systems) e di quelli previsti dal “Programma Forza NEC (Network Enabled Capabilities)”, il progetto congiunto Difesa-Industria nato per “abbattere i tempi di comunicazione e di acquisizione delle informazioni” per la conduzione delle operazioni belliche più moderne. La delegazione francese ha invece presentato i programmi di rinnovamento e modernizzazione delle capacità di combattimento terrestre “Scorpion”, “Vulcain” e “Titan”. (12)
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, e il generale francese Thierry Burkhard (foto dello Stato Maggiore della Difesa).
Il 23 giugno 2022, nel corso di un vertice tra il Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e l’omologo francese generale Thierry Burkhard, è stato deciso di rafforzare i rapporti tra i due Stati Maggiori con la firma di un Military Cooperation Framework. “Si tratta del documento quadro concettuale per la cooperazione bilaterale, discendente dal Trattato del Quirinale, entro il quale si svilupperanno le future aree di collaborazione tra Francia e Italia”, ha spiegato il Ministero della Difesa, omettendo però di fornirne i contenuti e le immaginabili ricadute di politica industriale-militare. Qualcosa di più è trapelata a conclusione dell’incontro a Napoli del 22 settembre 2022 tra il comandante logistico della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe Abbamonte, e il direttore centrale del servizio per il sostegno alla flotta francese, Guillaume de Garidel-Thoron. “Alla luce dei positivi ritorni degli accordi tecnici in vigore per la classe di fregate-cacciatorpediniere Orizzonte, su delega dei rispettivi Ministeri della Difesa, sono stati firmati due accordi tecnici dedicati al supporto comune delle unità navali Classe Fremm: uno per lo scambio di informazioni tecniche, l’altro per lo scambio di parti di ricambio”, annota l’ufficio stampa della Marina. “Dell’attuazione degli accordi beneficeranno gli impianti comuni installati a bordo di 18 fregate multi- missione, 10 italiane e 8 francesi”. (13)
L’affaire militare più redditizio per le industrie militari italo-francesi riguarda però lo sviluppo di una nuova generazione del sistema missilistico superficie-aria di “media portata terrestre” SAMP/T. Il 19 marzo 2021 l’Agenzia OCCAR (Organizzazione Congiunta per la Cooperazione negli Armamenti) ha stipulato a Parigi l’emendamento al preesistente contratto sottoscritto con il consorzio EUROSAM (composto dal gruppo aerospaziale francese Thales e dall’holding missilistica MBDA, controllata da Airbus, BAE Systems e dall’italiana Leonardo SpA) per dare il via alla progettazione del SAMP/T NG (New Generation) che impiegherà missili intercettori ipersonici con capacità di colpire bersagli fino a 1.000 km di distanza. “Il SAMP/T NG è l’evoluzione, più performante dell’omonimo sistema missilistico terrestre di difesa di area antiaereo ed antimissile sviluppato negli anni ’90 e in dotazione all’Esercito Italiano ed all’Aeronautica francese dal 2013”. spiega la Difesa. “In ambito nazionale è stato schierato, dal dicembre 2015 al dicembre 2016 per la sorveglianza dello spazio aereo della città di Roma, in occasione del Giubileo straordinario della misericordia mentre dal giugno 2016 al dicembre 2019 è stato schierato a ridosso del confine turco con la Siria, come assetto di difesa aerea della NATO (missione Active Fence)”. Allo sviluppo della nuova generazione di missili superficie-aria, oltre a MBDA Italia e Leonardo partecipano le aziende Avio e Simmel nella realizzazione dell’unità di controllo del fuoco, della testata di guerra e del radar Kronos GMHP. (14)
La firma del Trattato di cooperazione bilaterale del 26 novembre 2021 ha contribuito anche a una maggiore condivisione tra Roma e Parigi delle politiche di approvvigionamento energetico ed investimento finanziario a favore dei gruppi industriali che operano nel settore energia (gas, petrolio e nucleare di ultima generazione). “I rapporti italo-francesi nel campo energetico sono operativi già da decenni (possiamo citare ad esempio le presenze in territorio francese di ENI, ENEL, Saipem ed ERG e di EDF – Electricitè de France – attraverso il controllo di Edison nel nostro Paese), e si sviluppano soprattutto nell’ambito delle interconnessioni per la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale con infrastrutture già esistenti e funzionanti che con progetti in via di realizzazione”, rileva l’esperto di politiche e infrastrutture energetiche Antonello Assogna (Fondazione Tarantelli), già responsabile aziendale di Italgas Roma. “I rapporti italo-francesi nel comparto delle reti energetiche sono in via di potenziamento attraverso l’impegno, per quanto riguarda la competenza italiana, delle aziende Terna Spa (holding pubblica che controlla la rete di trasmissione e trasporto di energia elettrica) e Snam Spa (società sempre a maggioranza pubblica che gestisce i 32.000 km di metanodotti italiani)”.
Ancora Antonello Assogna ricorda come il gruppo Terna SpA, in collaborazione con la Società francese Réseau de Transport d’Electricité, stia sovrintendendo all’interconnessione elettrica tra Francia/Corsica e Italia e alla realizzazione di un nuovo collegamento di rete tra Piossasco (Torino) e Grande Ile (Savoia). “La Snam dal 2013 è azionista di maggioranza relativa della Terega SpA (nel 2013 TIGF), uno dei principali operatori di trasporto e stoccaggio del gas naturale, la cui rete è collocata in una vasta area territoriale in grado di garantire il flusso del gas naturale tra l’est e l’ovest e il nord e il sud dell’Europa”, conclude l’esperto della Fondazione Tarantelli. (15)
La guerra in Ucraina ha esso a nudo la fragilità e le contraddizioni dei sistemi di fornitura e produzione energetica, accelerando i processi di militarizzazione a “difesa” di rotte, reti e impianti. Il neo-ministro Crocetto a Siracusa ha delineato una visione strategica chiara e netta: nuove armi, nuovi eserciti e nuove flotte per l’espansione dei fatturati e dei dividendi dei colossi transnazionali dell’energia, con un’Italia sempre più guardia armata del Mediterraneo allargato, dall’Atlantico al mar Nero e dai mari del Nord fino al Golfo di Guinea, al Corno d’Africa e al Mozambico. Pagine Esteri
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
Note:
1) siracusapress.it/cronaca/sirac…
2) https://www.blogsicilia.it/siracusa/geopolitica-difesa-meeting-mannino-crosetto-prodi/793279
4) governo.it/sites/governo.it/fi…
5) menanews.info/2020/11/07/franc…
6) marina.difesa.it/media-cultura…
7) marina.difesa.it/media-cultura…
8) navalnews.com/naval-news/2021/…
9) esercito.difesa.it/comunicazio…
10) reportdifesa.it/esercito-itali…
11) difesa.it/Pagine/PageNotFoundE…
12) esercito.difesa.it/comunicazio…
13) marina.difesa.it/media-cultura…
14) difesa.it/SGD-DNA/InfoCom/News…
15) geopolitica.info/rapporti-ener…
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Ucraina – Kherson: di là dal fiume e tra gli alberi
Cosa sta succedendo in città tra annunci di ritiro, timori per una trappola e speranze per una trattativa? Cosa faranno i russi una volta giunti in massa dall’altra parte del fiume? Si potrebbe parlare di negoziato, magari già quest’inverno?
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Opposing expansion of Bristol airport
Solidarity from Florence, Italy, where they are trying to expand Peretola airport
grassrootsalternatives.uk/2022…
An update on actions opposing the expansion of Bristol Airport
Firstly, this is the piece we wrote back in October outlining our objections to the expansion of the airport: Why it has to be no go for Bristol Airport expansion 20.10.22. It’s getting close…GRASSROOTS ALTERNATIVES
Perché resta pericolosa l'esportazione di dati verso gli USA
Trasferimento dati Ue-Usa: tutti i dubbi sull’ordine esecutivo di Biden
L’executive order firmato da Biden risponde alla necessità di trovare un accordo che permetta alle imprese europee di trasferire verso il nuovo continente i dati personali trattati.Elio Franco (Agenda Digitale)
DiPorto
In porto è andata assai male. Così si arreca un danno all’Italia fingendo di presidiarne gli interessi. Fuori dal porto è andata anche peggio, perché si è avuta l’impressione che il governo non avesse cognizione di quel che stava accadendo. Abbiamo anche ringraziato la Francia per averci, non a torto, rimproverato. Se si vuole difendere gli interessi italiani si sappia che l’ottuso nazionalismo li danneggia e il propagandismo monotono e negatore della realtà è stucchevole. Mettiamo in fila gli errori e immaginiamo come si possa evitarne la replica.
Più della metà degli sbarchi irregolari, secondo i dati del ministero degli Interni, avviene dopo una traversata fatta a bordo di barconi. Quelli o li fai scendere o li condanni a morte. Poco meno della metà degli sbarchi avviene a seguito di ribaltamenti e naufragi, quindi arrivano a terra, per la grande parte, a bordo delle imbarcazioni italiane, in primis Guardia Costiera. Le Ong coprono il 16%, in questa seconda metà. Ammesso abbia un senso dichiarare loro guerra, resterebbero i tre quinti del problema. Ciò basti per capire che la propaganda della fermezza smotta sulla realtà.
Alcuni degli sbarchi da navi Ong avvengono in modo concordato con le autorità italiane. Da ultimo in Calabria. Per gli altri, senza generalizzare, la questione è: se si ritiene di avere gli elementi per accusare una nave di avere agito in combutta con i trafficanti, si fanno scendere gli occupanti e si sequestra la nave. Il ministro Minniti, uomo della sinistra sbranato dalla sinistra (e sono colpe che non si cancellano), era andato oltre: le Ong firmino un protocollo, altrimenti non ci parliamo.
Pensare di fare scendere alcuni e non altri, come stabilito dal governo, è un doppio errore. Intanto perché non c’è base giuridica, difatti sono poi sbarcati tutti. Per giunta con la tremula ipocrisia del certificato medico. Poi perché far scendere malati e fragili significa avere di sé stessi l’idea d’essere un ospedale. O un lazzaretto. Facciamo scendere solo quelli che ci costeranno e non quelli che potranno produrre. Non è fermezza, è fissità allocca.
L’Italia è il Paese che riceve più fondi europei, come ci ha delicatamente ricordato la Francia, pensare di agire in contrasto con leggi e Unione europea per il solo gusto di affermare una propaganda di parte significa subordinare gli interessi nazionali ai propri.
Detto ciò, posto che propaganda fessa è questa e propaganda fessa è anche quella del volemose bene e venite tutti a farci compagnia, che fare? Primo, regolare i rapporti con le Ong, considerando quelle navi non pescherecci di passaggio, ma strumenti dedicati alla raccolta di emigranti, come, del resto, hanno scritto sulla fiancata. Se vuoi collaborare con l’Italia ti registri e firmi un accordo, senza presentarci i casi a uno a uno.
Secondo, si chiede che gli accordi di Dublino (firmati prima dalla destra e poi dalla sinistra, in ogni caso accettati dall’Italia, ove abbia un senso parlarne in termini di nazione) siano modificati: una cosa è il signore che becco alla frontiera da irregolare, sicché è mio dovere territoriale identificarlo e valutarne l’ingresso o il respingimento, altra, assai diversa, sono gli arrivi in massa, quel che va chiesto è che gli sbarchi di questi ultimi avvengano in zona sicura, pronti al soccorso, ma extraterritoriale, di competenza Ue.
In altre parole: non ci si rivolge al Tar, ma alla Commissione Ue. In quella zona la competenza e giurisdizione esclusiva è Ue, operata per il tramite delle forze nazionali presenti nel punto di sbarco. Quindi non si sbarca più in Italia o in Francia, ma in Ue, con quel che consegue. Compreso il fatto che i soldi non li prendiamo più noi, ma finanziano quella struttura.
Il tutto ricordando che abbiamo bisogno di immigrati, che dovremmo sceglierli e per farlo si devono emanare decreti flussi continui e congrui. Sempre che si stia parlando di interessi italiani e non di propagande da diporto.
L'articolo DiPorto proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Il fondatore di Mastodon, rivale di Twitter, ha una visione per la democratizzazione dei social media
Articolo originale: time.com/6229230/mastodon-euge…
Mentre Twitter cambiava proprietario alla fine di ottobre, un altro sito di social media molto simile stava vivendo una sorta di ondata.
Mastodon, un sito di microblogging decentralizzato che prende il nome da un tipo di mammut estinto (sic, ndt), ha registrato 120.000 nuovi utenti nei quattro giorni successivi all'acquisizione di Twitter da parte del miliardario Elon Musk, come racconta il suo fondatore tedesco Eugen Rochko a TIME. Molti di loro erano utenti di Twitter alla ricerca di un nuovo luogo uogo di residenza online.
Questi utenti, che lo sapessero o meno, stavano seguendo le orme di Rochko, 29 anni, che ha iniziato a creare Mastodon nel 2016 dopo essere rimasto deluso da Twitter. "Pensavo che potermi esprimere online con i miei amici attraverso brevi messaggi fosse molto importante per me, importante anche per il mondo, e che forse non avrebbe dovuto essere nelle mani di un'unica società", racconta Rochko. "Era generalmente legato a un sentimento di sfiducia nei confronti del controllo dall'alto che Twitter esercitava".
Mastodon, che proclama con orgoglio di non essere "in vendita" e di avere circa 4,5 milioni di account utente, è piuttosto simile a Twitter, una volta che gli utenti superano il complicato processo di registrazione. La differenza principale è che non si tratta di un'unica piattaforma coesa, ma di un insieme di server diversi, gestiti in modo indipendente e autofinanziati. Gli utenti dei diversi server possono comunque comunicare tra loro, ma chiunque può creare il proprio server e stabilire le proprie regole di discussione. Mastodon è un'organizzazione no-profit finanziata dal crowdfunding, che finanzia il lavoro a tempo pieno di Rochko, il suo unico dipendente, e diversi server popolari.
La piattaforma non ha il potere di obbligare i proprietari dei server a fare qualcosa, nemmeno a rispettare gli standard di moderazione dei contenuti. Sembra la ricetta per un paradiso online per i troll di estrema destra. Ma in pratica, molti dei server di Mastodon hanno regole più severe di Twitter, dice Rochko. Quando appaiono server che incitano all'odio, gli altri server possono unirsi per bloccarli, ostracizzandoli essenzialmente dalla maggior parte della piattaforma. "Credo che si possa chiamare processo democratico", dice Rochko.
Secondo Rochko, il recente afflusso da Twitter è stato una conferma. "È una cosa molto positiva scoprire che il proprio lavoro viene finalmente apprezzato, rispettato e conosciuto in modo più ampio", afferma. "Ho lavorato molto, molto duramente per spingere l'idea che c'è un modo migliore di fare social media rispetto a quello che le aziende commerciali come Twitter e Facebook permettono".
TIME ha parlato con Rochko il 31 ottobre.
Questa intervista è stata condensata e modificata per chiarezza.
Cosa pensa di ciò che Elon Musk sta facendo a Twitter?
Non lo so. Quest'uomo non è del tutto comprensibile. Non condivido molti dei suoi comportamenti e delle sue decisioni. Credo che l'acquisto di Twitter sia stata una decisione impulsiva di cui si è presto pentito. E che si sia trovato in una situazione che lo ha costretto a impegnarsi nell'affare. Ora è coinvolto e deve affrontare le conseguenze.
In particolare, non sono d'accordo con la sua posizione sulla libertà di parola, perché penso che dipenda dalla vostra interpretazione di cosa significhi libertà di parola. Se si permette alle voci più intolleranti di esprimersi a voce alta, si rischia di far tacere anche le voci di opinioni diverse. Quindi, permettere la libertà di parola consentendo tutti i discorsi non porta alla libertà di parola, ma solo a una fogna di odio.
Credo che questa sia un'idea tipicamente americana, quella di creare un mercato delle idee in cui si possa dire tutto ciò che si vuole senza limiti. È molto estranea alla mentalità tedesca dove, nella nostra Costituzione, la priorità numero uno è il mantenimento della dignità umana. Quindi, l'incitamento all'odio non fa parte del concetto tedesco di libertà di parola, ad esempio. Quindi credo che quando Elon Musk dice che tutto sarà permesso, o qualsiasi altra cosa, in genere non sono d'accordo.
Come fate a garantire su Mastodon, visto che è decentralizzato e non avete il potere di bandire gli utenti, che lo spazio sia accogliente e sicuro?
Beh, questa è la strana dicotomia di come le cose si sono evolute. Da un lato, la tecnologia stessa permette a chiunque di ospitare il proprio server di social media indipendente e di poterne fare tutto ciò che vuole. Non c'è modo per Mastodon, per l'azienda o per chiunque altro - a parte le normali procedure di applicazione della legge - di perseguire chiunque gestisca specificamente un server Mastodon. Il modo in cui si chiude un normale sito web è lo stesso in cui si chiude un server Mastodon, non c'è alcuna differenza. Quindi, da questo punto di vista, risulta essere la piattaforma definitiva per la libertà di parola. Ma ovviamente questo è solo un effetto collaterale della creazione di uno strumento che può essere usato da chiunque. È un po' come le automobili. Le auto sono usate da tutti, anche da persone cattive, anche per scopi sbagliati, e non c'è niente che si possa fare, perché lo strumento è là fuori. Tuttavia, credo che il fattore di differenziazione rispetto a qualcosa come Twitter o Facebook sia che su Mastodon, quando si ospita il proprio server, si può anche decidere quali regole far rispettare su quel server, il che consente alle comunità di creare spazi più sicuri di quelli che potrebbero altrimenti avere su queste grandi piattaforme che sono interessate a servire il maggior numero di persone possibile, magari aumentando il coinvolgimento di proposito per aumentare il tempo che le persone trascorrono sul web.
Le comunità possono avere regole molto più rigide di quelle di Twitter. E in pratica, molte di esse sono più severe. E questo è un aspetto in cui, ancora una volta, la tecnologia si interseca con la guida o la leadership dell'azienda Mastodon. Credo che, grazie al modo in cui comunichiamo pubblicamente, abbiamo evitato di attirare una folla di persone come quelle che si trovano su Parler o Gab, o qualsiasi altro forum di odio su Internet. Abbiamo invece attirato il tipo di persone che, quando gestiscono i propri server, si moderano contro i discorsi d'odio. Inoltre, fungiamo anche da guida per chiunque voglia unirsi a noi. Sul nostro sito web e sulle nostre app, infatti, forniamo un elenco predefinito di server curati su cui le persone possono creare account. E grazie a ciò, ci assicuriamo di curare l'elenco in modo tale che qualsiasi server che voglia essere promosso da noi debba accettare un certo insieme di regole di base, una delle quali è che non sono consentiti discorsi di odio, sessismo, razzismo, omofobia o transfobia. In questo modo ci assicuriamo che l'associazione tra i Mastodon, il marchio e l'esperienza che le persone desiderano sia quella di uno spazio molto più sicuro rispetto a qualcosa come Twitter.
Ma cosa succede se le persone che incitano all'odio creano un server?
Beh, ovviamente non vengono promossi sul nostro sito web "Join Mastodon" o nella nostra app. Quindi, qualsiasi cosa facciano, la fanno per conto loro e in modo completamente separato, e gli altri amministratori che gestiscono i propri server Mastodon, quando scoprono che c'è un nuovo server di incitamento all'odio, possono decidere di non voler ricevere alcun messaggio dal server e di bloccarlo da parte loro. Attraverso il processo democratico, il server che incita all'odio può essere ostracizzato o può essere diviso in una piccola camera d'eco, che non è né migliore né peggiore di un'altra camera d'eco. Internet è pieno di spam. È pieno di abusi, ovviamente. Mastodon fornisce le strutture necessarie per gestire i contenuti indesiderati, sia per gli utenti che per gli operatori.
Cosa l'ha spinta a creare un servizio come questo nel 2016?
Ricordo che non ero molto soddisfatto di Twitter e mi preoccupavo di dove sarebbe andato a finire. C'era qualcosa di molto discutibile nel suo futuro. Questo mi ha fatto pensare che la possibilità di esprimermi online con i miei amici attraverso brevi messaggi era molto importante per me e anche per il mondo, e che forse non dovrebbe essere nelle mani di un'unica società che può farne quello che vuole. Ho iniziato a lavorare su una cosa mia. L'ho chiamato Mastodon perché non sono bravo a dare un nome alle cose. Ho scelto quello che mi veniva in mente in quel momento. Ovviamente all'epoca non c'era l'ambizione di diventare grandi.
Deve essere una sensazione speciale vedere qualcosa che hai creato crescere dal nulla fino a dove è ora.
È vero. È una cosa molto positiva scoprire che il proprio lavoro viene finalmente apprezzato, rispettato e conosciuto in modo più ampio. Ho lottato a lungo per questo, ho iniziato a lavorare su Mastodon nel 2016, ma allora non avevo alcuna ambizione che andasse lontano. All'inizio era un progetto molto hobbistico, poi quando l'ho lanciato pubblicamente è sembrato toccare le corde almeno della comunità tecnologica ed è stato allora che ho ottenuto i primi sostenitori di Patreon che mi hanno permesso di intraprendere questo lavoro a tempo pieno. Da allora ho lavorato molto, molto duramente per rendere questa piattaforma il più possibile accessibile e facile da usare per tutti. E per portare avanti l'idea che c'è un modo migliore di fare social media rispetto a quello che permettono le aziende commerciali come Twitter e Facebook.
Thousands Have Joined Mastodon Since Twitter Changed Hands. Its Founder Has a Vision for Democratizing Social Media
Thousands of users have joined Mastodon since Elon Musk took control of Twitter. Mastodon's founder Eugen Rochko says it's been a vindicationBilly Perrigo (Time)
Migranti, Francia, Germania 1989: inadeguatezza ‘carte alla mano’
A Catania con i migranti il governo non ci mette la faccia, i medici si, e altri medici si vergognano di aver fatto bene il loro dovere, mentre il giochetto con la Francia è tutto da vedere quanto ci costerà. Intanto il Ministro dell'Istruzione prova riscivere la storia e interpretare il comunismo, ma parrebbe alla maniera del ventennio
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Midterm USA 2022: cinque ragioni per cui i risultati elettorali contano
Con l’arrivo dei risultati delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, è evidente che l'”onda rossa” repubblicana prevista da molti esperti non si è concretizzata. I primi numeri indicano che è probabile che i repubblicani riprenderanno la Camera dei Rappresentanti, ma con numeri più esigui del previsto, anche se il Senato degli Stati Uniti […]
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I team di #privacy e sicurezza di #Twitter sono in subbuglio dopo che le modifiche apportate da Elon Musk al servizio hanno aggirato i suoi processi standard di governance dei dati. Ora, un avvocato dell'azienda sta incoraggiando i dipendenti a cercare la protezione degli informatori "se ti senti a disagio per qualcosa che ti viene chiesto di fare".
theverge.com/2022/11/10/234511…
Twitter lawyer warns that Elon Musk is putting company at risk of billions in FTC fines
Twitter’s chief privacy officer, chief compliance officer, and chief information security officer have all stepped down.Alex Heath (The Verge)
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Armenia – Azerbaigian: per la pace si deve ripartire dal passato
Il lungo conflitto tra Azerbaigian e Armenia sulla regione del Karabakh – una sanguinosa occupazione durata 30 anni che ha visto 30.000 azerbaigiani uccisi e centinaia di migliaia di migliaia espulsi dalle loro terre – sta mostrando segnali positivi di avvicinamento a una pace duratura. La calma segue una tempesta senza precedenti di aggressione militare, […]
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Il nuovo accordo di sicurezza Giappone-Australia
L’incontro del 22 ottobre tra il primo ministro giapponese Kishida Fumio e il primo ministro australiano Anthony Albanese a Perth ha fatto notizia soprattutto grazie al saluto tipicamente australiano in attesa del primo ministro giapponese, un abbraccio con un koala e un servizio fotografico con i giubbotti verdi abbinati. Dietro gli animali da coccolare e lo […]
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Il raggruppamento di unità russe in Bielorussia continua a crescere
Dall’inizio della campagna di ‘mobilitazione parziale’ in Russia, in Bielorussia sono iniziati processi che hanno creato un maggiore potenziale di escalation armata in questa direzione, in particolare nell’Ucraina settentrionale. In quanto tale, il 14 ottobre, secondo il ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Makei, la Bielorussia ha iniziato a introdurre un regime di operazioni antiterrorismo (CTO) […]
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Ricostruire il ruolo della Cina nella sicurezza regionale asiatica
Oggi la possibilità di consolidare un’architettura regionale inclusiva per una sicurezza globale nell’Asia del Pacifico è diventata quasi inconcepibile. Questo perché la tensione Cina-USA in corso sembra aver escluso tale opzione. Gli Stati Uniti sono stati impegnati a consolidare le loro vecchie alleanze militari ea metterne insieme di nuove nella regione per competere e contenere […]
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Ho iniziato a leggere le specifiche di ActivityPub, il protocollo del Fediverso.
Oltre ad essere di indubbio interesse, mi sono state subito simpatiche perché, pur essendo un documento molto tecnico, non mancano di umorismo che le rende meno noiose. Inoltre hanno una bella introduzione ad alto livello, che agevola molto la comprensione.
Ma soprattutto perché negli esempi compaiono Alyssa e Ben. Altro che Alice e Bob!
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Attenti al commercio
La sua fluidità e la vigilanza sui rischi che comporta è oggi l’aspetto più importante della politica estera europea
Il dilemma del commercio Laissez faire, laissez passer è la famosa frase, attribuita all’economista francese del XVIII secolo de Gournay, che riassume il principio secondo il quale il governo non deve intromettersi nell’attività economica di imprese ed individui. Il laissez-faire è diventato nel linguaggio corrente a il sinonimo del liberismo economico, ma il suo corollario è altrettanto importante perché senza far passare alle merci i confini geografici l’attività produttiva diventa zoppa.
Lunedì 31 ottobre si sono riuniti a Praga i ministri del commercio estero dell’Unione Europea alla presenza della collega americana Katherine Tai e in questo incontro sono venuti al pettine tre nodi fondamentali. Il primo e più pressante: come comportarsi con gli Stati-canaglia oltre ad infliggergli sanzioni sempre più pesanti?
Secondo quesito: cosa fare con i paesi alleati o comunque non ostili che adottano misure protezionistiche?
Terzo dilemma: accettare sempre i soldi per investimenti da parte di chi gode di vantaggi ingiustificati in termini di sussidi o persegue fini politici?
La domanda iniziale parte da un presupposto: le sanzioni economiche sono dannose sia per chi le infligge che per chi le subisce. I sovranisti fanno oggi questa strabiliante scoperta per cercare di diminuire la pressione sulla Russia putiniana, ma che il commercio dia vantaggi ad entrambi le parti è noto da secoli, e lo hanno ben spiegato Hume, Smith e Ricardo. È importante capire cosa si vuole raggiungere con un embargo e gli obiettivi sono molteplici: condanna morale, infliggere danni allo Stato trasgressore più di quelli che si subiscono (e per ora questo aspetto funziona), scoraggiare ulteriori aggressioni. L’insegnamento è che non ci si deve rendere dipendenti per beni essenziali da paesi ostili o instabili.
La seconda questione aveva un punto concreto, gli incentivi alle vetture elettriche decise dall’amministrazione Biden con una misura altamente protezionistica secondo la quale i benefici sono diretti solo alle auto costruite su suolo americano (anche se con componenti straniere). La risposta giusta sono misure di rappresaglia? No: ci sono organismi internazionali come il Wto per risolvere queste controversie ed in ogni caso tenere le frontiere aperte è comunque un vantaggio anche se altri le chiudono. Insegnamento: bisogna spingere sui trattati di libero scambio (ad esempio, la vittoria di Lula – che non è certo un liberale- sembra di buon auspicio per l’entrata in vigore di quello Europa-Mercosur e bisogna evitare che sia la Francia ad opporsi) e inserire in essi clausole che proibiscano o sanzionino come in Europa gli aiuti di Stato.
Il terzo problema è rappresentato in questi giorni dalla querelle nata in Germania per la cessione del 24,9% di un’importante banchina del porto di Amburgo ad un’azienda pubblica cinese che sta facendo incetta di porti europei e dal travaglio della raffineria di Priolo vicino Siracusa.
L’impianto è di proprietà della società russa Lukoil, raffina il 20% del petrolio consumato in Italia e oggi importa solo quello russo (perché nessuna banca concedeva più credito e garanzie vista la proprietà) che a partire da inizio dicembre cadrà sotto l’embargo europeo. La raffineria rischia di chiudere con pesanti ricadute occupazionali. In Germania un simile problema con un impianto di proprietà della russa Rosneft è stato risolto con un commissariamento e congelamento delle quote della società moscovita. In Italia si vedrà.
Insegnamento: l’Europa deve necessariamente muoversi in modo coordinato per risolvere i problemi creati dagli investimenti russi e per evitare un domani di trovarsi immobilizzata da legami economici con una molto più economicamente potente Cina, soprattutto nel campo delle infrastrutture e delle industrie strategiche. Attualmente la normativa Golden Power concede fin troppi poteri al governo per bloccare acquisizioni anche in settori non realmente strategici da parte di imprese nazionali, europee ed occidentali. Se si vuole prevenire la penetrazione economica da parte di paesi che possono mettere a rischio la sicurezza nazionale diventa assolutamente necessario liberalizzare il mercato dei capitali quando tale rischio non c’è.
In conclusione, il commercio internazionale, la sua fluidità e la vigilanza sui rischi che comporta è oggi l’aspetto più importante della politica estera europea: è bene se ne renda conto anche il governo italiano.
L'articolo Attenti al commercio proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Al via l’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina: mercoledì 16 novembre la conferenza stampa di presentazione.
Mercoledì 16 novembre, alle ore 10.30, presso la Sala Senato dell’Università di Messina, si terrà la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo.
Alla presenza del Magnifico Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, e del Vicario, prof. Giovanni Moschella, il Direttore Generale della Scuola, prof. Pippo Rao, e il Direttore Scientifico, prof. Giuseppe Gembillo, presenteranno la dodicesima edizione messinese del corso dedicato agli autori più rappresentativi del pensiero liberale ed alle loro opere.
Parteciperanno all’incontro con la stampa: Enzo Palumbo (Membro della Commissione Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi), Edoardo Milio (Responsabile Relazioni istituzionali), Gabriella Sorti (Responsabile del Comitato di Segreteria), Francesco Sarà (Responsabile Comunicazione), Paolo Cicciari (Rappresentante degli
studenti) ed i membri del Comitato organizzatore (Fulvio Arena, Enrico Bivona, Daniela Cucè Cafeo, Angelica Esposito, Giovanni Marino, Giuseppe Scibilia e Gianni Toscano). Saranno presenti anche i Presidenti degli Ordini professionali che hanno concesso il loro patrocinio: Architetti, Avvocati, Ingegneri, Medici e Notai.
Messina, 09/11/2022
Pippo RAO
Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina
L'articolo Al via l’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina: mercoledì 16 novembre la conferenza stampa di presentazione. proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Perché non esiste un’’alleanza Cina-Russia’
La visita a Pechino del cancelliere tedesco Olaf Scholz questa settimana ha prodotto risultati diplomatici modesti ma reali. Il leader cinese Xi Jinping ha rilasciato una forte dichiarazione in cui avverte tutti i paesi di non usare o minacciare di usare armi nucleari, qualcosa che può essere letto soprattutto come un avvertimento a Mosca di […]
L'articolo Perché non esiste un’’alleanza Cina-Russia’ proviene da L'Indro.
La comunità internazionale deve prepararsi per una Russia post-Putin
Nove mesi sono sufficienti per far nascere un essere umano, ma a quanto pare non bastano perché il Presidente russo Vladimir Putin si renda conto della follia della sua guerra contro l’Ucraina. Invece, sta diventando sempre più chiaro che nessun accordo significativo sarà possibile finché Putin rimarrà al potere. La comunità internazionale deve quindi cercare […]
L'articolo La comunità internazionale deve prepararsi per una Russia post-Putin proviene da L'Indro.
Scuola e merito: lo studio è un mestiere faticoso
Lo ricordava anche Antonio Gramsci: studiare «è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza».
L’unica cosa che nella vita si può ottenere senza fatica è la vincita al superenalotto. Tuttavia, a parte che si tratta di un evento più unico che raro, anche in questo caso un piccolo sforzo va fatto: per vincere è necessario giocare. Dunque, se la fortuna aiuta gli audaci, non si capisce perché si sia immaginato di poter combinare qualcosa di buono senza mettere in conto di lavorare e di meritare il progresso individuale, familiare, sociale.
Forse, in tanti, in troppi hanno sognato di poter vincere al superenalotto ottenendo il massimo con il minimo. Ecco perché ha fatto benissimo Angelo Panebianco a sottolineare che in troppi in Italia non hanno voluto scuole di qualità cioè scuole che «premino lo studio» ossia «la fatica di imparare» perché «senza fatica non si impara mai nulla» (Corriere della Sera, 31 ottobre).
Così è accaduto che quando, con il nuovo governo in carica, si è associata la scuola al merito – per ora solo nominalmente – si è addirittura gridato allo scandalo sostenendo che il merito crea diseguaglianza. Dimenticando due cose fondamentali: 1) l’articolo 34 della Costituzione che dice che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi»; 2) che a pagare le conseguenze di una svalutazione del lavoro meritevole sono i più deboli che per migliorare hanno una sola via: la serietà degli studi.
Insomma, studiare è un lavoro e, anzi, il primo lavoro che i giovani devono imparare a fare per affrontare vita e società. Non a caso Antonio Gramsci insisteva in un suo scritto, da poco ripubblicato (Anche lo studio è un mestiere, Edizioni di Comunità), che «occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». Altrimenti non resta che il superenalotto.
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Riccastri
L’intento di non disturbare chi vuole lavorare, proclamato in Parlamento dalla presidente del Consiglio, era da accogliersi con soddisfazione. Poi con qualche precauzione. Ora, viste le cose che si dicono sul fronte fiscale, anche con preoccupazione. Non vorremmo fare i conti con la delusione.
Se un Paese vuole vedere crescere la ricchezza deve incoraggiare, o quanto meno non scoraggiare, chi s’impegna a lavorare di più. Questi ultimi, se non sono tutti cavalli Gondrano (Fattoria degli animali), lavorano di più per avere di più. Il ricercatore sente vicina la scoperta e rinuncia a dormire; il contadino vuole ampliare l’orto e rinuncia alla pausa; il professore vede che i suoi studenti si appassionano e non li molla neanche a ricreazione e così via, ciascuno nel proprio lavora per il collettivo. Ciascuno mosso da smithiano egoismo, che sia per la gloria o per la grana.
Il sistema fiscale coadiuva l’incoraggiamento evitando il taglieggiamento. Nella nostra Costituzione è iscritto il sano principio della progressività, significa: chi più guadagna più contribuisce. Per evitare che divenga un modo per scoraggiare il lavoro e il guadagno, producendo miseria anziché ricchezza, la progressività funziona in modo che: fino al livello x non si paga niente; fino a y (detratto x) si paga tot; fino a z (detratto x e y) si paga di più e così via. La maggiore tassazione si riferisce, quindi, non al totale del reddito, ma alla parte che supera gli scaglioni con più basse aliquote. La falsa flat tax scassa tutto, produce evasione fiscale e crea ingiustizia, sicché disturba. E manco poco.
Ci sarebbero i contribuenti onesti, di cui sarà bene non dimenticarsi. Si dividono in due partiti: gli onestamente fessi e i fessamente onesti. I primi ritengono sia giusto essere onesti. I secondi non riescono ad essere disonesti. Pagano. E siamo in 5 milioni, su quasi 60 di residenti, a contribuire più di quel che (mediamente) costiamo.
Vi ho già detto che siamo fessi, ma accessoriamente onesti. Però è fastidioso essere indicati come i riccastri da punire. La destra fiscale somiglia davvero tanto alla sinistra radicale, quelli per cui anche i ricchi, se onesti, devono piangere. Spiego.
Negli allegati alla nota di aggiornamento di economia e finanza, roba del governo, giustamente non la chiamano flat tax, ma con il suo nome: regime forfettario per autonomi fino a 65mila euro. Che pagano il 15%. Vorrei ricordare che un dipendente paga il 23% fino a 15mila; il 25 fino a 28mila; il 35 fino a 50mila e il 43% oltre. Lo pagano tutti i fessi onesti, anche se non dipendenti, anche se autonomi sopra la soglia. Nel regime forfettario si rinuncia alle detrazioni: 15% sugli incassi e finiamola lì. Ma se superi i 65mila, torni alle aliquote Irpef.
Ora vogliono portare la soglia a 85mila. Ma non funziona come l’Irpef e così impostata crea povertà o evasione. Come dimostrano gli stessi conti del governo, visto che l’evasione Iva è molto scesa grazie alla fatturazione elettronica (andate a vedere chi era contrario), grazie a quella sono saliti i redditi e nel complesso il Tax gap, ovvero la stima di evasione è scesa. Evviva. Ma è risalita da quando s’è introdotta la falsa flat. Perché?
Facile: mi trovo vicino alla soglia, ovunque sia fissata, tanto cambia niente, dovrei emettere una fattura che mi porta oltre, delle due l’una: o non accetto il lavoro o non emetto la fattura. La prima cosa brucia ricchezza la seconda accende evasione.
Ma non basta, perché per pagare il costo di questa prodezza ora vogliono anche togliere detrazioni ai riccastri, ingordi, profittatori, accaparratori, accumulatori maniacali. Quei 5 milioni che pagano per tutti la devono finire di godere e devono soffrire, piangere, sborsare, come suggeriscono gli arrossati e piace agli anneriti.
Il che, tornando da dove partimmo, disturba. Disturba assai. Insolentisce pure. Fa sentire gli onesti fessamente fessi. E no, non è bello.
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Luisa Morgantini: “La guerra? Fra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”
di Frida Nacinovich – Sinistra sindacale*
Luisa Morgantini, quanto andrà ancora avanti questa follia? Quando Russia e Ucraina si decideranno finalmente a negoziare il cessate il fuoco?
Questa situazione è allucinante. Si diceva che questo mondo era razionale, invece è un mondo totalmente irrazionale. Impazzito. Costruire, continuare a fabbricare armi è irrazionale. Costruiamo cose per distruggere. La bomba nucleare è fatta per distruggere ogni cosa. Perchè siamo arrivati a questo punto è difficile dirlo, ma la risposta non possono essere altre armi. Non si può incentivare, incrementare la distruzione e la morte. Dobbiamo dire basta, come donne, come pacifiste. Mi viene a mente una frase bellissima della scrittrice tedesca Christa Wolf, messa in bocca all’amazzone: “Fra uccidere e morire c’è una terza via, vivere”. Se ci siamo spinti così avanti è perché rinunciamo a pensare. Siamo di fronte alla morte dell’umanità. Non sarà l’apocalisse, ma per noi che siamo contro le guerre, contro la violenza, si intrecciano sentimenti di grande tristezza e preoccupazione”.
Specialmente nei primi mesi del conflitto russo ucraino, l’informazione ha messo l’elmetto ed è partita verso il fronte …
“Negli ultimi trent’anni, forse ancora di più, la guerra si è affermata e riproposta in tutte le sue dimensioni. Urlavamo “fuori la guerra dalla storia”, invece la guerra è rientrata prepotentemente nella storia. È pazzesco questo mondo va a rovescia. Oggi si parla di Europa per dire che non ha una linea comune, che non ha fatto una scelta politica. Non sono d’accordo.
Purtroppo l’Europa nelle sue dimensioni istituzionali, ha fatto una scelta politica ben precisa, che è quella di essere al servizio della Nato. Sono gli Stati Uniti che decidono e comandano, nelle basi militari del nostro paese ospitiamo le loro pericolosissime armi. Per anni abbiamo detto e ripetuto “via le basi americane dall’Italia”. Invece le ritroviamo ancora tutte, sempre di più”.
Dall’Europa ci si deve aspettare molto di più?
“L’Europa non è riuscita ad avere una voce autonoma. Questa è la realtà. Le istituzioni non sono state capaci di avere una propria autonomia, lo scollamento con il popolo è evidente. Dico di più, l’Europa non ha neppure cercato di prendere una strada diversa. Al contrario, è diventata sempre più guerrafondaia nelle parole dei suoi governi, a partire da quello italiano. Guerrafondaia come la presidente della Commissione europea. Abbiamo risposto alla guerra immorale scatenata da Putin con una politica di guerra. Così facendo abbiamo incentivato le distruzioni, e le morti degli ucraini e dei soldati russi. Abbiamo distribuito armi all’Ucraina invece di tentare come Europa di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti. Ed è una cosa incredibile, non si capisce perché dobbiamo essere al servizio della crescita a dismisura della presenza nord americana in Europa. Ricordo l’aggressione all’Iraq da parte degli Stati Uniti, anche allora con la nostra connivenza e complicità. Saddam Hussein aveva detto nel consesso arabo che, al posto del dollaro, la moneta di scambio sarebbe stato l’euro. E questa sarebbe stata una cosa importantissima. Niente da fare, l’Europa si è sempre accodata alle scelte degli Stati Uniti. Penso che lo abbia fatto con consapevolezza. Non ha mai voluto giocare un ruolo autonomo, e se l’ha fatto per un breve periodo ha assunto una posizione in qualche modo di ‘soft power’. Ma di fatto abbiamo sempre aderito a queste scelte di guerra: l’Iraq, la Libia, la Jugoslavia. Eppure avevamo un governo con Massimo D’Alema ministro degli Esteri. Credo che, in quel preciso momento, se invece di fare una dichiarazione di alleanza occidentale, con la Nato, avessimo avuto la forza e il coraggio di dire di no, noi la guerra non la facciamo, ripudiamo la guerra come dice la nostra Costituzione, sarebbe cambiato il mondo. Non so cosa sarebbe successo, forse avrebbero fatto un colpo di Stato contro di noi. Ma sicuramente ci troveremmo in una situazione completamente diversa. Perché, a partire dalle prime guerre del Golfo, per arrivare a quella in Jugoslavia, abbiamo visto crescere sempre di più la presenza degli Stati Uniti dalla nostraparte, Kosovo, Iraq, Afghanistan, sono serviti nei fatti ad accrescere la potenza statunitense”.
Sempre in prima linea contro la guerra, la ricordiamo vestita di nero ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia, per denunciare anche allora la follia di ogni conflitto armato.
Le guerre si fanno perché si producono le armi. E le armi devono essere sempre usate e poi cambiate, così si fanno nuovi investimenti e ci sono nuovi profitti per le aziende che realizzano armamenti. Questa guerra non è più russo-ucraina, è una guerra geopolitica. Come dicono molti studiosi, anche non di sinistra, questa è una guerra geopolitica in cui gli Stati Uniti continuano, noi tutti continuiamo a dare armi all’Ucraina per distruggere, invece di puntare fortemente su un piano negoziale. Anche le manifestazioni chiedono questo, il cessate il fuoco fuoco e puntare sui negoziati”.
All’inizio del secolo il Partito della pace fu definito dal New York Times la seconda superpotenza mondiale, ma a mani nude non è facile contrastare il Partito della guerra.
“Nel 2003 c’è stata l’ultima grandissima manifestazione per la pace. Ma secondo me in qualche modo ha segnato anche la rottura della nostra democrazia. Perché milioni e milioni di persone sono scese in piazza, non solo in Italia ma in tutto il mondo, contro la guerra, e invece la guerra l’hanno fatta lo stesso. Non si è più tenuto conto della posizione della società civile, dell’opinione pubblica. Io vedo il 2003 come un punto di non ritorno. La mia impressione è che da allora non viviamo più in un sistema democratico, ma in un sistema in cui la democrazia e la partecipazione delle persone non sono più prese in considerazione. Non soltanto rispetto alla guerra e alle pace, anche rispetto ai problemi di carattere sociale, al lavoro, ai diritti. E allora alle elezioni vanno a votare sempre meno persone. Da questo punto di vista hanno giocato un ruolo decisivo i media. La disaffezione alla politica, dovuta a un qualunquismo per cui son tutti uguali, tutti rubano, tutti sono corrotti. C’è la casta da abbattere. Il trentennio berlusconiano ha distrutto la partecipazione, ovviamente ci abbiamo messo del nostro anche noi di sinistra. Invece di essere uniti ci dividiamo in mille rivoli, prevale ancora il settarismo”.
Come ogni pacifista, ormai per trovare sintonia politica deve leggere il quotidiano dei vescovi l’Avvenire e ascoltare il pontefice?
“Leggo l’Avvenire, il Fatto quotidiano, il manifesto. E le parole giuste le usa Papa Francesco, non soltanto sulla pace e sulla guerra, anche sul lavoro, sulla produzione di armi. E forse non è un caso che questo Papa non sia nato in Italia, Germania, Polonia. In Argentina ha vissuto la dittatura dei militari, ha conosciuto le interferenze nordamericane nei sistemi dittatoriali. Questo mondo è grandissimo, grande e terribile, diceva Gramsci. Però, nello scacchiere ci sono ormai altri interlocutori, che vengono messi da una parte, come hanno fatto con Lula. Allora vedi quanto i media stiano influenzando la cultura. Come si nascondono le verità. Come ci siano due pesi e due misure nelle diverse situazioni. Pensiamo ai curdi. E io penso soprattutto alla Palestina. Se un ragazzino palestinese tira un sasso contro un carro armato è un terrorista, mentre viene invece esaltato da parte dei media occidentali l’eroismo di un ragazzino ucraino che spara. Intanto si permette a Israele di applicare l’apartheid, ammazzare tutti i giorni, rubare terra ai palestinesi, demolire le case, uccidere ragazzini. Tutto viene denunciato, i rapporti delle Nazioni Unite espongono chiaramente i fatti. Però nessuno tocca Israele”.
Occhio per occhio e il mondo sarà cieco, lo gridavano gli studenti di Berkeley ai tempi della guerra in Vietnam…
“Spero che le piazze siano piene per dire no alle guerre. Questo popolo che si schiera per la pace chiede basta guerre, basta violenza. Negoziate, cessate il fuoco, e poi vedremo cosa succede. Siamo tutti sconfitti nella follia della guerra. Abbiamo distrutto mezzo Medio Oriente, mezza Europa. Basta. Io spero, mi auguro che la gente capisca, sappia urlare il proprio ripudio della guerra, mostri una forza che possa far cambiare le linee politiche dei nostri governi. Dobbiamo disarmare questo mondo, e forse dobbiamo impegnarci di più per farlo. Contro guerre, sfruttamento, ingiustizie, diseguaglianze. Pochi giorni fa ero a un’iniziativa politica per sostenere Mimmo Lucano, contro di lui è stato intentato un processo aberrante, lo accusano di cose gravissime, anche se fortunatamente dagli atti è venuto fuori chiaramente che lui non si è mai appropriato di nulla. Al più ha commesso reati di umanità. No, non mi stancherò mai di scendere in piazza. Credo che valga comunque la pena di tener aperta questa luce, questa speranza. “Magari fossi una candela in mezzo al buio”. Vale la pena, vale sempre la pena”.
*https://www.sinistrasindacale.it/images/numero18_2022/SinistraSindacale18_2022.pdf
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Sicurezza sismica: quali sono le aree più a rischio in Italia?
L’Italia è una nazione caratterizzata dalla presenza di aree a rischio sismico di diversa entità e, unitamente alla fragilità del territorio, è possibile che si verifichino terremoti con conseguenze potenzialmente gravi per persone e insediamenti. In linea generale, l’Italia è considerata una zona sismica di rischio elevato, sia per la frequenza con la quale si […]
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INCHIESTA. Un decennio di sangue per i difensori dell’ambiente
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 9 novembre 2022 – Una vita soppressa ogni due giorni, tre a settimana, più di centocinquanta ogni anno. Le cifre fornite dal rapporto dell’ong Global Witness parlano di un’enorme, infinita strage.
Dal 2012 al 2021 l’organizzazione riporta la morte, in tutto il pianeta, di ben 1733 attivisti assassinati a causa del loro impegno nella difesa dei loro territori e delle loro comunità. I dati sugli omicidi, avverte la stessa organizzazione non governativa, rappresentano solo la punta dell’iceberg e sono sicuramente sottostimati; molti casi non vengono denunciati perché si verificano in territori dove esistono conflitti armati o restrizioni alla libertà di stampa, o a causa della complicità con le aggressioni da parte delle autorità locali quando non dei governi centrali.
«Questi numeri – scrive Vandana Shiva nell’introduzione al rapporto presentato alla fine di settembre – non diventano reali finché non si sentono alcuni dei nomi di coloro che sono morti. Marcelo Chaves Ferreira, Sidnei Floriano Da Silva, José Santos Lopez. Ognuno di loro era una persona amata dalla propria famiglia, dalla propria comunità. Jair Adán Roldán Morales, Efrén España, Eric Kibanja Bashekere. Ognuno di loro è stato considerato sacrificabile per motivi di lucro. Regilson Choc Cac, Orsa Bhima, Angelo Riva. Ognuno è stato ucciso difendendo non solo i propri luoghi preziosi, ma la salute del pianeta che tutti condividiamo».
Le vittime sono giornalisti, sindacalisti, attivisti sociali o ambientali, esponenti politici, membri delle comunità indigene, contadini, guardiaparchi. Tutti uccisi dai sicari di imprese – spesso multinazionali – voraci e senza scrupoli, oppure da coloni che per sopravvivere distruggono foreste, montagne, fiumi e laghi e tolgono di mezzo chi li difende, oppure ancora da contrabbandieri, membri di bande paramilitari o narcos. Spesso, poi, gli assassini sono agenti di polizia, militari o comunque emissari dei governi locali o nazionali.
Le vittime del 2021 per paese
Il 2021, uno degli anni peggioriTra quelli esaminati da Global Witness il 2021 è stato uno degli anni peggiori, con circa 200 morti, una media di quattro ogni settimana. Un decimo delle vittime sono donne, per lo più indigene.
A guidare la triste classifica è stato il Messico, con ben 54 vittime; dietro ci sono la Colombia con 33 e il Brasile con 26 omicidi; seguono le Filippine con 19, il Nicaragua con 15, l’India con 14, l’Hunduras e il Congo con 8.
Circa 50 delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori, travolti dall’invadenza e dalla voracità dell’agricoltura industriale, il cosiddetto agrobusiness. Ogni anno le grandi piantagioni orientate che producono prodotti destinati all’esportazione o all’industria assorbono migliaia di chilometri quadrati di terre, spazzando via i piccoli appezzamenti a gestione familiare o comunitaria.
Un numero equivalente di vittime, spiegano gli autori del rapporto, è legato alle attività di imprese impegnate nello sfruttamento delle risorse naturali – dalla deforestazione all’estrazione di minerali, gas e petrolio – oppure nella realizzazione di dighe e infrastrutture di vario genere.
Un decennio di sangueCome già appare evidente dai numeri del 2021, la maggior parte degli omicidi di difensori dell’ecosistema si concentra in America Latina, quasi il 70% del totale. Il 39% delle persone assassinate appartenevano alle comunità indigene (che pure rappresentano meno del 5% della popolazione mondiale).
A guidare la “lista nera” degli ultimi dieci anni è il Brasile con 342 omicidi, seguito dalla Colombia con 322 vittime, dal Messico con 154 morti, dall’Honduras con 117, dal Guatemala con 80, dal Nicaragua con 57 e dal Perù con 51.
Le Filippine sono il paese asiatico che ha registrato più omicidi, ben 270, seguite dall’India con 79 vittime. In Africa, invece, il paese più pericoloso per i difensori dell’ambiente è di gran lunga la Repubblica Democratica del Congo con 70 morti – la maggior parte degli omicidi sono avvenuti nel Parco Nazionale di Virunga – seguita dal Kenya con 6.
YULI VELAZQUEZ, RAPPRESENTANTE LEGALE DELL’ORGANIZZAZIONE AMBIENTALE FEDEPESAN GUARDA LE FOTO DEI DIFENSORI ASSASSINATI, BARRANCABERMEJA, COLOMBIA. NEGRITA FILMS/GLOBAL WITNESS
Brasile, Colombia e Messico: il trangolo della morte
Più della metà degli omicidi di difensori della terra del 2021 si concentra in soli tre paesi: Brasile, Colombia e Messico.
Per il terzo anno consecutivo, Global Witness ha documentato un aumento degli attacchi letali in Messico; delle 54 vittime del 2021, la metà circa erano membri di popoli indigeni.
Due terzi degli omicidi sono avvenuti negli stati di Oaxaca e Sonora, presi di mira da imponenti progetti di sfruttamento minerario. Tra le più colpite ci sono le popolazioni Yaqui che abitano i territori meridionali del Sonora, aggredite anche dai cartelli della droga oltre che dalle imprese minerarie. Tra le vittime messicane spicca Irma Galindo Barrios, scomparsa nell’ottobre del 2021 dopo anni di minacce e campagne di diffamazione subite a causa delle sue attività in difesa delle foreste.
In Brasile l’era del presidente di estrema destra Bolsonaro ha portato ad un aumento della violenza contro i difensori dell’ambiente e in particolare contro i protettori dell’Amazzonia. «Da quando Bolsonaro è salito al potere ha incoraggiato il disboscamento e l’estrazione illegale, annullato la protezione dei diritti sulla terra degli indigeni, attaccato i gruppi di conservazione e smantellato e tagliato i budget e le risorse delle foreste e delle agenzie di protezione degli indigeni. Ciò ha portato bande criminali a invadere impunemente le aree indigene e protette» scrive Global Witness.
Nel gennaio dell’anno scorso Fernando Araujo, un membro del Movimento Sem Terra, è stato assassinato nella sua fattoria a Pau d’Arco, nello stato del Pará. Nel 2017 il contadino aveva assistito all’assalto della polizia contro la comunità di Santa Lúcia, che si saldò con la morte di dieci lavoratori rurali, ed aveva avuto un ruolo chiave nel successivo procedimento giudiziario, che però finora non ha prodotto nessuna condanna.
A febbraio, invece, un agente della polizia militare brasiliana ha ucciso Isaac Tembé, uno dei leader del popolo Tenetehara; secondo gli indigeni, il corpo di sicurezza militare funge da milizia privata al soldo degli agricoltori e degli allevatori che occupano illegalmente vaste aree del loro territorio, aprendo la strada alle grandi compagnie.
Nel giugno scorso, poi, sono stati assassinati l’indigenista Bruno Pereira e il giornalista Dom Phillips. Dopo l’ascesa al potere di Jair Bolsonaro, Pereira era stato rimosso dalla guida della Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (la Funai), “reo” di aver diretto una megaoperazione contro una delle più grandi miniere illegali del paese.
Anche in Colombia il 2021 è stato un anno drammatico, nonostante il quinto anniversario dell’accordo di pace tra il governo e le Farc. La maggior parte degli attacchi mortali hanno preso di mira attivisti, membri delle comunità indigene, contadini e leader delle comunità locali che si oppongono ai narcos e alle milizie delle grandi compagnie. La rete della società civile colombiana denominata “Programa Somos Defensores”, che documenta e denuncia gli attacchi contro i protettori dell’ambiente e delle comunità, ha ripetutamente condannato l’inerzia quando non la complicità dello Stato e in particolare della magistratura.
MANIFESTANTI INDIANI PROTESTANO A CHENNAI CONTRO IL MASSACRO DI THOOTHUKUDI
Il massacro di ThoothukudiAnche in India, come altrove, i difensori dell’ambiente sono vittime delle istituzioni e dei corpi repressivi dello stato.
L’episodio più tragico risale al 22 maggio del 2018 quando la polizia ha attaccato violentemente una manifestazione a Thoothukudi, nello stato meridionale indiano del Tamil Nadu, uccidendo 11 persone e ferendone altre 100 che protestavano contro un impianto di produzione di rame, lo Sterlite Copper, di proprietà della multinazionale “Vedanta Limited”. Gli abitanti delle comunità circostanti si opponevano al raddoppio dell’impianto, accusato di contaminare l’aria e l’acqua. Numerosi testimoni hanno riferito che i cecchini della polizia sparavano contro i manifestanti pacifici e nei giorni seguenti altre quattro persone furono uccise. Per avere la meglio sulle proteste popolari le autorità statali imposero lo stato d’emergenza e bloccarono internet a Thoothukudi per alcuni giorni. A quattro anni dalla strage nessuno dei colpevoli è stato condannato, e molti promotori della protesta hanno dovuto sopportare arresti e minacce di vario tipo.
In dieci anni pochi progressi
Negli ultimi anni, anche grazie al lavoro di ong come Global Witness e delle organizzazioni locali, si è registrato in alcuni paesi un lieve miglioramento della situazione. Ma in generale la situazione non è cambiata molto. Più si intensifica la crisi climatica, più aumenta lo scontro tra multinazionali e stati per il controllo della terra e delle risorse, e più gli attivisti e le comunità che difendono i territori e gli ecosistemi sono considerati un ostacolo da rimuovere a qualsiasi costo.
La corruzione e la connivenza tra gli interessi imprenditoriali, quelli delle bande criminali e quelli delle leadership politiche concedono agli assassini e ai loro mandanti una generalizzata impunità. I governi non si dimostrano certo zelanti al momento di individuare e condannare i colpevoli degli eccidi e degli omicidi. Il dato del Messico è eclatante: oltre il 94% delle aggressioni contro i difensori dell’ambiente e dei territori non vengono denunciate, e solo lo 0,9% del totale conduce ad una condanna. In America Latina, lo scorso anno, è entrato finalmente in vigore l’Accordo di Escazù, che impegna i governi a proteggere i difensori dell’ambiente e a favorirne l’iniziativa, ma finora gli effetti pratici della pur lodevole iniziativa sono stati poco rilevanti. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
LINK E APPROFONDIMENTI:
globalwitness.org/en/campaigns…
cambio16.com/1-733-activistas-…
ojo-publico.com/3516/defensore…
nytimes.com/es/2022/09/29/espa…
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