Emirati Arabi Uniti: ecco il ‘business as usual’ con Israele
Per gli Emirati Arabi Uniti è tutto come al solito, poiché il nuovo governo del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non perde tempo nell’attuare politiche intransigenti volte a costringere i palestinesi a rinunciare all’idea di uno stato indipendente e ad accettare il dominio israeliano. Gli Emirati Arabi Uniti lo hanno chiarito accogliendo una delegazione israeliana […]
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Corea del Nord: come risolvere lo stallo sulla denuclearizzazione
Il 19 settembre 2018, dopo aver firmato la Dichiarazione di Pyongyang con l’allora presidente sudcoreano Moon Jae-in, il leader nordcoreano Kim Jong-un dichiarò il suo desiderio che la penisola coreana fosse libera dalle armi nucleari. Nel suo discorso al Rungrado 1st of May Stadium di Pyongyang quella sera, Moon lo ha ribadì. La Corea del Nord ha seguito […]
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Scuola di Liberalismo 2022 – Messina: lezione di Rosa Faraone sul tema “Le origini del totalitarismo”
Sesto appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articola in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.
La sesta lezione si svolgerà giovedì 12 gennaio, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dalla prof.ssa Rosa Faraone (Ordinario di Storia della Filosofia Moderna e di Storia della Storiografia filosofica presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “Le origini del totalitarismo” di Hannah Arendt, saggio universalmente considerato un testo definitivo di teoria politica dei regimi totalitari, con specifico riguardo alle loro incarnazioni storiche del XX secolo, ossia lo stalinismo e il nazismo.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.
Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina
Visita la pagina della Scuola di Liberalismo 2022 – Messina
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L’inutile corsa del gambero dei democratici
Ci sono parole che sono scomparse nel lessico del Pd. Parole su cui è stata fondata la stagione migliore del Governo dell’Ulivo con Prodi, presidente del Consiglio, Ciampi ministro del Tesoro e Bersani all’Industria. Le parole sono in ordine di importanza: crescita, produttività, debito. Crescita prima di tutto per un Paese che non cresce da ormai 20 anni, con rare eccezioni, e senza la quale, questo è l’insegnamento della migliore tradizione socialdemocratica, non vi è nulla da distribuire, le entrate fiscali languono, le famiglie in situazione di povertà aumentano e l’ascensore sociale, la speranza di una vita migliore, che ha fatto grande l’Italia dei nostri padri, si arresta o addirittura regredisce.
La produttività, quella di sistema, è una delle condizioni della crescita e il debito purtroppo ne costituisce un limite che, se non tenuto sotto controllo, costringe lo Stato ad impegnare cifre sempre maggiori del suo bilancio per pagare gli interessi e lo sottopone al rischio spread che solo le politiche interventiste della BEI e della UE hanno fino ad oggi scongiurato. Il differenziale con altri Paesi si misura in decine di miliardi che ogni anno vengono sottratti agli investimenti e alla spesa sociale. Destra e sinistra hanno da questo punto di vista molte cose in comune. Attingere al debito pubblico per accontentare segmenti crescenti del proprio (presunto) elettorato.
Crescita e lavoro vanno insieme, crescita e giustizia sociale vanno insieme, liberando risorse per la contrattazione sindacale e assicurando risorse fiscali per le grandi riforme a cominciare da quella della scuola, vera officina delle pari opportunità. Invece il problema viene affrontato dalla coda. Rivendicare maggiore uguaglianza, concetto per altro superato dalla migliore tradizione socialdemocratica con quello più complesso e realistico delle “pari opportunità”, in un Paese che si impoverisce, è la corsa del gambero. Con una inevitabile conseguenza, evidente nel Pd attuale.
Lo spostamento dell’attenzione sulle politiche assistenziali, che anziché essere usate con la necessaria parsimonia e in modo selettivo, invadono ogni campo. Pensioni, reddito di cittadinanza, bonus di ogni genere (persino quello per acquistare le macchinetta per rendere frizzante l’acqua potabile), nazionalizzazioni di aziende decotte. Così quello che dovrebbe essere il partito del lavoro diventa il partito del lavoro che non c’è, e quindi il partito degli assistiti. La società civile perde ogni autonomia e diventa sempre più dipendente dallo Stato. L’Italia si meridionalizza. Anche il modo scolastico e propagandistico con cui si è affrontata la transizione ecologica senza alcuna approfondita riflessione sull’impatto economico sul Paese e soprattutto sulle classi più deboli, ulteriormente colpite da aumenti di costi con effetti chiaramente regressivi dal punto divista fiscale, mostra più il tentativo di trovare a tutti i costi un nuovo ancoraggio ideologico piuttosto che una ragionata strategia.
È rimasto scolpito nella memoria il tweet di Letta contro il gas poco tempo prima che scoppiasse la crisi ucraina che ci ha ricordato in modo esemplare come si produce energia in Italia e in Europa. Persino i Verdi tedeschi mostrano un tasso di realismo e consapevolezza superiori di quello che dovrebbe essere un grande partito socialdemocratico. L’Italia ha bisogno di un Pd autorevole. Che non ha bisogno di alcuna rifondazione o nuovo inizio. Parole tipiche di chi, come dicono a Milano, cerca di tirarsi su facendo leva sulle proprie bretelle. Operazioni infantili come se fosse possibile rinascere ogni volta che qualche cosa va storto, un sogno adolescenziale, anziché fare un bilancio critico, responsabile e aggiustare il tiro.
Capisco, ma ovviamente non condivido la tentazione di auto confinarsi in un recinto identitario e garantirsi così una stentata sopravvivenza. Passando dalla vocazione maggioritaria a quella di rappresentanza di ceti minoritari prevalentemente assistiti. Gli operai, i lavoratori dipendenti guardano al sodo e sono già da un’altra parte con buona pace di Landini e dei 5 Stelle. Per non parlare dei milioni di autonomi, fra cui la migliore gioventù, che sogna l’intrapresa e accetta il rischio. Ma a questa Italia il Pd non guarda più. Non vuole più interpretare lo spirito della nazione che lavora e crea ricchezza. Eppure è quello che fa in molti dei luoghi dove amministra da anni e da decenni e dove questa capacità gli viene riconosciuta. Lo ha detto bene Gori su queste pagine. Forse ricominciare dalla parte positiva della propria storia potrebbe essere il modo giusto. In politica, come in ogni intrapresa umana, si parte dalle idee. E quelle attuali del Pd mi sembrano, in grande parte povere e già (auto)condannate all’irrilevanza.
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Tutta la matematica del gaming: dalle singole variabili alla teoria di John Nash
Interagire con gli altri cercando di ottenere il più alto guadagno possibile, il tutto mettendo in campo strategie, tattiche, soluzioni diverse. C’è questo al centro della cosiddetta Teoria dei giochi, firmata da John Nash, uno dei più grandi matematici della storia. Premio Nobel per l’economia nel 1994, tra le menti più brillanti e più originali […]
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Quanto il conflitto tra grandi Potenze sta influenzando l’incombente crisi del Caucaso
Il blocco del Nagorno-Karabakh – una regione montuosa riconosciuta a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian, ma sotto l’effettivo controllo armeno da tre decenni – sta entrando nella sua quarta settimana. I rapporti evidenziano la rapida diminuzione della fornitura di medicine, generi alimentari e altri beni essenziali senza apparentemente alcuna risoluzione in vista. Preoccupata per la […]
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Ricordando Mariangela Melato, icona della scena e ‘anti-diva’
L’11 gennaio del 2013, il mondo del cinema del teatro e non solo, piangeva la scomparsa di Mariangela Melato. L’attrice, un icona del nostro immaginario collettivo, aveva 71 anni. E, a 10 anni di distanza da quella grande perdita, tutto il mondo dello spettacolo italiano, teatrale e cinematografico, la ricorda con affetto sottolineando le sue […]
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Romeo e Manetta
Alfredo Romeo, imprenditore, fu arrestato nel marzo del 2017, per una faccenda di gare e corruzione. Fu tenuto agli arresti cinque mesi, di cui tre in carcere. Poi la giustizia stabilì, dopo cinque mesi, che non esistevano ragioni di custodia cautelare. Nel frattempo era ogni giorno su tutti i giornali e centinaia di volte al giorno in tele e radiogiornali. Adesso, ancora una volta, è stato assolto. Perché il fatto non sussiste.
Vi propongo l’elenco dei colpevoli:
1. l’informazione che strilla l’accusa e nasconde l’assoluzione, facendo del colpevolismo lo spettacolo per vendere e avanzare;
2. la giustizia in cui fa carriera anche chi fa arrestare innocenti e perde i processi;
3. i cittadini che dicono: ci sono le prove, la prossima volta ci pensi prima. Mentre passa per complice chi dice: se ci sono le prove lo portino a processo, in carcere si va dopo la condanna.
Per non perdere il vizio: Eva Kaili sia processata, ma la carcerazione lontana dalla bambina di 22 mesi è una barbarie inaccettabile.
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FABBRI E’ INFLUENZATO, RINVIATA LA LECTIO MAGISTRALIS IN PROGRAMMA DOMANI PER LA SCUOLA DI LIBERALISMO DELLA FONDAZIONE LUIGI EINAUDI
Tra i tre milioni e mezzo di italiani colpiti, in queste settimane, dall’influenza australiana, c’è anche Dario Fabbri, l’esperto di geopolitica atteso domani a Teramo, per la lectio magistralis prevista nel programma della scuola di Liberalismo della Fondazione Luigi Einaudi. Fabbri ha informato questa sera il responsabile della sede abruzzese della Fondazione, Alfredo Grotta, comunicandogli, con vivo dispiacere, l’impossibilità di partecipare all’incontro previsto per le 17 alla Sala Polifiunzionale. Inevitabile dunque il rinvio della Lectio magistralis sul tema “DOMINO: quale nuovo ordine mondiale?” alla prossima data possibile.
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Perù: la repressione fa 47 morti. Governo indagato per genocidio
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 12 gennaio 2023 – La repressione delle manifestazioni scatenate dall’arresto di Pedro Castillo dopo il fallimento dell’autogolpe tentato dall’ex presidente il 7 dicembre ha provocato un bagno di sangue.
Nell’ultimo mese sono state almeno 47 le vittime della violenza; l’ultima strage, la più sanguinosa, è stata compiuta dalle forze di sicurezza a Juliaca, nel dipartimento di Puno. Il bilancio provvisorio è di 18 vittime, ma potrebbe aumentare visto l’alto numero di feriti gravi.
Gli agenti e i militari incaricati di “ripristinare l’ordine” hanno sparato ad altezza d’uomo, riferiscono i testimoni, contro i manifestanti scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Dina Boluarte – la numero due di Castillo designata presidente dopo l’arresto di quest’ultimo – lo scioglimento del parlamento e l’indizione di elezioni anticipate.
Inizialmente, la prima presidente donna del Perù aveva promesso di indire nuove elezioni a dicembre del 2023, ma il Congresso ha respinto la proposta posticipando il voto, forse, al 2024.
Da quel momento le proteste sono riprese con forza – tutti i sondaggi indicano che la stragrande maggioranza della popolazione vuole tornare alle urne il prima possibile – e la repressione sembra farsi sempre più dura. D’altronde, per il governo di Lima, le manifestazioni costituiscono la prosecuzione del «colpo di stato» maldestramente tentato dal leader della sinistra per evitare la destituzione.
La parabola dell’ex maestro di sinistra
Il 7 dicembre Castillo ordinò lo scioglimento del Congresso e la formazione di un “governo di emergenza”, con l’idea di chiamare il paese a elezioni anticipate e di forzare una riforma radicale del potere giudiziario. Quest’ultimo, controllato dagli ambienti conservatori e reazionari, ha sistematicamente boicottato la presidenza provocando non pochi problemi ad una compagine comunque raffazzonata. Anche il tentativo di Castillo di sottrarsi all’ennesimo tentativo di destituzione da parte dell’opposizione parlamentare è apparso improvvisato e privo dei necessari sostegni. Dopo la rinuncia e la condanna dei suoi stessi ministri, Castillo si è diretto all’ambasciata messicana a Lima per chiedere asilo, ma è stato arrestato dalla sua stessa scorta.
La vittoria del maestro rurale di origini indigene a capo di una coalizione di sinistra nel 2021 aveva bloccato l’elezione di Keiko Fujimori – figlia dell’ex dittatore di origini giapponesi Alberto Fujimori, tuttora in carcere per crimini contro l’umanità – e aveva destato grandi aspettative tra i movimenti indigeni e popolari da sempre ai margini della vita politica del paese. La sua promessa di una riforma radicale del sistema politico ed economico del Perù gli aveva garantito la vittoria, per quanto di misura, sui candidati della destra, ma il suo mandato si è rivelato un fallimento, sia per le contraddizioni e le divisioni interne alla sua compagine sia per l’impossibilità di governare un paese dominato da una élite allergica ad ogni cambiamento. Non solo i media (per lo più di proprietà del gruppo privato El Comercio) e i massimi organi giudiziari hanno mosso contro Castillo un’implacabile guerra, ma pezzi consistenti della sua stessa maggioranza parlamentare hanno portato avanti un sistematico ostruzionismo – compreso il suo partito, “Perù Libre”, che lo ha addirittura espulso – impedendo alla presidenza di varare almeno alcune delle riforme sociali ed economiche promesse. L’incompetenza e la discutibilità morale del personale politico scelto da Castillo per governare il paese e le trappole disseminate dalla destra hanno fatto il resto, provocando una crisi di governo permanente e le dimissioni di decine tra premier e ministri nel giro di poco più di un anno.
La piazza vuole l’Assemblea Costituente
Appare indicativo il fatto che a guidare la svolta reazionaria e la repressione sia ora, dopo l’arresto di Castillo, la sua ex vice, Dina Boluarte, un’avvocatessa sessantenne con scarsa esperienza politica ed eletta nelle fila del partito di sinistra “Perù Libre”, ma che ora sembra offrirsi all’oligarchia peruviana come il baluardo della restaurazione politica.
Ma, dopo la relativa pausa in occasione delle feste di fine anno, le proteste popolari sono riprese con vigore il 4 gennaio, con l’indizione di uno sciopero generale ad oltranza che sta paralizzando soprattutto il sud del paese dove più forte è la presenza delle popolazioni aymara e dove più massiccio era stato il voto per Castillo. Blocchi stradali, occupazioni e scontri sono segnalati in diversi dipartimenti, soprattutto a Puno, Arequipa e Tacna. Particolarmente forti sono stati gli scontri registrati ieri tra indigeni che tentavano di occupare l’aeroporto di Cuzco e la polizia. Se non basterà, avvisano i manifestanti, verrà organizzata una grande marcia su Lima per assediare il governo e le sedi istituzionali.
Le organizzazioni popolari e parte delle sinistre continuano a chiedere la rinuncia di Boluarte e l’elezione di un’Assemblea Costituente che riscriva una Magna Charta che blinda il neoliberismo. Una richiesta fatta propria dal governatore del dipartimento di Puno, Richard Hancco, che dopo la strage di lunedì ha indetto tre giorni di lutto. Da parte sua il primo ministro Alberto Otárola ha imposto nel dipartimento andino tre giorni di coprifuoco notturno.
La strage di Juliaca
Nel frattempo però la conta dei morti e dei feriti aumenta, mentre ogni giorno si contano centinaia di arresti. La vittima più giovane è un’adolescente di soli 17 anni, Yamileth Aroquipa, studentessa di psicologia e volontaria in un rifugio per animali abbandonati. È stata uccisa a Juliaca, città nel sudest alla frontiera con la Bolivia. Tra le vittime ci sono Marco Antonio Samillan, un neurochirurgo colpito alla testa mentre tentava di soccorrere un ferito; Gabriel Omar López, 35 anni, venditore ambulante di gelati; Roger Cayo, 22 anni, studente di meccanica.
Contro i circa 9000 manifestanti disarmati che lunedì sera assediavano il locale aeroporto, raccontano i media locali, la Polizia Nazionale ha usato addirittura dei proiettili esplosivi. Il dottor Enrique Sotomayor, responsabile della terapia intensiva dell’ospedale Carlos Monge Medrano di Juliaca, ha riferito ai media locali che quasi tutti i cadaveri e i feriti arrivati nel nosocomio erano stati colpiti da proiettili di armi da fuoco abbastanza potenti da danneggiare gravemente gli organi interni.
Inferociti dalla caccia all’uomo seguita alla strage, alcuni manifestanti hanno incendiato una volante della polizia, causando la morte di un agente.
Presidente e governo indagati per strage
Dopo le proteste e le denunce contro la brutalità della polizia e dell’esercito, mobilitato grazie allo stato d’emergenza proclamato dalle autorità, la Procura Generale di Lima ha aperto un’indagine per “genocidio” (strage), omicidio e lesioni gravi contro la presidente, il premier Otárola – che ha appena ottenuto la fiducia con 73 voti a favore e 43 contro – e i ministri degli Interni Victor Rojas e della Difesa Jorge Chavez. L’indagine coinvolge anche il primo premier incaricato da Boluarte, Pedro Angulo e l’ex ministro dell’Interno, Cesar Cervantes, e alcuni alti funzionari di polizia, fra cui il capo della regione di Ayacucho, Antero Mejia Escajadillo ed il comandante della seconda brigata di fanteria militare di Ayacucho, Jesus Vera Ipenza.
Gli indagati si difendono accusando Castillo, condannato a 18 mesi di carcere preventivo per cospirazione e ribellione, di manipolare i manifestanti, additati come terroristi e delinquenti. Boluarte, in particolare, ha denunciato la “sinistra radicale” come istigatrice alla sovversione violenta dell’ordine costituzionale. La stampa di destra e alcuni esponenti del governo hanno anche puntato il dito contro il narcotraffico e contro l’ex presidente socialista boliviano Evo Morales, al quale lunedì scorso Lima ha vietato l’ingresso nel paese e che ora viene accusato di essere tra gli organizzatori occulti delle proteste.
Castillo accusa Washington
Dal carcere l’ex presidente Castillo accusa il governo di «massacrare la popolazione indifesa», attribuendo la repressione agli Stati Uniti, interessati a riconquistare il controllo delle risorse minerarie del paese. Scrive l’ex maestro in una lettera scritta a mano: «La visita dell’ambasciatrice degli Stati Uniti (Lisa Kenna) al Palazzo non è gratis, e neanche a favore del Paese. È stata compiuta per dare l’ordine di portare l’esercito nelle strade e massacrare il mio popolo indifeso». Poco dopo la pubblicazione del messaggio dell’ex presidente, l’Ambasciata di Washington a Lima ha pubblicato una breve nota nella quale ribadiva il «rispetto» della Casa Bianca per le «istituzioni democratiche del Perù» rilanciando «un appello alla pace e all’unità».
Sulla situazione in Perù è intervenuto anche il primo presidente di sinistra della Colombia. «Ciò che sta avvenendo in Perù è un massacro contro la popolazione. Una soluzione politica e pacifica è essenziale. Fermare la morte e sedersi a parlare. Il sistema interamericano dei diritti umani deve agire con urgenza» ha scritto Gustavo Petro in un tweet.
Intanto, la concessione dell’asilo politico da parte del Messico a Lilia Paredes, moglie di Castillo, e i suoi due figli Arnold e Alondra, ha reso tesi i rapporti tra Lima e Città del Messico. Il governo peruviano ha dichiarato persona non grata l’ambasciatore messicano Pablo Monroy a causa delle «continue ingerenze della missione diplomatica negli affari interni del paese». – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Cadde infatti la Francia monarchica…
Cadde infatti la Francia monarchica, che tutta si incentrava a Versailles, come prima era caduto l’impero romano che tutto si incentrava in Cesare, come rovineranno in futuro tutte le società che si diano interamente ad un uomo o ad un idolo.
da Liberalismo, “L’Italia e il secondo Risorgimento”, 29 luglio 1944
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Quando la Storia divide anziché unire
Colpisce, a proposito di certi avvenimenti intorno alla fine dell’anno l’abisso culturale in cui accadono, ma specialmente la distanza siderale dalla realtà che rivelano nel loro ‘avvenire’. Mi riferisco ad un episodio in particolare: la richiesta del Governo egiziano a quello inglese di restituzione della ‘Stele di Rosetta’. Si tratta, come tutti ben sanno, di […]
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AFGHANISTAN. Ancora un attentato kamikaze a Kabul: 5 morti e decine di feriti
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 11 gennaio 2022 – E’ di almeno 5 morti e decine di feriti il bilancio dell’attentato kamikaze che nel pomeriggio dell’11 gennaio, alle ore 16.00 afghane, ha colpito Kabul, a pochi passi dal Ministero degli Esteri. Secondo l’agenzia di notizie Reuters, Ustad Fareedun, un funzionario del ministero della comunicazione del governo dei talebani, avrebbe parlato addirittura di 20 morti, numero rilanciato pochi minuti dopo anche da Al Jazeera. Il funzionario avrebbe, inoltre, dichiarato che l’obiettivo iniziale dell’attentatore suicida sarebbe stato quello di introdursi direttamente nella sede del Ministero.
Il centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency, l’ONG fondata nel 1994 da Gino Strada e Teresa Sarti e attiva da oltre 20 anni nel Paese, ha ricevuto finora 40 feriti. “Fino ad ora abbiamo ricevuto oltre 40 pazienti in ospedale, difficile stilare un bilancio, le attività sono ancora in corso – ha dichiarato Stefano Sozza nel comunicato diffuso sui canali ufficiali dell’organizzazione – Si tratta della prima mass casualty del 2023, ma di certo da inizio 2022 una di quelle con più pazienti. Tanto che abbiamo dovuto predisporre letti anche nelle cucine e nella sala mensa”. Nel 2022, le mass casualties gestite nell’ospedale erano state 29, per un totale di 380 pazienti.
🔴 #Kabul #Esplosione vicino al Ministero degli Affari Esteri, oltre 40 feriti ricevuti finora nel nostro ospedale. “Bilancio delle vittime ancora in divenire, predisposti letti anche nelle cucine e nella sala mensa” Leggi ⬇️ t.co/Vu9UqXqw57— EMERGENCY (@emergency_ong) January 11, 2023
Nonostante la propaganda talebana rivendichi una maggiore sicurezza nel Paese e una riduzione del numero degli attentati dall’agosto 2021 ovvero dalla partenza delle truppe alleate, gli atti terroristici continuano a mietere vittime in Afghanistan. Decine di attacchi armati sono stati rivendicati dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).
Nel mese di dicembre, cinque uomini d’affari cinesi erano stati feriti in un agguato di uomini armati in un rinomato hotel di Kabul. Nello stesso mese, un attentato aveva colpito l’ambasciata del Pakistan, un episodio che le autorità pakistane avevano denunciato come un “tentato omicidio” del loro ambasciatore. Si tratta solo degli ultimi attentati rivendicati dall’Isil. Anche il Ministero degli interni di Kabul e l’ambasciata russa erano stati colpiti nei mesi precedenti.
Secondo il rapporto sulla protezione dei civili nei conflitti armati pubblicato nel luglio 2022 da UNAMA, la Missione di Soccorso delle Nazioni Unite in Afghanistan, in dieci mesi, tra la metà di agosto 2021 e la metà di giugno 2022, le vittime civili di attacchi terroristici nel Paese sarebbero state 2106, delle quali 700 morti. La maggior parte degli attentati, anche secondo UNAMA, sarebbero attribuibili all’Isil e molto frequentemente rivolti contro stranieri o contro minoranze etniche.
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VIDEO. Scarcerato dopo 40 anni Karim Younis. Ministro chiede revoca cittadinanza israeliana
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 5 gennaio 2022 – Accolto da decine di parenti e conoscenti, Karim Younis questa mattina poco dopo le 5 è stato scarcerato e, dopo 40 anni, è tornato a casa ad Arara in Galilea e si è poi recato a far visita alla tomba della madre scomparsa nei mesi passati.
Cittadino israeliano, Younis assieme a due parenti – Maher e Sami Younis – nel 1980 uccise un soldato israeliano, Avraham Bromberg. Condannato a morte, pena poi commutata in 40 anni di carcere, Karim Younis è stato spesso negli elenchi di detenuti politici palestinesi da liberare sulla base di accordi con Israele per lo scambio di prigionieri. Le autorità israeliane hanno sempre respinto la possibilità di una sua scarcerazione anticipata. Considerato un simbolo da tanti palestinesi per la sua lunga prigionia, Younis potrebbe vedersi revocata la sua cittadinanza israeliana se sarà accolta dai giudici la richiesta in quella direzione formulata dal neo-ministro dell’interno Arie Deri.
Intanto la scorsa notte è salito a quattro il bilancio dall’inizio dell’anno di palestinesi uccisi durante incursioni dell’esercito israeliano nei centri abitati cisgiordani. Nel campo profughi di Balata (Nablus) un ragazzo di 16 anni, Amer Abu Zaitun, è stato colpito alla testa da un proiettile sparato, denunciano i palestinesi, da soldati israeliani. Secondo la versione dell’esercito invece l’adolescente sarebbe stato ucciso da un colpo vagante nel fuoco incrociato tra forze israeliane e combattenti palestinesi “durante l’arresto di un ricercato”.
L'articolo VIDEO. Scarcerato dopo 40 anni Karim Younis. Ministro chiede revoca cittadinanza israeliana proviene da Pagine Esteri.
@Friendica Support Good evening everyone! I just noticed an anomaly that I haven't been able to fix. In fact, I noticed that friendica's posts are displayed on mastodon with a different visibility depending on whether they are written with the title/subject or if they are written as simple messages.
In the first case, Mastodon (which can only display the title/subject and the link to the original message) decodes them as "Unlisted"; in the second case, Mastodon (besides reading them completely) classifies them as "Public"!
Is there a way to force display "Public" for all messages?
PS: obviously in the "Security and Privacy Settings" settings in "/settings" the Make public posts unlisted box (Your public posts will not appear on the community pages or in search results, nor be sent to relay servers. However they can still appear on public feeds on remote servers) is not selected
Friendica Support reshared this.
Friendica Support reshared this.
@Michael Vogel Sorry for the delay in answering you, but I did a series of tests and these tests didn't give me the results I expected. Thus, by dint of doing other tests, I finally understood what was the problem that determined "untitled" visibility in my Friendica posts with title/subject.
Clue
Almost all of the posts with title/subject that I produce are intended for publication on Lemmy and upon closer inspection, I found that ONLY the posts intended for Lemmy have this visibility problem...
Discovery
Well, I understand that the problem lies in the mention of the Lemmy community! As I should have expected based on Friendica conventions (which in the meantime I had completely forgotten) the mention of a group/forum is considered "Public" if done with the @ at sign, while it is considered "Unlisted" if done with the exclamation mark !
Since the mention of the Lemmy communities usually takes place with the exclamation point, this is the reason why the posts did not result in "public" mode but only in "unlisted" mode.
Solution
Actually, it is also possible to mention Lemmy communities with the @ sign, and in this way the produced posts are displayed as "public"
Example:
1) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica
2) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica (with mention on Lemmy)
3) Standard visibility on Mastodon of titled posts posted by Friendica (with mention @ on Lemmy)
Friendica Support reshared this.
@:fedora: filippodb :BLM: :gnu: 🔗 mastodon.uno/users/filippodb/s…
Esattamente 10 anni fa, l'11 gernnaio 2013 Aaron Swartz si toglieva la vita.
In sua memoria fu creato il FIlm documentario "Il figlio di internet: Storia di #AaronSwartz" (The Internet's Own Boy).
Un'opera che dovrebbe essere vista in tutte le scuole e condivisa da tutti (è rilasciata su licenza libera #creativecommons):
:peertube: peertube.uno/w/t4Uft32TfUGk6bm…
Qua il suo manifesto di Guerilla Open Access nel sito dei @Devol :fediverso::
:opensource: devol.it/it/guerrilla-open-acc…
da condividere il più possibile.
Le sanzioni contro la Russia funzioneranno, ma lentamente
In risposta all’invasione russa dell’Ucraina, il G7 e circa altri 50 paesi hanno imposto sanzioni economiche alla Russia. Si suddividono in due grandi categorie: reali e finanziarie. Le vere sanzioni includono restrizioni al commercio con la Russia e la revoca del suo status di nazione più favorita. Quelli finanziari comportano il congelamento dei beni russi […]
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Poliverso & Poliversity reshared this.
Gli armeni cancellati dalla guerra che nessuno vuole vedere
La scrittrice: «Nel Nagorno-Karabakh un popolo invaso viene torturato nel silenzio»
Le bugie hanno le gambe corte. Ma a volte, come nel caso della lettera del prof. Daniel Pommier Vincelli a La Stampa del 22 dicembre, pubblicata col titolo L’Azerbaigian rivendica i propri confini legittimi. Sono le interferenze russe a peggiorare la situazione, non le hanno affatto. Vorrei segnalare le affermazioni e omissioni più eclatanti di questa lettera. In risposta all’affermazione che «l’espulsione della popolazione civile» azera dal Nagorno-Karabakh negli Anni 90 è «stata tecnicamente la più grande pulizia etnica del XX secolo», vorremmo sommessamente ricordare al prof. Vincelli che nel XX secolo ci sono stati numerosi – e ben noti – genocidi e pulizie etniche, riguardanti – in primis – armeni ed ebrei e poi l’Holodomor ucraino (su cui, nel 2019, è uscito il bel film Mr. Jones), il Ruanda, la Cambogia, i Balcani…
Quanto alla “pulizia etnica” dell’Azerbaijan, ricordiamo che di profughi armeni ce ne furono circa 400.000. Secondo l’European Commission against Racism and Intolerance, gli armeni erano «il gruppo più vulnerabile in Azerbaijan nel campo del razzismo e della discriminazione razziale» (2006). All’affermazione che «l’Armenia … [ha strappato] all’Azerbaigian non solo la regione del Karabakh» e alla descrizione della prima guerra del Nagorno-Karabakh come «l’invasione armena dei territori azerbaigiani», faremmo notare che solitamente non si definiscono come “invasori” le popolazioni autoctone o indigene. Gli “invasori” vengono dal di fuori. Gli armeni, invece, vengono dal di dentro: sono autoctoni di quelle terre. Tanto è vero che la lingua ufficiale della regione autonoma (oblast) del Nagorno-Karabakh, dotata anche di un Soviet autonomo, era l’armeno. Infine: bene il richiamo al l’Onu del Vincelli: «Diritto all’autodifesa come da articolo 51 dellacarta delle Nazioni Unite». Male invece non aver citato l’altro fondamentale diritto riconosciuto dall’Onu: il diritto all’autodeterminazione dei popoli (Risoluzione 1514 (XV), 14 dicembre 1960).
E arriviamo alle omissioni. Ciò che è più incredibile della lettera di Vincelli è il voler «spazzare sotto il tappeto», come si dice in inglese, il pericolo corso dal popolo autoctono armeno del Nagorno Karabakh (tenuto a bada dall’Unione Sovietica, finché è durata). Come ricorda Sohrab Ahmari nel suo magistrale articolo sui fatti dell’Artsakh (del 22 dicembre scorso), finché c’era il Soviet gli armeni del Karabakh riuscirono a coesistere coi non armeni. Ma con il suo indebolimento, essi rividero lo spettro dei pogrom del XX secolo. Per loro combattere divenne una questione di sopravvivenza.
Vergognoso poi è il silenzio sulle decapitazioni da parte azera di abitanti dell’Artsakh, sulle torture su civili armeni e sui prigionieri di guerra, sui video (da loro diffusi sui social) di donnearmene mutilate, sul vergognoso Parco della Vittoria creato da Aliyev a Baku alla fine della guerra; per non parlare dell’assassinio dell’ufficiale armeno Gurgen Markaryan durante il sonno, colpito 16 volte con un’ascia dall”ufficiale azero Ramil Safarov a Budapest, durante le esercitazioni Nato del gennaio 2004. Condannato all’ergastolo, Safarov venne rimpatriato dopo una trattativa segreta col governo ungherese, e festeggiato in patria come un eroe nazionale. Tutte questo cose sono state ampiamente documentate e riportate dai giornali.
E che dire del “caso Akram Aylisli”? Questo scrittore ottantacinquenne, uno dei più noti e celebrati autori azeri, ha scritto un breve romanzo, Sogni di pietra (2013), pubblicato anche in Italia da Guerini, con la prefazione di Gian Antonio Stella. Una piccola storia incantevole di fratellanza e di pace ambientata a Baku, in cui un vecchio attore azero finisce in ospedale per aver difeso un armeno da un linciaggio, e nel delirio ricorda la pacifica convivenza nel villaggio natio. Aylisli è diventato un reietto: è stato dichiarato apostata, espulso dall’Unione degli scrittori azeri, privato della pensione, gli è stato impedito di uscire dal Paese. E infine, perché parlare di «una premessa storica, che assume un valore etico-politico»? Vogliamo proprio parlare di etica, prof. Vincelli? Perché non cominciamo con il parlare di verità? Come ricorda Kant, le bugie sono in sé cosa non etica: mendacium est falsiloquium in praeiudicium alterius.
Proprio in questi giorni ecco l’ultimo episodio di questa spietata guerra sotterranea, chiaramente intesa a far sloggiare i restanti 120.000 abitanti armeni del Karabakh: il blocco del corridoio di Lachin, l’ultima strada – rimasta operativa sotto il controllo di militari russi – che collega al mondo questa enclave abitata da millenni dal popolo armeno. È una mossa che fa seguito ai bombardamenti del luglio scorso,
in cui furono attaccati diversi villaggi di confine e anche la celebre stazione termale di Jermuk, nel territorio stesso dell’Armenia, con parecchi morti e feriti. Una perversa partita del gatto col topo, il cui scopo è di accrescere l’ansia e l’angoscia di questi poveri e ostinati montanari, attaccati come ostriche allo scoglio alla loro terra natia, dove sono ritornati dopo la guerra dell’autunno 2020, vinta dall’Azerbaigian col supporto dei droni turchi e delle milizie dei jihadisti siriani. Farli diventare miserandi profughi, insomma, come gli sventurati sopravvissuti al genocidio del 1915-1922, che non a caso in Turchia vennero chiamati “i resti della spada”. L’attuale blocco totale del corridoio di Lachin, attuato da sedicenti “ambientalisti” azeri da 18 giorni, sta strangolando gli armeni del Karabakh. Ogni attività si sta fermando.
Nel severo inverno caucasico, manca il petrolio. Mancano o scarseggiano frutta, verdura, zucchero e molte altre cose di quotidiana utilità, che di solito arrivano dall’Armenia. I 612 studenti del complesso educativo italo-armeno(Hamalir Antonia Arslan), istituito dalla Cinf, fondazione italo-americana attiva da qualche anno, che vanno dai 4 ai 27 anni, sono costretti a casa, al freddo. Così hanno passato il Natale e il Capodanno. E il mondo occidentale tace, non guarda fischiettando dall’altra parte.
Ha collaborato SiobhanNash-Marshall.
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Nigeria: elezioni 2023, democrazia alla prova
Il 2023 è un momento critico per la Nigeria. L’anno determinerà se la Nigeria andrà avanti o andrà nella direzione opposta. È un anno magico per i nigeriani perché l’anno segnerà 24 anni di democrazia ininterrotta. Allo stesso tempo, le elezioni generali sono previste per febbraio. Questo è il più lungo esperimento democratico da quando […]
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Ucraina: l’invasione mette in luce i limiti della propaganda russa
Mentre l’attacco russo all’Ucraina si avvicina al traguardo di un anno, è sempre più chiaro che la decisione di Vladimir Putin di invadere è stata uno dei più grandi errori geopolitici dell’era moderna. Il dittatore russo inizialmente si aspettava una guerra breve e vittoriosa. Invece, la vacillante invasione di Putin lo ha trasformato in un […]
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La guerra con la Cina per Taiwan non finirà bene per nessuno
Come sarebbe se la Cina invadesse Taiwan nel 2026? Questa è la domanda a cui cerca di rispondere un rapporto sul wargame del Center for Strategic and International Studies. Il risultato è piuttosto devastante per tutte le parti, secondo “The First Battle of the Next War: Wargaming a Chinese Invasion of Taiwan”, che è stato […]
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Doppio Falso
Una una nota cantante è finita al centro dell’attenzione per vicende relative ai vaccini: non ha ritenuto di vaccinarsi e questo ha innescato le polemiche. Non faccio il nome, non perché ci sia qualcosa di riservato dato che la notizia è su tutti i giornali, ma perché non interessa il caso specifico. Credo infatti che sia interesse collettivo quel che presuppone quel modo di ragionare e quello che poi si è espresso. Ad esempio, la cantante ha detto di essere cresciuta in una famiglia che dubita della medicina tradizionale. Punto numero uno: cos’è è la medicina tradizionale? Quale quale sarebbe l’altra medicina? Quella orientale? Perché in tutto il mondo, da Oriente Occidente, da nord a sud, si pratica “la medicina”, della quale esistono diverse scuole di pensiero, che si evolve continuamente, ma praticano tutti la medesima medicina per i malati. Se hai una calcolosi renale, un tumore al pancreas, o qualsiasi altra cosa sia malattia, si pratica “la medicina”, non quella “tradizionale”, “innovativa” o chissà che altro.
Poi ci sono gli altri, cioè quelli che non sono malati fortunatamente, cui vengono ammannite delle cose senza senso, per esempio la stessa persona continuava dicendo :”tranne che in casi eccezionali, ho avuto sempre cure naturali” e quali sono queste cure naturali? No perché la morfina, l’oppio, l’eroina, la cocaina son cose naturali, vengono da piante; sono naturali anche i funghi alcuni dei quali sono sufficienti a mandare una persona al creatore; sono naturali i serpenti a sonagli dei quali non sto a parlarvi, perché immagino che qualcosa avrete capito.
La verità è che è nato tutto un filone industriale che non è neanche corretto chiamare farmaceutico (sono i cosiddetti integratori, la polverina, i tè, la bevanda calda) che, per carità, se uno si sente meglio nell’anima, si sente più leggero e più pulito, che benedicano lui che l’ha preso e quello che glielo ha venduto che ha fatto i soldi, ma questa cosa del naturale è una maxi presa in giro per quelli che ci vogliono credere. Ma ripeto, va benissimo, sempre che non ci si approfitti della debolezza altrui.
Il terzo elemento che è interessante di questa questione che riguarda la cantante è che a un certo punto, siccome la cosa è venuta fuori, ha detto di aver capito che bisogna fidarsi delle persone giuste, che l’ha detto anche ai genitori e che farà i vaccini. Ma le abiuree non si richiedono in un mondo di persone razionali, mentre il pentimento eventualmente è un sentimento personale. Il punto è un altro: non è che siccome io sono convinto che nonostante abbia bevuto molto alcool sono lucidissimo, basta questa mia convinzione per mettermi alla guida e così mettere a rischio la vita degli altri, perché la libertà che molti hanno in mente è una libertà che funziona solo alla prima persona singolare, mentre alla seconda già crolla. La profilassi collettiva è stato un modo per difendere la collettività, basta guardare cosa succede in Cina dove non lo hanno fatto. Se mi sottraggono non è che devo pentirmi o abiurare le idee scientifiche, devo semplicemente riconoscere di avere agito egoisticamente pensando a me e alle mie convinzioni – giuste sbagliate, poi ognuno se la vede con se stesso – ma non mi importava di tutti gli altri, e questo non è un bell’esempio.
Ultimo elemento, decisivo, è che le polemiche non sono nate perché non si è vaccinata. Infatti sono un bel numero, anche se non tantissimi (il 90% della popolazione che poteva vaccinarsi ha deciso di farlo), quelli che hanno scelto di non vaccinarsi e non sono al centro di nessuna polemica. Il problema è la certificazione falsa, poiché la persona in questione ha falsamente attestato di avere fatto quello che ora dice che secondo lei era moralmente e teoricamente sbagliato e questa sì, è una colpa, anzi, sono due colpe: falso e doppio falso.
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Perché proprio ora si torna a parlare di Emanuela Orlandi?
Il 14 gennaio Emanuela Orlandi festeggerebbe, fosse ancora viva, 55 anni. Ne aveva 15, quando, il 22 giugno 1983, è misteriosamente scomparsa. A quarant’anni dalla scomparsa, il Vaticano annuncia ufficialmente di aver deciso di studiare per l’ennesima volta tutto il corposo fascicolo relativo a quest’’affaire’, per cercare di fare piena luce e fugare ogni possibile sospetto e […]
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Meta Advertising Ban - Decision Published
Divieto di pubblicità su Meta - Pubblicata la decisione Ora è possibile leggere i dettagli della decisione del DPC! Sembra che ci siano tempi interessanti per i tribunali!
Meno vincoli sui contratti a termine: l'attacco del Governo si intensifica | Senza Tregua
"Aumentare la durata massima di proroga di un contratto a tempo determinato permetterà ai padroni di aumentare tantissimo il tempo in cui quel lavoratore potrà essere sottoposto a ricatto, con la continua pressione del licenziamento, rendendolo di fatto più esposto nel subire le ingiustizie e le richieste di straordinari. Inoltre, senza un contratto a tempo indeterminato, è estremamente difficile, se non impossibile per i proletari, a maggior ragione se stranieri, ottenere un contratto di affitto di un appartamento. Infine, l’incertezza in merito al proprio destino lavorativo andrà ulteriormente a minare la possibilità per i lavoratori di organizzarsi sul piano sindacale, i quali, sotto ricatto costante, saranno ancora più ostacolati nel portare avanti lotte e vertenze all’interno dei luoghi di lavoro per richiedere condizioni migliorative."
Brasile: ‘illusione’ di colpo di Stato
“Questa è una mattina / del Brasile. Vivo dentro / a un violento diamante, / tutta la trasparenza / della terra / si materializzò / sulla / mia fronte”, scriveva Pablo Neruda. La violenza, domenica scorsa, si è materializzata a Brasilia quando diverse centinaia di persone, molte delle quali avvolti nella bandiera carioca, hanno assaltato […]
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Firenze, non chiamate mai i vigili del fuoco!
Non chiamate mai i vigili del fuoco!
Pubblicato il 11/01/2023 da Miguel Martinez
Ieri abbiamo avuto una lezione di urbanistica molto istruttiva.
Allora, riassunto delle puntate precedenti:
A dicembre, si apre una grossa buca nella nostra trecentesca strada, percorsa quotidianamente da centinaia di autobus.
I residenti dei palazzi vicini iniziano a segnalare crepe preoccupanti anche nei loro palazzi, che tremano a ogni passaggio.
In particolare, una Signora scopre una voragine nella propria cantina di casa, proprio di fronte alla buca appena tappata.
La Signora chiama i vigili del fuoco, che le consigliano la massima allerta, invitandola a tenere sempre pronta una valigia e scappare al minimo scricchiolio.
La polizia municipale, chiamata dai vigili del fuoco, fa piazzare delle transenne davanti a varie case, tra cui quella della signora.
Il traffico su quattro ruote viene bloccato a monte, con altre transenne.
Tutto chiaro?
Ieri mattina, la Signora a cui hanno detto di essere pronta a scappare riceve una telefonata.
“Sono dell’AVR“
“Cosa?”
“Sì, siamo la ditta che fornisce il Global Service al Comune di Firenze, in particolare siamo noi che mettiamo le transenne.
Il Comune ci sta mettendo pressione, vogliono riaprire la strada al traffico, lei ci dà il permesso?“
“Io? Ma è il Comune che ha chiuso la strada, mica io!”
“Ah, un’altra cosa, oggi le mandiamo la fattura.”
“Non ho capito…”
“Sì, ci deve pagare per le transenne. Le abbiamo messe per lei”.
“Ma perché devo pagare io? Io non le ho mai chieste!”
“No, guardi. La polizia municipale ci ha detto che è stata proprio lei a chiamare i vigili del fuoco, quindi ci rivaliamo su di lei.”
“Allora se devo pagare io, posso togliere le transenne davanti casa mia?”
“No. La rimozione deve essere autorizzata dalla polizia municipale, sono loro che ci hanno detto di metterle, non le può mica togliere lei.
Comunque stiamo preparando la fattura, più tardi gliela mandiamo, buona giornata!”
Qualche ora dopo, arriva per davvero la fattura.
Sono 875 (ottocentosettantacinque/00) euro per la “uscita dell’operaio” e per il godimento non richiesto delle suddette transenne per dieci giorni: ovviamente ogni giorno in più si aggiungeranno ulteriori costi, che verranno fatturati successivamente.
Ma per liberarsi da questo tributo alla Ditta Privata AVR, basta che la Signora esegua i necessari lavori per risistemare tutto, che un perito certifichi la perfetta condizione del palazzo, e soprattutto che la Signora si “assuma tutte le Responsabilità”: se il palazzo cade addosso a una famigliola e ne fa schiacciata co’ l’uva, l’assassina sarà la Signora.
IRAN. Proteste. Le idee diverse di cambiamento di conservatori e riformisti
di Valeria Cagnazzo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Ci sono due episodi nell’ultima settimana, tra le tante immagini di violenza e di aule di tribunale arrivate dall’Iran, che possono dare un’idea di quanto le proteste che scuotono il Paese stiano anche ferocemente scuotendo le alte sfere della politica, sia dalla parte del governo che da quella dell’opposizione. Al di là dell’opinione pubblica internazionale, delle denunce delle organizzazioni per i diritti umani, delle reazioni più o meno vigorose delle diplomazie occidentali, è all’interno del Paese e nelle sue stanze di governo che si decidono le sorti dell’Iran.
La prima immagine è quella del leader supremo Ali Khamenei che siede su un palchetto rivolto a un’assemblea di donne velate di nero. Lui è ingobbito nei soliti abiti di ordinanza e indossa una mascherina chirurgica che a causa delle barba gli si arriccia e gli risale fino al labbro inferiore. E’ il 4 gennaio, l’incontro si svolge a Teheran, e l’ayatollah afferma che il velo è “una necessità inviolabile della Sharia”. Poi, però, aggiunge: “Coloro che non indossano adeguatamente l’hijab non dovrebbero essere accusate di essere irreligiose o controrivoluzionarie”. E rivolge un invito ai suoi sostenitori: “Evitate di escludere dai circoli islamici e rivoluzionari coloro che indossano male l’hijab” perché anch’esse sono “le nostre mogli e le nostre figlie”.
La seconda immagine è il volto di Fatemeh Hashemi Rafsanjiani, le rughe le scavano il volto soprattutto intorno alle labbra e sotto alle occhiaie. E’ la figlia maggiore di Akbar Hashemi Rafsanjani, presidente moderato tra il 1989 e il 1997, deceduto nel 2017, deciso durante il suo mandato a migliorare i rapporti con l’Occidente e liberalizzare il mercato. Dal padre, Fatemeh Hashemi ha ereditato la passione per la politica, in un Paese in cui essere riformisti è sempre più difficile e l’opposizione è messa da parte. La sua fedina non è pulita, già nel 2012 è stata allontanata dalla politica e condannata al carcere per la sua propaganda “anti-statale” durante le elezioni del 2009.
Nella mattina di martedì 10 gennaio, il legale di Fatemeh Hashemi ha annunciato la condanna a 5 anni di carcere nei confronti della donna. Le accuse non sono ancora ufficiali, ma il suo attivismo e la sua propaganda contro il regime nell’ultimo anno e in particolare in questi ultimi mesi potrebbero essere la causa del suo ennesimo problema con la giustizia.
Secondo quanto dichiarato dall’agenzia Amwaj.media, Fatemeh Hashemi aveva incontrato nelle ultime settimane Mojtaba Khamenei, il figlio dell’ayatollah Khamenei e tra i suoi più papabili eredi. Al centro dell’incontro, secondo indiscrezioni e informazioni non ufficiali, ci sarebbe stata la richiesta da parte di Hashemi di ascoltare le richieste della popolazione e far imboccare al governo la via della riforma. L’esito non sembra essere stato dei migliori, e poco dopo su Hashemi si è abbattuta la condanna al carcere.
Una delle tante, in un Paese che giorno dopo giorno sentenzia e condanna anche alla pena capitale i leader delle proteste e gli attivisti. Nonostante le richieste provenienti da tutto il mondo di arrestare la macchina della morte e delle repressione messa in azione dal governo, i tribunali continuano a emettere sentenze draconiane. Muoiono per impiccagione manifestanti giovanissimi, colpevoli solo di aver partecipato alle proteste contro il regime o di aver diffuso critiche contro il governo.
Le manifestazioni, dal settembre 2022, si sono estese a oltre 160 città, in 31 province del Paese. Si marcia al canto di “Abbasso il dittatore”. La furia dei protestanti si rivolge contro lo status quo e contro la Repubblica islamica, non semplicemente contro la polizia morale o l’imposizione del velo.
Iniziate dopo la morte di Mahsa Amini, hanno convogliato in breve tempo la rabbia di tutto l’Iran. Anni di inflazione altissima, crollo della valuta, disoccupazione alle stelle, in un Paese in cui il dibattito pubblico non esiste e i partiti dell’opposizione sono stati ridotti al silenzio, dovevano inevitabilmente erompere prima o poi in un moto di rabbia. Uno tsunami, che continua a investire l’Iran, nonostante la repressione che il governo continua deliberatamente a operare a suon di condanne al carcere e alla pena capitale.
Mentre la repressione va avanti, però, l’ayatollah Khameini si mostra morbido e accondiscendente sull’obbligo del velo, un padre comprensivo delle “figlie” dell’Iran. Dall’altra parte, una donna dell’opposizione, dopo proteste e incontri clandestini con i suoi collaboratori, arriva a introdursi nelle stanze del Khameini figlio, perché la piazza venga ascoltata, perché qualcosa finalmente succeda. E del fatto che qualcosa debba succedere sembrano essere convinti i politici di entrambe le parti. Quelli che siedono al governo e che sostengono la repubblica islamica come quelli dell’opposizione. Ciascuno sta giocando le sue carte.
Tra i conservatori, si inizia a discutere di riforme. Le insurrezioni popolari non si fermano e il pericolo di una guerra civile è troppo alto per non cercare a questo punto di preservare lo status quo con qualche debole riforma che possa accontentare la popolazione e dare una parvenza di buona volontà.
Diversi politici conservatori ne starebbero discutendo a porte chiuse, ma nelle ultime settimane molti esponenti politici sono arrivati a rilasciare dichiarazioni pubbliche a sostegno di nuove aperture. L’ex relatore parlamentare Ali Larijani, ad esempio, un moderato e attualmente consigliere del leader supremo Ali Khamenei, secondo l’agenzia Amwaj avrebbe sostenuto che la Repubblica islamica dovrebbe ignorare l’applicazione dell’hijab obbligatorio, citando altre leggi che nella realtà dei fatti vengono ampiamente ignorate, come il divieto di utilizzo di antenne paraboliche.
Zarghami, ex capo conservatore della televisione di Stato e attualmente ministro della cultura e del turismo, avrebbe sottolineato che una riforma del sistema politico non significherebbe il suo collasso. Anche l’attuale portavoce del parlamento, Mohammed Baker Qalibaf, si sarebbe dichiarato a favore delle riforme, da operare all’interno del governo.
Alcuni bollettini diffusi a dicembre dal gruppo hacker “Black Reward” e attribuiti all’agenzia semi-ufficiale Fars, vicina all’Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC), sembrano supportare l’idea di un dibattito acceso all’interno della maggioranza dei conservatori. Al centro di esso, però, ci sarebbe ancora la questione del velo.
Nonostante il dibattito in seno alle alee conservatrici meno estremiste, nessun cambiamento potrà, però, effettivamente attuarsi, probabilmente, se non prima ratificato dall’Endurance Front, un gruppo religioso ultra-conservatore che controlla le posizioni più importanti della Repubblica.
Mentre alcuni conservatori, tra l’altro, si nascondono dietro al velo per preservare il loro potere, il cambiamento che i manifestanti chiedono è radicale. A intercettare le loro istanze, dovrebbero essere i riformisti, finalmente con un’occasione di tornare in prima linea – malgrado le ripercussioni e gli arresti previsti per i dissidenti.
Le strategie sembrano essere diverse, non ultima quella di rivolgersi direttamente al governo o ai garanti della Sharia e della Repubblica Islamica. Secondo un altro bollettino segreto diffuso dal gruppo hacker, l’ex presidente riformista Mohammad Khatami avrebbe scritto una lettera direttamente all’ayatollah per chiedere riforme strutturali. Proprio come Fatemeh Ashemi che si sarebbe rivolta direttamente a suo figlio.
I volti dell’opposizione tornano a riemergere e a spaventare l’establishment. A sostenerli, adesso, sarebbero milioni di iraniani insorti. E oltre ai politici noti di professione, i mesi di proteste hanno generato anche altre realtà.
Il 4 dicembre 2022, 30 organizzazioni locali coinvolte nell’organizzazione delle proteste, si sono riunite nella “Neighbourhood Alliance Youth of Iran”. Nel loro manifesto politico si chiede l’instaurazione di una forma di governo democratica e la separazione del potere politico da quello religioso, oltre al rispetto dei diritti universali dell’uomo e della donna.
ما جوانان و وارثان این مرز و بوم مرامنامه ای با محوریت سقوط ج.ا جدایی دین از سیاست و تشکیل یک دولت مردم سالار تحت حاکمیت قانون تهیه کرده ایم و بدینوسیله دوستان،گروهها و اصنافی را را که در تمامی هفت بند این مرام نامه با ما هم عقیده اند؛ به همکاری و ائتلاف دعوت میکنیم.#مهسا_امینی pic.twitter.com/x4ul6pyvdy— اتحاد جوانان محلات ایران (@UYI_fa) January 2, 2023
Ci sono poi gli iraniani della diaspora, che abbandonarono il Paese nel 1979 e il cui supporto è adesso fondamentale per incoraggiare i manifestanti e tenere puntati i riflettori dei loro Paesi ospiti su quello che sta succedendo. Hanno costituito organizzazioni per i diritti umani e reti di professionisti come la coalizione degli avvocati iraniani che potrebbero rivelarsi preziose anche nel sostenere un eventuale periodo di transizione, se mai le proteste dovessero effettivamente esitare in una rivoluzione e portare all’instaurazione di un nuovo governo.
E’ questo, infatti, l’interrogativo che maggioranza e opposizione si pongono ma sul quale si arrovellano ugualmente gli analisti nazionali e internazionali e i principali attori delle proteste che sfilano per le strade. E’ giusto chiamarla rivoluzione, e, soprattutto, potrebbe davvero ribaltare la Repubblica islamica?
Secondo l’avvocato iraniano-australiano Faraz Maghami, sarà possibile solo se le opposizioni ricorderanno la lezione del passato. Anche nel 1979, ha dichiarato alla rivista abc.net, il Paese era travolto da un’ondata di proteste violente e inarrestabili come quelle di oggi, ma il risultato fu una rivoluzione “dirottata”. La causa fu la totale assenza di un progetto. Commentatori, attivisti politici, gruppi diversi si erano riuniti tra loro “in modo molto approssimativo” con l’intento di “rovesciare lo Shah”, ma quando si concretizzò la possibilità di rovesciarlo effettivamente, non esisteva un piano di transizione. E ad approfittarne fu Khomeini.
Si dice ottimista Abbas Milani, direttore della facoltà di Studi iraniani all’Università di Stanford, che crede che l’opposizione e i movimenti emersi negli ultimi mesi nel Paese sarebbero in grado di formulare un piano di transizione efficace. “Sono nella diaspora da 35 anni”, ha dichiarato allo stesso giornale, “e non ho mai, mai visto la comunità iraniana, sia all’interno che all’esterno dell’Iran, tanto dedita quanto organizzata quanto mobilitata per il suo scopo”.
Le proteste potrebbero fallire e i restauratori conservare il loro potere. Gli attivisti e gli iraniani della diaspora per il momento dicono di non volerci pensare, di non poter immaginare questa opzione. Le ripercussioni sarebbero troppo violente, la vendetta si abbatterebbe su un Paese intero con proporzioni senza precedenti. Ormai, ripetono, “Siamo a un punto di non ritorno”.
*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico pediatra e praticante giornalista. Scrive poesie per le quali ha ottenuto premi e riconoscimenti. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Il suo libro “Inondazioni” (Capire Editore) nel 2020 è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.
L'articolo IRAN. Proteste. Le idee diverse di cambiamento di conservatori e riformisti proviene da Pagine Esteri.
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2)
di Antonio Mazzeo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Nell’agosto 2022 l’Italia – insieme ai reparti dell’esercito ungherese, croato e statunitense- è entrata a far parte del nuovo battaglione da guerra attivato dalla NATO in Ungheria per “rafforzare le attività di vigilanza” anti-Russia nel fianco sud-orientale. “L’Operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) in Ungheria è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO”, annota lo Stato Maggiore. “Con l’adesione all’iniziativa, dopo il previsto iter autorizzativo parlamentare, l’Italia si conferma tra i principali Paesi contributori, in termini di uomini, mezzi e risorse, al rafforzamento della postura di deterrenza e difesa della NATO sul fianco est”. (1)
A cannoneggiare nella puszta ungherese
La consistenza massima annuale autorizzata per il contingente in Ungheria è di circa 250 unità dell’Esercito; esso è composto – ancora una volta – da personale della Brigata Alpina “Taurinense”, in particolare del 3° Reggimento Alpini, rinforzato da componenti del 1° Reggimento Artiglieria Terrestre da montagna, del 1° Reggimento “Nizza Cavalleria” e del 32° Reggimento Genio Guastatori, oltre a un nucleo di polizia militare del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. Numerosi i veicoli tattici in dotazione, dalle blindo “Centauro” ai VTMM (Veicoli tattici medi multiruolo), ai VTLM (Veicoli tattici leggeri multiruolo) e ai BV206 (Veicoli tattici ad elevata mobilità) tipici delle truppe alpine. A completare il potente dispositivo bellico ci sono pure i sistemi d’arma in dotazione alle unità di artiglieria, quali gli obici FH70, i mortai “Thomson” da 120mm e i sistemi controcarro di 3^ generazione “Spike” con missili a lungo raggio prodotti dall’azienda israeliana Rafael Ltd.. “Tutti i reparti coinvolti nell’operazione eVA provengono da un intenso ciclo addestrativo che li ha visti partecipare, solo nell’ultimo semestre, alle esercitazioni Volpe Bianca 22 nell’alta Val di Susa, Cold Response 22 in Norvegia, Maurin 22 nell’alta Valle Maira e Candelo 22 nella baraggia biellese, senza contare il continuo addestramento di specialità a vivere, muovere e combattere in montagna”, riporta con malcelata enfasi bellica lo Stato Maggiore dell’Esercito.
Le attività operative hanno preso il via il 18 agosto, una decina di giorni dopo il completamento dello schieramento in territorio magiaro. Il battesimo è stato consacrato dall’addestramento al “combattimento nei centri abitati e di navigazione terrestre”, a fianco dei paracadutisti della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army e di una compagnia dell’esercito croato. A fine agosto gli alpini della “Taurinense” hanno svolto un modulo addestrativo al “movimento e combattimento in ambiente notturno”, con pattuglie da ricognizione per i plotoni fucilieri, “simulazione” di esercizi di tiro con mortai da 120mm e obici da 155mm, acquisizione di obiettivi in movimento per le squadre controcarri, pattuglie esploranti con blindo “Centauro”, impiego degli esplosivi per “ridurre la mobilità nemica” e di robot per la bonifica di ordigni avversari per la componente guastatori.
Nel corso della prima settimana di settembre il contingente italiano ha condotto contestualmente due diverse attività addestrative: l’esercitazione a partiti contrapposti denominata “Patrol Storm” (pattuglia tempesta) per “combinare” le capacità di fuoco e di “acquisizione di obiettivi nemici in ogni condizione ambientale”; e “Fire Observer Concentration” per standardizzare le procedure per l’osservazione, la richiesta e la gestione del fuoco terrestre “erogabile mediante sistemi di artiglieria in dotazione alla NATO”. Subito dopo gli alpini si sono sottoposti a quattro giornate consecutive di attività di tiro, diurno e notturno e “sotto stress” con armamento individuale e di reparto presso il poligono ungherese di Ujmajor.
A fine settembre, nell’estesa area addestrativa ungherese di Varpalota, si è svolta invece “Brave Warrior” (guerriero valoroso) per la validazione del nuovo battlegroup e il suo passaggio sotto il comando NATO. A “Brave Warrior” hanno partecipato anche i contingenti di Ungheria, Stati Uniti, Croazia e Slovacchia, per una forza totale di oltre 1.200 militari e 300 tra carri armati, blindati e obici di artiglieria. Ospiti e osservatori “eccellenti” alle grandi manovre i vertici militari della NATO, il Comandante del Joint Force Command NATO di Brunssum, gen. Guglielmo Luigi Miglietta e il Comandante Operativo di Vertice Interforze COVI, gen. Francesco Paolo Figliuolo. “Consentitemi di dire che è un orgoglio personale vedere impegnati in questo sforzo collettivo voi alpini della Brigata Taurinense, unità che ho avuto il privilegio di guidare tra il 2010 e il 2011”, ha dichiarato Figliuolo alla cerimonia conclusiva dei war games. “Non è un caso che in una missione particolare come questa sia stata scelta proprio un’unità delle Truppe Alpine dell’Esercito, a riprova della versatilità e della resilienza di un Corpo che ha scritto pagine gloriose della storia nazionale e militare, con un impiego che va dal deserto ai territori montani e artici, ai quali siamo più votati, fino alla pianura ungherese. Inoltre, voi siete portatori di quelli che sono gli stessi valori della NATO, valori che esaltano la coesione e la solidarietà e che fanno di voi un baluardo a difesa della democrazia e della libertà”. (2)
A inizio ottobre nell’area di Veszprem si sono tenute le esercitazioni “Relentless 9” (implacabile) e “Strong Will 2022”. La “Relentless” ha riguardato la “capacità di ingaggio di bersagli corazzati alle lunghe distanze di giorno come di notte” da parte delle unità controcarri e di cavalleria pesante del battlegroup; la “Strong Will” è stata invece orientata ad affinare le capacità agli assetti ISR (Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento). Per esercitarsi a contrastare le minacce aeree “nemiche” e gli attacchi da parte di droni si è tenuta anche “Noble Imperat” (nobili comandi), con “combattimento a partiti contrapposti in ambiente caratterizzato da rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico, Nucleare)”. Anche in questa occasione era presente una componente della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army, insieme ad unità della polizia militare e del reparto specializzato anti-esplosivi delle forze armate croate e di “difesa” aerea e CBRN ungherese. “L’esercitazione, della durata di 7 giorni ha visto le unità del Battlegroup frenare e bloccare, mediante l’impiego combinato del fuoco aereo, di artiglieria, dei mortai pesanti e dei missili controcarro, oltre che degli ostacoli attivi e passivi realizzati dalle unità del genio (campi minati anticarro, fossati, terrapieni) un’unità nemica attaccante, per effettuare in seguito, mediante la componente corazzata di cavalleria e le unità di fanteria un contrattacco contro le forze avversarie”, riferisce l’Esercito italiano. Nel corso di “Noble Imperat” alcuni caccia F-18 di US Air Force ed elicotteri d’attacco Mi-24 ungheresi “hanno impiegato il loro munizionamento ordinario sui bersagli indicati dai team di controllo italiani, ungheresi e americani schierati sul terreno”.
Il 29 ottobre 2022 il personale militare medico degli alpini si è addestrato nell’area di Camp Croft al soccorso in “prima linea” congiuntamente con l’esercito croato e statunitense (Combat Medic Concentration). “Fondamentale, per i soccorritori militari, la conoscenza delle corrette procedure mediche, oltre che la capacità di operare con lucidità mentale anche in condizioni di elevato stress fisico, dovuto dal peso dell’equipaggiamento e dell’armamento in dotazione, nonché psicologico, derivante dall’impatto emotivo del ferimento, in questo caso simulato, di elementi della propria unità”, spiega l’Esercito. “Numerosi gli scenari di fronte ai quali si sono trovati ad operare i soccorritori, dagli scontri a fuoco con la presenza di feriti da colpi di armi leggere fino all’esplosione di ordigni quali mine e razzi controcarro a danno degli equipaggi dei veicoli”.
Novembre è ricordato per l’esercitazione a fuoco con obici e mortai “Noble Strike” (colpo nobile), orientata al “forzamento di ostacoli attivi e passivi posizionati dal nemico (campi minati e reticolati) per il successivo assalto a postazioni fortificate” e per “Noble Freedom”, operazione addestrativa “offensiva” con la partecipazione di oltre 500 unità e 100 veicoli da guerra. Il personale del 3° Reggimento Alpini ha condotto a dicembre due settimane di addestramento al “combattimento in aree urbanizzate” presso il Comando della 25ª Brigata Corazzata dell’esercito ungherese, situato nella città di Tata. Il 2022 si è concluso con l’esercitazione “Noble Defender” anch’essa orientata alla guerra urbana e in particolare “alla presa di un centro abitato occupato da forze nemiche con la presenza nell’area sia di personale civile non combattente, sia di trappole esplosive collocate dall’avversario”.
Il Tricolore comanda in Bulgaria
Con identiche finalità e obiettivi strategici del battlegroup “ungherese” dal marzo dello scorso anno ha preso il via l’operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) – Bulgaria, a cui la NATO ha assegnato oltre 1.100 militari delle forze terrestri di Bulgaria, Albania, Grecia, Italia, Repubblica della Macedonia del Nord, Montenegro e Stati Uniti. Il quartier generale si è insediato nell’area addestrativa di Novo Selo, nella regione di Vidin, prossima al confine con Romania e Serbia. Nella missione in terra bulgara l’Italia impiega circa 740 unità in forza alla Brigata Meccanizzata “Pinerolo” di stanza in Puglia. Dal 17 ottobre il nostro paese ha assunto il ruolo di Framework Nation, ovvero la leadership del nuovo battlegroup NATO, attraverso il comando dell’82° Reggimento di fanteria “Torino”. Alla cerimonia di trasferimento della guida di (eVA) – Bulgaria erano presenti il Presidente della Repubblica di Bulgaria, Rumen Radev, il Comandante supremo delle forze alleate in Europa, gen. Christopher G. Cavoli, l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e il Comandante del COVI, gen. Figliuolo. Nonostante le roboanti parole d’encomio sulla leadership italica è indubbio che il mentore di questo nuovo gruppo NATO sia di casa negli USA. Prima ancora della “benedizione” del gen. Christopher G. Cavoli (già a capo delle forze armate USA in Europa e in Africa), le unità schierate a Novo Selo sono state “ispezionate” il 25 agosto 2022 dal Comandante del 5° Corpo d’Armata di U.S. Army, gen. John S. Kolasheski e dal Comandante dell’immancabile 101^ Divisione aviotrasportata, gen. Joseph P. McGee. Il 12 settembre è stata la volta della visita ufficiale dell’ammiraglio di US Navy, Stuart B. Munsch, comandante del Joint Force Command Naples.
Il “comando” italiano di (eVA) – Bulgaria è stato sperimentato sul campo a fine ottobre con l’esercitazione “Alliance Wall”: quattro giorni di fuoco no-stop con l’impiego di oltre 50 mezzi (blindati italiani “Freccia”, carri armati e veicoli d’attacco greci, statunitensi e bulgari). A inizio novembre è stata la volta di “Iron Strike” (colpo d’acciaio) con il dispiegamento di 300 militari e 70 mezzi tattici: per l’Italia un sistema di “difesa e controllo aereo”, gli obici semoventi PZH2000 da 155/52 mm di produzione tedesca (uno dei principali sistemi d’arma che i paesi NATO hanno consegnato all’Ucraina dopo l’invasione russa), i blindo “Centauro” e ancora i “Freccia”. Così come in Ungheria anche in Bulgaria non sono mancate le attività addestrative al combattimento in ambiente urbano. “L’esercitazione svoltasi a inizio dicembre e suddivisa in cinque fasi ha visto una iniziale ricognizione d’area seguita dal movimento verso le zone di accesso al villaggio; l’isolamento del centro abitato dal possibile avvicinamento di forze nemiche intervenute a supporto e difesa; la bonifica da possibili minacce presenti all’interno del villaggio ed infine, il consolidamento delle truppe nell’area ed il mantenimento del controllo della stessa”, annota lo Stato Maggiore.
Cacciabombardieri sul Baltico e nel Mar Nero anche per venderli
In gergo tecnico-militare è definita “Air Policing (AP)”; si tratta della missione di cui si è dotata la NATO a partire dalla metà degli anni cinquanta per integrare gli apparati e gli assetti dei paesi membri in un unico sistema di difesa aerea e missilistico. Nello specifico l’AP consiste nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo alleato e nell’identificazione di tutte le eventuali violazioni allo stesso; le operazioni sono svolte da caccia intercettori pronti al decollo in tempi radissimi (scramble). Le missioni di Air Policing sono condotte sotto il comando e controllo di due centri operativi NATO, ubicati rispettivamente a Uedem (Germania) e Torrejon (Spagna), sotto la supervisione dall’Allied Air Command di Ramstein (Germania). E, come ricorda con orgoglio lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, l’Italia è l’unica nazione dell’Alleanza Atlantica che ha partecipato a tutte le operazioni di Air Policing realizzate fino ad oggi.
Con la “spiralizzazione” della crisi russo-ucraina a inizio 2022 la NATO ha deciso di potenziare le attività di sorveglianza aerea dando vita alla cosiddetta enhanced Air Policing (eAP), in particolare sul fronte sud-orientale. In quest’ambito dallo scorso mese di novembre il nostro paese ha inviato una task force (TFA R Gladiator) presso l’aeroporto “Mihail Kogălniceanu” di Costanza (Romania), sul Mar Nero. TFA Gladiator impiega attualmente quattro cacciabombardieri Eurofighter EF-2000 “Typhoon” degli Stormi 4°, 36°, 37° e 51°dell’Aeronautica Militare, rispettivamente con base a Grosseto, Gioia del Colle, Trapani-Birgi e Istrana-Treviso. A Costanza sono presenti in tutto 150 tra piloti, controllori volo e tecnici, oltre alla componente di polizia militare assicurata dall’Arma dei Carabinieri. Nelle operazioni aeree sono pure coinvolti altri importanti enti dell’Aeronautica, tra cui il 14° Stormo di Pratica di Mare, la 46° Brigata Aerea di Pisa e il 16° Stormo Fucilieri dell’Aria con quartier generale a Martina Franca, Taranto.
In passato i caccia italiani avevano già svolto attività di “vigilanza aerea” NATO in Romania nel 2019 e – ininterrottamente – dai primi di dicembre 2021 fino al 1° luglio del 2022 con la task force “Black Storm” (tempesta nera). Durante quest’ultima missione i cacciabombardieri dell’Aeronautica hanno superato le 1.400 ore di volo con circa 750 sortite. “Si tratta di un risultato mai raggiunto da una TFA sul suolo europeo”, ricorda lo Stato Maggiore delle forze aree. “In parallelo è stato conseguito un elevato grado di interoperabilità con gli assetti aerei dell’Alleanza che in quei mesi erano impiegati nella regione (i Typhoon dell’Aeronautica tedesca e i caccia intercettori delle forze aeree rumene e statunitensi), con le unità della Marina militare francese e rumena e con i contingenti terrestri belgi, francesi, rumeni, britannici e statunitensi”. Durante TFA “Black Sorm” sono stati inviati in Romania per quasi due mesi pure i paracadutisti del 3° Reggimento “Savoia Cavalleria” della brigata “Folgore” per partecipare in particolare all’esercitazione multinazionale “Scorpion Legacy” presso il poligono di Smardan nell’ambito del Military Training Education Program della NATO.
Nel periodo di assenza dal territorio rumeno gli EF-2000 “Typhoon” italiani non sono stati certo con le mani in mano: hanno operato invece in uno scenario geo-strategico ancora più critico. Dalla fine di luglio a fine novembre i cacciabombardieri sono stati rischierati con la task force “White Eagle” presso l’aeroporto “Krolewo” di Malbork, Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad), già sede dell’Air Policing NATO nel 2014 e nel 2015 dopo l’escalation bellica in Donbass e l’occupazione russa della Crimea. In poco meno di quattro mesi di attività i velivoli italiani hanno effettuato dalla base polacca oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”.
Che i caccia italiani abbiano davvero giocato con il fuoco durante la loro missione in Polonia appare evidente dalla lettura del comunicato emesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica il 22 settembre. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem”, spiega la forza aerea. “La contemporanea presenza nel Baltico anche di alcuni assetti navali della NATO, ha fatto sì che per garantire la sicurezza dei confini dell’Alleanza, la catena di Comando e Controllo della NATO ha realizzato un dispositivo di sicurezza massimo (…) Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”. (3)
Rischiare il conflitto magari solo per una virata errata è davvero da folli ma a Roma c’è chi evidentemente persegue uber alles e sulla pelle di noi tutti la moltiplicazione dei profitti e dei dividendi azionari delle grandi industrie militari a capitale pubblico. Esageriamo perché pacifisti imbelli? Ecco cosa ha evidenziato l’analista Aurelio Giansiracusa, direttore di Ares Osservatorio Difesa in un articolo pubblicato a fine luglio: “Per l’Aeronautica Polacca il rischiaramento degli italiani è una preziosa occasione per interagire con i potenti caccia bombardieri prodotti dal consorzio Eurofighter costituito da Leonardo, BAE Systems ed Airbus. Non è un mistero che la Polonia, nell’ambito del potenziamento esponenziale in atto delle sue Forze Armate, sia interessata fortemente al velivolo europeo; del resto anche lo stesso consorzio Eurofighter (in Polonia guidato da Leonardo) spinge per l’adozione offrendo a Varsavia una nel programma”. (4)
Ecco ancora recitato il mantra della storia dell’ultimo secolo: in guerra per le armi e le armi per le guerra… Pagine Esteri
LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1)
pagineesteri.it/2023/01/10/in-…
NOTE E LINK
- difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/D…
- difesa.it/OperazioniMilitari/o….
- aeronautica.difesa.it/2022/09/…4)
- aresdifesa.it/eurofighter-typh…
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
L'articolo Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2) proviene da Pagine Esteri.
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2)
di Antonio Mazzeo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Nell’agosto 2022 l’Italia – insieme ai reparti dell’esercito ungherese, croato e statunitense- è entrata a far parte del nuovo battaglione da guerra attivato dalla NATO in Ungheria per “rafforzare le attività di vigilanza” anti-Russia nel fianco sud-orientale. “L’Operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) in Ungheria è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO”, annota lo Stato Maggiore. “Con l’adesione all’iniziativa, dopo il previsto iter autorizzativo parlamentare, l’Italia si conferma tra i principali Paesi contributori, in termini di uomini, mezzi e risorse, al rafforzamento della postura di deterrenza e difesa della NATO sul fianco est”. (1)
A cannoneggiare nella puszta ungherese
La consistenza massima annuale autorizzata per il contingente in Ungheria è di circa 250 unità dell’Esercito; esso è composto – ancora una volta – da personale della Brigata Alpina “Taurinense”, in particolare del 3° Reggimento Alpini, rinforzato da componenti del 1° Reggimento Artiglieria Terrestre da montagna, del 1° Reggimento “Nizza Cavalleria” e del 32° Reggimento Genio Guastatori, oltre a un nucleo di polizia militare del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. Numerosi i veicoli tattici in dotazione, dalle blindo “Centauro” ai VTMM (Veicoli tattici medi multiruolo), ai VTLM (Veicoli tattici leggeri multiruolo) e ai BV206 (Veicoli tattici ad elevata mobilità) tipici delle truppe alpine. A completare il potente dispositivo bellico ci sono pure i sistemi d’arma in dotazione alle unità di artiglieria, quali gli obici FH70, i mortai “Thomson” da 120mm e i sistemi controcarro di 3^ generazione “Spike” con missili a lungo raggio prodotti dall’azienda israeliana Rafael Ltd.. “Tutti i reparti coinvolti nell’operazione eVA provengono da un intenso ciclo addestrativo che li ha visti partecipare, solo nell’ultimo semestre, alle esercitazioni Volpe Bianca 22 nell’alta Val di Susa, Cold Response 22 in Norvegia, Maurin 22 nell’alta Valle Maira e Candelo 22 nella baraggia biellese, senza contare il continuo addestramento di specialità a vivere, muovere e combattere in montagna”, riporta con malcelata enfasi bellica lo Stato Maggiore dell’Esercito.
Le attività operative hanno preso il via il 18 agosto, una decina di giorni dopo il completamento dello schieramento in territorio magiaro. Il battesimo è stato consacrato dall’addestramento al “combattimento nei centri abitati e di navigazione terrestre”, a fianco dei paracadutisti della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army e di una compagnia dell’esercito croato. A fine agosto gli alpini della “Taurinense” hanno svolto un modulo addestrativo al “movimento e combattimento in ambiente notturno”, con pattuglie da ricognizione per i plotoni fucilieri, “simulazione” di esercizi di tiro con mortai da 120mm e obici da 155mm, acquisizione di obiettivi in movimento per le squadre controcarri, pattuglie esploranti con blindo “Centauro”, impiego degli esplosivi per “ridurre la mobilità nemica” e di robot per la bonifica di ordigni avversari per la componente guastatori.
Nel corso della prima settimana di settembre il contingente italiano ha condotto contestualmente due diverse attività addestrative: l’esercitazione a partiti contrapposti denominata “Patrol Storm” (pattuglia tempesta) per “combinare” le capacità di fuoco e di “acquisizione di obiettivi nemici in ogni condizione ambientale”; e “Fire Observer Concentration” per standardizzare le procedure per l’osservazione, la richiesta e la gestione del fuoco terrestre “erogabile mediante sistemi di artiglieria in dotazione alla NATO”. Subito dopo gli alpini si sono sottoposti a quattro giornate consecutive di attività di tiro, diurno e notturno e “sotto stress” con armamento individuale e di reparto presso il poligono ungherese di Ujmajor.
A fine settembre, nell’estesa area addestrativa ungherese di Varpalota, si è svolta invece “Brave Warrior” (guerriero valoroso) per la validazione del nuovo battlegroup e il suo passaggio sotto il comando NATO. A “Brave Warrior” hanno partecipato anche i contingenti di Ungheria, Stati Uniti, Croazia e Slovacchia, per una forza totale di oltre 1.200 militari e 300 tra carri armati, blindati e obici di artiglieria. Ospiti e osservatori “eccellenti” alle grandi manovre i vertici militari della NATO, il Comandante del Joint Force Command NATO di Brunssum, gen. Guglielmo Luigi Miglietta e il Comandante Operativo di Vertice Interforze COVI, gen. Francesco Paolo Figliuolo. “Consentitemi di dire che è un orgoglio personale vedere impegnati in questo sforzo collettivo voi alpini della Brigata Taurinense, unità che ho avuto il privilegio di guidare tra il 2010 e il 2011”, ha dichiarato Figliuolo alla cerimonia conclusiva dei war games. “Non è un caso che in una missione particolare come questa sia stata scelta proprio un’unità delle Truppe Alpine dell’Esercito, a riprova della versatilità e della resilienza di un Corpo che ha scritto pagine gloriose della storia nazionale e militare, con un impiego che va dal deserto ai territori montani e artici, ai quali siamo più votati, fino alla pianura ungherese. Inoltre, voi siete portatori di quelli che sono gli stessi valori della NATO, valori che esaltano la coesione e la solidarietà e che fanno di voi un baluardo a difesa della democrazia e della libertà”. (2)
A inizio ottobre nell’area di Veszprem si sono tenute le esercitazioni “Relentless 9” (implacabile) e “Strong Will 2022”. La “Relentless” ha riguardato la “capacità di ingaggio di bersagli corazzati alle lunghe distanze di giorno come di notte” da parte delle unità controcarri e di cavalleria pesante del battlegroup; la “Strong Will” è stata invece orientata ad affinare le capacità agli assetti ISR (Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento). Per esercitarsi a contrastare le minacce aeree “nemiche” e gli attacchi da parte di droni si è tenuta anche “Noble Imperat” (nobili comandi), con “combattimento a partiti contrapposti in ambiente caratterizzato da rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico, Nucleare)”. Anche in questa occasione era presente una componente della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army, insieme ad unità della polizia militare e del reparto specializzato anti-esplosivi delle forze armate croate e di “difesa” aerea e CBRN ungherese. “L’esercitazione, della durata di 7 giorni ha visto le unità del Battlegroup frenare e bloccare, mediante l’impiego combinato del fuoco aereo, di artiglieria, dei mortai pesanti e dei missili controcarro, oltre che degli ostacoli attivi e passivi realizzati dalle unità del genio (campi minati anticarro, fossati, terrapieni) un’unità nemica attaccante, per effettuare in seguito, mediante la componente corazzata di cavalleria e le unità di fanteria un contrattacco contro le forze avversarie”, riferisce l’Esercito italiano. Nel corso di “Noble Imperat” alcuni caccia F-18 di US Air Force ed elicotteri d’attacco Mi-24 ungheresi “hanno impiegato il loro munizionamento ordinario sui bersagli indicati dai team di controllo italiani, ungheresi e americani schierati sul terreno”.
Il 29 ottobre 2022 il personale militare medico degli alpini si è addestrato nell’area di Camp Croft al soccorso in “prima linea” congiuntamente con l’esercito croato e statunitense (Combat Medic Concentration). “Fondamentale, per i soccorritori militari, la conoscenza delle corrette procedure mediche, oltre che la capacità di operare con lucidità mentale anche in condizioni di elevato stress fisico, dovuto dal peso dell’equipaggiamento e dell’armamento in dotazione, nonché psicologico, derivante dall’impatto emotivo del ferimento, in questo caso simulato, di elementi della propria unità”, spiega l’Esercito. “Numerosi gli scenari di fronte ai quali si sono trovati ad operare i soccorritori, dagli scontri a fuoco con la presenza di feriti da colpi di armi leggere fino all’esplosione di ordigni quali mine e razzi controcarro a danno degli equipaggi dei veicoli”.
Novembre è ricordato per l’esercitazione a fuoco con obici e mortai “Noble Strike” (colpo nobile), orientata al “forzamento di ostacoli attivi e passivi posizionati dal nemico (campi minati e reticolati) per il successivo assalto a postazioni fortificate” e per “Noble Freedom”, operazione addestrativa “offensiva” con la partecipazione di oltre 500 unità e 100 veicoli da guerra. Il personale del 3° Reggimento Alpini ha condotto a dicembre due settimane di addestramento al “combattimento in aree urbanizzate” presso il Comando della 25ª Brigata Corazzata dell’esercito ungherese, situato nella città di Tata. Il 2022 si è concluso con l’esercitazione “Noble Defender” anch’essa orientata alla guerra urbana e in particolare “alla presa di un centro abitato occupato da forze nemiche con la presenza nell’area sia di personale civile non combattente, sia di trappole esplosive collocate dall’avversario”.
Il Tricolore comanda in Bulgaria
Con identiche finalità e obiettivi strategici del battlegroup “ungherese” dal marzo dello scorso anno ha preso il via l’operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) – Bulgaria, a cui la NATO ha assegnato oltre 1.100 militari delle forze terrestri di Bulgaria, Albania, Grecia, Italia, Repubblica della Macedonia del Nord, Montenegro e Stati Uniti. Il quartier generale si è insediato nell’area addestrativa di Novo Selo, nella regione di Vidin, prossima al confine con Romania e Serbia. Nella missione in terra bulgara l’Italia impiega circa 740 unità in forza alla Brigata Meccanizzata “Pinerolo” di stanza in Puglia. Dal 17 ottobre il nostro paese ha assunto il ruolo di Framework Nation, ovvero la leadership del nuovo battlegroup NATO, attraverso il comando dell’82° Reggimento di fanteria “Torino”. Alla cerimonia di trasferimento della guida di (eVA) – Bulgaria erano presenti il Presidente della Repubblica di Bulgaria, Rumen Radev, il Comandante supremo delle forze alleate in Europa, gen. Christopher G. Cavoli, l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e il Comandante del COVI, gen. Figliuolo. Nonostante le roboanti parole d’encomio sulla leadership italica è indubbio che il mentore di questo nuovo gruppo NATO sia di casa negli USA. Prima ancora della “benedizione” del gen. Christopher G. Cavoli (già a capo delle forze armate USA in Europa e in Africa), le unità schierate a Novo Selo sono state “ispezionate” il 25 agosto 2022 dal Comandante del 5° Corpo d’Armata di U.S. Army, gen. John S. Kolasheski e dal Comandante dell’immancabile 101^ Divisione aviotrasportata, gen. Joseph P. McGee. Il 12 settembre è stata la volta della visita ufficiale dell’ammiraglio di US Navy, Stuart B. Munsch, comandante del Joint Force Command Naples.
Il “comando” italiano di (eVA) – Bulgaria è stato sperimentato sul campo a fine ottobre con l’esercitazione “Alliance Wall”: quattro giorni di fuoco no-stop con l’impiego di oltre 50 mezzi (blindati italiani “Freccia”, carri armati e veicoli d’attacco greci, statunitensi e bulgari). A inizio novembre è stata la volta di “Iron Strike” (colpo d’acciaio) con il dispiegamento di 300 militari e 70 mezzi tattici: per l’Italia un sistema di “difesa e controllo aereo”, gli obici semoventi PZH2000 da 155/52 mm di produzione tedesca (uno dei principali sistemi d’arma che i paesi NATO hanno consegnato all’Ucraina dopo l’invasione russa), i blindo “Centauro” e ancora i “Freccia”. Così come in Ungheria anche in Bulgaria non sono mancate le attività addestrative al combattimento in ambiente urbano. “L’esercitazione svoltasi a inizio dicembre e suddivisa in cinque fasi ha visto una iniziale ricognizione d’area seguita dal movimento verso le zone di accesso al villaggio; l’isolamento del centro abitato dal possibile avvicinamento di forze nemiche intervenute a supporto e difesa; la bonifica da possibili minacce presenti all’interno del villaggio ed infine, il consolidamento delle truppe nell’area ed il mantenimento del controllo della stessa”, annota lo Stato Maggiore.
Cacciabombardieri sul Baltico e nel Mar Nero anche per venderli
In gergo tecnico-militare è definita “Air Policing (AP)”; si tratta della missione di cui si è dotata la NATO a partire dalla metà degli anni cinquanta per integrare gli apparati e gli assetti dei paesi membri in un unico sistema di difesa aerea e missilistico. Nello specifico l’AP consiste nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo alleato e nell’identificazione di tutte le eventuali violazioni allo stesso; le operazioni sono svolte da caccia intercettori pronti al decollo in tempi radissimi (scramble). Le missioni di Air Policing sono condotte sotto il comando e controllo di due centri operativi NATO, ubicati rispettivamente a Uedem (Germania) e Torrejon (Spagna), sotto la supervisione dall’Allied Air Command di Ramstein (Germania). E, come ricorda con orgoglio lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, l’Italia è l’unica nazione dell’Alleanza Atlantica che ha partecipato a tutte le operazioni di Air Policing realizzate fino ad oggi.
Con la “spiralizzazione” della crisi russo-ucraina a inizio 2022 la NATO ha deciso di potenziare le attività di sorveglianza aerea dando vita alla cosiddetta enhanced Air Policing (eAP), in particolare sul fronte sud-orientale. In quest’ambito dallo scorso mese di novembre il nostro paese ha inviato una task force (TFA R Gladiator) presso l’aeroporto “Mihail Kogălniceanu” di Costanza (Romania), sul Mar Nero. TFA Gladiator impiega attualmente quattro cacciabombardieri Eurofighter EF-2000 “Typhoon” degli Stormi 4°, 36°, 37° e 51°dell’Aeronautica Militare, rispettivamente con base a Grosseto, Gioia del Colle, Trapani-Birgi e Istrana-Treviso. A Costanza sono presenti in tutto 150 tra piloti, controllori volo e tecnici, oltre alla componente di polizia militare assicurata dall’Arma dei Carabinieri. Nelle operazioni aeree sono pure coinvolti altri importanti enti dell’Aeronautica, tra cui il 14° Stormo di Pratica di Mare, la 46° Brigata Aerea di Pisa e il 16° Stormo Fucilieri dell’Aria con quartier generale a Martina Franca, Taranto.
In passato i caccia italiani avevano già svolto attività di “vigilanza aerea” NATO in Romania nel 2019 e – ininterrottamente – dai primi di dicembre 2021 fino al 1° luglio del 2022 con la task force “Black Storm” (tempesta nera). Durante quest’ultima missione i cacciabombardieri dell’Aeronautica hanno superato le 1.400 ore di volo con circa 750 sortite. “Si tratta di un risultato mai raggiunto da una TFA sul suolo europeo”, ricorda lo Stato Maggiore delle forze aree. “In parallelo è stato conseguito un elevato grado di interoperabilità con gli assetti aerei dell’Alleanza che in quei mesi erano impiegati nella regione (i Typhoon dell’Aeronautica tedesca e i caccia intercettori delle forze aeree rumene e statunitensi), con le unità della Marina militare francese e rumena e con i contingenti terrestri belgi, francesi, rumeni, britannici e statunitensi”. Durante TFA “Black Sorm” sono stati inviati in Romania per quasi due mesi pure i paracadutisti del 3° Reggimento “Savoia Cavalleria” della brigata “Folgore” per partecipare in particolare all’esercitazione multinazionale “Scorpion Legacy” presso il poligono di Smardan nell’ambito del Military Training Education Program della NATO.
Nel periodo di assenza dal territorio rumeno gli EF-2000 “Typhoon” italiani non sono stati certo con le mani in mano: hanno operato invece in uno scenario geo-strategico ancora più critico. Dalla fine di luglio a fine novembre i cacciabombardieri sono stati rischierati con la task force “White Eagle” presso l’aeroporto “Krolewo” di Malbork, Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad), già sede dell’Air Policing NATO nel 2014 e nel 2015 dopo l’escalation bellica in Donbass e l’occupazione russa della Crimea. In poco meno di quattro mesi di attività i velivoli italiani hanno effettuato dalla base polacca oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”.
Che i caccia italiani abbiano davvero giocato con il fuoco durante la loro missione in Polonia appare evidente dalla lettura del comunicato emesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica il 22 settembre. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem”, spiega la forza aerea. “La contemporanea presenza nel Baltico anche di alcuni assetti navali della NATO, ha fatto sì che per garantire la sicurezza dei confini dell’Alleanza, la catena di Comando e Controllo della NATO ha realizzato un dispositivo di sicurezza massimo (…) Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”. (3)
Rischiare il conflitto magari solo per una virata errata è davvero da folli ma a Roma c’è chi evidentemente persegue uber alles e sulla pelle di noi tutti la moltiplicazione dei profitti e dei dividendi azionari delle grandi industrie militari a capitale pubblico. Esageriamo perché pacifisti imbelli? Ecco cosa ha evidenziato l’analista Aurelio Giansiracusa, direttore di Ares Osservatorio Difesa in un articolo pubblicato a fine luglio: “Per l’Aeronautica Polacca il rischiaramento degli italiani è una preziosa occasione per interagire con i potenti caccia bombardieri prodotti dal consorzio Eurofighter costituito da Leonardo, BAE Systems ed Airbus. Non è un mistero che la Polonia, nell’ambito del potenziamento esponenziale in atto delle sue Forze Armate, sia interessata fortemente al velivolo europeo; del resto anche lo stesso consorzio Eurofighter (in Polonia guidato da Leonardo) spinge per l’adozione offrendo a Varsavia una nel programma”. (4)
Ecco ancora recitato il mantra della storia dell’ultimo secolo: in guerra per le armi e le armi per le guerra… Pagine Esteri
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- difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/D…
- difesa.it/OperazioniMilitari/o….
- aeronautica.difesa.it/2022/09/…4)
- aresdifesa.it/eurofighter-typh…
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
L'articolo Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2) proviene da Pagine Esteri.
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1)
di Antonio Mazzeo*
(le immagini di truppe e mezzi italiani in Lettonia sono di esercito.difesa.it)
Pagine Esteri, 10 gennaio 2023 – In meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina, Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel “contenimento” delle forze armate russe. A partire del 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia. Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari.
A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il processo di riarmo e militarizzazione dell’Europa orientale è pericolosamente dilagato e ancora oggi appare inarrestabile. E l’Italia c’è con le sue truppe d’élite, le brigate di pronto intervento, gli obici, i carri armati e i cacciabombardieri “gioielli di morte” del complesso militare-industriale nazionale e dei soci-partner stranieri, primi fra tutti USA e Israele. A inizio 2023 il tricolore sventola in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. E ogni giorno, 24h, le truppe sono in stato d’allerta e si addestrano in condizioni estreme ad ogni possibile scenario di conflitto con il Cremilino, dai combattimenti casa per casa, vicolo per vicolo, piazza per piazza, agli sfondamenti nell’infinito bassopiano sarmatico, finanche all’impiego di armi atomiche, chimiche e batteriologiche e alla “sopravvivenza” al tragico inverno nucleare. Missioni di aperta e dichiarata cobelligeranza, pericolosamente provocatorie e infinitamente dispendiose sul piano politico-diplomatico e su quello economico-finanziario. Ma del tutto ignorate dai media mainstream che dallo scoppio della guerra fratricida hanno scelto di fare da cassa amplificata di Ares e Thanos e che gli italiani neanche immaginano quanto esse potrebbero trascinarci alla terza e ultima guerra mondiale.
Proviamo noi a raccontare chi sono e cosa fanno i reparti italiani inviati da una classe politica e di governo irresponsabile come topolino apprendista stregone. La componente più numerosa è quella terrestre: oggi è presente in Lettonia, Ungheria e Bulgaria, inquadrata all’interno delle forze di intervento rapido della NATO, i cosiddetti battlegroup, gruppi di battaglia. “Dinnanzi a una deteriorata percezione della sicurezza e a seguito di specifica richiesta avanzata da parte dei Paesi Baltici e della Polonia, al Summit di Varsavia del luglio 2016 la NATO ha ritenuto opportuno rafforzare la propria presenza sul fianco est dello spazio euro-atlantico, varando una misura di enhanced Forward Presence (eFP) che contempla lo schieramento di quattro Battle Group rispettivamente in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, supportate dagli altri Alleati”, ricorda lo Stato Maggiore della difesa. “L’eFP è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO che intende rafforzare il principio di deterrenza dell’Alleanza. In particolare, aver rafforzato la presenza sul fianco est rappresenta un chiaro esempio della determinazione nell’assolvere la missione primaria di sicurezza collettiva dell’integrità territoriale euro-atlantica contro ogni possibile aggressione e minaccia, nonché di riaffermazione della coesione e della solidarietà tra i Paesi membri”. (1) Meno edulcorata e più realista la versione del Comando generale della NATO. “Questi battlegroup sono multinazionali e pronti al combattimento e dimostrano la forza del legame transatlantico”, spiegano i vertici dell’Alleanza. “Essi operano insieme alle forze di difesa del paese ospitante, conducendo esercitazioni e attività di vigilanza. La loro presenza rende chiaro che un attacco ad uno degli Alleati sarà considerato un attacco all’intera Alleanza. I battlegroup sono parte del più grande rinforzo della difesa collettiva della NATO da una generazione a questa parte”. (2)
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina la NATO ha rafforzato la propria presenza in Europa orientale dispiegando migliaia di truppe supplementari e istituendo in tempi rapidissimi altri quattro nuovi gruppi tattici multinazionali in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. “Oggi gli otto gruppi tattici si estendono lungo tutto il fianco orientale della NATO, dal Mar Baltico a nord al Mar Nero a sud”, spiega lo Stato Maggiore italiano. “Oltre 40.000 truppe, insieme a significativi mezzi aerei e navali, sono ora sotto il diretto comando della NATO, supportate da altre centinaia di migliaia di truppe provenienti dai dispiegamenti nazionali degli Alleati. Inoltre, al Vertice di Madrid del giugno 2022, gli alleati hanno concordato un cambiamento fondamentale nella deterrenza della NATO. Ciò include il rafforzamento delle difese avanzate, il potenziamento dei gruppi tattici nella parte orientale dell’Alleanza fino al livello di brigata, la trasformazione della Forza di risposta della NATO e l’aumento del numero di forze ad alta prontezza a ben oltre 300.000 unità”. (3)
Italiani in Lettonia
Tutte le attività operative e addestrative condotte dalle forze armate Italiane sul fianco orientale della NATO sono disposte dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e sono coordinate dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), istituito – non certo casualmente – nel luglio 2021 per rimodulare l’architettura militare nazionale e “abbracciare il concetto del multi-dominio, terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cyber”. (4) Comandante del COVI è il gen. Francesco Paolo Figliuolo, il padre-alpino a cui sono stati attribuiti ampi poteri nella gestione socio-sanitaria dell’emergenza e post emergenza da Covid19.
L’Esercito italiano opera ininterrottamente da quasi un biennio all’interno del battlegroup NATO schierato in Lettonia (Operazione eFP Baltic Guardian), quello che annovera il maggior numero di nazioni partecipanti: oltre a Italia e Lettonia sono presenti Canada, Albania, Repubblica Ceca, Islanda, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Spagna. Attualmente il contingente nazionale impiegato è di 250 militari appartenenti alla Brigata bersaglieri “Garibaldi” di stanza in Campania e da altri assetti forniti dal 17° Reggimento artiglieria controaerea “Sforzesca” (Sabaudia), dal 132° Reggimento carri (Cordenons, Pordenone), dal 7° Reggimento per la difesa CBRN “Cremona” (Civitavecchia), dal 3° Reggimento artiglieria da montagna (Remanzacco, Udine) e dall’11° Reggimento trasmissioni (Civitavecchia). Ingente è il numero di mezzi nella disponibilità di questi reparti: 139 tra veicoli da combattimento “Dardo”, carri armati “Ariete” e blindo “Centauro”.
I bersaglieri della “Garibaldi” sono arrivati nella grande installazione lettone di Adazi nel giugno 2022 prendendo il posto degli alpini della Brigata “Taurinense” (di stanza in Piemonte) e del 2° Reggimento trasmissioni alpino di Bolzano. “La partecipazione dell’Italia alla missione in Lettonia, oltre a testimoniare la solidarietà e la coesione dei Paesi dell’Alleanza Atlantica, rappresenta, nel panorama delle operazioni fuori area, un’opportunità straordinaria per il personale italiano impiegato, che ha modo di dedicarsi esclusivamente all’addestramento al warfighting, con il valore aggiunto del confronto continuo con gli eserciti di altri Paesi alleati”, scrive lo Stato Maggiore dell’Esercito. Warfighting, cioè combattimento, e l’interminabile elenco e le dimensioni delle “esercitazioni” effettuate nella Repubblica baltica e nei paesi confinanti sono un’indubbia testimonianza che la task force NATO è nata e cresce per la “battaglia”. Tra le maggiori e più complesse attività addestrative della scorsa primavera è possibile enumerare “Horned Viper” (vipera cornuta), finalizzata all’applicazione delle procedure del Tactical Combat Casualty Car (la medicina tattica da combattimento e il soccorso dei militari feriti), sotto la supervisione del personale medico dell’esercito danese, canadese e statunitense. A maggio 2022 le truppe alpine hanno addestrato i cadetti della National Defense Academy lettone nelle attività di “infiltrazione” in ambiente boschivo ed “occupazione di postazioni difensive”, mentre il mese successivo hanno partecipato all’esercitazione controaerea “Ramstein Legacy” presso la base aerea lettone di Lielvarde. Pianificata e condotta dal Comando generale della NATO e da quello delle forze armate USA in Europa (USEUCOM), “Ramstein Legacy” è stata svolta in contemporanea nello spazio aereo della Polonia e delle altre due Repubbliche baltiche; accanto agli italiani sono stati schierati i reparti di U.S. Army specializzati nella “difesa aerea” e missilistica.
Sempre a giugno gli alpini della “Taurinense” sono stati impiegati in attività di supporto aereo ravvicinato (Close air Support) fuori dai confini lettoni: in Estonia con l’esercitazione “Furious Wolf” (lupo furioso),congiuntamente al battlegroup ivi schierato e ai caccia della NATO presenti nel Baltico; in Slovenia con “Adriatic Strike 22”, esercitazione di cooperazione aerea che ha coinvolto 28 paesi dell’Alleanza. Subito dopo l’arrivo in Lettonia a metà giugno, la Brigata “Garibaldi” si è addestrata al combattimento individuale e con i mezzi da fuoco “Dardo”, “Centauro” e “Ariete”. “Inoltre, nell’ambito delle iniziative finalizzate a mostrare la presenza della NATO in Lettonia, sono state svolte diverse mostre statiche di mezzi e materiali a favore non solo della popolazione ma anche degli allievi ufficiali della National Defence Academy lettone”, aggiunge lo Stato Maggiore dell’Esercito, enfatizzando il ruolo dei propri reparti quali ambasciatori-piazzisti delle armi made in Italy.
In piena estate si è tenuta l’esercitazione multinazionale “Rampart Forge” (forgia del bastione) con lo scopo di “consolidare lo stato di prontezza ed incrementare le capacità di combattimento delle unità su un terreno fortemente compartimentato”. Una “cellula” per la guerra cibernetica distaccata in Lettonia dal Comando interforze per le Operazioni in Rete (COR) di Roma ha condotto con i partner NATO operazioni cyber al fine di “rilevare, contrastare e neutralizzare minacce che possano limitare la libertà di manovra nel dominio cibernetico”. A fine agosto il contingente della “Garibaldi” ha effettuato con l’esercito di Stati Uniti d’America, Spagna e Lettonia un’esercitazione di combattimento terrestre ed aereo con l’impiego di elicotteri d’attacco Bell AH-1 “Cobra” e UH-1 “Iroquois Huey”.
A settembre è stata la volta dell’esercitazione “Rampart Shield” (scudo del bastione) che ha consacrato il raggiungimento della piena capacità operativa del battlegrup NATO eFP “Latvia”. Durante i war games il personale militare ha condotto “attività tattiche difensive attraverso il posizionamento di ostacoli sul terreno per la battaglia”; inoltre un plotone difesa CBRN (chimica, batteriologica, radiologica e nucleare) proveniente dal 7° Reggimento “Cremona” ha svolto un’intensa attività di formazione teorico-pratica a favore di tutte le unità operative del battlegroup per la “gestione complessa di un incidente CBRN in ambiente war e decontaminazione operativa”. Sempre a settembre nel poligono di Adazi si sono svolte due fasi distinte di “Silver Arrow” (freccia d’argento): la prima ha visto schierati in formazioni contrapposte il battlegroup NATO in Lettonia e quello dispiegato in Polonia; alla seconda hanno invece partecipato 4.200 unità e oltre 1.000 mezzi da guerra di 17 Paesi dell’Alleanza (oltre a quelli della task force in Lettonia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Regno Unito e USA). Nel corso di “Silver Arrow 2” ha fatto la sua comparsa il sistema di artiglieria ad alta mobilità M142 “HIMARS”, dispiegato dall’esercito USA per lanciare razzi contro bersagli fissi e mobili nel Mar Baltico. L’M142 “HIMARS” è stato poi fornito alle forze armate ucraine che lo hanno impiegato nella controffensiva d’autunno contro i carri armati russi.
Dal 28 ottobre al 2 novembre l’Esercito italiano è stato impegnato in Lettonia in un’esercitazione a fuoco su bersagli a mare congiuntamente allo Standing NATO Maritime Group 1 (SNMG-1), gruppo navale di pronto intervento con unità da guerra delle Marine di Danimarca, Norvegia e Paesi Bassi, allo scopo di “incrementare la reciproca conoscenza tra forze terrestri e navali della NATO presenti sul fianco Est”, così come riposta l’ufficio stampa della Difesa. “Iron Spear” (lancia di ferro) è stata l’attività addestrativa multinazionale di metà novembre pianificata e diretta dal contingente italiano, a cui hanno preso parte le unità corazzate e blindate provenienti da 12 contingenti alleati di stanza nei Paesi Baltici. “Si è trattata di una dimostrazione della potenza di fuoco, notturna e diurna, di tutti i mezzi partecipanti (…) con valutazione sia della precisione che dei tempi di esecuzione delle manovre”, spiega lo Stato Maggiore dell’Esercito. Gli istruttori del contingente italiano hanno curato presso le aree sportive della base di Camp Adazi anche un corso per il personale appartenente al battlegroup NATO su una serie di attività ginniche “volte a mostrare l’efficacia del metodo di combattimento individuale militare italiano impiegato in un contesto operativo (MCM Academy)”. Sport e ginnastica verde-bianco-rosso per i guerrieri moderni dell’Alleanza con tanto di esercizi di condizionamento fisico, “imprescindibile per il personale che opera in area di operazione”, tecniche mirate alla difesa da arma lunga e corta, impiego dello sfollagente, di armi bianche e “combinazioni di percussioni volte a contrastare le forze nemiche in opposizione, con tempi di reazione veloci e condizioni disagiate”. “Gli istruttori – aggiunge lo Stato Maggiore – hanno evidenziato la forte componente psicologica che coinvolge il combattente militare, analizzando conseguentemente le principali tecniche di gestione dello stress, attuando un impiego della forza in aderenza al concetto di force escalation”. (5) (fine parte 1).
NOTE E LINK
1difesa.it/OperazioniMilitari/o…
2 nato.int/cps/en/natohq/news_20…
3 difesa.it/OperazioniMilitari/o…
4 difesa.it/SMD_/COVI/Pagine/def…
5difesa.it/OperazioniMilitari/o…
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
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L’uomo moralmente libero sfida il tiranno dal fondo della galera o cammina diritto verso la catasta di legna sulla quale sarà bruciato vivo per voler tener fede alla sua credenza.
da Liberalismo, “L’Italia e il secondo Risorgimento”, 29 luglio 1944
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La guerra in Ucraina e la deliberata distorsione della realtà
«Ieri mattina, Kiev ha lanciato missili su Bakhmut e Mosca ha reagito: la tregua è stata così violata da entrambe le parti»: Vittorio Da Rold. Non so chi sia costui e, francamente, non mi pongo il problema. Quello che appare è che con quella frase si intende dare una notizia. Solo che, la notizia è […]
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Il Governo cambia, la precarietà resta (anzi, cresce) | Coniare Rivolta
"Tra gli amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, va annoverato senza dubbio quello tra la classe politica italiana e la precarizzazione del mercato del lavoro. Da ormai un trentennio, come abbiamo più volte ripetuto, i governi di tutti i colori, in piena ottemperanza delle direttive europee, si sono prodigati nell’introduzione di varie forme di precarietà, che si cristallizzano nel facilitare la sottoscrizione di contratti a tempo determinato, nella progressiva eliminazione delle tutele contro i licenziamenti ingiustificati e nella legalizzazione dell’intermediazione privata tra domanda e offerta di lavoro (leggasi, agenzie interinali)."


Poliverso & Poliversity
in reply to Roberto Resoli • • •e ora? 😅
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