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Tosse: cos’è e questo fenomeno fisiologico e perché si verifica


Fare un colpo di tosse è quanto di più comune ci sia, ma la tosse, ovviamente, non è sempre uguale. Ci siamo mai chiesto che cos’è la tosse? In quest’articolo faremo il punto su questa questione, evitando di utilizzare termini medici e rendendo assolutamente semplice la comprensione di tale fenomeno che, come vedremo, può essere […]

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Quando gli Stati Uniti impareranno che le sanzioni non risolvono i loro problemi?


La definizione di follia, si dice spesso, è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Eppure questo è esattamente ciò che gli Stati Uniti e altri politici occidentali hanno fatto imponendo ampie sanzioni economiche contro regimi contraddittori e altrimenti problematici. I risultati generalmente non sono stati positivi. Invece di persuadere i leader autoritari e […]

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SIRIA-TURCHIA. Assad rifiuta l’incontro con Erdogan, per ora


Pare che il presidente siriano stia resistendo alle pressioni degli alleati russi e iraniani intenzionati a spingerlo nella braccia del leader turco. Vuole alzare l’asticella, andare oltre la «pace per la pace» e ottenere garanzie concrete L'articolo SIR

di Michele Giorgio

(nella foto di Medya News, Erdogan e Assad prima della guerra in Siria nel 2011)

Pagine Esteri, 12 dicembre 2022 – Il tutto e il contrario di tutto avvolge la decisione presa, almeno sino ad oggi, dal presidente siriano Bashar Assad di non incontrare, faccia a faccia, il suo omologo turco, e nemico tra i più agguerriti, Recep Tayyip Erdogan. L’incontro, senza dubbio, avrebbe il sapore della vittoria per Assad. Erdogan, dopo l’inizio della guerra in Siria nel 2011, ha agito concretamente – armando e finanziando formazioni islamiste contro il governo di Damasco – per provocarne la caduta. Il leader siriano invece è rimasto al suo posto e la potente Turchia, mentre bombarda i civili curdi nel Rojava (e nel Kurdistan iracheno) e minaccia nuove offensive militari, deve ora riconoscere il fallimento della sua strategia in Siria anche se ancora occupa, di fatto, la regione di Idlib. Erdogan inoltre ha bisogno di successi diplomatici per attenuare le conseguenze sulle prossime elezioni della crisi economica turca e della presenza nel paese di milioni di profughi siriani.

Pare che Assad da almeno tre mesi stia resistendo alle pressioni degli alleati russi e iraniani intenzionati a spingerlo nella braccia di Erdogan per consolidare la loro influenza e presenza nel territorio siriano. Il motivo? Alzare l’asticella, spiega qualcuno, in modo da andare oltre la «pace per la pace» e ottenere assicurazioni sul ritorno di Idlib sotto il controllo di Damasco e assistenza economica ed umanitaria che aiuti a superare le sanzioni statunitensi (Caesar Act) che strangolano la Siria. Per gli oppositori di Assad invece si tratterrebbe solo di una «messinscena» organizzata proprio da Mosca, e destinata a durare ancora poco, per rafforzare l’immagine del presidente siriano e mostrarlo «indipendente» da Russia e Iran. Anche la rinuncia di Damasco, quasi all’ultimo momento, al suo rientro nella Lega araba durante il vertice tenuto ad Algeri nelle scorse settimane, potrebbe aver avuto l’obiettivo di segnalare che la Siria non accetterà le condizioni poste dall’Arabia saudita e il Qatar per la sua riammissione. Per altre fonti invece sarebbe vero il contrario. Nonostante l’intervento algerino, le petromonarchie hanno imposto che la Siria resti ancora fuori dalla Lega araba.

Tutto e il contrario di tutto, come si diceva. Più realisticamente Bashar Assad il faccia a faccia con Erdogan lo farà. Ma anche alle sue condizioni, ossia imporre alla Turchia la rinuncia al controllo di Idlib e la fine delle sue operazioni militari che oltre a colpire l’Autonomia curda prendono di mira anche l’esercito siriano, facendo morti e feriti. E per alleviare alcuni dei seri problemi economici che il suo paese affronta, senza dimenticare il colera. Qualche giorno fa arrivata a Baniyas una petroliera iraniana con 700mila barili di greggio. Una buona notizia ma, ha avvertito il ministro del petrolio Bassam Tohme, questa fornitura non risolve la crisi energetica che sta paralizzando la Siria e che rischia di lasciare al freddo milioni di cittadini durante l’inverno. Per far fronte alla situazione il governo ha annunciato che tutte le attività statali resteranno ferme due giorni in più questo mese, poiché i dipendenti faticano a raggiungere il posto di lavoro con il sistema di trasporto pubblico quasi inattivo per la mancanza di carburante.

In Siria i tornei sportivi sono stati sospesi temporaneamente e i dipendenti del governo hanno visto tagliare le proprie quote di benzina sovvenzionata dallo Stato. La maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani è controllata dalle Sdf curde e da soldati americani, quindi fuori dal controllo di Damasco. Il prezzo del gasolio per il riscaldamento importato, perciò è raddoppiato e la benzina non sovvenzionata per le auto ormai si trova solo al mercato nero a costi proibitivi. Il 4 dicembre la rabbia e la frustrazione sono sfociati in proteste nella città meridionale a maggioranza drusa di Sweida dove almeno due persone sono state uccise dal fuoco delle forze di sicurezza. I drusi, peraltro, cominciano a reclamare una autonomia sul modello di quella curda.

A Erdogan i problemi di vita quotidiana di milioni di siriani interessano ben poco. La sua improvvisa disponibilità a riallacciare i rapporti con Assad ha il solo scopo di favorire gli interessi turchi. A cominciare dalla collaborazione di Damasco ad azioni militari contro l’Autonomia curda. Una richiesta che Assad non è in grado di soddisfare tenendo conto anche della linea scelta dall’alleata Russia che negli ultimi due anni ha migliorato i rapporti con la leadership curdo-siriana. Il faccia a faccia Assad-Erdogan prima o poi si farà ma gli esiti non sono scontati. Pagine Esteri

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ARMI. La Leonardo DRS punta sulla produzione di droni-kamikaze


Dotati di una testata esplosiva possono essere teleguidati contro l’obiettivo anche a decine di chilometri di distanza. Il loro impiego cresce rapidamente e irresponsabilmente e la holding a capitale pubblico non esita a lanciarsi nella produzione di ques

di Antonio Mazzeo*

Pagine Esteri, 7 dicembre 2022 – Il loro nome tecnico è loitering munitions o munizioni circuitanti; sono piccoli droni dotati di una testata esplosiva che possono essere teleguidati contro l’obiettivo anche a decine di chilometri di distanza. Si tratta cioè di veri e propri velivoli-kamikaze il cui impiego sta crescendo rapidamente e irresponsabilmente nei principali scenari di guerra internazionali. Leonardo SpA, l’holding militare-industriale a capitale pubblico, ha deciso di puntare sulla loro produzione ed esportazione, consapevole che nei prossimi anni i profitti saranno ragguardevoli. A curare l’affaire è stata delegata la società controllata che ha sede e stabilimenti negli Stati Uniti d’America, in stretta collaborazione con un’azienda del comparto bellico di Israele.

I dirigenti di Leonardo DRS (Arlington, Virginia) hanno reso noto che l’unità commerciale dei sistemi terrestri di St. Louis, Missouri, ha stipulato il 6 ottobre scorso un accordo con la SpearUAV Ltd. di Tel Aviv per sviluppare una versione delle munizioni aeree Viper su scala nanometrica “per andare incontro alle richieste emergenti di molteplici clienti militari statunitensi”.

“SpearUAV ha sviluppato Viper rapidamente in risposta alle lezioni apprese durante i recenti grandi conflitti”, spiegano i manager del gruppo israeliano. “Il sistema a lancio verticale fornisce agli operatori in linea di combattimento munizioni aeree convenienti, semplici da usare ed efficaci contro una varietà di bersagli, compresi quelli in posizione defilata. Piccole munizioni aeree come le Viper stanno rivoluzionando le piccole unità tattiche assicurando una precisione veramente letale nelle mani del singolo combattente”.

Ancora SpearUAV Ltd. afferma che queste nuove munizioni “forniscono una potenza di fuoco reattiva per distruggere minacce immediate come cecchini nemici e gruppi operativi”, riducendo “al minimo” i danni collaterali in terreni urbani complessi. Il Viper richiede un addestramento minimo all’uso, si adatta a tutte le tipologie di munizionamento esistenti e può essere equipaggiato con il sistema di controllo terrestre Ninox compatibile con Android, Microsoft Windows e Linux.

“Siamo molto entusiasti di questa nuova partnership che sfrutta la vasta esperienza di integrazione della piattaforma e sviluppo del carico utile di Leonardo DRS con le sinergie tecnologiche di SpearUAV”, ha dichiarato Aaron Hankins, general manager di DRS Land Systems. “Abbiamo riconosciuto la Spear come un’azienda all’avanguardia nel campo dell’intelligenza artificiale e della tecnologia dei sistemi a pilotaggio remoto. Viper espande i nostri attuali sforzi nel campo dei droni”. Più raccapriccianti le parole di Gadi Kuperman, a capo del consiglio di amministrazione di SpearUAV. “Vogliamo fornire agli utenti la possibilità di utilizzare Viper allo stesso modo con cui farebbero con qualsiasi altro pezzo di equipaggiamento da combattimento o munizione, come un proiettile o una granata”, ha commentato Kuperman. “Si tratta di uno strumento da campo di battaglia; è pronto e pensato per essere usato in qualsiasi momento e senza esitazione. E potrebbe esserlo da un soldato di fanteria o dagli equipaggi di piattaforme terrestri o navali“.

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Drone killer israeliano Spike nlos

I mini-droni kamikaze sono stati lanciati ufficialmente all’inizio di ottobre quasi in contemporanea all’accordo tra Leonardo e SpearUAV. Una ventina di giorni dopo, come riportato dal sito specializzato Israeldefence, il ministro della difesa dell’Azerbaijan, Madat Guliyev, ha incontrato l’amministratore dell’azienda Gadi Kuperman per discutere sulla possibilità di rifornire le forze armate azere proprio con le nuove munizioni circuitanti Viper.

SpearUAV Ltd. opera dal 2017 nella progettazione e sviluppo di esplosivi e sistemi aerei a pilotaggio remoto per fini militari o di controllo sicuritario. La società annovera tra i principali clienti il ministero della difesa israeliano e i corpi militari di alcuni paesi partner. Gli azionisti e i manager provengono tutti dalle forze armate o dai servizi segreti di Israele: Gadi Kuperman è un ex colonnello dell’aeronautica militare che ha coordinato diversi programmi di riarmo aereo, mentre nel board di SpearUAV compaiono pure i nomi di Yossi Cohen (presidente), già direttore della famigerata agenzia di intelligence Mossad; Moshe Maor, ex direttore del gruppo aerospaziale e missilistico Rafael Advanced Defense Systems; Yaakov Barak, già generale e comandante delle forze terrestri; Shai Bar, ex colonnello a capo della divisione sistemi d’arma / engineering e conflitti a bassa intensità, poi ufficiale di collegamento della missione israeliana presso l’esercito USA.

In vista dell’espansione nei mercati internazionali, nel maggio 2022 SpearUAV ha rastrellato cospicui finanziamenti tra gli investitori privati ottenendo ben 17 milioni di dollari da una delle società israeliane specializzate nella produzione di droni da guerra e munizioni auto esplodenti, UVision Air Ltd.. Quest’ultima è stata fondata nel 2011 nella città di Tzur Yidal (distretto centrale) ed è presieduta dall’ex generale Avi Mizrachi, già capo del Comando centrale delle forze armate di Israele e successivamente responsabile vendite per l’area del sud-est asiatico di un’altra importante azienda bellica israeliana, Elbit Systems Ltd..

UVision Air Ltd. ha stabilito propri uffici di rappresentanza in India e negli Stati Uniti d’America dove ha anche ottenuto una importante commessa per fornire un sistema d’attacco con loitering munitions al Corpo dei Marines. Nell’ottobre 2021 la società ha sottoscritto una partnership strategica con la multinazionale tedesca Rheinmetall per progettare, produrre e commercializzare principalmente in Europa sistemi di armamento orbitante. In particolare le munizioni auto esplodenti del tipo “Hero” prodotte da UVision saranno integrate a bordo di alcuni dei più moderni veicoli militari di Rheinmetall come i blindati 8×8 Boxer CRV, i Lynx infantry fighting e i mezzi a pilotaggio remoto terrestri Mission Master.

Come ha documentato Flightglobal.com, la partnership industriale israelo-tedesca comporterà molto probabilmente la produzione di loitering munitions nel nostro paese. “L’accordo è stato sottoscritto da RWM Italia S.p.A., la consociata italiana del Gruppo Rheinmetall”, scrive la testata specialistica del settore aerospaziale. “RWM Italia condurrà il processo di europeizzazione dei sistemi Hero e i suoi stabilimenti, grazie alle capacità di sviluppo delle testate, introdurranno modelli innovativi per l’Hero, oltre a fornire la certificazione secondo gli standard UE e NATO”. Le nuove munizioni circuitanti accresceranno le “capacità anti-tank” dei potenziali clienti europei ma potrebbero armare pure le forze navali e aeree.

La produzione dei droni kamikaze in cooperazione con l’israeliana UVision dovrebbe interessare lo stabilimento RWM di Domusnovas in Sardegna. Intanto l’Esercito italiano ha deciso di rifornirsi del sistema di munizionamento “Hero-30” con una spesa di 4 miliardi di euro circa nei prossimi cinque anni. “Hero-30 di U-Vision è costituito da un tubo che all’interno contiene un drone azionato e interamente comandato da un solo uomo”, spiega la Difesa. “La versione originale ha un peso 3 Kg circa con un range operativo che varia dai 5 ai 40 km, con un’autonomia di volo di 30 minuti e azionato da un motore elettrico posteriore”. I mini-droni saranno consegnati alle Forze speciali di Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri: rispettivamente il 9° Reggimento d’Assalto paracadutisti “Col Moschin”, il Gruppo Operativo Incursori del COMSUBIN, il 17° Stormo Incursori e il GIS – Gruppo Intervento Speciale. L’addestramento del personale all’uso degli Hero-30 sarà svolto in Israele presso il quartier generale di UVision; l’azienda fornirà inoltre il supporto logistico integrato, comprensivo di manutenzione basica e gestione/sostituzione di alcune parti di ricambio di consumo.

La fittissima connection militare-industriale italo-israeliana è enfatizzata dall’accordo di fusione firmato il 21 giugno negli USA da Leonardo DRS e RADA Electronic Industries Ltd., azienda con sede nella città di Netanaya (a una trentina di km a nord di Tel Aviv). La controllata statunitense di Leonardo SpA ha acquisito il 100% del capitale sociale di RADA in cambio dell’assegnazione del 19,5% delle proprie azioni ai titolari della società israeliana.

Fondata nel 1970, RADA Electronic Industries Ltd. occupa più di 250 dipendenti e possiede anche un centro di ricerca nell’High-Tech Park di Beer’Sheva (Negev) e uno stabilimento nella città settentrionale di Beit She’an. Il gruppo produce prioritariamente radar tattici militari e software avanzati; l’uomo di punta nel Consiglio di amministrazione è Joseph Weiss, ex comandante della Marina militare di Israele ed ex presidente del Cda di IAI – Israel Aerospace Industries Ltd., la più grande società del settore aerospaziale del paese. Joseph Weiss siede attualmente anche nel Cda dell’Istituto di Tecnologia “Technion” di Haifa e coincidenza vuole che sia pure direttore di UVision Air Ltd.. Pagine Esteri

4192428*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).

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Cina – Russia: il rischio di lasciare sole due potenze nello spazio


Il mondo, non solo l’Europa, sta tremando per l’insensata e arcaica guerra -ma non per questo meno cruenta- che Vladimir Putin ha scatenato da febbraio contro una regione del suo ex impero. Eppure, nonostante lo sforzo bellico che vede impegnata una grande potenza umiliata dai suoi stessi risultati militari, la Russia ha trovato il momento […]

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JENIN. Uccisa una palestinese di 16 anni durante un raid dell’esercito israeliano


Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa colpita alla testa da un proiettile. L'esercito israeliano riconosce che potrebbe essere stata uccisa "accidentalmente" dal fuoco dei suoi soldati. L'articolo JENIN. Uccisa una palestinese

della redazione

(nella foto Jana Zakarna)

Pagine Esteri, 12 dicembre 2022 – Con una sorta di ammissione parziale delle sue responsabilità, l’esercito israeliano ha comunicato di aver avviato indagini per “accertare” se i suoi soldati hanno aperto il fuoco verso una ragazzina palestinese, uccidendola, la scorsa a Jenin, in Cisgiordania. Una uccisione che descrive come “accidentale” perché, afferma in un comunicato il portavoce militare, è avvenuta “durante uno scontro a fuoco con uomini armati palestinesi”. Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa con una ferita da arma da fuoco alla testa dopo che le truppe israeliane si erano ritirate da Jenin.

Secondo la tv israeliana Kan e il portale di notizie Ynet, Zakarna potrebbe “essere stata erroneamente presa di mira” mentre osservava le truppe dal terrazzo. I soldati, affermano gli stessi media israeliani, hanno effettivamente sparato contro i tetti di diverse abitazioni di Jenin, da dove, affermano, combattenti palestinesi avrebbero aperto il fuoco sulle forze israeliane che stavano arrestando due fratelli “ricercati”, Thaer e Muhammad Hatnawi, di 40 e 33 anni, e Hassan Marei, 30 anni. Altri tre palestinesi sono stati feriti negli scontri a fuoco.

La “Brigata Jenin” ha comunicato di aver resistito con un intenso fuoco di armi automatiche al raid israeliano al quale hanno preso parte anche soldati di unità speciali sotto copertura e cecchini piazzati sui tetti. Tra gli israeliani non si segnalano feriti. La scorsa settimana i militari avevano ucciso altri tre palestinesi a Jenin.
Questa mattina due giovani militanti sono rimasti feriti in un’esplosione avvenuta nel campo profughi della città causata, secondo la Brigata Jenin, dal fuoco di un drone israeliano. Questa versione non ha però trovato una conferma indipendente.

Jana Zakarna è il 218esimo palestinese ucciso dalle forze armate israeliane quest’anno, in gran parte in Cisgiordania durante ripetute incursioni in città e villaggi scattate dopo gli attacchi armati della scorsa primavera a Tel Aviv e altre città che hanno ucciso 18 civili israeliani. Tra le vittime palestinesi figurano una cinquantina di minori e una giornalista, Shireen Abu Akleh, della tv qatariota Al Jazeera, anche lei colpita “accidentalmente” secondo la versione fornita dall’esercito israeliano. Pagine Esteri

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔶 Valditara: “Per docenti e personale più di 2.



EvasIva


La legge di bilancio, ogni anno, si annuncia in un modo e in corpo d’opera se ne cambiano i parametri. Comunque la si pensi, c’è un dato che varrebbe la pena considerare: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi Come ogni anno la legge di bilancio si

La legge di bilancio, ogni anno, si annuncia in un modo e in corpo d’opera se ne cambiano i parametri. Comunque la si pensi, c’è un dato che varrebbe la pena considerare: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi

Come ogni anno la legge di bilancio si annuncia con determinati contenuti, poi se ne reclamano altri, quindi si deposita un testo che ne contiene di diversi, ergo si presentano emendamenti che tolgono e introducono, infine tutti si strozza in un voto di fiducia, dato su un testo dell’ultimo minuto. Come ogni anno, taluno ricorderà esistenti cose che non ci saranno. Essendo nel mezzo del trambusto è interessante cogliere il senso di alcuni passaggi. Che sono rivelatori.

Sulla questione dei Pos e del contante abbiamo parlato fin troppo. Mi parrebbe giusto il principio: libera banconota in liberi pagamenti. Pago quello che mi pare con quello che mi pare, il che comporta il fatto che chi deve essere pagato accetti quel che è lecito e abbia il Pos. Tanto le regole valgono solo per chi è regolare e dubito uno spacciatore si ponga il problema dei sistemi di pagamento (di quello si occupa il trafficante). Ma c’è una dato che si è fatto finta di non vedere: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi, mentre in Germania (che sono pure più grossi) per 11.1 miliardi. In Italia c’è un limite all’uso del contane, mentre in Germania (fin qui) no. Il che dimostrerebbe l’assenza di nesso, ma solo per chi riesce a tenere a mente una sola cosa per volta, giacché la seconda, decisiva, è: in Germania si paga molto di più usando il Pos. Perché è evidente che se il contante non è sinonimo di evasione fiscale, l’evasione fiscale si serve del contante. E vabbè, si dirà, vale per l’Iva. No, quello è solo un rivelatore.

Per non pagare Iva non emetto fattura, altrimenti la pagherei anche in caso di contante. Faccio credere al cliente o acquirente che la risparmiamo assieme, ma per me vale di più: non emettendo fattura quell’incasso non contribuirà al mio reddito, non ci pagherò l’Irpef, magari il nero mi aiuterà a stare sotto le soglie forfettarie incentivandomi ad evadere, e non pagherò i contributi previdenziali. Poi avrò tempo per lamentarmi della pensione troppo bassa, omettendo di specificare che è tale perché i contributi me li mangiai. E noi siamo il Paese con più evasione Iva e più pensioni. Per forza che si fanno buchi. Moltiplicare i pagamenti con carte non è solo comodo, ma largamente conveniente per chi non sia un delinquente.

Curiosa la faccenda del possibile pagamento anticipato sui profitti da capitale, con sconto dal 26 al 14%. Ce ne eravamo occupati a proposito delle criptovalute, ma cammin facendo s’allargò. Ho investito 100 e poi rivenduto a 110, pagando il 26% d’imposta sulla plusvalenza, il guadagno. Ora il governo mi dice: anche se non vendi, sul tuo guadagno odierno dammi il 14% e non ti chiederò nulla quando venderai. Della serie: li sordi mi servono subito. Obiezione politica: non ha l’aria di una misura per soccorrere i poveri. Obiezione tecnica: questo significa mangiarsi oggi ilo gettito futuro. Obiezione di mercato: molti investimenti stanno scontando delle perdite rispetto ai guadagni accumulati, il che significa che se ho denaro liquido posso approfittare del calo, sommarci lo sconto e pagare due breccole in cambio dell’affrancamento da oneri fiscali. Oh, alla faccia della distanza dalle lobbies e del non fare favori ai “ricchi”, perché un meccanismo simile non è detto che convenga a un piccolo risparmiatore, ma a chi ha partecipazioni azionarie consistenti converrà farci un pensiero.

Poi si accende la televisione e son tutti lì, con animo contrito, a parlare dei poveri. In realtà solo intenti ad attribuirsene reciprocamente la responsabilità.

La Ragione

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Marocco: proteste contro gli aumenti e la repressione


Proteste in Marocco contro l'aumento dei prezzi, la repressione del dissenso politico e la collaborazione militare con Israele. Migliaia con i sindacati e i partiti di sinistra L'articolo Marocco: proteste contro gli aumenti e la repressione proviene da

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 8 dicembre 2022 – Alcune migliaia di persone sono scese in piazza domenica a Rabat per protestare contro «l’alto costo della vita e la repressione» politica, partecipando ad una manifestazione promossa dal Fronte Sociale Marocchino (Fsm). La sigla riunisce diversi partiti politici di sinistra, organizzazioni per i diritti umani e sindacati come la Confederazione Democratica del Lavoro.
Alla marcia, la più partecipata degli ultimi mesi, hanno partecipato alcune migliaia di persone – un risultato notevole in un paese che reprime sistematicamente le libertà politiche – anche se la Direzione Generale della Sicurezza Nazionale (DGSN) ha parlato di soli 1500 manifestanti. La manifestazione ha sfilato per quasi due ore nel centro della capitale marocchina, dalla porta della Medina fino a Piazza degli Alawiti, passando accanto alla sede del parlamento.

L’inflazione erode i salari, la povertà aumenta
«Il popolo vuole prezzi più bassi (…). Il popolo vuole abbattere il dispotismo e la corruzione» hanno gridato i partecipanti arrivati anche dal resto del Marocco. «Siamo venuti per protestare contro un governo che incarna il matrimonio tra denaro e potere e che sostiene il capitalismo monopolistico» ha spiegato il coordinatore nazionale dell’Fsm, Younès Ferachine.
Secondo un recente rapporto dell’Alto commissariato per la pianificazione (Hcp), il Marocco è tornato «al livello di povertà e di vulnerabilità del 2014» in seguito alla pandemia di Covid-19 e all’inflazione. L’impennata dei prezzi (ad ottobre è stato rilevato un +7,1% su base annua) e in particolare l’aumento del costo dei carburanti, dei generi alimentari e dei servizi, uniti a un’eccezionale siccità, hanno inoltre frenato la crescita economia, che alla fine dell’anno dovrebbe essere pari soltanto ad un +0,8%.
Le forze sociali e politiche che hanno partecipato alla marcia hanno chiesto le dimissioni del governo denunciando che a risentire della situazione non è più solo il potere d’acquisto dei settori più poveri della popolazione, ma ormai anche quello della classe media. Il Paese soffre di disparità sociali e territoriali crescenti che costringono sempre più cittadini, soprattutto giovani, all’emigrazione.
La disparità di reddito, stimata secondo il coefficiente di Gini, è del 46,4%, ovvero al di sopra della soglia socialmente tollerabile (42%). Secondo gli stessi dati forniti dal governo di Rabat, il 20% della popolazione è in stato di povertà assoluta (con un reddito inferiore a 1,8 euro al giorno), il 40% in povertà relativa (con un reddito inferiore a 3 euro al giorno) e il 60% in condizioni di precarietà (meno di 4,5 euro al giorno).

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Il governo rivendica le sue politiche sociali
Di fronte alle proteste e all’aumento del malcontento sociale, il governo guidato dall’imprenditore Aziz Akhannouch ha più volte rivendicato quella che definisce la sua “politica sociale”, in particolare l’estensione della copertura sanitaria a oltre 10 milioni di marocchini a basso reddito. Lo scorso ottobre, il governo ha inoltre annunciato un nuovo maxi-fondo sovrano da 4 miliardi di euro creato per sostenere gli investimenti pubblici e tentare così di rilanciare l’economia del paese e contrastare la crisi.
Si tratta però di misure ritenute parziali e insufficienti da parte delle opposizioni di sinistra. In particolare i sindacati denunciano la rinuncia, da parte del governo marocchino, al varo di una tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche. Proposta dalle opposizioni parlamentari anche sulla base dell’appello del segretario generale dell’ONU a tassare gli “scandalosi” profitti realizzati dalle aziende del settore energetico in maniera da recuperare risorse da destinare al contrasto dell’inflazione e della povertà, alla fine il premier Akhannouch non ha inserito la misura all’interno della legge finanziaria adottata lo scorso 19 ottobre dal Consiglio dei Ministri. La rinuncia a questa e ad altre misure redistributive ha rilanciato le accuse, nei confronti dell’esecutivo, di favorire l’élite economica e di incarnare la collusione tra potere politico e mondo degli affari.

“No agli arresti dei dissidenti”
I manifestanti hanno anche lanciato slogan contro gli arresti di dissidenti, denunciando «ogni forma di repressione politica, antisindacale e contro la libertà d’espressione, mentre vengono incarcerati diversi blogger e giornalisti critici nei confronti del governo. «È una regressione inaccettabile», ha denunciato Ferachine.

Uno degli ultimi arresti ha preso di mira, a novembre, è stato l’ex ministro dei Diritti Umani Mohamed Ziane. A ottobre l’avvocato e fondatore del Partito Liberale, che attualmente ha 80 anni, aveva chiesto l’abdicazione del sovrano Mohamed VI – che risiede a Parigi e rientra in Marocco solo per alcune cerimonie – e la fine della sistematica violazione dei diritti politici e democratici. Per tutta risposta Ziane è stato prima oggetto di una feroce campagna denigratoria da parte dei media governativi e delle autorità, ed in seguito è stato condannato dalla Corte d’Appello di Rabat a tre anni di detenzione per un totale di 11 capi di accusa formulati in una denuncia del Ministero degli Interni di Rabat.

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“No agli accordi con Israele”Nel corteo sono state sventolate numerose bandiere palestinesi. La marcia ha rappresentato infatti anche l’occasione per condannare la normalizzazione dei rapporti tra Rabat e lo stato di Israele, decisa nel 2020 nell’ambito degli “accordi di Abramo”. Secondo i sondaggi una gran parte della popolazione si dice contraria alla crescente collaborazione economica e militare tra il regno marocchino e Tel Aviv.L’ultimo importante passo in questo senso risale al 23 marzo scorso, quando il Ministro dell’Industria e del Commercio marocchino Ryad Mezzour e il presidente del board dei direttori dell’Israel Aerospace Industries, Amir Peretz, hanno siglato uno storico accordo di cooperazione.
Nel giugno scorso, poi, il governo di Rabat ha firmato un contratto con l’israeliana Elbit Systems per la fornitura del sistema “Alinet”, allo scopo di sviluppare le capacità del paese nel campo della guerra elettronica.
A luglio il capo di Stato maggiore dell’esercito di Israele, Aviv Kohavi, ha incontrato a Rabat l’omologo marocchino El Farouk; i due avrebbero discusso i dettagli del rafforzamento della cooperazione militare e discusso la possibilità di lanciare un’alleanza regionale volta «a frenare l’influenza iraniana in Medio Oriente e in Nord Africa».
Israele ha anche fornito a Rabat la tecnologia necessaria a produrre in proprio dei droni da bombardamento, che il paese utilizza per colpire la guerriglia del Fronte Polisario, l’organizzazione che si batte per la liberazione dei territori saharawi occupati illegalmente dal Marocco.
Lo scorso 3 dicembre uno di questi droni ha colpito in pieno un fuoristrada nella zona del confine con la Mauritania, uccidendo il conducente e scatenando la reazione di Mohamed el Mokhtar Ould Abdi, governatore della provincia di Tiris-Zemmour, che si trova sulle linee di contatto con l’ex colonia spagnola occupata da Rabat. L’uccisione dei cittadini mauritani fuori dai confini nella zona cuscinetto del Sahara occidentale «non è più accettabile» ha detto il capo del governo locale. Già a settembre due cercatori d’oro mauritani erano stati uccisi nel corso di un bombardamento compiuto da un drone marocchino contro presunte postazioni del Fronte Polisario. – Pagine Esteri

4189986* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora anche con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Agire bisogna…


Agire bisogna; non muovere vane querimonie, se si vuole che il paese sia salvo da Corriere della Sera, 26 maggio 1920 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – Agire bisogna… proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/unc
Agire bisogna; non muovere vane querimonie, se si vuole che il paese sia salvo

da Corriere della Sera, 26 maggio 1920

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Pace in Ucraina: serve realtà, non fantasie


Benché non mancherà, anzi non manca già oggi e domani e dopodomani, chi lo neghi, talvolta purtroppo in mala fede, esiste una concreta possibilità di parlare seriamente di pace. Facendo però, l’unica cosa utile e possibile per poterlo fare: pulire, letteralmente, pulire il cervello dalle prevenzioni, dai pregiudizi, dalle reazioni ‘etiche’ inconsulte perché non frutto […]

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‘Qatargate’: mazzette a Bruxelles, punta di un iceberg


Tanti sapevano; tanti tacevano; qualcuno non si è accorto di nulla. Il ’Qatargate’ è riassumibile così. Lo scandalo scuote i palazzi dell’Euro Parlamento, un euro-scandalo che fatalmente avrà riflessi ed effetti che a cerchi concentrici, da Bruxelles si allargheranno nei vari Paesi dell’Unione Europea, Italia compresa. Le rivelazioni del quotidiano belga ‘Le Soir’ e della […]

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Poliversity è una comunità Mastodon italiana dedicata all'università, alla ricerca, alla scuola e al giornalismo. Promuoviamo il Diritto alla Conoscenza e la corretta informazione: è aperta a ricercatori, giornalisti, operatori dell'informazione, fotoreporter, bibliotecari, archivisti, studenti ed educatori di tutti i livelli, editor, tecnologi, dirigenti di istituzioni scolastiche e chiunque sia coinvolto nel mondo dell'istruzione e del giornalismo.
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"Il consiglio dei supervisori di San Francisco, ovvero l’organo legislativo della città, ha sospeso il progetto di dotare la polizia di robot in grado di uccidere. [...]
La norma dovrà comunque affrontare un’ulteriore revisione, al termine della quale si deciderà se approvarla con alcune modifiche – magari imponendo limiti più severi all’utilizzo dei robot – o se abbandonarla del tutto."

ilpost.it/2022/12/07/san-franc…

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La Città da 15 minuti


Le grandi città sono invivibili. Nel 2016 un professore propose una soluzione. Oggi l'idea è stata ripresa in chiave statalista da diverse città, anche in Italia, e non è una buona notizia.

Oggi vi racconto di come, grazie a un’idea apparentemente buona, le più grandi città europee potrebbero trasformarsi nel prossimo futuro in un agglomerato di quartieri recintati digitalmente e fisicamente, pensati per dare ai cittadini una parvenza di libertà e appagamento, ma rendendoli al tempo stesso più sorvegliabili e controllabili.

L’idea è quella della “Città dei 15 minuti”, popolarizzata nel 2016 dal professore della Sorbonne Université Carlos Moreno.

Il professore parte da una constatazione semplice: le nostre città si sono sviluppate senza tener conto delle reali necessità delle persone, che oggi devono adattarsi ai tempi dilatati della città, al traffico, all’inquinamento e al rumore. La città da 15 minuti rivoluziona l’ingegneria delle città per creare dei quartieri auto sufficienti, dove le persone possono trovare tutto ciò di cui hanno bisogno entro un raggio temporale di 15 minuti a piedi o in bicicletta dalla propria abitazione.

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Idea interessante, che però cadde nel dimenticatoio per anni — fino all’arrivo del Covid. Le politiche di lockdown e le ampie limitazioni agli spostamenti che hanno costretto milioni di persone a rimanere confinate nei loro quartieri hanno fatto sì che l’idea dei quartieri auto sufficienti riprendesse vigore tra politici e intellettuali, in preparazione di future pandemie.

L’agenda climatica ha ulteriormente contribuito al diffondersi di questa nuova teoria di città dove tutto è magicamente accessibile senza automobili. Basta fare una ricerca online per rendersi conto della quantità di articoli che oggi parlano del tema. Ce ne sono almeno un paio che meritano attenzione:

Il 26 febbraio 2021 le Nazioni Unite pubblicarono un articolo intitolato “The 15 Minute city: Can a new concept of urban living help reduce our emissions?”. Nell’articolo si legge:

“La pandemia COVID ci ha fatto mettere in dubbio il modo di vivere tradizionale e a causa delle misure sanitarie (sì, sanitarie, certo) molte persone sono state costrette a vivere entro un raggio di pochi chilometri dalle loro case. Un modo di vivere diverso può allora aiutarci a cambiare il modo in cui pensiamo ai nostri quartieri e città, aiutandoci anche a fermare il riscaldamento climatico?

Ecco che allora può aiutarci il concetto della Città da 15 minuti, dove tutto ciò di cui abbiamo bisogno è entro 15 minuti a piedi o in bici. Le città diventerebbero più decentralizzate e ci sarebbe meno bisogno di automobili. L’idea di quartieri auto sufficienti non è nuova — molte città erano già così. Tuttavia, data l’urgenza della lotta al cambiamento climatico, molte città stanno cercando modi per ridurre le emissioni e migliorare la qualità di vita dei cittadini.”


Della città da 15 minuti ha parlato anche più recentemente il World Economic Forum, in un articolo di marzo intitolato “The surprising stickiness of the “15-minute city”:

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The MED This Week newsletter provides expert analysis and informed insights on the most significant developments in the MENA region, bringing together unique opinions on the topic and reliable foresight on future scenarios.


"La nozione di occupabilità viene parametrata nel contesto familiare dimenticando che la presenza in una famiglia di soggetti lavorativi con contratti a poche ore non determina l’emersione dalla povertà, i poveri ormai non sono solo gli inoccupati ma anche lavoratori precari con salari da fame e la condizione di miseria e precarietà riguarda l’intero nucleo familiare.
La nozione di occupabilità della destra è solo funzionale a tagliare il Rdc diminuendone i percettori e i mesi dell’assegno, non guarda alla sostanza del mercato del lavoro e all’assenza di politiche attive, resta indisponibile ad una nuova leva di lavori socialmente utili finanziati dallo Stato per la cura e manutenzione della persona e del territorio.
Per questo si alimentano campagne di odio contro i nuovi fannulloni (un tempo erano i dipendenti della PA oggi sono i percettori del Reddito) nell’ottica di restituire i fondi destinati agli ultimi con il Rdc ad altre fasce delle popolazioni, quelle decisamente non ascrivibili alle classi sociali meno abbienti. "

cumpanis.net/si-fa-presto-a-di…



Perù: l’oligarchia rovescia il Presidente Castillo


Il 6 giugno 2021 è stato un giorno che ha scioccato molti nell’oligarchia peruviana. Pedro Castillo Terrones, un insegnante rurale mai eletto prima, ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali con poco più del 50,13% dei voti. Più di 8,8 milioni di persone hanno votato per il programma di profonde riforme sociali di Castillo […]

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Arabia Saudita – Cina: quando Xi Jinping arriva a Ryad


Gli onori e le circostanze sono importanti. Come sono molteplici gli accordi da firmare durante la visita del Presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita questa settimana, il suo primo viaggio oltre l’Asia orientale e centrale in tre anni. Senza dubbio, l’accoglienza verso Xi sarà pari a quella di Donald J. Trump quando si recò in Arabia […]

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Borsa: canapa, luci e ombre sia per USA sia per Canada


Entrambe le principali piazze borsistiche a livello mondiale nel settore della Canapa, cioè Canada e USA, chiudono con luci ed ombre, in generale regna un clima depressivo e i segni sono negativi, sebbene non manchi qualche sprazzo in positivo. Tutto ciò dimostra ancora una volta quanta volatilità ci sia sulle piazze borsistiche internazionali. La Borsa […]

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Sesso libero


Le dittature sanno di non potere possedere le teste, quindi ci provano con le mutande e il sesso. Sanno che l’aspirazione alla libertà è insopprimibile e universale La forza bruta fa cilecca con i pensieri, ma si può imporre sui costumi. Non posso imped

Le dittature sanno di non potere possedere le teste, quindi ci provano con le mutande e il sesso. Sanno che l’aspirazione alla libertà è insopprimibile e universale

La forza bruta fa cilecca con i pensieri, ma si può imporre sui costumi. Non posso impedirti di sognare, ma posso reprimere i tuoi sogni, i tuoi desideri, le tue attrazioni. E reprimendo quelli t’insegno a rinunciare alla libertà. In questo sono tutti uguali.

La persecuzione degli omosessuali, a cura del regime castrista cubano, non era la scusa per arrestare uno scrittore (Reinaldo Arenas) e distruggere le sue opere, ma un modo per insegnare a non pensarsi liberi. L’ossessione di deviati come il patriarca russo Kirill, le leggi russe contro l’omosessualità, la maniacale riaffermazione di una cosa mai esistita, ovvero la “famiglia tradizionale”, non sono modi per non farsi contagiare dalla “decadenza occidentale”, ma per insegnare a non guardare al mondo libero e castrare i desideri. L’Indonesia che condanna il sesso fuori dal matrimonio e l’Iran che assassina chi scopre una ciocca o protesta contro l’assassinio non stanno salvaguardando la purezza, ma provando a far vivere la dittatura uccidendo la libertà.

È accademica e surreale la discussione se la storia abbia una direzione di marcia e un qualche approdo designato, tanto più che noi siamo il futuro dei nostri antenati e gli antenati degli umani futuri, ma la ricerca della libertà non ha mai fine e non conosce confine. Chiunque stia lottando per la libertà, sia anche quella delle proprie mutande, è un fratello da sostenere.

Da noi, nel nostro mondo mai stato così ricco e libero, tendiamo a dimenticarlo. A dare la libertà per assodata. Taluni si sono convinti che la si difenda mettendo presidi alle declinazioni o moltiplicando i generi o condannando la parola. Troppi, nel cadere in questo grossolano errore, in quel “politicamente corretto” che è solo politicamente inconsistente, ci mettono lo zelo di ottusi patriarchi e ayatollah.

Eppure un problema si pone, al nostro mondo: si può essere liberi anche dalla natura? Sì, si può, ad esempio separando l’eros dalla procreazione. Evviva. Ma possiamo anche liberare la procreazione dall’eros? Più scivoloso. Aiutare la fertilità è un conto, bypassarla un altro. Qui si torna a principi antichi: se la mia libertà comporta l’altrui subordinazione o uso strumentale, allora non è una libertà, ma una sopraffazione. Dovremmo discuterne senza pregiudizi, occupandoci del merito e non dei tabù. Che rimangono anche nel nostro mondo libero, giacché connaturati all’umano. Negare un tabù non significa averci fatto i conti, così come usare concetti offensivi o il turpiloquio non significa opporsi al politicamente corretto. Anche perché si rischia di far confusione.

In Italia può già essere riconosciuto, nell’interesse del minore, un “genitore” dello steso sesso di quello naturale. Esempio: il primo è rimasto solo (non ci interessa qui perché), ha un figlio minore e convive con una persona dello stesso sesso, a quel punto per il minore non cambia nulla, ma se il primo finisce sotto a un treno resterebbe solo, ove non si riconoscesse la posizione dell’altro. Sentenze già in giudicato. È importante l’omogeneità in Unione europea, perché, potendomi liberamente muovere (evviva), non sia genitore in un Paese e sospettato di pedofilia in un altro, se provo a portare il bambino nella mia stessa camera d’albergo.

Sono cose da affrontarsi con concretezza e lucidità. Capita, invece, che taluno viva da noi in libertà e voglia usare gli argomenti degli invasati dominatori di mutande. L’esito è noto, da quelle parti.

La Ragione

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Ucraina: il ruggito dei giovani dello Shakhtar


Il gigante del calcio ucraino Shakhtar Donetsk ha sorpreso molti esperti in questa stagione registrando la migliore prestazione del club in UEFA Champions League negli ultimi anni, nonostante l’esilio in tempo di guerra e un esodo di massa di fuoriclasse. Il segreto del successo dello Shakhtar è stato affidarsi ai giovani talenti ucraini e a […]

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Quando il denaro non è più un peccato


Qualche giorno fa ho ricevuto l’invito da parte della Caritas ambrosiana di ‘dare una mano’ per prendersi cura delle fasce fragili (individui e famiglie) tramite il finanziamento del ‘Progetto bolletta sospesa’. Donare un supporto economico, evitando ‘la logica del paternalismo generoso o della filantropia ostentata che non permette”, essendo un insieme di iniziative spot, di dare […]

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Prodotti a base di cannabis: la rilevanza del re-branding


Un marchio forte può dare alle aziende riconoscimento del nome e longevità – una considerazione chiave per le aziende di marijuana che si espandono in Stati con mercati recentemente regolamentati. Le aziende si sottopongono a rebranding per una miriade di motivi, ma farlo nel modo giusto è una sfida. La Conferenza delle Nazioni Unite sul […]

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Ucraina: pace o business ?


L’attuale e drammatica guerra in Ucraina sembra sempre di più un nodo gordiano che i contendenti – Russia da una parte ed Ucraina ed USA dall’altra uniti con i cobelligeranti dell’Unione Europea, sotto la bandiera NATO- non sembrano volere sciogliere anche se compaiono ogni tanto limitate voci di pace. Il dramma della guerra colpisce, oltre alla […]

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Il presidente del Perù Pedro Castillo è stato destituito dal parlamento dopo aver provato a scioglierlo ed è stato arrestato.


Nuova eraUna “partnership strategica” tra Cina e Arabia Saudita, che dovrebbe portare i leader dei due Paesi a incontrarsi ogni due anni.


56º rapporto CENSIS: italiani insicuri e divisi


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Come ho detto nei giorni scorsi, il Rapporto Censis 2022 rinsalda, conferma ed accentua tendenze in atto nel paese […]

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#NotiziePerLaScuola

Rendicontazione nella piattaforma PimerMonitor. Prorogata al 31 agosto 2023 la rendicontazione del potenziamento dei Centri Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Sviluppo per l’istruzione degli adulti.

Info ▶️ https://www.



La Libertà


“Non c’è sentenza senza giustizia e non c’è giustizia in Iran.” L'articolo La Libertà proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/la-liberta/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed

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“Non c’è sentenza senza giustizia e non c’è giustizia in Iran.”

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Il peccato neoliberista


In qualsiasi partito, un nuovo gruppo dirigente deve cercare di affermare, assieme con se stesso, un’identità, un catalogo di proposte, alcuni simboli politici. La sinistra del Partito democratico però non è un gruppo dirigente particolarmente nuovo, si t

In qualsiasi partito, un nuovo gruppo dirigente deve cercare di affermare, assieme con se stesso, un’identità, un catalogo di proposte, alcuni simboli politici. La sinistra del Partito democratico però non è un gruppo dirigente particolarmente nuovo, si tratta solo della generazione attuale della “ditta” che a malincuore ha accettato le capriole consonantiche che l’hanno portata da Pds a Ds a Pd. Le sue proposte si riducono, in buona sostanza, a una: superare il “neoliberismo” di cui sarebbe intriso lo stesso manifesto dei valori del Pd, scritto nel 2007.

La sinistra è, non solo in Italia, sempre più “sinistra”. Essendo l’unica parte politica che viva in un rapporto osmotico coi propri intellettuali, è destinata a somigliare al racconto che essi ne fanno. Avviene anche al Pd, che pure là dove governa in modo più saldo (in Emilia-Romagna, in Toscana) è occupato a venire alle prese coi problemi del mondo anziché stupire con effetti speciali. La sua narrazione “nazionale” è tutta diversa. Perché non corrisponde al partito degli amministratori, bensì a quello dei chierici.

La sinistra è da sempre la parte politica che offre al ceto intellettuale la più straordinaria opportunità di mutazione. “I filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo”. Generazioni d’intellettuali hanno guardato al “moro” di Treviri come in defettibile modello. Che avessero letto il primo libro del “Capitale”, o più probabilmente “Il socialismo dall’utopia alla scienza” di Engels, si inebriavano della conquista inattesa di una grande verità: aver scoperto in che direzione si muove la storia, mica poco. Ma hanno cercato di anticiparla, la storia, di forzarla sui suoi pretesi binari, sicuri che solo un’avanguardia intellettuale potesse fare avvertire al proletario il peso delle sue catene.

Da alcuni anni in qua, i chierici hanno formulato una diagnosi chiara sui guasti della sinistra: la sinistra perde perché ha smarrito il legame con la classe operaia. Sul declino del voto “di classe”, ovvero sull’attenuazione del nesso fra condizione sociale di appartenenza e preferenza politica, c’è un intenso dibattito internazionale. Rimanendo all’interno dei nostri confini, possiamo ricordare come già negli anni Novanta si osservasse un travaso verso la Lega del voto operaio al nord e come, negli anni Duemila, il voto operaio fosse già diviso grosso modo equamente fra destra e sinistra, mentre le regioni a più elevata “intensità” industriale votavano per la destra. Alle ultime elezioni è stato FdIa
primeggiare fra gli operai, seguito da Cinque stelle e Lega.

Il fenomeno dello scollamento fra classe sociale e preferenze politiche andrebbe indagato nelle sue diverse dimensioni. Qualcuno potrebbe dire che è una buona notizia: a suo modo segnala il maggior benessere raggiunto nella società tutta, grazie al quale cambiano le priorità degli elettori. Altri potrebbero biasimare la prevalenza della politica dell’identità, del dato culturale, che è poi la ragione per cui posizioni conservatrici vengono sposate da persone più umili e affezionate ai punti cardinali del passato, mentre fra gli individui a più alto reddito prevalgono orientamenti più cosmopoliti e mentalità più aperte.

L’impressione è che per i chierici la perdita del voto operaio sia un’utile scusa per aprire i rubinetti della nostalgia. Per rappresentare gli operai, che c’è di meglio che dire le cose che dicevamo, quando effettivamente votavano per noi? Per gli intellettuali, era un’epoca d’oro: quella in cui le loro parole cambiavano davvero, se non il mondo, almeno le mozioni congressuali. Per questo a quelle parole, rivedute e corrette, sono tornati, seguendo le star della sinistra internazionale (da Piketty in giù). L’enfasi sul tema delle diseguaglianze, i propositi di sabotaggio di ogni residuo di libertà contrattuale nelle relazioni industriali, l’ambientalismo, il disegno di una bellicosa politica industriale, eccetera, non sono una delle due strade che il gruppo dirigente del Pd può cogliere, in una sorta di congresso redde rationem sull’identità del partito.

Sono un sentiero che quel medesimo partito calca da anni e con piena convinzione. Anziché mettere in discussione l’effettivo gradimento dell’elettorato per queste proposte, anziché chiedersi se davvero intercettino i problemi del paese, anziché domandarsi se forse il Pd non abbia perso la sua “vocazione maggioritaria” perché è diventato assieme il partito “del governo” e del pubblico impiego, i chierici e i loro discepoli sostengono che ogni problema del partito venga da un peccato originale. L’iniziale “neoliberismo”. Ma qual è il fantasma del
neoliberismo, di cui si vorrebbe sbarazzare?

E’ vero che in Italia, per alcuni anni, è stata la sinistra a promuovere politiche di “modernizzazione”, tese ad avvicinare il paese alle altre liberaldemocrazie a economia di mercato. Ciò è avvenuto soprattutto nella legislatura del centrosinistra, 1996-2001. Le circostanze erano eccezionali. In primo luogo, il vecchio partito della sinistra italiana, il Pci, era riuscito ad abbandonare nome e simbolo senza alcuna “revisione” ideologica: ma attraverso una “svolta”, per cui si immaginava che non ci fossero nodi da sciogliere né questioni da chiarire. A ciò corrispose una accresciuta disponibilità a seguire le tendenze prevalenti altrove.

Negli Stati Uniti Clinton, in Inghilterra Blair, avevano dovuto reinventare i rispettivi partiti alla luce del successo di Reagan e Thatcher. E siccome quel successo non si poteva negare, cercarono di venirci a patti, provando per esempio a usare incentivi economici e riforme “di mercato” per far funzionare lo stato sociale, rilanciandone legittimità e immagine (pensiamo al cosiddetto welfare to work ). In Italia,
un economista cattolico di formazione keynesiana, Beniamino Andreatta, meglio di altri aveva colto il nesso perverso fra partitocrazia, corruzione e aumento incontrollato della spesa pubblica. Dal cosiddetto “divorzio” fra Banca d’Italia e Tesoro al referendum elettorale del 1992 all’accordo Andreatta-Van Miert, gli atti politici più rilevanti e lungimiranti dell’epoca si devono ad Andreatta.

La meta era chiara: una democrazia meno esposta alla corruzione, che consentisse l’alternanza fra partiti di governo. Quando ci arriva la sinistra, presidente del consiglio è un allievo di Andreatta, Romano Prodi, e ministro del Tesoro è Carlo Azeglio Ciampi. Le privatizzazioni di Telecom, Eni ed Enel, Autostrade, il pacchetto Treu sul mercato del lavoro, risalgono a quegli anni. Era “neoliberismo”? E’ un po’ difficile sostenerlo, visto che al governo con Prodi c’era Bertinotti e con D’Alema e Amato ci rimase Cossutta. Ciampi si impegnò per un rassetto della spesa pubblica ma gli interventi rimasero marginali, nel segno della lotta agli sprechi e di una migliore organizzazione. C’era, senz’ altro, una componente numericamente esigua, ma pugnace, dell’allora maggioranza che avrebbe volentieri spinto sull’acceleratore “riformista”. Parola che, fateci caso, è scomparsa dal vocabolario della sinistra contemporanea, in una sorta di damnatio memoriae.

La sinistra che non si vergogna che nella sua storia politica ci sia l’aver fiancheggiato l’Unione Sovietica anche dopo i “fatti d’Ungheria”,
si vergogna di avere privatizzato Telecom. In che cosa credevano, i riformisti? La convinzione comune di quel gruppo era, grosso modo, che in un paese come l’Italia, dove non mancano le incrostazioni corporative, “liberalizzare” fosse la condizione magari non sufficiente ma necessaria per ampliare il ventaglio delle opportunità per tutti. Per avere un’idea della consistenza dei riformisti, basti ricordare che al congresso Ds del 2001 Enrico Morando, candidatosi segretario, prese poco più del 4 per cento dei voti. Piccole forze politiche e singole personalità eminenti esercitavano però maggiore condizionamento sugli ex comunisti allora, di quanto sarebbe avvenuto dalla nascita del Pd in poi.

E’ difficile sostenere che i riformisti fossero “neoliberisti”. Diciamo che erano socialisti “colpiti dalla realtà”. Qualcuno di loro civettava di aver accettato l’economia di mercato per disperazione: la disperazione di vivere nel paese col più formidabile repertorio di fallimenti dello stato di tutto l’occidente. Altri inquadravano la loro adesione all’economia di mercato nell’ambito di una battaglia di modernizzazione e legalità: separare politica ed economia, facendo in modo che lo stato smettesse di gestire la gran parte della vita economica del paese, era necessario per diluire la corruzione degli apparati pubblici.

E’ la tesi che, senza trovare interlocutori, ha riproposto Giuliano Amato nel suo “Bentornato stato, ma” (il Mulino). Altri ancora semplicemente dovevano ammettere che a quel tanto o a quel poco di “liberismo” rimasto in occidente si doveva una produzione di ricchezza talmente straordinaria, da consentire la sopravvivenza di elefantiaci apparati statali. Teniamo da conto la pecora, proprio perché vogliamo tosarla.

Il manifesto dei valori del Pd, dovuto a una commissione presieduta da Alfredo Reichlin (non certo un neoliberista), di queste cose indubbiamente teneva conto. Ed è vero che letto oggi, e paragonato alla retorica prevalente nell’odierno Pd, sembra una traduzione da qualche think tank americano. Mirava a realizzare un “partito aperto nel mondo globalizzato”. L’idea di fondo era che “negli scenari complessi del mondo globalizzato non esistono solamente nuovi problemi, ma anche nuove opportunità”. Opportunità era una parola cruciale, da declinarsi nella cornice dello stato sociale ma in un’ottica di empowerment , di “attrezzamento” dei singoli individui. La vocazione maggioritaria si vedeva nel fare a meno di certe parole amate dai chierici, per provare un lessico che ammiccasse agli elettori degli altri.

Oggi si dice: neoliberismo, ieri si sarebbe detto: pensiero borghese. Il punto è tutto qui. Enrico Letta, che pure al canovaccio oggi dominante a sinistra ha tentato di adattarsi per come poteva un moderato per tradizione e carattere, in un dibattito se l’era fatto scappare: parlare di liberismo in Italia è un po’ difficile. E’ vero che nella legislatura del centrosinistra si privatizzò, e non poco. E’ altrettanto vero che oggi, per fare un solo esempio, il paese ha di nuovo un grande player assicurativo pubblico, com’ era l’Ina privatizzata da Amato. Che la Cassa depositi e prestiti è il burattinaio anche di aziende che erano state cedute totalmente, come Tim. Che lo stato dai servizi pubblici locali non se n’è mai andato, come non ha mai ceduto il passo alla concorrenza nella sanità, nell’educazione, nella previdenza. Che la Borsa italiana è sostanzialmente un gioco di imprese controllate dal pubblico.

Che la spesa pubblica supera, anche al netto degli interessi, il 50 per cento del pil. Che la tentazione comune, sinistra e destra, è pensare che a ogni problema debba corrispondere una legge, e di legge in legge siamo arrivati ad avere un quadro normativo talmente complicato che neppure i tecnici del diritto sanno più destreggiarsi nel groviglio. Il grande economista austriaco Ludwig von Mises identificava nel “polilogismo” una delle più durature eredità del marxismo. Marx postula che “la struttura logica della mente è diversa da classe a classe. Non esiste una logica universalmente valida.

Ciò che la mente produce non è che ideologia, cioè, nella terminologia di Marx, un insieme di idee che mascherano gli interessi egoistici della classe sociale a cui il pensatore appartiene”. Per questo la mente “borghese” degli economisti non poteva fare altro che offrire una “apologia” del sistema capitalistico. I chierici di oggi sostengono qualcosa di non troppo diverso. Con convinzione, si ritraggono da qualsiasi discussione
nel merito delle singole questioni. Ogni opinione diversa dalla loro (che si discuta di questioni di genere o della privatizzazione di Ita) è semplicemente riconducibile a un interesse: se i loro avversari non sono servi del capitalismo, sono servi del patriarcato.

Nel dibattito italiano, questo diventa la “diversità” di tempra morale che dividerebbe la sinistra dagli altri. Convinti di fare politica in nome di alcune idee, i chierici non riconoscono nell’altro una propensione simile. E non solo, ormai, non lo riconoscono alla destra: non lo riconoscono neanche a chi, a sinistra, abbia posizioni non esattamente sovrapponibili alle loro. Non lo riconoscono ai loro predecessori degli ultimi trent’ anni: i quali, faticosamente e in modo imperfetto, cercavano di fare i conti con una realtà che avevano scoperto, chi con il crollo del Muro, chi poco prima.

L’ebbrezza del maggioritario consigliava loro di fare politica con l’ambizione di sottrarre voti all’avversario. Il che costringeva a cercare di comprendere le sue ragioni. Oggi il partito dei chierici coltiva la vocazione minoritaria. Quelle degli altri non sono idee, ma interessi messi in bella copia. La politica è solo la ricerca di minoranze da liberare dal condizionamento di questo o quel padrone. Il neoliberismo come ipnosi da cui ridestare un mondo di oppressi. Vedremo quanto dura questo trip.

Il Foglio

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Giustizia: l’’agenda Nordio‘


Basterebbe che il Ministro della Giustizia Carlo Nordio mantenesse metà delle cose annunciate e promesse nel corso della sua audizione in Senato: avviare «una riforma del Codice penale», una «riforma garantista e liberale» da realizzare anche, nel caso, con una «revisione della Costituzione». Basterebbe anche quella che definisce «una profonda revisione delle intercettazioni. Vigileremo in modo […]

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A certificare la brusca frenata dell’economia globale sono arrivate anche le previsioni aggiornate dell’OCSE, che nell’Economic Outlook di novembre indica una crescita del Pil in ribasso al 2,2% nel 2023 e sempre più trainata dall’Asia (come dimostra…


Il Presidente Giuseppe Benedetto sarà ospite a Linea Notte – Tg3


Il Presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto sarà ospite a Linea Notte, Tg3, il giorno lunedì 12 dicembre dalle ore 24:00. L'articolo Il Presidente Giuseppe Benedetto sarà ospite a Linea Notte – Tg3 proviene da Fondazione Luigi Einaudi. htt

Il Presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto sarà ospite a Linea Notte, Tg3, il giorno lunedì 12 dicembre dalle ore 24:00.

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Francesco Rocchetti, Segretario Generale ISPI, e la giornalista Silvia Boccardi, parlano con Matteo Villa, responsabile del Data Lab di ISPI, per capire cosa sta succedendo con la crisi energetica e cosa ci aspetta questo inverno.


Il Professor Lorenzo Infantino ha ricevuto il Premio Colletti 2022


Mercoledì 7 dicembre, all’interno del Palazzo Senatorio del Campidoglio, si è tenuta la XIII edizione del Premio Lucio Colletti, in memoria del filosofo, uomo di straordinario impegno culturale, politico e civile. Quest’anno, tra le personalità di spicco

Mercoledì 7 dicembre, all’interno del Palazzo Senatorio del Campidoglio, si è tenuta la XIII edizione del Premio Lucio Colletti, in memoria del filosofo, uomo di straordinario impegno culturale, politico e civile.
Quest’anno, tra le personalità di spicco a cui è stato consegnato l’ambito premio, c’è il Professor Lorenzo Infantino, filosofo, economista e Presidente Onorario della Fondazione Luigi Einaudi, a cui facciamo le nostre più vive congratulazioni!

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L’occasione


Se le parole di Carlo Nordio fossero state pronunciate da lui stesso, ma nella eventuale veste di ministro della giustizia di un governo di sinistra, la destra sarebbe insorta. Se la cancellazione dell’ergastolo ostativo avesse trovato posto fra i provved

Se le parole di Carlo Nordio fossero state pronunciate da lui stesso, ma nella eventuale veste di ministro della giustizia di un governo di sinistra, la destra sarebbe insorta. Se la cancellazione dell’ergastolo ostativo avesse trovato posto fra i provvedimenti di un governo diverso dall’attuale, la destra avrebbe gridato allo scandalo. Lasciando da parte il tema della coerenza, quella che abbiamo di fronte è una occasione. Per la giustizia.

Quelle parole sono una novità solo per chi non abbia mai letto o ascoltato Nordio. Le ripete da anni. Afflitto da una malattia minoritaria: la coerenza aggravata da memoria. Di sicuro l’ex procuratore non è un uomo di sinistra, ma non lo è neanche di destra. È un liberale conservatore che non ha mai fatto mistero delle proprie opinioni da quando, lasciata la toga, si è sentito libero di esporle. Chi lo ha scelto come ministro le conosceva. Lo stesso Nordio, del resto, con amara ironia, ha più volte osservato che nell’Italia di oggi ancora vige il codice penale firmato da Mussolini, mentre il codice di procedura penale che porta la firma di una medaglia d’oro della resistenza, Giuliano Vassalli, è stato continuamente modificato e scassato. Lo osservava sottolineando gli aspetti illiberali del codice penale.

La separazione delle carriere o la non obbligatorietà dell’azione penale, per non dire del profluvio dissennato e improprio delle intercettazioni, sono considerati concetti scontati, ovvi in qualsiasi sistema penale accusatorio. Non esiste che l’accusatore e il giudice siano colleghi. È pura ipocrisia pensare che obbligando a perseguire tutto si eviti la scelta in capo alla procura, semmai la si priva di criteri e controlli. Le intercettazioni possono essere utili a indagare, ma depositarle e diffonderle è non solo barbarie, ma suicidio processuale, perché da sole non provano il reato. Cose ovvie. Da noi considerate bestemmie perché si è confuso il giustizialismo con la giustizia. Salvo annegare tutto nell’ipocrisia, quando non nel falso conclamato.

Anche la destra giustizialista, anche chi oggi è al governo, ragionò diversamente quando gli “inquisiti” erano amici. Mentre la sinistra, oggi, non insorge più per difetto di forze che per digerita ammissione dei tanti anni sbagliati. Il colpevolismo giustizialista non è la giustizia, ma una macchina infernale che genera professionisti dell’accusare senza l’onere di dovere dimostrare e senza la pena di dovere pagare per gli errori commessi. La sinistra c’è cascata perché si è trovata comunista, dalla parte sbagliata della storia, al partire di inchieste giudiziarie con le quali si sterminava anche la sinistra che si trovava dalla parte giusta della storia. E se la destra aveva il giustizialismo nel corredo genetico, la sinistra ha abdicato al diritto per divenire la copertura politica del corporativismo togato, ricevendone in cambio la copertura per sgomberare la strada verso il potere.

La scelta di Meloni mette la destra nelle condizioni di dovere cambiare. Non esiste, lo sappia la presidente del Consiglio, il “garantismo” in giudizio e il “giustizialismo” della pena, come ha erroneamente affermato. Posizione impossibile, perché il “garantismo” non è l’innocentismo che loro stessi praticarono con i loro amici, ma il rispetto del diritto, ergo anche la certezza della pena. La sinistra può scegliere: mugugnare malmostosa, incapace di autocritica, sperando ancora di potere ritravestirsi senza il coraggio di svestirsi, oppure riconoscere diritto e diritti e costringere la destra alla coerenza. Questa sembra la scelta di Azione, che somiglia al fare opposizione seria assai più del porsi in una sterile posizione pregiudiziale.

L’occasione è lì. A portata di mano. L’opposizione può aiutare il giustizialismo del campo largo e pentastellato o lavorare al diritto. Magari ricordando che il pessimo decreto “rave” sta all’opposto delle parole di Nordio. Questa è la scelta politica, non il sesso della segreteria.

La Ragione

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